Teramani n. 110

32
n. LA SALUTE VIEN MANGIANDO IL PIRULO INNAMORATO COSÌ COME FECERO GLI ANTICHI pag. 4 pag. 22 pag. 23 110 Luglio-Agosto 2015 mensile di informazione in distribuzione gratuita IL PIRULO INNAMORATO IL PIRULO INNAMORATO

description

Periodico free press "Teramani" n. 110

Transcript of Teramani n. 110

Page 1: Teramani n. 110

n.

LA SALUTEVIEN MANGIANDO

IL PIRULOINNAMORATO

COSì COME FECEROGLI ANTICHI

pag. 4 pag. 22 pag. 23

110Luglio-Agosto 2015

mensile di informazione in distribuzione gratuita

IL PIRULO INNAMORATOIL PIRULO INNAMORATO

Page 2: Teramani n. 110
Page 3: Teramani n. 110

l’EditorialeSO

MMAR

IOn.

3

4

6

7

8

9

10

11

12

13

13

14

15

15

16

18

19

20

22

23

24

26

28

28

29

30

Champagne per brindare a un’amoratoria

La salute vien mangiando

Cesare Battisti

I Giovani, la Scuola, la Famiglia tra Internet e Tv

Il Teramo delle mele Annurche

Raffaele, vita e tagli di un acconciatore

Il libro del mese

L’inchiostro simpatico di Mister Brucchi

La sonda Rosetta

Il pirla nell’ostrica

Note linguistiche

Intervista a Mario Rusconi

Idee e proposte per una scuola veramente buona

L’Oggetto del desiderio

Il Piccolo Principe

Musica

Questa Rai verrà polverizzata

San Bernardino

Il pirulo innamorato

Così come fecero gli antichi

Le Pinciaie

Cinema

Dura Lex sed Lex

Ricerca di Personale

Pallamano

Shop Art

Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio

Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano, Floriana Ferrari, Carmine Goderecci, Maria Cristina Marroni, Piero Natale, Orbilius, Leonardo Persia, Sergio Scacchia, Rossella Scandurra, Zapoj Tovariš, Susanna Turco.

Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressione di chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazione né l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche solo parziale, sia degli articoli che delle foto.

Impaginazione: Imago ComunicazionePeriodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. GabrieleOrgano Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa: Gruppo Stampa AdriaticoPer la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738Teramani è distribuito in proprio

110diMimmoAttanasiiChampagne per

brindare aun’amoratoria

A dargli retta a quei potentati puttanieri

del cazzo bisognerebbe per prima cosa

chiedere scusa al complemento di spe-

cificazione del capoverso. Dopo sì che ci se

la può prendere di brutto per le loro vessanti

reprimende a sproposito di meritocrazia e

altre virtù; che se poi vai a guardare bene per

la passera devono ogni volta pagare vari sup-

plementi e rilevanti benefit sennò è col com-

plemento di specificazione di cui sopra che

gliela danno. Sempre e comunque aderendo

rigidamente al protocollo d’intesa a seconda

del ruolo di potere che in quel momento

i puttanieri potentati esercitano contro le

fasce sociali più deboli. Al Corriere della Sera

è stata riassunta la diagnosi

di Roger Abravanel e Luca

D’Agnese su scuola e lavoro:

“La disoccupazione giovanile

nel nostro paese ha cause

ben più profonde e lontane

della crisi economica. I ragazzi

italiani non sono preparati al

lavoro del ventunesimo seco-

lo. E la scuola e l’università,

con poche eccezioni, non

riescono a insegnarlo” (La

ricreazione è finita, Rizzoli). Per il governo a

generare la disoccupazione è la mancanza

di investimenti. Altri economisti si rifanno

all’uomo flessibile del sociologo Richard Sen-

net secondo cui l’esempio calzante sarebbe

quello dei panettieri di New York che, dopo

essere stati licenziati, si sono messi a pro-

durre scarpe poiché oltre alla pala sapevano

usare il mouse e le icone sul desktop. Quindi,

glielo ripeto ancora una volta di non dispera-

re e tenere duro al diciassettenne che mi ha

inviato in privato una lunga mail nella quale

implora una moratoria sulle raccomandazioni

politiche che proverò a sintetizzare usando

le frasi più evocative della lettera stessa: “E

proprio mo che sto a finire la scuola, che

un posto fisso papà già me l’ha trovato con

uno che dice lui, che scoppia lo scandalo di

la maffia capitale e che pure Renzo vuole

mettere a posto tutto. Prubbie mo lu te’ a

fa?, ‘ngule comba’ quande so’ sfurtunate!”.

Lo dico adesso e lo ripeterò

poi su queste pagine che

la sedicente meritocrazia

sbandierata metodicamente

da politici corrotti è la foglia

di fico propagandistica a

copertura del ritorno a logiche

censitarie, autoritarie e

oligarchiche. “Il primato della

parola evita la perpetuazione

della disuguaglianza tra ricchi

e poveri” (don Milani).

Page 4: Teramani n. 110

4 Eventin.110

[email protected]

nelle scuole e al convegno finale che si è svolto nell’aula magna del

Liceo classico. Un ringraziamento particolare va al giornalista e critico

enogastronomico Antonio Paolini che è stato un ottimo referente per i

ragazzi e uno splendido moderatore durante il convegno.

Quali sono i messaggi che avete voluto veicolare ai ragazzi?

Grazie ad un gruppo così eterogeneo di esperti è stato possibile ap-

procciare il problema da più punti di vista, riuscendo a rispondere con

competenza a tutti gli interrogativi che sono arrivati dai ragazzi. Abbia-

mo scelto di legare un tema vasto e complesso come quello della salute

a tavola alle tematiche ambientali, in linea con il percorso tracciato da

Expo 2015. Il rapporto tra cibo e salute, necessario per prevenire i di-

sturbi dell’alimentazione, è stato il filo conduttore gli incontri, che hanno

trattato temi attuali, come l’utilizzo dell’olio di palma, la qualità delle ac-

que, la riscoperta del “chilometro zero” e dell’olio di oliva come alimento

principe della dieta mediterranea fino ad arrivare a parlare delle malattie

connesse alla cattiva alimentazione, come l’obesità e l’anoressia.

Secondo i vostri dati i disturbi alimentari sono molto diffusi tra i

giovani?

Il percorso intrapreso dalla Asl di Teramo, da sempre in prima linea nel

combattere i disturbi alimentari, nasce anche dai dati preoccupanti a no-

stra disposizione: l’Abruzzo è la quarta Regione in Italia per la presenza

dell’obesità infantile, un problema che interessa 10 mila famiglie. C’è poi

l’altra faccia della medaglia, i disturbi della condotta alimentare, come

anoressia e bulimia, che colpiscono sempre più i giovanissimi. Nel corso

degli incontri abbiamo raggiunto 10 scuole e 500 ragazzi, raccogliendo

dati non proprio rassicuranti: ad esempio sono pochissimi, appena uno

su 100, quelli portano lo spuntino da casa per la ricreazione; la maggior

parte dei ragazzi preferisce merendine, soprattutto quelle delle marche

più pubblicizzate o panini e cornetti comprati al bar della scuola. Una

grossa fetta, circa il 30%, ha affermato di non fare colazione prima di

andare a scuola e tra quelli che la fanno solo il 10% afferma di mangiare

prodotti preparati in casa, solo il 5% di utilizzare biscotti da forno al

posto di quelli industriali. Nessuno ha affermato di fare colazione o

merenda con la frutta e appena il 2% legge le etichette dei prodotti. Per

questo stiamo pensando ad una seconda edizione del progetto.

iovani e alimentazione: un tema sempre più dibattuto. Ai tempi

dei social network è difficile per gli interlocutori istituzionali

riuscire a veicolare un messaggio univoco e a smentire le tante

leggende metropolitane che circolano in rete. La Asl ha scelto

di lanciare una campagna incisiva nelle scuole della provincia di Teramo

con il progetto “La salute vien mangiando”. Abbiamo chiesto al direttore

amministrativo della Asl, Maurizio Di Giosia, di illustrare questa iniziativa.

“La salute vien mangiando”, un progetto di cui la Asl è capofila.

Quali sono gli altri protagonisti?

Per la prima volta la Asl è riuscita a mettere in sinergia tutti gli attori che

a vario titolo si occupano di alimentazione, come il Gal appennino tera-

mano, l’Università di Teramo, l’assessorato alle Politiche agricole della

Regione, lo Slow Food, la Camera di Commercio. Gli esperti di questi

Enti ed associazioni hanno affiancato quelli della Asl che si occupano a

vario titolo di nutrizione: Maria Maddalena Marconi, Direttore del Sian,

Servizio aziendale di igiene degli alimenti e della nutrizione, Elisabetta

Modestini, Responsabile del Centro di Auxologia endocrinologia e nutri-

zione dell’età evolutiva ad Atri, Maria Giovanna Nespoli, Responsabile

del Centro di Fisiopatologia della Nutrizione a Giulianova, ma anche il

dottor Tommaso Migale, che ha curato per anni le mense degli asili nido

teramani e la psicologa Emiliana Finizii, che fa parte dell’equipe multidi-

sciplinare del dottor Mario Di Pietro, che hanno preso parte alle lezioni

G

La salutevien mangiandoIntervista a Maurizio Di Giosia

Page 5: Teramani n. 110
Page 6: Teramani n. 110

al carnefice austriaco.

Il Dott. Battisti – laureato in lettere presso l’Università di Vienna – appa-

rentemente aveva poco da spartire con la terra d’Abruzzo, lui italiano a

tutti gli effetti, ma austroungarico per cultura e residenza.

Aveva poco da spartire con una città, che era collocata non solo

fisicamente, ma culturalmente quasi agli antipodi rispetto alla ricca e

mitteleuropea Vienna.

Eppure Cesare Battisti ritenne di dover visitare la nostra città per far

comprendere agli italiani tutti la necessità di recuperare all’Italia le terre

irredente.

Animato da forti ragioni patriottiche e dotato di ottime capacità oratorie

attraversò la penisola in lungo e largo con l’intento di fare proseliti alla

causa della guerra, lasciando in Tirolo la giovane moglie Ernesta Bittani,

che poi lo raggiungerà con la famiglia a partire dall’agosto 1914

In ogni città in cui si recava aveva necessariamente contatti con

interventisti del posto ed a Teramo Battisti trovò un valido appoggio in

Giorgio Romani – avvocato di Torricella, che ben volentieri organizzò con

altri il Comizio interventista, che si tenne il 14 febbraio del 1915 nel

Teatro Apollo di Teramo.

Anche Romani era un uomo di grandi ideali, di grandi passioni ed ama-

va la patria così ardentemente da sacrificare per essa la carriera ed il

calore della famiglia dal cui tepore fu tolto poi dolorosamente nel 1917.

Il comizio di febbraio fu affollatissimo. Il giornale Il popolo abruzzese

nella edizione del 16 febbra-

io 1915 sottolineava con

enfasi come nel Cinema

Apollo potessero contarsi

oltre duemila persone tra

cui un numeroso pubblico

femminile, che rimase

affascinato dalle suadenti

e convinte parole, nonché

dalla giovanile esuberanza

di Cesare Battisti.

Ancora Il Popolo Abruzzese

scriveva “…Il suo discorso

fu assai suggestivo e

smagliante nella forma,

denso di ragione…” E fu

sicuramente condiviso dal

pubblico presente, perché

fu “…fragorosamente

applaudito...” anche se non

mancarono le contesta-

zioni per altro misurate dei socialisti presenti – contrari alla guerra. Il

Popolo citava tra i presenti anche l’On. Guido Celli.

Di per sé la notizia può sembrare marginale e di colore istituzionale,

ma il Celli - deputato giornalista, nato a Teramo nel 1878 - vicino per

nascita alla terra d’Abruzzo era già noto alle cronache locali dell’epoca,

perché era stato uno dei sei Onorevoli che si era recato tempestiva-

mente nella Marsica subito dopo il tremendo terremoto del 13 gennaio

1915 (ore 7:50), che aveva raso al suola la città di Avezzano, provocato

danni ingenti e morti nella vicina Sora (FR) ed era stato avvertito fin

nelle Marche.

Segue…

l 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra contro l’Austria dopo una

aspra tensione interna tra neutralisti ed interventisti, che con varie

argomentazioni difendevano l’una o l’altra posizione.

Da un lato le ragioni di chi riteneva che la guerra fosse inutile e

pericolosa per la gente comune e vantaggiosa solo per il capitalismo

imperante; per altri il desiderio era quello di mostrare i muscoli di uno

Stato forte o di recuperare pezzi di una Italia che al nord est era ancora

in mano austriaca .

Oggi la percezione comune è che la città di Teramo fosse decentra-

ta e quasi ignara di quanto accadeva nel resto della penisola, ma,

camminando tra le vie cittadine, scavando in parte nella memoria dei

nostri centenari ed in parte tra le carte ingiallite, si scopre che anche la

sorniona Teramo fu

luogo di attenta e

qualificata parteci-

pazione al dibattito

nazionale per la

Grande Guerra.

Pochi ormai hanno

modo di notare in

quell’edificio, che

una volta ospitava

il cinema Apollo, la

lapide commemo-

rativa, che è stata salvata dall’oblio in primis dall’accortezza dell’ing

Gianpiero Castellucci e poi dalla passione che il prof. Franco Di Felice ha

per il corpo degli alpini.

Quel candore segnato di nero fa bella mostra di sé in fondo al porticato,

che è stato ricavato sulla destra dell’ex Cinema Apollo, per ospitare le

vetrine di vari esercizi commerciali, ma la gente passa spesso distrat-

tamente vicino a quella pietra bianca, degnandola solo di uno sguardo

fugace.

Eppure quel pezzo di marmo rimesso in sito dopo la ristrutturazione

del cinema avvenuta a più riprese negli ultimi 30 anni rappresenta un

momento importante della storia teramana degli inizi del novecento:

un momento di grande commozione e partecipazione per quei grandi

ideali, che trovavano le loro radici addirittura nelle guerre risorgimentali

dell’ottocento.

Un nome campeggia in nero sul fondo bianco: Cesare Battisti. Offertosi

6n.110

CesareBattisti

I

La nostra Storia

di

Dirigente Scolastico ITC Pascal – Comi Teramo PieroNatale

La propaganda interventista nel teramano

Page 7: Teramani n. 110

7n.110

New media, Nuove generazioni

deglialunni della V b della Scuola Primaria San Giuseppe di Teramo

I Giovani, la Scuola, la Famiglia tra internet e tv

SI social network, istruzioni per l’uso

basato su relazioni effimere e superficialità

estrema. “Nella bacheca i commenti scivo-

lano via veloci spinti da altri commenti”.

Gianluca Pomante ha spiegato l’uso dei

social network, soprattutto di Facebook, ha

fatto vedere diversi video dove c’erano per-

sone così prese dall’uso del cellulare e a cui

accadevano cose spiacevoli per distrazione,

come inciampare per le scale o cadere in

una fontana. È piaciuto molto ai bambini il

video con la canzone di Caparezza “Tu sei

pazzo, mica Van Gogh”.

Filippo Lucci, invece, nel suo intervento ha

spiegato che i social sono molto utili se

usati correttamente.

Infine ha ripreso la parola Rusconi il quale

ha detto che i cellulari in classe possono

essere usati, ma solo per le emergenze e

non per giocare e messaggiare.

