Teramani n. 86

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mensile di informazione in distribuzione gratuita pag. 25 HOLLYWOOD RICORDA TONINO GUERRA ALESSIA DE PAULIS PARIS EN LIBERTÉ pag. 9 pag. 14 Marzo 2013 n. 86 “AVEVAMO CHIESTO A DIO DI MANDARCELA BUONA... !!!”

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Freepress della Città di Teramo

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mensile di informazione in distribuzione gratuita

pag. 25

HOLLYWOOD RICORDATONINO GUERRA

ALESSIADE PAULIS

PARISEN LIBERTÉ

pag. 9

pag. 14

Marzo 2013

n. 86

“AVEVAMOCHIESTO A DIODI MANDARCELA BUONA... !!!”

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SOMM

ARIO 3 Un Papa vero tra i papaveri

4 Teramo culturale 6 Sorpresa Ratzinger 8 Benvenuto Papa Francesco 9 Hollywood ricorda Tonino Guerra 10 Primavera Fai 12 La cura da cavallo del Commissario Micheli 13 Consci di sé senza terrore 14 Alessia De Paulis 15 L’Oggetto del Desiderio 16 Castelli: le città della Ceramica 18 Help 19 Il Parcheggio Vip di Via Noè Lucidi 20 Il Libro del Mese 21 Note Linguistiche 22 In giro 24 Ernesto D’Evangelista 25 Paris en Liberté 26 Cinema 28 Salute 29 Pallamano 29 Coldiretti informa 30 Calcio

Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio

Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano,Carmine Goderecci, Carlo Manieri, Maria Cristina Marroni, Silvio Paolini Merlo, Ortensio da Spinetoli,Antonio Parnanzone, Sirio Maria Pomante, Egidio Romano, Sergio Scacchia

Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.

Ideazione grafica ed impaginazione: Antonio Campanella

Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele

Organo Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930

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Teramani è distribuito in proprio

[email protected] a

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n. 86

Le lacrime di Batavia, conosciute come

le gocce del principe Rupert, sono sfere

di vetro fuso raffreddato nell’acqua. La

tempra provoca tensioni nel cristallo tanto

che lo fa resistere alle martellate sul bulbo

per ridursi in polvere con un graffio sulla

coda. Ed è Freud a paragonare le lacrime

alla folla acclamante: senza il capo, la massa

si disintegra. Se così è come dice Voltaire

che ognuno è libero di scegliere la propria

patria, la nostra ce la siamo voluta. L’istinto

segna l’essere. Sperare che qualcuno ritenuto

meglio di noi ci tolga dai guai. Guarda caso,

la persona prescelta, nell’intenzione di

sottrarsi ai propri compiti, delega uno ancora

più importante in cui riporre una fiducia

impropria. Catene di Sant’Antonio che

partoriscono uomini forti. L’ascesa al soglio

pontificio di Papa Francesco. Un Papa vero.

Vicino alla gente, che paga l’albergo di tasca

sua e saluta la folla con il pollice alzato. In due

giorni ha dimezzato tante di quelle spese che

i politici italiani hanno cominciato a guardare

con simpatia alla Chiesa di Scientology.

Comunque, la nuova legislatura può contare

su un parlamento meno chiacchierato con

i suoi 46 indagati e 3 condannati rispetto ai

116 indagati di quella appena conclusa. Che

Dio ce la mandi buona! Una preghiera stonata

se si presta orecchio alla requisitoria di

Berlusconi contro la magistratura: “...è peggio

della mafia siciliana” (LASTAMPA.it, 23/02/13).

Si dice di tutto per gonfiare una percentuale.

Così ha fatto l’abruzzese, l’emigrante

immortalato nella foto esaustiva del

quotidiano il Centro (il Centro, 01/02/13).

Il senatore Antonio Razzi ha battuto i pugni

sul tavolo per la riduzione dello stipendio

dei parlamentari. L’abruzzese che ci onora

nel mondo con la sua somiglianza giovanile

con il cantante Antoine, il linguaggio forbito,

l’eloquio dalla forza affabulante della vita nella

sua molteplicità ha dichiarato: “Così vado a

dormire in sacco a pelo. Mi adatto perché

vengo dal mondo operaio” (La Repubblica, 21/03/13).

Una lacrima di Batavia che sta per

disintegrarsi? n

3L’Editoriale

Un Papa vero trai papaveri

diMimmoAttanasi

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4n.86

Le molte vite del BragaFasti e miserie di un gioiello incustodito

Ciò che più colpisce scorrendo le pagine del tutt’ora fondamentale

volume Musica e società a Teramo, apparso per i cento anni

dalla nascita della Società musicale “La Cetra”, diretta proge-

nitrice dell’Istituto musicale “Gaetano Braga”, è capire quanto

intimamente il Braga abbia fatto parte della vicenda culturale teramana,

vicenda che risale almeno al XIV secolo di Antonio Zacara, e che da

allora ha coinvolto ceti agrari e famiglie gentilizie, confraternite laicali,

piccole società corali, le attività teatrali dei Corradi e dei Ciotti, per

nascere e rinascere innumerevoli volte, sotto forme e nomi diversi, sino

a confondersi con la storia di tutta la comunità. Eppure, dagli archivi

diocesani fino alle

pagine di periodici e

quotidiani, dagli atti no-

tarili alle retrospettive

storiche, traspare con la

stessa evidenza quanto

esso abbia faticato a

nascere e radicarsi, e

come, pure così antico,

sia giunto in ritardo ad

agire beneficamente sul

territorio rispetto alla

carriera personale dei

musicisti conterranei

più rilevanti, i Braga, i

Badia, i Riccitelli, tutti

formatisi artisticamente

lontano da Teramo.

La vicenda istituzionale,

anzitutto, è ben esplica-

tiva di questo ininterrotto travaglio: l’ambizione ultima, quella di essere

Conservatorio statale, nasce fin dalla notte dei tempi della teramanità,

dalle nebbie delle vicende bandistiche e delle prime congregazioni dilet-

tantistiche animatesi in seguito all’Unità, frutto di spinte contrapposte

tra interessi pubblici e privati, moderati e progressisti, ovvero tra le due

anime cittadine dell’oligarchia intellettuale e quella piccoloborghese

operaia e impiegatizia. Un primo embrione del Braga si genera a seguito

del costituirsi di un’Accademia Filarmonica, nata l’8 gennaio 1879,

alla quale si affiancherà nel 1880, per iniziativa di Alfonso Cipollone,

un Circolo Filarmonico riservato all’educazione musicale femminile. Si

dovrà attendere il 1895, lo stesso anno in cui a Portici muore De Filippis

Delfico, per udire i primi vagiti di una “Scuola gratuita di strumenti ad

arco”, limitata a otto allievi, quattro violini, una viola, un violoncello e

due contrabbassi. Nasce così la Scuola musicale “La Cetra”, dapprima

nel salotto dei Savini, e più tardi, il 5 luglio 1906, nella ristrutturata

abitazione del custode del Teatro Comunale, ribattezzata “Sala della

Cetra”, misurandosi con le difficoltà inenarrabili che precedono la Gran-

de Guerra, povertà diffusa, scioperi sul caro pane e quant’altro da un

lato, e con la dipartita di sostenitori importanti come Giuseppe Savini,

Giovanni Thaulero, e lo sparuto stuolo di musicisti convinti sostenitori

come Nicola Dati e Raffaele Malaspina dall’altro. Prima del definitivo

insediamento nell’ex monastero benedettino di S. Giovanni a Scorzone,

risalente al 1834 ma resosi disponibile solo nel 1934 dopo l’incamera-

mento da parte dello Stato, la scuola, divenuta frattanto Liceo musicale,

venne ospitata per qualche tempo in un appartamento del Villino Rocco

in Via de’ Ponti, oggi via Carducci, allora poco più di un viottolo.

Non meno significativa è la storia del Braga sotto il profilo artistico

e amministrativo.

Illuminanti, in merito, le

testimonianze lasciate

dai maestri Dante Valen-

tini e Franco Rampini. La

“Cetra”, pur avvalen-

dosi di docenti quali

il pesarese Giuseppe

Righetti per il violino

e il senese Arcangelo

Masotti per il violoncello,

proveniente dal S. Cecilia

e da una lunga carriera

solistica, non si confi-

gurava come scuola di

avviamento professio-

nale, non rilasciando né

diplomi né attestati ma

avendo il solo scopo

di rifornire le società

bandistiche e l’organico orchestrale per i cartelloni del Teatro Comunale.

Determinante per il passaggio a istituzione pubblica di alta formazione,

e dunque per quell’anelato traguardo del riconoscimento ministeria-

le, sarà l’arrivo a Teramo della figura di Dante D’Ambosi, pianista e

compositore originario di Zagarolo, anche lui ceciliano per formazione

artistica, al quale si deve in pratica ogni cosa, il pareggiamento, la prima

orchestra stabile intitolata a Luigi Badia, il primo Ente concertistico. Ne

fu artefice l’avvocato Giustiniani che, rivoltosi ad Alessandro Bustini a

Roma, richiese esplicitamente qualcuno che trasformasse la scuola

in Liceo musicale pareggiato. D’ambrosi venne scelto entro una rosa

di nomi di indiscutibile peso, formata da Fernando Germani, Cristiano

Rosati e Goffredo Petrassi. Il perché della scelta è di facile spiegazione:

D’Ambrosi, che aveva studiato con Alessandro Bustini e Bernardino Mo-

linari, era al contempo un determinato uomo d’azione. Requisiti minimi

per il pareggiamento erano l’attivazione di cinque cattedre principali,

insegnanti di conclamato livello nazionale, la presenza di una società

dei concerti. Qualcosa di miracoloso nella Teramo di allora, e D’Ambrosi

Teramo culturale

diSilvioPaolini Merlo [email protected]

Il Villino Rocco, poi demolito,sede provvisoria del Braga

Chiostro dell’Ex Monastero S. Giovanni, sede attuale

Page 5: Teramani n. 86

5

lo fece. Fin dai primi anni Trenta giunsero

a Teramo fra gli altri il pianista Elio Liccardi

da Roma, il violinista Vittorio Emanuele, tra i

massimi virtuosi del tempo, primo premio a

Parigi, e il violoncellista Umberto Benedetti, di

fama certamente europea. Il Trio Teramano,

che nascerà di lì a poco grazie al fortunato

convergere di simili eccellenze, non ha pro-

babilmente avuto eguali da allora a oggi tra le

formazioni strumentistiche locali.

Nel corso del suo incarico direttivo a Teramo,

si devono a D’Ambrosi fra l’altro il passaggio

di pianisti come Carlo Zecchi, tra i mag-

giori della sua epoca, e di Alfredo Casella,

uno dei più importanti musicisti italiani del

Novecento. E a D’Ambrosi si dovrà infine,

nel corso di un’esecuzione del Concerto in

mi minore di Mendelssohn alla presenza del

ministro Bottai, a coronamento dei numerosi

appuntamenti con il repertorio sinfonico

dell’Orchestra Filarmonica Badia, la decisiva

sollecitazione al conferimento, nel 1939, del

riconoscimento ministeriale. Malgrado tanto

fervore, il succedersi delle ispezioni fu da

allora pressante, e il rischio di ricadere verso

il basso dopo l’iniziale colpo d’ala sarà non

di rado scongiurato col ricorso a funambolici

stratagemmi, riportati dai protagonisti con

candore quasi commovente. Allontanatosi

D’Ambrosi, vincitore di una cattedra di

contrappunto e fuga a Milano, la situazione

del Braga visse tra continue traversìe e oscil-

lazioni, che nel dopoguerra si fecero sempre

più gravose. Spostato a Piazza S. Anna, senza

il minimo aiuto da parte di istituzioni comu-

nali e provinciali che, gravate da problemi

di altro genere, sembravano aver perso la

facoltà di vedere nel Braga un bene più che

voluttuario, il Liceo musicale sopravviveva in

locali fatiscenti, stipendi in arretrato, e con

l’aggravante di una classe di arpa nata solo

sulla carta per consentire il numero minimo

di cattedre. La visita ispettiva di Petrassi

nel 1945 ebbe esiti disastrosi: «Qui è tutto

da sbancare», pare abbia sentenziato. Se

il Braga non giunse alla chiusura fu solo

grazie all’intervento dell’allora presidente

Ugo Giammiro, che rischiò personalmente

la denuncia del Provveditore tornando ad

occupare i locali in Piazza Verdi, ottenendo

in seguito a ripetute interpellanze la ricon-

cessione del pareggiamento. Ciò permise

l’avvio di una nuova rifioritura dell’istituto,

ricca di nomi che hanno costituito il meglio

dello scenario musicale cittadino degli anni

Cinquanta e Sessanta: Livia Varriale Longo,

eccellente violinista napoletana, Vittoriano

Della Cananea, tra i massimi violoncellisti

italiani del secolo, e ancora Alberto Collavoli,

Francesco Mander, Emma Raggi. Figure d’ec-

cezione in più sensi, chiamate a mettere al

servizio della collettività teramana la propria

n.86

arte in condizioni che talvolta sfiorarono il

missionarismo umanitario. Franco Rampini

ricorderà con una certa costernazione il suo

primo stipendio, di molto inferiore a quello

di uno spazzino. E sarà ancora Valentini a

riferire di quando, negli anni dell’immediato

dopoguerra, un Letterio Ciriaco gli doman-

dava francamente chi glielo facesse fare a

insegnare in classi di settanta allievi con uno

stipendio talmente misero. Rampini finirà

col dimettersi da direttore. E per gli altri

saranno lotte, scioperi a oltranza, conquiste

e benefici che giungeranno poco alla volta, a

piccole dosi.

Va perciò detto: il Braga è stato dal principio

a oggi un desiderio mai del tutto coronato,

un’ambizione dalle potenzialità smisurate

mai andata oltre obiettivi di medio livello e

di modesta gittata. Eppure proprio da esso

è nato tutto il meglio che la città di Teramo

abbia espresso in questo campo, dalla

Corale Verdi alla Società Riccitelli. Ripensare

all’andirivieni di artisti di primissimo piano

che costella la sua storia, le molte vite indivi-

duali e istituzionali che esso ha avuto, credo

valga molto in un momento come questo,

nel quale l’araba fenice sembra rischiare

ancora una volta di tornare cenere. Michele

Campanella, a conclusione di un suo recente

concerto, ha richiamato l’intera cittadinanza

a non permettere che un simile gioiello,

risorsa tra le più degne di tutela tra quante

oggi la comunità cittadina possa vantare,

nata e rinata grazie all’impegno alla passione

e ai sacrifici di tante nobili figure, possa

essere abbandonata e soccombere. Alle mol-

te vite del Braga, e a quelle future, ho voluto

dedicare queste righe. n

Dante D’Ambrosi alla testa dell’Orchestra Filarmonica Teramana (1961)

Terzo da sinistra: Dante D’Ambrosi e a seguire Vittorio Emanuele e Carino Gambacorta;terzo da destra, in seconda fila: Vittoriano della Cananea

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Il pontefice che verosimilmente non sarebbe passato alla storia per

speciali doti di governo, vi passerà senz’altro e meritatamente per il

modo con cui ha voluto chiudere il suo mandato: le dimissioni. Non

possono non tornare alla mente le parole di Caifa sulla sorte del

Cristo che secondo Giovanni, pur a sua insaputa, si rivelarono profetiche

perché egli era il “sommo sacerdote di quell’anno” (11,51).. Allo stesso

modo la decisione papale potrebbe equivalere a un pronunciamento

profetico sul futuro della chiesa, che potrebbe passare da un regime

totalitario a uno più democratico, ossia veramente evangelico, poiché

il “primato petrino” è sì presente in Matteo

e subordinatamene in Luca e Giovanni, ma

non sembra uscito dalla mente di Cristo che

ha consegnato la sua parola a tutti i suoi

ascoltatori ai quali ha chiesto di ritrovarsi tra

di loro “fratelli” e di non sentirsi subalterni

a nessuno (cfr. Mc 10,41 – 45 e paralleli)

neanche a Dio per il quale gli uomini sono

solo figli.

