Teramani n. 86
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mensile di informazione in distribuzione gratuita
pag. 25
HOLLYWOOD RICORDATONINO GUERRA
ALESSIADE PAULIS
PARISEN LIBERTÉ
pag. 9
pag. 14
Marzo 2013
n. 86
“AVEVAMOCHIESTO A DIODI MANDARCELA BUONA... !!!”
64021 Giulianova (Te) c.so Garibaldi, 6564100 Teramo (Te) via Vincenzo Irelli, 31 - c/o Obiettivo CasaTel: 085 8001111 - 085 8007651 Fax: 085 [email protected] - www.juliaservizi.it
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SOMM
ARIO 3 Un Papa vero tra i papaveri
4 Teramo culturale 6 Sorpresa Ratzinger 8 Benvenuto Papa Francesco 9 Hollywood ricorda Tonino Guerra 10 Primavera Fai 12 La cura da cavallo del Commissario Micheli 13 Consci di sé senza terrore 14 Alessia De Paulis 15 L’Oggetto del Desiderio 16 Castelli: le città della Ceramica 18 Help 19 Il Parcheggio Vip di Via Noè Lucidi 20 Il Libro del Mese 21 Note Linguistiche 22 In giro 24 Ernesto D’Evangelista 25 Paris en Liberté 26 Cinema 28 Salute 29 Pallamano 29 Coldiretti informa 30 Calcio
Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio
Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano,Carmine Goderecci, Carlo Manieri, Maria Cristina Marroni, Silvio Paolini Merlo, Ortensio da Spinetoli,Antonio Parnanzone, Sirio Maria Pomante, Egidio Romano, Sergio Scacchia
Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.
Ideazione grafica ed impaginazione: Antonio Campanella
Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele
Organo Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930
Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa Bieffe - Recanati
Per la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738
Teramani è distribuito in proprio
www.teramani.infoè possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web
n. 86
Le lacrime di Batavia, conosciute come
le gocce del principe Rupert, sono sfere
di vetro fuso raffreddato nell’acqua. La
tempra provoca tensioni nel cristallo tanto
che lo fa resistere alle martellate sul bulbo
per ridursi in polvere con un graffio sulla
coda. Ed è Freud a paragonare le lacrime
alla folla acclamante: senza il capo, la massa
si disintegra. Se così è come dice Voltaire
che ognuno è libero di scegliere la propria
patria, la nostra ce la siamo voluta. L’istinto
segna l’essere. Sperare che qualcuno ritenuto
meglio di noi ci tolga dai guai. Guarda caso,
la persona prescelta, nell’intenzione di
sottrarsi ai propri compiti, delega uno ancora
più importante in cui riporre una fiducia
impropria. Catene di Sant’Antonio che
partoriscono uomini forti. L’ascesa al soglio
pontificio di Papa Francesco. Un Papa vero.
Vicino alla gente, che paga l’albergo di tasca
sua e saluta la folla con il pollice alzato. In due
giorni ha dimezzato tante di quelle spese che
i politici italiani hanno cominciato a guardare
con simpatia alla Chiesa di Scientology.
Comunque, la nuova legislatura può contare
su un parlamento meno chiacchierato con
i suoi 46 indagati e 3 condannati rispetto ai
116 indagati di quella appena conclusa. Che
Dio ce la mandi buona! Una preghiera stonata
se si presta orecchio alla requisitoria di
Berlusconi contro la magistratura: “...è peggio
della mafia siciliana” (LASTAMPA.it, 23/02/13).
Si dice di tutto per gonfiare una percentuale.
Così ha fatto l’abruzzese, l’emigrante
immortalato nella foto esaustiva del
quotidiano il Centro (il Centro, 01/02/13).
Il senatore Antonio Razzi ha battuto i pugni
sul tavolo per la riduzione dello stipendio
dei parlamentari. L’abruzzese che ci onora
nel mondo con la sua somiglianza giovanile
con il cantante Antoine, il linguaggio forbito,
l’eloquio dalla forza affabulante della vita nella
sua molteplicità ha dichiarato: “Così vado a
dormire in sacco a pelo. Mi adatto perché
vengo dal mondo operaio” (La Repubblica, 21/03/13).
Una lacrima di Batavia che sta per
disintegrarsi? n
3L’Editoriale
Un Papa vero trai papaveri
diMimmoAttanasi
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4n.86
Le molte vite del BragaFasti e miserie di un gioiello incustodito
Ciò che più colpisce scorrendo le pagine del tutt’ora fondamentale
volume Musica e società a Teramo, apparso per i cento anni
dalla nascita della Società musicale “La Cetra”, diretta proge-
nitrice dell’Istituto musicale “Gaetano Braga”, è capire quanto
intimamente il Braga abbia fatto parte della vicenda culturale teramana,
vicenda che risale almeno al XIV secolo di Antonio Zacara, e che da
allora ha coinvolto ceti agrari e famiglie gentilizie, confraternite laicali,
piccole società corali, le attività teatrali dei Corradi e dei Ciotti, per
nascere e rinascere innumerevoli volte, sotto forme e nomi diversi, sino
a confondersi con la storia di tutta la comunità. Eppure, dagli archivi
diocesani fino alle
pagine di periodici e
quotidiani, dagli atti no-
tarili alle retrospettive
storiche, traspare con la
stessa evidenza quanto
esso abbia faticato a
nascere e radicarsi, e
come, pure così antico,
sia giunto in ritardo ad
agire beneficamente sul
territorio rispetto alla
carriera personale dei
musicisti conterranei
più rilevanti, i Braga, i
Badia, i Riccitelli, tutti
formatisi artisticamente
lontano da Teramo.
La vicenda istituzionale,
anzitutto, è ben esplica-
tiva di questo ininterrotto travaglio: l’ambizione ultima, quella di essere
Conservatorio statale, nasce fin dalla notte dei tempi della teramanità,
dalle nebbie delle vicende bandistiche e delle prime congregazioni dilet-
tantistiche animatesi in seguito all’Unità, frutto di spinte contrapposte
tra interessi pubblici e privati, moderati e progressisti, ovvero tra le due
anime cittadine dell’oligarchia intellettuale e quella piccoloborghese
operaia e impiegatizia. Un primo embrione del Braga si genera a seguito
del costituirsi di un’Accademia Filarmonica, nata l’8 gennaio 1879,
alla quale si affiancherà nel 1880, per iniziativa di Alfonso Cipollone,
un Circolo Filarmonico riservato all’educazione musicale femminile. Si
dovrà attendere il 1895, lo stesso anno in cui a Portici muore De Filippis
Delfico, per udire i primi vagiti di una “Scuola gratuita di strumenti ad
arco”, limitata a otto allievi, quattro violini, una viola, un violoncello e
due contrabbassi. Nasce così la Scuola musicale “La Cetra”, dapprima
nel salotto dei Savini, e più tardi, il 5 luglio 1906, nella ristrutturata
abitazione del custode del Teatro Comunale, ribattezzata “Sala della
Cetra”, misurandosi con le difficoltà inenarrabili che precedono la Gran-
de Guerra, povertà diffusa, scioperi sul caro pane e quant’altro da un
lato, e con la dipartita di sostenitori importanti come Giuseppe Savini,
Giovanni Thaulero, e lo sparuto stuolo di musicisti convinti sostenitori
come Nicola Dati e Raffaele Malaspina dall’altro. Prima del definitivo
insediamento nell’ex monastero benedettino di S. Giovanni a Scorzone,
risalente al 1834 ma resosi disponibile solo nel 1934 dopo l’incamera-
mento da parte dello Stato, la scuola, divenuta frattanto Liceo musicale,
venne ospitata per qualche tempo in un appartamento del Villino Rocco
in Via de’ Ponti, oggi via Carducci, allora poco più di un viottolo.
Non meno significativa è la storia del Braga sotto il profilo artistico
e amministrativo.
Illuminanti, in merito, le
testimonianze lasciate
dai maestri Dante Valen-
tini e Franco Rampini. La
“Cetra”, pur avvalen-
dosi di docenti quali
il pesarese Giuseppe
Righetti per il violino
e il senese Arcangelo
Masotti per il violoncello,
proveniente dal S. Cecilia
e da una lunga carriera
solistica, non si confi-
gurava come scuola di
avviamento professio-
nale, non rilasciando né
diplomi né attestati ma
avendo il solo scopo
di rifornire le società
bandistiche e l’organico orchestrale per i cartelloni del Teatro Comunale.
Determinante per il passaggio a istituzione pubblica di alta formazione,
e dunque per quell’anelato traguardo del riconoscimento ministeria-
le, sarà l’arrivo a Teramo della figura di Dante D’Ambosi, pianista e
compositore originario di Zagarolo, anche lui ceciliano per formazione
artistica, al quale si deve in pratica ogni cosa, il pareggiamento, la prima
orchestra stabile intitolata a Luigi Badia, il primo Ente concertistico. Ne
fu artefice l’avvocato Giustiniani che, rivoltosi ad Alessandro Bustini a
Roma, richiese esplicitamente qualcuno che trasformasse la scuola
in Liceo musicale pareggiato. D’ambrosi venne scelto entro una rosa
di nomi di indiscutibile peso, formata da Fernando Germani, Cristiano
Rosati e Goffredo Petrassi. Il perché della scelta è di facile spiegazione:
D’Ambrosi, che aveva studiato con Alessandro Bustini e Bernardino Mo-
linari, era al contempo un determinato uomo d’azione. Requisiti minimi
per il pareggiamento erano l’attivazione di cinque cattedre principali,
insegnanti di conclamato livello nazionale, la presenza di una società
dei concerti. Qualcosa di miracoloso nella Teramo di allora, e D’Ambrosi
Teramo culturale
diSilvioPaolini Merlo [email protected]
Il Villino Rocco, poi demolito,sede provvisoria del Braga
Chiostro dell’Ex Monastero S. Giovanni, sede attuale
5
lo fece. Fin dai primi anni Trenta giunsero
a Teramo fra gli altri il pianista Elio Liccardi
da Roma, il violinista Vittorio Emanuele, tra i
massimi virtuosi del tempo, primo premio a
Parigi, e il violoncellista Umberto Benedetti, di
fama certamente europea. Il Trio Teramano,
che nascerà di lì a poco grazie al fortunato
convergere di simili eccellenze, non ha pro-
babilmente avuto eguali da allora a oggi tra le
formazioni strumentistiche locali.
Nel corso del suo incarico direttivo a Teramo,
si devono a D’Ambrosi fra l’altro il passaggio
di pianisti come Carlo Zecchi, tra i mag-
giori della sua epoca, e di Alfredo Casella,
uno dei più importanti musicisti italiani del
Novecento. E a D’Ambrosi si dovrà infine,
nel corso di un’esecuzione del Concerto in
mi minore di Mendelssohn alla presenza del
ministro Bottai, a coronamento dei numerosi
appuntamenti con il repertorio sinfonico
dell’Orchestra Filarmonica Badia, la decisiva
sollecitazione al conferimento, nel 1939, del
riconoscimento ministeriale. Malgrado tanto
fervore, il succedersi delle ispezioni fu da
allora pressante, e il rischio di ricadere verso
il basso dopo l’iniziale colpo d’ala sarà non
di rado scongiurato col ricorso a funambolici
stratagemmi, riportati dai protagonisti con
candore quasi commovente. Allontanatosi
D’Ambrosi, vincitore di una cattedra di
contrappunto e fuga a Milano, la situazione
del Braga visse tra continue traversìe e oscil-
lazioni, che nel dopoguerra si fecero sempre
più gravose. Spostato a Piazza S. Anna, senza
il minimo aiuto da parte di istituzioni comu-
nali e provinciali che, gravate da problemi
di altro genere, sembravano aver perso la
facoltà di vedere nel Braga un bene più che
voluttuario, il Liceo musicale sopravviveva in
locali fatiscenti, stipendi in arretrato, e con
l’aggravante di una classe di arpa nata solo
sulla carta per consentire il numero minimo
di cattedre. La visita ispettiva di Petrassi
nel 1945 ebbe esiti disastrosi: «Qui è tutto
da sbancare», pare abbia sentenziato. Se
il Braga non giunse alla chiusura fu solo
grazie all’intervento dell’allora presidente
Ugo Giammiro, che rischiò personalmente
la denuncia del Provveditore tornando ad
occupare i locali in Piazza Verdi, ottenendo
in seguito a ripetute interpellanze la ricon-
cessione del pareggiamento. Ciò permise
l’avvio di una nuova rifioritura dell’istituto,
ricca di nomi che hanno costituito il meglio
dello scenario musicale cittadino degli anni
Cinquanta e Sessanta: Livia Varriale Longo,
eccellente violinista napoletana, Vittoriano
Della Cananea, tra i massimi violoncellisti
italiani del secolo, e ancora Alberto Collavoli,
Francesco Mander, Emma Raggi. Figure d’ec-
cezione in più sensi, chiamate a mettere al
servizio della collettività teramana la propria
n.86
arte in condizioni che talvolta sfiorarono il
missionarismo umanitario. Franco Rampini
ricorderà con una certa costernazione il suo
primo stipendio, di molto inferiore a quello
di uno spazzino. E sarà ancora Valentini a
riferire di quando, negli anni dell’immediato
dopoguerra, un Letterio Ciriaco gli doman-
dava francamente chi glielo facesse fare a
insegnare in classi di settanta allievi con uno
stipendio talmente misero. Rampini finirà
col dimettersi da direttore. E per gli altri
saranno lotte, scioperi a oltranza, conquiste
e benefici che giungeranno poco alla volta, a
piccole dosi.
Va perciò detto: il Braga è stato dal principio
a oggi un desiderio mai del tutto coronato,
un’ambizione dalle potenzialità smisurate
mai andata oltre obiettivi di medio livello e
di modesta gittata. Eppure proprio da esso
è nato tutto il meglio che la città di Teramo
abbia espresso in questo campo, dalla
Corale Verdi alla Società Riccitelli. Ripensare
all’andirivieni di artisti di primissimo piano
che costella la sua storia, le molte vite indivi-
duali e istituzionali che esso ha avuto, credo
valga molto in un momento come questo,
nel quale l’araba fenice sembra rischiare
ancora una volta di tornare cenere. Michele
Campanella, a conclusione di un suo recente
concerto, ha richiamato l’intera cittadinanza
a non permettere che un simile gioiello,
risorsa tra le più degne di tutela tra quante
oggi la comunità cittadina possa vantare,
nata e rinata grazie all’impegno alla passione
e ai sacrifici di tante nobili figure, possa
essere abbandonata e soccombere. Alle mol-
te vite del Braga, e a quelle future, ho voluto
dedicare queste righe. n
Dante D’Ambrosi alla testa dell’Orchestra Filarmonica Teramana (1961)
Terzo da sinistra: Dante D’Ambrosi e a seguire Vittorio Emanuele e Carino Gambacorta;terzo da destra, in seconda fila: Vittoriano della Cananea
Il pontefice che verosimilmente non sarebbe passato alla storia per
speciali doti di governo, vi passerà senz’altro e meritatamente per il
modo con cui ha voluto chiudere il suo mandato: le dimissioni. Non
possono non tornare alla mente le parole di Caifa sulla sorte del
Cristo che secondo Giovanni, pur a sua insaputa, si rivelarono profetiche
perché egli era il “sommo sacerdote di quell’anno” (11,51).. Allo stesso
modo la decisione papale potrebbe equivalere a un pronunciamento
profetico sul futuro della chiesa, che potrebbe passare da un regime
totalitario a uno più democratico, ossia veramente evangelico, poiché
il “primato petrino” è sì presente in Matteo
e subordinatamene in Luca e Giovanni, ma
non sembra uscito dalla mente di Cristo che
ha consegnato la sua parola a tutti i suoi
ascoltatori ai quali ha chiesto di ritrovarsi tra
di loro “fratelli” e di non sentirsi subalterni
a nessuno (cfr. Mc 10,41 – 45 e paralleli)
neanche a Dio per il quale gli uomini sono
solo figli.
