DeVinis n. 86 Marzo-Aprile 2009

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DE Vinis PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL ’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - [email protected] LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ, LA CULTURA, IL PIACERE, I PROTAGONISTI DEL BERE BENE Marzo / Aprile 2009 Anno XVI - n. 86 - 3,50 - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postal e - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/ 02/2004 - n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano

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Pubblicazione Ufficiale dell'Associazione Italiana Sommelier

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DEVinis

PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - [email protected]

LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ,LA CUL TURA, IL PIACERE,

I PROTAGONISTI DEL BERE BENE

Marzo / Aprile 2009

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Un’occasioneda non perdere

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Nel 2015 Milano ospiterà l’esposizione universale incentrata sultema: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. L’evento sarà digrandissima portata. Secondo le stime verranno investiti 20 miliar-

di di euro in infrastrutture, e nei prossimi sei anni verranno creati set-tantamila nuovi posti di lavoro. Saranno 120 i Paesi presenti come espo-sitori con settemila eventi organizzati e si calcolano trenta milioni di turi-sti in arrivo nel nostro Paese durante l’Expo. Per concludere il capitolograndi numeri, le previsioni parlano di un aumento di fatturato pari a44 miliardi di euro per gli imprenditori milanesi. Insomma, l’evento è unico e proprio per questa sua caratteristica richie-de scelte e decisioni importanti. Diciamo subito che l’Ais ha già comin-ciato a lavorare: l’Expo ci tocca in prima persona, a cominciare daltitolo, “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Si tratterà il tema dell’ali-mentazione in tutti i suoi aspetti: le tecnologie alimentari, l’educazioneal cibo, la valorizzazione culturale, l’alimentazione come ricerca di qua-lità, salute, sicurezza e genuinità. Sono tutti temi che ci stanno da sempre a cuore e lo testimoniano le ini-ziative e i numerosi articoli pubblicati nel corso dei mesi su questarivista. In ambito Expo i sommeliers saranno chiamati a comunicare ed esal-tare eccellenza, qualità e valore dei prodotti enogastronomici e agroali-mentari. Tutto questo avverrà non solo in ambito lombardo, ma in tuttoil territorio nazionale. I turisti arriveranno a Milano per visitare l’Expo,ma poi si distribuiranno nelle altre regioni attratti dall’arte, dal pae-saggio, dal mare, dai monti, dalle isole, dalla cucina e dal vino.Il sindaco di Milano e Commissario Expo Letizia Moratti sta firmandoaccordi di programma con numerosi comuni di tutta Italia; Maria VittoriaBrambilla, titolare del Dipartimento del Turismo, sta varando pacchet-ti turistici personalizzati e soprattutto integrati che offriranno anche lapossibilità di scoprire le zone meno conosciute d’Italia. L’intento è quello di sviluppare le potenzialità e l'immagine dell'intero“sistema Italia”; nei programmi ci sono anche lo sviluppo dell'offerta diospitalità turistica, come ad esempio gli alberghi, e il coordinamento permanifestazioni che promuovono l'agroalimentare, l’enogastronomia ela tutela del marchio Italia. Ciò significa che gli alberghi dovranno essere strutture funzionali anchedopo l’Expo e non cattedrali nel deserto da abbandonare una volta cala-to il sipario sulla grande kermesse, che treni ed aerei dovranno funzio-nare a meraviglia per rendere agevoli i trasferimenti in tutta la Penisolae nelle Isole, che la rete stradale e autostradale dovrà essere adatta asostenere il grande impatto con milioni di autoveicoli. Noi sommeliersdiremo la nostra nelle manifestazioni e nei convegni a cui verremo invi-tati, ma anche e soprattutto nelle strutture alberghiere e nei ristoranti.Sarà insomma un’occasione da non perdere.

di Terenzio Medri

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Anno XVI marzo-aprile 2009Associazione Italiana Sommeliers Editore

Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, [email protected] redazionale | Francesca Cantiani, [email protected] la pubblicità | Roberto Pizzi, [email protected] tel. 02/72095574 – ICE Srl – Corso Garibaldi, 16 – 20121 Milano

Redazione | Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9 - 20125 Milano Tel. +39 02/2846237 - Fax +39 02/26112328 - [email protected]

Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, [email protected]

Hanno collaborato | Silvia Baratta, Luisa Barbieri, Roberto Bellini, Carla Bruni, Francesca Cantiani, Luigi Caricato,Riccardo Castaldi, Elisa della Barba, Roberto Di Sanzo, Alessandro Franceschini, Natalia Franchi, Salvatore Giannella,Katia Giarrusso, Maddalena Giuffrida, Emanuele Lavizzari, Maurizio Maestrelli, Letizia Magnani, Antonello Maietta,Angelo Matteucci, Davide Oltolini, Morello Pecchioli, Roberto Piccinelli, Cesare Pillon, Valentina Pillot, Paolo Pirovano,Barbara Ronchi Della Rocca, Alessandra Rotondi, Lorenzo Simoncelli, Stefano Tura, Franco Ziliani.

Fotografie | Archivio Ais, Luigi Caricato, Riccardo Castaldi, Alessandro Franceschini, Maurizio Maestrelli, AngeloMatteucci, Morello PecchioliPer l’articolo a firma di Salvatore Giannella il ritratto di Umberto Veronesi e l’illustrazione “Mondi e idee in un bicchiere”sono di Ro MarcenaroPer l’articolo a firma di Roberto Piccinelli foto di Francesca SandoliPer l’articolo a firma di Elisa della Barba foto della stessa autricePer gli articoli a firma di Alessandra Rotondi foto di Walter Karling e della stessa autriceSi ringrazia Urbano Sintoni per il ritratto fotografico al presidente Terenzio Medri (editoriale)

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La quota associativa è di 80 euro e comprende l’abbonamento annuoalla rivista ufficiale AIS e alla GuidaDuemilavini edizione 2010.

Rinnovo quota associativa 2009

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La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene.

AIS Associazione Italiana SommeliersPresidente | Terenzio MedriVicepresidenti | Antonello Maietta, Rossella RomaniMembri della Giunta Esecutiva Nazionale | Terenzio Medri, Antonello Maietta, Roberto Gardini, LorenzoGiuliani, Vincenzo Ricciardi, Catia Soardi, Rossella Romani, Marco Aldegheri, Roberto Bellini.

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Marzo / Aprile 2009

10 “Le Parole Maestre”: Umberto VeronesiLA RICETTA DEL GRANDE ONCOLOGO MILANESE PER VIVERE A LUNGO

16 L’universo giovane e il vino ESPERIENZE “IN & OUT” NEI LOCALI PIÙ ALLA MODA

20 Facebook clicca sul “bere responsabile”NEL FAMOSO SOCIAL NETWORK DI INTERNET LE VOCI FAVOREVOLI ALLA CULTURA DEL VINO

24 Troppi inglesi alzano il gomitoIL GOVERNO BRITANNICO CORRE AI RIPARI CONTRO L’ABUSO DI ALCOL

26 Finalmente Vinitaly!APPUNTAMENTO A VERONA DAL 2 AL 6 APRILE

36 Che ne sarà delle denominazioni?IN ARRIVO IN EUROPA LA RIFORMA DELL’ORGANIZZAZIONE COMUNE DI MERCATO

40 I nostri vini sulla via della setaALLA CONQUISTA DEI MERCATI PERCORSI DA MARCO POLO

44 Italia-Francia, la sfida continua…TURISMO: LE DUE ETERNE RIVALI A CONFRONTO

52 Il bon ton nasce a casa nostraMACCHÉ FRANCESE, IL GALATEO A TAVOLA PARLA ITALIANO!

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56 Vivace, brioso e deciso!LA DEGUSTAZIONE DEL MORELLINO DI SCANSANO

62 I musei dei sapori di ParmaVIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLE PRELIBATEZZE EMILIANE

68 Alla conquista della GermaniaENOTRIA VINO, ENOTECA ITALIANA IN TERRA TEUTONICA

84 Il castello dei gourmetUN RISTORANTE ESCLUSIVO TRA LE MURA DI UNA FORTEZZA

94 Alla tavola di MoséIL VINO E LA CUCINA NELLA TRADIZIONE EBRAICA

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Marzo / Aprile 2009

All’interno 32 Cucina LA CHAMPIONS LEAGUE DEGLI CHEF

60 Fiere ALLA MIA DI RIMINI IL DEBUTTO DI DIVINO LOUNGE

72 Olio L’OLIVOTECA D’ITALIA, UN’IDEA VINCENTE

74 Birra ARTIGIANI SOTTO LA LANTERNA

76 Distillati IN OLANDA SI CURAVANO CON IL GIN

78 Acqua NANOTECNOLOGIE E DEPURAZIONE

80 Enopassione IL VINO DEL PITTORE

112 Sullo scaffale LE NOVITÀ EDITORIALI

114 Io non ci sto! È DEL PRODUTTOR (DI VINO) ANCORA IL FIN LA MERAVIGLIA?

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Un bicchiere di vino,

poca carne e molta verdura

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Anni fa, quando portai a iscrivere mio figlio agli scout, fui sorpreso da quanto mi disse il capogrup-po a proposito di una delle iniziative in programma. Si chiamava “Le Parole Maestre”, erano lefrasi caratteristiche pronunciate dai personaggi chiave del Libro della Giungla, richiamate duran-

te le attività per trasmettere ai bambini un particolare insegnamento. Queste frasi, mi fu spiegato, hannoun’importanza molto rilevante: dal momento che vengono proposte direttamente dai personaggi amatidai bambini, questi ultimi ne sono particolarmente attratti e affascinati, e (di conseguenza) le ricorda-no meglio. A quel lontano ricordo si ispira il titolo di questa nuova serie di interviste (questa volta “possibili”, dopoquelle “impossibili” a personaggi immaginari della storia che vi hanno accompagnato negli ultimi settenumeri). Sono dedicate ai pionieri e ai protagonisti della cultura, delle scienze, dello spettacolo, del gior-nalismo. Uomini e donne faro ai quali, in questi momenti di tempestoso cambiamento, occorre guarda-re con fiducia, per la saggia esperienza accumulata: mondi e idee in un bicchiere, come sintetizzato feli-cemente nel logo disegnato da Ro Marcenaro. Il primo dei nostri dialoghi è con il professor Umberto Veronesi, “medico di famiglia” di milioni di italia-ni (la sua rubrica su Oggi, dal 2001, è da sempre la più letta su quel settimanale), impegnato da oltremezzo secolo nella sfida al cancro ma anche disposto a calarsi con umiltà d’animo e semplicità diparole nei piccoli malanni della nostra vita quotidiana.

ECCO LA RICETTA PER VIVERE A LUNGO: A CONSIGLIARLA È IL PROFESSOR UMBERTO VERONESI, IL MEDICO IMPEGNATO DA OLTRE MEZZO SECOLO

NELLA LOTTA CONTRO IL CANCRO

di Salvatore Giannella

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Umberto Veronesi, nato a Milano nel 1925 da una famiglia contadina, laureatoin medicina nel 1952, sposato con una pediatra, sette figli, è chirurgo ericercatore, ex ministro della Sanità e attualmente senatore Pd, uomo di scienzae di cultura, noto nel mondo per aver introdotto la chirurgia conservativa neltumore al seno che risparmia alla donna l’asportazione totale della mammella. ■ Creatore del movimento Europa contro il cancro, ha dato grande impulsomondiale alla ricerca: è stato direttore scientifico dell’Istituto nazionale dei tumoridi Milano e, alla scadenza del mandato, ha fondato l’Istituto europeo di oncologia. ■ La sua sfida al cancro è raccontata nei libri Un male curabile, Colloqui con unmedico, Da bambino avevo un sogno (Mondadori), L’ombra e la luce (Einaudi),e, da Sperling & Kupfer, Una carezza per guarire e Le donne vogliono sapere. Da segnalare ancheEssere laico (Bompiani).■ E’ vegetariano per motivi etici, ama la poesia, le moto e il cioccolato.

UMBERTO VERONESI, MEDICO, MINISTRO E SCRITTORE

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GIANNELLA - “Il vino fa buon sangue”, dicevano i nostri nonni. O anche:"Un bicchiere al giorno toglie il medico di torno". Professor Veronesi, lericerche degli scienziati con strumenti sofisticati nei laboratori modernistanno dando loro ragione?VERONESI - “Sì, perché rispetto alle altre bevande alcoliche, il vino sem-bra avere un effetto protettivo contro i tumori. Questo effetto pare siadovuto al resveratrolo, una molecola presente in dosi significative nel vinorosso, un po’ meno nei vini bianchi. Questa molecola, in studi di labora-torio, ha dimostrato la capacità di inibire i processi tumorali. Al momen-to comunque i dati scientifici sono stati ottenuti soltanto su modelli ani-mali e non c’è evidenza diretta e conclusiva di un effetto protettivo sul-l’uomo.La ricerca, inoltre, sta verificando recenti dati sperimentali che dimostre-rebbero questo: bere alcool in dosi moderate (corrispondenti a uno o almassimo due bicchieri di vino al giorno) riduce i rischi di infarto accre-

scendo la quantità di colesterolo buono (Hdl, sigla cheindica High Density Lipoproteins, lipoproteine ad altadensità), ma non toccando, però, i livelli del coleste-rolo totale. Non si deve comunque dimenticare che,viceversa, un eccesso di consumo di alcool, che sia omeno sotto forma di vino rosso, è nefasta sia per quan-to riguarda il rischio di malattie cardiovascolari cheper lo sviluppo del cancro, senza contare che quest’abi-tudine provoca una serie di problemi sociali gravi”.

GIANNELLA - A proposito di resveratrolo: ho sentito par-lare di tanto propagandate pillole della lunga vita abase di questa molecola antiossidante contenuta neisemi dell’uva. A parte il fatto che io preferirei mangia-re un bel grappolo a fine pasto, una curiosità: quantovalgono effettivamente queste “pillole di vino”? VERONESI - “Finora le pillole di resveratrolo non hannoprodotto gli effetti desiderati”.

GIANNELLA - Ormai ci stiamo abituando alle stragidel sabato sera, sono cronaca quotidiana gli incidentistradali causati dal cocktail assassino “alta velocità +livello alto di tasso alcolico”. E nella stragrande mag-gioranza a perdere la vita dopo una notte spensieratain discoteca sono giovani, maschi tra i 25 e i 29 anni.C’è chi fa ricorso alle droghe, ma molti bevono trop-po, e l’età di chi alza il gomito si abbassa sempre dipiù. E non attecchisce da noi il trucco salvavita delmondo nordeuropeo dell’autista astemio o astemio soloper quella sera. Lei, come medico e come padre, che

cosa direbbe a questi giovani per condurli a un “bere consapevole”?VERONESI - “Io credo che famiglia e società dovrebbero concentrare la loroattenzione e i loro sforzi sul perché i giovani non bevono per convivialitào per avere uno stimolo piacevole all’allegria, ma per perdere il contattocon la realtà. Poco importa, a loro giovani, se cadranno in futuro in unadipendenza. L’importante è fuggire da tutto, adesso e il più in fretta pos-sibile. È chiaro che una legge più restrittiva sul consumo di alcool nonpuò sanare questo disagio profondo. Per questo contro le dipendenze civogliono politiche educative (e quindi la scuola) centrate sullo sviluppodella cultura dello sport, del teatro, del cinema, dell’arte e di tutte quelleattività che creano nei ragazzi le condizioni naturali per una motivazionealla vita e alla creatività che contrastino l’uso di sostanze alcoliche e stu-pefacenti”.