È intervenuta al dibattito anche una pro-

fessoressa del “Pascal” che ha espresso

le sue opinioni spesso non condivise dai

relatori. La stessa professoressa in seguito

ha ribadito che molte scuole della nostra

città non sono attrezzate adeguatamente

per poter fare lezioni in modo più moderno

e approfondire argomenti attraverso l’uso di

LIM e computer.

Questo convegno è piaciuto molto agli

studenti che hanno avuto modo di imparare

ad usare correttamente queste nuove tec-

nologie. Essi hanno capito di quanto siano

utili e allo stesso tempo pericolose.

abato 23 maggio 2015, gli alunni

delle classi quinte della scuola pri-

maria “San Giuseppe”, alle ore 9:30

si sono recati alla sala San Carlo del

Museo Archeologico “Savini” di Teramo per

assistere al convegno “New media, Nuove

generazioni: i Giovani, la Scuola, la Fa-

miglia tra internet e tv. I social network,

istruzioni per l’uso”, organizzato dall’Asso-

ciazione Culturale Project San Gabriele.

Erano presenti anche gli studenti della

scuola secondaria di primo grado della

“Savini” e quelli della secondaria di secondo

grado del “Pascal”.

I relatori erano: Mario Rusconi, Presidente

dell’Associazione Nazionale Dirigenti Sco-

lastici; Filippo Lucci, presidente del Co.Re.

Com Abruzzo; Gianluca Pomante, avvocato,

esperto in internet e nuove tecnologie;

Gabriele Di Francesco, docente di socio-

logia generale all’università “D’Annunzio”

Chieti-Pescara.

Gli argomenti trattati sono stati apprez-

zati e capiti dagli alunni presenti i quali

hanno avuto modo di poter discernere tra

l’uso proprio e improprio della rete e dei

social-network.

All’inizio l’organizzatore Giancarlo Puritani

ha introdotto gli argomenti del convegno e

ha presentato i relatori.

Mario Rusconi ha portato subito qualche

esempio di episodi accaduti nella sua

scuola dove alcuni ragazzi spavaldi ed

incivili hanno fatto ubriacare un loro amico,

lo hanno portato in bagno, messo in una

vasca e dopo averlo rasato su tutto il corpo,

lo hanno bagnato con urina. Di tutto questo

hanno fatto un video e postato sui social

network, poi sono stati scoperti e puniti.

Ha raccontato anche di quando da giovane

professore andò a guardare la sua cartella

personale custodita dal suo preside e dove

c’era il giudizio sul suo operato.

L’intervento di Di Francesco ha coinvolto

molto i presenti in quanto è sceso dalla

cattedra e si è recato in mezzo agli studenti

facendo loro domande personali riguardo

ai vocaboli usati sui social network. Poi ha

iniziato a spiegare che cosa significa buona

educazione. Lui la definisce così: “vuol

dire rispettare le regole“. “Amico è quella

persona che sta dentro un gruppo e che ti

aiuta nei momenti difficili”. “Nemico invece

è la persona che non ti rispetta e che non ti

aiuta nei momenti difficili”. I ragazzi hanno

capito che il concetto di social network è

Page 8: Teramani n. 110

8n.110

Accade a Miami (da noi si pronuncia Maiemi)

di

[email protected]

Il Teramo delle mele annurche

esperti. E, guarda caso, proprio sulla neutralità

della rete. “Se io pago per connettermi alla rete

con una certa qualità di servizio, e tu paghi per

connetterti con la stessa (o una migliore) qualità

di servizio, allora possiamo iniziare una comu-

nicazione con quel livello di qualità. Questo è

tutto. I fornitori di accesso a internet (ISP) hanno

il compito di interagire tra loro affinché questo

avvenga” (Sir Tim Berners-Lee, inventore del

World Wide Web e direttore del World Wide Web

Consortium). Su Google: “La network neutrality

è il principio per cui gli utenti di internet dovreb-

bero avere il controllo su cosa possono vedere

e quali applicazioni vogliono usare su internet”.

Edward Joseph Snowden, due anni dopo avere

innescato il terremoto del Datagate, che ha por-

tato alla limitazione dei poteri della Nsa, canta

vittoria: “Le differenze sono profonde. Il mondo

dice no alla sorveglianza” (New York Times, 7

giugno 2015). Anche l’Onu ha dichiarato che

la sorveglianza di massa è una violazione dei

diritti umani. L’Apple

ha dotato i propri

prodotti di protezioni

come la crittografia.

Un cambiamento nella

consapevolezza globale.

Dal 2013 le istituzioni in

Europa hanno stabilito

che simili attività sono

illegali imponendo

ancora limitazioni agli

intrusi con licenza di

spiare. “Anche se molta strada è stata fatta, il

diritto alla privacy è ancora minacciato. Quando

leggete queste parole online, il governo Usa ne

prende nota” (Edward Snowden). Ed è per que-

sto motivo che il periodico “Teramani” stampa

inchiostro su carta. Guai se la Nsa (National

Security Agency) dovesse scrutare la fantasma-

gorica idea con cui questa free press si accinge

a chiudere un articolo per aprire la stagione

estiva. Una stoccata di genio pari al Silent party.

Perché non allestire piccoli spazi ricavati nelle

piazze, nei campetti di periferia, in ogni angolo

aperto come quando da ragazzi per strada si

tirava il pallone sulle portiere delle macchine

in sosta? Sì, ma non per la solita e inflazionata

partita di calcetto. Che dire di un torneo di

pallamano. Con qualche squadra straniera va

a finire che un giorno ci si ritrovi fra le mani un

trofeo messo in palio da una città stretta fra

due fiumi che declina alla marina: Interamnia.

Ecco fatta La Coppa Interamnia.

Originale, non vi pare?

entre Jules Verne è dal 1873 che ci

fa circumnavigare virtualmente il

mondo attraverso il londinese Phileas

Fogg e il suo servitore francese Pas-

separtout, l’assessorato alla cultura annuncia la

maestosità di eventi futuri attraverso speaker

che esaltano figure colorate di gente festosa in

attesa della replica del “Silent party”. “Questa

amministrazione intende sostenere iniziative

che valorizzino e promuovano il Comune di

Teramo sotto il profilo culturale, turistico e com-

merciale oltre a rappresentare momenti di forte

aggregazione sociale che vedano protagonisti i

cittadini...”. Sarà per questo che una delle idee

più gettonate sia stata proprio la festa muta. A

raccontarla giusta, a parte l’innegabile successo

riscosso, tutto è assomigliato al great moments

from the movie dell’adolescenza anni ottanta. In

quel tempo, da Parigi in tour, piombò nelle sale

cinematografiche italiane “La boum” (Il tempo

delle mele), con Sophie Marceau. La scena in

cui Mathieu mette le cuffie del walkman a Vic,

nel mezzo di un ballo scatenato, per potersi

così isolare e danzare abbracciato a lei sulle

note struggenti e i versi immarcescibili di

“Dreams are my reality”. Et

voilà le jeux sont fait! Ecco

come si riempie una piazza

snobbata dai piccioni. Non

dalle cornacchie. “Quanto

tempo ci vuole per diventare

giovani”. Un aforisma di

Picasso sparato come un bit.

“As a European, which is the

message you will take back

from the US? What can we replicate in Europe?”

Qual è il messaggio che porterà in Europa?

Questa, la prima domanda posta da Alexandros

Koronakis all’onorevole Tancredi, Vicepresiden-

te alle Politiche europee alla Camera dei depu-

tati, membro della Commissione parlamentare

“The bill of rights di Internet”, alla II edizione del

Telecommunications and Media Forum of 2015

tenutosi a Miami e addirittura unico speaker

europeo presente alla conferenza, facilmente

riconoscibile nella foto come il solo relatore che

indossa le cuffie. La risposta dell’esperto tera-

mano sulla rete è che “the problem we face, in

Europe, is that the debate is being treated in a

too simplistic way. The discussion is focused on

Internet rights, the the-

ory of the Net neutrality,

freedom, user’s privacy

and so on... “; traduco da

quel poco che intuisco

attraverso la cuffia men-

tre scrivo: “Il problema

che abbiamo di fronte, in

Europa, è che il dibattito

è stato trattato in modo

troppo semplicistico. La

discussione è incentrata

sui diritti di Internet, la teoria della neutralità,

la libertà, la privacy dell’utente Net e così

via... “. Sempre con un bit saltiamo alla chiosa

sull’intervista confezionata ad arte dall’esperto

europeo inviato a Miami: “To understand what

kind of debate is going on in

Europe today, just see the

result of the Parliamentary

committee that I belong to: a

work too often impalpable”.

L’auricolare fa i capricci.

Comunque, più o meno il

concetto è questo: “Per

capire che tipo di dibattito

è in corso oggi in Europa,

basta vedere i risultati della commissione par-

lamentare a cui appartengo: un lavoro troppo

spesso impalpabile” (http://www.neurope.eu/

article/paolo-tancredi-taking-telecom-forward/).

Dai lavori impalpabili dell’onorevole Tancredi,

in un byte, cioè in 8 bit, balziamo a orecchie

ritte ad ascoltare le posizioni ideologiche di altri

Mche poi si mangiano negli strudel fatti in casa

Page 9: Teramani n. 110

9n.110

Persone

di

www.mauriziodibiagio.blogspot.comMaurizioDi Biagio

Vita e taglidi un acconciatore

URaffaele Meo festeggia i 50 anni di attività.“Questo è uno dei lavori più belli”

walzer, duettando col cliente, ammaliandolo,

per poi inserirle energiche e con maestria tra i

capelli del ragazzo.

Però il lavoro oggigiorno è più semplice “e

non come ai tempi dei Duran Duran quando le

acconciature erano più architettate, adesso i

giovani paiono essere più chiari nei gusti e più

sbrigativi, se non più pragmatici. Taglia tutto,

mi dicono, senza tanto ripensarci, mente

prima se iniziavano a cadere i capelli era un

vero e proprio dramma”. “Ho due figli fanta-

stici, Marco e Anna” e gli si infiammano cuore

ed occhi, rilevatori di uno spirito indomito,

forte e presente come quando fu di fronte

alla morte di suo padre: se ne andò per un

cancro beccato sul posto di lavoro per via del

maledetto eternit.

Per Raffaele yin e yang si alternano con il

ronzio di una giostra giubilante e fanciullesca.

“La vita mi ha dato tanto; io sono felice; sto

bene nel mondo; gli amici vengono a trovarmi

perché in definitiva il cliente è un amico che ti

ha scelto”. Tra le begonie ha sviluppato il suo

credo fatto di luce e di chiacchiere, di amore

del suo lavoro e di clienti che non sono da

spolpare,ì come invece è scritto nei manuali

delle migliori filosofie aziendali.

Sempre in camice e cravatta, mai

d’umore smargiasso, col ghigno

bonario e trasognante di chi per-

cepisce che la vita è un’occasio-

ne meravigliosa per non sprecarla

in vittimismi e rimpianti. Gli occhi

sono monelli e la scelta di vita

resta quella ancorata alle sue be-

gonie, a sua moglie e alla famiglia:

“Il giovedì e la domenica resto

chiuso, scelgo la qualità della mia

esistenza”. La vita gli ha arriso

benessere, gli ha portato felicità

e dolore, lo ha ripagato dei lutti.

E se le stelle di carta stagnola

volgono al cielo con gli occhi dei

clienti che si concedono sdraiati

sulla poltroncina, lui continua ad inondare con

la solita iridescenza le cose della vita. Non

smetterà mai di raccontare, non può, è più

forte di lui, chiede solo che l’amico che è nel

cliente non tradisca mai la sua fiducia. “Que-

sto è uno dei lavori più belli al mondo” termi-

na nel biancore lattiginoso del suo salone. La

saracinesca emette il suo solito cigolio delle

sette e mezza di sera. Raffaele alza il bavero

e riprende la sua solita via al tramonto. “Non

avevo nulla, ora ho casa…”.

n attimo di sospensione poi i suoi oc-

chi inclinano all’allegro, come al soli-

to: “L’unico che mi prende per il naso

è il mio barbiere, diceva una volta

Giulio Andreotti”. A riferirlo è Raffaele Meo, 70

anni e da 50 coiffeur o forse, anche meglio,

acconciatore. Nel suo negozio che scintilla

un biancore lattiginoso, dove neon e specchi

sfavillano storie incredibili, rimbalzano trote

imbalsamate sulla parete e foto senza cornici.

“I miei maestri durante il lavoro erano soliti

restare sempre in camice e cra-

vatta” e lui, ghigno bonario che

apre a impetuosi sorrisi, come di

tempesta, non vuole essere da

meno. “Questo è uno dei lavori

più belli perché sei sempre a

contatto con la gente”, sprigiona

gaia inquietudine con i suoi occhi

malinconici e vividi che tardano

a posarsi su qualcosa di ben

definito. Non riesce a smettere di

parlare al cliente, è più forte di lui,

ma in 50 anni di attività ha tante

cose da dire, da quel 18 marzo

del 1965: dieci cambiali per 300

mila lire e l’attività di Corso De

Michetti divenne sua. Raffaele

non è tanto un acconciatore, è

piuttosto uno che ti regala un pensiero, che

ti fa stendere sul suo lettino da psicanalista,

che letteralmente ti salva anche la vita, com’è

capitato un giorno con un uomo che ebbe un

infarto proprio nella sua barberia: gli praticò

un massaggio cardiaco visto in tv solo pochi

giorni prima e lo fece tornare dai suoi cari. Ep-

pure lui alla vista del sangue potrebbe anche

svenire, come quando dovette testimoniare a

riguardo di un famoso omicidio di quei tempi.

“Che vuoi dalla vita?” si chiede. “Niente, a set-

te anni sono stato male, dovevo morire allora,

poi fui costretto a rimanere a letto per diversi

mesi”. Più in là con l’età ha superato un

brutto male: “Sono soddisfatto - dice - però

‘sta cosa m’ha fregato, ero sempre ottimista

ora sono un po’ più malinconico anche se

mia moglie, Amalia Di Sante, la pittrice, dice

sempre che sono felice”.

Raffaele si mantiene in forma con i fiori, con

l’orto da coltivare: “Ho già piantato le begonie,

i fiori di vetro, le petunie, colorate molto

delicate”. Per lui i clienti sono altrettanti steli

e boccioli da curare e innaffiare tutti i giorni:

“Ne ho uno di 99 anni, un ex economo del

Comune di Teramo, viene da me dal 1967”.

L’acconciatore ha iniziato a 12 anni come

apprendista (“ora non ne vengono più”)

nel salone di Nicola Angelini in Via Mario

Capuani. Prima si contavano 52 attività, oggi

siamo a quota 27: “Nessuno più vuole fare

questo mestiere” grugnisce con amarezza. Le

forbici nella sua mano paiono compiere giri di

Page 10: Teramani n. 110

10n.110

Niente di nuovosul fronteoccidentale

C

Il libro del mese

di

[email protected] CristinaMarroni

Il soldato Bäumer

puro. Egli assurge “al ruolo di giudice simbolico di una situazione sto-

rica vissuta, senza possibilità di rivolta, dal popolo. I suoi compagni di

guerra sono osservati in tutte le manifestazioni, debolezze, tentazioni

e sussulti che il fronte impone anche agli uomini più corazzati”. Paul

morirà, proprio alla fine della guerra, in un giorno placido, quel giorno

era stato annotato: “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.

L’autore sceglie una prosa oggettiva, lasciando che il lettore rilevi

dai fatti un’interpretazione autentica, lontana dalla parzialità dei

commenti personali. A scene caratterizzate da un crudo realismo si

alternano momenti commoventi nel ricordo della pace di un tempo.