Papa Ratzinger anche se proveniva da un

paese di ben note tradizioni militaristiche,

non sembrava rivelarsi un comandante; non

ne aveva I’animo, le attitudini, la voglia. Le

sue passioni erano lo studio, la musica, l’arte;

si può aggiungere era un teologo nato e tale

si era subito rivelato, soprattutto attento ai pensatori delle origini, i padri

(sant’Agostino) o del medioevo (san Tommaso, san Bonaventura) più

che dei nostri giorni, anche di quelli presenti al concilio. Ad ogni modo

era quella la sua vocazione, quello che avrebbe dovuto continuare a

fare, ma sembra che si sia lascito prendere da quel pizzico di vanità che

non è assente in nessuno, neanche in un ecclesiastico che il più delle

volte si trova a condannarla e si è ritrovato in un ingranaggio che finirà

per travolgerlo, passando da una promozione all’altra. Prima vescovo,

poi prefetto della più importante congregazione vaticana, quindi papa,

sempre continuando a fare lo studioso cosi non si è ritrovato un superte-

ologo né uno straordinario amministratore.

A Monaco mi dicevano, quando ero lassù a fare il parroco estivo, non

aveva accontentato i giovani troppo progressisti, né gli anziani troppo

tradizionalisti, anche se era per tutti una persona affidabile, mite, buona.

Venuto, ossia chiamato a Roma alI’ex sant’Uffizio, si era venuto a trovare

a fianco un segretario tuttofare che gli aveva consentito di potere

attendere ai suoi studi senza forse pienamente seguire di persona tutti i

problemi del dicastero e rendersi conto delle “piaghe” della chiesa. E per

sua sfortuna se lo porterà con se quando si sposta più in là nei palazzi

vaticani. Ma qui si è trovato costretto. ad aprire gli occhi e a rendersi

conto della situazione in cui si era cacciato.

A rigore avrebbe potuto rimettere le cose a posto, provarsi a rivedere il

“sistema”, a ”riformarlo”, procedere a un “extra omnes” categorico e irre-

vocabile, ma non l’ha fatto, ha preferito tenersi fuori, farsi da parte. In altre

parole “fuggire”. E’ in questo senso che si può parlare di “gran rifiuto” se

non di”viltade”. Sansone aveva preferito ritrovarsi sotto le macerie del

tempio di Dagon con i filistei, per non cedere alle loro pressioni e Gesù

pur con la prospettiva di finite sulla croce non aveva desistito dal predi-

care contro il luogo sacro e le istituzioni del suo paese. Anche Ratzinger

teoricamente avrebbe potuto provarsi a rovesciare l’apparato, a scon-

volgerne l’impalcatura ma ci voleva un altro uomo, un’altra personalità,

un’altra tempra, un’altra età. Le dicerie giornalistiche a commento della

sua elezione e delle sue prime comparse in pubblico parlarono di “pasto-

re tedesco”, ma egli era solo un idealista hegeliano più idoneo a risolvere

le tesi e antitesi kantiane che le beghe o le guerriglie della curia romana. E

l’eroismo lo si può sempre consigliare, proporre ma non imporre.

Certo, la sua retrocessione per quanto spontanea è sempre una prova di

grande umiltà e coraggio anche se compensati dagli eventuali benefici

personali che ne possono conseguire, la possibilità di ritrovare spazio

per se stesso, i propri hobby, l’attenzione ai problemi della mente e

del cuore, la serenità interiore, riverito e

servito egualmente dai vicini e dai lontani. La

rinuncia non è un semplice gesto di cronaca;

è un evento e non della piccola bensì della

grande storia. I devoti l‘hanno appresa con

rammarico e ancora piangono, mentre i

potenti cioè gli elettori del futuro papa hanno

cominciato a fare i loro giochi o calcoli ma

la collettività credente, i benpensanti non

hanno che da rallegrarsi. “Gaudet mater

ecclesia” proclamava papa Giovanni alI‘aper-

tura del Vaticano II; è lo stesso grido che in

questi giorni dovrebbe provarsi a ripetere la

cattolicità, non perché ci si debba rallegrare

degli insuccessi di qualcuno, che poi tali non

sono, ma perche si è aperta una breccia nelle mura leonine che presto o

tardi andrà a mettere a soqquadro tutta la cittadella. Non solo la durata

del governo papale potrà in futuro diventare ad tempus, ma anche la ele-

zione potrebbe essere allargata a una più larga cerchia di partecipanti, se

non a tutti i vescovi almeno ai presidenti delle conferenze episcopali, ai

superiori maggiori degli istituti maschili e femminili, compreso un certo

numero di laici. Il medioevo era caratterizzato da preclusioni e chiusure

ma l’era moderna ha scoperto per tutti lo stesso piano di dignità e diritti.

Per quanti demeriti papa Benedetto possa avere accumulato, in realtà

sono molti e gravi: certe ambiguità nel corso del concilio, l’ostruzionismo

ai documenti qui emanati sottoposti a una arbitraria interpretazione au-

tentica, il boicottaggio ai teologi e alla teologia della liberazione, il rifiuto

al rinnovamento della dottrina cattolica nel far redigere il suo “Nuovo

catechismo” e della cristologia con la “Dichiarazione Dominus Jesus” e

i tre volumi su “Gesù di Nazaret”, infine la disattenzione o chiusura ai pro-

Sorpresa Ratzinger6n.86

Le dimissioni di Benedetto XVI

diOrtensio da Spinetoli [email protected]

Scelta strategica o profetica?

Page 7: Teramani n. 86

motori del rinnovamento conciliare e riguardi

immotivati ai levrebvriani, ma questa inattesa

ma provvidenziale conclusione data al ponti-

ficato, se non vale a cancellarli li rende meno

sgradevoli, almeno più sopportabili. La “barca

di Pietro” è diventata troppo grande ma la

scelta di papa Ratzinger ha provato a riportarla

verso le dimensioni umili e semplici volute dal

suo fondatore. Ormai tutti aspettano che que-

sta sua ultima “lezione” veramente magistrale,

ben diversa da quelle di Ratisbona o di Parigi,

pur per altro verso celebri, sia capita e attuata

dai suoi successori e dai loro gregari. n

Ortensio da SpinetoliBiografiaClasse 1925, è sacerdote cappuccino dal

1949. Dopo il corso seminaristico inizia la

sua specializzazione biblica nell’università di

Friburgo, continua in quella di Innsbruck (al

tempo dei fratelli Rahner) prima di passare

al Pontificio Istituto Biblico di Roma dove

tra gli esimi professori spiccano A. Bea w

M. Zerwick, esponenti I‘uno della tradizio-

ne, I‘altro del rinnovamento. Il semestre

a Gerusalemme, presso lo Studio Biblico

Francescano, onorato dal grande B. Bagatti,

conclude la sua formazione scolastica e

apre la fase dell’insegnamento biblico nello

Studentato Teologico di Loreto (1954) che si

estende al Seminario vescovile di Macerata

e più tardi a Roma (Antonianum, Facoltà te-

ologica valdese, PIME). Vissuto in un periodo

di transizione, si è trovato impegnato per il

rinnovamento esegetico, sia nella scuola che

nella chiesa, con la parola e con gli scritti.

Il primo testo “Maria nella Bibbia” (1963 IV

ediz. 1988) contribuì all’ aggiornamento di

mariologia in Italia e all’estero, ma gli causò il

primo richiamo del Sant ‘Uffizio (1964).

Il Concilio Vaticano II favorì inattese aperture

per la ricerca, così anche Ortensio potè

pubblicare i suoi primi saggi: “Introduzione

ai Vangeli dell’infanzia” (1967) che provocò

all‘interno della chiesa reazioni contrastan-

ti, “Bibbia parola umana e divina” (‘1968),

quindi “Il vangelo del primato “, Brescia

(l9669), “Matteo. Commento al vangelo della

chiesa) Assisi, Cittadella (1970), oggi alla 6ª

edizione e tradotto in ungherese; ‘Lettere

ai tessalonicesi” nella collana Nuovissima,

versione della Bibbia a cura delle edizioni

Paoline, 1971.

Il nuovo clima scaturito dal Concilio consentì

una maggiore libertà di movimento ai ricerca-

tori che si trovarono così a godere di maggio-

re visibiltà e considerazione. Forse anche per

questo Ortensio, nel 1967, fu eletto Superiore

provinciale dei cappuccini delle Marche e

invitato a tenere lezioni di spiritualità biblica

al Pontificio Ateneo Antonianum di Roma.

Il tema scelto e approvato fu “Gesù Cristo,

il suo itinerario spirituale“. Il testo sarà pub-

blicato dalla Cittadella di Assisi in tre v6lumi

(1971-1974). Era una novità già segnalata

in un convegno del ‘69 che ora è ripresa più

tecnicamente. Che Gesù avesse proposto un

ideale di vita era ovvio, m che prima l’avesse

dovuto percorrere, e con fatica, lui stesso,

non sembrava essere ancora essere stato

affermato chiaramente da alcuno. L‘indagine

sull‘identità di Gesù continuerà nei brevi testi

di esegesi pubblicati su riviste secondarie

fino alla tentata reinterpretazione degli

articoli cristologici del “Credo” in “Bibbia e

Catechismo” (pp. 87-182).

L‘aria nuova del Concilio andò presto

diradandosi fino a sembrare scomparsa del

tutto dando avvio ad un periodo difficile per

i ricercatori. Anche Ortensio si è trovato a

dover subire “un regolare processo” presso

la Congregazione della fede (1974). Non è

condannato ma deve egualmente subire

le sanzioni d’ufficio: rimozione dall’inse-

gnamento e restrizione dei suoi interventi

pubblici. Inizia così un trentennio di silen-

ziosa emarginazione, che non sarà tuttavia

di stasi ma di lavoro sempre più intenso e

fecondo. Cerca di crearsi un piccolo spazio

di libertà (v. “La conversione della chiesa”

1975) e può continuare a frequentare la

biblioteca del Biblico. L’accesso a questo

eccezionale santuario di cultura gli permette

di approfondire i suoi studi e di tenersi a

contatto con gli specialisti che vi si incontra-

vano e con i progressi che la scienza biblica

va registrando. In questo periodo sviluppa

diversi scritti: ‘Luca. Il Vangelo dei poveri “,

Assisi, Cittadella, 1982c (oggi alla 4ª edizione

e anch‘esso tradotto in lingua ungherese);

“Chiesa delle origini chiesa del futuro”,

Roma, Borla 1986; ‘La tua parola lampada

ai miei passi. Sussidi per l ‘omelia festiva “,

anno A, B, C, Roma, Dehoniane, l989-, 1991; “I

consigli evangelici. Proposta e interpretazio-

ne “, Roma, Dehoniane, 1990; “La prepotenza

delle religioni “, Roma, Datanews, 1994; “Il

vangelo del Natale. Annuncio delle comunità

cristiane delle origini” - Roma, Borla, 1996;

“Francesco: l’utopia che si fa storia “, Assisi,

Cittadella, 1999; ‘Bibbia e catechismo. Il

credo, i sacramenti, i comandamenti “,

Brescia,Paideia, 1999;

“La verità incerta “, Molfetta, La ‘ Meridiana,

2003; “I cappuccini marchigiani in Etiopia“,

Recanati, 2004. La Famiglia di Gesù?! La Me-

ridiana, 2007; Bibbia parola d’uomo, ibidem

2009; Io credo-Dire la fede adulta, 2012 La

Meridiana.

Gesù di NazaretLa Meridiana, 2005

La figura di Gesù che viene presentata in

questo nuovo saggio potrebbe sembrare

avventata, tanto appare diversa da quella di

cui si è soliti sentir parlare in chiesa o nelle

scuole di teologia: di fatto è il risultato di studi

ed approfondimenti che si sono protratti per

alcuni decenni con lealtà e coerenza da parte

di un autore che, rimanendo fedele ai principi

della ricerca, non rinuncia a sviluppare possibi-

li intuizioni innovative.

Sullo sconosciuto GesùDato che non è ancora obbligatorio farlo, non

comprerò il recentissimo volume del Papa su

Gesù Cristo, gironzolando per le librerie, vedo

che si vende un sacco. E allora vorrei consi-

gliare un altro libro sullo stesso tema, un libro

che guarda all’argomento da una angolazione

decisamente differente. Eppure l’autore è un

cattolico, frate cappuccino dal 1949 e studioso

della Bibbia, un frate aperto al mondo e

lontano mille miglia dalle chiusure vaticane.

Così presenta Gesù in copertina: “...un concit-

tadino che ha provato a schierarsi dalla parte

delle frange più indifese della popolazione: In

lui trovarono finalmente fiducia quanti non

avevano potuto mai averla: . gli ultimi i poveri,

i peccatori, gli ammalati, gli esclusi, persino

i pubblicani, e le stesse meretricì”. Questo

Gesù di Nazaret (254 pagine, 15.50 euro,

edito dalla Meridiana di Molfetta www.larneri-

diana.it) affronta con originale audacia colma

di roventi dubbi temi come la famiglia di Gesù,

il suo rapporto con le donne, là sua umanità,

le sue esitazioni, la sua radicale contestazione

del potere, la sua sconfitta, il suo passare a

tutti noi il testimone della lotta contro le ingiu-

stizie. Lo dico da protestante valdese: uno dei

più bei testi su Gesù che io conosca.

Pubblicato da Luciano Comida sul

proprio blog Internet in data 23.04.07

7n.86

Page 8: Teramani n. 86

Chi non ha esultato nel sentire il nome del nuovo pontefice?

Non ce ne poteva essere un altro più gradito, beneaugurante,

profetico. Già da solo è un ampio, insolito programma. France-

sco è figlio di una città umbra ma non appartiene tanto ad essa

quanto a tutto il mondo. Infatti ovunque egli è conosciuto, amato,

venerato. La sua memoria si è trasmessa nel tempo come un canto di

benedizione e di grazia.

Padre Giorgio Maria Bergoglio appartiene ad una famiglia religiosa

voluta da un ex ufficiale del più formidabile esercito del ‘500, per

questo ha pensato ad una “compagnia” di militi a servizio della fede

cattolica, minacciata da secessionisti del nord Europa, ma egli è nato

e vissuto in un paese lontano della vecchia Europa dove la rigidità

ignaziana era andata coniugandosi con lo spirito di libertà che regnava

nel nuovo mondo che aveva contagiato anche i missionari, compresi

i gesuiti, come risulta dall’adesione data nel ‘600 alle “reductiones”

(convivenze autonome di indigeni e missionari che non si trovavano

sempre in sintonia con la logica dei conquistadores fino ad essere da

loro massacrati) ed è attestato ai nostri giorni dalla resistenza che i

gesuiti del Salvador opposero fino al martirio, ai tiranni che spadroneg-

giavano nel paese, sempre dello stesso continente latino-americano di

cui l’Argentina è tra le prime nazioni.

La scelta del nome Francesco può avere sorpreso quelli che non

conoscevano l’Arcivescovo di Buenos Aires del quale ormai, tramite le

svariate trasmissioni radio televisive, tutti conoscono tutto su di lui; il

suo sobrio, povero tenore di vita, la sua fuga dal grande episcopio, per

collocarsi in un modesto appartamento, male arredato (arrivando dei

parenti dal Piemonte dovette andare a prendere le sedie in prestito),

privo di inservienti o di ufficiali di curia (risponde al telefono personal-

mente) Si metteva in movimento con i mezzi pubblici o con la bicicletta

e ora che deve prendere l’auto la guida da sé. Ma quel che più conta

è che cercava sempre di tenersi in contatto con chiunque ha bisogno

del suo aiuto e si ritrovava di preferenza nei quartieri più abbandonati

o “malfamati” presenti in tutte le metropoli, riuscendo a dialogare con

chiunque e a dare una mano a chi glielo chiedeva, senza eccezioni.

Ed è per queste varie ragioni che egli, già a suo modo sulla strada del

santo di Assisi, si affretta a prenderne il nome da papa.