GIANNELLA - Lei da sempre raccomanda che la prevenzione e l’informa-zione sono le armi più potenti che abbiamo nelle nostre mani. Il suo idea-

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le è un cittadino “bene informato”, consapevole non solo del proprio dirit-to alla salute, ma anche del proprio ruolo di soggetto attivo nel “fare salu-te”, assumendo un’attenzione quotidiana sui fronti a rischio, specie quel-lo alimentare. Se dovesse sintetizzare in poche righe il messaggio ai citta-dini, quali parole o cifre userebbe? VERONESI - “La prevenzione e la tutela della salute è oggi più che mairesponsabilità di ciascuno di noi, perché dipende proprio da gesti quoti-diani, come alimentarsi. E la prima prevenzione per molte malattie avvie-ne a tavola, perché l’alimentazione è il più grande determinante della salu-te, il caposaldo della prevenzione del cancro e delle malattie più gravi delmondo occidentale. Se poi consideriamo che il 30 per cento dei casi dicancro è legato all’alimentazione, mentre l’aria inquinata incide solo nel3 per cento dei casi e i fattori ereditari nel 5 per cento, mangiare con buonsenso non è affatto secondario. Dobbiamo recuperare quella coscienzache per millenni è stata alla base della medicina tradizionale e che oggi èandata perduta: la coscienza del valore terapeutico dell’alimentazione”.

GIANNELLA - Un recupero molto difficile per chi, nelle metropoli, è costret-to ogni giorno a rifocillarsi con un piatto veloce. E allora, che cosa met-tere nel piatto? Elenchiamo i principali tra i cibi dannosi e, dall’altra parte,quelli virtuosi e protettivi.VERONESI - “Occorre moderare il consumo di carne (in particolare carnirosse bovine, ovine e suine e salumi) ed evitare gli alimenti ricchi digrassi di origine animale (burro, lardo, strutto, margarine, ecc.). Il gras-so animale, infatti, veicola facilmente i residui di pesticidi, erbicidi, fun-gicidi che si usano in agricoltura, il fall-out radioattivo, il benzopirene cheemana dalle città inquinate. Inoltre anche il modo di trattare la carne puòessere importante: per esempio, se sottoposta a elevatissime temperatu-re, può denaturarsi e produrre idrocarburi cancerogeni. Occorre poi, oltrea moderare il consumo di alcool, evitare i cibi molto salati, affumicati o in

salamoia. Ma soprattutto occorre mangia-re poco: quando ingeriamo una quantitàeccessiva di calorie, sotto forma di protei-ne, grassi e zuccheri, queste vengono con-vertite in molecole di trigliceridi e accumu-late nel tessuto adiposo come depositi diriserva. Ed è proprio nel grasso corporeoche più facilmente si accumulano lesostanze dannose presenti nell’ambiente.Da queste ci proteggono invece frutta e ver-dura: questi alimenti, poverissimi di gras-si e ricchi di fibre, agevolando il transitodel cibo ingerito riducono il tempo di con-tatto con la parete intestinale degli even-tuali agenti tossici presenti nella dieta quo-tidiana. Inoltre frutta e verdura, meglio sedi stagione, sono scrigni di preziose sostan-ze che consentono di neutralizzare gli agen-ti cancerogeni, di “diluirne” la formazionee di ridurre la proliferazione delle cellulemalate. Faccio qualche esempio: una

sostanza presente in una classe di vegetali, le crucifere (cioè cavolfiori,broccoli, cavoli, verze e cavolini di Bruxelles, ma anche rape, rapanelli erucola) ha dimostrato un’evidente funzione protettiva anti-cancro. Alcunivegetali, come la soia, sono ricchi di fitoestrogeni (sostanze simili agli ormo-ni femminili) e per questo possono svolgere un ruolo di regolazione di even-tuali influenze ormonali sullo sviluppo dei tumori. Il licopene, che è il pig-mento responsabile del colore rosso del pomodoro, svolge un’azione pro-tettiva nei confronti del tumore della prostata. Le componenti principalidegli agrumi, i polifenoli e i terpeni, sono stati identificati come molecoledotate della capacità di interferire con i processi responsabili dello svilup-

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po del cancro e di incrementare il potenziale antitumorale di altre sostan-ze fitochimiche presenti negli alimenti”.

GIANNELLA - Insomma, meno mangio più vivo...VERONESI - “Non ci sono dubbi che un’alimentazione povera di carne ericca di vegetali sia più adatta a mantenerci in salute. Frutta e verdura,oltre a contaminarci molto meno degli altri alimenti, contengono princìpiattivi (flavonoidi e polifenoli) che, combinati assieme, agiscono come poten-ti antiossidanti e proteggono l’organismo dai radicali liberi, aiutandolo adifendersi da processi infiammatori, allergici, virali e tumorali. Ripetoanche che la miglior difesa è comunque l’abitudine a mangiare poco. Noimangiamo per conservare la vita e il nostro organismo preleva caloriedai depositi di grasso, che vengono prudentemente immagazzinati quan-do ci si nutre. La salute sta nel mantenere in equilibrio questo processodi entrate e uscite. Basta per esempio alzarsi da tavola sempre con un po’di appetito”.

GIANNELLA - Albert Einstein era vegetariano, e così tanti altri nomi illu-stri. Anche lei è un convinto assertore della bontà di un’alimentazionevegetariana e, nel suo ruolo di senatore, intende promuovere la culturavegetariana in Italia. Su quali basi poggia questa sua solida convinzio-ne?VERONESI - “Il mio intento è quello di promuovere la cultura vegetarianacome una libera scelta ispirata dal rispetto per la vita e dalla solidarietàverso gli esseri viventi. Abbiamo raggiunto un livello di benessere per cuii nostri stili di vita vanno oltre la tutela della salute individuale, per avereun’influenza anche sull’inquinamento ambientale, sul rispetto degli ani-

mali e della loro sofferenza, sulla fame e le epi-demie di alcune popolazioni, sulla scarsitàdi acqua e di energia. Per contrastare lo squi-librio assurdo per il quale decine di migliaiadi esseri umani poveri muoiono ogni giornoper mancanza di cibo e allo stesso tempo quasialtrettanti muoiono per eccesso di cibo, biso-gna agire non solo a livello politico ed econo-mico mondiale, ma anche sul comportamen-to alimentare dei singoli e delle famiglie, perarrivare a condividere, oltre che una scien-za, un’etica della nutrizione. Oggi abbiamosufficienti dati per confermare che ridurre ilconsumo di carne nel mondo occidentale puòcontribuire a ridurre la scarsità di cibo e diacqua nei Paesi più poveri. Perché in realtà iprodotti agricoli sarebbero sufficienti a sfa-mare tutti se non fossero in gran parte uti-lizzati per alimentare gli animali da allevamen-to, perché i terreni destinati al pascolo potreb-bero essere coltivati e dare più alimenti, per-

ché per produrre un chilo di carne occorrono 20.000 litri d’acqua. Un gra-duale aumento della cultura del ‘mangiare vegetale’ appare quindi la con-dizione necessaria per porre fine a questa tragedia, oltre a essere un’ot-tima soluzione per mantenere in salute e ridurre i rischi di chi ha il pro-blema opposto: un eccesso di cibo che può far ammalare fino a uccidere”.

GIANNELLA - Lei, professor Veronesi, a 83 anni è l’immagine di una buonasalute. A quali allenamenti sottopone il suo corpo e la sua mente? E’vero che un suo grande sostegno è il cioccolato? Quando e quanto ne pren-de? E il caffè, con la sua teobromina, lo consiglia o no?VERONESI - “A causa dei ritmi del mio lavoro, ho sviluppato l’abitudine asaltare il pranzo: durante la giornata prendo un paio di caffè, che aiuta-no la concentrazione e attenuano la stanchezza, e alla sera mi concedo

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un pasto gradevole in compagnia. Questo regime mi permette di restarelucido e non appesantito fino a sera. È vero, sono golosissimo di ciocco-lato, anzi, direi che sono un vero e proprio estimatore, senza contare cheil cioccolato fondente contiene quantità importanti di polifenoli in gradodi prevenire le malattie croniche come il cancro e i disturbi cardiocirco-latori. Mi impegno a tenere sempre in esercizio la mente con progetti, idee,ricerche, studi e anche, più banalmente, con i giochi di intelligenza. Inoltrecerco sempre di coltivare una grande curiosità, che anima le passioni intel-lettuali e spinge a non smettere mai di cercare nuovi stimoli. Per questoamo la lettura, la musica, il cinema, il teatro e l’arte. Il mio obiettivo èquello di mantenere nella quotidianità un equilibrio fra entusiasmo delcuore e scetticismo della ragione, senza mai cadere nel pessimismo”.

GIANNELLA - Sta avanzando una scienza dal nome difficile, nutrigenomi-ca. Di che si occupa? E che cosa cambierà?VERONESI - “La nutrigenomica è una nuova disciplina, nata dalla rivolu-zione del Dna, che si occupa della relazione fra cibo e geni individuali, cioèdi comprendere come ciascuno di noi reagisce agli alimenti che consu-miamo e come questi influenzano la comparsa di determinate malattie. Sitratta in fondo di spiegare perché certi alimenti sono più dannosi per unindividuo e innocui per altri, e viceversa perché altri proteggono la salu-te di qualcuno ma sono inefficaci per altri. Sappiamo che la risposta è neigeni, meglio, nella loro interazione con le sostanze che introduciamo nelnostro organismo. Negli ultimi anni abbiamo scoperto, per esempio, chealcuni geni coinvolti nella regolazione di processi vitali della cellula si atti-vano o si disattivano al variare delle calorie che assumiamo o alla presen-za o meno di determinate sostanze nella nostra dieta. L’alimentazionesarebbe dunque uno dei fattori in grado di regolare “l’espressione del geno-ma”, cioè di influire su come alcuni fra i circa 35.000 geni che si trovanonel nostro Dna vengono attivati per fare in modo che la cellula esegua lefunzioni vitali. L’obiettivo di questo complesso studio è arrivare a consi-gliare una dieta personalizzata per prevenire il tumore, ma anche utiliz-zare diete arricchite in determinate sostanze come nuovo approccio tera-peutico”.

GIANNELLA - La mortalità per cancro diminuisce dal ’94. Ma quando credeche quella malattia sarà definitivamente sradicata? VERONESI - “Questa è la domanda che più di frequente mi viene posta. Nonè possibile naturalmente fornire un tempo preciso, una scadenza esatta,perché la ricerca scientifica, in biomedicina, così come nelle altre disci-pline, vive in primo luogo di metodo e di princìpi, ma anche di intuizioni,di casualità, di fughe in avanti e di battute d’arresto. Possiamo peròoffrire alla gente delle prospettive e degli orizzonti, sulla base dell’espe-rienza e della conoscenza disponibile, possiamo dare delle speranze o alcontrario sfatare certe forme di illusione e possiamo aiutare a capire ilpercorso della ricerca scientifica. Detto questo, sì, penso che sconfiggere-mo il cancro. È ragionevole pensare che fra una decina d’anni, forse meno,e con l’aiuto delle conoscenze sul Dna umano e le nuove tecnologie ingrado di studiarlo, riusciremo ad avere un controllo più esteso della malat-tia tumorale. Al tempo stesso, però, possiamo fin d’ora iniziare ad ado-perare le conoscenze che progressivamente acquisiamo per fini pratici:sulla base di conoscenze parziali, anche se approfondite, si può già ridur-re il peso della malattia.Il cancro oggi sempre più spesso non è più ritenuto, come fino a pochidecenni fa, un ‘male oscuro’, una maledizione che colpisce alla cieca e chenon si può nemmeno nominare, ma piuttosto una malattia su cui la ricer-ca sta ottenendo risultati sempre più importanti, una malattia che in molticasi si può curare e soprattutto si può prevenire. Ricordiamoci che il futu-ro della lotta al cancro è in mano non solo alla ricerca, ma anche alla poli-tica di sanità pubblica e soprattutto ai cittadini, perché nella prevenzio-ne conta soprattutto la responsabilità individuale”.

MONDI E IDEE IN UN BICCHIERE

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C’è chi dice no

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AL BERE DISSENNATO, AL VINO TRASCURATO

E ALLA QUALITÀ SOTTO I TACCHI. STORIE DI TUTTI I GIORNI, ATTRAVERSO L’UNIVERSO GIOVANE. ESEMPI POSITIVI E NEGATIVI, DA STUDIARE

di Roberto Piccinelli

Folgorato sulla via di Damasco. Non può che ini-ziare così la storia di Luca Olivan, attuale tito-lare delle Osterie Moderne di Campodarsego (Pd).