Papa Ratzinger anche se proveniva da un
paese di ben note tradizioni militaristiche,
non sembrava rivelarsi un comandante; non
ne aveva I’animo, le attitudini, la voglia. Le
sue passioni erano lo studio, la musica, l’arte;
si può aggiungere era un teologo nato e tale
si era subito rivelato, soprattutto attento ai pensatori delle origini, i padri
(sant’Agostino) o del medioevo (san Tommaso, san Bonaventura) più
che dei nostri giorni, anche di quelli presenti al concilio. Ad ogni modo
era quella la sua vocazione, quello che avrebbe dovuto continuare a
fare, ma sembra che si sia lascito prendere da quel pizzico di vanità che
non è assente in nessuno, neanche in un ecclesiastico che il più delle
volte si trova a condannarla e si è ritrovato in un ingranaggio che finirà
per travolgerlo, passando da una promozione all’altra. Prima vescovo,
poi prefetto della più importante congregazione vaticana, quindi papa,
sempre continuando a fare lo studioso cosi non si è ritrovato un superte-
ologo né uno straordinario amministratore.
A Monaco mi dicevano, quando ero lassù a fare il parroco estivo, non
aveva accontentato i giovani troppo progressisti, né gli anziani troppo
tradizionalisti, anche se era per tutti una persona affidabile, mite, buona.
Venuto, ossia chiamato a Roma alI’ex sant’Uffizio, si era venuto a trovare
a fianco un segretario tuttofare che gli aveva consentito di potere
attendere ai suoi studi senza forse pienamente seguire di persona tutti i
problemi del dicastero e rendersi conto delle “piaghe” della chiesa. E per
sua sfortuna se lo porterà con se quando si sposta più in là nei palazzi
vaticani. Ma qui si è trovato costretto. ad aprire gli occhi e a rendersi
conto della situazione in cui si era cacciato.
A rigore avrebbe potuto rimettere le cose a posto, provarsi a rivedere il
“sistema”, a ”riformarlo”, procedere a un “extra omnes” categorico e irre-
vocabile, ma non l’ha fatto, ha preferito tenersi fuori, farsi da parte. In altre
parole “fuggire”. E’ in questo senso che si può parlare di “gran rifiuto” se
non di”viltade”. Sansone aveva preferito ritrovarsi sotto le macerie del
tempio di Dagon con i filistei, per non cedere alle loro pressioni e Gesù
pur con la prospettiva di finite sulla croce non aveva desistito dal predi-
care contro il luogo sacro e le istituzioni del suo paese. Anche Ratzinger
teoricamente avrebbe potuto provarsi a rovesciare l’apparato, a scon-
volgerne l’impalcatura ma ci voleva un altro uomo, un’altra personalità,
un’altra tempra, un’altra età. Le dicerie giornalistiche a commento della
sua elezione e delle sue prime comparse in pubblico parlarono di “pasto-
re tedesco”, ma egli era solo un idealista hegeliano più idoneo a risolvere
le tesi e antitesi kantiane che le beghe o le guerriglie della curia romana. E
l’eroismo lo si può sempre consigliare, proporre ma non imporre.
Certo, la sua retrocessione per quanto spontanea è sempre una prova di
grande umiltà e coraggio anche se compensati dagli eventuali benefici
personali che ne possono conseguire, la possibilità di ritrovare spazio
per se stesso, i propri hobby, l’attenzione ai problemi della mente e
del cuore, la serenità interiore, riverito e
servito egualmente dai vicini e dai lontani. La
rinuncia non è un semplice gesto di cronaca;
è un evento e non della piccola bensì della
grande storia. I devoti l‘hanno appresa con
rammarico e ancora piangono, mentre i
potenti cioè gli elettori del futuro papa hanno
cominciato a fare i loro giochi o calcoli ma
la collettività credente, i benpensanti non
hanno che da rallegrarsi. “Gaudet mater
ecclesia” proclamava papa Giovanni alI‘aper-
tura del Vaticano II; è lo stesso grido che in
questi giorni dovrebbe provarsi a ripetere la
cattolicità, non perché ci si debba rallegrare
degli insuccessi di qualcuno, che poi tali non
sono, ma perche si è aperta una breccia nelle mura leonine che presto o
tardi andrà a mettere a soqquadro tutta la cittadella. Non solo la durata
del governo papale potrà in futuro diventare ad tempus, ma anche la ele-
zione potrebbe essere allargata a una più larga cerchia di partecipanti, se
non a tutti i vescovi almeno ai presidenti delle conferenze episcopali, ai
superiori maggiori degli istituti maschili e femminili, compreso un certo
numero di laici. Il medioevo era caratterizzato da preclusioni e chiusure
ma l’era moderna ha scoperto per tutti lo stesso piano di dignità e diritti.
Per quanti demeriti papa Benedetto possa avere accumulato, in realtà
sono molti e gravi: certe ambiguità nel corso del concilio, l’ostruzionismo
ai documenti qui emanati sottoposti a una arbitraria interpretazione au-
tentica, il boicottaggio ai teologi e alla teologia della liberazione, il rifiuto
al rinnovamento della dottrina cattolica nel far redigere il suo “Nuovo
catechismo” e della cristologia con la “Dichiarazione Dominus Jesus” e
i tre volumi su “Gesù di Nazaret”, infine la disattenzione o chiusura ai pro-
Sorpresa Ratzinger6n.86
Le dimissioni di Benedetto XVI
diOrtensio da Spinetoli [email protected]
Scelta strategica o profetica?
motori del rinnovamento conciliare e riguardi
immotivati ai levrebvriani, ma questa inattesa
ma provvidenziale conclusione data al ponti-
ficato, se non vale a cancellarli li rende meno
sgradevoli, almeno più sopportabili. La “barca
di Pietro” è diventata troppo grande ma la
scelta di papa Ratzinger ha provato a riportarla
verso le dimensioni umili e semplici volute dal
suo fondatore. Ormai tutti aspettano che que-
sta sua ultima “lezione” veramente magistrale,
ben diversa da quelle di Ratisbona o di Parigi,
pur per altro verso celebri, sia capita e attuata
dai suoi successori e dai loro gregari. n
Ortensio da SpinetoliBiografiaClasse 1925, è sacerdote cappuccino dal
1949. Dopo il corso seminaristico inizia la
sua specializzazione biblica nell’università di
Friburgo, continua in quella di Innsbruck (al
tempo dei fratelli Rahner) prima di passare
al Pontificio Istituto Biblico di Roma dove
tra gli esimi professori spiccano A. Bea w
M. Zerwick, esponenti I‘uno della tradizio-
ne, I‘altro del rinnovamento. Il semestre
a Gerusalemme, presso lo Studio Biblico
Francescano, onorato dal grande B. Bagatti,
conclude la sua formazione scolastica e
apre la fase dell’insegnamento biblico nello
Studentato Teologico di Loreto (1954) che si
estende al Seminario vescovile di Macerata
e più tardi a Roma (Antonianum, Facoltà te-
ologica valdese, PIME). Vissuto in un periodo
di transizione, si è trovato impegnato per il
rinnovamento esegetico, sia nella scuola che
nella chiesa, con la parola e con gli scritti.
Il primo testo “Maria nella Bibbia” (1963 IV
ediz. 1988) contribuì all’ aggiornamento di
mariologia in Italia e all’estero, ma gli causò il
primo richiamo del Sant ‘Uffizio (1964).
Il Concilio Vaticano II favorì inattese aperture
per la ricerca, così anche Ortensio potè
pubblicare i suoi primi saggi: “Introduzione
ai Vangeli dell’infanzia” (1967) che provocò
all‘interno della chiesa reazioni contrastan-
ti, “Bibbia parola umana e divina” (‘1968),
quindi “Il vangelo del primato “, Brescia
(l9669), “Matteo. Commento al vangelo della
chiesa) Assisi, Cittadella (1970), oggi alla 6ª
edizione e tradotto in ungherese; ‘Lettere
ai tessalonicesi” nella collana Nuovissima,
versione della Bibbia a cura delle edizioni
Paoline, 1971.
Il nuovo clima scaturito dal Concilio consentì
una maggiore libertà di movimento ai ricerca-
tori che si trovarono così a godere di maggio-
re visibiltà e considerazione. Forse anche per
questo Ortensio, nel 1967, fu eletto Superiore
provinciale dei cappuccini delle Marche e
invitato a tenere lezioni di spiritualità biblica
al Pontificio Ateneo Antonianum di Roma.
Il tema scelto e approvato fu “Gesù Cristo,
il suo itinerario spirituale“. Il testo sarà pub-
blicato dalla Cittadella di Assisi in tre v6lumi
(1971-1974). Era una novità già segnalata
in un convegno del ‘69 che ora è ripresa più
tecnicamente. Che Gesù avesse proposto un
ideale di vita era ovvio, m che prima l’avesse
dovuto percorrere, e con fatica, lui stesso,
non sembrava essere ancora essere stato
affermato chiaramente da alcuno. L‘indagine
sull‘identità di Gesù continuerà nei brevi testi
di esegesi pubblicati su riviste secondarie
fino alla tentata reinterpretazione degli
articoli cristologici del “Credo” in “Bibbia e
Catechismo” (pp. 87-182).
L‘aria nuova del Concilio andò presto
diradandosi fino a sembrare scomparsa del
tutto dando avvio ad un periodo difficile per
i ricercatori. Anche Ortensio si è trovato a
dover subire “un regolare processo” presso
la Congregazione della fede (1974). Non è
condannato ma deve egualmente subire
le sanzioni d’ufficio: rimozione dall’inse-
gnamento e restrizione dei suoi interventi
pubblici. Inizia così un trentennio di silen-
ziosa emarginazione, che non sarà tuttavia
di stasi ma di lavoro sempre più intenso e
fecondo. Cerca di crearsi un piccolo spazio
di libertà (v. “La conversione della chiesa”
1975) e può continuare a frequentare la
biblioteca del Biblico. L’accesso a questo
eccezionale santuario di cultura gli permette
di approfondire i suoi studi e di tenersi a
contatto con gli specialisti che vi si incontra-
vano e con i progressi che la scienza biblica
va registrando. In questo periodo sviluppa
diversi scritti: ‘Luca. Il Vangelo dei poveri “,
Assisi, Cittadella, 1982c (oggi alla 4ª edizione
e anch‘esso tradotto in lingua ungherese);
“Chiesa delle origini chiesa del futuro”,
Roma, Borla 1986; ‘La tua parola lampada
ai miei passi. Sussidi per l ‘omelia festiva “,
anno A, B, C, Roma, Dehoniane, l989-, 1991; “I
consigli evangelici. Proposta e interpretazio-
ne “, Roma, Dehoniane, 1990; “La prepotenza
delle religioni “, Roma, Datanews, 1994; “Il
vangelo del Natale. Annuncio delle comunità
cristiane delle origini” - Roma, Borla, 1996;
“Francesco: l’utopia che si fa storia “, Assisi,
Cittadella, 1999; ‘Bibbia e catechismo. Il
credo, i sacramenti, i comandamenti “,
Brescia,Paideia, 1999;
“La verità incerta “, Molfetta, La ‘ Meridiana,
2003; “I cappuccini marchigiani in Etiopia“,
Recanati, 2004. La Famiglia di Gesù?! La Me-
ridiana, 2007; Bibbia parola d’uomo, ibidem
2009; Io credo-Dire la fede adulta, 2012 La
Meridiana.
Gesù di NazaretLa Meridiana, 2005
La figura di Gesù che viene presentata in
questo nuovo saggio potrebbe sembrare
avventata, tanto appare diversa da quella di
cui si è soliti sentir parlare in chiesa o nelle
scuole di teologia: di fatto è il risultato di studi
ed approfondimenti che si sono protratti per
alcuni decenni con lealtà e coerenza da parte
di un autore che, rimanendo fedele ai principi
della ricerca, non rinuncia a sviluppare possibi-
li intuizioni innovative.
Sullo sconosciuto GesùDato che non è ancora obbligatorio farlo, non
comprerò il recentissimo volume del Papa su
Gesù Cristo, gironzolando per le librerie, vedo
che si vende un sacco. E allora vorrei consi-
gliare un altro libro sullo stesso tema, un libro
che guarda all’argomento da una angolazione
decisamente differente. Eppure l’autore è un
cattolico, frate cappuccino dal 1949 e studioso
della Bibbia, un frate aperto al mondo e
lontano mille miglia dalle chiusure vaticane.
Così presenta Gesù in copertina: “...un concit-
tadino che ha provato a schierarsi dalla parte
delle frange più indifese della popolazione: In
lui trovarono finalmente fiducia quanti non
avevano potuto mai averla: . gli ultimi i poveri,
i peccatori, gli ammalati, gli esclusi, persino
i pubblicani, e le stesse meretricì”. Questo
Gesù di Nazaret (254 pagine, 15.50 euro,
edito dalla Meridiana di Molfetta www.larneri-
diana.it) affronta con originale audacia colma
di roventi dubbi temi come la famiglia di Gesù,
il suo rapporto con le donne, là sua umanità,
le sue esitazioni, la sua radicale contestazione
del potere, la sua sconfitta, il suo passare a
tutti noi il testimone della lotta contro le ingiu-
stizie. Lo dico da protestante valdese: uno dei
più bei testi su Gesù che io conosca.
Pubblicato da Luciano Comida sul
proprio blog Internet in data 23.04.07
7n.86
Chi non ha esultato nel sentire il nome del nuovo pontefice?
Non ce ne poteva essere un altro più gradito, beneaugurante,
profetico. Già da solo è un ampio, insolito programma. France-
sco è figlio di una città umbra ma non appartiene tanto ad essa
quanto a tutto il mondo. Infatti ovunque egli è conosciuto, amato,
venerato. La sua memoria si è trasmessa nel tempo come un canto di
benedizione e di grazia.
Padre Giorgio Maria Bergoglio appartiene ad una famiglia religiosa
voluta da un ex ufficiale del più formidabile esercito del ‘500, per
questo ha pensato ad una “compagnia” di militi a servizio della fede
cattolica, minacciata da secessionisti del nord Europa, ma egli è nato
e vissuto in un paese lontano della vecchia Europa dove la rigidità
ignaziana era andata coniugandosi con lo spirito di libertà che regnava
nel nuovo mondo che aveva contagiato anche i missionari, compresi
i gesuiti, come risulta dall’adesione data nel ‘600 alle “reductiones”
(convivenze autonome di indigeni e missionari che non si trovavano
sempre in sintonia con la logica dei conquistadores fino ad essere da
loro massacrati) ed è attestato ai nostri giorni dalla resistenza che i
gesuiti del Salvador opposero fino al martirio, ai tiranni che spadroneg-
giavano nel paese, sempre dello stesso continente latino-americano di
cui l’Argentina è tra le prime nazioni.
La scelta del nome Francesco può avere sorpreso quelli che non
conoscevano l’Arcivescovo di Buenos Aires del quale ormai, tramite le
svariate trasmissioni radio televisive, tutti conoscono tutto su di lui; il
suo sobrio, povero tenore di vita, la sua fuga dal grande episcopio, per
collocarsi in un modesto appartamento, male arredato (arrivando dei
parenti dal Piemonte dovette andare a prendere le sedie in prestito),
privo di inservienti o di ufficiali di curia (risponde al telefono personal-
mente) Si metteva in movimento con i mezzi pubblici o con la bicicletta
e ora che deve prendere l’auto la guida da sé. Ma quel che più conta
è che cercava sempre di tenersi in contatto con chiunque ha bisogno
del suo aiuto e si ritrovava di preferenza nei quartieri più abbandonati
o “malfamati” presenti in tutte le metropoli, riuscendo a dialogare con
chiunque e a dare una mano a chi glielo chiedeva, senza eccezioni.
Ed è per queste varie ragioni che egli, già a suo modo sulla strada del
santo di Assisi, si affretta a prenderne il nome da papa.