Quando il giovane figlio di Pietro di Bernadone si sentì spinto a

prendere un altro itinerario non andò a nascondersi in una grotta né

a chiudersi in uno dei conventi della regione ma risolse di “uscire dal

mondo” come afferma nel suo testamento che equivaleva alla città di

Assisi, raccolta attorno, raccolta intorno al municipio e al vescovado,

occupata dai signori, dai nobili, dai ricchi mercanti, quali anch’egli

apparteneva. In una parola i maiores, per portarsi fuori le mura dove si

trovavano i nullatenenti, gli indifesi, gli emarginati, i braccianti, i poveri,

i mendicanti, i briganti, i lebbrosi; in altri termini i minores. Egli e i suoi

seguaci non vanno per accrescere il loro numero ma per condividere le

loro privazioni, umiliazioni, sofferenze morali e materiali, accollandosi le

loro fatiche, lavorando, pregando e cantando con loro, per essere come

loro e per loro. La comunità di Francesco passa da una contrada e da

una città all’altra non seminando panico al pari dei flagellanti, con gli

emblemi, teschi di morti in mano ma con pseudo strumenti musicali e

invitando tutti alla letizia e alla pace.

Il carisma di Francesco è molto più ampio e profondo: oltre la preferen-

za per i poveri, i malati, i lebbrosi, compare il ritorno al vangelo chiesto

a tutti e tacitamente anche alla gerarchia, il richiamo alla gioia, all’otti-

mismo, alla pace, al dialogo interreligioso, al rispetto e all’affetto fem-

minile (v. l’amicizia con la sorella Chiara, Jacopa dei Settesoli, le Povere

Dame di san Damiano) ma può rientrare egualmente nel programma di

un pontefice, anzi più che agli altri perché si pensa che è o deve essere

il primo testimone di Cristo di cui Francesco è l’altra immagine.

La Chiesa Cattolica8n.86

Benvenuto Papa Francesco

diOrtensio da Spinetoli [email protected]

Segue a pag. 9

Page 9: Teramani n. 86

Nella notte delle stelle a Los Angeles, il 25 febbraio, tra un premio

Oscar e l’altro, George Clooney nella sezione “In memoriam”

ha scandito, per la miriade di star presenti, due nomi di italiani

da esportazione che nel corso del 2012 ci hanno lasciati e che

già ci mancano tanto: il poeta e sceneggiatore Tonino Guerra (sulle cui

spalle da gigante mi sono spesso inerpicato per allargare i miei oriz-

zonti) e il papà di E.T. Carlo Rambaldi. In loro onore Barbra Streisand,

tornata sul palcoscenico di Hollywood dopo 36 anni dalla sua prima (e

unica) apparizione, ha cantato “The way we were”.

Hollywood aveva incoronato Tonino nel febbraio di due anni fa: allora la

Writers Guild of America, associazione che rappresenta gli sceneggia-

tori di televisione e cinema della capitale mondiale del cinema, aveva

conferito il prestigioso premio Jean Renoir per la carriera proprio a

Tonino, “uno dei più grandi sceneggiatori dei nostri tempi e leggendario

scrittore internazionale”, era scritto nella motivazione letta da Howard

A. Rodman, “che da sei decenni ha migliorato la letteratura delle imma-

gini animate”.

Allora rimase in Italia il 90enne regista preferito di Federico Fellini (con

lui aveva vinto l’Oscar del 1975 con Amarcord), Michelangelo Antonioni,

Vittorio De Sica, Mario Monicelli, i fratelli Taviani, Francesco Rosi, Andrei

9Sulle spalle dei gigantin.86

Tarkovskij, Wim Wenders e Theo Anghelopoulos (con il quale nel 1998

vinse la Palma d’oro al Festival di Cannes per il film L’eternità è un gior-

no). Rimase nella nativa Santarcangelo di Romagna dove proprio quel

giorno di festa lo intervistai pubblicamente in teatro. Nella sua veste

più variegata di poeta scrittore e artista, Tonino affrontò i temi a lui più

cari: la Romagna, l’amata Russia regalatagli dalla sposa Lora Krendlina,

i registi con i quali aveva lavorato per i suoi 120 film, i suoi rapporti con

la civiltà contadina e con le mani sapienti degli artigiani della Valmarec-

chia, valle già indicata dal direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci

come “la valle più bella d’Italia” ma resa ancora più magica dall’arte e

dalla poesia di Tonino.

Quando arrivammo a parlare del greco Anghelopoulos, Tonino anticipò

uno scenario come spesso capita a un poeta: “Prepariamoci a vivere

un tempo di povertà”. E aggiunse parole che oggi assumono una

profetica attualità: “Sono andato a trovare Theo in Grecia qualche

tempo fa. Tra i luoghi visitati, l’incontro più sconvolgente l’ho avuto a

Olimpia. Questo

enorme cimitero

di rotoli di pietra

che racchiudono

pensieri religiosi

antichissimi. Mi

sono avvicinato

allo stadio rettan-

golare dove sono

nate le Olimpiadi.

In questo mondo

di frantumi e

colonne sfasciate

e marmi caldi di sole e secoli pietrificati, una cosa mi ha stupito, l’unica

presenza intatta: “la riga di pietra” in cima al campo sportivo dove

scattavano gli atleti delle corse e di tutte le competizioni. Ho avvicinato

questo segno con timidezza e con lo stupore di trovarmi davanti a un

qualcosa ancora pronto a servire. Ma dov’erano gli atleti per la corsa?

Ero solo e toccava a me raccogliere questo segnale. Ormai tutte le mie

corse le faccio con l’immaginazione. Quella linea si è subito fissata

nella mia memoria”.

Quella riga di pietra di Olimpia è segnata nella mia mente come una

presenza forte perché mi piace pensare che solo da quella linea possa

scattare idealmente la corsa vincente della Grecia e dell’Italia contro la

povertà ingiusta. n

HollywoodricordaTonino Guerra

dal Blog diSalvatoreGiannella

E a me viene in mente quella “riga di pietra” di Olimpia da dove partirà la corsa di Grecia e Italia contro la povertà ingiusta

Conclusione. I segni che il nuovo pontefice si

è premurato di dare sono reali e promettenti.

Nella prima apparizione dalla loggia di san

Pietro si è mostrato privo dei vecchi distintivi

del potere sacro: non si è attribuito nessun

titolo tradizionale (papa, pontefice, ecc.) si è

chiamato e ha chiamato il suo predecessore

che dietro il consiglio di una commissione a

ciò convocata si era definito “papa emerito”,

semplicemente “vescovo di Roma” che nel

lontano passato non aveva goduto di alcun

primato, tanto meno infallibile, le era riserva-

to solo un intervento in questioni piuttosto

pratiche e più rilevanti (causae maiores) poi-

ché il supremo organo della chiesa era l’as-

semblea plenaria dei pastori di tutto l’orbe, il

concilio ecumenico. Il giorno dopo l’elezione,

nella concelebrazione con i cardinali elettori,

prima di cominciare, aveva fatto rigirare l’al-

tare verso il popolo, lo stesso al quale, la sera

avanti si era inchinato riconoscendolo più

suo interlocutore che subalterno e perché

ritenuto ugualmente depositario dello spirito

di Dio, aveva voluto essere onorato della sua

benedizione. I segni del rinnovamento, ovve-

ro cambiamento, sono chiari e promettenti;

non sarà facile metterli tutti e subito in atto,

ma molti, i più, sono convinti che ce la potrà

fare o che almeno ci proverà. E noi vogliamo

essere tra questi non illusi ma credenti. n

Page 10: Teramani n. 86

Nel 1975, da un’idea di Elena Croce,

figlia dell’illustre Benedetto, e grazie

all’unione di alcune personalità di

rilievo, nel campo della cultura e

dell’impresa, come Giulia Maria Crespi

e Franco Russoli, direttore della Galleria

Nazionale di Brera e fondatore della

parte italiana dell’International Council of

Museums, nasce il Fondo per l’Ambiente

Italiano. Prendendo a modello il National

Trust for Places of Historic Interest or Na-

tural Beauty, fondato nel 1895 in Gran Bre-

tagna, la fondazione senza scopo di lucro,

s’inserisce nel dibattito italiano sulla tutela

e la valorizzazione del patrimonio artistico

e paesaggistico, proponendo un punto

di vista straordinario per la cultura della

tutela in Italia: il coinvolgimento attivo dei

privati nelle politiche di restauro, conserva-

zione e apertura alla fruizione pubblica dei

beni culturali e ambientali. Negli anni di un

dibattito fervente e, in alcuni casi, feroce,

circa l’ingresso dei privati nella gestione

dei beni pubblici d’interesse storico e nei

musei, il FAI riceve donazioni significative

di immobili d’arte e aree naturalistiche,

provvedendo alle operazioni di restauro e aprendoli al pubblico. Migliaia

di volontari mettono in campo eventi di vario genere, puntando alla sen-

sibilizzazione al patrimonio e all’ambiente attraverso il diletto, il piacere

che un cittadino può trarne.

Incontriamo Franca Di Carlo, capo delegazione FAI di Teramo e fondatri-

ce della sezione.

Franca, quando è nata la delegazione Fai di Teramo e qual è l’attività della quale si sente più orgogliosa fino ad oggi?La delegazione teramana nasce nel 2003 su mia iniziativa, interessata

dallo spirito e dal valore culturale del FAI nazionale. Certamente, mi ha

spinto anche l’urgenza di fare qualcosa di concreto per il nostro terri-

torio, così ricco di testimonianze troppo spesso trascurate. Per quanto

riguarda l’attività alla quale mi sento più legata, questa è sicuramente

quella del “Salotto FAI”, nata nel 2011 con la collaborazione della giorna-

lista Laura De Berardinis e partita con due grandi appuntamenti: il primo

con il maestro Francesco Antonioni, compositore di fama internaziona-

le, e il secondo con il prof. Sabatini, presidente onorario dell’Accademia

della Crusca. Quest’anno, l’edizione è iniziata con l’esibizione di Paolo

Belli che ha presentato il libro sulla sua carriera, e il 14 marzo, con una

lezione tenuta del rettore dell’Università di Teramo Luciano D’Amico.

Anche per il 2013, il 22, 23 e 24 marzo, il FAI rinnova l’impegno per la “Giornata di Primavera” e Teramo sceglie per l’occasio-ne Tossicia e il suo territorio. Come mai questa scelta e cos’é in programma?La scelta di Tossicia è motivata dal bisogno delle nostre aree montane

di essere sempre più valorizzate e portate alla conoscenza di un vasto

pubblico. Inoltre, il borgo ha subito i danni del terremoto aquilano del

2009, che ha prodotto una ferita ancora

aperta e visibile sui monumenti e le case.

Un luogo ricco di storia e di opere d’arte

straordinarie che ha urgente necessità

di essere messo all’attenzione di quanti,

anche privati, possano contribuire al suo

recupero. Venerdì 23, s’inaugurano gli

eventi FAI con la partecipazione del coro

“Aprutium cantat”, presso la Comunità

Montana. Nelle giornate di sabato 23 e do-

menica 24 marzo, la cittadina aprirà i suoi

beni, anche quelli oggi messi in sicurezza

dopo la catastrofica scossa del 6 aprile,

che potranno essere visitabili in gruppo e

con elmetto protettivo. Mi riferisco soprat-

tutto alla chiesa madre di Santa Sinforosa,

con i suoi portali quattrocenteschi e il suo

interno barocco, al Palazzo Marchesale

con il museo delle Genti del Gran Sasso,

e alla chiesa di Sant’Antonio Abate col

prezioso e grande portale del 1471 di scuo-

la lombarda, al cui interno saranno visibile

opere provenienti da Santa Sinforosa

come la “Madonna sdraiata”. Inoltre, negli

stessi giorni, anche il territorio comunale

sarà coinvolto nelle frazioni di Azzinano,

Aquilano e Chiarino con le sue botteghe di

ramai. Le visite guidate saranno tenute dagli “Apprendisti Ciceroni” della

scuola di Primo Grado “Capriotti”.

Da alcuni mesi la delegazione sta lavorando per formare il gruppo Giovani FAI, a che punto siamo?Il 14 marzo, alla presenza del rettore D’Amico, nella Sala San Carlo, è

stato presentato il gruppo formato da giovani provenienti da vari centri

della provincia e che aiuteranno la delegazione a estendere il raggio

d’azione e a coinvolgere le nuove generazioni nella missione del FAI. Il

gruppo, che si è attivato da poco, sta progettando momenti formativi

e iniziative culturali e di sostegno al recupero di alcuni piccoli tesori, e

sarà chiaramente attivo nella “Giornata di Primavera” a Tossicia. n

10 [email protected]

n.85

PrimaveraFAI

diSirio MariaPomanteTossicia

L’attività della delegazione teramana nell’intervista a Franca Di Carlo

Page 11: Teramani n. 86

Teramo – Corso Porta Romana n. 115 Info line: 800.134.918 - [email protected] – www.geco.abruzzo.it

Inviateci le vostre domande su problematiche condominiali, le vostre perplessità sul bilancio e dal prossimo numero del giornale, i nostri esperti pubblicheranno le risposte. Potete inviare le domande agli indirizzi di seguito riportati o presso la redazione del giornale

Page 12: Teramani n. 86

La cura da cavallo del commis-

sario Raimondo Micheli sta

giovando al Nucleo industriale

di Teramo. Se fino ad un anno

fa i debiti del consorzio ammonta-

vano a 900 mila euro ora si sono

ridotti fino a 200 mila e a fine anno

si pensa di arrivare al pareggio di

bilancio. Il segreto della personale

spending review dell’ex presidente

Team si è basato “su un percorso di

virtuosismo, eliminando le spese per

le consulenze esterne ed evitando le

costose direzioni generali, o tecnico

amministrative, che pesavano sul

bilancio, nominando invece al loro

posto sempre un interno che, con

un compenso limitato, ha già fatto

risparmiare diverse migliaia di euro”. Si sono ridotte altresì le consulen-

ze sulla contabilità (anche qui non si fa più ricorso alle professionalità

esterne) e si sono risolti i problemi delle utenze ora a carico dei locata-

ri. Anche le manutenzioni sono passate al vaglio della furia economiz-

zatrice di Micheli, che ha instaurato un regime di premialità, con rientri

pomeridiani e straordinari che hanno consentito economie, evitando il

continuo rivolgersi, come si faceva un tempo, a ditte esterne.

“La legge di riordino prevista dal consiglio regionale d’Abruzzo – dichia-

ra Raimondo Micheli nominato commissario del Consorzio industriale

nel maggio del 2012 - prevede che i sei consorzi esistenti in regione

si fondino per costituire l’Arap, quindi un unico soggetto. La nomina

da parte del presidente Chiodi dei sei commissari che hanno rilevano

i cda, ha sortito effetti positivi, cioè un gran bel risparmio di denaro

pubblico”.

Malgrado la furibonda crisi economica, il nucleo industriale di Teramo

non vive un brutto momento, se lo rapportiamo agli altri, “si può affer-

mare che dopo Vasto siamo i più virtuosi, e per questo ringrazio il per-

corso iniziato da Mario Pastore che mi ha preceduto in questo ruolo”.

Il nucleo industriale di Teramo si sviluppa su 5 ettari di cui solo uno e

mezzo è coperto. “La struttura si mantiene sulle aree che si vendo-

no – prosegue Micheli. Prima, dal 2000 fino al 2005, se ne vendevano

due o tre al mese: immaginate quindi di vendere 20-30 aree l’anno

con il prezzo medio unitario di circa 100 mila euro. Ora, purtroppo,

negli ultimi nove mesi ne abbiamo venduta appena. Abbiamo creato il

virtuosismo, ci siamo sentiti con gli operatori e con i nostri dipendenti,

e devo dire che tutti si sono dati da fare, hanno capito il momento.

Abbiamo fatto ricorso a tecnici interni che si sono assunti maggiori e

più importanti responsabilità facendo in modo il consorzio continui a

sopravvivere”.

Nel nucleo industriale insistono 247 aziende che operano e 70 lotti

disponibili che attualmente sono invenduti: “Anzi ci sono alcuni

imprenditori che premono per la retrocessione delle loro aree e

capannoni, noi li stiamo mettendo in contatto con altri che vorreb-

bero rilevarle. Abbiamo avuto il caso di un’azienda che è tornata a

chiedere di riconsegnarci il lotto. Noi l’abbiamo messa in contatto con

un’altra che vuole subentrare. Il

consorzio ha anche l’obbligo di fare

questo, di fare interagire le aziende

tra di loro”. Dopo la crisi molte di

queste avevano comprato l’area

senza poi realizzare il manufatto (il

capannone) perché non potevano

chiaramente affrontare una spesa

così importante. Uscire dal contratto

sarebbe stato troppo oneroso

per loro, allora il consorzio invece

di alimentare un contenzioso ha

trovato appunto la sua exit strategy,

mettendole in contatto con altri

imprenditori. “Ci siamo riusciti per

un paio di aziende” precisa Micheli.