Ex discotecaro nell’anima, ex proprietario di un nego-zio di abbigliamento trendy-dance in quel di Vicenza edex patron di una trasmissione Tv (Crazy Dance), total-mente votata al settore. Dopo i primi, movimentati annidi vita, ha improvvisamente svoltato. Ha ricominciato astudiare, per finire l’università. Ha dato vita ad un loca-le tutto suo. Ha iniziato ad appassionarsi di vini, spu-manti e Champagne, fino a diventarne un paladino. Alpunto di farsi promotore di eventi quali “I loveAmarone”, “Opus One sfida Sassicaia, Ornellaia,Tignanello” e “L’Esprit du Champagne. The Party!“,cena a buffet e degustazione di 50 etichette. Certo, l’amo-re per la musica è rimasto e nel suo grande ed allegroristo-disco con giardino, musica mixata e live non man-cano mai. Ma questo è un bene, perché riuscire a pro-porre divertimento, food & beverage di qualità, a prez-zi calmierati è senz’altro da considerare un pregio nonda poco. Per di più, in un momento in cui impazzanogli “show-window”, locali-vetrina dove non è tanto impor-tante ciò che si mangia o beve, ma l’atmosfera che sirespira. Forse non ci crederete, eppure tante, troppevolte abbiamo notato clienti andar via contenti da luo-ghi à la page, pur avendo mangiato male, poco e, per-fino, essendo stati serviti peggio. Veder sborsare con ilsorriso sulle labbra fino a 100 Euro, per cene che nonvarrebbero nemmeno la metà, permette però di pren-dere coscienza di un nuovo fenomeno in atto, la “vetri-nizzazione della società”. La vetrina, al cui interno sicollocano gli attori della rappresentazione, merci o per-sone che siano, ha spinto fino all’estrema conseguen-za la sua funzione comunicativa di rappresentazionespettacolare, diventando peraltro protagonista di unfenomeno che affonda le sue radici addirittura a caval-lo fra la prima e la seconda Rivoluzione Industriale. E,acquisendo un valore crescente mano a mano che anda-vano in porto i passaggi epocali dalle botteghe ai nego-zi, dalle gallerie commerciali ai grandi magazzini. Ora, tre secoli dopo, la vetrina deve essere interpreta-

ta come messa in scena del prodotto, ma anche come ilpunto di partenza per un’estensione della sua area dicompetenza ad altre tipologie di luoghi, i locali pubbli-ci. Basti pensare, oltretutto, a quante strutture hannodeciso di rendere totalmente trasparenti le pareti ester-ne, puntando a farsi ammirare da chi passa per la stra-da. Certo, il giochino funziona solo per chi è effettiva-mente capace di riempire gli spazi interni… Ma questaè tutta un’altra storia, di cui non tutti gli imprenditoripaiono tener conto. In ogni caso, il fine della frequen-tazione di questi locali non è il solo guardare, ma anchee soprattutto l’essere visti. Eh sì, perché essere scortida uno o più amici, pronti a testimoniare urbi et orbi,che si era al posto giusto nel momento giusto vale piùdi qualsiasi altra cosa al mondo. Perché giova alla pro-pria immagine, termine sacro della società odierna. Perfortuna, ci sono discoteche à la page come La Cabala(Roma), Marina Club (Jesolo-Ve) e Le Mirage (MonteSan Savino-Ar), che si sforzano di equilibrare gli ele-menti. Con un ristorante sottostante, supervisionato daGualtiero Marchesi, la prima, con una sommelier ben

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preparata, la seconda e con una carta dei vini moltobasica, ma intrigante, la terza. Anche se ciò che ci fadavvero ben sperare in un vero sviluppo qualitativo sonole nuove tipologie del loisir. Tipo il Maison et Jardin di Monticello Brianza (Lc), deli-ziosa villa dell’Ottocento trasformata da una donna digran gusto, Yasmina Bonaiti, in un magico concept-store di matrice arredamentale, avente a cuore tanto ilgiardino quanto gli interni. Entrambi virati sul fascino-so tout court, ma soprattutto debitamente affiancati daun bar, Spoleto Cafè, ovviamente votato alle bontàumbre. E’ Mattia, figlio di Jasmine, ad occuparsene eda puntare forte sul ciauscolo, per un verso e sui vinidell’Azienda Agricola Perticaia, per un altro. Ed è bellotrovare un ragazzo giovane che crede in prodotti benprecisi, senza lasciarsi andare alla classica filosofia dello“spara nel mucchio, per non sbagliare”… I Sagrantino,Passito e Rosso targati Montefalco, ma anche l’UmbriaRosso ed il Trebbiano Spoletino assaggiati in occasionedell’ultimo aperitivo qualitativo con i fiori, etichettato“Fleurs du Charme”, sono risultati piacevoli al palato.Ed esaltati da un’atmosfera che ha strizzato l’occhio allafamosa raccolta poetica di Charles Baudelaire, per pre-dicare l’esatto contrario... Quasi a volersi avvicinareall’“Innamoramento e Amore” di Francesco Alberoni,condito di un sano realismo. A proposito di giovani e di proposte decise, ci fa piace-re elogiare anche Mirko Di Paoloantonio che, al risto-rante Don Beta di Volterra (Pi), non solo fa scalpore con

carni di canguro, zebra, cammello e antilope, ma anchecon la proposta dei vini locali, fino ad ora molto pococonsiderati. Ci sono voluti due professionisti comeCarmen Vieytes e Gottfried E. Schmitt per lanciareprodotti by Tenuta Monte Rosola, quali “Corpo Notte”,“Canto della Civetta” e “Crescendo”…

■■■ RACCONTI DI VITA VISSUTA

Di sorpresa in sorpresa, passiamo all’Etablì di Roma,wine bar di stampo piacevolmente salottiero, a due passida piazza Navona, in grado di barcamenarsi fra spraz-zi vintage e gusto provenzale, sgabelli ferrosi e soffittia rastrelliera lignea, pavimenti listellati e lampadarisimil-candelabri, spazi sfalsati e pubblico à la page,sedute anticate e bancone squadrato. Locale assoluta-mente gradevole, quindi. Eppure, colto in fallo. Passi ilfatto che il Sirah ordinato all’ora dell’aperitivo sia statoservito in un bicchiere non idoneo ad un vino rosso esponsorizzato in maniera non pertinente. Passi, perfi-no, che per 6 euro di spesa (decisamente troppo per l’eti-chetta servita e per il fatto che ci si sia accomodati albancone, senza chiedere un tavolo) non sia previstanemmeno una bruschetta, ma non è possibile che il bar-man mi piazzi accanto una ciotola di noccioline stileAnni Settanta. Avessi chiesto un “Americano”, almeno…Sulla stessa scia, incredibile a dirsi (deve essere un’epi-demia!), anche il bar del Four Seasons Hotel di Milano.Dove qualità, atmosfera e relax sono al top. Senza

▲ Gli interni e il cortile del ''Maison & Jardin''

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Don Beta Via Matteotti 39, Volterra (PI). Tel. 0588/86730Etablì Vicolo delle Vacche 9, Roma . Tel. 06/6871499; 06/97616694Four Seasons Via Gesù 6/8, Milano. Tel. 02/77088La Cabala Via dei Soldati 25/c, Roma. Tel. 06/68301192Le Mirage Loc. Ponte Esse-Verteghe, Monte San Savino (AR). Tel. 0575/810215Maison et Jardin Via Cadorna 18, Loc. Torrevilla, Monticello Brianza (LC) Tel. 039/9275106Marina Club Via Roma Destra 120/b, Lido di Jesolo (VE). Tel. 0421/370645Osterie Moderne Via Bassa II 18, loc. S. Andrea, Campodarsego (PD). Tel. 049/5565236

Gli indirizzi

orde di cavallette all’assalto di buffet stomachevoli edanti-igienici, ma anche bevande di scarsa qualità, tantonei cocktail quanto nei vini. Ovvio, che io lo frequentispesso, quindi. Ultimamente, ci sono stato con l’amicaVeronica Maya, conduttrice di RaiUno, che non vede-vo da un po’. E con la quale avevo piacere di chiac-chierare del più e del meno, in santa pace. Ore 20.00:lei ordina una cioccolata (8,50 Euro) e, giustamente,le portano alcuni pasticcini di contorno. Io ordino unaflute di Champagne Philipponnat Brut Royale Reserve,che reca seco un prezzo un tantino esagerato, 23,00Euro. Basterà dire che il costo di un’intera bottiglia, inenoteca, oscilla fra i 33,00 ed i 50,00 euro, per capirel’antifona. Ma il punto non è questo, perché la cifra ècorrettamente riportata sulla carta, pur se non corre-data dell’annata. Il fatto è che al sottoscritto hanno por-tato solo il classico ed anonimo trittico di noccioline,mandorle ed affini, senza il consueto marchio di fabbri-ca della casa, foglie di alloro ed olive ascolane fritte.Ideali, per accompagnare una cuvèe dotata, al palato,di un buon crescendo aromatico. Diamo per scontatoche la colpevole dimenticanza sia stata cagionata dallavista dei magnifici occhi chiari di Veronica, che devonosenz’altro avere stregato il cameriere. Resta il fatto che ioho dovuto fare buon viso a cattiva sorte e bere a stoma-co totalmente vuoto. Perché le noccioline, come già scrit-to, le lascio volentieri agli appassionati dell’“Americano”.In compenso, avviandoci verso l’uscita, il bravo piani-sta ha azzeccato, come per incanto, la canzone prefe-rita dalla mia splendida amica, “As Time Goes By”, hitdel film Casablanca… Sì, suonala ancora Sam, ma nonfar più portare le noccioline con lo Champagne. E seproprio non puoi, fai in modo che non si dimentichinodel resto. Grazie.

■■■ IMPORTAZIONI SCONSIGLIATE

Dalle situazioni da migliorare alle usanze da non copia-re il passo è lungo e doloroso. Purtroppo. Perché ilfatto che gruppi di studenti italiani abbiano importatodalla Spagna l’esecrabile Botellon, fino al punto di orga-nizzarne un tour attraverso le città universitarie, èdavvero una bestialità. Da combattere e condannare perla loro salute. Tanto per essere chiari, il cosiddetto “movi-mento del botellón” è originariamente rappresentatoda gruppi di ragazzini che si aggirano per le strade, dinotte, scolando fiumi di birra, acquistata a poco prezzonei supermercati e miscelata in un grande contenitore

di vetro con tutto quanto di liquido capiti a tiro. Gin,vodka, rhum, tequila e quant’altro vi venga in mente,ma sempre di qualità infima. L’alternativa alla birra èun beverone altrettanto micidiale chiamato, a secondadei casi, calimocho (vino rosso di livello scadente e cola),kalitxurri (con vino bianco) o kaligorri (con rosé). Inseguito, vista l’internazionalizzazione del fenomeno, ènata una terza via, definita “free for all”, in cui si mischiapraticamente di tutto. Ebbene, io ho assaggiato questemisture malefiche per ben tre volte, a Madrid, Malta eVenezia: vi posso assicurare che solo ingurgitare unditale di quella roba fa scattare l’impulso di vomitare.E non sto scherzando: pensate all’incrocio fra il vino almetanolo ed una grappa adulterata, per averne un’idea…La scelta di chi partecipa al botellon è quella di beretanto, al punto di ubriacarsi in compagnia. Una delleforme di trasgressione del Nuovo Millennio. Ma se a moltidi noi, nella vita, è capitato di dover smaltire una sbor-nia, che gusto c’è a “bere schifoso”? Più volte, mi sonofermato a parlare con quei ragazzi, che ripetevano “ ilnostro è un divertimento a basso costo e un tentativo diconoscere tanta gente, all’aria aperta, senza costrizio-ni”. Più volte, ho suggerito loro un mare di altri modi diraggiungere quei traguardi, senza mettere a repentagliola salute con quegli intrugli. Più volte, ho regalato lorouna bottiglia di quello buono, stando attento che non lamischiassero con alcunché. Fatelo anche voi, ve ne prego,perché il problema è serio e dobbiamo tentarle tutte perfare in modo che non si propaghi ancor di più…

▲ Il Calimocho, vino rosso di livello scadente e cola. Da evitare!

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Bere

con

sa

pevole

Avolte basta poco per farsi nota-re. Metti la tastiera di un com-puter, lo schermo acceso sulla

pagina web di Facebook (il più famo-so social network di internet), l’ideagiusta e un argomento che da sem-pre divide l’opinione pubblica: l’abu-so di alcool e il codice della strada.Così è bastato veramente poco adAlberto Defilippi per diventare popo-lare tra i navigatori della rete e perfarsi ascoltare dalla politica (bloc-cando addirittura l’iter di un dise-gno di legge ed una vera e propriaingiustizia). Il giovane, nato e cre-sciuto sulle colline dell’OltrepòPavese, ha creato un gruppo didiscussione on-line (No al ritiropatente con tasso alcolico a 0,2%)capace di far ascoltare alle istituzio-ni la voce di 200.860 iscritti. Unavoce che fin da subito si è detta con-traria al disegno di legge che laCommissione Trasporti della Cameradei Deputati voleva inserire all’inter-no della finanziaria, ossia abbassa-re ulteriormente il tasso alcolicomassimo consentito per chi si metteal volante.Quando si parla di giovani e alcoolspesso si pensa ai terribili inciden-ti stradali. Il pensiero corre allasuperficialità di questi ragazzi che,

annebbiati dal troppo bere e a voltedal micidiale mix di droghe consuperalcolici, si comporta in manie-ra così irresponsabile da essere unpericolo per se stessi e per gli altri.Ed è stato proprio Defilippi che congrande forza ed abilità è riuscito inpoco tempo a creare una vera e pro-pria protesta di popolo, costruttivae di grande impatto mediatico.L’obbiettivo? Difendere uno dei vantidel nostro Paese: il settore vitivini-colo.“Questa iniziativa - spiega AlbertoDefilippi - è nata il 15 dicembre2008, giorno in cui il Presidente dellaCommissione Trasporti della Cameradei Deputati, Mario Valducci, haannunciato la proposta di legge, con-divisa da Pd e Pdl, per abbassare iltasso alcolico massimo consentitonel sangue degli automobilisti a0.2%, contro lo 0,5% attuale”.Alberto Defilippi, iscritto alla facol-tà di Giurisprudenza con un diplo-ma di perito agrario e una passioneper la vite e il vino coltivata fin dabambino anche grazie al nonno cheè imprenditore vitivinicolo, ha volu-to unire con i suoi studi due passio-ni, quella per la politica e quella del-l’amore per i vitigni, decidendo cosìdi rimanere nel mondo agricolo col-