Quando il giovane figlio di Pietro di Bernadone si sentì spinto a
prendere un altro itinerario non andò a nascondersi in una grotta né
a chiudersi in uno dei conventi della regione ma risolse di “uscire dal
mondo” come afferma nel suo testamento che equivaleva alla città di
Assisi, raccolta attorno, raccolta intorno al municipio e al vescovado,
occupata dai signori, dai nobili, dai ricchi mercanti, quali anch’egli
apparteneva. In una parola i maiores, per portarsi fuori le mura dove si
trovavano i nullatenenti, gli indifesi, gli emarginati, i braccianti, i poveri,
i mendicanti, i briganti, i lebbrosi; in altri termini i minores. Egli e i suoi
seguaci non vanno per accrescere il loro numero ma per condividere le
loro privazioni, umiliazioni, sofferenze morali e materiali, accollandosi le
loro fatiche, lavorando, pregando e cantando con loro, per essere come
loro e per loro. La comunità di Francesco passa da una contrada e da
una città all’altra non seminando panico al pari dei flagellanti, con gli
emblemi, teschi di morti in mano ma con pseudo strumenti musicali e
invitando tutti alla letizia e alla pace.
Il carisma di Francesco è molto più ampio e profondo: oltre la preferen-
za per i poveri, i malati, i lebbrosi, compare il ritorno al vangelo chiesto
a tutti e tacitamente anche alla gerarchia, il richiamo alla gioia, all’otti-
mismo, alla pace, al dialogo interreligioso, al rispetto e all’affetto fem-
minile (v. l’amicizia con la sorella Chiara, Jacopa dei Settesoli, le Povere
Dame di san Damiano) ma può rientrare egualmente nel programma di
un pontefice, anzi più che agli altri perché si pensa che è o deve essere
il primo testimone di Cristo di cui Francesco è l’altra immagine.
La Chiesa Cattolica8n.86
Benvenuto Papa Francesco
diOrtensio da Spinetoli [email protected]
Segue a pag. 9
Nella notte delle stelle a Los Angeles, il 25 febbraio, tra un premio
Oscar e l’altro, George Clooney nella sezione “In memoriam”
ha scandito, per la miriade di star presenti, due nomi di italiani
da esportazione che nel corso del 2012 ci hanno lasciati e che
già ci mancano tanto: il poeta e sceneggiatore Tonino Guerra (sulle cui
spalle da gigante mi sono spesso inerpicato per allargare i miei oriz-
zonti) e il papà di E.T. Carlo Rambaldi. In loro onore Barbra Streisand,
tornata sul palcoscenico di Hollywood dopo 36 anni dalla sua prima (e
unica) apparizione, ha cantato “The way we were”.
Hollywood aveva incoronato Tonino nel febbraio di due anni fa: allora la
Writers Guild of America, associazione che rappresenta gli sceneggia-
tori di televisione e cinema della capitale mondiale del cinema, aveva
conferito il prestigioso premio Jean Renoir per la carriera proprio a
Tonino, “uno dei più grandi sceneggiatori dei nostri tempi e leggendario
scrittore internazionale”, era scritto nella motivazione letta da Howard
A. Rodman, “che da sei decenni ha migliorato la letteratura delle imma-
gini animate”.
Allora rimase in Italia il 90enne regista preferito di Federico Fellini (con
lui aveva vinto l’Oscar del 1975 con Amarcord), Michelangelo Antonioni,
Vittorio De Sica, Mario Monicelli, i fratelli Taviani, Francesco Rosi, Andrei
9Sulle spalle dei gigantin.86
Tarkovskij, Wim Wenders e Theo Anghelopoulos (con il quale nel 1998
vinse la Palma d’oro al Festival di Cannes per il film L’eternità è un gior-
no). Rimase nella nativa Santarcangelo di Romagna dove proprio quel
giorno di festa lo intervistai pubblicamente in teatro. Nella sua veste
più variegata di poeta scrittore e artista, Tonino affrontò i temi a lui più
cari: la Romagna, l’amata Russia regalatagli dalla sposa Lora Krendlina,
i registi con i quali aveva lavorato per i suoi 120 film, i suoi rapporti con
la civiltà contadina e con le mani sapienti degli artigiani della Valmarec-
chia, valle già indicata dal direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci
come “la valle più bella d’Italia” ma resa ancora più magica dall’arte e
dalla poesia di Tonino.
Quando arrivammo a parlare del greco Anghelopoulos, Tonino anticipò
uno scenario come spesso capita a un poeta: “Prepariamoci a vivere
un tempo di povertà”. E aggiunse parole che oggi assumono una
profetica attualità: “Sono andato a trovare Theo in Grecia qualche
tempo fa. Tra i luoghi visitati, l’incontro più sconvolgente l’ho avuto a
Olimpia. Questo
enorme cimitero
di rotoli di pietra
che racchiudono
pensieri religiosi
antichissimi. Mi
sono avvicinato
allo stadio rettan-
golare dove sono
nate le Olimpiadi.
In questo mondo
di frantumi e
colonne sfasciate
e marmi caldi di sole e secoli pietrificati, una cosa mi ha stupito, l’unica
presenza intatta: “la riga di pietra” in cima al campo sportivo dove
scattavano gli atleti delle corse e di tutte le competizioni. Ho avvicinato
questo segno con timidezza e con lo stupore di trovarmi davanti a un
qualcosa ancora pronto a servire. Ma dov’erano gli atleti per la corsa?
Ero solo e toccava a me raccogliere questo segnale. Ormai tutte le mie
corse le faccio con l’immaginazione. Quella linea si è subito fissata
nella mia memoria”.
Quella riga di pietra di Olimpia è segnata nella mia mente come una
presenza forte perché mi piace pensare che solo da quella linea possa
scattare idealmente la corsa vincente della Grecia e dell’Italia contro la
povertà ingiusta. n
HollywoodricordaTonino Guerra
dal Blog diSalvatoreGiannella
E a me viene in mente quella “riga di pietra” di Olimpia da dove partirà la corsa di Grecia e Italia contro la povertà ingiusta
Conclusione. I segni che il nuovo pontefice si
è premurato di dare sono reali e promettenti.
Nella prima apparizione dalla loggia di san
Pietro si è mostrato privo dei vecchi distintivi
del potere sacro: non si è attribuito nessun
titolo tradizionale (papa, pontefice, ecc.) si è
chiamato e ha chiamato il suo predecessore
che dietro il consiglio di una commissione a
ciò convocata si era definito “papa emerito”,
semplicemente “vescovo di Roma” che nel
lontano passato non aveva goduto di alcun
primato, tanto meno infallibile, le era riserva-
to solo un intervento in questioni piuttosto
pratiche e più rilevanti (causae maiores) poi-
ché il supremo organo della chiesa era l’as-
semblea plenaria dei pastori di tutto l’orbe, il
concilio ecumenico. Il giorno dopo l’elezione,
nella concelebrazione con i cardinali elettori,
prima di cominciare, aveva fatto rigirare l’al-
tare verso il popolo, lo stesso al quale, la sera
avanti si era inchinato riconoscendolo più
suo interlocutore che subalterno e perché
ritenuto ugualmente depositario dello spirito
di Dio, aveva voluto essere onorato della sua
benedizione. I segni del rinnovamento, ovve-
ro cambiamento, sono chiari e promettenti;
non sarà facile metterli tutti e subito in atto,
ma molti, i più, sono convinti che ce la potrà
fare o che almeno ci proverà. E noi vogliamo
essere tra questi non illusi ma credenti. n
Nel 1975, da un’idea di Elena Croce,
figlia dell’illustre Benedetto, e grazie
all’unione di alcune personalità di
rilievo, nel campo della cultura e
dell’impresa, come Giulia Maria Crespi
e Franco Russoli, direttore della Galleria
Nazionale di Brera e fondatore della
parte italiana dell’International Council of
Museums, nasce il Fondo per l’Ambiente
Italiano. Prendendo a modello il National
Trust for Places of Historic Interest or Na-
tural Beauty, fondato nel 1895 in Gran Bre-
tagna, la fondazione senza scopo di lucro,
s’inserisce nel dibattito italiano sulla tutela
e la valorizzazione del patrimonio artistico
e paesaggistico, proponendo un punto
di vista straordinario per la cultura della
tutela in Italia: il coinvolgimento attivo dei
privati nelle politiche di restauro, conserva-
zione e apertura alla fruizione pubblica dei
beni culturali e ambientali. Negli anni di un
dibattito fervente e, in alcuni casi, feroce,
circa l’ingresso dei privati nella gestione
dei beni pubblici d’interesse storico e nei
musei, il FAI riceve donazioni significative
di immobili d’arte e aree naturalistiche,
provvedendo alle operazioni di restauro e aprendoli al pubblico. Migliaia
di volontari mettono in campo eventi di vario genere, puntando alla sen-
sibilizzazione al patrimonio e all’ambiente attraverso il diletto, il piacere
che un cittadino può trarne.
Incontriamo Franca Di Carlo, capo delegazione FAI di Teramo e fondatri-
ce della sezione.
Franca, quando è nata la delegazione Fai di Teramo e qual è l’attività della quale si sente più orgogliosa fino ad oggi?La delegazione teramana nasce nel 2003 su mia iniziativa, interessata
dallo spirito e dal valore culturale del FAI nazionale. Certamente, mi ha
spinto anche l’urgenza di fare qualcosa di concreto per il nostro terri-
torio, così ricco di testimonianze troppo spesso trascurate. Per quanto
riguarda l’attività alla quale mi sento più legata, questa è sicuramente
quella del “Salotto FAI”, nata nel 2011 con la collaborazione della giorna-
lista Laura De Berardinis e partita con due grandi appuntamenti: il primo
con il maestro Francesco Antonioni, compositore di fama internaziona-
le, e il secondo con il prof. Sabatini, presidente onorario dell’Accademia
della Crusca. Quest’anno, l’edizione è iniziata con l’esibizione di Paolo
Belli che ha presentato il libro sulla sua carriera, e il 14 marzo, con una
lezione tenuta del rettore dell’Università di Teramo Luciano D’Amico.
Anche per il 2013, il 22, 23 e 24 marzo, il FAI rinnova l’impegno per la “Giornata di Primavera” e Teramo sceglie per l’occasio-ne Tossicia e il suo territorio. Come mai questa scelta e cos’é in programma?La scelta di Tossicia è motivata dal bisogno delle nostre aree montane
di essere sempre più valorizzate e portate alla conoscenza di un vasto
pubblico. Inoltre, il borgo ha subito i danni del terremoto aquilano del
2009, che ha prodotto una ferita ancora
aperta e visibile sui monumenti e le case.
Un luogo ricco di storia e di opere d’arte
straordinarie che ha urgente necessità
di essere messo all’attenzione di quanti,
anche privati, possano contribuire al suo
recupero. Venerdì 23, s’inaugurano gli
eventi FAI con la partecipazione del coro
“Aprutium cantat”, presso la Comunità
Montana. Nelle giornate di sabato 23 e do-
menica 24 marzo, la cittadina aprirà i suoi
beni, anche quelli oggi messi in sicurezza
dopo la catastrofica scossa del 6 aprile,
che potranno essere visitabili in gruppo e
con elmetto protettivo. Mi riferisco soprat-
tutto alla chiesa madre di Santa Sinforosa,
con i suoi portali quattrocenteschi e il suo
interno barocco, al Palazzo Marchesale
con il museo delle Genti del Gran Sasso,
e alla chiesa di Sant’Antonio Abate col
prezioso e grande portale del 1471 di scuo-
la lombarda, al cui interno saranno visibile
opere provenienti da Santa Sinforosa
come la “Madonna sdraiata”. Inoltre, negli
stessi giorni, anche il territorio comunale
sarà coinvolto nelle frazioni di Azzinano,
Aquilano e Chiarino con le sue botteghe di
ramai. Le visite guidate saranno tenute dagli “Apprendisti Ciceroni” della
scuola di Primo Grado “Capriotti”.
Da alcuni mesi la delegazione sta lavorando per formare il gruppo Giovani FAI, a che punto siamo?Il 14 marzo, alla presenza del rettore D’Amico, nella Sala San Carlo, è
stato presentato il gruppo formato da giovani provenienti da vari centri
della provincia e che aiuteranno la delegazione a estendere il raggio
d’azione e a coinvolgere le nuove generazioni nella missione del FAI. Il
gruppo, che si è attivato da poco, sta progettando momenti formativi
e iniziative culturali e di sostegno al recupero di alcuni piccoli tesori, e
sarà chiaramente attivo nella “Giornata di Primavera” a Tossicia. n
n.85
PrimaveraFAI
diSirio MariaPomanteTossicia
L’attività della delegazione teramana nell’intervista a Franca Di Carlo
Teramo – Corso Porta Romana n. 115 Info line: 800.134.918 - [email protected] – www.geco.abruzzo.it
Inviateci le vostre domande su problematiche condominiali, le vostre perplessità sul bilancio e dal prossimo numero del giornale, i nostri esperti pubblicheranno le risposte. Potete inviare le domande agli indirizzi di seguito riportati o presso la redazione del giornale
La cura da cavallo del commis-
sario Raimondo Micheli sta
giovando al Nucleo industriale
di Teramo. Se fino ad un anno
fa i debiti del consorzio ammonta-
vano a 900 mila euro ora si sono
ridotti fino a 200 mila e a fine anno
si pensa di arrivare al pareggio di
bilancio. Il segreto della personale
spending review dell’ex presidente
Team si è basato “su un percorso di
virtuosismo, eliminando le spese per
le consulenze esterne ed evitando le
costose direzioni generali, o tecnico
amministrative, che pesavano sul
bilancio, nominando invece al loro
posto sempre un interno che, con
un compenso limitato, ha già fatto
risparmiare diverse migliaia di euro”. Si sono ridotte altresì le consulen-
ze sulla contabilità (anche qui non si fa più ricorso alle professionalità
esterne) e si sono risolti i problemi delle utenze ora a carico dei locata-
ri. Anche le manutenzioni sono passate al vaglio della furia economiz-
zatrice di Micheli, che ha instaurato un regime di premialità, con rientri
pomeridiani e straordinari che hanno consentito economie, evitando il
continuo rivolgersi, come si faceva un tempo, a ditte esterne.
“La legge di riordino prevista dal consiglio regionale d’Abruzzo – dichia-
ra Raimondo Micheli nominato commissario del Consorzio industriale
nel maggio del 2012 - prevede che i sei consorzi esistenti in regione
si fondino per costituire l’Arap, quindi un unico soggetto. La nomina
da parte del presidente Chiodi dei sei commissari che hanno rilevano
i cda, ha sortito effetti positivi, cioè un gran bel risparmio di denaro
pubblico”.
Malgrado la furibonda crisi economica, il nucleo industriale di Teramo
non vive un brutto momento, se lo rapportiamo agli altri, “si può affer-
mare che dopo Vasto siamo i più virtuosi, e per questo ringrazio il per-
corso iniziato da Mario Pastore che mi ha preceduto in questo ruolo”.
Il nucleo industriale di Teramo si sviluppa su 5 ettari di cui solo uno e
mezzo è coperto. “La struttura si mantiene sulle aree che si vendo-
no – prosegue Micheli. Prima, dal 2000 fino al 2005, se ne vendevano
due o tre al mese: immaginate quindi di vendere 20-30 aree l’anno
con il prezzo medio unitario di circa 100 mila euro. Ora, purtroppo,
negli ultimi nove mesi ne abbiamo venduta appena. Abbiamo creato il
virtuosismo, ci siamo sentiti con gli operatori e con i nostri dipendenti,
e devo dire che tutti si sono dati da fare, hanno capito il momento.
Abbiamo fatto ricorso a tecnici interni che si sono assunti maggiori e
più importanti responsabilità facendo in modo il consorzio continui a
sopravvivere”.
Nel nucleo industriale insistono 247 aziende che operano e 70 lotti
disponibili che attualmente sono invenduti: “Anzi ci sono alcuni
imprenditori che premono per la retrocessione delle loro aree e
capannoni, noi li stiamo mettendo in contatto con altri che vorreb-
bero rilevarle. Abbiamo avuto il caso di un’azienda che è tornata a
chiedere di riconsegnarci il lotto. Noi l’abbiamo messa in contatto con
un’altra che vuole subentrare. Il
consorzio ha anche l’obbligo di fare
questo, di fare interagire le aziende
tra di loro”. Dopo la crisi molte di
queste avevano comprato l’area
senza poi realizzare il manufatto (il
capannone) perché non potevano
chiaramente affrontare una spesa
così importante. Uscire dal contratto
sarebbe stato troppo oneroso
per loro, allora il consorzio invece
di alimentare un contenzioso ha
trovato appunto la sua exit strategy,
mettendole in contatto con altri
imprenditori. “Ci siamo riusciti per
un paio di aziende” precisa Micheli.