In questo modo la polemica antimilitarista “non riaffiora nei termini

metafisici cari agli espressionisti, ma secondo lo stile distaccato della

Neue Sachlichkeit (“Nuova oggettività”)”.

Elemento costante dell’opera di Remarque è il richiamo alla respon-

sabilità morale degli uomini. Nella guerra si vive un disorientamento

morale devastante: “Andando avanti diventiamo belve, poiché solo in

tal modo sentiamo di poterci salvare. Vogliamo vivere a ogni costo, e

perciò non possiamo ingombrarci di sentimenti,

che, decorativi in tempo di pace, sarebbero

quasi assolutamente fuori luogo”.

“L’orrore del fronte sparisce quando gli voltiamo

le spalle: ne parliamo con freddure volgari e

rabbiose: anche quando uno muore, usiamo

un’espressione triviale; e così tutto. È un modo

come un altro di non impazzire”.

Il corpo potrà essere ferito, ma la coscienza,

sebbene lacerata, troverà in sé la forza, il biso-

gno di amore supererà anche l’esperienza più

tragica. “Non sono mai stato tanto attaccato alla

vita”, scriverà Ungaretti, vegliando il cadavere

di un commilitone. Un inno alla vita, alla forza

morale dell’uomo. Nell’esperienza più feroce

o si soccombe privandosi della vita stessa o si

trova il coraggio per sopravvivere.

Il romanzo raggiunge la Spannung, la mas-

sima tensione morale, quando Paul Bäumer,

rifugiatosi nel cratere prodotto da una granata,

pugnala un soldato francese, partecipando angosciato alla sua morte.

“Compagno - gli dice - io non

volevo ucciderti. Se tu saltassi

un’altra volta qua dentro io

non ti ucciderei… Ma prima

tu eri per me solo un’idea,

una formula di concetti nel

mio cervello, che determina-

va quella risoluzione. Io ho

pugnalato codesta formula.

Soltanto ora vedo che sei un

uomo come me... Perdonami,

compagno!”.

“Allora, a che scopo la

guerra?” domanda il soldato

Katzinski. L’altro alza le spalle:

“Ci deve essere gente a cui la

guerra giova”.

In “Niente di nuovo sul fronte occidenta-

le” di Erich Maria Remarque, che appena

diciottenne aveva partecipato alla Grande

Guerra rimanendovi ferito, la tragica

esperienza personale dell’autore, diventa sim-

bolo di “una generazione distrutta dalla guerra

anche se sfuggita alle bombe”.

Remarque denuncia le cause del conflitto come

conseguenze di una politica aggressiva; ancor

di più si scaglia contro l’educazione faziosa e

corruttrice che i giovani hanno ricevuto nelle

scuole. Paradigmatiche a tal riguardo le figure

del professore che incita gli allievi ad arruolarsi

attraverso una smaccata retorica militarista e il

sergente che li addestra prima dell’esperienza

diretta con il fronte. Anche a loro lo scrittore

addebita la responsabilità del destino funesto e

della perdita di coscienza di quei giovani.

“Fuoco tambureggiante, fuoco d’interdizione,

cortina di fuoco, bombarde, gas, tanks, mitragliatrici, bombe a mano:

sono parole, parole, ma

abbracciano tutto l’orrore del

mondo”.

Precipitati all’improvviso

nell’esperienza della guerra,

alcuni giovani tedeschi ne

scoprono tutto l’orrore. La

guerra non è una questione di

orgoglio e di eroismo. La guer-

ra è un inferno senza ritorno:

anche se da quel baratro si

riuscirà a risalire verso la luce,

la vita ne sarà comunque

compromessa. Il protagonista

del racconto è il soldato Paul

Bäumer, di umile estrazione

sociale e ragazzo dal cuore

Page 11: Teramani n. 110

11n.110

Il caso del giorno

di

www.mauriziodibiagio.blogspot.comMaurizioDi Biagio

L’inchiostro simpatico di Mister Brucchi

CIl caso meno simpatico delle strisce pedonali biancorosse

Romagna, della Lombardia, del Veneto,

fornirsi di attraversamenti colorati di verde

e di azzurro: pur tuttavia il nuovo codice

della strada resta inflessibile nelle sue con-

vinzioni. Sicché quando iniziò il fenomeno,

dal Ministero delle Infrastrutture e dei

Trasporti furono emanate delle direttive

per metterle al bando come da parere n.

1379 dell’undici marzo 2011, dove dice

in modo chiaro e univoco con circolare

ministeriale che tale segnaletica orizzon-

tale non è conforme, infatti un eventuale

incidente derivante da tale irregolarità

potrebbe provocare delle richieste danni,

da esporre l’amministrazione al rischio di

risarcimenti cosi come ribadisce il Mini-

stero dei Trasporti nel parere n. 1379/11,

in cui sostanzialmente si parla di come la

vernice sul fondo delle strisce bianche sia

vietata perché scivolosa in quanto farebbe

diminuire l’attrito tra i pneumatici e l’a-

sfalto, allungando tempi e spazi di frenata.

Ma alla base di ogni scelta c’è sempre

un fondo di ideologia oppure di amore,

quello per il quale ad esempio in Padania

alcuni borgomastri hanno fatto dipingere

gli attraversamenti pedonali di verde in

onore alla fede federalista e secessioni-

sta, di questi tempi, in onore all’Auditel

e dei sondaggi, convertita in anti-Rom e

anti-Euro, due materie che di questi tempi

tirano sempre e che hanno portato Salvini

a doppia cifre di

preferenze. Altro

che soldi da Mosca

o da Washington

nei tempi dei

petrodollari e della

scarpa di Nikita

Kruscev battuta sul

tavolo dell’Assem-

blea delle nazioni.

E poi, in fondo, se

non fosse per l’eventualità dei risarcimen-

ti milionari, che male ci sarebbe per un

rosso fuoco-diavoloinB che metterebbero

in risalto passaggi pedonali (e non solo

quelli) che ormai nella nostra città stanno

scomparendo del tutto, a colpi di una ver-

nice sempre più sbiadita e resistente solo

per alcune settimane. Infine, nell’epoca

della cinesizzazione tout-court, che cosa

ci si potrebbe aspettare da una mano di

vernice passata dalla Team: che fosse

inchiostro simpatico!?

i sono strisce pedonali e strisce

pedonali. Ci sono quelle di Abbey

Road, dove gli scarafaggi Beatles

salutavano e se ne andavano, tutto

su di una copertina di un ellepì di vinile a

33 giri, roba del periodo Giurassico in con-

fronto agli odierni

mp3 e Youtube. Ci

sono quelle fai-da-

te dipinte con la

bomboletta spray

da un certo Franco

Nisticò che esaspe-

rato dalla titubanza

del suo comune

ha pensato bene

di mettere lui in

sicurezza la Statale

Jonica. E poi ci sono quelle minacciose di

Barcellona che conservano delle diciture in

cui si ricorda che in quell’attraversamen-

to pedonale è morto il signor tal de’ tali,

dunque cuidado, attenzione! Infine ci sono

quelle di Teramo, prima biancorosse poi,

ravveduto, ancora bianconere (o meglio

bianche e asfalto). Qui un sindaco, in onore

della promozione della locale squadra

di calcio nella serie cadetta, dapprima

preleva dalle tasche dei cittadini svariate

migliaia di euro, poi provvede a colora-

re con tanto di B impresse sull’asfalto

Emmenthal smunte strisce zebrate, invise

a tutta la tifoseria in funzione dei colori

sociali dell’odiato

avversario Ascoli

Picchio. Per qualche

giorno non ci sono

ripercussioni di

sorta, finché dalla

questura qualcuno

solleva il dubbio

della costituzionali-

tà delle zebre bian-

corosse. E si fa sentire. Il sindaco Brucchi

si cosparge il capo di cenere (rigidamente

bianco e nero) e dà la colpa alla Team che

avrebbe aperto i rubinetti per sponsoriz-

zare i goal di Lapadula & Donnarumma

finanziando il rosso al posto del canonico

nero-asfalto, quello

segnalato nel

codice della strada.

E se una signora ha

citato l’amministra-

zione comunale

perché in zona

mercato è caduta

su una foglia di

insalata incauta-

mente lasciata in

strada dalla Team

(Teramo Ambiente sempre lei, come Dio

toglie e dispone), con la vernice bianco-

rossa si sarebbero

aperte autostrade

per risarcimenti

milionari da parte

di automobilisti che

avrebbero avuto

incidenti proprio su

tali attraversamenti

pedonali: la vernice,

si sa, favorisce gli

scivolamenti dei

pneumatici in caso di frenata. E in queste

settimane di situazione di pre dissesto

finanziario non era proprio il caso di insi-

stere con la zebra a

colori. Anche se la

fantasia negli otto-

mila comuni italiani

non manca mai - è

il nostro oro nero -,

tanto che in questi

anni abbiamo visto

strade dell’Emilia

Page 12: Teramani n. 110

12 Universo

La sonda è in buona salute e continua a trasmettere inviando nuovi dati

n.110

di

[email protected] GabriellaDel Papa

La sonda Rosetta raggiunge Philae per captarne i segnali radio

analisi e modelli dettagliati della forma della cometa al fine di determinare la

migliore traiettoria di avvicinamento, tenendo in considerazione i controlli di volo

e l’astrodinamica, i requisiti della missione e gli elementi associati all’atterraggio.

Il 6 agosto, le nostre domande troveranno una risposta “.

Ormai siamo ad un passo dalla meta, sta per concludersi il primo conto alla rove-

scia dell’appuntamento della navicella Spaziale Europea Rosetta con la cometa

67P/C-G. Intanto si moltiplicano le immagini del corpo celeste che è ormai a

portata di mano.

Siamo al 6 agosto, Rosetta ha raggiunto la cometa e ha cominciato le manovre

per avvicinarsi.

Il 14 novembre si dà il via libera all’attivazione del trapano italiano che perforerà

la superficie della cometa obiettivo della missione Rosetta. “Si è deciso di

caricare la sequenza che attiverà lo strumento”, ha detto all’ANSA il coordina-

tore scientifico dell’Asi, Enrico Flamini, dal centro di controllo del lander Philae a

Colonia. La decisione è stata presa considerando che le batterie potrebbero non

durare a lungo. Nella scomoda posizione in cui si trova, Philae è infatti illuminato

da un unico pannello solare.

Arriviamo al 15 giugno. Nella notte il lander Philae invia altri dati dalla superficie

della cometa sulla quale la missione Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa)

lo aveva portato il 12 novembre 2014. ‘’Abbiamo avuto un nuovo contatto, un po’

più lungo rispetto al primo ma molto instabile’’, ha detto all’ANSA Mario Salatti,

responsabile del lander per l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) con i colleghi delle

agenzie spaziali tedesca (Dlr) e francese (Cnes).

Siamo al 17 giugno 2015, la sonda Rosetta, dopo una lunga manovra, si è avvi-

cinata alla cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko sulla quale si trova il lander

Philae, in modo da mettersi in una posizione più favorevole per ascoltarne i se-

gnali. Il lander nella notte fra il 13 e il 14 giugno si era svegliato dallo stato di iber-

nazione nel quale si trovava dallo scorso 14 novembre 2014, ed è stato in grado

di farlo dopo più di sei mesi, grazie alla temperatura più alta che c’è ora sulla

cometa, che ha consentito di alimentare i pannelli solari attraverso cui Philae

ricarica le sue batterie. Abbiamo avuto la prima comunicazione dopo il risveglio

ed è durata 85 secondi, aspettiamo ora che mandi altri segnali. Il lander dal suo

arrivo sulla cometa il 12 novembre, era rimasto attivo

per quasi sessanta ore prima di finire in una zona

d’ombra che ha impedito alle sue batterie solari di

ricaricarsi, facendolo ibernare per sette mesi.

Le operazioni della sonda Rosetta sono costan-

temente monitorate dal centro di controllo della

missione a Darmstadt, mentre quelle del lander sono

seguite dal centro di Colonia.

“Philae adesso è pronto per l’attività scientifica, per

scoprire l’origine dei fossili cosmici, e per indagare

sulla nascita del sistema solare”, hanno detto in con-

ferenza stampa i ricercatori della missione congiunta

dell’agenzia spaziale tedesca (Dlr), quella italiana (Asi)

e quella francese (Cnes), anticipando che ad agosto, quando la cometa sarà più

vicina al sole, il lander riceverà più energia.

Durante questo cammino ci interrogheremo sulle motivazioni scientifiche di

questo progetto, in altre parole, su cosa possano dirci le comete; ma anche, cosa

dicevano, sia pure in un diverso contesto e con diverse motivazioni, ai nostri

antenati che hanno spesso cadenzato la loro storia sull’andare e venire di questi

misteriosi messaggeri del cosmo.

Non ci resta, dunque, che attendere le prossime puntate, ci regaleranno sicura-

mente immagini e notizie incredibili intorno a questa straordinaria rincorsa alla

cometa.

osetta è il satellite europeo destinato entro l’anno a depositare il suo

lander Philae sul nucleo della cometa CG (il nome completo è 67P/

Churyumov-Gerasimenko). Ne abbiamo seguito le vicende durante i

mesi precedenti, sino al conseguimento dell’obiettivo che era previsto

per novembre, quando Philae aveva iniziato a perforare la superficie del corpo

celeste.

Ripercorriamo brevemente la meravigliosa avventura spaziale nata da un’idea,

da un’intuizione, da una passione, coltivata, sviluppata, maturata e messa in

pratica elaborando un ben congeniato piano d’azione.

Riprendendo gli avvenimenti più eclatanti ricordiamo il risveglio di Rosetta: dopo

31 mesi la sonda ci comunica i primi segni di disgelo.

C’era aria di attesa il 20 gennaio di quest’anno, a Darmstadt, nella sala Controllo

di ESOC (European Space Operations Control). Ro-

setta era stata programmata a quel sonno, quando,

superato Giove, si era addentrata in un’orbita troppo

lontana dal Sole per trarne sufficiente energia a

mantenere cariche le sue batterie e accesi i suoi

strumenti.

È il 20 giugno 2014, Rosetta si avvicina alla cometa, vi

sono attese, preoccupazioni, speranze, ma soprattut-

to tante cose da fare.

Procede l’avvicinamento di Rosetta alla sua meta,

ora visibile ed a maggior risoluzione.

Avvicinandosi alla sua meta, Rosetta svela dettagli

significativi del corpo celeste.

Le prime immagini della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko hanno rivelato

agli scienziati una forma straordinariamente irregolare. Dagli scatti, presi il 14

luglio con la fotocamera ad angolo stretto Osiris da una distanza di 12mila km,

si direbbe che, proprio come per il suo nome, la cometa 67P/C-G è composta da

due parti.

Il responsabile della missione, Fred Jansen, afferma: “Attualmente vediamo

immagini che suggeriscono una forma alquanto complessa ma resta ancora

molto da apprendere prima di poter trarre delle conclusioni, non solo per quanto

riguarda la scienza delle comete, ma anche per quello che sarà necessario al

fine di definire l’orbita di Rosetta e l’atterraggio di Philae. Dovremo condurre

R

Page 13: Teramani n. 110

13Accade in Italia

di

[email protected]

Il pirlanell’ostrica

RContinua a crescere

n.110

Note Linguistiche [email protected] GabriellaDi Flaviano

L’accordodei nomi collettivi

“U

di

fame nel mondo. Ma non fatto nulla, non ho rotto

o danneggiato nulla” (http://autocorriera/notizie/

cronaca/15_maggio_02/padre-ragazzo-no-expo-

mattia-pirla-prendere-sberle-come-ha-fatto-

mamma-baltimora-b239ad36-f0d6-11e4-a840-

81cad89c3055.shuttle). Il falso e il vero non sono

che forme di esistenza intellettuale. La sedicente

meritocrazia sbandierata metodicamente da poli-

tici corrotti è la foglia di fico propagandistica a co-

pertura del ritorno a logiche censitarie, autoritarie

e oligarchiche. I sospetti non conducono sempre

all’accertamento della verità dei fatti contestati.