“Comunque, ad onor del vero, c’è da

segnalare anche le diverse aziende

che vanno bene, che non hanno di

questi problemi, e sono segnata-

mente quelle afferenti al comparto agro-alimentare”.

“Abbiamo un problema per un capannone che verrà demolito – afferma

Micheli - perché non ci sono condizioni di sicurezza. È la tipica archi-

tettura degli anni ’70che si regge per compressione ma al contempo

le intemperie hanno minato la sua sicurezza strutturale: cercheremo di

preservare le parti sottostanti in cui i locali verranno riutilizzati”

Infine una curiosità: il nucleo industriale ha un suo piano neve, ine-

sistente fino all’avvento di Micheli: “Spesso capitava che i Tir, dopo

l’autostrada e la Teramo mare o la statale 80 si bloccassero davanti agli

ultimi 500 metri a causa della neve”. Così, senza così far ricorso a ditte

esterne, sono stati formati due autisti, che all’uopo guideranno i due

mezzi atti a sgombrare anche l’ultimo ostacolo. n

Spending review12n.86

La curada cavallo del commissario Micheli

diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com

In nemmeno un anno i debiti del consorzio industriale da lui diretto sono calati da 900.000 euro a 200.000

Page 13: Teramani n. 86

13Satira

diMimmoAttanasi [email protected]

N on è mia intenzione confondere e neanche chiarire le idee dei

lettori. Riporto notizie attuali e rilevanti già diffuse sul web e

dagli organi di stampa.

In un Paese come l’Italia, dove la libertà di stampa è definita

“quasi”, le erbacce nate dalla seminatura le trovi in una rivista che

ha il nome di una tazzina di caffè. Un

liquido scuro, fumante come la merda.

Oppure, nel giornalista radiofonico dal

nome simile a una squadra di calcio,

che la mattina legge i quotidiani alzan-

do la voce quando Adriano Celentano

scrive maiuscolo i sermoni sui giornali,

per poi acquattarsi come un cagnolino

se si parla dei padroni industriosi della

radio. Un microfono senza filo, ben

saldo in mani pronte all’occorrenza

a levarglielo dalla bocca. Spezzare

la penna per la rabbia di essere stati

presi per il culo come lettori, a repor-

ter sparacazzi di settimanali mentre

scoprono solo dopo lo scoop che per

società anonima (Sociedad Anónima),

in Costa Rica e in quasi tutti i Paesi del

mondo in cui si parla spagnolo, si intende quella che in italiano viene

comunemente denominata S.p.A. Deridere i giornalisti sulle presunte

“Sociedad Anónima”, scambiate per altro, e sulla loro insistenza per

appartenenza, sul fatto che nel nostro Paese basta una visura per

scoprire chi c’è dietro a una società per azioni sarebbe di cattivo

gusto (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/08/grillo-lespresso-

e-le-domande-aperte/524624/). Basta una metafora a svergognarli

tutti. Avete sentito mai, “The Untouchables reporters”, parlare delle

“scatole cinesi”, nel Mady in Italy?

Figure da cazzo, fango buttato a casaccio sul diritto di cronaca, rigo-

rosamente nascosti dietro il paravento del paraculismo. Cronisti che

scrivono a orecchio, di paradisi fiscali senza neanche buttare l’occhio

su come stanno le cose oggi e pure sulle liste OCSE. Con perizia, pe-

raltro deontologicamente dovuta se non imposta, avrebbero potuto

apprendere che il Costa Rica, già dal 2011, è iscritto nelle giurisdi-

zioni che hanno sostanzialmente implementato lo standard fiscale

concordato a livello internazionale. “Ma qui stiamo parlando di vicen-

de risalenti al 2009... ”, obietta “l’emissario” di un editore svizzero,

glissando oculatamente sul fatto che l’ecofeudo è un progetto ap-

poggiato dall’ex presidente della Repubblica del Costa Rica e Premio

n.86

Nobel per la Pace nel 1987, Óscar Rafael de Jesús Arias Sánchez.

Negli intenti c’era la volontà di costruire un ospedale e creare lavoro

nei villaggi del Paese centroamericano minacciato dalle devastazioni

delle multinazionali del turismo. Un presunto “Resort”, rigorosamen-

te di lusso per l’intellighenzia della sinistra all’italiana, si trasforma in

ecovillaggio per chi cerca uno spazio impossibile dentro luoghi utopi-

ci. Il possibile nella poetica e il tratto illusorio della creazione artistica

nascono dalla povertà, mai dalla vanagloria della ricchezza. Sarebbe

bastato ai “servi sciocchi” visitare il sito www.ecofeudo.com per

capire che si trattava semplicemente di straordinarie immaginazioni

di mondi migliori. La realtà invece è una ulteriore cazzata messa

a puntino da media che prendono milioni di euro di finanziamenti

pubblici. (http://www.oecd.org/tax/harmfultaxpractices/43606256.

pdf). Estenuante pathos veicolato nella consapevolezza di rappresen-

tare un appello alle emozioni del cittadino. Abilità nelle tecniche di

comunicazione e nella retorica, dove pathos è considerato uno dei

tre modi di persuasione, accanto a ethos e logos. Nella narrazione,

nella evocazione, in tutte le forme di

suggestione. Nella digestione, man-

dare giù nel giro di qualche mese due

condanne all’ex premier Berlusconi,

come quattro anni di reclusione nel

processo Mediaset, per frode fiscale

(http://www.repubblica.it/politi-

ca/2012/10/26/news/mediaset_ber-

lusconi_condannato-45374682/) e un

anno per il processo Unipol (http://

www.corriere.it/politica/13_mar-

zo_07/reazioni-condanna-berlusconi-

unipol_1fc1812e-871d-11e2-82ae-

71d5d7252090.shtml) non basta

un Maalox, se dopo te lo ritrovi a

marcare visita (http://blog.libero.it/

xavier1962/11969659.html) come un

soldatino con i sigari bagnati sotto le

ascelle nella speranza di qualche decimo di febbre e affrancarsi dalla

Boccassini. E poi invece, sai qual è il problema che turba le coscienze

degli analisti della politica? Un visionario sognatore che guarda l’o-

rizzonte sulla riva a piedi nudi, dopo avere chiuso la bottega di venti

metri quadrati rigonfia di prodotti equosolidali.

“Essere felici significa essere consci di sé senza terrore”.

(Walter Benjamin) n

Consci di sé senza terrore

Page 14: Teramani n. 86

L’intervista14n.86

AlessiaDe Paulis

diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com

I l consigliere comunale Pdl, Alessia De Paulis, dal 2009 è membro

dell’Ufficio di presidenza dell’Anci: ha la delega alle Pari opportunità e

da un anno anche quella al randagismo. Nel suo ruolo spinge anche

perché la causa dell’Istituto musicale Braga, di cui è consigliera, si

risolva al meglio, chiedendo la statizzazione.

Consigliere, cominciamo proprio dal Braga. Cosa propone per l’istituto di Piazza Verdi?“Nel mio duplice ruolo di membro dell’Ufficio di presidenza Anci e di

consigliere al Braga, spingo perché si continui ad insistere per il riordino

degli istituti musicali pareggiati che in Italia sono 19 e finanziati da enti

pubblici che soffrono tutti la stessa cattiva situazione economica. Inoltre

perseguiamo la via della statizzazione: l’abbiamo chiesto a Monti, Berlu-

sconi e Bersani”.

Frattanto le casse sono vuote.“A causa dei fortissimi tagli della Spending review anche il Braga è

in difficoltà: stiamo aspettando un finanziamento straordinario dalla

Regione Abruzzo che sta per essere approvato in giunta, ma anche con

quest’entrata riusciremo a chiudere solo il bilancio scorso, mentre per

il futuro ci sono grandi incertezze. Noi come Anci ci siamo fatti carico

della situazione ma non si riesce ad organizzare un incontro tra Governo,

Regione, Upi, Anci e Province. Chiediamo la statalizzazione, un processo

già iniziato. Il Braga è un istituto storico, una volta chiuso ci creerebbe

una dispersione di energia e cultura, con il problema di docenti e per-

sonale Ata senza più lavoro. Purtroppo lo stallo attuale del governo non

promette nulla di buono”.

Sul versante pari opportunità cosa bolle in pentola?“L’attività dell’Anci sulle pari opportunità è multiforme. Quando sono entra-

ta a collaborare dapprima ho avuto la carica di presidente di commissione

occupandomi di rappresentanza di genere, tanto che nel 2010 avanzai

una proposta che ebbe un certo risalto nazionale che chiedeva un patto

ai sindaci perché si disponesse un terzo delle donne in giunta. Abbiamo

smosso le coscienze tant’è che nel 2012 è stata approvata la legge sulla

rappresentanza di genere che prevede una modifica obbligatoria dello

statuto dei Comuni, con il 30 % di donne in più negli organi direttivi, in

giunta e nelle liste obbligatorie. Inoltre va a prevedere la doppia preferenza

di genere. Il vero problema è che le donne che fanno politica non trovano

più il tempo perché non ci sono i servizi che la supportano e anche perché

la nostra cultura è molto legata alla famiglia. Del resto la donna è multita-

sking: fa la mamma, la figlia nei casi dei genitori anziani, la moglie nel caso

di un matrimonio e la lavoratrice perché oggi uno stipendio non basta più”.

Quale allora il rimedio?“La soluzione potrebbe essere un welfare del tutto al femminile. Si parla

tanto di conciliazione dei tempi, invece di fare una normativa che preve-

de un asilo nelle grandi aziende, perché non creare una riforma sul piano

nazionale di genere, cioè creare una legislazione totalmente di genere,

anche perché oggi le pari opportunità hanno a che fare col sociale, col

lavoro e con tante altre deleghe, un tutt’un po’ che crea confusione. Così

ad esempio le risoluzioni adottate in Regione Abruzzo (voucher e benefit)

si metteranno tutte dentro una sola scatola dove la donna può attingere

al meglio per la sua utilità quotidiana”.

Gli uomini, i soliti privilegiati!“Il pacchetto dei voti è in mano agli uomini che per tradizione hanno più

tempo per stare in mezzo alla gente: allora forniamo più tempo alle donne.

Gli esempi sono tanti: dall’albo per badanti dove si può attingere per un

genitore malato a quello per babysitter. È stato chiesto un intervento per

fondi che sono ripartiti, ma il problema è politico perché capita spesso che

un Comune sia di un colore politico e la Regione di un altro, oppure non

c’è collegamento. Io ho chiesto perché questi fondi si mettano a bando

così le amministrazioni comunali potranno partecipare, ottenendo che

l’Anci si comporti come garante fornendo una sorta di lasciapassare per i

progetti che l’Abruzzo presenta. Purtroppo sul territorio l’Anci non è così

sentita soprattutto dai comuni più piccoli che oltretutto non possiedono

le giuste competenze. Per questo motivo io punto sulle Anci regionali. Un

buon amministratore è bravo quando trova i fondi, devi avere caparbietà

per scovarli e l’Anci è lo strumento adatto che dà informazioni”.

Infine il randagismo. Che fare per limitare il fenomeno?“Personalmente sono rimasta molto soddisfatta quando ho saputo della

delega perché ho la fortuna di amare ogni animali. Per l’Anci era una

nuova delega, siamo dovuti ripartire da zero. In commissione dopo un

anno di lavoro abbiamo approvato un regolamento sul benessere degli

animali che dovrà essere adottato da vari comuni che si orienteranno

sulle nostre linee guida. A Giugno verrà fatta una campagna di sensi-

bilizzazione contro l’abbandono estivo degli animali e verrà stilato un

documento per far aprire le spiagge dedicate ai cani. n

Page 15: Teramani n. 86

15

Nel 1960, nelle settimane che segui-

rono le elezioni di John Fizgerald

Kennedy come presidente degli Sta-

ti Uniti, la stampa definì lo stile, la

bellezza e la grazia di sua moglie Jaqueline,

più nota come Jackie, ”l’orgoglio di tutta la

nazione”.

Il ”Jackie look” fece il giro del mon-

do: abiti semplici, tailleur e cappotti di

fattura esclusiva, disadorni ma di taglio

impeccabile, scarpe scollate e piccoli

cappelli,come pure semplici pantaloni a si-

garetta, camicie senza maniche e occhiali

da sole in testa, gioielli sobri e sofisticati.

Jaqueline Bouvier, questo era il suo nome

da nubile diede agli americani ciò di

cui avevano più bisogno, cioè glamour,

liberandoli dal complesso di inferiorità nei

confronti degli europei di essere provinciali

e senza cultura.

Il fascino e l’indipendenza della più

giovane first-lady che la storia ricordi si

impresse in tutti gli americani che ne fece-

ro un’icona, riuscendo a perdonarle, molti

anni dopo, il chiacchierato matrimonio con

l’armatore greco Aristotele Onassis.

Jackie possedeva moltissimi gioielli creati

per lei dai più noti gioiellieri dell’epoca.

Sontuose le sue parure, oltre ai bracciali

di smalto e di diamanti, agli orecchini di

rubini e di smeraldi, indossava anche le

perle che amava particolarmente.

Alcuni dei suoi pezzi sono passati alla sto-

ria, come il triplo filo di perle, immortalato

in una celebre fotografia in cui gioca con

il figlio John-John, che e’ stato probabil-

mente il gioiello più imitato e più venduto

per molti anni nelle gioiellerie della Fifth

Avenue a New York .

Indimenticabili gli orecchini d’oro “Moon”

che il miliardario armatore greco, Aristo-

tele Onassis le regalò nel 1969 ispirati al

primo atterraggio sulla luna, o l’incredibile

anello con diamante taglio marquise di

Glamour a New York

n.86

oltre 40 carati.

Gli innumerevoli gioielli che Jaqueline

Kennedy raccolse durante la sua vita,

insieme a mobili, dipinti, libri e molti altri

oggetti d’arte, venne parzialmente messa

all’asta dai figli Caroline e John-John nella

primavera del 1996. n

L’oggetto del desiderio

diCarmine Goderecci di Oro e Argento

Jaqueline Bouvier

Page 16: Teramani n. 86

Ceramic News16n.86

Il 1º marzo 2013, presso la sala conferenze dell’ANCI

(Associazione Nazionale Comuni d’Italia) via dei Prefetti,

46 - Roma, si è svolta l’Assemblea generale dei Comuni

dell’AiCC - Associazione Italiana Città della Ceramica -

organismo del quale la cittadina di Castelli è presente nel

Consiglio Direttivo sin dalla sua istituzione. L’AiCC com’è

noto, si prefi gge di tutelare, promuovere, incentivare, diffondere e

informare sullo scibile che gravita intorno al mondo della Ceramica:

progetti, eventi, manifestazioni, mostre, rassegne, iniziative. Alla riu-

nione, presieduta dall’Ing. Stefano Collina, coadiuvato dal Dott. Giu-

seppe Olmeti, erano presenti i Delegati e Rappresentanti di Albisola

Superiore, Albisola Marina, Ascoli Piceno, Assemini, Castellamonte,

Castelli, Cerreto Sannita, Deruta, Faenza, Nove, San Lorenzello e,

il Vice Sindaco di Faenza. Dopo l’approvazione del verbale della

riunione precedente, Lodi - 21 luglio 2012, il dibattito è stato aperto

dal Presidente Collina che ha relazionato l’Assemblea sulle ultime

attività dell’Associazione, alla luce di importanti novità che si prefi gu-

rano per l’immediato futuro.