“Comunque, ad onor del vero, c’è da
segnalare anche le diverse aziende
che vanno bene, che non hanno di
questi problemi, e sono segnata-
mente quelle afferenti al comparto agro-alimentare”.
“Abbiamo un problema per un capannone che verrà demolito – afferma
Micheli - perché non ci sono condizioni di sicurezza. È la tipica archi-
tettura degli anni ’70che si regge per compressione ma al contempo
le intemperie hanno minato la sua sicurezza strutturale: cercheremo di
preservare le parti sottostanti in cui i locali verranno riutilizzati”
Infine una curiosità: il nucleo industriale ha un suo piano neve, ine-
sistente fino all’avvento di Micheli: “Spesso capitava che i Tir, dopo
l’autostrada e la Teramo mare o la statale 80 si bloccassero davanti agli
ultimi 500 metri a causa della neve”. Così, senza così far ricorso a ditte
esterne, sono stati formati due autisti, che all’uopo guideranno i due
mezzi atti a sgombrare anche l’ultimo ostacolo. n
Spending review12n.86
La curada cavallo del commissario Micheli
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
In nemmeno un anno i debiti del consorzio industriale da lui diretto sono calati da 900.000 euro a 200.000
13Satira
diMimmoAttanasi [email protected]
N on è mia intenzione confondere e neanche chiarire le idee dei
lettori. Riporto notizie attuali e rilevanti già diffuse sul web e
dagli organi di stampa.
In un Paese come l’Italia, dove la libertà di stampa è definita
“quasi”, le erbacce nate dalla seminatura le trovi in una rivista che
ha il nome di una tazzina di caffè. Un
liquido scuro, fumante come la merda.
Oppure, nel giornalista radiofonico dal
nome simile a una squadra di calcio,
che la mattina legge i quotidiani alzan-
do la voce quando Adriano Celentano
scrive maiuscolo i sermoni sui giornali,
per poi acquattarsi come un cagnolino
se si parla dei padroni industriosi della
radio. Un microfono senza filo, ben
saldo in mani pronte all’occorrenza
a levarglielo dalla bocca. Spezzare
la penna per la rabbia di essere stati
presi per il culo come lettori, a repor-
ter sparacazzi di settimanali mentre
scoprono solo dopo lo scoop che per
società anonima (Sociedad Anónima),
in Costa Rica e in quasi tutti i Paesi del
mondo in cui si parla spagnolo, si intende quella che in italiano viene
comunemente denominata S.p.A. Deridere i giornalisti sulle presunte
“Sociedad Anónima”, scambiate per altro, e sulla loro insistenza per
appartenenza, sul fatto che nel nostro Paese basta una visura per
scoprire chi c’è dietro a una società per azioni sarebbe di cattivo
gusto (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/08/grillo-lespresso-
e-le-domande-aperte/524624/). Basta una metafora a svergognarli
tutti. Avete sentito mai, “The Untouchables reporters”, parlare delle
“scatole cinesi”, nel Mady in Italy?
Figure da cazzo, fango buttato a casaccio sul diritto di cronaca, rigo-
rosamente nascosti dietro il paravento del paraculismo. Cronisti che
scrivono a orecchio, di paradisi fiscali senza neanche buttare l’occhio
su come stanno le cose oggi e pure sulle liste OCSE. Con perizia, pe-
raltro deontologicamente dovuta se non imposta, avrebbero potuto
apprendere che il Costa Rica, già dal 2011, è iscritto nelle giurisdi-
zioni che hanno sostanzialmente implementato lo standard fiscale
concordato a livello internazionale. “Ma qui stiamo parlando di vicen-
de risalenti al 2009... ”, obietta “l’emissario” di un editore svizzero,
glissando oculatamente sul fatto che l’ecofeudo è un progetto ap-
poggiato dall’ex presidente della Repubblica del Costa Rica e Premio
n.86
Nobel per la Pace nel 1987, Óscar Rafael de Jesús Arias Sánchez.
Negli intenti c’era la volontà di costruire un ospedale e creare lavoro
nei villaggi del Paese centroamericano minacciato dalle devastazioni
delle multinazionali del turismo. Un presunto “Resort”, rigorosamen-
te di lusso per l’intellighenzia della sinistra all’italiana, si trasforma in
ecovillaggio per chi cerca uno spazio impossibile dentro luoghi utopi-
ci. Il possibile nella poetica e il tratto illusorio della creazione artistica
nascono dalla povertà, mai dalla vanagloria della ricchezza. Sarebbe
bastato ai “servi sciocchi” visitare il sito www.ecofeudo.com per
capire che si trattava semplicemente di straordinarie immaginazioni
di mondi migliori. La realtà invece è una ulteriore cazzata messa
a puntino da media che prendono milioni di euro di finanziamenti
pubblici. (http://www.oecd.org/tax/harmfultaxpractices/43606256.
pdf). Estenuante pathos veicolato nella consapevolezza di rappresen-
tare un appello alle emozioni del cittadino. Abilità nelle tecniche di
comunicazione e nella retorica, dove pathos è considerato uno dei
tre modi di persuasione, accanto a ethos e logos. Nella narrazione,
nella evocazione, in tutte le forme di
suggestione. Nella digestione, man-
dare giù nel giro di qualche mese due
condanne all’ex premier Berlusconi,
come quattro anni di reclusione nel
processo Mediaset, per frode fiscale
(http://www.repubblica.it/politi-
ca/2012/10/26/news/mediaset_ber-
lusconi_condannato-45374682/) e un
anno per il processo Unipol (http://
www.corriere.it/politica/13_mar-
zo_07/reazioni-condanna-berlusconi-
unipol_1fc1812e-871d-11e2-82ae-
71d5d7252090.shtml) non basta
un Maalox, se dopo te lo ritrovi a
marcare visita (http://blog.libero.it/
xavier1962/11969659.html) come un
soldatino con i sigari bagnati sotto le
ascelle nella speranza di qualche decimo di febbre e affrancarsi dalla
Boccassini. E poi invece, sai qual è il problema che turba le coscienze
degli analisti della politica? Un visionario sognatore che guarda l’o-
rizzonte sulla riva a piedi nudi, dopo avere chiuso la bottega di venti
metri quadrati rigonfia di prodotti equosolidali.
“Essere felici significa essere consci di sé senza terrore”.
(Walter Benjamin) n
Consci di sé senza terrore
L’intervista14n.86
AlessiaDe Paulis
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
I l consigliere comunale Pdl, Alessia De Paulis, dal 2009 è membro
dell’Ufficio di presidenza dell’Anci: ha la delega alle Pari opportunità e
da un anno anche quella al randagismo. Nel suo ruolo spinge anche
perché la causa dell’Istituto musicale Braga, di cui è consigliera, si
risolva al meglio, chiedendo la statizzazione.
Consigliere, cominciamo proprio dal Braga. Cosa propone per l’istituto di Piazza Verdi?“Nel mio duplice ruolo di membro dell’Ufficio di presidenza Anci e di
consigliere al Braga, spingo perché si continui ad insistere per il riordino
degli istituti musicali pareggiati che in Italia sono 19 e finanziati da enti
pubblici che soffrono tutti la stessa cattiva situazione economica. Inoltre
perseguiamo la via della statizzazione: l’abbiamo chiesto a Monti, Berlu-
sconi e Bersani”.
Frattanto le casse sono vuote.“A causa dei fortissimi tagli della Spending review anche il Braga è
in difficoltà: stiamo aspettando un finanziamento straordinario dalla
Regione Abruzzo che sta per essere approvato in giunta, ma anche con
quest’entrata riusciremo a chiudere solo il bilancio scorso, mentre per
il futuro ci sono grandi incertezze. Noi come Anci ci siamo fatti carico
della situazione ma non si riesce ad organizzare un incontro tra Governo,
Regione, Upi, Anci e Province. Chiediamo la statalizzazione, un processo
già iniziato. Il Braga è un istituto storico, una volta chiuso ci creerebbe
una dispersione di energia e cultura, con il problema di docenti e per-
sonale Ata senza più lavoro. Purtroppo lo stallo attuale del governo non
promette nulla di buono”.
Sul versante pari opportunità cosa bolle in pentola?“L’attività dell’Anci sulle pari opportunità è multiforme. Quando sono entra-
ta a collaborare dapprima ho avuto la carica di presidente di commissione
occupandomi di rappresentanza di genere, tanto che nel 2010 avanzai
una proposta che ebbe un certo risalto nazionale che chiedeva un patto
ai sindaci perché si disponesse un terzo delle donne in giunta. Abbiamo
smosso le coscienze tant’è che nel 2012 è stata approvata la legge sulla
rappresentanza di genere che prevede una modifica obbligatoria dello
statuto dei Comuni, con il 30 % di donne in più negli organi direttivi, in
giunta e nelle liste obbligatorie. Inoltre va a prevedere la doppia preferenza
di genere. Il vero problema è che le donne che fanno politica non trovano
più il tempo perché non ci sono i servizi che la supportano e anche perché
la nostra cultura è molto legata alla famiglia. Del resto la donna è multita-
sking: fa la mamma, la figlia nei casi dei genitori anziani, la moglie nel caso
di un matrimonio e la lavoratrice perché oggi uno stipendio non basta più”.
Quale allora il rimedio?“La soluzione potrebbe essere un welfare del tutto al femminile. Si parla
tanto di conciliazione dei tempi, invece di fare una normativa che preve-
de un asilo nelle grandi aziende, perché non creare una riforma sul piano
nazionale di genere, cioè creare una legislazione totalmente di genere,
anche perché oggi le pari opportunità hanno a che fare col sociale, col
lavoro e con tante altre deleghe, un tutt’un po’ che crea confusione. Così
ad esempio le risoluzioni adottate in Regione Abruzzo (voucher e benefit)
si metteranno tutte dentro una sola scatola dove la donna può attingere
al meglio per la sua utilità quotidiana”.
Gli uomini, i soliti privilegiati!“Il pacchetto dei voti è in mano agli uomini che per tradizione hanno più
tempo per stare in mezzo alla gente: allora forniamo più tempo alle donne.
Gli esempi sono tanti: dall’albo per badanti dove si può attingere per un
genitore malato a quello per babysitter. È stato chiesto un intervento per
fondi che sono ripartiti, ma il problema è politico perché capita spesso che
un Comune sia di un colore politico e la Regione di un altro, oppure non
c’è collegamento. Io ho chiesto perché questi fondi si mettano a bando
così le amministrazioni comunali potranno partecipare, ottenendo che
l’Anci si comporti come garante fornendo una sorta di lasciapassare per i
progetti che l’Abruzzo presenta. Purtroppo sul territorio l’Anci non è così
sentita soprattutto dai comuni più piccoli che oltretutto non possiedono
le giuste competenze. Per questo motivo io punto sulle Anci regionali. Un
buon amministratore è bravo quando trova i fondi, devi avere caparbietà
per scovarli e l’Anci è lo strumento adatto che dà informazioni”.
Infine il randagismo. Che fare per limitare il fenomeno?“Personalmente sono rimasta molto soddisfatta quando ho saputo della
delega perché ho la fortuna di amare ogni animali. Per l’Anci era una
nuova delega, siamo dovuti ripartire da zero. In commissione dopo un
anno di lavoro abbiamo approvato un regolamento sul benessere degli
animali che dovrà essere adottato da vari comuni che si orienteranno
sulle nostre linee guida. A Giugno verrà fatta una campagna di sensi-
bilizzazione contro l’abbandono estivo degli animali e verrà stilato un
documento per far aprire le spiagge dedicate ai cani. n
15
Nel 1960, nelle settimane che segui-
rono le elezioni di John Fizgerald
Kennedy come presidente degli Sta-
ti Uniti, la stampa definì lo stile, la
bellezza e la grazia di sua moglie Jaqueline,
più nota come Jackie, ”l’orgoglio di tutta la
nazione”.
Il ”Jackie look” fece il giro del mon-
do: abiti semplici, tailleur e cappotti di
fattura esclusiva, disadorni ma di taglio
impeccabile, scarpe scollate e piccoli
cappelli,come pure semplici pantaloni a si-
garetta, camicie senza maniche e occhiali
da sole in testa, gioielli sobri e sofisticati.
Jaqueline Bouvier, questo era il suo nome
da nubile diede agli americani ciò di
cui avevano più bisogno, cioè glamour,
liberandoli dal complesso di inferiorità nei
confronti degli europei di essere provinciali
e senza cultura.
Il fascino e l’indipendenza della più
giovane first-lady che la storia ricordi si
impresse in tutti gli americani che ne fece-
ro un’icona, riuscendo a perdonarle, molti
anni dopo, il chiacchierato matrimonio con
l’armatore greco Aristotele Onassis.
Jackie possedeva moltissimi gioielli creati
per lei dai più noti gioiellieri dell’epoca.
Sontuose le sue parure, oltre ai bracciali
di smalto e di diamanti, agli orecchini di
rubini e di smeraldi, indossava anche le
perle che amava particolarmente.
Alcuni dei suoi pezzi sono passati alla sto-
ria, come il triplo filo di perle, immortalato
in una celebre fotografia in cui gioca con
il figlio John-John, che e’ stato probabil-
mente il gioiello più imitato e più venduto
per molti anni nelle gioiellerie della Fifth
Avenue a New York .
Indimenticabili gli orecchini d’oro “Moon”
che il miliardario armatore greco, Aristo-
tele Onassis le regalò nel 1969 ispirati al
primo atterraggio sulla luna, o l’incredibile
anello con diamante taglio marquise di
Glamour a New York
n.86
oltre 40 carati.
Gli innumerevoli gioielli che Jaqueline
Kennedy raccolse durante la sua vita,
insieme a mobili, dipinti, libri e molti altri
oggetti d’arte, venne parzialmente messa
all’asta dai figli Caroline e John-John nella
primavera del 1996. n
L’oggetto del desiderio
diCarmine Goderecci di Oro e Argento
Jaqueline Bouvier
Ceramic News16n.86
Il 1º marzo 2013, presso la sala conferenze dell’ANCI
(Associazione Nazionale Comuni d’Italia) via dei Prefetti,
46 - Roma, si è svolta l’Assemblea generale dei Comuni
dell’AiCC - Associazione Italiana Città della Ceramica -
organismo del quale la cittadina di Castelli è presente nel
Consiglio Direttivo sin dalla sua istituzione. L’AiCC com’è
noto, si prefi gge di tutelare, promuovere, incentivare, diffondere e
informare sullo scibile che gravita intorno al mondo della Ceramica:
progetti, eventi, manifestazioni, mostre, rassegne, iniziative. Alla riu-
nione, presieduta dall’Ing. Stefano Collina, coadiuvato dal Dott. Giu-
seppe Olmeti, erano presenti i Delegati e Rappresentanti di Albisola
Superiore, Albisola Marina, Ascoli Piceno, Assemini, Castellamonte,
Castelli, Cerreto Sannita, Deruta, Faenza, Nove, San Lorenzello e,
il Vice Sindaco di Faenza. Dopo l’approvazione del verbale della
riunione precedente, Lodi - 21 luglio 2012, il dibattito è stato aperto
dal Presidente Collina che ha relazionato l’Assemblea sulle ultime
attività dell’Associazione, alla luce di importanti novità che si prefi gu-
rano per l’immediato futuro.