Dai tempi di Heinrich Böll, se una cosa appare ra-

gionevole viene subito derisa come utopia. Baste-

rebbe provare a dissotterrare il senso dell’umiltà

quando si maneggia l’informazione. Non sarà

certamente dalla politica che giungerà l’input per

la ricerca di indicazioni rischiaranti. Purtroppo,

la politica è ostaggio di pressioni e intenzioni a

breve scadenza; la sovranità popolare subisce il

tormento inesauribile dell’essere eletti da parte

di chi indossa fetide grisaglie. In Gran Bretagna,

dalla crisi del 2008 il governo si è concentrato

sull’economia e le questioni ambientali, il cambia-

mento del clima sono passate in seconda fila. La

quinta delle estinzioni di massa che hanno segna-

to la storia della vita sulla terra si è consumata 65

milioni di anni fa: scomparvero i dinosauri, tutto

cambiò. Se allora decisivi furono gli effetti della

caduta di un asteroide, adesso che è in atto la

sesta estinzione, dice il teologo anglicano Richard

Bauckham, siamo noi uomini l’asteroide.

icordate la bella sigletta dei telefilm

presentati da Alfred Hitchcock? Bene,

quella è la “Marcia funebre per una

marionetta” di Gounod. Con questo

sottofondo musicale in testa ora spegnete la luce.

Immersi nel buio della mente provate a ricordare

i tratti inquietanti del profilo di quel grassone

inglese genio del thriller. E godetevi la 269ma

puntata della serie televisiva statunitense: “Alfred

Hitchcock Presents”. In balia di un passeggero

scompiglio mentale, un pirla protagonista della

real sit comedy messa su da una televisione

commerciale inizia a disquisire senza capo

né coda sull’Expo 2015 e, se avanza, di etica

negli atti vandalici: “Minchia!, ma la banca è

l’emblema della ricchezza. Cioè, se non do fuoco

a una banca sono un coglione”. Probabilmente,

sottolinea la voce narrante, un Oscar Wilde di

passaggio davanti alla telecamera intervistato

per esprimere un parere sulle dichiarazioni dello

sventurato giovane avrebbe aggiustato il “De

Profundis” in altro modo: “Bisogna dire che né

il ragazzo né suo padre avrebbero mai potuto

rovinare un pirla di 21 anni. E a rovinarsi è stato

lui stesso. E che nessuno, grande o piccolo,

può essere rovinato da una mano diversa dalla

propria”. Questo ragazzetto, che per esigenze di

copione chiameremo Bosie come il compagno

di Wilde, non ci ha messo molto a frugare tra i

ricordi di scuola. Proprio alla maniera di Giovanni

Mosca quando, nel suo libro letto e riletto da

generazioni di scolaretti, ha raccontato di essersi

sintonizzato con gli alunni della sua classe alle

elementari sfidando il bulletto di turno nella

caccia ai mosconi con l’elastico. Il maestro colpì

l’insetto e il rispetto di tutti gli si attaccò addosso

quanto la carta moschicida. I flashback in quel

libro, “Ricordi di scuola” appunto, sono stati fatti

propri da Federico Fellini e annusate da Achille

Campanile. E di conseguenza, Bosie non ha vo-

luto essere da meno: “Io le rivoluzioni le ho lette

soltanto sui libri di scuola e mi sembrava di farne

parte in quel momento. Lottare per chi muore di

no stormo di aerei si è alzato in volo”, o “uno stormo di

aerei si sono alzati in volo?”

In ogni frase, come si sa, il soggetto si accorda con il

predicato, ma, quando ad avere la funzione di soggetto

è un nome collettivo, questo normalmente si accorda con il predicato

secondo il proprio numero. “La folla gremiva la piazza”, “gli eserciti

combattevano duramente”. Talvolta, però, nell’uso pratico della lingua,

poiché il nome collettivo dal punto di vista del significato indica una

pluralità di elementi, la regola di concordanza non viene rispettata e si

fa un accordo “a senso”: soggetto (nome collettivo singolare) + predi-

cato plurale. “uno stormo (singolare) di aerei si sono (plurale) alzati in

volo. Questo tipo di accordo, che in passato era considerato un grave

errore, oggi viene accettato, ma

solo quando il nome collettivo è

seguito dalla specificazione degli

elementi dell’insieme cui il nome

si riferisce (uno stormo di aerei)

e quando il verbo si trova vicino

a questa specificazione. Non si

potrà pertanto dire “nella cam-

pagna pascolavano un gregge di

pecore”.

Page 14: Teramani n. 110

14 Scuola

Riforma dai mille pregi. “Gli insegnanti non vogliono essere giudicati”

n.110

di

da l’Espresso On Line del 29 aprile 2015SusannaTurco

La “buona scuola”?

“S

“E pensa che non l’abbia fatto? Ma gli ispettori sono sempre stati troppo

pochi. Intervengono nei casi più gravi: per le violenze, ad esempio, non per la

didattica. Ma le faccio un altro esempio: oggi se un preside deve spostare un

bidello da un edificio a un altro, deve avere il parere dell’Rsu, cioè del sindaca-

to, altrimenti non può muovere proprio niente. Lei capisce, ai sindacati questo

piace molto. Ma è una vergogna, perché io, sentito il consiglio di istituto, devo

poter disporre del personale. Devo però anche essere valutato per ciò che

faccio: se poi viene fuori che mi sono mosso per ragioni clientelari, devo poter

pagare”.

E come paga, il preside, secondo la “Buona scuola”? Chi lo valuta?

“I criteri precisi purtroppo non ci sono, perché come si sa questa è una legge

delega: contiene i principi generali, e per attuarla ci vorranno dieci-quindici

decreti attuativi. Comunque i criteri saranno chiari, trasparenti, verificabili,

insomma rigorosi”.

Ma secondo lei questa norma dei presidi-sindaci arriverà in fondo così

come è?

“Non so, ho dei dubbi. Complessivamente, è entrato in Parlamento un cavallo

temo finirà per uscirne un ircocervo, un patchwork di novità e di marce

indietro. Come già comincia a vedersi con gli emendamenti presentati in

commissione alla Camera”.

I sindacati protestano, uniti come non accadeva da un’eternità. Dicono

che Renzi non li ha ascoltati.

“In questo momento gli insegnanti seguono il sindacato come un pifferaio: ed

è comprensibile. Però non è vero che i sindacati non sono stati ascoltati: lo

sono stati, a tutti i livelli. Discorso diverso è dire che stavolta le loro richieste

non sono state accolte”.

Diceva che la riforma ha pregi e difetti. Quali sono i

difetti?

“Il difetto maggiore è che non è chiaro da dove prende i

soldi e che non affronta direttamente il problema dell’e-

dilizia scolastica, che è drammatico. Dei 42 mila edifici

scolastici, 22 mila sono completamente fuori norma, an-

drebbero chiusi domani. E le risorse stanziate per l’edilizia

sono totalmente insufficienti: si parla di 2-300 milioni di

euro, servirebbero 10-15 miliardi”.

Per quel che riguarda gli insegnanti?

“Non si affronta il nodo della loro carriera. In un primo mo-

mento Renzi parlava dei famosi 60 euro per gli insegnanti

meritevoli. Ma quella non è carriera, sarebbe solo un emo-

lumento miserevole. Servirebbe ben altro. È inaccettabile

che, ora come ora, un insegnante che lavora per quattro

venga trattato come chi non fa nulla”.

Le nuove assunzioni risolveranno il problema degli

organici?

“Intanto c’è un problema di numeri, perché non si capisce

ancora quante saranno: prima si diceva 140 mila, adesso

100 mila. Ma, ammesso che siano anche solo 50 mila,

esiste un problema di realizzabilità: a nostro parere non ci sono i tempi tecnici

per metterli in ruolo per l’anno prossimo”.

Nemmeno se la riforma dovesse essere approvata per giugno, come

dice la ministra Giannini?

“A giugno è già troppo tardi: ci sono le ferie estive e bisogna, fra l’altro, che

ciascun istituto dica di quante unità ha bisogno. Anche se immettessero i 50

mila per decreto, mi chiedo: li si butta nelle scuole così, non gli si fa nemmeno

un minimo di aggiornamento?”

mettiamola di credere che tutti i docenti siano bravi e tutti i

presidi fascisti”. Parla Mario Rusconi, vicepresidente dell’Asso-

ciazione Presidi, e difende la norma di Renzi. Ma avverte: per le

nuove assunzioni il 2015-2016 è già andato.

“Sa cosa c’è, fra l’altro, dietro tante proteste contro la “buona scuola”? Che gli

insegnanti, cioè coloro che continuamente valutano gli studenti, non vogliono

essere valutati. A suo tempo il ministro Berlinguer venne mandato a casa

proprio quando provò a introdurre uno straccio di valutazione. Ma per loro

vale Caterina Caselli: nessuno mi può giudicare, eccetera. Invece sarebbe ora

di cambiare: l’Italia, come la Grecia, è tra i pochissimi Paesi dell’Ocse in cui né

i presidi, né gli insegnanti, vengono valutati. Ed è indecoroso, è indecente”.

Mentre i sindacati preparano lo sciopero epocale del 5 maggio contro la

“Buona scuola”, Mario Rusconi, vicepresidente dell’Associazione nazionale

presidi, nell’occhio del ciclone per via di quella norma che vuol aumentare i

poteri alla sua categoria, dando per esempio il diritto di scegliere gli insegnanti

dagli Albi regionali, difende senza timori una riforma che “ha mille difetti, ma

milleuno pregi”.

Immagino che la questione dei presidi-sceriffi la consi-

deri una novità positiva.

“Intanto proviamo a uscire dalla visione manichea per cui

gli insegnanti sono tutti bravissimi, e i presidi tutti cattivi

e fascisti. Io nella mia lunga carriera ho conosciuto inse-

gnanti che hanno rovinato intere generazioni di studenti, e

presidi che hanno fatto altrettanto con le loro scuole. Per

cui partiamo da noi.

Nella riforma di Renzi si prevede che i presidi siano valutati:

è una bella novità. E che siano anche licenziati, se è il caso:

bene anche questo. Però ritengo positivo non il cosiddetto

preside sceriffo, ma dare maggiori competenze al preside

in quanto garante dei risultati della scuola. Perché io, per

garantire sui risultati, devo poter valutare le persone che

questi risultati portano avanti. Anche i leader sindacali si

scelgono la propria squadra, no?”.

Dicono che così si finirà per fare delle scuole feudi

personali, dove invece che per merito si proceda per

preferenze, parentele.

“Io comprendo le proteste: si pensa che lo Stato non sia

in grado di garantire la bontà delle istituzioni, percepite come corrotte. Però:

lei lo sa come funziona ora? I presidi non hanno competenze sugli insegnanti.

Io, da preside, ho avuto una professoressa di filosofia che diceva in classe

che Hitler era una brava persona. Un’altra che raccontava di aver girato il

Sud America con Che Guevara: e passi per Che Guevara. Ma diceva pure che

l’America l’avevano scoperta gli egiziani, che erano approdati in Brasile. Avevo

migliaia di esposti. E sa cosa può fare un preside in questi casi? Niente”.

Beh può chiamare gli ispettori ministeriali.

Page 15: Teramani n. 110

15Scuoladi

[email protected]

Idee e proposte per una scuola veramente buona!

Ddall’Associazione Nazionale Presidi

n.110

L’oggetto del desiderio

Il mondotra le mani

G

[email protected]

di

con rigore professionale questioni

poste all’attenzione della opinione

pubblica solo in misura minima.

Pur trattandosi di problematiche di

grande evidenza e ben conosciute da

molti cittadini di altri Paesi europei

(quali Francia, Germania e UK).

In Italia invece, in questi mesi, si sta

discutendo quasi esclusivamente di

“preside sceriffo” e dei suoi “mega-

poteri”!

Come se uno studente ben preparato

alla vita universitaria o al mondo del

lavoro non interessasse se non mini-

mamente gli addetti ai lavori.

Riteniamo, dunque, opportuno ripor-

tare il discorso sui binari professio-

nali, sottoponendo all’attenzione dei

nostri lettori alcune considerazioni e

proposte.

a anni in ANP ci battiamo per

una scuola di qualità, avendo

come obiettivo prioritario il

miglioramento della formazio-

ne dei nostri studenti.

Le delusioni accumulate nel corso

degli anni sono derivate in gran parte

dalla deprimente considerazione

che, quando si parla di scuola, ci si

riferisce per lo più a posti di lavoro:

dei bidelli, degli insegnanti, talvolta

dei presidi.

Come siano preparati i nostri ragazzi

diventa una componente quasi resi-

duale del dibattito che si accende ad

ogni iniziativa del governo di turno

sul nostro sistema formativo.

La nostra associazione ha affrontato

Una leggenda narra che da una sfera d’oro appartenu-

ta ad Alessandro Magno venne offerta dai Magi a Gesù

insieme ad altri doni. Il Globo rappresenta da sempre il

mondo, è fatto di oro e di gemme, diviso in quarti da due

bande perpendicolari tra di loro. Da sempre simbolo di sovranità,

originariamente era ornato da vittorie, ma nell’epoca Cristiana una

croce riccamente gemmata con pietre preziose ne prese il posto,

così da unire all’universalità sferica, l’aura spirituale cristiana che

ne esaltavano il simbolismo e il suo significato. Fu adottato a pieno

titolo tra le regalie del Sacro Romano Impero come espressione

dell’intento di dominare su stati tra loro eterogenei, unificati nella

fede, rivendicando una investitura Divina del potere imperiale, in

quanto sua forma, priva di inizio e di fine, rappresenta Colui la cui

potenza e virtù tutto pervade: cielo e terra. Cesare Vecellio nella

sua descrizione lo definisce come la “Palla che denota il governo

del mondo”. Sormontata dalla croce. Indica il governo sui Cristiani,

per cui si può definire Regalità, Provvidenza Divina ed Eternità dello

stesso. Nei ritratti degli imperatori, il Globo è emblema di dignità

imperiale; nelle mani di Cristo è simbolo del dominio spirituale e

della sua funzione di Redentore. Esso compare anche nelle rappre-

sentazioni della Giustizia e della forza come attributi regali, a volte

è posto anche sotto i piedi della Verità, come nell’iconologia del

Ripa, a significare che si erge superiore a tutte le cose mondane e

assai più preziosa di esse, in quanto cittadina del cielo.

Page 16: Teramani n. 110

16 Curiosità

“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.

n.110

di

[email protected] GabriellaDel Papa

Il piccolo principe

di farlo, l’uomo d’affari conta le stelle del cielo pensando che

gli appartengano, il geografo sta seduto alla sua scrivania ma

non conosce il suo pianeta e il lampionaio deve accendere le

luci a un ritmo forsennato, preoccupato di non lasciare al buio

i suoi concittadini (e trasformandosi così nell’unico essere

altruista della lista).