L’AiCC assumerà maggiore rilevanza in quanto diventerà Associazio-

ne Europea delle Città dellla Ceramica, federandosi con l’omologa

Francese, Spagnola e Romena, conseguentemente potrà acquisire

maggiore autorevolezza, produrre azioni più incisive, intercettare

linee di fi nanziamento della Comunità Europea, ai fi ni di maggior

tutela e salvaguardia di questa autentica e peculiare espressione

del Made in Italy. La discussione è stata ampia e partecipata, con

interventi dei Delegati, Sindaci e Rappresentanti, Verbena (Deruta),

Gheller (Nove), De Rosa (Castelli). Sono stati affrontati

argomenti piuttosto sensibili: la ripartizione delle quote

associative dei singoli Comuni, di rimodulare le stesse

al fi ne di evitare sperequazioni abnormi fra i centri più

piccoli e grandi, alcuni di questi ultimi infatti, non hanno

versato il contributo associativo dovuto, causa, l’elevato

ammontare della quota stessa.

E’ stata valutata l’importanza della probabile presenza

dell’On. Antonio Taiani, Vice Presidente del Parlamento

Europeo alla Festa della Comunità stessa, a Deruta,

il prossimo 9 maggio 2013, incontrando il Direttivo

dell’Associazione, il Presidente

Collina potrà rappresentare

le peculiarità e l’importanza

della stessa, delle iniziati-

ve progettuali in essere e,

facilitare gli iter amministrativi

presso la sede di Bruxelles.

Come già riferito, la Federazio-

ne Europea della Ceramica, è

considerata strategica, il per-

corso denominato “GECT” po-

trebbe consentire di accedere

alle linee di fi nanziamento

comunitarie, considerando le

criticità delle rispettive risorse

nazionali causate dalla reces-

sione. Il Sindaco De Rosa, in

rappresentanza di Castelli, ha

aggiornato l’Assemblea sulle

ultime novità nell’ambito dei

Progetti e percorsi intrapresi dal centro teramano: i “Borghi più Belli

d’Italia del Gran Sasso” e la “ Via della Cioccolata”, quest’ultima alla

II edizione nel calendario del “Castelli di Natale”. Inoltre ha ribadito

la richiesta al Direttivo di esporre il famoso, originale Presepe Monu-

mentale in ceramica, realizzato nei laboratori dell’Istituto d’Arte ‘F.A.

Grue’ oggi Liceo Artistico del Design, negli spazi espositivi dell’EXPO

Milano - 2015.

Altra discussione affrontata, è stata rappresentata dall’opportu-

nità di introdurre in tutti i centri dell’Associazione, l’adozione del

Marchio CAT (Ceramica di Antica Tradizione), unitamente al Marchio

di Qualità, produrrebbe effetti senz’altro positivi per la produzione

ceramica attuale, tutelando la stessa dalle più anonime contraffa-

zioni, i centri della ceramica quindi, sono stati invitati a costituire le

Commissioni per disciplinare l’utilizzo dei marchi medesimi.

Nei prossimi incontri dell’Aicc, saranno discusse fra le altre

iniziative, gli aspetti più propriamente tecnico-organizzativi per

la realizzazione del “Cielo d’Italia”, confi gurato come emanazio-

ne del “3° Cielo di Castelli”, coinvolgerà tutte le località afferenti

all’Associazione, inutile sottolineare l’importanza di tale iniziativa

che riporterà Castelli ancora una volta al centro dell’attenzione che

merita, da sempre! n

Castelli

diMaurizio Carbone

Consigliere DelegatoComune di Castelli

Page 17: Teramani n. 86
Page 18: Teramani n. 86

Ferrara Arte organizza la prima mostra su: “Lo sguardo di Michelange-

lo. Antonioni e le arti”, Palazzo dei Diamanti, dal 10 marzo al 9 giugno

2013. Ed è proprio al “pittore dello schermo”, così come lo ricorda

Wim Wenders, che rubiamo la scena sviando verso argomenti diversi.

Architettare parafrasi. Formule retoriche per riposizionare personaggi

cinematografici all’interno di una socialità obliqua e sbrindellata, distolta

dall’eliotropismo. Quel movimento dei vegetali che orienta le foglie e i

fiori nella direzione del sole potrebbe diventare un potente medicamento

contro l’imbecillità della sopraffazione come consuetudine di continuità.

Specula omnis status vitae humanae (Specchio di tutti gli stati della vita

umana).Vittorio De Sica è un regista molto più accessibile di Antonioni.

Le sue parole non tagliano, mordono. Feriscono, a volte acciecano.

Nel film del 1963, “Il Boom”, l’imprenditore rimasto squattrinato con mo-

glie di lusso a carico cede letteralmente un occhio della testa a un miliar-

dario orbo. Siccome interpretato da Alberto Sordi, non occorre raccontare

la trama: te l’immagini tutta. Con un saltello qua e là, sulla soglia della sala

operatoria, se la squaglia terrorizzato. Rincorso dalla moglie del riccone

con un occhio solo, si farà convincere nonostante la minaccia di denun-

ciare le nefandezze dell’accordo e la sua illegalità. La riccastra spietata lo

mette all’angolo ricordandogli che non ha scelta. “Fuori la pupilla se vuoi

Satira18n.86

Help!

diMimmoAttanasii [email protected]

tornare a fare una vita da benestante!”. Tanto loro sono ricchi e possono

affrontare qualsiasi azione legale e uscire vincitori da ogni tribunale. Il

relitto economico, impersonato da Sordi, fa rientro nella clinica in proces-

sione con i medici e gli infermieri che lo avevano

inseguito. Prima di attraversare la via trafficata, tutti

insieme si dirigono sulle strisce pedonali, perché le

regole vanno rispettate. “La Via è tale che non te ne

puoi scostare un istante: se potessi scostartene, non

sarebbe la Via.” (Confucio, Il giusto mezzo).

Sono in tanti ad attraversare sulle strisce, a stare

attenti a non buttare le cartacce, a fermarsi con

il rosso. Tranne i ciclisti perché hanno le scarpe

attaccate ai pedali e se li stacchi di continuo poi si

rovinano. Sono troppi quelli che chiedono di dare

aiuto. Si avventano con il loro buon cuore mettendo

il bastone dei loro sguardi pietosi fra le ruote delle carrozzelle degli invalidi.

“Ha bisogno di aiuto? Ci sono qua io...”.

E se ti facessi i cazzi tuoi, invece di sottolineare la mia diversità? S’è visto

mai chiedere se ha bisogno d’aiuto a una persona seduta tranquillamente

in macchina? Io me ne sto tranquilla sul mio turbo scooter elettrico appena

comprato... perché mi devi sconquassare i coglioni con la tua bontà?

Non è che sei tu, cuore di tenebra, ad avere bisogno del mio aiuto? Help!,

I need somebody, Help!, not just anybody! (Aiuto!, Ho bisogno di qualcuno,

Aiuto! Non di uno qualsiasi). Dedico questa pagina alla mia cara amica, con

l’augurio per il futuro di incontrare meno stronzi. Ineccepibili alcune affer-

mazioni di Popper: “Sulla realtà l’uomo può solo formulare delle congettu-

re, delle proposte da sottoporre alla critica razionale di altri uomini”. n

Page 19: Teramani n. 86

19Cose di casa nostra

Ha fatto imbestialire terribilmente i naviganti di Facebook al pari

quasi di una sommossa sociale, l’idea del Comune di Teramo

di ricavare dall’ampio marciapiede della scuola Noè Lucidi di

Teramo dei parcheggi riservati ai genitori degli alunni, spesso

alle prese con estemporanei stop

and go che causano notevoli

disagi alla circolazione. A Piazza

Orsini si sta pensando di risolvere

così, con lo sventramento del

marciapiede tra l’altro realizzato

pochi anni orsono anche per

concedere agli scolari durante

l’uscita un apprezzabile e conso-

no luogo di sfogo, di risolvere il

problema dei parcheggi selvaggi.

“Alla fine l’hanno spuntata loro! – scrive S. -; genitori con grossi suv

contro gente comune che a causa della loro maleducazione passa la

pausa pranzo nel traffico. Ma parcheggiare alla Madonna delle Grazie

no? ‘Sti viziati, arricchiti maledetti” è lo sfogo anche un po’ troppo co-

lorito di S. che proprio non vuole le supercar essere privilegiate davanti

ad altri tipi di problematiche. “Mi sto sforzando, ma ancora non riesco

a capire – replica Valentina - dove faranno questi parcheggi. Forse

renderanno quel tratto di strada a senso unico e useranno una corsia

per i genitori supervip della Noè lucidi? oppure adibiranno a piazzale

per il parcheggio il tratto di strada davanti alla scuola e devieranno

il traffico davanti al tribunale e alla chiesa? O forse distruggeranno il

mega marciapiede costruito con i nostri soldi proprio per i genitori

della Noè Lucidi e faranno una corsia per il parcheggio come c’era già

qualche anno fa. No, proprio non ci arrivo... speriamo che qualcuno

me lo spieghi”. Prosegue M.: “Chi va alla Noè lucidi? I figli di papà e gli

altri sono nessuno! Bella la nostra Teramo!!!!!”. Conclude Me., un ‘altra

ragazza del popolo di Facebook: “Senza parole!”.

All’alzata di scudi del social network replica l’assessore comunale ai

lavori pubblici, Giorgio Di Giovangiacomo, che precisa come la realiz-

zazione di quel parcheggio costerà alla casse comunali circa 30-40

mila euro. Si ricaveranno dall’attuale largo marciapiede antistante la

struttura degli stalli, ancora non se ne conosce il numero effettivo,

che dovranno mitigare il fenomeno del parcheggio selvaggio. A Piazza

Orsini si sta pensando di posizionare degli stalli gratis nello slargo

di Porta Madonna per un tempo di 20 minuti circa, in concomitanza

con l’entrata e uscita degli scolari. “Due passi a piedi si possono pure

fare – riconosce l’assessore Di Giovangiacomo – soprattutto per chi ha

un po’ di tempo da spendere, per chi invece va di fretta, ci saranno i

nuovi parcheggi”. Piazza Orsini sta facendo letteralmente i salti mortali

per raschiare il fondo del barile alla ricerca di finanziamenti: Giorgio Di

Giovangiacomo dichiara di aver scovato dei residui tra le pieghe del bi-

lancio, “anche se – ammette l’assessore – la nuova opera non risolverà

il problema al 100%”.

Nel dibattito

non fa man-

care la sua

voce Raffaele

Di Marcello,

coordinatore

di Cciclat

Teramo:

“Mentre nel

resto del

mondo, e in

alcune parti

d’Italia, si

pedonalizza-

no le aree intorno alle scuole, si istituiscono i “pedibus”, addirittura si

collegano gli istituti scolastici con piste ciclabili e pedonali, a Teramo

si sperimenta la scuola drive in... entri direttamente in aula in auto

per riprendere il povero pargolo, e magari portarlo in palestra, perché

ha tanto bisogno di movimento”. Ma cos’è il “pedibus”? Il Pedibus è

un progetto nato in Danimarca nel 1990 con lo scopo di promuovere

l’esercizio fisico nei bambini. È ormai diffusissimo nel Nord Europa

e negli Stati Uniti d’America, mentre lo è meno in Italia, ma in rapida

evoluzione in città come Torino, Genova, Bologna, Ferrara, Reggio

Emilia, Milano, ecc. Si tratta di una mobilità alternativa con fermate

predefinite e segnalate da appositi cartelli, accompagnatori capofila

ecc., dedicata principalmente agli scolari per raggiungere la scuola a

piedi, per educare ad una cultura ambientale e salutistica. Il progetto è

infatti nato con lo specifico scopo di combattere il crescente fenomeno

dell’obesità infantile, ma si è rivelato utile anche per promuovere la

socializzazione e l’autostima dei bambini e cosa non secondaria ridurre

il traffico veicolare nei pressi delle scuole. “C’è da dire - riprende Di

Marcello - che anche le amministrazioni devono fare la propria parte. In

Inghilterra o negli Stati Uniti le scuole sorgono all’interno di vaste aree

pedonali, con giardini, parchi giochi, verde, invece da noi va di moda

la scuola modello casello autostradale: più vicino a strade a grande

traffico sono e meglio è, così possiamo andare a prendere i pargoli con

l’auto fino dentro al cortile scolastico. Allora – conclude Di Marcello - in-

vece dei parcheggi, incentiviamo il raggiungimento delle scuole a piedi,

in bicicletta o con i mezzi pubblici, e disincentiviamo l’uso dell’auto: i

nostri bambini saranno più felici, e la città ci sarà grata”. n

Nel resto del mondo si pedonalizzano le aree intorno alle scuole

n.86

diMaurizioDi Biagio

Il parcheggio Vip dellaNoè Lucidi

www.mauriziodibiagio.blogspot.com

Page 20: Teramani n. 86

C’è chi cammina a testa bassa,

guardando i propri piedi e la

strada che ha timore di percor-

rere, e chi invece guarda in alto,

scorgendo ora il sole ora le stelle. Le

stelle illuminano la notte per guidare il

percorso degli uomini, i loro sogni, le loro

fantasie. “Forse s’avess’io l’ale/ da volar

su le nubi,/e noverar le stelle ad una ad

una” disse Leopardi vivendo un estatico

rapimento dinanzi alla scena dell’universo:

da qui il suo vibrare con le stelle; da qui

il desiderio dell’infinito; da qui il pensiero

dell’eternità.

Anche Mario Calabresi ragiona con gli

astri, quelli che scorge in un cielo che oggi

appare buio del colore della pece e dedica

il suo libro Cosa tiene accese le stelle a

quanti si muovono sospinti dai desideri,

che non attendono momenti migliori per

agire, ma accettano la quotidianità senza

arrendersi. L’autore compie un viaggio

attraverso l’Italia, raccontando storie

esemplari di persone note, ma anche co-

muni. Con tenacia e determinazione essi

hanno realizzato obiettivi ambiziosi. Dalla

rassegnazione infatti nasce un’inquietudi-

ne insanabile e anche il più grande talento

scema senza un pizzico di follia. “Be

hungry, Be foolish” (Steve Jobs).

Calabresi apre il suo excursus da una

Il libro del mese

lavatrice, quella che nonna Maria nel

novembre del 1955 acquistò, commutan-

dola con una Fiat Seicento che il marito

le aveva regalato. Quella sera stessa la

signora, madre di sei figli, smise di fare a

mano il bucato e riprese in mano un libro,

sentendosi rinata: “era il gesto di tornare a

leggere che faceva la differenza, era l’idea

di aver riconquistato un po’ di tempo” per

lei sola.

C’è poi l’attrice Franca Valeri che lamenta

nel mondo contemporaneo rapporti trop-

po amichevoli persino tra genitori e figli. I

genitori per timore di essere ritenuti auto-

ritari “diventano arrendevoli e permissivi”.

Il messaggio che ne deriva è che “tutto è

semplice, facile, che la fatica può essere

eliminata dalle nostre vite”. Così la società

involve.

Giuseppe De Rita racconta come nel 1963

con un gruppo di amici fondò il Censis, un

ente di ricerca. Oggi compiere un’opera-

zione simile sarebbe una follia.

L’economista Mario Deaglio ricorda una

scuola davvero meritocratica, che garan-

tiva una preparazione autentica a tutti,

vero e proprio ascensore sociale. Rileva

poi, anche lui, una sostanziale differenza

nel rapporto tra genitori e figli. Questi non

venivano viziati con oggetti, ma si pensava

a investire sul loro futuro, rendendoli

consapevoli del valore del lavoro. Oggi c’è

invece “la percezione che questo Paese

non vada avanti. Io sapevo che avrei

guadagnato più di mio padre e anche lui

lo sapeva, e questo lo faceva sentire bene,

così i miei genitori avevano la ragionevole

speranza che io e mio fratello saremmo

vissuti meglio di loro. Oggi, invece, la sen-

sazione è che i figli staranno peggio e che

nel Paese non ci sia più spazio”.

Potrebbe sembrare che nel libro domini

la nostalgia per il passato, ma non è così.

Infatti l’autore dice che il fine del suo

pamphlet è quello di “capire se il declino

e il pessimismo siano una condizione cui

noi italiani non possiamo più sottrarci, per

scoprire se sotto la superficie della paura

e del cinismo esistano ancora energie fre-

sche, speranze di cambiamento e passioni

da far emergere”.

Calabresi risponde ai lettori e a se stesso

che ci sono esempi di persone appassio-

nate che ce l’hanno fatta a superare le

ambasce. Il passato va recuperato per gli

insegnamenti positivi, ma anche come

monito per gli errori da evitare.