La battaglia corre

su

E’ QUELLA VINTA

DA ALBERTO DEFILIPPI

CONTRO LA PROPOSTA

DI ABBASSARE

IL TASSO ALCOLEMICO

CONSENTITO

NEL SANGUE

DEGLI AUTOMOBILISTI:DUECENTOMILA VOCI

HANNO CONDOTTO

UNA PROTESTA CIVILE

IN NOME

DELLA CULTURA

E DEL BERE

RESPONSABILE

di Carla Bruni

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laborando con alcune aziende dellasua zona.“Da amante della cultura del buon‘bicchiere’ - dice Defilippi - ho tro-vato assurda e non produttiva que-sta proposta di legge. Ho deciso dimuovermi tempestivamente, vistoche vengo da una zona che vanta unimportante fatturato economico gra-zie proprio alla produzione di vini-cola. Credo molto nella sicurezzastradale, ma non trovo giusto puni-re chi ha bevuto due bicchieri di vinoo una birra ed è in perfette condi-zioni per guidare. Sono convinto -continua il ragazzo - come diconoalcuni esperti che bisognerebbe fareun test di riflessi più che di tassoalcolico”. Citiamo l’intervista alla Stampa,ripresa anche dal gruppo “No al riti-ro patente con tasso alcolico a0.2%”, del dottore Augusto Consoli:“Ogni organismo ha la sua rispo-sta all’assunzione dell’alcool.Dipende dal metabolismo di ciascu-no, oltre che dal tempo che passa

dall’assunzione al controllo dellapolizia. In teoria basta un residuodi vino in bocca, quello dell’ultimosorso prima di salutare gli amici alristorante, per portare l’etilometrooltre il limite concesso prima del riti-ro della patente. Un esame di rifles-si, invece, fornirebbe un’analisi piùcompleta e complessa: alcool, oppia-cei ed altro”.Sempre secondo Alberto Defilippi:“Il ‘proibizionismo’ può portare a unpericoloso effetto boomerang, moltigiovani potrebbero essere quasi legit-timati a esagerare, questo è il modoper non responsabilizzare i ragazzi,ma per fare pura repressione.Bisognerebbe educarli al ‘bereresponsabile’ più che punirli e basta,spesso sono quei miscugli nei cock-tail che non fanno bene, meglio inse-gnare a sorseggiare del ‘buon vino’,che oltre ad avere effetti positivi sullasalute bevuto in piccole quantità, èuno dei valori aggiunti della nostracultura enogastronomia, che con lesue tipicità è il fiore all’occhiellodell’Italia”. E poi ancora: “Pensiamose entrasse in vigore una legge diquesto tipo, quali problemi potreb-be creare a categorie come i risto-ranti, le cantine o ai sommeliers, chea causa del loro lavoro potrebberoessere i principali bersagli al ritirodella patente. E’ per questa mia pas-sione che va dal vino alla politica,alla società che ho pensato di usareuno strumento così giovane e dimassa come internet, in particola-re Facebook, per creare questo grup-po di discussione”. In pochissimigiorni sono stati raggiunti i 60.000membri e quindi “abbiamo iniziatoa farci notare anche dal mondo‘irraggiungibile’ della politica nazio-nale”. “Grazie a questa mobilitazione ‘dimassa’ - continua Defilippi - e all’aiu-to di alcuni sindacati e del deputa-to della Lega Nord Matteo Salvini,che fin da subito ha appoggiato lanostra causa interessandosene diret-tamente come componente dellaCommissione Trasporti della Cameradei Deputati, è stato possibile un mioincontro con l’onorevole Valducci.Fortunatamente ha compreso i rifles-si negativi che una simile normaproibizionista avrebbe avuto su zoneche vivono di vitivinicoltura. Questoera il mio obiettivo, sensibilizzare

▲ Alberto Defilippi, promotore dell'iniziativa

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l’opinione pubblica e allontanare ipericoli del bieco proibizionismo”. Ma non è tutto. La battaglia controlo 0,2% (così è stata ribattezzata dai200 mila iscritti di Facebook) è statavinta da un giovane che evidente-mente ama “bere responsabilmen-te”. Continua Defilippi: “Ammettoche per me è stata una grande sod-disfazione personale, in pochissimotempo dall’anonimato totale, poli-tici e carta stampata hanno inizia-to a contattarmi, ancora adesso fac-cio fatica a crederci. Nel mio grup-po di discussione abbiamo apertovari forum gestiti da giovani spessodi età intorno ai 30, in cui si discu-te in maniera propositiva dell’argo-mento. Qualcuno scrive che lo Statosta diventando intollerante, ma nonserve, i controlli andrebbero fattisoprattutto per chi frequenta luoghicome le discoteche; c’è chi proponeanche il ritiro del libretto di lavoroagli ‘ubriachi’, chi pensa che alla finechi ci va di mezzo è solo ‘lo sfortu-nato di turno’ uscito con gli amicie non colui che a fine serata tra-volge innocenti sulle strade. Molticomponenti del gruppo si lamenta-no dalla scarsa informazione e deiservizi che vanno in onda nei nostriTg, considerati da molti strumenta-

lizzati sia dalla politica sia da molteassociazioni”.Mille idee messe in rete. Ognunolancia proposte per risolvere il pro-blema dello “stato di ebbrezza” allaguida: interessante è quella di orga-nizzare una rete di trasporti pub-blici notturni che aiutino i ragazziche “bevono” a tornare a casa sanie salvi. C’è chi vorrebbe l’aumentodei taxi di notte e soprattutto tarif-fe più basse come in tanti Paesi delmondo. Ad esempio Riccardo scri-ve: “In Italia, i taxi sono pochi e sifanno pagare come un Eurostar,forse era meglio liberalizzarli”.Opinioni vengono anche da italianiall’estero che raccontano l’esperien-za di Paesi dove hanno provato ilproibizionismo e poi, inevitabilmen-te, sono tornati sui loro passi e alvecchio limite di 0.5%.Un forum interessante che, tra com-menti in bacheca e idee lanciate inchat, mette in evidenza un mondodi giovani per nulla superficiali: oltrea tenere alla propria vita e a quelladegli altri si dimostrano interessatialle problematiche sociali.“Per il futuro - dice Defilippi - pensosia importante mantenere un ‘coor-dinamento’ attraverso il mio grup-po, per prevenire e cercare di met-

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tere un freno a spinte proibizioni-ste che potrebbero ripresentarsi neiprossimi anni. Gente di età, cultu-ra, professionalità e sensibilitàdiverse hanno capito l’importanzadi questa ‘battaglia’ ed è un fattonuovo nel nostro Paese.Bisognerebbe promuovere campa-gne per bere ‘bene’ e di qualità, noncome metodo per ‘sballarsi’ il saba-to sera, ma come fatto di cultura,di promozione di prodotti che ren-dono il nostro Paese unico e inimi-tabile”. Come dire che bisogna tra-smettere alle nuove generazioni l’im-portanza di questi valori, per evita-re la dispersione del tradizionalepatrimonio enogastronomico, cer-cando di evitare di dilapidare unacultura che ci appartiene senza chenessuno “gridi allo scandalo”.Conclude Defilippi: “Grazie anchea questa nostra iniziativa, laCommissione ha deciso di nonabbassare il tasso alcolico allo 0.2%.Tranne che per i giovanissimi neo-patentati che dai 18 ai 21 anni nonpotranno guidare dopo aver bevu-to: per loro il tasso alcolico massi-mo consentito nel sangue deve esse-re zero. Insomma mi aspetta un’al-tra lotta!”. Naturalmente on-line.

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La Gran Bretagna ha un problema serio. Beve troppo e, come tutticoloro che abusano di alcool, non lo vuole ammettere. Chiunqueabbia trascorso una serata a Londra o in un’altra città del Regno

Unito, si sarà reso conto dell’enorme quantità di bevande alcoliche con-sumate dagli inglesi. Nei pub, nei club o semplicemente per strada. Il fattore preoccupante è che la maggior parte di essi è costituita da gio-vani e addirittura adolescenti.Secondo le stime più recenti, in Gran Bretagna i giovanissimi ricoveratiin ospedale ogni anno per problemi legati all’abuso di alcool sono più didiecimila. Gli ultimi dati ci dicono che il 20% degli undicenni ha già spe-rimentato l’alcool, percentuale che sale al 54% per i tredicenni e all’81%per ragazzi di quindici anni. In totale sono più di un milione e mezzo i teenager britannici che bevo-no e la dose di alcool assunta pro-capite è aumentata, negli ultimi 17 anni,di più del 60%. Se chiedete ad un ragazzo inglese di 15 anni il motivo per il quale bevetanto alcool, vi risponderà che la considera una cosa normale, una fattonaturale. Per questo non c’è da meravigliarsi se in alcune zone dell’isolabritannica, in particolare nelle Midlands, il limite di età tra coloro che con-sumano alcool è sceso fino ai 10 anni scatenando una situazione di emer-genza sociale. E’ una questione di mancanza di cultura, di ignoranza socia-le e di declino istituzionale.Per troppo tempo diversi governi hanno ignorato il problema. Hanno cer-cato di mantenere buoni rapporti con le grandi compagnie del settore, le

La Gran Bretagna

corre ai ripari

OGNI ANNO

NEL REGNO UNITO

PIÙ DI DIECIMILA

ADOLESCENTI

VENGONO RICOVERATI

IN OSPEDALE

PER ABUSO DI ALCOOL: IL GOVERNO BROWN

STA CERCANDO

DI PORRE UN FRENO

AL FENOMENO

CHE HA COSTI SOCIALI

ELEVATISSIMI

di Stefano Tura *

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distillerie e i pub, offrendo loro una regolamentazione leggera. In cam-bio, si richiedeva un impegno per un minimo di auto-regolamentazione eresponsabilità. Che non è mai arrivato. Oggi il governo Brown sembra aver capito. Il Ministero della Salute ha cal-colato i costi economici del fenomeno alcool ed i suoi abusi: fra i 17 ed i25 miliardi di sterline all'anno. Un'enormità.Ecco quindi che l’esecutivo ha cambiato strategia ed ha iniziato ad urla-re a gran voce che “l'alcool (che in molti posti viene pubblicizzato e ven-duto in maniera irresponsabile) arreca un danno alla salute dei cittadinimolto maggiore di quanto si possa pensare".Di recente il governo britannico ha lanciato delle linee guida dirette aigenitori, agli educatori e ai ragazzi per tentare di porre un freno ad unfenomeno che spesso ha dei risvolti tragici. L’intento è quello di far capire ai cittadini che un’infanzia senza alcool èla scelta più sana per un bambino e responsabilizzare le famiglie affinchéneghino l’accesso all’alcool ai minori. Cinque i punti fondamentali della nuova strategia governativa:■ impedire ai giovani l’accesso all’alcool in famiglia, almeno fino all’etàdi 15 anni.■ permettere l’assunzione di alcool dai 15 ai 17 anni solo dietro strettocontrollo dei genitori o degli educatori e limitarne l’uso solo ad eventi spe-ciali come feste o compleanni. ■ mettere tutti a conoscenza degli effetti negativi dell’alcool sull’organi-smo dell’individuo sottolineando come, in età precoce, possa pregiudica-re il corretto sviluppo di organi fondamentali come cervello e fegato.■ istruire famiglie e genitori sulle risposte da dare alle eventuale richie-ste di alcool da parte dei figli. ■ favorire il ruolo di mediazione della famiglia tra istituzioni e giovani nellacomprensione dei principi della cultura britannica riguardo al consumodi alcolici, mettendone in risalto i pro e i contro. Ciò che però risulta difficile modificare è il concetto britannico del “drin-king”. Se nel resto d’Europa chi si ubriaca regolarmente viene guardatocon diffidenza e commiserazione, in Gran Bretagna la sbronza, a qualun-que età, è vista come qualcosa di “cool”.Nascite, matrimoni, funerali, venerdì e sabato sera, domenica pomerig-gio. Qualunque occasione e qualunque scusa sono buone per andare oltreil limite.La cronaca è piena di esempi negativi. Il 39% dei reati commessi in GranBretagna da giovani di età tra gli 11 e i 17 anni, è da ascrivere ad indivi-dui che abusano di alcool.Per correre ai ripari il ministero dell’interno ha varato da meno di un announa serie di norme che vanno dall’ introduzione di un codice obbligato-rio per i commercianti, riguardante la vendita di alcool agli under 18, aquella di un nuovo reato sempre per gli under 18 trovati ripetutamentein possesso di alcool in un posto pubblico, all’aumento della pena pecu-niaria per un adolescente che consumi bevande alcoliche in un luogo vie-tato (come la metropolitana), fino alla confisca delle bevande alcoliche pos-sedute dai teenager, insieme al dovere della polizia di riaccompagnare acasa il ragazzo nel caso in cui questo sia al di sotto dei 16 anni. Resta inoltre vietato vendere bevande alcoliche ai ragazzi al di sotto dei18 anni ma secondo la nuova legge la sanzione pecuniaria fino a 10.000sterline, scatterà per il negoziante dopo la seconda volta consecutiva incui è provata la vendita. E se il reato viene reiterato c’è la sospensionedella licenza per tre mesi. i costi economici e sociali del problema sono ormai sotto gli occhi ditutti. Il governo Brown sembra aver finalmente capito che la Gran Bretagnadeve ri-bilanciare la propria relazione speciale con l’alcool.Sapere bere prodotti di qualità e nella giusta misura è un dovere che isudditi di Sua Maestà devono imparare.

* Corrispondente Rai da Londra

▲ Gordon Brown. Il Primo Ministrobritannico sta attuando una politica per ridurre l'abuso di alcool

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Vinitaly,tutto il mondo

che amiamoAPPUNTAMENTO A VERONA, DAL 2 AL 6 APRILE, CON IL SALONE DEL VINO E DEI DISTILLATI

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“Il mondo che amiamo”. E’ questo il titolo dellaquarantatreesima edizione di “Vinitaly”, il salo-ne internazionale del vino e dei distillati in pro-

gramma a Verona, dal 2 al 6 aprile. E’ ormai tutto pron-to per la rassegna veneta, punto di riferimento inter-nazionale per buyers, produttori, enologi, ma anchesemplici appassionati e amanti – appunto – del mondoche ruota attorno al vino e non solo. “Il vino prima di tutto – come è sottolineato nel sito uffi-ciale della manifestazione (www.vinitaly.com) – ma anchela qualità, il territorio, l’ambiente e la sua tutela, gliuomini e le loro sfide, i borghi e la loro storia…”. Una manifestazione a 360 gradi, dunque, dove le occa-sioni di business si moltiplicano anno dopo anno anchegrazie alla lievitazione del numero degli espositori e delleaziende estere che decidono di partecipare alla fiera.Bastano i numeri per comprendere meglio la portatadell’evento: nel 2008 sono stati oltre 57 mila gli ope-

ratori, il 42% dei quali stranieri. Oltre 20 mila i buyerspresenti, su 43 mila presenze estere totali da 110 Paesi(con un incremento del 25% degli operatori stranieri).Arrivi massicci dai cinque continenti, insomma, conuna partecipazione boom di cinesi e in generale di asia-tici. Russia e nazioni dell’Est europeo in primo piano,ma anche dagli Stati Uniti, nonostante la riflessione delmercato americano, sono aumentati i visitatori.Un’edizione, quella del 2008, davvero positiva, che siè chiusa “con oltre 150 mila operatori complessivi –come ha sottolineato Luigi Castelletti, presidente diVeronafiere - dei quali più di 45.000 esteri, che rappre-sentano il 30% circa del totale, in aumento di quasi il15% rispetto all’edizione del 2007”.Si prospetta, quindi, una rassegna ancora più impor-tante e sempre più internazionale per il 2009. E pro-prio per andare incontro alle richieste degli espositori,quest’anno gli spazi sono stati ottimizzati e ulterior-

di Roberto Di Sanzo

L’AIS Associazione Italiana Sommeliers

Vi aspetta al

PADIGLIONE 7 – STAND 10

AISAssociazioneItalianaSommeliers

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mente ampliati, grazie anche al completo rifacimentodel padiglione 1, dotato di 2.000 metri quadrati di pan-nelli solari, che sarà inaugurato proprio in occasionedell’apertura della rassegna. Ad ogni edizione, Vinitaly potenzia poi la sinergia conSol, Agrifood, il Grappa Tasting ed Enolitech, che allar-gano la prospettiva del settore proponendo vino e olioextravergine di oliva abbinati a prodotti di qualità dellagastronomia, distillati di alta gamma.Gli strumenti a disposizione di Vintaly sono innume-revoli, a cominciare dalla rete di delegati di Veronafiere

nei più importanti Paesi del mondo. Altro fiore all’oc-chiello, il “Vinitaly World Tour”, da dieci anni attivo,percorso che sta fortemente aiutando l’internazionaliz-zazione delle aziende e del sistema agroalimentare Madein Italy. La prima tappa di un tour che toccherà anchela Russia, la Cina ed il Giappone è stata in Florida, negliStati Uniti. A febbraio le aziende e i buyers italiani hannopresentato i loro prodotti prima a Miami e poi a PalmBeach. Appuntamento davvero importante e molto riu-scito, con oltre mille presenze complessive tra operato-ri del settore e wine lovers al full day del 9 al Bitlmore

“Il Vinitaly è la risposta alla crisi”

Ecco il parere di Elena Amadini, Brand Manager di Vinitaly, con cui abbiamo scambiato alcune battute

La crisi che sta toccando tutti i settoridell’economia sembra, almeno per ilmomento, risparmiare il mondo delvino. Come si presenta l’edizione diquest’anno del Vinitaly?Malgrado la crisi economica stiatoccando da vicino tutti i settoridell’economia italiana, le aziendevitivinicole hanno risposto in manieramolto positiva e attualmenteabbiamo una lista d’attesa che nonriusciremo a soddisfare. Penso che ciòdipenda dal fatto che la realedifficoltà del mercato abbia impostoalle aziende di selezionareulteriormente gli appuntamenti cuipartecipare e Vinitaly, essendodiventata ormai fiera di riferimentonel panorama mondiale, ha avutosicuramente una posizioneprivilegiata: non è un caso che moltiespositori ad esempio, dovendoscegliere tra ProWein e Vinitalyabbiano optato per quest’ultima.D’altra parte anche l’altro parametrodi valutazione del successo dellanostra fiera ci rende molto orgogliosi:l’accredito degli operatori esteriquest’anno ha avuto un incrementodel 20%.