Una volta sul nostro pianeta, s’imbatterà in un serpente, poi

in un enorme roseto, a dispetto dell’unicità universale di cui si

vantava la sua rosa, e infine in una volpe, che gli chiederà di

essere addomesticata, in nome dell’amicizia. Tra altri mille in-

contri e piccole avventure, passa un anno e il Piccolo Principe

dai capelli dorati si prepara a tornare a casa, con la pecora e la

fidata volpe, per prendersi cura della sua rosa.

Ecco cosa succede tra le parole di quelle pagine, contempora-

nee come solo i grandi libri sanno essere. Con un messaggio

perfetto per i lettori di ogni età: occuparsi degli altri. Certo,

ci vuole molto, ma molto coraggio per attraversare intere

galassie a caccia dei ferri del mestiere, ma nel viaggio, si sa, si

cresce. Anzi, senza quel viaggio, così lungo e ingarbugliato, il

protagonista non avrebbe mai potuto incontrare la sua volpe.

I valori che si riscoprono nel libro, da non dimenticare mai,

sono: godere della bellezza, fare ricerca in se stessi, prendersi

cura dell’amore, coltivare l’amicizia e non perdere la speranza.

Tra le varie traduzioni di quest’opera, riscritta anche in latino

e greco, e nei vari dialetti italiani, mancava il nostro, quello

abruzzese, in particolare teramano.

Segue l’intervista al traduttore in

dialetto del libro, lo scrittore e poeta

Bruno di Pasquale.

Ecco quanto emerso dall’incontro con

il nostro Autore:

“Il Piccolo principe” cittadino

teramano

Cominciamo l’intervista con una

domanda diretta. Perché “Il piccolo

principe” nel dialetto del terama-

no?

“Del teramano” è vero in parte; o

magari lo si definisce tale per oppor-

tunità editoriale. È così limitato il terri-

torio dove lo si colloca, che forse è più

un canzanese-teramano. La sorte dei

dialetti è legata ai luoghi dove si svi-

luppano e resistono; e da noi variano

nel giro di pochi chilometri.

Il “perché” è presto detto. Tu sai,

e qui la deontologia reclamerebbe

il “lei”, che mi dedico al dialetto

da molti anni: poesie o pseudotali,

recite scolastiche, teatro amatoriale,

TV locale; con il pensionamento sono passato a una sorta di

ricerca continua e sempre più convinta. Non ricerca scienti-

l Piccolo Principe, libro scritto da Antoine de Saint-

Exupéry è un capolavoro di poesia narrativa per giovani

lettori, ma che sa appassionare anche i grandi, perché

parla dritto al cuore di tutti, dai 6 ai 100 anni. Un classico,

insomma, dal linguaggio universale, comprensibile a qualunque

latitudine, tanto che vanta ormai edizioni in oltre 200 lingue

(lo scrittore Alessandro D’Avenia lo

usa come souvenir: in ogni luogo del

mondo in cui si trova, ne acquista

l’edizione locale).

È una metafora del passaggio all’età

adulta, questo libro è un piccolo

gioiello di narrativa, ad alto tasso di

poesia.

La storia comincia nel Sahara, dove

un aviatore precipita con il suo aereo

e incontra un curioso bambino che gli

chiede di disegnargli una pecora. A

poco a poco il bambino racconta di se

stesso e rivela di essere il principe di

un pianeta lontano, l’asteroide B612,

un luogo inconsueto in cui viveva

da solo con una rosa scorbutica e

vanitosa di cui si prendeva cura. La

lontananza gli fa scoprire l’amore per

la sua rosa e il rapporto profondo che

esisteva tra loro. Per questo gli serve

una pecora: deve mangiare tutti i rami

di baobab che stanno crescendo, per

evitare che soffochino il pianeta (e la

sua rosa).

Prima di arrivare sulla terra, il Piccolo

Principe ha vagato per diversi pianeti,

incontrando personaggi strani e

assurdi, ma ognuno capace di insegnargli qualcosa: il re vuole

comandare, gli ubriaconi bevono per dimenticare la vergogna

I

Page 17: Teramani n. 110

ampiamente. È una lettura che scorre,

colorita e gradevole e quasi si parte-

cipa alle vicende del “principino” con

insperata gioia.

In fondo “il principe” è un alter ego

dell’autore e forse di ciascuno di noi.

Guardarci allo specchio, talvolta, può

fare molto bene.

Dopo quest’avvio positivo, pensi di

volgere lo sguardo a qualche altra

opera con l’obiettivo di tradurla in

dialetto?

Ci ho pensato molto. La cosa non mi

dispiacerebbe. In verità, sto provando

a trasferire in “teramano” il Vangelo

di Matteo. A leggerlo sembra sempli-

cissimo, quasi scontato. Ma appena si

prova a variarne i connotati son dolori.

È tremendamente difficile renderne lo

spirito alle persone che volessero leg-

gerlo. È una nuova sfida. L’impegno c’è

tutto. Il risultato lo decideranno i lettori,

se ce ne saranno. E intanto... a tutto

“princepe zulle”!

Ringraziamo Bruno di Pasquale per la

cortese disponibilità e gli auguriamo un

proficuo lavoro.

Concludo con una delle bellissime

affermazioni di Saint-Exupéry “Non ti

chiedo miracoli o visioni, ma la forza di

affrontare il quotidiano. Preservami dal

timore di poter perdere qualcosa della

vita. Non darmi ciò che desidero ma ciò

di cui ho bisogno. Insegnami l’arte dei

piccoli passi.”

17n.110

ficamente intesa, ma recupero delle

parole, dei modi di dire, compresi nella

realtà contadina. E da qui strumenti di

lavoro, misure agrarie, oggettistica di

cerimonie varie... Ho sempre cercato di

far partecipi del mio umile lavoro amici,

conoscenti, professionisti. Tra questi

ultimi ho avuto la fortuna di trovare il

dott. Ricciotti, frequentatore assiduo di

bancarelle, librerie, biblioteche, che mi

ha proposto la traduzione nel nostro

dialetto del libro, già tradotto in molti

dialetti di altre regioni. Mi sono fatto

rosso come il piccolo protagonista:

io non sono un traduttore, non saprei

come orientarmi... Provaci, la sua sen-

tenza. E ci ho provato.

Evidentemente aveva le sue buone

ragioni, il dottor Ricciotti.

Non sono io a poter giudicare. A lui è

subito piaciuto e si è attivato per cerca-

re un editore che volesse considerare

un tale azzardo.

È stato faticoso trasporlo dal francese

al dialetto nostrano?

La prima drammatica riflessione è stata:

come rendere le atmosfere, i ritmi,

le situazioni in una lingua parlata da

qualche migliaio (esagero?) di perso-

ne? Come trasferire l’anima di alcune

espressioni in un linguaggio certo

colorito e grondante energia, ma pur

sempre di piccola statura?

E allora ho deciso di non tradurlo alla

lettera, ma di variare, ove possibile, sul

tema; innestando anche ètimi superati

ma efficacissimi. L’editore è stato entu-

siasta del risultato e convinto si tratti di

un ottimo lavoro. Me lo auguro per lui e

per i lettori.

Già, i lettori. Come pensate di pubbli-

cizzarlo?

Credi si debbano interessare le scuole,

dove insegnanti ed alunni hanno da

tempo adottato quest’opera universale,

quindi gli Enti locali e magari proporlo

su internet. Come farlo, sarà impegno

dell’editore. Sono convinto che la cu-

riosità per questo tipo di lavoro aprirà

grandi prospettive. Molti lo aspettano

già con trepidazione.

Credi che i lettori avranno vita facile

nella lettura non proprio convenzio-

nale del dialetto?

Il primo impatto, immagino, non sarà

dei più semplici. Il dialetto si parla anco-

ra (meno i più piccoli) e lo si capisce

quasi totalmente. Leggerlo è sicura-

mente difficoltoso, esige impegno,

costanza, riscoperta di espressioni un

po’ abbandonate; ma se si supereranno

queste difficoltà iniziali si sarà ripagati

Page 18: Teramani n. 110

in scena il basso e la voce (soprattutto) di Greg Lake (poi confluito negli

ELP-Emerson, Lake & Palmer), cambio di atmosfera, lenta, dolce, tran-

quilla, il flauto di McDonald in grande evidenza, i tamburi e le spazzole di

Giles sono da manuale. Un autentico ‘diluvio’ di mellotron inonda la già

citata Epitaph, including March For No Reason/Tomorrow And Tomor-

row, straordinaria, il canto epico di Greg (ancora), Fripp che incanta

con le chitarre (acustica/elettrica), testi che spaziano tra il profetico e il

distopico “The Fate Of All Mankind I See – Is In The Hands Of Fools”, la

musica è un’autentica ‘sinfonia’, tocca i punti più reconditi della mente

e dell’anima, suggestiona fortemente e, non lascia insensibili in alcuni

‘crescendo’ superlativi, che goduria! Repeat, please! Ogni strumento e

note al posto giusto, le rullate micidiali di Michael hanno fatto scuola, e

ancora, il carpet sonoro onirico e metafisico, austero, solenne, sacro, la

voce di Greg, puro raso. Il lato B (del vinile in mio possesso, copia intatta,

ancora perfetta nonostante i reiterati ascolti), inizia con l’ennesimo

cambio di passo e ritmo: Moonchild (04), divisa in alcuni movimenti,

The Dream/The Illusion, il ‘Sogno’ con voce, chitarre e percussioni soft,

‘l’Illusione’ finisce per scemare d’intensità nei 10’ di durata, fase molto

sperimentale, pochi e sobri (nonché magistrali) tocchi: piatti, spazzole,

vibrafono, brevi scariche elettriche, atmosfera lunare e surreale, la vena

più sperimentale di Fripp, note chitarristiche ‘minimali’ e cerebrali, sfini-

mento e deliquio in tema, ricordiamoci del luglio 1969: primo uomo sulla

luna! Il CD si conclude con la title track: In The Court Of The Crimson

King including The Return Of The Fire Witch/The Dance Of The Puppets,

l’apoteosi, inizia con atmosfere epiche, classicheggianti, maestose, La

Corte Del Purpureo Re è fantastica (il testo questa volta è di McDonald),

arpeggi magistrali, il mellotron esplode letteralmente, il flauto da par

suo, con note di velluto, 3 voci (Lake, Giles e McDonald) all’unisono, il

sapido intermezzo delle ’marionette’ precede il rientro alla grande di

tutti gli altri strumenti, coralità fantascientifica e parossistica dispiegata

lungo i 9’ e 12’’ del brano. Che dire?

La magia di queste registrazioni

effettuate nei mitici Wessex Sound

Studios di Londra, è intatta, attualis-

sima e non solo in ambiti Prog, ma

dell’intera letteratura discografica.

Le recordings vennero condotte

dagli stessi musicisti, insoddisfatti

dell’opera di Tony Clarke (Moody

Blues), su registratore Ampex a 8

tracce, Ingegnere del suono Robin

Thompson, da rimarcare ancora

una volta come ogni musicista, sia

padrone del proprio strumento/i,

tecnica, perizia, creatività. Incisione

di 46 anni fa, attualissima, nitida,

dinamica, perfetta, rimasterizzata a

24 bit (si sente), da Simon Heyworth. Il CD contiene l’esaustivo booklet

di 12 pagine con ph e articoli tratti dalle testate dell’epoca, tutti i testi e

altre originali illustrazioni di Godber, il formato 31,5x31,5 è però un’altra

cosa, vinyl docet! Dicevo della desert island, forse esagero, stravedo per

Robert Fripp e, mi sento di consigliarvi qualche altro titolo: In The Wake

Of Poseidon e Lizard (1970), Island (1971), Lark’s Tongues In Aspic (1973),

In The Court… rimane però la pietra miliare, inarrivabile, insuperabile,

vetta mai più raggiunta e… meglio così. Voto: 10!

18 Write about... the records!

1969 - CD/Original Master Dgm Panegyric / Universal - Time: 43’ 52’’

di

[email protected]

King Crimson“In the Court of the Crimson King”

E

n.110

nnesimo, affascinante flash-back discografico, di più, uno dei

primi cento dischi da portare nell’isola deserta! Il prototipo per

antonomasia del Progressive Inglese, con palesi rimandi alla

musica classico-sinfonica, Jazz, Rock & Avantgarde. Robert Fripp

(16 maggio 1946, Wimborne Minster, UK), autentico genio e deus ex ma-

china, occhialuto chitarrista-multistrumentista, ancora in (fertile) attività,

come solista e nelle varie incarnazioni del Re Cremisi. Degni comprimari

di questo debut album mozzafiato: Ian McDonald (flauto, sax, clarinetto,

mellotron, vibrafono, voce…), Greg Lake (voce solista e basso), Michael

Giles (batteria, percussioni e voce), Pete Sinfield (autore delle liriche,

illuminazione). La line-up dei KC (la prima), straordinariamente efficace,

non si ripeterà più, macchina

perfetta e rodata per assecondare

l’ego infinito di Mr. Fripp, candida

ammissione: l’ascolto ‘folgorante’ di

Epitaph, 8’ e 47’’ sulle onde medie

di Radio Luxenbourg, oltre 45 (!)

anni fa, mi procurò brividi incredibili

e, mi spinse alla ricerca del mitico

vinile import, trovatolo, rimasi

sbalordito sin dalla cover, tra le più

belle in assoluto della discografia

di tutti i tempi, ‘opera’ d’arte del

pittore Barry GODBER, Program-

matore di 23 anni, scomparso

prematuramente l’anno successivo,

il dipinto originale è conserva-

to dallo stesso Fripp. La traccia

d’apertura è relazionata alla mitica copertina: 21st Century Schizoid

Man, siamo nell’era della Summer of Love californiana e, arriva questo

autentico incubo, la voce effettata e filtrata, canta di Vietnam e bombe

al Napalm, il sound esplode letteralmente tra echi jazz (free) e hard rock,

bordate assassine di sax, distorsioni chitarristiche e breaks repentini,

ritmi sincopati e fragorosi, autentico delirio, la ‘bocca cavernosa’ ingoia

tutto e tutti, ambient e rumori di fondo, brano precursore di tanta

musica ‘colta’. Dopo la follia, la calma: I Talk To The Wind (02), entrano

Page 19: Teramani n. 110

19n.110

La Rai

di

www.mauriziodibiagio.blogspot.comMaurizioDi Biagio

Questa Raiverrà polverizzata

QParlano i guru: la tv come noi la intendiamo sparirà

un canone da pagare che nessuno più vuol

vedere tanto che l’evasione ha raggiunto

la vetta del 30% in Italia. Sicché l’idea che

sembra tentare palazzo Chigi è quella di

arrivare a un’abolizione della tassa più

antipatica d’Italia: per centrare l’obiettivo

ci sarebbe la strada dell’inserimento nella

fiscalità generale, che renderebbe meno ini-

qua la vessazione. Si parla da molto tempo

di riformare il servizio pubblico televisivo,

del resto l’ultima riforma della Rai risale

al 2004: è davvero tempo di cambiare, la

prossima scadenza della concessione è

prevista per il 2016. “Il servizio pubblico,

per il quale i cittadini pagano il canone –

spiega Antonio Preto, commissario AgCom

- dovrebbe garantire qualità dell’offerta, va-

rietà dei generi, contenuti e temi, capillarità

e qualità della diffusione, innovazione dei

contenuti, capacità di intercettare i nuovi

bisogni del pubblico. C’è bisogno, in sostan-

za, che il servizio pubblico torni a investire

in prodotti culturali e che si faccia carico

dell’alfabetizzazione digitale della popo-

lazione e non solo di quella più anziana.