“La cultura della lamentela in questi anni

ha raggiunto livelli terribili, è la cosa più

negativa che ci sia, perché cancella dav-

vero ogni possibilità di riscatto e cambia-

mento. Innamorarsi delle proprie sfighe è

rassicurante e ti fa vivere in un territorio

protetto, in un mondo che riconosci e ti

rassicura. Ogni epoca impone una forma di

resistenza, la nostra è non essere lamen-

tosi”. Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti,

apostrofa i giovani perché le lamentele

rallentano il cambiamento e spesso lo

ostacolano completamente. “Gli ottimisti

cambiano il mondo; i pessimisti piagnu-

colano perché non è cambiato” (Beppe

Severgnini).

Il libro di Calabresi si oppone quindi a ogni

debole resa, nella consapevolezza che

ogni individuo possa rinnovarsi.

Mark Twain diceva: “Tra vent’anni sarai più

deluso dalle cose che non hai fatto che

da quelle che hai fatto. E allora molla gli

ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che

gli alisei riempiano le tue vele. Esplora.

Sogna”. (Mark Twain)

Alziamo allora la testa per tornare “a

riveder le stelle”, per cercare tra le tante

la nostra, la più autentica. n

20 [email protected]

Cosatieneaccesele stelledi Mario Calabresi

n.86

diMaria Cristina Marroni

Page 21: Teramani n. 86

I l Nuovo Zingarelli, vocabo-

lario della lingua italiana,

(Zanichelli, Bologna) definisce

il gergo “Lingua criptica”, spe-

cialmente per quanto riguarda il

lessico, utilizzata da una comuni-

tà generalmente marginale che,

in determinate condizioni, avver-

ta il bisogno di non essere capita

dai non iniziati o di distinguersi

dagli alri”. Da questa definizione

si evince che il gergo è, quindi,

un linguaggio “segreto”, “protet-

tivo”, di “difesa”, soprattutto per

quanto riguarda la scelta e l’uso

delle parole, usato dalle comuni-

tà che in genere vivono ai margini della società e che preferiscono

non essere capite dagli altri.

Per portare degli esempi si può dire che il gergo è il linguaggio dei

Note linguistiche

a cura diMaria Gabriella Di Flaviano [email protected]

membri di una società segreta,

oppure quello della malavita.

Gergo più recente è quello dei

paninari a base di troppo giusto,

cuccare, sfitinzia ecc. che può

essere considerato in maniera più

ampia un linguaggio di gruppo.

Non bisogna, però, confondere tra

loro gergo e sottocodice, gergo

e lingua, gergo e dialetto. Non si

può, infatti, considerare gergo il

linguaggio dei medici, solo perché

usa una terminologia che non vie-

ne compresa dai pazienti: il gergo

non ha la specificità e il rigore

dei linguaggi settoriali, non ha

l’originalità e il potere comunica-

tivo della lingua, non ha il valore

storico e culturale del dialetto.

È un sistema di comunicazione artificioso che non si evolve e

non muta. È interessante notare che esistono anche gerghi della

cosiddetta “gente bene” che non sono meno artificiosi dei gerghi

della “gente male”.

Tale gergo inventa strani neologismi, abbonda di termini stranieri,

soprattutto di termini e modi di dire italianizzati, ama esagerare

o minimizzare in modo fasullo le espressioni che attinge da altri

linguaggi. n

Il Gergo21n.86

Page 22: Teramani n. 86

In giro22diSergioScacchia [email protected]

n.86

Sui sentieri del silenzio“Agli occhi dell’uomo tutte le sue vie sono rette, ma chi pesa i cuori è solo il Signore”. (Proverbi 21,2).

Il territorio di Crognaleto

Intorno a Crognaleto, con la sua

frazione principale, Nerito, insiste

una miriade di minuscoli paesi,

anche se i boschi stanno mangiando

i rustici abbandonati e i sentieri antichi,

inghiottendo parte dei segni della vita

degli uomini.

Fra questi borghi c’è Frattoli a 1115 me-

tri sul livello del mare, che conserva, oggi,

più di una chiesa antica con stupendi

altari lignei e con mura, dove sono ancora

visibili delle belle iscrizioni del 1400, 1500,

impresse anche su stipiti e portali.

Trovo stupenda San Giovanni Battista in

stile gotico con il suo inaspettato portico

seicentesco delle “logge”.

Il paese dipendeva da Amatrice, poi nel XVII secolo, entrò a far parte

del Ducato di Atri della potente famiglia degli Acquaviva che, da que-

ste parti trascorrevano giorni di vacanza.

Il borgo, dal quale si gode il panorama forse più bello del comprenso-

rio, è stato a lungo un centro artigianale conosciuto nell’intaglio del

legno e nella lavorazione della pietra.

Fu proprio a Frattoli che abili artigiani realizzarono la splendida statua

della Madonna delle Grazie, venerata nel santuario francescano di

Teramo, dove approdò alla fine di un grande pellegrinaggio attraver-

so Piano Roseto, Macchia Vomano e giù verso Montorio. La Vergine,

vestita di drappi pregiati come si conviene ad una regina, pare che, in

groppa ad un mulo, se la vide brutta alle porte del capoluogo. La bestia

affaticata, inciampò e rotolò pesantemente sul greto del fiume Tor-

dino, proprio sotto la strada. Urla disperate dei fedeli che credevano

di trovare la statua in mille pezzi. Ma la Madonna delle Grazie rimase

illesa e si gridò al miracolo. L’opera, che di certo conoscete bene, è

fantastica! La bellezza del volto

espressivo, il capo reclinato ver-

so il Bambino, le mani affusolate,

danno l’idea della bravura degli

artigiani montanari.

Ancora oggi Serafino Zilli, l’ulti-

mo di una famiglia di scalpellini

d’epoca, fa risuonare le vecchie

contrade del battito del suo

martello. Gran parte delle chiese

nella Laga teramana e molte

antiche abitazioni sono state

abbellite dall’estro e dall’arte di

questi uomini dediti all’arenaria,

azzurra all’origine, beige corrosa

dalle intemperie e dal trascorrere del tempo.

Inventarsi la vita in queste valli profonde non è stata cosa facile sia per

l’asprezza dei luoghi, che per gli inverni lunghi.

La storia da queste parti non è altro che il racconto a volte difficile da

credersi, dei sacrifici e della tenacia con cui la gente ha vinto le diffi-

coltà di un mondo avaro di risorse. Il lavoro artigianale dei tanti uomini

come gli Zilli, si confonde ad ogni passo con la storia umana e civile

dei primi insediamenti, dello sfruttamento dei boschi e dell’arte di

lavorare pietra e legno servendosi dell’ingegno dei valligiani. I fratelli,

giunti fin qui da Campotosto, diedero i natali anche a Amedeo che,

padre di dodici figli quasi tutti maschi, ripopolò Frattoli di muratori e

scalpellini. Alto e grande di aspetto, sorta di armadio umano, incuteva

Monti della Laga

Chiesa San Giovanni Battista (portico )

Statua madonna delle Grazie

Page 23: Teramani n. 86

23n.86

timore a prima vista, ma era di una bontà

infinita. Ha lasciato varie testimonianze

della sua abilità artistica, dalla torretta della

chiesa di Padula, ai finestroni di Cesacastina

o gli altari a Frattoli.

La pietra, vera regina di questi luoghi si

riconosce ancora oggi tra gli scempi delle

costruzioni moderne. Si capisce la squadra-

tura dei blocchi fatta a mano per stipiti di

porte e finestre, s’intuisce facilmente che

queste mura non temono nessun terremoto.

In molti paesi, riattati i rustici e le antiche

case, le vecchie comunità si ritrovano nelle

brevi stagioni estive. Cresciuto il benessere

economico, è nato un nuovo atteggiamento

nei confronti dell’ambiente. I secolari sentieri

tra boschi e costoni impervi, i valichi un

tempo importanti vie di comunicazione,

sono tornati ad animarsi non più percorsi da

boscaioli e pastori, ma da camminatori che

vogliono riscoprire la cultura montana.

Sono molti i paesi che meritano attenzione:

Cervaro con la bella chiesa di S.Andrea,

Altovia e Aiello, con il tempio cinquecen-

tesco dei santi Silvestro e Rocco e Tottea,

villaggio costruito su di un enorme masso

di arenaria dove si trova un Ecomuseo e un

Centro di documentazione del Parco.

A proposito del borgo di Tottea, chi ha

voglia di arrivarci non perda la chiesa di San

Michele Arcangelo con il suo tetto a capanna

e il piccolo campanile a velo. La storia del

tempio sacro si colorò nel 1921, delle tinte

fosche tipiche degli eventi più drammatici.

A causa di alcune candele votive accese per

devozione alla Vergine Maria, si sviluppò un

incendio immane. Nel rogo andarono distrut-

te delle statue settecentesche, arredi sacri, il

prezioso soffitto ligneo dipinto e il più grande

organo a canne della Diocesi, vero orgoglio

del paese. Oggi, Tottea mostra vecchie case

in pietra arenaria, portali, soglie che hanno

resistito nei secoli e che testimoniano il

valore della pietra per la gente di montagna.

Ogni volta mi ci reco, ho l’impressione di

essere in un luogo autentico, genuino. È

come vivere in una grande famiglia e riunirsi

tutti nella piccola piazza come in un salotto

di casa. È l’icona di una bellezza di vita che

non esiste più. Magari la gente di allora, oggi

è malandata. Un tempo si poteva morire a

vent’anni ma arrivare anche a cento per via

di una naturale selezione genetica. n

Visitate il mio blog:

http://paesaggioteramano.blogspot.it

Il Gran Sasso di notte visto da Frattoli

Cervaro

Cesacastina tra i suoi boschi

Page 24: Teramani n. 86

Ciò che si nasconde nell’intimo di

ognuno di noi è difficile da esplorare.

Nei meandri del nostro “ io” più pro-

fondo, a volte si annidano inaspettati

sentimenti. Che si tratti di persona colta o

analfabeta, certe prerogative fanno parte

dell’animo non modificabili dai processi

di acculturazione o da altri fattori esterni.

Vivono perché sono nati così e tali restano.

La vita di campagna, quando ancora era

affidata alla sola forza dei muscoli, temprava

modi e usi con il peso della fatica. Il rude

aspetto esteriore manifestava una evidente

condizione di disagio e non faceva capire

cosa si nascondeva nell’interiorità dei poveri

contadini che Ignazio Silone li aveva eletti

a protagonisti dei suoi romanzi, affettuosa-

mente chiamati “cafoni”. Per la quasi totalità

analfabeti, oltre alla forza fisica necessaria

per la sopravvivenza, esprimevano anche

nobiltà d’animo perché non erano teste vuo-

te. “Durante la mia fanciullezza mi nutrii

di poco pane e di assai sogni. A l’età di

sei anni cominciai ad andare a scuola

e sino a 12 anni frequentai la terza ele-

mentare. Nel mio paese non c’erano più

scuole”, è ciò che scrive Ernesto D’Evangelista nel suo diario. Semplici

parole piene di significato scritte da un contadino con un bagaglio

culturale di appena tre anni di scuola elementare. Sintetizza la sua

difficile condizione legata soprattutto alla sopravvivenza e per il resto

lasciato all’immaginazione dei suoi sogni.

Nel manoscritto l’autore racconta le fasi salienti della sua vita: il suo

matrimonio, la nascita dei figli, il servizio militare e l’esperienza della

seconda guerra mondiale, il matrimonio dei figli e infine il congedo

dalla vita terrena. Sapersi accontentare dell’essenziale era una virtù

di pochi in quel periodo per apprezzare degnamente l’esistenza

terrena. Gli altri si perdevano spesso nell’inedia e nella rassegnazione

profonda, mentre altri assistevano da spettatori senza curarsi delle

La storia

sofferenze altrui. Il richiamo alle armi nei primi anni quaranta è un

momento di paura nonostante la forte e decisa tempra caratteriale.

Animato da un forte spirito religioso trova la forza di resistere e non

farsi prendere dallo scoramento. Sposato con prole, Ernesto conosce

in parte gli orrori della seconda guerra mondiale. Paure, ansie, stenti

e disagi opprimono il suo pensiero di non rivedere i propri cari. Ad ag-

gravare la situazione è la febbre da malaria contratta in un momento

di grande difficoltà sociale per la cura della malattia.

Scrive: “La sera si accostò al mio letto un Sacerdote che mi

convinse a confessarmi. La mattina dopo mi risvegliai in piena

salute, senza febbre. Stavo bene e ringraziai il Signore per la

grazia ricevuta”. Non è dato sapere se si sia trattato di vero miracolo

o guarigione da cure. Resta comunque un attestato di convinzione

religiosa che sicuramente lo ha aiutato a guarire dal male.

Anche nei momenti più duri può esserci qualcosa di conforto. Non

avrebbe mai immaginato di rivedere il fratello in quell’angolo d’Italia

dove bombardamenti e atrocità erano

all’ordine del giorno. Invece: “Dopo due

giorni arrivò la lettera di mio fratello

Giovanni. Non si sapeva dove si trovava

perché la censura militare aveva tolto

ogni riferimento. Non aveva cancellato,

però, l’indicazione della Provincia di

Brindisi”. Il richiamo dell’affetto familiare

spinge Ernesto nella ricerca del fratello: “un

giorno del mese di marzo 1944, freddo

e buio, per il forte amore di fratellanza”

partì alla ricerca di Giovanni e dopo tanto

cercare lo trovò e “finalmente abbracciai

mio fratello e restammo tutta la notte a

raccontare le avventure passate”.

Il fronte di guerra risale dal sud verso nord,

mentre loro, benché liberi per l’ armistizio,

non possono far ritorno a casa in quanto le

nostre parti sono sotto il controllo tedesco,

non ancora liberate dalle truppe alleate.

Arriva il giorno di partire, naturalmente a

piedi, e in molti indicano ai due fratelli la

via del “tratturo”, percorso che i pastori

abruzzesi seguono per il trasferimento delle

greggi. Seguono giorni di cammino con

tante difficoltà da superare, non ultima la

presenza di militari che presidiano le vie

più praticate. Dettato dalla necessità, Ernesto aguzza l’ingegno per

eludere la ferrea sorveglianza dei militari appostati sull’altra sponda

del fiume Trigno in Molise e dice al fratello: “Tu che non sai parlare

devi piangere davanti al Comando, mentre io parlerò perché so

farlo bene”. Lo stragemma convince i militari e così i due hanno via

libera per il prosieguo del loro cammino verso casa.

Rientrato a casa e dopo aver riabbracciato i suoi cari, la dura vita

di campagna gli si ripropone davanti con il peso della famiglia da

sostenere, dopo aver lasciato quella paterna. Il vero problema non è

il peso dei cari, bensì la insostenibile condizione di subalternità alla

quale è sottoposto dal latifondista proprietario della sua “campagna”,

sicuramente di pochi scrupoli. Scrive ancora: “Essendo che il padro-

24

Ernesto D’Evangelista

n.86

Il nobile sentimentodi un quasi analfabeta

diAntonio Parnanzone [email protected]

Page 25: Teramani n. 86

25ne della campagna è cattivo, pensavo

sempre e pregavo Dio di avere la felicità

di comprare una casa e un pezzo di terra

per non essere più schiavo dei padroni”.

Parole eloquenti che non lasciano alcun dub-

bio sulla causa di certe condizioni di disagio.

Il sogno si avvera di li a poco e così trova un

po’ di meritato sollievo.

Nel frattempo per i cinque figli, ormai giova-

ni, arriva il tempo di sposarsi e in occasione

dell’ultimo matrimonio, quello di Rita, espri-

me soddisfazione scrivendo: “Fu la giornata

più felice della mia vita e mi sentivo

orgoglioso di aver fatto il mio dovere su

questa terra”. Non c’è denaro ed altri averi

materiali che tengano di fronte all’affetto dei

suoi figli per averli accompagnati a formare

ciascuno la propria famiglia con il poco che

ha potuto offrire loro. Altri tempi, quando

l‘arrivismo per il frivolo dei nostri giorni non

era ancora conosciuto.

L’essenza di una vita intera, trascorsa con

tanta intensità per le forti emozioni, risiede

in un momento di riflessione quando ormai

la sua esistenza è minata dalla malattia.