Qualcosa di particolare dasegnalare?Molte le novità di quest’anno apartire dal quartiere: larazionalizzazione degli spazi espositiviha prodotto una maggiore evidenza

delle regionalità nei singoli padiglionie la riorganizzazione di gallerie e vialiha permesso di realizzare un layoutbello e funzionale.Inoltre la costruzione del nuovoPadiglione 1, ospitante la RegioneEmilia Romagna ha portato a unulteriore ammodernamento delquartiere, in un ottica diottimizzazione dei consumi energeticiattraverso un sistema di pannelli solari.Alle novità strutturali si affianca unsignificativo potenziamento di tutte leiniziative commerciali, a partire dalBuyers Club, atte a favorire il piùpossibile i nostri espositori.

Come valutare il successo di VinitalyWorld Tour 2008 in vista dell’evento diVerona? Il successo raccolto in tutte le tappedal Vinitaly World Tour ci conferma lavalidità dell’azione di supporto allepiccole-medie aziende che voglianoapprocciare i mercati esteri, diversida nazione a nazione. Il recente successo della tappaamericana conferma che dobbiamocontinuare a essere presenti perproseguire nell’opera di formazione,educazione al consumo, promozioneculturale e di business, in modo dadare il nostro contributo alconsolidamento e all’incrementodella quota di mercato dei viniitaliani.

(E.L.)

▲ Elena Amadini

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Hotel, ai due eventi enogastronomici del 10 presso ilristorante “Gaia” con lo chef pluristellato GaetanoAscione e l’11 a Palm Beach. Un programma ricco e cheha consolidato ancora di più il legame tra Italia e StatiUniti in questo settore strategico: numerosi sono statii workshop per mettere in contatto le aziende con i prin-cipali importatori, esportatori e distributori del territo-rio (oltre 1.500 a Miami), retailer e ristoratori locali.Davvero apprezzate le degustazioni guidate e i semina-ri dedicati agli operatori sul “ruolo del vino italiano nel-l’industria della ristorazione in Florida” e su “come sce-gliere le strategie giuste in tempo di crisi”. Un succes-so probabilmente previsto dagli organizzatori, visto chela Florida rappresenta l’8% dell’intero mercato vinico-lo targato Usa, subito dopo – in un’ipotetica classifica– la California, con un tasso di crescita delle venditevertiginoso, addirittura del 60% in dieci anni. A Verona continueranno le iniziative che negli anni pas-sati hanno riscosso il consenso del pubblico. Come“Taste Italy”, proposta per la prima volta nel 2007, rivol-ta agli operatori stranieri con degustazione assistita.La conoscenza dei vini e la scheda aziendale permetteai buyers di contattare direttamente i produttori pres-so i loro stand nei giorni della manifestazione. E poiecco “Tasting Ex...Press”, una carrellata sulle miglioriproduzioni mondiali presentate dalle più autorevolitestate internazionali di settore. Sono invece i produt-tori a presentarsi direttamente ai giornalisti in “Tasteand Dream”, dedicato alle verticali d’eccellenza.Ma non è finita qui: con “Trendy Oggi, Big domain”,spazio completamente riservato ai vini e alle aziendeemergenti, una scelta ragionata in base al migliorrapporto tra qualità e prezzo. Festeggiamenti previsti il 4 aprile, quando sono in pro-gramma le celebrazioni per i 150 anni dell’impegno vini-colo di Gaja, una lunga e prestigiosa tradizione inizia-ta con la nascita della cantina nel 1859, a Barbaresco.“Non c’è modo migliore per festeggiare questa ricorren-za che a Vinitaly”, sottolinea Angelo Gaja. Ed ecco quin-di la degustazione guidata da Jancis Robinson, notawine writer britannica. Il ricavato della partecipazioneall’evento con la Robinson, che si annuncia ecceziona-le, sarà devoluto in beneficenza.Tra le manifestazioni collaterali particolarmente atte-se dagli appassionati non professionisti, “Vinitaly foryou” è quella più importante, con un suo spazio bendefinito all’interno di Vinitaly, ma “fuori” dalla mani-

festazione (dedicata agli operatori specializzati), in quan-to si svolge nel palazzo della Gran Guardia, nel centrostorico di Verona. Seminari, dibattiti e momenti di approfondimento saran-no dedicati per analizzare le numerose ricerche che ver-ranno presentate proprio nel corso della manifesta-zione. Un esempio? Le ultime tendenze del turismo eno-gastronomico in Italia, pubblicate nel Rapporto annua-le “Osservatorio sul turismo del vino” delle Città delVino, realizzato dal Censis Servizi Spa e presentato aBit 2009, la Borsa Internazionale del Turismo. Tra idati, emerge un elemento: la crescita del numero deglieno-appassionati – dai 4,5 ai 6 milioni – in giro perl’Italia, che scelgono di impiegare il tempo libero perviaggiare il più possibile, alla ricerca di emozioni nuovee slegate dal tradizionale tour verso il mare o la mon-tagna, ma finalizzato all’insegna del cosiddetto“wine&food”. Un trend che naturalmente fa felici glioperatori del settore, con un volume di affari che si atte-sta sui 2,5 miliardi di euro.

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L’Ais organizza una serie di degustazioni guidate che si svolgeranno durante la prossima edizione di Vinitaly. Gli eventi si terranno nella Sala D – 1° piano, padiglione 9. La quota di partecipazione è di ! 18 da versare presso lo Stand Ais – D10Padiglione 7. Le prenotazioni saranno accettatefino a disponibilità dei posti.Ricordiamo che lunedì 6 aprile i soci Ais in regola con la quotaassociativa 2009 entrerannogratuitamente in fiera dalla Porta San Zeno fino alle 12.30(presentare la tessera associativa).

Per informazioni ed [email protected]

■■■ Giovedì 2 aprile

Dieci vini che hanno cambiato la storia presentati dai campioni dell’AisOre 14 – Sala Argento – Seminterrato Palaexpo

I vini bianchi del Friuli Venezia Giulia, innovativi ed estremi, interpretati dai piccoli grandi vigneronsOre 15 – Sala D – 1° piano padiglione 9

■■■ Venerdì 3 aprile

I Supertuscans. Il rilancio della Toscana nella vitivinicoltura nazionale e internazionale Ore 12 – Sala D – 1° piano padiglione 9

I vini passiti delle Isole: dolci, sensuali, morbidi e dal carattere minerale Ore 15 – Sala D – 1° piano padiglione 9

■■■ Sabato 4 aprile

Il fascino e la personalità delle bollicine italiane, Franciacorta, Trento e Oltrepò Pavese Ore 11 – Sala D – 1° piano padiglione 9

Presentazione del Premio Internazionale “Innovazione nella Professione”Con l’occasione si degusterà Cartizze Vigna “La Rivetta” abbinato a Culatello di Zibello Ore 12 – Padiglione 6 Stand Villa Sandi E4

Amarone della Valpolicella: vino dal nerbo solido, ricco di estratto, alcolico, rotondo e da lunga evoluzione. Un gran cru per eccellenza Ore 14 – Sala D – 1° piano padiglione 9

■■■ Domenica 5 Aprile

Lo Champagne: un vino dalle mille sfaccettature, intrigante, esuberante, maestoso, complice, mai tranquillo! Ore 11 – Sala D – 1° piano padiglione 9

Il Bordolese: vini eleganti ricchi di storia, uno stile inconfondibile nel mondo Ore 14 – Sala D – 1° piano padiglione 9

Piemonte, regione di grandi rossi, dove il vitigno Nebbiolo nei diversificati terroirs esprime potenza, eleganza e longevità Ore 17 – Sala D – 1° piano padiglione 9

■■■ Lunedì 6 aprile

Esordi: nuovi vini all’orizzonteDalle ore 11 in Sala Argento – Seminterrato Palaexpo

DEGUSTAZIONI VINITALY 2009

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La rassegna veronese è anche interattività e high techno-logy. “L’Italia del Vinitaly” è lo spazio che Vinitaly dedi-ca su web alle Regioni, per poter presentare con largoanticipo tutti gli eventi in programma e per tutto il perio-do successivo anche alla fiera i propri territori e le pro-duzioni oleicole e vitivinicole ad essi legati, le attivitàpromozionali e anche le iniziative che si svolgono all’in-terno dei singoli stand durante Vinitaly. Si tratta di unafinestra privilegiata che apre una panoramica sulle mol-teplici ricchezze che valorizzano e rendono davvero uni-che al mondo le realtà regionali del Bel Paese.E come dimenticare i tanti concorsi internazionali cheda sempre rappresentano un valore aggiunto per la mani-festazione scaligera? Innanzitutto, una menzione par-ticolare merita il “Concorso Enologico Internazionale(www.vinitaly.com/concorsoenologico), il più selettivo almondo con solo il 3% di riconoscimenti assegnati sultotale di 3.500 vini in media presenti. Il “Concorso Internazionale di Packaging” (www .vin-italy.com/concorsoenologico) si pone come obiettivo quel-lo di premiare la capacità delle aziende di dare un’im-magine vincente ai propri prodotti tramite bottiglie, eti-chette, tappi e chiusure; infine, ecco il “Premio interna-zionale Vinitaly” che premia ogni anno l’imprenditore ol’operatore del settore (media, sommelier, winemaker etc.)che si è particolarmente distinto nel corso della propria

attività per valorizzare e promuovere il settore.Chiusura con “Vino e gastronomia”, ideale punto diincontro tra vino, cibo e olio extra vergine di oliva.Vinitaly, Sol e Agrifood club organizzano, in collabo-razione con i più noti chef al mondo, laboratori gastro-nomici e degustazioni di piatti realizzati con gli ingre-dienti della migliore tradizione culinaria italiana, inabbinamento a una selezione di vini esposti. I GrandiRistoranti di Vinitaly (Ristorante d’Autore, dei Signori,Sol Goloso e Cittadella della Gastronomia) completanoil menu della rassegna per soddisfare i palati, anchequelli più esigenti, di tutti i visitatori.

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Norbert Niederklofer è uno chesa leccarsi le dita. Lo ha dettoShakespeare: “Per la madon-

na, signore, cattivo cuoco è colui chenon sa leccarsi le dita” (Romeo eGiulietta, atto IV, scena II). Ora, sic-come tutto quello che Shakespearedice è vangelo e dato che NorbertNiederkofler è un grandissimo chef,due più due fa quattro. Grazie alcuoco bis-stellato del St. Hubertusdi San Cassiano, le dita, alla Chef’sCup tenuta in Alta Badia dal 18 al20 gennaio scorso, se le sono lecca-te anche i gourmet giunti da ogniparte d’Italia. Norbert si è mosso daperfetto padrone di casa: ha creato,cucinato, insegnato, abbinato e spar-so a piene mani sapere gastronomi-co e simpatia umana, ad un popolodi adoranti ghiottoni. E’ stato lui ainventare, per beneficenza, la Chef’sCup qualche anno fa. In poco tempola manifestazione è talmente cresciu-ta da diventare la Champions Leaguedei grandi cuochi. Vi partecipano iKakà, i Beckham, gli Ibrahimovic, iDel Piero dei fornelli: i campioni stel-lari della cucina italiana e di quellainternazionale.Quest’anno è scesa in campo una squa-dra di lusso, dodici cuochi tra i miglio-

ri d’Italia più uno, grandissimo, fran-cese. Li citiamo in ordine sparso pre-cisando che i primi sette hanno unastella Michelin (piaccia o no, la stella diBibendum è l’unità di misura alla Chef’sCup) e i secondi sei ne vantano due: 19stelle brillanti nel piccolo firmamentopieno di neve e di bontà che era la ValBadia a gennaio.Ecco i “galacticos” scesi in campo nei

vari appuntamenti gastronomici delletre giornate: Claudio Melis (La Siriola,San Cassiano), Arturo Spicocchi (Stüade Michil, Corvara), Maura Gosio (LaPiazzetta di Ferno, Varese), GiuseppeGuida (Osteria della Nonna, VicoEquense), Giancarlo Morelli (Osteria delPomiroeu, Seregno), Antonio Guida (IlPellicano, Porto Ercole, Grosseto),Luciano Zazzeri (Bibbona Marina, La

La Champions League

degli chefdi Morello Pecchioli

▲ Marica Bonomo e lo chef Norbert Niederkofler

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Per il polipo- 1 polipo piccolo- 2 cucchiai di olio

extravergine di oliva- 2 spicchi di aglio- 1 foglia di alloro- 1 gambo di sedano- 1 carota- 1 cipolla- ½ bottiglia di Amarone

Per il purè di fagioli Risina- 200 gr di fagioli Risina- una foglia di alloro- uno spicchio di aglio- una noce di burro- ½ gambo di sedano- ½ carota - 1 cipolla bianca piccola- 1lt circa di brodo

Per il fegato grasso affumicato80gr circa di fegato grasso d’oca affumicato

Il polipoIn una pentola con il fondo spesso ed abbastanza grande da contenere il polipointero, scaldare bene l’olio e rosolarvi il polipo. Quando questo inizia a rilasciare ilsuo liquido aggiungere l’aglio, l’alloro, le verdure tagliate a pezzi e l’Amarone.Coprire e cuocere fino a che il polipo sará morbido (aggiungere un po’ di acquase necessario).Passare poi la salsa passando al chinois anche le verdure (schiacciandole benecon l’aiuto di un mestolo) e ridurla a giusta consistenza.Prendere il polipo, eliminare l’”occhio” e le ventose piú grandi, tagliarlo a pezzi nontroppo piccoli.