Sappiamo sfruttare ancora poco le enormi

potenzialità che ci offrono

le nuove tecnologie, come

le smart tv. Nei Paesi dove il

servizio pubblico raggiunge

elevati standard di qualità,

tutto il sistema ne beneficia

e s’innesta una corsa al

rialzo da parte delle emittenti

commerciali. Il finanziamento

del servizio pubblico è cru-

ciale per il sistema: occorre

maggiore trasparenza nella

gestione del canone e un

utilizzo corretto delle risorse

pubblicitarie”. Da evitare

anche lo spreco biblico come

ai tempi della foto dell’Agenzia Ansa che,

nel novembre del 2014, ritrasse la selva di

microfoni dei giornalisti al seguito del pre-

mier Renzi al Consiglio al G20 di Brisbane,

Australia. Allora, si mossero in contempo-

ranea inviati del Tg1, Tg2, Tg3, Rai News 24,

e della radio. Tutti intenti a confezionare il

loro bel servizio. La tv di Stato ha staccato

per quelle 13 persone un assegno da 60

mila e 500 mila euro tra aerei, alberghi,

pranzi e costi tecnici. Il guru Hastings l’ha

vaticinato: se questa tv resterà così verrà

polverizzata in un batter di ciglio.

uale sarà il futuro della Rai? Per

rispondere al quesito ce ne dovre-

mo porre uno altrettanto arduo, al

limite dell’escatologia (chi siamo,

dove andiamo, da dove veniamo), cioè

comprendere appieno come sarà davvero

la tv tra 10, 20, 30 anni. Secondo Reed Ha-

stings, il boss e guru di Netflix (il fenomeno

sociale della tv che sarà e che è già realtà

negli Usa), entro 15 anni la tv tradizionale,

quella cosiddetta lineare, con palinsesti ri-

gidi, non esisterà più. Nel 2030, in sostanza,

tutta la tv, a eccezione degli

eventi in diretta, inizierà su

richiesta dello spettatore e

sarà distribuita via Internet. E

appunto la distribuzione sulla

rete permette di far partire il

programma tv su richiesta e

di visualizzarlo con qualun-

que dispositivo collegato

ad internet, che sia un

televisore, una console per

videogiochi, uno smartphone

o un tablet. E c’è un dato di

uno studio americano che sta

anticipando il futuro: per la

prima volta nel 2014 il tempo

medio passato davanti a uno schermo

smart (tablet o smartphone) da un singolo

individuo oltreoceano ha superato quello

speso davanti alla tv tradizionale. Davvero

la tv come la intendiamo oggi è destinata

a morire? David S. Cohen, firma storica del

magazine americano Variety, la pensa così:

“Tutti noi conosciamo la litania. La tv tradi-

zionale è troppo costosa da mantenere. Gli

ascolti scendono. Il pubblico si polverizza. I

più giovani stanno perdendo l’abitudine di

stare davanti alla tv. I telespettatori che so-

pravvivono non ne possono più di sorbirsi

tutta quella pubblicità (…). Le previsioni di

Reed Hastings di certo si avvereranno se la

tv tradizionale resterà immobile, legata a

vecchie tecnologie e a vecchie abitudini di

visione”.

Ecco, da noi in Italia la situazione è ancora

cristallizzata ai tempi di Craxi e Martelli,

ante monetina all’Hotel Raphael, con

Raidue socialista, la Uno diccì e la Tre

comunista. E dall’altra parte il suo amico

Berlusca che ha sempre gigioneggiato

tra un dentifricio ed un panettone con la

filosofia molto liberal-mortadella del non

calpestiamoci i piedi, non facciamoci del

male: arriviamo indenni alla legge Gasparri.

Una visione, questa della Rai, che ha

attraversato il digitale, restando tuttora

confinata al giurassico, sia per quanto

riguarda il prossimo futuro che il presen-

te di per sé attanagliato a programmi

scadenti, informazione al tempo di internet

che risulta essere libera come quella del

Gambia, format acquistati dalla Spagna,

latitanza estiva dei programmi sostituita dai

fondi di magazzino di film di Carosone ed

Page 20: Teramani n. 110

della grande basilica.

Accade a sei anni dal disastro, dopo oltre settecento giorni di can-

tieri e qualcosa come tredici milioni di fondi.

Mi racconta Antonio De Petris, vispo settantenne, davanti a un bel

bicchiere di birra nel chiosco accanto alla chiesa, che i resti di San

Bernardino, per tornare a casa, hanno sfilato giorni prima per la

città, scortati da un nugolo di cittadini, tra fanfare di alpini, autorità,

confraternite e ordini religiosi locali.

“C’erano tricolori ovunque - racconta ridendo sguaiato - neanche ci

fosse stata la nazionale di calcio”.

Certo mi sarei aspettato una serie di bandiere con il monogramma

bernardiniano:il sole raggiante in campo azzurro, le lettere IHS, le

prime tre del nome di Gesù in greco e, sopra la lettera H, un allun-

gamento dell’asta a rappresentare la croce di Cristo.

Fu questa la grande intuizione di Bernardino, impiantata in lui dallo

Spirito Santo, un emblema che si diffuse grandemente e aiutò la

devozione e la sequela del Cristo, prendendo il posto di stemmi e

blasoni di antiche corporazioni.

“Tutti guardavano in alto e quando gli occhi si abbassavano erano

pieni di lacrime inespresse”- continua Antonio con animo sorpren-

dentemente poetico.

C’è da capire queste

parole!

Il capolavoro del soffitto

ligneo, all’interno, opera

settecentesca di Ferdi-

nando Mosca, è tornato a

brillare sulle teste grazie ai

soldi pesanti dei fondi Cipe

e della Carispaq, la cupola

all’esterno sembra nuova,

rinata dopo le gravissime

lesioni, la torre campanaria

crollata in parte, è stata

mirabilmente rinforzata

con una serie di consolida-

menti conservativi di ulti-

ma generazione. Restano,

quanto prima, da restituire

u, o Gesù, onore dei credenti, forza di coloro che

operano. Tu sostegno dei deboli, per Te i malati sono

sanati, le colpe perdonate e coloro che soffrono sono

irrobustiti”.

(Sermone 49 dagli scritti di San Bernardino da Siena)

Un bel sole illumina il bianco splendente della facciata quattrocen-

tesca di San Bernardino all’Aquila, opera del grande Cola dell’A-

matrice. I tre mirabili livelli architettonici di ordine dorico, ionico e

corinzio, si mostrano quasi inediti.

L’ultima volta la stessa facciata non l’avevo vista, imbracata com’e-

ra ovunque, avvolta in una morsa inaudita di giganteschi ponteggi,

tubi chilometrici e grandi lamiere. Ricordo che quel giorno c’era

una pioggia giallina di scirocco e nuvole grosse e grigie in cielo.

Oggi, al contrario, i raggi del sole primaverile spargono speranza a

profusione.

Un’anziana signora, dai capelli bianchi candidi, scende lungo la

scalinata d’ingresso stringendo la mano del piccolo nipote. Ha il

viso paonazzo di chi si è visibilmente commosso.

Un’emozione forte questa, per tutti gli abitanti del capoluogo

abruzzese.

Finalmente in una città martoriata, un segno di ripresa che si con-

cretizza nel riappropriarsi di uno dei tanti suoi gioielli, in attesa di

riavere anche la splendida

Collemaggio e le spoglie di

Celestino V al loro posto

secolare.

Questa severa basilica

fu costruita tra il 1454 e

il 1472 per custodire le

spoglie mortali del grande

Bernardino, francescano

senese, a cui il popolo aqui-

lano attribuisce da secoli

miracoli per chi è capace

di pregarlo intensamente

davanti alla salma.

E le spoglie del grande

santo ora sono tornate di

nuovo al loro posto sotto

il presbiterio, lato destro

In giro

Restituita agli aquilani

di

http://paesaggioteramano.blogspot.itSergioScacchia

FinalmenteSan Bernardino!

“T

20n.110

Page 21: Teramani n. 110

e il Mausoleo di Bernardino a forma di

grossa arca quadrata che ha, nella parte

inferiore, l’urna con le spoglie miracolose

del santo. Un’occhiata al singolare Altare

Maggiore in pietra e marmi, la inutile ricer-

ca della Pala in terra cotta di Andrea Della

Robbia che pare sia in restauro anch’essa

ed è già ora di ripartire.

Proprio come deve assolutamente ripartire

L’Aquila!

ARRIVARE ALL’AQUILA

Da Roma (A1, per chi viene da Nord e da

Sud)

Autostrada A24 Roma-L’Aquila-Teramo.

Da Giulianova ( A14, per chi viene da

Nord)

Bretella autostradale Giulianova-Teramo /

Autostrada A24 Teramo-L’Aquila.

Da Pescara ( A14, per chi viene da Sud)

Autostrada A25 Roma-Pescara, in direzio-

ne Roma ed uscire al casello di Bussi.

Seguire le indicazioni stradali per L’Aquila

(circa 60 km).

Per mangiare: io ho gustato un fantastico

carpaccio al filetto di agnello e un dolce

strepitoso a pochi chilometri dalla città via

lago di Vetojo.

La Cartiera del Vetojo Ristorante

INFORMAZIONI 0862.028260 -

333.3887848 | B&B: 339.1490136

ai visitatori e fedeli le cappelle laterali, ma

questo, giurano, accadrà presto.

E pazienza se qualcuno sicuramente avrà

lucrato da questi grandi interventi in città.

Importante, troppo importante ricomincia-

re anche se a piccoli passi.

La riapertura della basilica risorta dalle

macerie è il trionfo della vita, ha detto quel

giorno, con sguardo di padre e pastore, il

vescovo Giuseppe Petrocchi.

Il monsignore, visibilmente commosso ha

continuato facendo riferimento al Vangelo

come benedizione di un tralcio potato che,

nella misteriosa sapienza di Dio, patisce

grandi perdite per avere presto frutti so-

vrabbondanti. Lo Spirito Santo, insomma,

ha i suoi disegni ma forse per gli aquilani

questi sono un tantino contorti.

A me piace semplicemente pensare che

la vita è come l’acqua di un fiume, a volte

stagna in qualche oscuro laghetto ma poi

arriva sempre al mare e ci arriva purifi-

cata!

Le antiche campane ora suonano a distesa

per l’Angelus del mezzodì. I loro rintocchi

riempiono l’aria del centro storico, danno

una lieta parvenza di normalità a una

città che normale non è più da sei lunghi

anni, da quando il terremoto del 2009 ha

sconvolto la geografia non solo dell’Aquila

ma di tutto l’Abruzzo.

La basilica già nel 1703 aveva rischiato

di essere rasa al suolo ma quel lunedì

santo del sei aprile, alle famose ore 3:32,

ha cambiato la geografia dell’Abruzzo

intero, ha sconvolto le vite di tutti: chiese

distrutte o danneggiate profondamente, i

conventi francescani di San Bernardino e

San Giuliano, di enorme importanza storica

e religiosa per la santità dei frati che vi

hanno soggiornato, con danni incalcolabili.

E poi, come dimenticare le trecento e

nove vittime, gli oltre duecento feriti gravi?

Non ci si abitua mai ai terremoti neanche

dopo averne subiti tanti, come quello

disastroso del 13 gennaio di cento anni fa,

11esimo grado Mercalli che causò nella

vicina Marsica più di 30 mila vittime.

Devo dire che gli aquilani sono tosti, gente

di montagna che si piega, si flette ma non

si spezza. Potrebbero scrivere un’enciclo-

pedia della sofferenza e della disperazione,

la durezza della vita li segna periodica-

mente nel corpo, nella personalità, nello

spirito, ma essi non si rompono neanche

davanti a una botta terribile di magnitudo

6,3.

Entro in basilica e mi prende un groppo

alla gola. L’emozione mi fiacca le gambe,

mi toglie il fiato.

Molte persone si aggirano col naso in su:

studenti di arte, fedeli, turisti dell’ultima

ora, curiosi. La pianta a croce latina è di-

visa in tre navate con sei cappelle laterali.

Il grande organo settecentesco sta suo-

nando sotto le mani esperte di un frate. Il

soffitto dona colore e luce all’ambiente.

Al centro della volta trionfa finalmente il

grande Monogramma Bernardiniano.

Il santo senese non aveva creato questo

disegno a caso. Tutto in quel logo antico

aveva un significato: il sole centrale a rap-

presentare il Cristo fonte di vita che irradia

amore e carità; i dodici raggi a richiamare

gli Apostoli inviati dal Cristo a portare la

Parola; gli ulteriori otto raggi a ricordare le

Beatitudini e la felicità dei Beati; il celeste

dello sfondo come simbolo di fede e le

parole in latino tratte dalla Lettera di San

Paolo alla comunità di Filippi: “Nel Nome di

Gesù ogni ginocchio si pieghi sia dagli es-

seri celesti che dei terrestri e degli inferi”.

Peccato per il Sepolcro di Maria Campo-

neschi, la donna piegata dal dolore per la

perdita della figlioletta, icona di tutte le

tragedie di questa città mirabile ma eter-

namente sfortunata. La cappella è ancora

in restauro.

Posso consolarmi ammirando il Coro in

stalli di noce, opera di Giancaterino Ranalli

21n.110

Page 22: Teramani n. 110

22 Accade a Teramon.110

di

[email protected] Tovariš

Il solitariopirulo innamorato

a raso, lo costringe a fare “il giro del meschino” per tornare in

piazza ed entrare in quello sotterraneo. Tutte cose che hanno

fatto dimenticare come quella stessa sia stata testimone della

nascita dei primi e ormai attempati amori adolescenziali e dove

tanti ragazzini e ragazzine si sono scambiati il primo timido

bacio. Oggi, quella piazza che da tempo avrebbe dovuto essere

riqualificata a verde è divenuta un parcheggio di periferia a

servizio di ben altri “fatti” non meglio definiti ma noti a tutti. Noi,

però, inguaribili ottimisti, siamo fiduciosi nel futuro visto che

un solitario “pirulo” ha trovato posto da tempo nel bel mezzo

della Piazza, messo lì con il consenso di qualche illuminato

amministratore, sempre a guardia e protezione di una delle

sgangherate grate che arieggiano il parcheggio sotterraneo e

che aspettano che gli stessi amministratori facciano cessare in

qualche modo le cause della loro presenza. Resta però in noi

la speranza che “il solitario Pirulo innamorato” trovi presto una

compagna.

a un bel po’ di tempo campeggiano in Piazza Dante nu-

merosi “piruli” incatenati e posti sopra alle grate presenti

a lato del Liceo Classico e che arieggiano il sottostante

parcheggio. Piazza Dante era tra le più belle piazze di

Teramo prima che le attrezzature a servizio del parcheggio sot-

terraneo la stuprassero, senza contare l’ignobile ingresso nella

piazza che ha più che dimezzato la strada proveniente dagli ex

Tigli e che, non trovando l’automobilista posto nel parcheggio

D

Via Vespucci, 48 - Piano d’Accio • TERAMO - Tel./Fax 0861.558453 - Cell. 393.2050324

VENDITA AUTO NUOVE E USATE PLURIMARCHEAGENZIA PRATICHE AUTO

Page 23: Teramani n. 110

23A Milano

di

[email protected]

Così come fecerogli antichi

SE come fare soldi (degli italiani) con l’Expo

n.110

Le accuse di imitazione sono ridicole.

“Un albero è un albero, proprio come un

grattacielo è un grattacielo: sono spesso

simili, siano essi a New York o Shanghai.