Trova la lucidità di ringraziare i figli e la mo-

glie, contento di aver assolto i suoi doveri di

padre, in un testamento spirituale di grande

forza d’animo, pronunciando un arrivederci

nell’aldilà e lo fa così : “Ho lavorato con la

forza e con il cervello. La mia testa ha

saputo sviluppare bene il modo di stare

bene e di fare una vita discreta. In dieci

anni ho affrontato cinque matrimoni (dei

figli) e ringrazio i miei figli che hanno

dimostrato affetto verso di me e mia mo-

glie. Ringrazio la mia consorte, la quale

poverina ha condiviso con me la fatica di

crescere cinque figli. Quante sofferenze

patite insieme, ma sempre orgogliosi di

vedere i nostri figli crescere bene. Quan-

n.86

do Dio mi chiamerà nell’eternità, andrò

serenamente perché sono malato, ma

contento di aver fatto il mio dovere su

questa terra. A te sposa diletta ti ripeto

di amare i figli, nipotini e generi fino a

quando Dio ti chiamerà per raggiungermi

nell’eternità per godere insieme il Paradi-

so, se saremo degni di andarci”.

Un grande amore per quella parte di se stes-

so (figli, nipoti e generi) che lascia sulla terra

per l’approssimarsi del fatidico momento del

trapasso, ai quali ha dedicato una vita intera

per donare loro tutto il bene possibile. La

grande fierezza di vederli nascere, crescere

e poi lasciarli al loro giusto destino con la

consapevolezza di aver adempiuto appieno

al dovere di padre. Poi il commovente pen-

siero rivolto alla moglie; un invito a donare

gli ultimi affetti alle sue creature per poi rag-

giungerlo presto nell’aldilà dove l’aspetta per

godersi insieme l’eternità. Parole intense e

lucide, frutto di una inossidabile fede, scritte

in un momento che per altri è di smarri-

mento per la fine terrena ormai prossima.

Non esprime rimpianti per i torti subiti, ne

quello che poteva essere e non è stato. E’ il

commiato senza clamore di Ernesto dall’esi-

stenza terrena e in punta di piedi si avvia ad

attraversare lo spartiacque che lo conduce

nell’aldilà. n

A Milano, allo Spazio

Oberdan, il 19 febbraio,

è stata inaugurata la

Mostra “Paris en liberté”

del fotografo francese Robert

Doisneau (1912-1994). La

Mostra, promossa per iniziativa

della Provincia di Milano e

della Fondazione Alinari con la collaborazione della Ville de Paris, è stata

presentata a Parigi all’Hotel de Ville, a Tokio, Kyoto e al Palazzo delle

Esposizioni di Roma, prima di approdare a Milano dove vi resterà fino al

5.05.2013. L’artista Robert Doisneau , il più illustre rappresentante della

fotografia umanista in Francia, ha testimoniato un duo inscindibile con la

sua città, fotografata in tutti gli angoli, ambienti sociali, intellettuali, nella

di FlorianaFerrari

di Robert Doisneau

La mostravita bohémienne ed artistica, agita nei monumenti più significativi dai

parigini, en plein air. Sono esposte più di 200 fotografie, in bianco e nero,

scattate tra il 1934 e il 1991. Son sujet de prédilection, ce sont les Pari-

siens: les femmes, les hommes, les enfants, les amoreux, les animaux et

leur façon de vivre la Ville Lumière. (Il soggetto prediletto sono I Parigini:

le donne, gli uomini, gli innamorati, gli animali e il loro modo di vivere la

Ville Lumière). Un’emozione unica e collettiva, una folla partecipante e

motivata è intervenuta all’inaugurazione di Milano. Un pubblico variegato

di famiglie con bambini, coppie, studenti, artisti, esperti del settore si è

diramato negli spazi espositivi, per immergersi nelle immagini imperanti

di Doisneau, spaccati di vite vissute, tempi lontani ed ancora attuali, da

ripercorrere con occhi nuovi. Sentieri in bianco e nero, l’artista fotografa-

va di tutto, facendosi trasportare dallo stupore, non perseguendo nessun

metodo filologico o documentaristico, ma solo muovendo dal grande

amore per la sua città, vissuta con sguardo contemplativo.

Era sempre in cerca di emozioni da catturare, scatti presi nei luoghi

più amati come il Pont des Arts, fotografie ricomposte in cubetti come

giochi, un puzzle da ricomporre. Parallelamente alla Mostra di Doisneau,

la Fondazione Cineteca Italiana ha riproposto una rassegna tematica,

per ripercorrere l’atmosfera Parigina, con la proiezione di capolavori

del cinema: “Ninotchka” con la regia di Ernst Lubitsch; “Les portes de la

nuit” con la regia di Marcel Carné; “Zazie dans le metrò” di Malle; “Hotel

du nord” di Carné; “I 400 colpi” con la regia di François Truffaut; “Prix

de beauté” di Genina; “Les Dames du bois de Boulogne” con la regia di

Robert Bresson; “Funny Face” di Donen; “Vivre sa vie” con la regia di

Jean - Luc Godard. n

Paris en liberté

Page 26: Teramani n. 86

Non esiste purezza etnica o narrativa preservata. Tarantino

ribadisce che il testo, risolto esclusivamente in altri testi, è

sempre sconfinato e sovrapposto, quanto il corpo e le «razze».

La vittima (Kill Bill), la donna (Death Proof), l’ebreo (Inglorious

Basterds) precedono ed eccedono il nigger dell’instabile forma essere

e tempo di Django Unchained, remake

vendicativo, plurimo e basterdo di ogni

possibile cultura subalterna, denso di ma-

teriali e affetti, una compilation di ritornelli

visivi, piattaforma mobile di musica/segno

dove il regista sbalordisce per la sua bra-

vura di dee-jay archivista della memoria

audio e video.

Quel nome nomade trans-formato, Djan-

go, ricomprende già un destino esteso a

millepiani virtuali in cui ognuno è tanti.

Il Jean detto dai Rom o il John di ebraica

pronuncia, a designare la persona assai

attesa, l’eroe riscattante. Affine, non solo

nominalmente, al più baadasssss degli

orixás neri, Changó/Xangô dio del fuoco

e del fulmine, santabarbara ambulante

di munizioni quali frecce, machete, ascia,

lancia, daga. Il cowboy-spaghetti di Franco

Nero (nero!) ne aveva per l’appunto le

stimmate. Fulmineo con la pistola, dove

il musicista zingaro da cui aveva preso il

nome risultava impareggiabilmente veloce

con la chitarra. Nonostante le mani muti-

late o maciullate, nonostante la diversità

etnica (vale pure per l’italiano precipitato

in un genere americano). Per questo ama-

to e giamaicanamente dub-bato dal Jimmy Cliff di The Harder They

Come, asceso tra gli alieni di Star Wars (il cacciatore di taglie Jango

Fett) e precipitato nella storpiatura/imbastardimento Z di uno Shango,

la pistola infallibile o dello Shaniko di Vendetta per vendetta (di Mario

Colucci). Tarantino amplifica ulteriormente le stratificazioni, ricollocan-

do con un punto di vista altro, sub e decodificato, non soltanto il plot,

Cinema

la storia: nientemeno e soprattutto la Storia, il passato «ecstatico» di

cui parlava Heidegger.

Anche il nuovo Django serve a porre in crisi il presente, ri-trasfor-

mandolo in futuro. E’l’eroe franco, nero (Jamie Foxx), un semidivino

Hercules Unchained (titolo USA di Ercole e la Regina di Lidia) all’at-

tacco della Fortezza Europa e Occidente, oggi riconsolidatasi come

integerrimo sistema di potere ufficiale. Ben esemplificata dalla white

house di Calvin Candie (Leonardo Di Caprio), sadico schiavista capita-

lista (i termini sono sinonimi), albergo simbolico di Elisa e Für Elise, la

dialettica dell’illuminismo, i libri mal o mai letti e il bon ton assassino.

Il luogo dov’è prigioniera Broomhilda (von Shaft!!!, Kerry Washington),

replica non solo della figlia di Odino, rispetto alla quale Django riceve

esplicitamente l’investitura di novello Sigfrido, ma pure di una bella

ragazza da saloon (nera) di un altro western corbucciano, Gli specia-

listi. Lo stesso film francese (con Johnny Halliday e Françoise Fabian)

da cui proviene anche Sheba, presente nella lussuosa stanza Giulio

Cesare, fascistizzato e francesizzato luogo infernale di combattimenti

mandingo (uno dei fighters si chiama Big Fred, come la superstar Fred

Williamson).

Django vi accede nel ruolo, fra i tanti, di Charlie il guercio, omaggio

a Richard «Shaft» Roundtree del film Charley One-Eye. Qui tutta una

serie di associazioni di idee esplicano il

metodo Tarantino (o anche, perché no?,

godardiano) fatto di «carta e non calco»

deleuze-guattariano. Ovvero macchina

astratta di «decomposizioni strutturali

interne, non sostanzialmente differente

da una ricerca delle radici». Radici, certo.

Dello sradicamento, per assurdo, in

questo caso. Roots. Il film parla la lingua

nera del Black Atlantic, sembra proprio un

rituale mandingo mumbo jumbo, apparen-

te nonsense di scivolose riconfigurazioni.

Sconfessa l’univocità, introduce alla

politica del fluido. Nella stanza simbolica

vi convivono lingua francese (mal parlata

o non compresa) e Léonide Moguy (il regi-

sta della bontà e dei valori alti d’Europa),

antico Egitto e antica Roma. Anche Franco

Nero e il suo valletto Umberto (Lenzi?).

Sono le stazioni di una serie di erculee

fatiche in divenire, dentro le quali aberra-

zione e resurrezione vanno di pari passo.

Django è il brutale black buck della tradi-

zione sudista americana che la blaxploi-

tation fece diventare il superbad mutha,

fantasma ritornante vendicatore. Ricol-

locato nel passato da cui originò (Texas,

1858), riscritto con la consapevolezza geologica del divenire storico,

e perturbato a partire dal concetto di storia come finzione (cfr. Marc

Ferro). Corpo dove il vintage ‘70 passa per la deterritorializzazione e

destratificazione hip hop, un campionamento continuo di rivendicazio-

ni senza confini. Al fianco dell’eroe, un comprimario bianco a mo’ di

tradizione letteraria americana (Twain, Caldwell, Faulkner, ma pure 48

26

Mumbo Django

diLeonardoPersia [email protected]

n.86

L’ultimo capolavoro diQuentin Tarantino

Page 27: Teramani n. 86

27

ore o Arma letale, la parodia Richard Pryor &

Gene Wilder). King Schultz (Christoph Waltz)

è il raffinato bounty killer tedesco, between

Usa e Europa, giustizia e crudeltà, civiltà e

barbarie, il rovescio radicale ma non troppo

(ossimoro?) del nazista di Bastardi senza glo-

ria, a sua volta rovescio di mille altre cose,

trasgressiva metamorfosi di un’ortodossia

narrativa storica. Django Unchained riscrive,

tra i tanti, Sentieri selvaggi dove l’eroe va a

riprendere la donna rapita dai selvaggi (non

gli indiani, i bianchi). Il fondamentalismo

appartiene infatti alla civiltà. A quel KKK

beffeggiato in stile Mel Brooks. Allo stesso

Quentin che, in un ruolo white trash, sceglie,

sia pure per interposto eroe, di farsi saltare

in aria.

Tarantino aspira e moltiplica, concatena. Il

tedesco spunta in the dark col suo carretto

fantasma di dentista ambulante (Greed

di Stroheim? Film sul denaro/cancro, con

svolta western finale), trainato da un cavallo

Fritz (Lang?) in un bosco dal fascino voodoo,

anticamera di una trasformazione e di un

simbolo di trasformazione. Sottrae Django al

ruolo di schiavo, condiviso con altri quattro

neri, proponendogli, affrancandolo, di

diventare socio in affari. L’uomo potrebbe

individuare i fratelli Brittle, suoi crudeli schia-

visti, illegal and wanted, gran bottino per

King. Cotti e mangiati, cioè immeditamente

snidati e fatti fuori. Una quest sufficiente per

un film intero, bruciata in una premessa di

nemmeno venti minuti dove sfilano già milio-

ni di citazioni, la vera trama.

Il personaggio del tedesco è ispirato al John

King (Richard Harrison) di Lo chiamavano

King, richiamato in musica del medesimo

Luis Bacalov del tema di Django cantato da

Rocky Roberts. Il plot schiavista proviene più

dal tardo Django 2 di Rossati che non dal

prototipo di Sergio Corbucci. Da quest’ulti-

mo, però, uguale musica (La corsa) e uguale

scena/incipit, con Django a sorprendere dei

cattivi mentre frustano una donna. Uno dei

fratelli banditi, che sevizia citando la Bibbia,

viene ucciso da un proiettile che trapassa

il libro sacro (proteggeva invece in Requie-

scant di Lizzani e nell’hitchcockiano Il club

dei 39). Sono ammiccanti punti di partenza,

tracce che spalancano abissi di insubordi-

nazione temporale, un linguaggio sospeso

nella spirale Vertigo del tempo, proprio alla

Chris Marker. Non sterile gioco citazionista,

piuttosto la densità e la discontinuità critica

dell’immagine-movimento di cui parlava

Deleuze.

Attraverso questo gioco si dirama un’amplifi-

cazione politica di concetti. Django nero pro-

cede attraverso un’educazione/abiezione, in

una crescita parallela al suo cadere in basso

(alto). King gli insegna parole, parabole,

paradossi e orrori (l’uccisione di un bandito

davanti al figlio), lo immette in una società

già dello spettacolo, facendogli (s)coprire

diversi ruoli in ascesa sociale (corrispondenti

a una progressiva abiezione morale), gli dà

l’identità, il nome (e parte I Got a Name di

Jim Croce). Da schiavo a fasullo valletto, da

finto esperto di lottatori mandingo a rivoltan-

te Freeman nero schiavista al cospetto del

più lurido e untuoso zio Tom mai visto sullo

schermo (un grandioso Samuel Jackson,

imbiancato nei capelli e nelle sopracciglia, su

modello del primo demoniaco house nigger

cinematografico, quello di Within Our Gates,

a firma nera di Oscar Micheaux). Alto è bas-

so e basso è alto. Oppure solo chi cade può

risorgere. Nella cultura bianca e in quella

afro. Siamo nell’Atlantico nero, due sono uno

e uno è due (e più…).

La possessione del dio, che nei riti voodoo

cavalca il devoto, come Django il cavallo,

sbalordendo tutti, tra le capre, a Daughtrey,

Texas (score morriconiano da Gli avvoltoi

hanno fame), è proprio il ridimensionamen-

to in vista del riscatto. Laddove il cavallo in-

carna il sub-umano, la bestia in noi (cfr. Jung)

la capra raffigura il principio maschile risor-

gente, la futura cornucopia, segno di anima

purificata, soul. Il punto di comunicazione

tra gli opposti è proprio la croce, immagine

emblema del primo Django e di quasi tutto il

cattolicissimo spaghetti western (presente di

n.86

nuovo nel Sukiyaki Western Django di Miike

Takashi). Ora non c’è. Se non virtualizzata

quale espiazione in vista dell’ascension o,

meglio, come crossroad, punto di incon-

tro tra gli opposti, alla base di quasi tutta

l’estetica nera. Diversi registi bianchi hanno

saputo aderirvi. L’Eastwood di Mezzanotte

nel giardino del male, il Demme di Beloved,

il John Sayles di Honeydripper, film che

sanciscono il riconoscimento dell’ «esisten-

za simultanea» (parole di Amiri Baraka). E

adesso Quentin Tarantino, nel privilegiare i

punti di passaggio.