Il purè di fagioli RisinaMettere a bagno i fagioli Risina in acqua fredda per 12 ore.Soffriggere velocemente le verdure, le erbe e l´aglio, aggiungere i fagioli sgoccio-lati e coprire con il brodo. Portare ad ebollizione e continuare a cuocere lenta-mente fino a cottura ultimata (circa 40 minuti) aggiungendo brodo se necessario.Frullarne ¾ e conservare il resto intero da aggiugere al purè all’ultimo momento.

Adagiare sul fondo del piatto il purè di Risina e posarvi i pezzi di polipo intiepiditinella loro salsa all’Amarone. Terminare con una fettina di fegato grasso affumicato.

LA RICETTA

Polipo brasato all’amarone su purè di fagioli Risina e fegato grasso affumicatoIngredienti per 4 persone

▲ Polipo brasato all'amarone, ricetta di N. Niederkofler

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Pineta, Livorno); Gennaro Esposito (IlSaracino, Vico Equense), Valeria Piccini,(Da Caino, Montemerano, Grosseto),Giovanni D’Amato (Il Rigoletto, Reggiolo),Andrea Berton (Trussardi alla Scala,Milano), Jean-Andrè Charial (L’Oustaude Baumaniere, Baux de Provence,Francia). E Norbert Niederkofler, ovvia-mente. Grandissimi piatti, vini super-bi: altoatesini alla cena di benvenuto,veronesi dell’azienda agricola Monte delFra di Sommacampagna, abbinati aipiatti del Pasta Party al parterre dellagara di sci, maremmani al rifugio PizLa Ila la seconda sera, champagnePaillard al brunch del martedì e inter-nazionali al Gala Dinner che ha chiu-so le manifestazioni.Evento nell’evento è stato l’appunta-mento con l’Amarone 2005 Lena diMezzo dell’azienda Monte del Fra. Unapresentazione due volte straordinaria:per il vino in se stesso, presentato inassoluta anteprima (l’Amarone annata2005 viene commercializzato quest’an-no) e per i due piatti abbinati da NorbertNiederkofler al vino della famigliaBonomo: “Polipo brasato all’AmaroneLena di Mezzo 2005 con fegato grassoaffumicato e crema di fagioli Risina” e“Risotto di mele cotogne con filetto dilepre selvatica, tartufo nero e un pizzi-co di lime”.E’ stata un’esperienza indimenticabile.Il trionfo del gusto: cultura, creativitàe sapienza di abbinamento coniugaticon la massima semplicità. L’AmaroneLena di Mezzo 2005 rappresenta unanuova concezione di Amarone: rispet-toso del territorio, la Valpolicella, e deisuoi magici vigneti di Corvina,Corvinone e Rondinella, ma compren-sibile ed elegante. E, pure, grande pro-tagonista in pentola. Che fosse un gran-de attore, in cucina, si sapeva. Un re èsempre un re, sul trono o tra i fornelli.La tradizionale cucina veronese lo dimo-stra: è protagonista assoluto nel risot-to all’Amarone- il duetto che recita colvialone nano veronese igp è da applau-si scroscianti- e comprimario di lusso

nello stracotto d’asino (“stracoto demusso”, lo chiamano i veronesi che ado-rano mangiarlo con la polenta). Si ha,però, l’impressione che i grandissimichef non abbiano, almeno finora, avutoil coraggio o la fantasia di usarlo nellapreparazione di piatti superbi. L’Amarone in pentola, insomma, nonha ancora avuto la possibilità di recita-re al meglio la sua parte di vino shake-speriano, pronto a dominare la scena.Ci voleva l’altoatesino Niederklofer perregalarci l’indimenticabile emozione diassistere alla creazione di un nuovoincredibile piatto: “Polipo brasatoall’Amarone Lena di Mezzo 2005 confegato grasso affumicato e crema difagioli Risina”, appunto. In sala aleg-giava lo spirito di Jean Anthelme Brillat-Savarin, il fondatore della modernagastronomia: “La scoperta di un nuovopiatto dà più gioia all’umanità che lascoperta di una nuova stella”. Piatto evino superbi.“Musica”, ha sintetizzato Terenzio Medri,presidente nazionale dell’Associazioneitaliana sommelier, riverito ospite dellamanifestazione. “Un abbinamento daChampions League: piatti di grandeinnovazione e vino eccezionale, da oscardell’eleganza. Sono stato il fortunatospettatore di un matrimonio davverounico”. “E’ un vino che unisce splendi-damente innovazione a tradizione”, haaggiunto Davide Di Corato, direttore delmensile enogastronomico Horeca, “final-mente un amarone non stucchevole,non lezioso. E’ un Amarone non impe-gnativo, ma puoi decidere se farlo diven-tare impegnativo. Rappresenta un’evo-luzione del gusto, come si evolve la cuci-na è giusto che si evolva il vino”.L’Amarone Lena di Mezzo di Monte delFra nasce in piena Valpolicella classica,nel comune di Fumane. Le vigne diCorvina, Corvinone, Rondinella, salgo-no dai 150 ai 300 metri della piccola val-lata del torrente Lena che garantisceuna eccezionale ventilazione naturale,con sbalzi termici che irrobustiscono leuve che al mattino si svegliano asciut-

te. Praticamente il marciume dovuto auna eccessiva umidità, qui non lo cono-scono. La ventilazione naturale fa cre-scere le uve sane e, successivamente,le fa appassire naturalmente nel frutta-io. I terreni fino ai 200 metri portano indono al vino la struttura medio-alta. Iterreni rossi, calcarei, sui 300 metri gliregalano la complessità aromatica.“Puntiamo molto sulla freschezza e sullatavolozza aromatica naturale”, spiegaClaudio Introini, l’enologo che, con Eligioe Claudio Bonomo, “firma” l’AmaroneLena di Mezzo. “Un altro aspetto che pri-vilegiamo sono i lieviti autoctoni. Quandosi hanno in mano uve così, è nostro dove-re assecondarle. L’attenzione enologicaè altissima: pigiatura soffice, macerazio-ne a freddo, fermentazione spontanea.E poi? Poi il 25 per cento viene messo inlegno piccolo, rovere francese, il restonelle botti da 35 ettolitri, sempre di rove-re francese”.Risultato un grande vino. Profumi,corpo, rotondità ed eleganza esaltati edesaltanti. Introini, del resto, è abituatoa evidenziare i caratteri più identificati-vi delle uve. Come fa con il nebbiolo dellasua Valtellina: i suoi Sforzat sono la suafotografia di enologo preparatissimo, digrande umanità e modestia: vini in asso-luto equilibrio tra struttura ed elegan-za. “Ma l’Amarone”, dice, “ha qualcosache va oltre. Ha possanza, è un vino piùimmediato, che affascina nelle degusta-zioni anche se, talvolta, si privilegianotroppo i muscoli a scapito dell’elegan-za. Con il Lena di Mezzo puntiamo suun Amarone elegante, che in termini dimacerazione non si spinga oltre i tempiin cui emergono tannini e polifenoli chefinirebbero per prevalere sull’eleganza”.Insomma si gioca sugli zuccheri: resi-dui che in Valtellina porterebbero loSforzat a una disarmonia, ma che nellapiccola vallata sopra Fumane rendonoquesto Lena di Mezzo un Amarone dinuova generazione, più affascinante inbocca e indelebile nel cuore. Una car-tolina dalla Valpolicella, con l’anima delterritorio.

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Apartire dal primo agosto, lagestione delle 472 (attuali)denominazioni d’origine del

vino italiano sarà affidata a Bruxellese ogni variazione diventerà quindi dipiù difficile e complessa attuazione.Prima che questa disordinata fore-sta di nomi venga pietrificata dall’eu-roburocrazia sarebbe opportunomettervi un po’ d’ordine, ma purtrop-po non è possibile: la commissionepresieduta da Giuseppe Martelli, cuiil Ministro delle Politiche Agricole,Luca Zaia, ha dato il compito di tra-ghettare il vino italiano dalle Doc alleDop, per attuare la riforma dell’Ocm(Organizzazione comune di merca-to), ha troppe gatte da pelare, neipochi mesi che rimangono, perché

trovi anche il tempo per razionaliz-zare le denominazioni. Eppure Dio sa quanto ce ne sarebbebisogno. La questione più seria a cuibisognerebbe porre rimedio è un pro-blema di comunicazione: le denomi-nazioni controllate sono garanzie uffi-ciali fornite in etichetta, e l’etichet-ta è lo strumento più immediato checonsente a chi produce vino di par-lare a chi lo beve. Il problema peròè questo: non si può pretendere cheun normale consumatore, anche seamante del vino, anche se appassio-nato, memorizzi i nomi di 316 Doc,38 Docg e 118 Igt (ed è possibile chequeste cifre aumentino, prima di ago-sto). Se è già difficile, per un bevito-re occasionale italiano, orientarsi in

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La parola d’ordine

TRA QUALCHE MESE

LA RIFORMA

DELL’ORGANIZZAZIONE

COMUNE DI MERCATO

SARÀ OPERATIVA: È GIÀ COMINCIATA

LA CORSA CONTRO

IL TEMPO

PER REGOLAMENTARE

LA FORESTA DELLE DOC

CHE DIVERRANNO DOP

di Cesare Pillon

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è razionalizzareuna tale sovrabbondanza di opzioni,è facile immaginare la confusione cheessa genera all’estero. Ma perché inomi da ricordare sono così tanti?Per varie ragioni. La più evidente èche sono espressione di entità assur-damente diverse tra loro, ufficializ-zate alla rinfusa senza un disegnologico e coerente: che cos’ha in comu-ne la Docg Chianti, che coprendobuona parte di una regione come laToscana riguarda centinaia di pro-duttori e milioni di bottiglie, con laDoc Loazzolo, che nasce in un villag-gio astigiano di 354 abitanti, e conla Doc Bolgheri Sassicaia, rappre-sentata da un solo produttore? Spesso lo si dimentica, ma lo scopodi fondo delle Doc dovrebbe esserequello di guidare i consumatori ditutto il mondo verso vini che essisiano in grado di identificare e di cuipossano avere fiducia. I loro nomidovrebbero perciò soddisfare due esi-genze primarie: essere rassicuran-ti e permettere di individuarecon facilità il territorio incui nasce il vino da

essi designato. E buona parte delleDoc italiane risponde effettivamen-te a queste caratteristiche, anche sei loro territori sono di diversa esten-sione e di differente importanza(Roero, Oltrepò Pavese, Soave, Collidi Parma, Cortona). Non tutte, però,possiedono entrambi i requisitirichiesti. Il Bosco Eliceo, per esem-pio, ha un nome molto suggestivo,ma quanti italiani sanno dov’è situa-to? Quanti, leggendo Pergola, nonpensano affatto a un comune mar-chigiano ma piuttosto al modo in cuisono allevate le viti? E quanta fidu-cia può riporre un consumatore nelvino di Cisterna? Ma questi sono peccati veniali. Il fattopiù preoccupante è un altro: nontutte le Doc sono denominazionid’origine pure e semplici. Molte, trop-

pe, al nome della località geograficaaccoppiano quello di un vitigno(Grignolino d’Asti, Vernaccia di SanGimignano, Verdicchio dei Castelli diJesi, Aglianico del Vulture). E questaaggiunta, che sposta il baricentro delnome sulla varietà dell’uva, ha imme-diatamente messo in moto un mec-canismo perverso che ha stimolatola proliferazione delle Doc: ogni altrazona in cui si vinificano in purezza lestesse uve si è infatti sentita in dove-re di pretendere un’altra denomina-zione in concorrenza: Grignolino delMonferrato casalese, Vernaccia diSerrapetrona, Verdicchio di Matelica,Aglianico del Taburno. Il record appartiene al Piemonte, chedi Dolcetto è stato costretto a rico-noscerne addirittura sette: d’Acqui,d’Alba, d’Asti, delle Langhe monre-

galesi, di Diano d’Alba, diDogliani, di Ovada.