L’AiCC assumerà maggiore rilevanza in quanto diventerà Associazio-
ne Europea delle Città dellla Ceramica, federandosi con l’omologa
Francese, Spagnola e Romena, conseguentemente potrà acquisire
maggiore autorevolezza, produrre azioni più incisive, intercettare
linee di fi nanziamento della Comunità Europea, ai fi ni di maggior
tutela e salvaguardia di questa autentica e peculiare espressione
del Made in Italy. La discussione è stata ampia e partecipata, con
interventi dei Delegati, Sindaci e Rappresentanti, Verbena (Deruta),
Gheller (Nove), De Rosa (Castelli). Sono stati affrontati
argomenti piuttosto sensibili: la ripartizione delle quote
associative dei singoli Comuni, di rimodulare le stesse
al fi ne di evitare sperequazioni abnormi fra i centri più
piccoli e grandi, alcuni di questi ultimi infatti, non hanno
versato il contributo associativo dovuto, causa, l’elevato
ammontare della quota stessa.
E’ stata valutata l’importanza della probabile presenza
dell’On. Antonio Taiani, Vice Presidente del Parlamento
Europeo alla Festa della Comunità stessa, a Deruta,
il prossimo 9 maggio 2013, incontrando il Direttivo
dell’Associazione, il Presidente
Collina potrà rappresentare
le peculiarità e l’importanza
della stessa, delle iniziati-
ve progettuali in essere e,
facilitare gli iter amministrativi
presso la sede di Bruxelles.
Come già riferito, la Federazio-
ne Europea della Ceramica, è
considerata strategica, il per-
corso denominato “GECT” po-
trebbe consentire di accedere
alle linee di fi nanziamento
comunitarie, considerando le
criticità delle rispettive risorse
nazionali causate dalla reces-
sione. Il Sindaco De Rosa, in
rappresentanza di Castelli, ha
aggiornato l’Assemblea sulle
ultime novità nell’ambito dei
Progetti e percorsi intrapresi dal centro teramano: i “Borghi più Belli
d’Italia del Gran Sasso” e la “ Via della Cioccolata”, quest’ultima alla
II edizione nel calendario del “Castelli di Natale”. Inoltre ha ribadito
la richiesta al Direttivo di esporre il famoso, originale Presepe Monu-
mentale in ceramica, realizzato nei laboratori dell’Istituto d’Arte ‘F.A.
Grue’ oggi Liceo Artistico del Design, negli spazi espositivi dell’EXPO
Milano - 2015.
Altra discussione affrontata, è stata rappresentata dall’opportu-
nità di introdurre in tutti i centri dell’Associazione, l’adozione del
Marchio CAT (Ceramica di Antica Tradizione), unitamente al Marchio
di Qualità, produrrebbe effetti senz’altro positivi per la produzione
ceramica attuale, tutelando la stessa dalle più anonime contraffa-
zioni, i centri della ceramica quindi, sono stati invitati a costituire le
Commissioni per disciplinare l’utilizzo dei marchi medesimi.
Nei prossimi incontri dell’Aicc, saranno discusse fra le altre
iniziative, gli aspetti più propriamente tecnico-organizzativi per
la realizzazione del “Cielo d’Italia”, confi gurato come emanazio-
ne del “3° Cielo di Castelli”, coinvolgerà tutte le località afferenti
all’Associazione, inutile sottolineare l’importanza di tale iniziativa
che riporterà Castelli ancora una volta al centro dell’attenzione che
merita, da sempre! n
Castelli
diMaurizio Carbone
Consigliere DelegatoComune di Castelli
Ferrara Arte organizza la prima mostra su: “Lo sguardo di Michelange-
lo. Antonioni e le arti”, Palazzo dei Diamanti, dal 10 marzo al 9 giugno
2013. Ed è proprio al “pittore dello schermo”, così come lo ricorda
Wim Wenders, che rubiamo la scena sviando verso argomenti diversi.
Architettare parafrasi. Formule retoriche per riposizionare personaggi
cinematografici all’interno di una socialità obliqua e sbrindellata, distolta
dall’eliotropismo. Quel movimento dei vegetali che orienta le foglie e i
fiori nella direzione del sole potrebbe diventare un potente medicamento
contro l’imbecillità della sopraffazione come consuetudine di continuità.
Specula omnis status vitae humanae (Specchio di tutti gli stati della vita
umana).Vittorio De Sica è un regista molto più accessibile di Antonioni.
Le sue parole non tagliano, mordono. Feriscono, a volte acciecano.
Nel film del 1963, “Il Boom”, l’imprenditore rimasto squattrinato con mo-
glie di lusso a carico cede letteralmente un occhio della testa a un miliar-
dario orbo. Siccome interpretato da Alberto Sordi, non occorre raccontare
la trama: te l’immagini tutta. Con un saltello qua e là, sulla soglia della sala
operatoria, se la squaglia terrorizzato. Rincorso dalla moglie del riccone
con un occhio solo, si farà convincere nonostante la minaccia di denun-
ciare le nefandezze dell’accordo e la sua illegalità. La riccastra spietata lo
mette all’angolo ricordandogli che non ha scelta. “Fuori la pupilla se vuoi
Satira18n.86
Help!
diMimmoAttanasii [email protected]
tornare a fare una vita da benestante!”. Tanto loro sono ricchi e possono
affrontare qualsiasi azione legale e uscire vincitori da ogni tribunale. Il
relitto economico, impersonato da Sordi, fa rientro nella clinica in proces-
sione con i medici e gli infermieri che lo avevano
inseguito. Prima di attraversare la via trafficata, tutti
insieme si dirigono sulle strisce pedonali, perché le
regole vanno rispettate. “La Via è tale che non te ne
puoi scostare un istante: se potessi scostartene, non
sarebbe la Via.” (Confucio, Il giusto mezzo).
Sono in tanti ad attraversare sulle strisce, a stare
attenti a non buttare le cartacce, a fermarsi con
il rosso. Tranne i ciclisti perché hanno le scarpe
attaccate ai pedali e se li stacchi di continuo poi si
rovinano. Sono troppi quelli che chiedono di dare
aiuto. Si avventano con il loro buon cuore mettendo
il bastone dei loro sguardi pietosi fra le ruote delle carrozzelle degli invalidi.
“Ha bisogno di aiuto? Ci sono qua io...”.
E se ti facessi i cazzi tuoi, invece di sottolineare la mia diversità? S’è visto
mai chiedere se ha bisogno d’aiuto a una persona seduta tranquillamente
in macchina? Io me ne sto tranquilla sul mio turbo scooter elettrico appena
comprato... perché mi devi sconquassare i coglioni con la tua bontà?
Non è che sei tu, cuore di tenebra, ad avere bisogno del mio aiuto? Help!,
I need somebody, Help!, not just anybody! (Aiuto!, Ho bisogno di qualcuno,
Aiuto! Non di uno qualsiasi). Dedico questa pagina alla mia cara amica, con
l’augurio per il futuro di incontrare meno stronzi. Ineccepibili alcune affer-
mazioni di Popper: “Sulla realtà l’uomo può solo formulare delle congettu-
re, delle proposte da sottoporre alla critica razionale di altri uomini”. n
19Cose di casa nostra
Ha fatto imbestialire terribilmente i naviganti di Facebook al pari
quasi di una sommossa sociale, l’idea del Comune di Teramo
di ricavare dall’ampio marciapiede della scuola Noè Lucidi di
Teramo dei parcheggi riservati ai genitori degli alunni, spesso
alle prese con estemporanei stop
and go che causano notevoli
disagi alla circolazione. A Piazza
Orsini si sta pensando di risolvere
così, con lo sventramento del
marciapiede tra l’altro realizzato
pochi anni orsono anche per
concedere agli scolari durante
l’uscita un apprezzabile e conso-
no luogo di sfogo, di risolvere il
problema dei parcheggi selvaggi.
“Alla fine l’hanno spuntata loro! – scrive S. -; genitori con grossi suv
contro gente comune che a causa della loro maleducazione passa la
pausa pranzo nel traffico. Ma parcheggiare alla Madonna delle Grazie
no? ‘Sti viziati, arricchiti maledetti” è lo sfogo anche un po’ troppo co-
lorito di S. che proprio non vuole le supercar essere privilegiate davanti
ad altri tipi di problematiche. “Mi sto sforzando, ma ancora non riesco
a capire – replica Valentina - dove faranno questi parcheggi. Forse
renderanno quel tratto di strada a senso unico e useranno una corsia
per i genitori supervip della Noè lucidi? oppure adibiranno a piazzale
per il parcheggio il tratto di strada davanti alla scuola e devieranno
il traffico davanti al tribunale e alla chiesa? O forse distruggeranno il
mega marciapiede costruito con i nostri soldi proprio per i genitori
della Noè Lucidi e faranno una corsia per il parcheggio come c’era già
qualche anno fa. No, proprio non ci arrivo... speriamo che qualcuno
me lo spieghi”. Prosegue M.: “Chi va alla Noè lucidi? I figli di papà e gli
altri sono nessuno! Bella la nostra Teramo!!!!!”. Conclude Me., un ‘altra
ragazza del popolo di Facebook: “Senza parole!”.
All’alzata di scudi del social network replica l’assessore comunale ai
lavori pubblici, Giorgio Di Giovangiacomo, che precisa come la realiz-
zazione di quel parcheggio costerà alla casse comunali circa 30-40
mila euro. Si ricaveranno dall’attuale largo marciapiede antistante la
struttura degli stalli, ancora non se ne conosce il numero effettivo,
che dovranno mitigare il fenomeno del parcheggio selvaggio. A Piazza
Orsini si sta pensando di posizionare degli stalli gratis nello slargo
di Porta Madonna per un tempo di 20 minuti circa, in concomitanza
con l’entrata e uscita degli scolari. “Due passi a piedi si possono pure
fare – riconosce l’assessore Di Giovangiacomo – soprattutto per chi ha
un po’ di tempo da spendere, per chi invece va di fretta, ci saranno i
nuovi parcheggi”. Piazza Orsini sta facendo letteralmente i salti mortali
per raschiare il fondo del barile alla ricerca di finanziamenti: Giorgio Di
Giovangiacomo dichiara di aver scovato dei residui tra le pieghe del bi-
lancio, “anche se – ammette l’assessore – la nuova opera non risolverà
il problema al 100%”.
Nel dibattito
non fa man-
care la sua
voce Raffaele
Di Marcello,
coordinatore
di Cciclat
Teramo:
“Mentre nel
resto del
mondo, e in
alcune parti
d’Italia, si
pedonalizza-
no le aree intorno alle scuole, si istituiscono i “pedibus”, addirittura si
collegano gli istituti scolastici con piste ciclabili e pedonali, a Teramo
si sperimenta la scuola drive in... entri direttamente in aula in auto
per riprendere il povero pargolo, e magari portarlo in palestra, perché
ha tanto bisogno di movimento”. Ma cos’è il “pedibus”? Il Pedibus è
un progetto nato in Danimarca nel 1990 con lo scopo di promuovere
l’esercizio fisico nei bambini. È ormai diffusissimo nel Nord Europa
e negli Stati Uniti d’America, mentre lo è meno in Italia, ma in rapida
evoluzione in città come Torino, Genova, Bologna, Ferrara, Reggio
Emilia, Milano, ecc. Si tratta di una mobilità alternativa con fermate
predefinite e segnalate da appositi cartelli, accompagnatori capofila
ecc., dedicata principalmente agli scolari per raggiungere la scuola a
piedi, per educare ad una cultura ambientale e salutistica. Il progetto è
infatti nato con lo specifico scopo di combattere il crescente fenomeno
dell’obesità infantile, ma si è rivelato utile anche per promuovere la
socializzazione e l’autostima dei bambini e cosa non secondaria ridurre
il traffico veicolare nei pressi delle scuole. “C’è da dire - riprende Di
Marcello - che anche le amministrazioni devono fare la propria parte. In
Inghilterra o negli Stati Uniti le scuole sorgono all’interno di vaste aree
pedonali, con giardini, parchi giochi, verde, invece da noi va di moda
la scuola modello casello autostradale: più vicino a strade a grande
traffico sono e meglio è, così possiamo andare a prendere i pargoli con
l’auto fino dentro al cortile scolastico. Allora – conclude Di Marcello - in-
vece dei parcheggi, incentiviamo il raggiungimento delle scuole a piedi,
in bicicletta o con i mezzi pubblici, e disincentiviamo l’uso dell’auto: i
nostri bambini saranno più felici, e la città ci sarà grata”. n
Nel resto del mondo si pedonalizzano le aree intorno alle scuole
n.86
diMaurizioDi Biagio
Il parcheggio Vip dellaNoè Lucidi
www.mauriziodibiagio.blogspot.com
C’è chi cammina a testa bassa,
guardando i propri piedi e la
strada che ha timore di percor-
rere, e chi invece guarda in alto,
scorgendo ora il sole ora le stelle. Le
stelle illuminano la notte per guidare il
percorso degli uomini, i loro sogni, le loro
fantasie. “Forse s’avess’io l’ale/ da volar
su le nubi,/e noverar le stelle ad una ad
una” disse Leopardi vivendo un estatico
rapimento dinanzi alla scena dell’universo:
da qui il suo vibrare con le stelle; da qui
il desiderio dell’infinito; da qui il pensiero
dell’eternità.
Anche Mario Calabresi ragiona con gli
astri, quelli che scorge in un cielo che oggi
appare buio del colore della pece e dedica
il suo libro Cosa tiene accese le stelle a
quanti si muovono sospinti dai desideri,
che non attendono momenti migliori per
agire, ma accettano la quotidianità senza
arrendersi. L’autore compie un viaggio
attraverso l’Italia, raccontando storie
esemplari di persone note, ma anche co-
muni. Con tenacia e determinazione essi
hanno realizzato obiettivi ambiziosi. Dalla
rassegnazione infatti nasce un’inquietudi-
ne insanabile e anche il più grande talento
scema senza un pizzico di follia. “Be
hungry, Be foolish” (Steve Jobs).
Calabresi apre il suo excursus da una
Il libro del mese
lavatrice, quella che nonna Maria nel
novembre del 1955 acquistò, commutan-
dola con una Fiat Seicento che il marito
le aveva regalato. Quella sera stessa la
signora, madre di sei figli, smise di fare a
mano il bucato e riprese in mano un libro,
sentendosi rinata: “era il gesto di tornare a
leggere che faceva la differenza, era l’idea
di aver riconquistato un po’ di tempo” per
lei sola.
C’è poi l’attrice Franca Valeri che lamenta
nel mondo contemporaneo rapporti trop-
po amichevoli persino tra genitori e figli. I
genitori per timore di essere ritenuti auto-
ritari “diventano arrendevoli e permissivi”.
Il messaggio che ne deriva è che “tutto è
semplice, facile, che la fatica può essere
eliminata dalle nostre vite”. Così la società
involve.
Giuseppe De Rita racconta come nel 1963
con un gruppo di amici fondò il Censis, un
ente di ricerca. Oggi compiere un’opera-
zione simile sarebbe una follia.
L’economista Mario Deaglio ricorda una
scuola davvero meritocratica, che garan-
tiva una preparazione autentica a tutti,
vero e proprio ascensore sociale. Rileva
poi, anche lui, una sostanziale differenza
nel rapporto tra genitori e figli. Questi non
venivano viziati con oggetti, ma si pensava
a investire sul loro futuro, rendendoli
consapevoli del valore del lavoro. Oggi c’è
invece “la percezione che questo Paese
non vada avanti. Io sapevo che avrei
guadagnato più di mio padre e anche lui
lo sapeva, e questo lo faceva sentire bene,
così i miei genitori avevano la ragionevole
speranza che io e mio fratello saremmo
vissuti meglio di loro. Oggi, invece, la sen-
sazione è che i figli staranno peggio e che
nel Paese non ci sia più spazio”.
Potrebbe sembrare che nel libro domini
la nostalgia per il passato, ma non è così.
Infatti l’autore dice che il fine del suo
pamphlet è quello di “capire se il declino
e il pessimismo siano una condizione cui
noi italiani non possiamo più sottrarci, per
scoprire se sotto la superficie della paura
e del cinismo esistano ancora energie fre-
sche, speranze di cambiamento e passioni
da far emergere”.
Calabresi risponde ai lettori e a se stesso
che ci sono esempi di persone appassio-
nate che ce l’hanno fatta a superare le
ambasce. Il passato va recuperato per gli
insegnamenti positivi, ma anche come
monito per gli errori da evitare.