Non è possibile avere il copyright sulla

forma di un albero”. L’installazione

nata appunto dalla direzione creativa di

Marco Balich e dal design dello Studio

Giò Forma è una composizione architet-

tonica di acciaio e legno che si erige per

37 metri di fronte a “Palazzo Italia”. A

Singapore invece hanno creato i “Super-

trees Grove”, una foresta di super alberi

finti. Alberi fotovoltaici interrati in un

bosco artificiale in grado di accumulare

il calore del sole e produrre l’energia

necessaria per la propria illuminazio-

ne. La pazza idea è venuta a un team

internazionale di ingegneri, architetti e

paesaggisti della Wilkinson Eyre e della

Grant Associates

che, fondendo tec-

nologie rinnovabili

e botanica, hanno

quindi realizza-

to un progetto

ambizioso ma non

impossibile. Insom-

ma, come hanno

fatto sempre gli

antichi: “Se la cosa

riesce, va bene.

Sennò... “.

embra proprio che sia andata in

questo modo. Quel discolo ed

eterno bambino di Michael Jack-

son si sarebbe messo davvero di

sotto il gomito sporto apposta dal banco

per potere sbirciare di nascosto sul

pentagramma del noto compositore e

cantante di Cellino San Marco, Al Bano. Il

plagio ha radici secolari. Primo elemento

di parole composte della terminologia

scientifica, con il significato di “inclina-

to”, “obliquo”. E se non ci si accorge per

tempo di chi esercita l’attribuzione al

proprio ingegno di un’opera altrui o di

parti di essa, a proposito di secolarità

e affini, di “inclinato” piuttosto che di

“obliquo”, bisogna rassegnarsi ad attua-

re comportamenti assai simili a quelli

attesi sempre degli antichi: “Se fice da

‘ngule!”. Nella fattispecie dell’Expo 2015,

lo si sarebbe attuato, il presunto plagio,

per soli 8 milioni di euro. Marco Balich

sostiene che “L’Albero della Vita” è sen-

za ombra di dubbio un’opera d’arte che

rappresenta, al contempo, scultura, in-

stallazione, edificio

e monumento, con

chiari rimandi al Ri-

nascimento italiano

e alla struttura pa-

vimentale di Piazza

del Campidoglio

a Roma creata da

Michelangelo nel

XVI secolo. Un pro-

getto che non ha

nulla a che fare con

quello di Singapore.

Via Comi, 27 - TERAMO - Tel./Fax 0861.252621 - [email protected] - www.dimcasa.com

Page 24: Teramani n. 110

Fin dai primi decenni del 1900 le pinciaie, case di terra estre-

mamente povere e immagine della miseria, erano numerose

nella fascia adriatica del teramano.

Si può ben dire che queste case, simili a quelle costruite al

tempo degli Etruschi, erano comuni nel settecento sia in Ro-

magna che nelle Puglie.

La tecnica costruttiva pare sia stata mutuata, nel secolo scor-

so, anche dalle popolazioni slave.

Le abitazioni erano realizzate in aperta campagna con argilla e

paglia e costituivano mirabili esempi di architettura dell’”arran-

giarsi” per contadini, braccianti e pastori.

Erano caratterizzate da fondamenta pressoché inesistenti e

poggiavano su tronchetti di legno infissi nel terreno per dare

una parvenza di stabilità.

Eppure, a dispetto di una fragilità estrema, le case raggiun-

gevano una certa consistenza, con un piano terra adibito a

cucina dal pavimento in terra battuta, camino, camera da letto

e magazzino per attrezzi e stalla.

In più, spesso, c’era anche un piano superiore con altri letti.

Finestre minime, locali

maleodoranti e umidi,

freddo pungente, di certo

la vita nelle pinciaie era

difficile.

I suoi abitanti beccavano

di tutto, dalle malattie

polmonari, alla tuberco-

losi.

Eppure queste strutture

sono la storia di quelli

che prima di noi hanno

abitato la nostra terra e

costituiscono l’espres-

sione di un mondo antico

che stiamo dimenticando.

Oggi le pinciaie sono in

disfacimento! C’è biso-

gno di qualche progetto

uesto articolo l’ho scritto a quattro mani con un grande

amico, innamorato dell’ambiente, del movimento dolce

in bici, che ha sempre cercato di far conoscere la cultu-

ra dello “slowtravel”: il professore Lucio De Marcellis.

Oggi, che ci ha lasciato, ricordo con nostalgia le sue parole:

“Chi spinge sui pedali e fa correre veloci o lente, due ruote,

spalanca davanti ai suoi occhi orizzonti infiniti e colleziona

qualcosa di prezioso, alberi, profili montuosi, distese di campi,

corsi d’acqua. In pratica inventa paesaggi ogni volta diversi”.

Cresce sempre di più, nella nostra Provincia, la voglia d’itinera-

ri che colleghino emergenze storico-architettoniche con luoghi

d’interesse paesaggistico e naturalistico.

Nella vallata del Vibrata, cuore della provincia teramana, ricca

di paesaggi agresti notevoli e di centri storici preziosi, esiste

un percorso nel Comune di Sant’Omero, da poco corredato di

apposita segnaletica.

Si presta a essere utilizzato a piedi, in mountain bike o a caval-

lo: è la Via delle Pinciare.

Il nome, come si può intuire, deriva da alcuni affascinanti casali

realizzati in terra cruda (le pinciare o pinciaie), tipici dell’archi-

tettura “povera” abruz-

zese, che s’incontrano

lungo il percorso.

Il dislivello e la difficoltà

sono minimi, il fondo in

asfalto e, in parte, in terra

battuta. Costituisce un

esempio, per tutti gli altri

comuni, di come si possa

valorizzare un percorso

esistente, con poca spesa

visti i tempi di ristrettez-

ze economiche.

Può costituire il primo

ramo di una rete di vie

alternative, famose green

ways in grado di regalare

agli utenti ambiente e

storia di un popolo.

In giro

L’architettura dell’arrangiarsi!

Sulla viadelle pinciaie

Q

24n.110

dihttp://paesaggioteramano.blogspot.ithttp://www.abruzzoinbici.it

Sergio Scacchiae Lucio De Marcellis

Page 25: Teramani n. 110

Gesù, vestito con una tuni-

ca fermata ai fianchi da un

drappo, tiene una minusco-

la sfera nella mano sinistra.

La Vergine velata indossa

una tunica coperta da un

manto stellato. L’opera è at-

tribuita ad un maestro igno-

to di provenienza umbra.

Sono numerose le leggende

che popolano questo luogo

dal quale si dominano le

valli del Vibrata e Salinello.

Storie fantastiche di chioc-

ce con uova d’oro, di tesori

nascosti sotto terra e di

tumuli bi millenari di grandi

personaggi dai corredi

funerari ricchissimi.

Il fascino del luogo però risiede nella

storia secolare che custodisce.

Info:

La Via delle Pinciare è una tra le dira-

mazioni secondarie della Fondovalle

del Salinello. Per le bici da corsa invece

(che richiedono percorsi interamente

asfaltati), una delle alternative potrebbe

essere la Via delle Terme. Il nome ci

rievoca immediatamente l’antica Roma

le cui vestigia riaffiorano ovunque in

questi luoghi. In località Vallorina di

Sant’Omero, nel 1823 fu rinvenuto un

cippo miliario che testimonia che qui

passava l’antica Via Metella:

http://www.abruzzoinbici.it/documenti/

Testo%20integrativo%20di%20Nicco-

la%20Palma%20sul%20tracciato%20

della%20Via%20Metella%20

tra%20l’Abruzzo%20e%20

il%20Lazio,%20detto%20

anche%20Tracciolino%20

di%20Annibale.pdf

http://www.comune.santo-

mero.te.it/27-percorsi_turi-

stici.html

Per raggiungere Sant’Omero

in provincia di Teramo:

Dall’autostrada Adriatica

A14 (da nord: direzione

Ancona; da sud: direzio-

ne Pescara), uscire a Val

Vibrata, continuare sulla SP

259 in direzione di Pescara,

seguire le indicazioni per

Sant’Omero.

per recuperare urgente-

mente i caratteristici casali

di terra cruda che soffrono

il tempo che passa. Cre-

diamo sia opportuno che si

faccia tutto il possibile per

preservare questi manufatti

dalla loro scomparsa.

L’ultime tempeste d’acqua

dello scorso inverno hanno

fatto franare una delle case

rimaste, altre sono molto

malridotte, inoltre uno

degli affluenti del Vibrata

è sempre più sporco, una

discarica a cielo aperto,

una bomba ecologica.

Non lontano dalla Via delle

Pinciaie, si trova S. Angelo

in Abbamano, una località agreste di

Sant’Omero, un tempo ubicata su di

una via molto usata dai romani per

condurre gli eserciti nel Pretuzio e nel

Piceno ascolano.

Nei tempi antichi, esisteva una sorgen-

te di acque sulfuree, oggi prosciugata.

Pare che fosse utilizzata per curare le

artrosi.

Il luogo era denominato Sant’Angelum

ad Puteum probabilmente proprio

per l’odore nauseabondo dell’acqua

termale.

Oggi su quella che era una massiccia

costruzione romana di bagno pubbli-

co o forse di enorme cisterna, sorge

l’incantevole chiesina dedicata al culto

di San Michele Arcangelo, con le sue

semplici strutture romaniche senza

fondamenta.

Questa ipotesi costrutti-

va, dettata da più di uno

storico, pare suffragata dalla

presenza di un mosaico, sul

lato destro del tempio, co-

perto da uno strato di ghiaia

minuta, fatto di piccole

tessere chiare, che dove-

va costituire il pavimento

dell’edificio superiore del

bagno termale. Proprio su

questo mosaico è fondata la

base del muro della chieset-

ta, che in alto è di mattoni

rinforzati.

Sull’ingresso della chiesa

inoltre, volto a occidente, il

gradino della soglia non è

altro che un frammento di

epigrafe il quale reca incise

delle lettere a grandi caratteri imperiali.

Il luogo oggi è solitario ma un tempo

doveva essere molto frequentato. Si

deduce dai ritrovamenti di scheletri di

animali e di ossa umane.

A poca distanza, c’è anche la possibilità

di visitare un antico frantoio dove le

tecniche di realizzazione dell’olio sono

rimaste davvero quelle di un tempo.

In un paese come Sant’Omero, mar-

toriato dai continui trafugamenti dei

tombaroli, non si capisce bene come

non sia stata rubata anche una splendi-

da Madonnina lignea gotica, che fino a

qualche anno fa impreziosiva il piccolo

tempio contadino. L’opera, che ora è

custodita nel Museo Nazionale d’Abruz-

zo dell’Aquila, rappresenta la Madonna

seduta su uno scanno in posizione

frontale mentre sorregge con il braccio

sinistro il Bambino in piedi. Il piccolo

25n.110

Page 26: Teramani n. 110

26n.110

Cinema

L’ultimo film di Nanni Moretti

di

[email protected]

La mia materà penser

D

momento come questo, venga a rappresentare l’ordine, la razionali-

tà, la narrazione, la passione e la com-passione. Un ordinario negato

esattamente come il finto straordinario, anche se esibiti. Contrap-

posti a un mondo tutto finto che, ammantandosi di continuo di tali

parole, le nega e le ostacola costantemente.

Quella madre costituisce una fede, soprattutto politica, negata e

combattuta da fedi e politiche d’altri segni, bigotti e conservatori, mi-

stificatori e manipolatori. Eppur liberi(sti). E, certo, è anche il cinema,

mater à penser controcorrente, regina di morti e immortali, mater(ia)

di cui sono fatti i sogni. A Nanni Moretti interessa mettere in lotta

questa contrapposizione, questa divisione tra verità e menzogna.

Non soltanto la contraddizione sin troppo insi(sti)ta anche in lui, la

contraddizione che rimane una possibile conseguenza del doppio.

E che si svela nella militanza Pd, partito, specchio dell’ex Pdl, in

larga misura responsabile della catastrofe che il film mostra (afasia,

impotenza, scoramento, senso di inutilità e incapacità di qualsivoglia

narrazione, politica sociale estetica). E ancora incredibilmente segui-

to da tanti uomini e donne. Sia pure dall’uomo/donna, e forse anche

dal cineasta, Moretti.

Qui si entra nello specifico del suo ci-

nema. La sua risposta in merito a quel

che descrive è coerentemente incoe-

rente, espressa attraverso un sociale

scisso, un pubblico parlato principal-

mente attraverso il privato, l’intimo,

persino ohibò ombelicale (proprio in

senso letterale). Questo tipo di regia,

o perlomeno di forma cinematografica

(in)espressa nella sua totalità, rincorre

una deriva, una fuga, un baratro di

follia, incarnato non esclusivamente

dal personaggio dell’attore Barry / John

Turturro (si veda la scena, genialmen-

te gratuita, in cui balla con la troupe

del film nel film: un momento che ripete altri momenti-movimenti

gratuiti e altrettanto geniali dei suoi film precedenti). Gratuito appare

anche l’episodio dalla mamma in fuga dall’ospedale: una scena che

non sappiamo se reale o immaginata, sognata. Cosa importa? Tutto

il film, ogni film, non soltanto di Nanni Moretti, è reale immaginato

sognato. Il vero è falso, il falso è vero. Take me back to reality!

Si cerca (invano?) di incartare tutto

questo «sfuggente», questa ineffa-

bile fuga continua, con un ordine di

scrittura e di linearità narrativa. A

dispetto dei flashback, gli andirivie-

ni mnemonici, gli squarci onirici, il

metalinguaggio. Non solo è impossibile

la lotta, ma anche la descrizione della

lotta. Lotta lutto. Nondimeno Guy

Debord introduceva i suoi Commentari

sulla società dello spettacolo (1988)

citando Sun-Tzu: «Per quanto critiche

a piccoli, soli e smarriti, incompleti e curiosi, si chiama la

mamma. Se si continua a farlo quando si è adulti, secondo la

vulgata corrente qualcosa non va. Vi accuseranno di essere

nevrotici, dissociati, ritardati, al più mammoni, un mot juste

che fa parte del dizionario dei luoghi comuni sugli italiani. Nanni

Moretti, nei suoi personaggi alter ego, non lo ha mai negato, sin

dall’inizio: di essere idiosincratico, im-

maturo, dipendente. Ed era la messa in

scena del proprio io a compensare, re-

gisticamente, lucidità, maturità (parola

orrenda), talento, professionalità (altra

parolaccia), indipendenza. Il doppio.

Consistente in quest’altra parte di sé

non allineata all’adultità, alla ragione,

all’ordine.

Essere doppi come essere completi,

scissi pazzi o scissi creativi. Ne era

convinto pure Fassbinder, perenne-

mente impietoso con sé stesso e i suoi

personaggi, eppur tenero, con l’amata/

odiata madre Lilo Pempeit dentro i

suoi film (e il film della sua vita). Il confronto, doloroso e necessario,

con la propria parte femminile, madre o/e figlia (figlio). Dovrebbero

farlo tutti, non soltanto gli omosessuali. Maschile/femminile, dicoto-

mia al pari di realtà/fiction, perlustrati osservati in un’epoca in cui la

barra-confine (mentale) è stata in gran parte abbattuta, nonostante il

segno contrario del Potere e dell’Ordine, che traveste sempre le sue

repressioni in democrazia. O democrazy.