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C’è da ringraziare il cielo che non sisia propagata anche la gara a crea-re nuove denominazioni di Vin Santo,dopo che in Toscana l’hanno chiestae ottenuta tre zone: il Chianti, ilChianti Classico e Montepulciano.Più ragionevolmente, tutti gli altriterritori dove si produce questa tipo-logia, hanno deciso di classificarlasemplicemente come variante all’in-terno di una Doc già esistente:Trentino Vino Santo, per esempio, o,nella stessa Toscana, a Montalcino,Sant’Antimo Vin Santo. Questa scel-ta ha evitato che le Doc dei Vin Santodiventassero ancor più numerose diquelle dei Dolcetto e si diffondesse-ro in varie regioni. Ma c’è anche ilrovescio della medaglia, che non vasottovalutato: la coesistenza dei VinSanto inglobati nella Doc del territo-rio e dei Vin Santo con una Doc auto-noma è una contraddizione che dàuna netta impressione di sciatteriae fa pensare che i vini italiani vada-no in giro per il mondo scomposti eapprossimativi come un’armataBrancaleone, ognuno per sé e Dioper tutti. E il grave è che le cose stan-no proprio così.Il nome del vitigno abbinato a quel-lo del territorio, anche se quasi sem-pre è imposto dalla tradizione, rap-presenta sicuramente un errore, inun paese come l’Italia che ha sceltole denominazioni d’origine geografi-ca per tutti i suoi prodotti agroali-mentari. Il vitigno si può infatti pian-tare dovunque: nessuno sfrutta que-sta possibilità se la sua diffusione èlimitata, ma quando il vino che se netrae ha successo, può far gola a moltiimitarlo altrove e sfruttarne la famasaltando sul carro vincente. E sonosubito guai. La prima grana provocata da un caso

del genere scoppiò qualche anno faper il Brunello di Montalcino, quan-do si scoprì che la sua denominazio-ne era abusivamente utilizzata daqualche disinvolto produttore delnuovo mondo, che aveva impianta-to viti di sangiovese del clone chia-mato Brunello. Legalmente si pote-va vietare al plagiatore soltanto l’usodella parola Montalcino: è un topo-nimo che si può attribuire esclusi-vamente ai prodotti che scaturisco-no dal territorio di quel comune. Mail termine Brunello non gli si pote-va impedire di utilizzarlo. Per riuscir-ci fu necessario cancellare quel nomedal registro dei cloni omologati disangiovese e brevettare la denomi-nazione Brunello di Montalcino comemarchio depositato. Attualmente è il Prosecco, premiatoda una clamorosa affermazione all’ex-port, che bisogna salvare dalle imi-tazioni straniere, e si spera di riuscir-ci in tempo utile, cioè prima di ago-sto, grazie a un piano suggerito daGianni Zonin e attuato dalla RegioneVeneto. Di che cosa si tratta? La riu-scita di questo spumante che nascetra Conegliano e Valdobbiadene (oltre57 milioni di bottiglie per un valoredi 370 milioni di euro) fa gola anchefuori dei confini italiani: nell’Est euro-peo, soprattutto in Romania, sonostati impiantati enormi vigneti pron-ti a inondare il mondo con fiumi diProsecco. Come impedirlo? Prosecco è il nomedi un vitigno e può essere usato ovun-que da chiunque. Ma se il vino aves-se una denominazione geografica glistranieri non potrebbero utilizzarla.E allora? Allora si è scoperto che pro-babilmente questa varietà ha presonome dalla località Prosecco pressoTrieste (dove si coltiva con il nome

di Glera). Basta perciò estendere laDoc a tutte le zone del Veneto e delFriuli in cui è autorizzata la sua col-tivazione facendo esplicito riferimen-to a quella località e si otterrà la tute-la internazionale. Geniale, no?Nell’oltretomba Niccolò Machiavellisi dev’essere sentito fischiare le orec-chie. E’ confortante che gli italiani trovi-no sempre modo di cavarsela graziealla loro fantasia, ma non si puòandare avanti solo a colpi di furba-te. Bisognerebbe avere idee genialisul modo migliore di razionalizzarela situazione, non sulle tattiche daseguire per rattopparne le falle. Qualè il difetto di fondo delle denomina-zioni d’origine all’italiana? Che nonsono state pianificate (come inFrancia) con una struttura a pirami-de: denominazione d'un territoriomolto vasto (per esempio, Bordeaux),all'interno del quale far emergerezone più piccole particolarmente pri-vilegiate (Pauillac, Margaux, Graves),ed enucleare i loro vertici nei vigne-ti più vocati (Château Latour piutto-sto che Château Haut-Brion).L’esigenza di arrivare anche in Italiaa un sistema altrettanto semplice ecomprensibile non è avvertita soloadesso, se ne discute da moltotempo: la proposta più interessantefu avanzata, a un dibattito svoltosidurante il Vinitaly del 1989, da ungiornalista americano che vive inItalia, Burton Anderson, e che cono-sce i problemi del vino italiano piùdi molti giornalisti italiani. “Non cisono soluzioni semplici per la clas-sificazione”, sostenne, “ma come gior-nalista che ha di fronte lo scorag-giante compito di spiegare il vino ita-liano ai lettori stranieri, proporrei unconcetto che sembrerebbe fornire la

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chiarezza e la logica che ora manca-no. Il sistema dovrebbe riconoscereogni regione come una Doc prima-ria, il cui nome dovrebbe essere inetichetta per tutti i vini che raggiun-gono o superano un dato standarddi qualità”. Il progetto, spiegò Anderson, avreb-be il massimo effetto all'estero se perprime fossero valorizzate le più impor-tanti regioni e i loro vini. “Più dellametà di tutto il vino a Doc” fece nota-re, “oggi è prodotto in tre sole di esse:il Veneto, la Toscana e il Piemonte. Glistranieri spesso hanno qualche pro-blema nell'indicarle su di una cartageografica, figuriamoci poi nel saperequale produca l'Amarone, il Brunelloo il Barolo. Ma se ciascun vino di qua-lità indicasse il nome della regione, iconsumatori comincerebbero a oriz-zontarsi, proprio come hanno fatto datanto tempo per lo Champagne, ilBorgogna e il Bordeaux” . Delle treregioni a cui Anderson aveva indiriz-zato con maggior calore il suo sug-

gerimento, l’unica che nei 20 annitrascorsi da allora ha utilizzato il pro-prio nome per istituire una Doc èstata il Piemonte. Ma lo ha fatto perun motivo molto particolare: perchénel proprio ambito ha voluto orgo-gliosamente riconoscere soltantoDocg e Doc, e si è rifiutata di istitui-re anche solo un’Igt (Indicazione geo-grafica tipica), categoria che Venetoe Toscana hanno ritenuto viceversapiù adatta per la denominazioneregionale. Il lato più sconfortante dell’iniziati-va è che invece di unificare le trop-pe denominazioni esistenti, la DocPiemonte è servita al contrario a mol-tiplicarle. Come mai? E’ molto sem-plice: poiché, assurdamente, la deno-minazione Piemonte non è stata attri-buita all’intero territorio regionale,ma soltanto ai territori viniferi delleprovince di Alessandria, Asti eCuneo, tutte le zone produttive mino-ri delle altre province, che avrebbe-ro potuto esservi felicemente inglo-

bate, sono state costrette invece aistituire nuove Doc. E non sonopoche, sono almeno sette: Canavese,Collina torinese, Colline novaresi,Colline saluzzesi, Coste della Sesia,Pinerolese, Valsusa. Dunque, per quanto lavori, e lavoribene, la commissione presieduta daGiuseppe Martelli consegnerà fatal-mente alla gestione di Bruxelles unamappa di denominazioni bisognosadi radicale ristrutturazione. Che nonpotrà essere attuata con la rapiditàche sarebbe auspicabile. L’unica speranza è che si ripeta ilmiracolo di 30 anni fa, quando perreazione alle assurde imposizionidella normativa sulle Doc, nacque-ro quei vini che oggi si chiamanoSuperTuscan. A pensarci bene èl’unica classificazione semplice ecomprensibile che agevola la diffu-sione dei vini italiani su scala inter-nazionale. Anche se non ha alcunvalore legale (o forse proprio per que-sto, chissà).

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Dopo la crisiil bicchiere

sarà mezzo pienoLA CRESCENTE RICHIESTA DALL’ASIA RISOLLEVERÀ LE ESPORTAZIONI ITALIANE

ED EUROPEE: MA PER CONQUISTARE I NUOVI MERCATI OCCORRE RINNOVARSI

E STUDIARE STRATEGIE ADEGUATE. A COMINCIARE DAI PREZZI

di Lorenzo Simoncelli

Dopo aver illustrato nel nume-ro precedente le opportuni-tà e le modalità di investi-

mento in fondi vinicoli, questa volta,spinti dalle congiunture economico-internazionali e dall’esigenza di unritorno all’economia reale, anche nelvino, ci concentriamo su una seriedi dati che fanno riflettere. Se, infat-ti, come abbiamo visto nei mesi scor-si il comparto di investimenti viti-vinicoli sembra non aver accusatoil colpo della crisi finanziaria, la pro-duzione di vino in Europa invece nel2009 subirà un calo. Secondo datidella Copa–Cogeca (organizzazionedegli agricoltori e delle loro coope-rative nell’Unione Europea) la pro-duzione europea di vino scenderàdai 172,98 milioni di ettolitri delloscorso anno a 169,77 ettolitri. Unaflessione dell’ 1,85%. Numeri che,nonostante il segno meno, rappre-sentano un miraggio per gli altri set-tori industriali, auto su tutti, che

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hanno registrato perdite di cinquan-ta volte superiori. Se però si vannoa prendere le medie di produzionedegli ultimi cinque anni, la flessioneaumenta. Come ha infatti osservatoAlejandro Garcia Gasco, vicepresi-dente del Comitato consultivo Vinodell’Ue, «la produzione stimata perquest’anno prevede una riduzionedel 7%». A confermare le dinamiche tutt’altroche scontate, in questa particolarefase economica, la caduta dei prez-zi delle uve nella maggior parte deipaesi europei, nonostante la dimi-nuzione della produzione. E’ vero cheil prodotto vino non va inteso insenso quantitativo, ma qualitativo,e quindi differisce in parte dalle logi-che di mercato e di produzione, maè anche vero che una riduzione cosìdrastica (- 37% in Spagna) del prez-zo delle uve non era previsto, né inqualche modo ravvisabile. Ma nontutti i mali vengono per nuocere. Inottica nazionalistica, infatti, c’è dasorridere. Le dinamiche economichee le condizioni atmosferiche chehanno colpito i vigneti francesi lascorsa estate, hanno fatto sì che nel2009 la produzione italiana moltoprobabilmente supererà quella deinostri cugini d’oltralpe. Saranno,infatti, circa 45 milioni gli ettolitriprodotti da noi, contro i 42 dellaFrancia, che ha così perso il podio,almeno per quest’anno, di primopaese produttore al mondo.Accantonata la chiave patriottica, ciòche lascia riflettere è il calo notevo-le di produzione registrato da alcu-ne delle più nobili etichette: - 5%rispetto all’annata 2007 - 2008. Nellaspeciale classifica della produzioneannua di uva al terzo posto si clas-sifica la Spagna con circa 40 milio-ni di ettolitri prodotti. Ma il paese dire Juan Carlos, non promette alcun-ché di buono per i prossimi mesi.Stime aggiornate prevedono che saràuno dei Paesi europei che si rialzeràpiù lentamente dalla situazioneattuale di stallo. E il settore vitivi-nicolo di certo non gli darà unamano. Infatti, la produzione è dimi-nuita tra l’8% e il 12% rispetto all’an-no precedente e i prezzi delle uve edelle bottiglie sono pressoché bloc-cati. Dura la critica di AlejandroGarcia Gasco, vicepresidente delComitato consultivo Vino dell’UE,

che contesta l’Ocm (Organizzazionecomune del Mercato) per non averstilato un disegno chiaro e comuneper uscire dalla crisi. Nonostante ormai la parola “comu-ne”, quando si parla dell’Europa aventisette, viene proposta come fosseprezzemolo, non tutti i Paesi europeiproduttori di vino hanno avuto lostesso destino negativo. E così a usci-re dal coro dei “segni meno” toccainaspettatamente alla Germania, checon i suoi 10 milioni di ettolitri pro-dotti, pari a un quarto di quelli ita-liani, farà registrare un aumento del10-15% sempre nel 2009. A chiude-re questo panorama europeo fatto disorprese e sorpassi c’è il Portogallo.Un Paese in grande difficoltà, il cuirating (per quello che vale) saràdeclassato, e la cui produzione vini-cola farà segnare una riduzione del30% sulla media degli ultimi cinqueanni. A questo si aggiungerà ancheuna flessione dei prezzi, Porto com-preso, intorno al 2%. La situazione generale vitivinicolanon è dunque delle più rosee, colpa,anche e soprattutto, della contrazio-ne del credito al consumo, che ine-vitabilmente produce una riduzionedi acquisti primari e accessori, tracui il vino. Premesso questo, c’è chicome Alejandro Garcia Gasco, vice-presidente del Comitato consultivoVino dell’UE, ritiene responsabiledi questa situazione l’Ocm. Sia peraver eliminato alcune regolamenta-zioni, sia per aver ridotto gli aiuti allaproduzione.

Fatto sta che oggi la riduzione degliettolitri e la caduta dei prezzi delleetichette fa sì che molte cantine nonriescano, o riescano appena, a copri-re i costi di gestione.Detto questo non bisogna perderel’entusiasmo che contraddistingueun buon produttore di vino e per farcitornare un po’ di buon umore bastamettere il naso fuori dal nostro vec-chio e amato continente. Più preci-samente in Asia. Infatti, il mercatoasiatico sarà il protagonista del set-tore vinicolo nel 2009. Dopo anni di previsioni dubbiose efuturi incerti è arrivato il momentodelle certezze. Il consumo di vino inAsia è aumentato notevolmente e latendenza continuerà. Nei prossimicinque anni si registrerà un ulte-riore incremento della domanda trail 10% e il 20%, a margine di una cre-scita media mondiale che sfioreràl’1%. A guidare la riscossa asiaticala Cina e in particolare la città diHong Kong, nuovo epicentro del com-mercio vinicolo. Si aspettava solo ladecisione governativa di abolire latassa del 40% sul vino (solo ad HongKong) per far esplodere un mercatoche già da tempo covava enormi sor-prese e attese. Basti pensare che il23% dei lotti vinicoli delle principa-li aste internazionali sono vendutiad acquirenti di Hong Kong. Per sfruttare i benefit fiscali le prin-cipali case d’asta internazionalihanno trasformato la città cinesenella porta d’ingresso d’oriente aigrandi vini europei. Il 2009 sarà dun-

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▲ Hong Kong, nuovo epicentro del commercio vinicolo asiatico

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que l’anno delle conferme, con un record da bat-tere: superare gli 8,2 milioni di dollari di vini bat-tuti in un sol giorno dalla casa d’asta statuniten-se Acker Merrall. Non tutti però sono concordi sulritenere che Hong Kong diventerà la porta d’in-gresso del mercato continentale. Tra gli scettici,Don St Pierre, padre fondatore dell’Asc, il maggio-re importatore di bottiglie del paese asiatico: «Contutta la burocrazia che c’è in Cina mi sembra moltodifficile che il mercato del vino si possa espande-re così senza grossi vincoli. C’è qualcosa che nonmi quadra». Parole forse, mosse dal fatto, che leautorità cinesi in seguito a una normale ispezio-ne su un carico importato, hanno arrestato suofiglio, rilasciato poi un mese dopo. Le leggi locali,tra l’altro, autorizzano i funzionari di controllo aprendere tre bottiglie di vino dal carico per “ana-lizzarlo”. Ora bisognerebbe capire cosa si intendeper analizzarlo, anche perché su una partita di200 bottiglie di una normale etichetta è poco grave,ma su un carico di sei bottiglie di Lafite ’96, il con-trollo sarebbe alquanto costoso.La scommessa giocata dagli esportatori europeisulla diffusione del vino di qualità è stata ampia-mente vinta. Ora per rendere il vino globale neiPaesi emergenti, c’è da giocare la partita più diffi-cile, e cioè coinvolgere un largo strato di consuma-tori, magnati esclusi. La sfida da vincere è edu-care il consumatore al vino, perché come abbiamopiù volte ripetuto e non ci stancheremo mai di farlo,il vino, prima che business e piacere, è cultura.In Paesi (quasi tutti gli emergenti), dove la diffu-sione media di enofili non è neanche lontanamen-

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Hong Kong (⾹港 Pinyin Xiānggǎng – Porto Profumato)

è una regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese.Formata da una piccola penisola della costa meridionale cinese e da 236 isole nel Mar Cinese Meridionale, fra cui l'isola di Hong Kong, seconda per estensioneall'isola di Lantau. Con la politica di "un paese, due sistemi" Hong Kong gode di autonomia amministrativa e di una propria valuta, il dollaro di Hong Kong.Importantissimo centro commerciale e finanziario, turistico e aeroportuale.