“La cultura della lamentela in questi anni
ha raggiunto livelli terribili, è la cosa più
negativa che ci sia, perché cancella dav-
vero ogni possibilità di riscatto e cambia-
mento. Innamorarsi delle proprie sfighe è
rassicurante e ti fa vivere in un territorio
protetto, in un mondo che riconosci e ti
rassicura. Ogni epoca impone una forma di
resistenza, la nostra è non essere lamen-
tosi”. Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti,
apostrofa i giovani perché le lamentele
rallentano il cambiamento e spesso lo
ostacolano completamente. “Gli ottimisti
cambiano il mondo; i pessimisti piagnu-
colano perché non è cambiato” (Beppe
Severgnini).
Il libro di Calabresi si oppone quindi a ogni
debole resa, nella consapevolezza che
ogni individuo possa rinnovarsi.
Mark Twain diceva: “Tra vent’anni sarai più
deluso dalle cose che non hai fatto che
da quelle che hai fatto. E allora molla gli
ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che
gli alisei riempiano le tue vele. Esplora.
Sogna”. (Mark Twain)
Alziamo allora la testa per tornare “a
riveder le stelle”, per cercare tra le tante
la nostra, la più autentica. n
Cosatieneaccesele stelledi Mario Calabresi
n.86
diMaria Cristina Marroni
I l Nuovo Zingarelli, vocabo-
lario della lingua italiana,
(Zanichelli, Bologna) definisce
il gergo “Lingua criptica”, spe-
cialmente per quanto riguarda il
lessico, utilizzata da una comuni-
tà generalmente marginale che,
in determinate condizioni, avver-
ta il bisogno di non essere capita
dai non iniziati o di distinguersi
dagli alri”. Da questa definizione
si evince che il gergo è, quindi,
un linguaggio “segreto”, “protet-
tivo”, di “difesa”, soprattutto per
quanto riguarda la scelta e l’uso
delle parole, usato dalle comuni-
tà che in genere vivono ai margini della società e che preferiscono
non essere capite dagli altri.
Per portare degli esempi si può dire che il gergo è il linguaggio dei
Note linguistiche
a cura diMaria Gabriella Di Flaviano [email protected]
membri di una società segreta,
oppure quello della malavita.
Gergo più recente è quello dei
paninari a base di troppo giusto,
cuccare, sfitinzia ecc. che può
essere considerato in maniera più
ampia un linguaggio di gruppo.
Non bisogna, però, confondere tra
loro gergo e sottocodice, gergo
e lingua, gergo e dialetto. Non si
può, infatti, considerare gergo il
linguaggio dei medici, solo perché
usa una terminologia che non vie-
ne compresa dai pazienti: il gergo
non ha la specificità e il rigore
dei linguaggi settoriali, non ha
l’originalità e il potere comunica-
tivo della lingua, non ha il valore
storico e culturale del dialetto.
È un sistema di comunicazione artificioso che non si evolve e
non muta. È interessante notare che esistono anche gerghi della
cosiddetta “gente bene” che non sono meno artificiosi dei gerghi
della “gente male”.
Tale gergo inventa strani neologismi, abbonda di termini stranieri,
soprattutto di termini e modi di dire italianizzati, ama esagerare
o minimizzare in modo fasullo le espressioni che attinge da altri
linguaggi. n
Il Gergo21n.86
In giro22diSergioScacchia [email protected]
n.86
Sui sentieri del silenzio“Agli occhi dell’uomo tutte le sue vie sono rette, ma chi pesa i cuori è solo il Signore”. (Proverbi 21,2).
Il territorio di Crognaleto
Intorno a Crognaleto, con la sua
frazione principale, Nerito, insiste
una miriade di minuscoli paesi,
anche se i boschi stanno mangiando
i rustici abbandonati e i sentieri antichi,
inghiottendo parte dei segni della vita
degli uomini.
Fra questi borghi c’è Frattoli a 1115 me-
tri sul livello del mare, che conserva, oggi,
più di una chiesa antica con stupendi
altari lignei e con mura, dove sono ancora
visibili delle belle iscrizioni del 1400, 1500,
impresse anche su stipiti e portali.
Trovo stupenda San Giovanni Battista in
stile gotico con il suo inaspettato portico
seicentesco delle “logge”.
Il paese dipendeva da Amatrice, poi nel XVII secolo, entrò a far parte
del Ducato di Atri della potente famiglia degli Acquaviva che, da que-
ste parti trascorrevano giorni di vacanza.
Il borgo, dal quale si gode il panorama forse più bello del comprenso-
rio, è stato a lungo un centro artigianale conosciuto nell’intaglio del
legno e nella lavorazione della pietra.
Fu proprio a Frattoli che abili artigiani realizzarono la splendida statua
della Madonna delle Grazie, venerata nel santuario francescano di
Teramo, dove approdò alla fine di un grande pellegrinaggio attraver-
so Piano Roseto, Macchia Vomano e giù verso Montorio. La Vergine,
vestita di drappi pregiati come si conviene ad una regina, pare che, in
groppa ad un mulo, se la vide brutta alle porte del capoluogo. La bestia
affaticata, inciampò e rotolò pesantemente sul greto del fiume Tor-
dino, proprio sotto la strada. Urla disperate dei fedeli che credevano
di trovare la statua in mille pezzi. Ma la Madonna delle Grazie rimase
illesa e si gridò al miracolo. L’opera, che di certo conoscete bene, è
fantastica! La bellezza del volto
espressivo, il capo reclinato ver-
so il Bambino, le mani affusolate,
danno l’idea della bravura degli
artigiani montanari.
Ancora oggi Serafino Zilli, l’ulti-
mo di una famiglia di scalpellini
d’epoca, fa risuonare le vecchie
contrade del battito del suo
martello. Gran parte delle chiese
nella Laga teramana e molte
antiche abitazioni sono state
abbellite dall’estro e dall’arte di
questi uomini dediti all’arenaria,
azzurra all’origine, beige corrosa
dalle intemperie e dal trascorrere del tempo.
Inventarsi la vita in queste valli profonde non è stata cosa facile sia per
l’asprezza dei luoghi, che per gli inverni lunghi.
La storia da queste parti non è altro che il racconto a volte difficile da
credersi, dei sacrifici e della tenacia con cui la gente ha vinto le diffi-
coltà di un mondo avaro di risorse. Il lavoro artigianale dei tanti uomini
come gli Zilli, si confonde ad ogni passo con la storia umana e civile
dei primi insediamenti, dello sfruttamento dei boschi e dell’arte di
lavorare pietra e legno servendosi dell’ingegno dei valligiani. I fratelli,
giunti fin qui da Campotosto, diedero i natali anche a Amedeo che,
padre di dodici figli quasi tutti maschi, ripopolò Frattoli di muratori e
scalpellini. Alto e grande di aspetto, sorta di armadio umano, incuteva
Monti della Laga
Chiesa San Giovanni Battista (portico )
Statua madonna delle Grazie
23n.86
timore a prima vista, ma era di una bontà
infinita. Ha lasciato varie testimonianze
della sua abilità artistica, dalla torretta della
chiesa di Padula, ai finestroni di Cesacastina
o gli altari a Frattoli.
La pietra, vera regina di questi luoghi si
riconosce ancora oggi tra gli scempi delle
costruzioni moderne. Si capisce la squadra-
tura dei blocchi fatta a mano per stipiti di
porte e finestre, s’intuisce facilmente che
queste mura non temono nessun terremoto.
In molti paesi, riattati i rustici e le antiche
case, le vecchie comunità si ritrovano nelle
brevi stagioni estive. Cresciuto il benessere
economico, è nato un nuovo atteggiamento
nei confronti dell’ambiente. I secolari sentieri
tra boschi e costoni impervi, i valichi un
tempo importanti vie di comunicazione,
sono tornati ad animarsi non più percorsi da
boscaioli e pastori, ma da camminatori che
vogliono riscoprire la cultura montana.
Sono molti i paesi che meritano attenzione:
Cervaro con la bella chiesa di S.Andrea,
Altovia e Aiello, con il tempio cinquecen-
tesco dei santi Silvestro e Rocco e Tottea,
villaggio costruito su di un enorme masso
di arenaria dove si trova un Ecomuseo e un
Centro di documentazione del Parco.
A proposito del borgo di Tottea, chi ha
voglia di arrivarci non perda la chiesa di San
Michele Arcangelo con il suo tetto a capanna
e il piccolo campanile a velo. La storia del
tempio sacro si colorò nel 1921, delle tinte
fosche tipiche degli eventi più drammatici.
A causa di alcune candele votive accese per
devozione alla Vergine Maria, si sviluppò un
incendio immane. Nel rogo andarono distrut-
te delle statue settecentesche, arredi sacri, il
prezioso soffitto ligneo dipinto e il più grande
organo a canne della Diocesi, vero orgoglio
del paese. Oggi, Tottea mostra vecchie case
in pietra arenaria, portali, soglie che hanno
resistito nei secoli e che testimoniano il
valore della pietra per la gente di montagna.
Ogni volta mi ci reco, ho l’impressione di
essere in un luogo autentico, genuino. È
come vivere in una grande famiglia e riunirsi
tutti nella piccola piazza come in un salotto
di casa. È l’icona di una bellezza di vita che
non esiste più. Magari la gente di allora, oggi
è malandata. Un tempo si poteva morire a
vent’anni ma arrivare anche a cento per via
di una naturale selezione genetica. n
Visitate il mio blog:
http://paesaggioteramano.blogspot.it
Il Gran Sasso di notte visto da Frattoli
Cervaro
Cesacastina tra i suoi boschi
Ciò che si nasconde nell’intimo di
ognuno di noi è difficile da esplorare.
Nei meandri del nostro “ io” più pro-
fondo, a volte si annidano inaspettati
sentimenti. Che si tratti di persona colta o
analfabeta, certe prerogative fanno parte
dell’animo non modificabili dai processi
di acculturazione o da altri fattori esterni.
Vivono perché sono nati così e tali restano.
La vita di campagna, quando ancora era
affidata alla sola forza dei muscoli, temprava
modi e usi con il peso della fatica. Il rude
aspetto esteriore manifestava una evidente
condizione di disagio e non faceva capire
cosa si nascondeva nell’interiorità dei poveri
contadini che Ignazio Silone li aveva eletti
a protagonisti dei suoi romanzi, affettuosa-
mente chiamati “cafoni”. Per la quasi totalità
analfabeti, oltre alla forza fisica necessaria
per la sopravvivenza, esprimevano anche
nobiltà d’animo perché non erano teste vuo-
te. “Durante la mia fanciullezza mi nutrii
di poco pane e di assai sogni. A l’età di
sei anni cominciai ad andare a scuola
e sino a 12 anni frequentai la terza ele-
mentare. Nel mio paese non c’erano più
scuole”, è ciò che scrive Ernesto D’Evangelista nel suo diario. Semplici
parole piene di significato scritte da un contadino con un bagaglio
culturale di appena tre anni di scuola elementare. Sintetizza la sua
difficile condizione legata soprattutto alla sopravvivenza e per il resto
lasciato all’immaginazione dei suoi sogni.
Nel manoscritto l’autore racconta le fasi salienti della sua vita: il suo
matrimonio, la nascita dei figli, il servizio militare e l’esperienza della
seconda guerra mondiale, il matrimonio dei figli e infine il congedo
dalla vita terrena. Sapersi accontentare dell’essenziale era una virtù
di pochi in quel periodo per apprezzare degnamente l’esistenza
terrena. Gli altri si perdevano spesso nell’inedia e nella rassegnazione
profonda, mentre altri assistevano da spettatori senza curarsi delle
La storia
sofferenze altrui. Il richiamo alle armi nei primi anni quaranta è un
momento di paura nonostante la forte e decisa tempra caratteriale.
Animato da un forte spirito religioso trova la forza di resistere e non
farsi prendere dallo scoramento. Sposato con prole, Ernesto conosce
in parte gli orrori della seconda guerra mondiale. Paure, ansie, stenti
e disagi opprimono il suo pensiero di non rivedere i propri cari. Ad ag-
gravare la situazione è la febbre da malaria contratta in un momento
di grande difficoltà sociale per la cura della malattia.
Scrive: “La sera si accostò al mio letto un Sacerdote che mi
convinse a confessarmi. La mattina dopo mi risvegliai in piena
salute, senza febbre. Stavo bene e ringraziai il Signore per la
grazia ricevuta”. Non è dato sapere se si sia trattato di vero miracolo
o guarigione da cure. Resta comunque un attestato di convinzione
religiosa che sicuramente lo ha aiutato a guarire dal male.
Anche nei momenti più duri può esserci qualcosa di conforto. Non
avrebbe mai immaginato di rivedere il fratello in quell’angolo d’Italia
dove bombardamenti e atrocità erano
all’ordine del giorno. Invece: “Dopo due
giorni arrivò la lettera di mio fratello
Giovanni. Non si sapeva dove si trovava
perché la censura militare aveva tolto
ogni riferimento. Non aveva cancellato,
però, l’indicazione della Provincia di
Brindisi”. Il richiamo dell’affetto familiare
spinge Ernesto nella ricerca del fratello: “un
giorno del mese di marzo 1944, freddo
e buio, per il forte amore di fratellanza”
partì alla ricerca di Giovanni e dopo tanto
cercare lo trovò e “finalmente abbracciai
mio fratello e restammo tutta la notte a
raccontare le avventure passate”.
Il fronte di guerra risale dal sud verso nord,
mentre loro, benché liberi per l’ armistizio,
non possono far ritorno a casa in quanto le
nostre parti sono sotto il controllo tedesco,
non ancora liberate dalle truppe alleate.
Arriva il giorno di partire, naturalmente a
piedi, e in molti indicano ai due fratelli la
via del “tratturo”, percorso che i pastori
abruzzesi seguono per il trasferimento delle
greggi. Seguono giorni di cammino con
tante difficoltà da superare, non ultima la
presenza di militari che presidiano le vie
più praticate. Dettato dalla necessità, Ernesto aguzza l’ingegno per
eludere la ferrea sorveglianza dei militari appostati sull’altra sponda
del fiume Trigno in Molise e dice al fratello: “Tu che non sai parlare
devi piangere davanti al Comando, mentre io parlerò perché so
farlo bene”. Lo stragemma convince i militari e così i due hanno via
libera per il prosieguo del loro cammino verso casa.
Rientrato a casa e dopo aver riabbracciato i suoi cari, la dura vita
di campagna gli si ripropone davanti con il peso della famiglia da
sostenere, dopo aver lasciato quella paterna. Il vero problema non è
il peso dei cari, bensì la insostenibile condizione di subalternità alla
quale è sottoposto dal latifondista proprietario della sua “campagna”,
sicuramente di pochi scrupoli. Scrive ancora: “Essendo che il padro-
24
Ernesto D’Evangelista
n.86
Il nobile sentimentodi un quasi analfabeta
diAntonio Parnanzone [email protected]
25ne della campagna è cattivo, pensavo
sempre e pregavo Dio di avere la felicità
di comprare una casa e un pezzo di terra
per non essere più schiavo dei padroni”.
Parole eloquenti che non lasciano alcun dub-
bio sulla causa di certe condizioni di disagio.
Il sogno si avvera di li a poco e così trova un
po’ di meritato sollievo.
Nel frattempo per i cinque figli, ormai giova-
ni, arriva il tempo di sposarsi e in occasione
dell’ultimo matrimonio, quello di Rita, espri-
me soddisfazione scrivendo: “Fu la giornata
più felice della mia vita e mi sentivo
orgoglioso di aver fatto il mio dovere su
questa terra”. Non c’è denaro ed altri averi
materiali che tengano di fronte all’affetto dei
suoi figli per averli accompagnati a formare
ciascuno la propria famiglia con il poco che
ha potuto offrire loro. Altri tempi, quando
l‘arrivismo per il frivolo dei nostri giorni non
era ancora conosciuto.
L’essenza di una vita intera, trascorsa con
tanta intensità per le forti emozioni, risiede
in un momento di riflessione quando ormai
la sua esistenza è minata dalla malattia.