A conti fatti, il suo Django si ritrova sempre

dinanzi a una nuova porta. Ingressi di città,

di case, ingressi di nuovi ruoli. Esprime il

segno di frattura tra schiavisti e antischiavi-

sti, vittima e carnefice, legge e trasgressione

(quello sceriffo/bandito, quella libertà e quei

soldi conseguenti all’uccidere…). Incon-

tra, nel modo della mitologia peul, le varie

persone della sua persona, le potenzialità

positive o negative che sonnecchiano dentro

di sé. E ciò implica una scelta morale. Morale

è soprattutto l’autore del film, stra-pulp

nelle scene simboliche di genere (Django

sterminatore di un’infinità di tutti, al pari di

Jim Brown in Slaughter’s Big Rip-Off), eppur

pudico quando l’orrore risulta vero (i cani

che sbranano D’Artagnan, la scena più forte,

messa fuoricampo o quasi, ripetizione stra-

niata e agghiacciante della scena dell’orec-

chio reciso nel primo Django, già duplicata

ne Le iene). I primissimi piani leoniani degli

occhi sono il contrappunto di resistenza a

tanto orrore agito, la premessa a un nuovo

umano sguardo. Tarantino fa la cosa giusta,

proprio come il suo Django. Checché dica o

pensi Spike Lee. n

Page 28: Teramani n. 86

Salute28n.86

L’ematuria

diCarlo Manieri

[email protected]

Innanzitutto alcune definizioni: per ematuria si intende la presenza

di sangue nelle urine; nella microematuria la presenza di sangue è

minima, non visibile ad occhio nudo ed evidenziabile solo con un

semplice esame di urine; nell’ematuria macroscopica o macro-

ematuria la presenza di sangue è evidente anche ad occhio nudo e

tale da colorare francamente le urine di colore rosso.

L’ematuria è la manifestazione clinica di una perdita di sangue, che

potenzialmente può verificarsi in ogni punto dell’apparato urinario:

rene, cavità renali (calici e pelvi, da dove le urine, secrete dal nefrone,

unità funzionale del rene, vengono convogliate in vescica attraverso

gli ureteri), ureteri, vescica, prostata, uretra, ovvero il canale attraver-

so il quale le urine vengono

emesse all’esterno.

Sono poi fondamentali le

caratteristiche dell’ematu-

ria: iniziale se è presente

solo all’inizio della minzione,

terminale se si manifesta

nell’ultimo getto di urine,

totale se presente durante

l’intera minzione. Di rilievo

è anche la valutazione del

colore delle urine: urine

color rosso vivo nel caso di

ematuria in atto, urine color

“lavatura di carne” quando

l’ematuria è modesta, color

“coca cola” nel sanguina-

mento pregresso.

Di importanza diagnostica

sono gli eventuali sintomi associati. L’ematuria può manifestarsi in

concomitanza con una sintomatologia acuta dolorosa nella regione

lombare, la classica colica renale, possibile espressione della migra-

zione di un calcolo lungo le vie urinarie. Classica è poi l’ematuria ma-

croscopica in occasione di una cistite acuta, cosiddetta emorragica,

infezione acuta del basso apparato urinario particolarmente frequen-

te nel sesso femminile, caratterizzata anche da intensa frequenza

minzionale, minzione dolorosa, bruciori minzionali, a volte febbre.

L’ematuria se macroscopica e monosintomatica, anche se si manife-

sta una sola volta, è da tenere in particolare considerazione in quanto

potrebbe essere l’unica espressione di una patologia tumorale.

Ora un rapido elenco delle più frequenti cause urologiche di ematuria:

cistite emorragica, calcoli delle vie urinarie (rene, uretere, vescica),

tumore del rene, tumore della via escretrice (cavità renali pieloca-

liciali, uretere, vescica), patologia benigna e maligna della prostata,

patologia traumatica, patologia iatrogena (dopo intervento chirurgico,

cistoscopia, cateterismo, ecc.). Esistono ovviamente anche cause

nefrologiche ovvero da patologia medica del rene (come le diverse

forme di glomerulonefrite e nefrosi, gli screzi da uso di farmaci, ecc.),

cause sistemiche (per esempio da deficit della coagulazione), le clas-

siche ematurie da esercizio fisico.

Ogni paziente in caso di ematuria deve rivolgersi tempestivamente al

proprio Medico.

Non esiste uno standard diagnostico strumentale o per immagine, ma

ogni paziente deve essere valutato in base all’età, le caratteristiche

dell’ematuria, gli eventuali sintomi associati.

Routinario dovrebbe essere in ogni caso un esame delle urine, che

tra le altre cose consente di verificare l’effettiva presenza di sangue,

in quanto un colore anomalo delle stesse, anche se raramente, può

essere causato dall’assunzione di alcuni farmaci ed alimenti, dall’eli-

minazione con le urine di sostanze derivanti da emolisi, da processi

degenerativi muscolari post-traumatici.

Altrettanto necessari devono essere alcuni esami ematici di funzio-

nalità renale ed una ecografia dell’apparato urinario. Quest’ultima

ci dà un quadro abbastanza accurato, anche se non conclusivo,

della morfologia dell’apparato urinario. A questo punto Il paziente

dovrebbe essere inviato

allo specialista Urologo che

valuterà l’opportunità, caso

per caso, di un approfondi-

mento diagnostico con ulte-

riori indagini, che potranno

andare dalla cistoscopia alla

citologia urinaria, esame

che consente di rilevare

con buona sensibilità e spe-

cificità la presenza di cellule

tumorali nelle urine, alla

TAC addome senza o con

uso di mezzo di contrasto

(UroTAC), fino ad arrivare ad

altre indagini più specifiche

ed invasive.

Malgrado gli sforzi, non

sempre le indagini effet-

tuate consentono di fare una precisa diagnosi eziologica; possono

ad esempio sfuggire piccolissime lesioni tumorali pielocaliciali ed

ureterali. Esistono poi le cosiddette “ematurie sine causa”, come nel

caso dell’ematuria microscopica, particolarmente frequente nel sesso

femminile, in cui non sarà mai possibile individuarne l’origine. In que-

sti casi è compito del Medico non abbandonare il paziente e lasciarlo

al proprio destino; il ripetersi di una ematuria anche dopo alcuni mesi

potrebbe riservare cattive sorprese. Deve infatti essere consigliato

un preciso percorso di controlli, ovvero un adeguato follow-up,

consistente in controlli seriati dell’esame urine, controlli ecografici

delle vie urinarie, citologie urinarie “tradizionali” o altri tipi di esame

citologico, messi a punto più recentemente.

L’ematuria non deve mai essere sottovalutata: “il nemico” potrebbe

essere dietro l’angolo. n

Un sintomo da non sottovalutare

Page 29: Teramani n. 86

Potremmo dire che piovve sul bagnato su una società

incapace di onorare quello scudetto che, con sacrifi ci

fatti in dieci anni di attività, era riuscito a conquistare.

Dieci anni in cui era stata assoluta protagonista nel

panorama della pallamano femminile italiana, sfi orando più

volte sia il titolo di Campioni d’Italia che la Coppa Italia, senza

dimenticare le molteplici partecipazioni alle coppe Europee,

sfi orando anche le semifi nali, cosa inusuale e non certo di tutti i

giorni per la pallamano italiana.

Ma oramai è inutile piangersi addosso e rammaricarsi per tutto quello

che non si è stati capaci di evitare, pur se, sicuramente, c’erano tutte le

premesse per poterlo fare.

La sentenza per l’esclusione dal campionato e della fi ne dell’ H. C. Teramo

2002 femminile è ormai cosa fatta.

Certo, ci sono stati anche interventi autorevoli delle Istituzioni teramane,

di questo bisogna dare atto, ma i termini legali e regolamentari erano già

scaduti da tempo.

Quello che lascia dubbi e perplessità sulla reale volontà di evitare questa

magra fi gura è il supporto di quelle persone che dichiaravano di avere a

cuore le sorti della società e del buon nome di Teramo sportiva e non.

Se è vero che le regole vanno rispettate e le sanzioni applicate, è anche

29Pallamano

diEgidio Romano [email protected]

n.86

E tanto tuonò che piovve...!!!

vero che ci sono delle deroghe “legali” che possono essere messe in atto

soprattutto quando queste deroghe vanno applicate per consentire ad

una fi orente attività giovanile le cui maggiori protagoniste sono ragazze

che tolgono spazio allo studio e al tempo libero per dedicarsi ad uno sport

che amano e che dovrebbe essere maggiormente tutelato.

Quello che fa ancora più male è che ciò è avvenuto in un ambiente, quello

teramano, che è un punto di riferimento per tutta la pallamano italiana.

ambiente in cui tante sirene sono state pronte a “cantare” sentenze oc-

casionali. L’addolcimento della pillola con la presenza in città dei massimi

organi federali ci è sembrato una mera opera propagandistica volta a

salvare la propria visibilità e indirizzare le colpe verso quella parte che

è già inchiodata alle proprie responsabilità.

Altro silenzio assordante è quello dell’appena costituitasi “Gran-

de famiglia dell’Handball”, nata per salvaguardare non si sa

ancora bene quali interessi. La formula dei vari campionati di

serie A 1 femminile e maschile sta mostrando tutte le sue la-

cune con squadre che vengono escluse, altre che riducono i

propri organici e altre ancora che all’ultimo momento ritengo-

no di non disputare gare già in calendario. La crisi delle Società

per lo più facenti capo ad una sola persona è evidente a tutti ma

per la Federazione sembra esista solo il progetto “Futura”. L’augurio

è che ci siano risposte chiare, concrete e sensate per risollevare le sorti

di questo sport a tutti i livelli. Per quanto riguarda la pallamano femminile

teramana, le voci danno il costituirsi di una nuova società che dia speranza

e fondamento per il futuro. A tutt’oggi nulla è dato sapere in merito e que-

sto lancia ombre sul futuro. Sperando che i ricorsi storici, per altro negativi,

che investono le società teramane che scompaiono e riappaiono, abbiano

fi ne e salgano alla ribalta solo entità che sappiano dare continuità a propri

progetti e non solamente alla salvaguardia del proprio io..

La logica dice che il primo obbiettivo deve essere quello di creare una

società che abbia prima di tutto un consiglio direttivo, meglio ancora se

capace, uno staff tecnico competente e una squadra che onori il nome

della città di Teramo. n

Nonostante lo scandalo della carne di cavallo spacciata per manzo

si stia allargando sempre più, l’Unione Europea temporeggia

sull’obbligo di indicare in etichetta la provenienza di tutti gli

alimenti, che il 71% dei cittadini comunitari ritiene invece

importante conoscere. A farlo notare è la Coldiretti, sulla base dei dati

di Eurobarometro, dopo la decisione della Commissione Ue che, su ri-

chiesta degli Stati membri, ha scelto solamente di anticipare ‘’all’estate

o all’inizio dell’autunno’’ la presentazione del rapporto, previsto per fi ne

Carne di cavalloa cura di Raffaello Betti

Direttore Coldiretti Teramo

Lo scandalo si allarga ma l’Ue frena sull’etichetta

Coldiretti informaanno, sull’etichettatura della carne lavorata e dei prodotti che la conten-

gono. Di fatto questo signifi ca che ci vorranno ancora anni prima di una

eventuale entrata in vigore delle nuove norme nonostante lo scandalo

della carne di cavallo abbia dimostrato concretamente il forte ritardo

della legislazione europea di fronte ai rischi di frodi commerciali causati

dalla globalizzazione dei mercati.

Dopo la Nestlé, l’“Horsegate” ha coinvolto anche l’Ikea, la multinazionale

svedese, con tracce di carne di cavallo trovate nelle polpette servite in

un punto vendita della Repubblica Ceca. Una scoperta che ha spinto

al ritiro immediato del prodotto in tutte le strutture del gruppo, Italia

compresa. “Si tratta di una inutile perdita di tempo che va incontro

alle pressioni esercitate dalle lobby che fanno affari nella mancanza di

trasparenza come ha dimostrato il giro vorticoso di partite di carne che

si spostano da un capo all’altro dell’Europa attraverso intermediazioni

poco trasparenti”.

Un meccanismo che rende diffi cile risalire all’origine delle contamina-

zioni sia per le multinazionali che per le piccole aziende, che dovrebbero

invece valutare concretamente l’opportunità di risparmiare sui trasporti

per acquistare prodotti locali che offrono maggiori garanzie di qualità e

sicurezza alimentare. n

salvare la propria visibilità e indirizzare le colpe verso quella parte che

è già inchiodata alle proprie responsabilità.

Altro silenzio assordante è quello dell’appena costituitasi “Gran-

Page 30: Teramani n. 86

In ogni attività sportiva, i primi passi di

un praticante inizia nel settore riservato

alle nozioni elementari della disciplina

prescelta. “ Scuola calcio” vuol dire luogo

dei primi apprendimenti per la pratica dello

specifico sport. Il Teramo si avvale dei Piccoli

Diavoli per organizzare l’ampia attività degli

aspiranti calciatori dove il giuoco, inteso in

senso generale, per il periodo di approccio

è preminente rispetto alla disciplina vera e

propria. Nelle fasi successive, la disciplina si

sviluppa fino a diventare attività principale

nei professionisti. Duecento iscritti è l’attuale

organico della scuola calcio ”Piccoli Diavoli”. La

giovanissima età impone una programmazione

specifica in più fasi nell’arco dell’anno che

va dai primi mesi dell’autunno fino alle porte

dell’estate. La prima fase invernale dei giovani

più grandi (2000/2001) si è conclusa con ottimi

risultati e con tanta voglia di far bene sotto

l’attenta e scrupolosa direzione degli istruttori

Paolo Gentile e Fabio Pepe. A breve partirà

la seconda fase primaverile. Il lavoro svolto

fin’ora ha evidenziato un costante progresso

dinamico, operativo, tecnico frutto di una

sinergia strettamente collegata e programmata

tra i vari istruttori e tecnici. La categoria pulcini

è forse la più attiva. L’ambito di coinvolgimento

si è allargato a quello regionale con intensità

partecipativa da far invidia agli atleti più maturi.

Il fiore all’occhiello è stata la partecipazione al

torneo natalizio di Giulianova. La qualificante

partecipazione di Società importanti ha ulte-

riormente dato prestigio alla manifestazione ed

anche se in simili circostanze il risultato conta

poco, aver perso la finalissima di misura ( 5 – 4

) è sempre motivo di orgoglio e gratificante

per il buon lavoro svolto a monte. I più piccoli

sono quelli che riservano tenerezza e creano

il vero clima di festa scorrazzando sul prato

verde. Una piccola valanga biancorossa di circa

ottanta bambini di età compresa da cinque a

otto anni, costituisce il nucleo più numeroso

che il Prof. Aldo Coccioli, responsabile della

scuola, con la collaborazione di Sabatino Perilli,

gestisce con professionalità. Tanta motricità

di base e stimoli ludici sono gli aspetti che

vengono curati offrendo situazioni variate e

semplici nello stesso tempo. Il lavoro di base

non è affidato all’improvvisazione, bensì ad

una precisa programmazione che gli istruttori

mettono in pratica in ogni momento dell’at-

tività. Gli stessi operatori vengono formati

ed aggiornati costantemente. La formazione

interna, infatti, è una priorità che la dirigenza

della Società ha fortemente voluto, orientando

il programma verso una diversificazione di

apprendimento e in modo mirato. La giovane

età e lo stesso concetto di “scuola” impon-

gono un rapporto costante con le famiglie. Le

relazioni con le famiglie è forse l’aspetto più

interessante, curato dagli operatori in modo

equilibrato senza forzature di alcun genere. C’è

fiducia e discreta partecipazione dei genitori

in un settore tanto verde, tanto lontano dai

palcoscenici abbaglianti della prima squadra.

Qualcosa di bello per il Teramo Calcio che

lavora per il futuro. Merito del grande lavoro

è dei tecnici e dell’apparato organizzativo, a

cominciare dal responsabile della scuola Prof.

Aldo Coccioli. Lo staff tecnico degli istruttori è

composto da: Gentile Paolo e Fabio Pepe per la

categoria esordienti (2000/2001), Alvaro Fran-

chi e Giovanni Foschi per la categoria pulcini

(2002), Claudio Belfiore e Andrea Saccomandi

per la categoria pulcini (2003), Domenico Di

Carlo e Leonardo De Camillis per la categoria

pulcini (2004), Sabatino Perilli per i piccoli amici

(2005,2006,2007), Alvaro Paternò preparatore

dei portieri. L’attività è svolta sotto l’egida del

vice presidente del Teramo Calcio Ercole Cimi-

ni, del D.G. Massimo D’Aprile e del responsabile

del settore giovanile Vincenzo Feliciani. n

Calcio30n.86

diAntonio Parnanzone [email protected]

I PiccoliDiavoli del Teramo

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