Per cui il doppio esiste e viene

tollerato, appartenendo però a freaks

pazzi e scombinati, scoglionati. Deve

pur esserci una ragione per cui diversi

d’ogni risma vengono esibiti in quanto

riconosciuti. In tv, e non solo. Come

tante Lola Montes dive e fenomeni da

baracconi al contempo. Quindi non ap-

pare contraddittorio se quella mamma

morettiana, così criticata, simbolo di

ripiego depoliticizzato, peraltro in un

Page 27: Teramani n. 110

anarchica e collettivamente

legata alla forma e all’autorità

(alla mamma?). Todo cambia

e nulla cambia, storia vecchia.

Allo stesso tempo, l’ossessione

per il potere risultava rovescia-

ta in una paura dello stesso

riletto alla luce di un punto di

vista cechoviano, alla maniera

dello scrittore più politicamen-

te privato di sempre. Interno

e intorno alla frustrazione, al

comico tragico, all’impossibi-

lità di via d’uscita, al deficit di

accudimento. Il lieto fine di quel film era

sdoppiato ulteriormente in una tragica fine.

Liberatoria, certo. Ma imprigionante perché

neppure utopica, semplicemente a-topica.

Senza luogo, territorio, paese, politica a cui

fare riferimento. In cui appoggiarsi. Nuvola

da cui non arriva(va) alcuna pioggia.

Per questa via adesso si evoca,

o forse soltanto si rievoca, un

logos, perduto come il latino, la

militanza. L’alunna della madre

insegnante invita Margherita a

non essere gelosa, sua madre

era più «nostra» che «mia»,

una pedina del Noi siamo qui,

film nel film. Eppure «mio» era

il Lenin dei tre canti vertoviani,

«mia» la Mat di Pudovkin. Cioè

la speranza nel domani. Un

domani che, nel finale, si legge

nell’espressione abbattuta e «vuota» di

Margherita/ Buy. Quel domani non c’è più:

goodbye, good Buy.

Forse è un addio, una resa dei conti. Tutto

quanto precedentemente, direttamente vis-

suto è diventato ormai solo una rappresen-

tazione. Ma cosa succede se la

rappresentazione stessa diventa

irrappresentabile? Se il primum

mobile, cioè la madre, è venuto

a mancare? Per questo, bisogna

confidare nel Moretti/mondo

che verrà dopo, la prova del

nove. La Tellus Mater, proprio

un terremoto, necessariamente

abbatte, distrugge, fa tabula

rasa. Poi (ri)porta i minerali,

il nascituro, il nuovo. Mater

Matuta, è (sarà) la madre di un

nuovo avvenire. Dopo la Mater

Tenebrarum, una Mater Clari-

tatum. Avremo un altro Moretti

bambino, discolo e anarchico.

27n.110

possano essere la situazione e

le circostanze in cui vi trovate,

non disperate; è proprio nelle

occasioni in cui c’è tutto da

temere che non bisogna temere

niente; è quando siamo circon-

dati da pericoli di ogni tipo che

non dobbiamo avere paura; è

quando siamo senza risorse

che dobbiamo contare su

tutte; è quando siamo sorpresi

che dobbiamo sorprendere il

nemico». È quando ci ritrovia-

mo a invocare, verso il cielo, la

mamma e la manna. Non poter (più) legare

l’immagine alla cosa, la copia all’originale,

direbbe Feuerbach, sempre per via Debord,

è il dramma di Moretti, di questa sua Mia

madre. Nel dativo possessivo latino, men-

zionato in uno dei momenti chiave, infatti,

il soggetto non è più il possessore, lo è la

cosa (la cosa!).

È giusto ricordare che durante

i ’60 e ’70, la mamma veniva

resa all’opposto, negata nel

ruolo mitico e mitopoietico di

myrionymus nutrice. Sepolta

nella sabbia (Jodorowsky),

uccisa (insieme a tutta la

famiglia: Bellocchio), archetipiz-

zata e giustificata come mostro

terzomondista (la Medea del

Pasolini semper devoto alla

mamma), spostata su un piano

horror di bad mamas (il Dario Argento

delle tre madri, e non soltanto quello,

l’ultima delle quali, giunta agli anni 2000,

si scindeva nuovamente, come qui, in una

madre amorevole che cerca di dar forza a

una figlia precipitata in un caos pubblico e

personale). Negli anni ’80, quando la messa

era finita (si era appena agli inizi

della fine), alla madre (suicida)

si chiedeva per quale ragione

fosse giunta a tanto, smettendo

di colpo la narrazione (quel libro

che non aveva finito di leggere).

Adesso un’intera parete di libri,

di fedi costanti, si dice qui, finirà

dove?

In Mia madre, Nanni Moretti

sembra fuggire ancora. Oppure

no. Eppure no. La scissione, si è

detto, consiste anche in questa

radicale contraddittorietà in un

mondo che proclama feticci di

unità e coerenza. Il suo papa

(papà?) incarnava una dimissione dall’im-

pegno (politico? un piddino sottrattosi alla

responsabilità?). Adesso confessa, con la

consueta serie di travestimenti di racconto

(non è questo il ruolo del narratore? stare

accanto e non con il personaggio, persino

con la storia?), la propria sconfitta, la

propria ammissione di colpa. In un rifugio

apparentemente tutto privato, già in parte

ammesso nell’insincero e insicuro La stan-

za del figlio (2001).

In Habemus papam (2011), Moretti descri-

veva, giocosamente pungendo, quanto

la nostra Italia fosse individualmente

Page 28: Teramani n. 110

leader nella stampa Free Press teramana e nell’Organizzazione di Grandi Eventi Culturaliricerca

agente pubblicitarioIl candidato ideale possiede:- Diploma di Scuola Media Superiore o Laurea;- Esperienza maturata nella Vendita di Spazi Pubblicitari o Servizi alle Aziende;- Grandi Doti Organizzative;- Spirito di Iniziativa e spiccate Capacità Relazionali;- Auto propria.

L’Editrice Teramani offre:- Gestione dell’ampiissimo Portafoglio Clienti, acquisito in 12 anni di Attività;- Affermato ed ampio Catalogo Prodotti;- Continua Formazione Aziendale;- Elevate Provvigioni, Premi ed Incentivi, Anticipo delle Provvigioni Mensili.Gli interessati di entrambi i sessi possono inviare il proprio Curriculum Vitae al seguente indirizzo mail: [email protected]

28n.110

Negoziazioneassistita

Per quanto attiene alla procedura, essa inizia con l’informativa, da

parte dell’avvocato al proprio cliente, della possibilità di ricorrere alla

convenzione.

Chi intende fruire della convenzione invia alla controparte, tramite il

proprio legale, un invito a stipularla che deve essere sottoscritta e, come

già detto, indicare l’oggetto della controversia, con l’avvertimento che

la mancata risposta o il rifiuto, entro il termine di trenta giorni, potrà

comportare motivo per il giudice adito di valutare ciò ai fini dell’addebito

delle spese di giudizio, con condanna al risarcimento per lite temeraria

ex art. 96 c.p.c. e con esecuzione provvisoria ex art. 642 c.p.c.

Se, invece, l’invito viene accettato, si dà svolgimento alla negoziazione

vera e propria e nel caso di raggiungimento di un accordo, lo stesso do-

vrà essere sottoscritto dalle parti e dagli

avvocati che le assistono.

Oltre alla negoziazione facoltativa esiste

quella obbligatoria prevista per le azioni

riguardanti il risarcimento del danno da

circolazione dei veicoli e natanti e per le

domande di pagamento a qualsiasi titolo

di somme purché non eccedenti € 50.000

e non soggette alla disciplina della media-

zione obbligatoria.

Infine, tale procedimento esiste anche per

le soluzioni consensuali di separazione

personale, di cessazione degli effetti civili

o di scioglimento del matrimonio, di modi-

fica alle condizioni di separazione o divorzio, con procedimento distinto

a seconda che vi sia prole autosufficiente o meno.

La negoziazione assistita in ambito familiare opera solo in forma

facoltativa e riguarda controversie già esistenti tra i coniugi negli ambiti

appena elencati.

Naturalmente, tutto quanto sopra detto, è da ritenere non sufficiente-

mente esaustivo in quanto l’argomento della negoziazione assistita pre-

senta novità e criticità che non possono essere affrontati solo in questa

sede necessitando di un successivo ampliamento giuridico.

l D.L. n. 132/2014, convertito in Legge n.

162/2014, ha introdotto il nuovo istituto

della negoziazione assistita finalizzata

a portare fuori dalle aule dei tribunali

i contenziosi, ponendo così un freno al

continuo aumento dei processi e nello

stesso tempo costituendo un’alternativa

stragiudiziale all’ordinaria risoluzione dei

conflitti.

In questa sede esamineremo, sommaria-

mente, in che cosa consiste la convenzione

di negoziazione ed il relativo procedimento.

La negoziazione può essere intesa come

l’accordo con il quale le parti in lite con-

vengono di collaborare, in buona fede e lealtà, al fine di risolvere in via

amichevole una controversia con l’assistenza di avvocati.

Essa deve contenere: 1) il termine concordato dalle parti per svolgere

tale procedura, che non può essere inferiore a un mese e superiore a

tre; 2) l’oggetto della controversia che non può riguardare né i diritti

indisponibili né materie di lavoro.

Secondo quanto stabilisce l’art. 2 del D.L. n. 132/2014, la convenzione

deve essere redatta in forma scritta e conclusa con l’assistenza di uno o

più avvocati, a pena di nullità.

I

Dura Lex Sed Lex

di

[email protected]

Page 29: Teramani n. 110

29n.110

Sportdalla

[email protected]

PallamanoI

della pallamano non solo teramana ma anche

nazionale ed internazionale. Franco Chionchio

oltra che esserne la guida tecnica ha assunto la

responsabilità della dirigenza

della società. Nella stessa che

disputerà il campionato di

serie B, è confluito un nutrito

gruppo di amici anch’essi

rappresentanti della pallamano

teramana e che hanno vissuto

un glorioso passato. Tutto ciò

rappresenta il presupposto che

la squadra sarà ben guidata e

soprattutto potrà conseguire

risultati assenti ormai da troppi anni a Teramo. In

serie B militerà anche la Lions Teramo ed anche

qui in B ci sarà un Derby tutto teramano che già

nella passata stagione ha riscosso grande succes-

so di pubblico.

La Team Teramo e la N.H.C. Teramo hanno dispu-

tato la Coppa Interamnia nella Categoria over 18.

classificandosi entrambe al terzo posto. La Coppa

è stata dominata dalle squadre danesi che si sono

aggiudicate tutte le categorie, tranne la Over 18

maschile vinta dall’Uzbekistan e la Under 18 fem-

minile, vinta dalla rappresentativa brasiliana.

La Nuova H.F. femminile ha chiuso la

stagione con l’incontro casalingo valido per

la semifinale play off scudetto perso in malo

modo contro Cassano Magnago non sfrut-

tando per ben due volte su tre il vantaggio del fat-

tore campo. Resta comunque la soddisfazione di

aver concluso il campionato fra le prime quattro,

risultato che le dava il diritto di poter disputare

una delle Coppe Europee alle quali comunque la

società ha rinunciato. L’incognita per la prossima

stagione è legata ad eventuali partenze di

alcune giocatrici e all’arrivo di

sostitute all’altezza. Restano

comunque da verificare gli

obiettivi societari.

Per quanto concerne invece

la Team Teramo promossa

in A1, possiamo confermare

che La Brecciosa Serafino

sarà ancora alla guida tecnica

della squadra ampiamente riconfermata nei suoi

elementi base, potendo garantire ad essa una

profonda conoscenza non solo degli elementi

facenti parte della stessa, il

cui organico dovrà comun-

que essere arricchito da una

straniera e da un portiere che

sostituirebbe Daniela Dovesi,

atleta di grande valore, tornata

al Cassano Magnago sua

società di origine per motivi

extra sportivi, ma anche del

campionato che la squadra

stessa andrà ad affrontare. La

presenza in A1 di entrambe le società teramane

garantirà per il prossimo campionato il derby

cittadino che si preannuncia sicuramente foriero

di maggiore interesse per la

Pallamano in genere.

In campo maschile la

grossa novità è rappresen-

tata dal fatto che la Team

Teramo si è trasformata

in N.H.C. Teramo e che

sarà guidata da Franco

Chionchio, bandiera e gloria

Page 30: Teramani n. 110

30n.110

Shop arttuale di Floriana Ferrari. Una bella performance quella di Silvia

D’Anastasio, di Spazio Tre Teatro, che ha letto il racconto ideato per

i piccoli. L’Assessore alla Pubblica Istruzione Piero Romanelli che ha

promosso e inaugurato l’Evento e le famiglie dei 48 bambini, con il

loro sostegno, hanno decretato il grande coinvolgimento emotivo di

tutti i partecipanti. Il laboratorio artistico-sperimentale ha consentito,

con lo strumentario di ORFF, la scoperta dei suoni, in una dimensione

multisensoriale e creativa. L’arte e la musica hanno stimolato nei

bambini la crescita cognitiva ed emotiva, la comunicazione verbale

e la socialità. Nelle antiche botteghe dell’arte applicata al tessuto, i

cittadini teramani hanno potuto scorgere un pezzetto dell’antico e

prezioso ricamo delle

nonne, con le Scuole

di ricamo di: Atri “Mani

fatate” di Lodi Rizzini

Dalmazia; Castiglione

M. Raimondo: “Punti

e Spunti” di Wanda

Esposito; Gambettola

(Forlì): “L’Antica botte-

ga” Pascucci 1826, tele

Romagnole stampate

a mano. Un pubblico

scelto di critici e artisti

ha visitato la mostra del pittore Antonio Brandimarte, un giovane di

talento e già accademico, a cura di Grazia Ricci. I quadri di Bran-

dimarte sono scenografici, trompe l’oeil, finestre aperte sull’arte

antica, strizzando l’occhio a quella contemporanea. Che dire, poi, del

pomeriggio culturale del Recital di poesie a tema “Fiori e vita”, a cura

di Maria Di Blasio Ricci, per nutrire di bellezza tutti gli intervenuti.

Dulcis in fundo “Il Balcone più fiorito”, davvero difficile la scelta!!!

Nell’augurarvi buone vacanze, vi aspettiamo a Shop Art il 3 ottobre

2015, con nuovi Eventi Artistici e Culturali.

na giornata quella di SHOP- ART, all’insegna dell’arte e della

creatività degli artisti. Un evento che la città ha gradito, tanti

sono stati i protagonisti che hanno vivacizzato un’iniziativa

particolare dove l’arte ha sconfinato nell’artigianato e nel

connubio tra le arti. Un giorno speciale da vivere in via D’Annunzio,

recuperando il tempo della lentezza, aggirandosi tra gli spazi espo-

sitivi, entusiasmandosi per gli eventi. Bravissimi i piccoli musicisti in

erba del Micronido di

Teramo che nel conte-

sto di Shop-Art, nella

Galleria di Arte Antica,

hanno presentato con

successo, il laborato-

rio di musicoterapia

“La valigia dei sogni”,

coadiuvati dalle mae-

stre: Adelina Ragonici,

Elisabeth Lorenz,

Marzia Catitti, Antonella

Pepe, Giuseppina Di

Silvestre, Lidia Merlini, dalle collaboratrici Barbara Andreoni e Monica

Graziano, dalle musiciste dell’Istituto “G. Braga” di Teramo: Ilaria

Profeta e Maria Vittoria Eliani, con la Direzione Artistica e Proget-

U

Sabato 6 Giugno 2015

di

[email protected]

Le Vie dell’Arte e dell’Artigianato a Teramo

Page 31: Teramani n. 110
Page 32: Teramani n. 110