Trova la lucidità di ringraziare i figli e la mo-
glie, contento di aver assolto i suoi doveri di
padre, in un testamento spirituale di grande
forza d’animo, pronunciando un arrivederci
nell’aldilà e lo fa così : “Ho lavorato con la
forza e con il cervello. La mia testa ha
saputo sviluppare bene il modo di stare
bene e di fare una vita discreta. In dieci
anni ho affrontato cinque matrimoni (dei
figli) e ringrazio i miei figli che hanno
dimostrato affetto verso di me e mia mo-
glie. Ringrazio la mia consorte, la quale
poverina ha condiviso con me la fatica di
crescere cinque figli. Quante sofferenze
patite insieme, ma sempre orgogliosi di
vedere i nostri figli crescere bene. Quan-
n.86
do Dio mi chiamerà nell’eternità, andrò
serenamente perché sono malato, ma
contento di aver fatto il mio dovere su
questa terra. A te sposa diletta ti ripeto
di amare i figli, nipotini e generi fino a
quando Dio ti chiamerà per raggiungermi
nell’eternità per godere insieme il Paradi-
so, se saremo degni di andarci”.
Un grande amore per quella parte di se stes-
so (figli, nipoti e generi) che lascia sulla terra
per l’approssimarsi del fatidico momento del
trapasso, ai quali ha dedicato una vita intera
per donare loro tutto il bene possibile. La
grande fierezza di vederli nascere, crescere
e poi lasciarli al loro giusto destino con la
consapevolezza di aver adempiuto appieno
al dovere di padre. Poi il commovente pen-
siero rivolto alla moglie; un invito a donare
gli ultimi affetti alle sue creature per poi rag-
giungerlo presto nell’aldilà dove l’aspetta per
godersi insieme l’eternità. Parole intense e
lucide, frutto di una inossidabile fede, scritte
in un momento che per altri è di smarri-
mento per la fine terrena ormai prossima.
Non esprime rimpianti per i torti subiti, ne
quello che poteva essere e non è stato. E’ il
commiato senza clamore di Ernesto dall’esi-
stenza terrena e in punta di piedi si avvia ad
attraversare lo spartiacque che lo conduce
nell’aldilà. n
A Milano, allo Spazio
Oberdan, il 19 febbraio,
è stata inaugurata la
Mostra “Paris en liberté”
del fotografo francese Robert
Doisneau (1912-1994). La
Mostra, promossa per iniziativa
della Provincia di Milano e
della Fondazione Alinari con la collaborazione della Ville de Paris, è stata
presentata a Parigi all’Hotel de Ville, a Tokio, Kyoto e al Palazzo delle
Esposizioni di Roma, prima di approdare a Milano dove vi resterà fino al
5.05.2013. L’artista Robert Doisneau , il più illustre rappresentante della
fotografia umanista in Francia, ha testimoniato un duo inscindibile con la
sua città, fotografata in tutti gli angoli, ambienti sociali, intellettuali, nella
di FlorianaFerrari
di Robert Doisneau
La mostravita bohémienne ed artistica, agita nei monumenti più significativi dai
parigini, en plein air. Sono esposte più di 200 fotografie, in bianco e nero,
scattate tra il 1934 e il 1991. Son sujet de prédilection, ce sont les Pari-
siens: les femmes, les hommes, les enfants, les amoreux, les animaux et
leur façon de vivre la Ville Lumière. (Il soggetto prediletto sono I Parigini:
le donne, gli uomini, gli innamorati, gli animali e il loro modo di vivere la
Ville Lumière). Un’emozione unica e collettiva, una folla partecipante e
motivata è intervenuta all’inaugurazione di Milano. Un pubblico variegato
di famiglie con bambini, coppie, studenti, artisti, esperti del settore si è
diramato negli spazi espositivi, per immergersi nelle immagini imperanti
di Doisneau, spaccati di vite vissute, tempi lontani ed ancora attuali, da
ripercorrere con occhi nuovi. Sentieri in bianco e nero, l’artista fotografa-
va di tutto, facendosi trasportare dallo stupore, non perseguendo nessun
metodo filologico o documentaristico, ma solo muovendo dal grande
amore per la sua città, vissuta con sguardo contemplativo.
Era sempre in cerca di emozioni da catturare, scatti presi nei luoghi
più amati come il Pont des Arts, fotografie ricomposte in cubetti come
giochi, un puzzle da ricomporre. Parallelamente alla Mostra di Doisneau,
la Fondazione Cineteca Italiana ha riproposto una rassegna tematica,
per ripercorrere l’atmosfera Parigina, con la proiezione di capolavori
del cinema: “Ninotchka” con la regia di Ernst Lubitsch; “Les portes de la
nuit” con la regia di Marcel Carné; “Zazie dans le metrò” di Malle; “Hotel
du nord” di Carné; “I 400 colpi” con la regia di François Truffaut; “Prix
de beauté” di Genina; “Les Dames du bois de Boulogne” con la regia di
Robert Bresson; “Funny Face” di Donen; “Vivre sa vie” con la regia di
Jean - Luc Godard. n
Paris en liberté
Non esiste purezza etnica o narrativa preservata. Tarantino
ribadisce che il testo, risolto esclusivamente in altri testi, è
sempre sconfinato e sovrapposto, quanto il corpo e le «razze».
La vittima (Kill Bill), la donna (Death Proof), l’ebreo (Inglorious
Basterds) precedono ed eccedono il nigger dell’instabile forma essere
e tempo di Django Unchained, remake
vendicativo, plurimo e basterdo di ogni
possibile cultura subalterna, denso di ma-
teriali e affetti, una compilation di ritornelli
visivi, piattaforma mobile di musica/segno
dove il regista sbalordisce per la sua bra-
vura di dee-jay archivista della memoria
audio e video.
Quel nome nomade trans-formato, Djan-
go, ricomprende già un destino esteso a
millepiani virtuali in cui ognuno è tanti.
Il Jean detto dai Rom o il John di ebraica
pronuncia, a designare la persona assai
attesa, l’eroe riscattante. Affine, non solo
nominalmente, al più baadasssss degli
orixás neri, Changó/Xangô dio del fuoco
e del fulmine, santabarbara ambulante
di munizioni quali frecce, machete, ascia,
lancia, daga. Il cowboy-spaghetti di Franco
Nero (nero!) ne aveva per l’appunto le
stimmate. Fulmineo con la pistola, dove
il musicista zingaro da cui aveva preso il
nome risultava impareggiabilmente veloce
con la chitarra. Nonostante le mani muti-
late o maciullate, nonostante la diversità
etnica (vale pure per l’italiano precipitato
in un genere americano). Per questo ama-
to e giamaicanamente dub-bato dal Jimmy Cliff di The Harder They
Come, asceso tra gli alieni di Star Wars (il cacciatore di taglie Jango
Fett) e precipitato nella storpiatura/imbastardimento Z di uno Shango,
la pistola infallibile o dello Shaniko di Vendetta per vendetta (di Mario
Colucci). Tarantino amplifica ulteriormente le stratificazioni, ricollocan-
do con un punto di vista altro, sub e decodificato, non soltanto il plot,
Cinema
la storia: nientemeno e soprattutto la Storia, il passato «ecstatico» di
cui parlava Heidegger.
Anche il nuovo Django serve a porre in crisi il presente, ri-trasfor-
mandolo in futuro. E’l’eroe franco, nero (Jamie Foxx), un semidivino
Hercules Unchained (titolo USA di Ercole e la Regina di Lidia) all’at-
tacco della Fortezza Europa e Occidente, oggi riconsolidatasi come
integerrimo sistema di potere ufficiale. Ben esemplificata dalla white
house di Calvin Candie (Leonardo Di Caprio), sadico schiavista capita-
lista (i termini sono sinonimi), albergo simbolico di Elisa e Für Elise, la
dialettica dell’illuminismo, i libri mal o mai letti e il bon ton assassino.
Il luogo dov’è prigioniera Broomhilda (von Shaft!!!, Kerry Washington),
replica non solo della figlia di Odino, rispetto alla quale Django riceve
esplicitamente l’investitura di novello Sigfrido, ma pure di una bella
ragazza da saloon (nera) di un altro western corbucciano, Gli specia-
listi. Lo stesso film francese (con Johnny Halliday e Françoise Fabian)
da cui proviene anche Sheba, presente nella lussuosa stanza Giulio
Cesare, fascistizzato e francesizzato luogo infernale di combattimenti
mandingo (uno dei fighters si chiama Big Fred, come la superstar Fred
Williamson).
Django vi accede nel ruolo, fra i tanti, di Charlie il guercio, omaggio
a Richard «Shaft» Roundtree del film Charley One-Eye. Qui tutta una
serie di associazioni di idee esplicano il
metodo Tarantino (o anche, perché no?,
godardiano) fatto di «carta e non calco»
deleuze-guattariano. Ovvero macchina
astratta di «decomposizioni strutturali
interne, non sostanzialmente differente
da una ricerca delle radici». Radici, certo.
Dello sradicamento, per assurdo, in
questo caso. Roots. Il film parla la lingua
nera del Black Atlantic, sembra proprio un
rituale mandingo mumbo jumbo, apparen-
te nonsense di scivolose riconfigurazioni.
Sconfessa l’univocità, introduce alla
politica del fluido. Nella stanza simbolica
vi convivono lingua francese (mal parlata
o non compresa) e Léonide Moguy (il regi-
sta della bontà e dei valori alti d’Europa),
antico Egitto e antica Roma. Anche Franco
Nero e il suo valletto Umberto (Lenzi?).
Sono le stazioni di una serie di erculee
fatiche in divenire, dentro le quali aberra-
zione e resurrezione vanno di pari passo.
Django è il brutale black buck della tradi-
zione sudista americana che la blaxploi-
tation fece diventare il superbad mutha,
fantasma ritornante vendicatore. Ricol-
locato nel passato da cui originò (Texas,
1858), riscritto con la consapevolezza geologica del divenire storico,
e perturbato a partire dal concetto di storia come finzione (cfr. Marc
Ferro). Corpo dove il vintage ‘70 passa per la deterritorializzazione e
destratificazione hip hop, un campionamento continuo di rivendicazio-
ni senza confini. Al fianco dell’eroe, un comprimario bianco a mo’ di
tradizione letteraria americana (Twain, Caldwell, Faulkner, ma pure 48
26
Mumbo Django
diLeonardoPersia [email protected]
n.86
L’ultimo capolavoro diQuentin Tarantino
27
ore o Arma letale, la parodia Richard Pryor &
Gene Wilder). King Schultz (Christoph Waltz)
è il raffinato bounty killer tedesco, between
Usa e Europa, giustizia e crudeltà, civiltà e
barbarie, il rovescio radicale ma non troppo
(ossimoro?) del nazista di Bastardi senza glo-
ria, a sua volta rovescio di mille altre cose,
trasgressiva metamorfosi di un’ortodossia
narrativa storica. Django Unchained riscrive,
tra i tanti, Sentieri selvaggi dove l’eroe va a
riprendere la donna rapita dai selvaggi (non
gli indiani, i bianchi). Il fondamentalismo
appartiene infatti alla civiltà. A quel KKK
beffeggiato in stile Mel Brooks. Allo stesso
Quentin che, in un ruolo white trash, sceglie,
sia pure per interposto eroe, di farsi saltare
in aria.
Tarantino aspira e moltiplica, concatena. Il
tedesco spunta in the dark col suo carretto
fantasma di dentista ambulante (Greed
di Stroheim? Film sul denaro/cancro, con
svolta western finale), trainato da un cavallo
Fritz (Lang?) in un bosco dal fascino voodoo,
anticamera di una trasformazione e di un
simbolo di trasformazione. Sottrae Django al
ruolo di schiavo, condiviso con altri quattro
neri, proponendogli, affrancandolo, di
diventare socio in affari. L’uomo potrebbe
individuare i fratelli Brittle, suoi crudeli schia-
visti, illegal and wanted, gran bottino per
King. Cotti e mangiati, cioè immeditamente
snidati e fatti fuori. Una quest sufficiente per
un film intero, bruciata in una premessa di
nemmeno venti minuti dove sfilano già milio-
ni di citazioni, la vera trama.
Il personaggio del tedesco è ispirato al John
King (Richard Harrison) di Lo chiamavano
King, richiamato in musica del medesimo
Luis Bacalov del tema di Django cantato da
Rocky Roberts. Il plot schiavista proviene più
dal tardo Django 2 di Rossati che non dal
prototipo di Sergio Corbucci. Da quest’ulti-
mo, però, uguale musica (La corsa) e uguale
scena/incipit, con Django a sorprendere dei
cattivi mentre frustano una donna. Uno dei
fratelli banditi, che sevizia citando la Bibbia,
viene ucciso da un proiettile che trapassa
il libro sacro (proteggeva invece in Requie-
scant di Lizzani e nell’hitchcockiano Il club
dei 39). Sono ammiccanti punti di partenza,
tracce che spalancano abissi di insubordi-
nazione temporale, un linguaggio sospeso
nella spirale Vertigo del tempo, proprio alla
Chris Marker. Non sterile gioco citazionista,
piuttosto la densità e la discontinuità critica
dell’immagine-movimento di cui parlava
Deleuze.
Attraverso questo gioco si dirama un’amplifi-
cazione politica di concetti. Django nero pro-
cede attraverso un’educazione/abiezione, in
una crescita parallela al suo cadere in basso
(alto). King gli insegna parole, parabole,
paradossi e orrori (l’uccisione di un bandito
davanti al figlio), lo immette in una società
già dello spettacolo, facendogli (s)coprire
diversi ruoli in ascesa sociale (corrispondenti
a una progressiva abiezione morale), gli dà
l’identità, il nome (e parte I Got a Name di
Jim Croce). Da schiavo a fasullo valletto, da
finto esperto di lottatori mandingo a rivoltan-
te Freeman nero schiavista al cospetto del
più lurido e untuoso zio Tom mai visto sullo
schermo (un grandioso Samuel Jackson,
imbiancato nei capelli e nelle sopracciglia, su
modello del primo demoniaco house nigger
cinematografico, quello di Within Our Gates,
a firma nera di Oscar Micheaux). Alto è bas-
so e basso è alto. Oppure solo chi cade può
risorgere. Nella cultura bianca e in quella
afro. Siamo nell’Atlantico nero, due sono uno
e uno è due (e più…).
La possessione del dio, che nei riti voodoo
cavalca il devoto, come Django il cavallo,
sbalordendo tutti, tra le capre, a Daughtrey,
Texas (score morriconiano da Gli avvoltoi
hanno fame), è proprio il ridimensionamen-
to in vista del riscatto. Laddove il cavallo in-
carna il sub-umano, la bestia in noi (cfr. Jung)
la capra raffigura il principio maschile risor-
gente, la futura cornucopia, segno di anima
purificata, soul. Il punto di comunicazione
tra gli opposti è proprio la croce, immagine
emblema del primo Django e di quasi tutto il
cattolicissimo spaghetti western (presente di
n.86
nuovo nel Sukiyaki Western Django di Miike
Takashi). Ora non c’è. Se non virtualizzata
quale espiazione in vista dell’ascension o,
meglio, come crossroad, punto di incon-
tro tra gli opposti, alla base di quasi tutta
l’estetica nera. Diversi registi bianchi hanno
saputo aderirvi. L’Eastwood di Mezzanotte
nel giardino del male, il Demme di Beloved,
il John Sayles di Honeydripper, film che
sanciscono il riconoscimento dell’ «esisten-
za simultanea» (parole di Amiri Baraka). E
adesso Quentin Tarantino, nel privilegiare i
punti di passaggio.
A conti fatti, il suo Django si ritrova sempre
dinanzi a una nuova porta. Ingressi di città,
di case, ingressi di nuovi ruoli. Esprime il
segno di frattura tra schiavisti e antischiavi-
sti, vittima e carnefice, legge e trasgressione
(quello sceriffo/bandito, quella libertà e quei
soldi conseguenti all’uccidere…). Incon-
tra, nel modo della mitologia peul, le varie
persone della sua persona, le potenzialità
positive o negative che sonnecchiano dentro
di sé. E ciò implica una scelta morale. Morale
è soprattutto l’autore del film, stra-pulp
nelle scene simboliche di genere (Django
sterminatore di un’infinità di tutti, al pari di
Jim Brown in Slaughter’s Big Rip-Off), eppur
pudico quando l’orrore risulta vero (i cani
che sbranano D’Artagnan, la scena più forte,
messa fuoricampo o quasi, ripetizione stra-
niata e agghiacciante della scena dell’orec-
chio reciso nel primo Django, già duplicata
ne Le iene). I primissimi piani leoniani degli
occhi sono il contrappunto di resistenza a
tanto orrore agito, la premessa a un nuovo
umano sguardo. Tarantino fa la cosa giusta,
proprio come il suo Django. Checché dica o
pensi Spike Lee. n
Salute28n.86
L’ematuria
diCarlo Manieri
Innanzitutto alcune definizioni: per ematuria si intende la presenza
di sangue nelle urine; nella microematuria la presenza di sangue è
minima, non visibile ad occhio nudo ed evidenziabile solo con un
semplice esame di urine; nell’ematuria macroscopica o macro-
ematuria la presenza di sangue è evidente anche ad occhio nudo e
tale da colorare francamente le urine di colore rosso.
L’ematuria è la manifestazione clinica di una perdita di sangue, che
potenzialmente può verificarsi in ogni punto dell’apparato urinario:
rene, cavità renali (calici e pelvi, da dove le urine, secrete dal nefrone,
unità funzionale del rene, vengono convogliate in vescica attraverso
gli ureteri), ureteri, vescica, prostata, uretra, ovvero il canale attraver-
so il quale le urine vengono
emesse all’esterno.
Sono poi fondamentali le
caratteristiche dell’ematu-
ria: iniziale se è presente
solo all’inizio della minzione,
terminale se si manifesta
nell’ultimo getto di urine,
totale se presente durante
l’intera minzione. Di rilievo
è anche la valutazione del
colore delle urine: urine
color rosso vivo nel caso di
ematuria in atto, urine color
“lavatura di carne” quando
l’ematuria è modesta, color
“coca cola” nel sanguina-
mento pregresso.
Di importanza diagnostica
sono gli eventuali sintomi associati. L’ematuria può manifestarsi in
concomitanza con una sintomatologia acuta dolorosa nella regione
lombare, la classica colica renale, possibile espressione della migra-
zione di un calcolo lungo le vie urinarie. Classica è poi l’ematuria ma-
croscopica in occasione di una cistite acuta, cosiddetta emorragica,
infezione acuta del basso apparato urinario particolarmente frequen-
te nel sesso femminile, caratterizzata anche da intensa frequenza
minzionale, minzione dolorosa, bruciori minzionali, a volte febbre.
L’ematuria se macroscopica e monosintomatica, anche se si manife-
sta una sola volta, è da tenere in particolare considerazione in quanto
potrebbe essere l’unica espressione di una patologia tumorale.
Ora un rapido elenco delle più frequenti cause urologiche di ematuria:
cistite emorragica, calcoli delle vie urinarie (rene, uretere, vescica),
tumore del rene, tumore della via escretrice (cavità renali pieloca-
liciali, uretere, vescica), patologia benigna e maligna della prostata,
patologia traumatica, patologia iatrogena (dopo intervento chirurgico,
cistoscopia, cateterismo, ecc.). Esistono ovviamente anche cause
nefrologiche ovvero da patologia medica del rene (come le diverse
forme di glomerulonefrite e nefrosi, gli screzi da uso di farmaci, ecc.),
cause sistemiche (per esempio da deficit della coagulazione), le clas-
siche ematurie da esercizio fisico.
Ogni paziente in caso di ematuria deve rivolgersi tempestivamente al
proprio Medico.
Non esiste uno standard diagnostico strumentale o per immagine, ma
ogni paziente deve essere valutato in base all’età, le caratteristiche
dell’ematuria, gli eventuali sintomi associati.
Routinario dovrebbe essere in ogni caso un esame delle urine, che
tra le altre cose consente di verificare l’effettiva presenza di sangue,
in quanto un colore anomalo delle stesse, anche se raramente, può
essere causato dall’assunzione di alcuni farmaci ed alimenti, dall’eli-
minazione con le urine di sostanze derivanti da emolisi, da processi
degenerativi muscolari post-traumatici.
Altrettanto necessari devono essere alcuni esami ematici di funzio-
nalità renale ed una ecografia dell’apparato urinario. Quest’ultima
ci dà un quadro abbastanza accurato, anche se non conclusivo,
della morfologia dell’apparato urinario. A questo punto Il paziente
dovrebbe essere inviato
allo specialista Urologo che
valuterà l’opportunità, caso
per caso, di un approfondi-
mento diagnostico con ulte-
riori indagini, che potranno
andare dalla cistoscopia alla
citologia urinaria, esame
che consente di rilevare
con buona sensibilità e spe-
cificità la presenza di cellule
tumorali nelle urine, alla
TAC addome senza o con
uso di mezzo di contrasto
(UroTAC), fino ad arrivare ad
altre indagini più specifiche
ed invasive.
Malgrado gli sforzi, non
sempre le indagini effet-
tuate consentono di fare una precisa diagnosi eziologica; possono
ad esempio sfuggire piccolissime lesioni tumorali pielocaliciali ed
ureterali. Esistono poi le cosiddette “ematurie sine causa”, come nel
caso dell’ematuria microscopica, particolarmente frequente nel sesso
femminile, in cui non sarà mai possibile individuarne l’origine. In que-
sti casi è compito del Medico non abbandonare il paziente e lasciarlo
al proprio destino; il ripetersi di una ematuria anche dopo alcuni mesi
potrebbe riservare cattive sorprese. Deve infatti essere consigliato
un preciso percorso di controlli, ovvero un adeguato follow-up,
consistente in controlli seriati dell’esame urine, controlli ecografici
delle vie urinarie, citologie urinarie “tradizionali” o altri tipi di esame
citologico, messi a punto più recentemente.
L’ematuria non deve mai essere sottovalutata: “il nemico” potrebbe
essere dietro l’angolo. n
Un sintomo da non sottovalutare
Potremmo dire che piovve sul bagnato su una società
incapace di onorare quello scudetto che, con sacrifi ci
fatti in dieci anni di attività, era riuscito a conquistare.
Dieci anni in cui era stata assoluta protagonista nel
panorama della pallamano femminile italiana, sfi orando più
volte sia il titolo di Campioni d’Italia che la Coppa Italia, senza
dimenticare le molteplici partecipazioni alle coppe Europee,
sfi orando anche le semifi nali, cosa inusuale e non certo di tutti i
giorni per la pallamano italiana.
Ma oramai è inutile piangersi addosso e rammaricarsi per tutto quello
che non si è stati capaci di evitare, pur se, sicuramente, c’erano tutte le
premesse per poterlo fare.
La sentenza per l’esclusione dal campionato e della fi ne dell’ H. C. Teramo
2002 femminile è ormai cosa fatta.
Certo, ci sono stati anche interventi autorevoli delle Istituzioni teramane,
di questo bisogna dare atto, ma i termini legali e regolamentari erano già
scaduti da tempo.
Quello che lascia dubbi e perplessità sulla reale volontà di evitare questa
magra fi gura è il supporto di quelle persone che dichiaravano di avere a
cuore le sorti della società e del buon nome di Teramo sportiva e non.
Se è vero che le regole vanno rispettate e le sanzioni applicate, è anche
29Pallamano
diEgidio Romano [email protected]
n.86
E tanto tuonò che piovve...!!!
vero che ci sono delle deroghe “legali” che possono essere messe in atto
soprattutto quando queste deroghe vanno applicate per consentire ad
una fi orente attività giovanile le cui maggiori protagoniste sono ragazze
che tolgono spazio allo studio e al tempo libero per dedicarsi ad uno sport
che amano e che dovrebbe essere maggiormente tutelato.
Quello che fa ancora più male è che ciò è avvenuto in un ambiente, quello
teramano, che è un punto di riferimento per tutta la pallamano italiana.
ambiente in cui tante sirene sono state pronte a “cantare” sentenze oc-
casionali. L’addolcimento della pillola con la presenza in città dei massimi
organi federali ci è sembrato una mera opera propagandistica volta a
salvare la propria visibilità e indirizzare le colpe verso quella parte che
è già inchiodata alle proprie responsabilità.
Altro silenzio assordante è quello dell’appena costituitasi “Gran-
de famiglia dell’Handball”, nata per salvaguardare non si sa
ancora bene quali interessi. La formula dei vari campionati di
serie A 1 femminile e maschile sta mostrando tutte le sue la-
cune con squadre che vengono escluse, altre che riducono i
propri organici e altre ancora che all’ultimo momento ritengo-
no di non disputare gare già in calendario. La crisi delle Società
per lo più facenti capo ad una sola persona è evidente a tutti ma
per la Federazione sembra esista solo il progetto “Futura”. L’augurio
è che ci siano risposte chiare, concrete e sensate per risollevare le sorti
di questo sport a tutti i livelli. Per quanto riguarda la pallamano femminile
teramana, le voci danno il costituirsi di una nuova società che dia speranza
e fondamento per il futuro. A tutt’oggi nulla è dato sapere in merito e que-
sto lancia ombre sul futuro. Sperando che i ricorsi storici, per altro negativi,
che investono le società teramane che scompaiono e riappaiono, abbiano
fi ne e salgano alla ribalta solo entità che sappiano dare continuità a propri
progetti e non solamente alla salvaguardia del proprio io..
La logica dice che il primo obbiettivo deve essere quello di creare una
società che abbia prima di tutto un consiglio direttivo, meglio ancora se
capace, uno staff tecnico competente e una squadra che onori il nome
della città di Teramo. n
Nonostante lo scandalo della carne di cavallo spacciata per manzo
si stia allargando sempre più, l’Unione Europea temporeggia
sull’obbligo di indicare in etichetta la provenienza di tutti gli
alimenti, che il 71% dei cittadini comunitari ritiene invece
importante conoscere. A farlo notare è la Coldiretti, sulla base dei dati
di Eurobarometro, dopo la decisione della Commissione Ue che, su ri-
chiesta degli Stati membri, ha scelto solamente di anticipare ‘’all’estate
o all’inizio dell’autunno’’ la presentazione del rapporto, previsto per fi ne
Carne di cavalloa cura di Raffaello Betti
Direttore Coldiretti Teramo
Lo scandalo si allarga ma l’Ue frena sull’etichetta
Coldiretti informaanno, sull’etichettatura della carne lavorata e dei prodotti che la conten-
gono. Di fatto questo signifi ca che ci vorranno ancora anni prima di una
eventuale entrata in vigore delle nuove norme nonostante lo scandalo
della carne di cavallo abbia dimostrato concretamente il forte ritardo
della legislazione europea di fronte ai rischi di frodi commerciali causati
dalla globalizzazione dei mercati.
Dopo la Nestlé, l’“Horsegate” ha coinvolto anche l’Ikea, la multinazionale
svedese, con tracce di carne di cavallo trovate nelle polpette servite in
un punto vendita della Repubblica Ceca. Una scoperta che ha spinto
al ritiro immediato del prodotto in tutte le strutture del gruppo, Italia
compresa. “Si tratta di una inutile perdita di tempo che va incontro
alle pressioni esercitate dalle lobby che fanno affari nella mancanza di
trasparenza come ha dimostrato il giro vorticoso di partite di carne che
si spostano da un capo all’altro dell’Europa attraverso intermediazioni
poco trasparenti”.
Un meccanismo che rende diffi cile risalire all’origine delle contamina-
zioni sia per le multinazionali che per le piccole aziende, che dovrebbero
invece valutare concretamente l’opportunità di risparmiare sui trasporti
per acquistare prodotti locali che offrono maggiori garanzie di qualità e
sicurezza alimentare. n
salvare la propria visibilità e indirizzare le colpe verso quella parte che
è già inchiodata alle proprie responsabilità.
Altro silenzio assordante è quello dell’appena costituitasi “Gran-
In ogni attività sportiva, i primi passi di
un praticante inizia nel settore riservato
alle nozioni elementari della disciplina
prescelta. “ Scuola calcio” vuol dire luogo
dei primi apprendimenti per la pratica dello
specifico sport. Il Teramo si avvale dei Piccoli
Diavoli per organizzare l’ampia attività degli
aspiranti calciatori dove il giuoco, inteso in
senso generale, per il periodo di approccio
è preminente rispetto alla disciplina vera e
propria. Nelle fasi successive, la disciplina si
sviluppa fino a diventare attività principale
nei professionisti. Duecento iscritti è l’attuale
organico della scuola calcio ”Piccoli Diavoli”. La
giovanissima età impone una programmazione
specifica in più fasi nell’arco dell’anno che
va dai primi mesi dell’autunno fino alle porte
dell’estate. La prima fase invernale dei giovani
più grandi (2000/2001) si è conclusa con ottimi
risultati e con tanta voglia di far bene sotto
l’attenta e scrupolosa direzione degli istruttori
Paolo Gentile e Fabio Pepe. A breve partirà
la seconda fase primaverile. Il lavoro svolto
fin’ora ha evidenziato un costante progresso
dinamico, operativo, tecnico frutto di una
sinergia strettamente collegata e programmata
tra i vari istruttori e tecnici. La categoria pulcini
è forse la più attiva. L’ambito di coinvolgimento
si è allargato a quello regionale con intensità
partecipativa da far invidia agli atleti più maturi.
Il fiore all’occhiello è stata la partecipazione al
torneo natalizio di Giulianova. La qualificante
partecipazione di Società importanti ha ulte-
riormente dato prestigio alla manifestazione ed
anche se in simili circostanze il risultato conta
poco, aver perso la finalissima di misura ( 5 – 4
) è sempre motivo di orgoglio e gratificante
per il buon lavoro svolto a monte. I più piccoli
sono quelli che riservano tenerezza e creano
il vero clima di festa scorrazzando sul prato
verde. Una piccola valanga biancorossa di circa
ottanta bambini di età compresa da cinque a
otto anni, costituisce il nucleo più numeroso
che il Prof. Aldo Coccioli, responsabile della
scuola, con la collaborazione di Sabatino Perilli,
gestisce con professionalità. Tanta motricità
di base e stimoli ludici sono gli aspetti che
vengono curati offrendo situazioni variate e
semplici nello stesso tempo. Il lavoro di base
non è affidato all’improvvisazione, bensì ad
una precisa programmazione che gli istruttori
mettono in pratica in ogni momento dell’at-
tività. Gli stessi operatori vengono formati
ed aggiornati costantemente. La formazione
interna, infatti, è una priorità che la dirigenza
della Società ha fortemente voluto, orientando
il programma verso una diversificazione di
apprendimento e in modo mirato. La giovane
età e lo stesso concetto di “scuola” impon-
gono un rapporto costante con le famiglie. Le
relazioni con le famiglie è forse l’aspetto più
interessante, curato dagli operatori in modo
equilibrato senza forzature di alcun genere. C’è
fiducia e discreta partecipazione dei genitori
in un settore tanto verde, tanto lontano dai
palcoscenici abbaglianti della prima squadra.
Qualcosa di bello per il Teramo Calcio che
lavora per il futuro. Merito del grande lavoro
è dei tecnici e dell’apparato organizzativo, a
cominciare dal responsabile della scuola Prof.
Aldo Coccioli. Lo staff tecnico degli istruttori è
composto da: Gentile Paolo e Fabio Pepe per la
categoria esordienti (2000/2001), Alvaro Fran-
chi e Giovanni Foschi per la categoria pulcini
(2002), Claudio Belfiore e Andrea Saccomandi
per la categoria pulcini (2003), Domenico Di
Carlo e Leonardo De Camillis per la categoria
pulcini (2004), Sabatino Perilli per i piccoli amici
(2005,2006,2007), Alvaro Paternò preparatore
dei portieri. L’attività è svolta sotto l’egida del
vice presidente del Teramo Calcio Ercole Cimi-
ni, del D.G. Massimo D’Aprile e del responsabile
del settore giovanile Vincenzo Feliciani. n
Calcio30n.86
diAntonio Parnanzone [email protected]
I PiccoliDiavoli del Teramo