Area totale: 1.104 km²Popolazione: 6.985.200Densità: 6.327 ab./km²PIL (2008): 293.400 milioni di $

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te paragonabile a quella europea, la prossima sfidasarà puntare sulla quantità. La previsione, quasila certezza, è che la crisi economica in corso nonpermetterà grosse spese almeno fino al 2010, e inquesto senso aiuterà a incrementare ulteriormen-te la domanda di etichette low cost. Anche perchénon è ragionevole pensare che in paesi dove finoa pochi anni fa alla voce bevande si leggeva birrae sakè, ora si trovi una prestigiosa e costosa eti-chetta d’annata. Tempo al tempo. E’ certo però che in una fase economica di profon-da ristrutturazione anche l’industria vitivinicoladovrà rinnovarsi e scovare nuove opportunità.Questo dovrà essere lo scenario per una diffusio-ne globale del nettare di bacco nel nuovo e nel vec-chio mondo. E come sempre un ruolo fondamen-tale sarà svolto da quelli che sono i “padri fonda-tori” del vino: la Francia, l’Italia e la Spagna. Inparticolare sarà proprio il Paese transalpino a dovermodificare maggiormente le sue abitudini nellaproduzione. Non solo vino di alta qualità, ma anchevino a prezzi più accessibili per i mercati esteri eper non rimanere un mercato di nicchia. Tirandole somme, dopo questa lunga analisi, tutti coloroche lavorano nell’industria-vino possono ritener-si fortunati e tirare un lungo sospiro di sollievo.Perché l’uragano ormai è passato, e nonostantequalche danno, circoscritto e inevitabile, la mag-gior parte dei produttori è salva. A loro un consi-glio per il futuro. Non più solo bottiglie di qualità,ma una gamma completa, perché la domanda è inaumento, ma non a tutti i costi. E’ la dura leggedel mercato. Dura lex, sed lex.

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Fori Imperiali, Roma. Tiepida giornata di ottobre,cielo terso e sole autunnale. Con in testa l’enne-sima statistica pubblicata che proclama la Francia

come il Paese più visitato al mondo (per numero dituristi stranieri) e Parigi come città, ci si chiede come siapossibile che i nostri monumenti, il nostro clima, la nostragastronomia possano essere solo al quinto posto dietro a Francia,Spagna, Stati Uniti e Cina (Statistica World Tourism Organization 2008).Anche la rivista Americana International Living ci dà il massimo dei puntiper quanto riguarda la categoria della cultura e del tempo libero ma poi cilascia settimi nel Quality of Life Index del 2008 (classifica generale). La vin-citrice? Neanche a dirlo, la Francia.Nove le categorie considerate per la valutazione finale: il costo della vita, lacultura e il tempo libero, l'economia, l'ambiente, la libertà, la salute, le

Gridiamo al mondoLA FRANCIA È IL PAESE PREFERITO DAI TURISTI STRANIERI: LO STIVALE È

SOLO QUINTO. IL PROBLEMA RISIEDE NELLA COMUNICAZIONE, MA ANCHE NELLA

MANCANZA DI INFRASTRUTTURE E DI COLLEGAMENTI FERROVIARI ADEGUATI

di Elisa della Barba

▼ Le Cinque Terre

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quant’è bella l’Italiainfrastrutture, la sicurezza e il clima. Dal profilo tracciato, la Francia (toltaParigi) appare meno cara dell’Italia. E al contrario del Bel Paese offre infra-strutture che sono fra le migliori del mondo e una presenza numerosa di

imprese private che la rende molto competitiva. Con quasi 82 milioni di arrivi (di cui 45 milioni con 4 o più notti di

pernottamento) tra Europa, America, Asia, Africa e MedioOriente, la Francia è campionessa mondiale per quanto

riguarda il turismo. I principali visitatori stranieri:l’Inghilterra, la Germania, il Belgio e l’Italia. Nel 2007 i turisti stranieri hanno speso in Francia39,6 miliardi di euro, con un 7,2 % di crescita rispet-

to al 2006, mentre i francesi hanno speso all’estero26,8 miliardi di euro, con un 7,8% di crescita, per un

saldo riguardante il turismo pari a 12,8 miliardi dieuro cioè un 6% in più rispetto al 2006.

Con 25.707 hotel, 13.172 strutture ospitanti alternative e112.221 ristoranti (al 2007), la Francia genera ogni anno una

media di 894.000 posti di lavoro direttamente connessi al turi-smo. Il World Tourism Organization per il 2007 annuncia risulta-

ti soddisfacenti anche per l’Italia: + 7% di turisti. Nonostante que-sto, le strutture alberghiere sono in ribasso. Bilanci negativi infatti

per l’Associazione Italiana Catene Alberghiere (AICA), che danno un tassodi occupazione delle camere al -1,4% totali per il 2007 rispetto al 2006,

presentando in special modo un forte calo al Sud. L’incongruenza fra aumen-to dei turisti e diminuzione delle prenotazioni alberghiere è presto spiega-to: più crociere in Italia rispetto al passato – nessun bisogno di camera

▼ Costa Azzurra, Cannes

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d’albergo quindi – e un 10% in più di visite nelle città d’arte che però moltospesso si riducono a un paio di giorni. Va detto poi che molto spesso le sta-tistiche – come quella del Wto – includono negli arrivi anche i semplici tran-siti negli aereoporti, che quindi non vogliono necessariamente dire anchepernottamento.Resta il fatto che il turismo italiano nel 2007 ha registrato i risultati miglio-ri degli ultimi cinque anni, con un record di 31.079 milioni di euro per con-sumi dei turisti stranieri superando di 3.457 milioni i ricavi del 2003.Comunque siamo ben lontani dai numeri presentati dalla Francia.Infatti i dati del World Economic Forum 2008 confermano le variazioni nega-tive: si evince che la competitività dell’Italia è in grave declino, al 28esimoposto nella “capacità di attrazione”.È specialmente preoccupante verificare che non potevamo permetterci dipeggiorare in un settore che da noi porta il 10% del Pil e posti di lavoro perdue milioni di persone all’anno.Questi dati parlano da soli e fanno pensare: visto che l’avvocato AchilleColombo Clerici, presidente di Assoedilizia e dell’Associazione Italiana Amicidei Grandi Alberghi, dichiara che “in Italia l’asset del turismo è di 33.000alberghi, 16.000 agriturismi e un patrimonio culturale, artistico, storico-monumentale e museale che tutto il mondo ci invidia (80.000 fra chiese ecastelli)”, cos’è che fa davvero la differenza, per ritrovarci al quinto postodella classifica degli arrivi internazionali nel mondo quando per attrattivee risorse turistico-culturali meriteremmo almeno uno spareggio? La differenza la fa il coraggio della Francia di investire responsabilmentein un futuro da affiancare a un grandissimo passato. Dai trasporti all’organizzazione alberghiera, dall’architettura alla gastro-nomia, la Francia ha dimostrato di saper guardare avanti coniugando tra-dizioni e passato con futuro e modernità, anche grazie a fondi decisa-mente più sostanziosi dell’Italia. Con un sistema ferroviario all’avanguar-dia, la Francia vanta la rete più veloce e più estesa dell'alta velocità inEuropa con circa 1300 chilometri di nuove linee. I collegamenti ferroviaricoprono un’estensione totale di 30.880 chilometri e percorrono pratica-mente tutto il paese. Questo la rende di conseguenza uno dei Paesi piùfacili in cui viaggiare (nonostante i treni italiani, seppur a volte fatiscenti,siano molto più economici) e quindi meta molto più appetibile.Anche per quanto riguarda la situazione alberghiera, la Francia mette adisposizione dei turisti infrastrutture con standard qualitativi che soddi-sfano l’ampio target di chi non vuole spendere troppo ma nemmeno starein camerata in ostello, un “terreno di mezzo” che manca all’Italia, dove solu-zioni alternative all’hotel come i Bed & Breakfast e gli agriturismi riman-gono comunque piuttosto care.L’architettura non è da meno, anche se va segnalato che la maggior partedegli interventi contemporanei sono stati concentrati su Parigi: la TorreEDF nel quartiere della Défense dell’architetto Ieoh Ming Pei (2001), la sta-zione della metropolitana Saint Lazare a cura di Arte Charpentier nell’8ºarrondissement (2003), la Passerelle Simone de Beauvoir di FeichtingerArchitetti sulla Senna (2006), La Cité de l’Architecture et du Patrimoine,con mostre permanenti e temporanee dedicate all'architettura (2007).È vero: noi abbiamo Renzo Piano con il Grande Bigo a Genova (1992) ol’Auditorium di Roma (2002), Fuksas per la Fiera di Milano (2005), ZaraHadid per il MAXXI a Roma (in teoria la sospirata inaugurazione dovreb-be avvenire quest’anno). Ma le tempistiche per i due Paesi sono spessomolto diverse: i progetti francesi vengono portati a termine nei tempi pre-stabiliti, prerogativa indispensabile per la buona riuscita dell’impresa(ma spesso miraggio in Italia), il che comporta anche un rientro dei costipiù rapido. E se è vero che investire nell’architettura contemporanea a volte può por-tare a delle mostruosità di cui non ci si può liberare, è innegabile che lapropensione ad affiancare a monumenti storici nuove creazioni abbia con-tribuito ampiamente a rinnovare l’interesse – e l’immagine – per mete fran-cesi che altrimenti avrebbero avuto bilanci ben diversi. Argomento scottante per questi due Paesi è la gastronomia. Ultimamente

▲ Il TGV, il famoso treno francesead alta velocità

▲ Parigi, dai Jardin des Tuileriescon il Louvre alle spalle si godeun magnifico colpo d’occhio cheabbraccia gli Champs Élysées,l’Arc de Triomphe e i palazzi della “Défense”

▲ L’EDF Tower nel modernissinoquartiere della “Défense”

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il conflitto si sta inasprendo ulteriormente, visto che la Francia ha inten-zione di presentare quest’anno una proposta formale all’Unesco, più pre-cisamente alla Delegazione per la Salvaguardia del Patrimonio CulturaleIntangibile nata nel 2003, per far dichiarare la gastronomia francese patri-monio mondiale, nel tentativo di capitalizzare – in tempo di crisi – quelloche è da anni fonte di orgoglio nazionale, supportato anche da una peti-zione firmata da più di 300 chef francesi, tra cui Guy Savoy, Paul Bocuse,Alain Ducasse, Pierre Troisgros e Michel Guérard. Questo è quanto è statocomunicato con un annuncio estemporaneo dal Presidente Nicolas Sarkozynel febbraio 2008 alla Fiera annuale francese dell’Agricultura.Molti i Paesi che si sono sentiti “sfidati”, compresa l’Italia: la Coldiretti hainfatti argomentato come il patrimonio gastronomico italiano sia già supe-riore a quello francese, visto che l’Unione Europea riconosce 166 specia-lità gastronomiche all’Italia, mentre solo 156 alla Francia. Non è comunque facile parlare di numeri né provare a comprendere le dina-miche turistico-economiche di due Paesi in fondo così diversi, specialmen-te in un anno come il 2009. La recessione è ovunque. E se si può dire chel’Italia non è il Paese nella situazione peggiore in questo scoraggiante pano-

rama europeo, è semplicemente perchè il Paese cre-sce a rilento in epoche economicamente stabili e diconseguenza ora risente meno degli sbalzi della crisi,pur con una previsione per il 2008 di un rapporto defi-cit/Pil del 2,6%. Anche per la Francia c’è poco da stareallegri, con un deficit commerciale record nel 2008:secondo le previsioni del Ministero del Bilancio fran-cese annunciate il 20 gennaio dal ministro EricWoerthal, il rapporto deficit/Pil ammonterebbe al 3,2%,che dovrebbe poi attestarsi al 4,4% nel 2009. Quello che si può dire però tornando alla situazioneturistica è che la Francia è forte di eventi storici chel’hanno resa da sempre economicamente avvantag-giata rispetto all’Italia e che ha saputo utilizzare lerisorse del Paese per valorizzarsi al meglio.Si parla tanto di come venga percepita dal cliente (dal

turista) l’immagine del prodotto (della Nazione): in questo la Francia battechiunque, abilissima nel comunicare un’immagine vincente del suo terri-torio, dal piccolissimo paesello sperduto al sud alla nominatissima Parigi. Insomma, grazie alle risorse economiche e a un Ministero del Turismo chefunziona, la Francia si promuove da sola.E l’Italia? L’Italia non ha ancora trovato il modo di comunicarsi efficace-mente, perché non riesce a comunicare internamente. Infatti quello cherende il nostro Paese magnifico è allo stesso modo incredibilmente delete-rio: la regionalità. Che certo, appartiene anche alla Francia, ma passa in

▲ La capitale francese vista da Montmartre

▲ La piramide del Louvre

E’ una piramide di vetro commis-sionata dall'ex presidentefrancese François Mitterrand edisegnata da Leoh Ming Pei. Si ètrattato della prima parte delprogetto di rinnovamento chiamato “Grand Louvre”.Nonostante sia stata un’operacontroversa è uno dei luoghi piùvisitati e fotografiati di Parigi.

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secondo piano rispetto all’identità nazionale che viene ribadita in ogni cam-pagna per il turismo.L’Italia è perennemente, adorabilmente divisa, orgogliosa e disorganizza-ta. Per nostra fortuna in qualsiasi altro paese del mondo questo atteggia-mento viene tradotto e interpretato – ironia dell’ironia – come “charme” ita-liano: la disinvoltura di fare le cose sbagliate, e/o in ritardo, ma con clas-se. Ecco perché siamo comunque amati, ecco perché oltre i monumenti ele ricette e i profumi e i dialetti rimangono soprattutto gli italiani e le loroanime imperfette e bellissime, a ricordare a chi viene a vedere se ci siamoancora che sì, magari siamo un po’ più in bilico degli altri ma resistiamoe a testa alta. Certo, è vero, di Mastroianni e di Fellini e di Calvino non ce ne sono più,ma è il fatto che siano figli di questa terra e che siano ricordati ancora ogginel mondo che fa scommettere ancora sul nostro Paese, perché chi è arri-vato tanto in alto ci può arrivare ancora: di soldi ne abbiamo più di allo-ra, manca solo un po’ di iniziativa. Basterebbe capire, per esempio, che l’uso di Internet non è solo un’altrainutile costosa distrazione per quindicenni (e anche se così fosse, occupia-mocene lo stesso, visto che il futuro del turismo italiano è in mano al nuovo

target degli under 18, che costituisce il 24% ditutti i viaggiatori internazionali). Al contrarioInternet viene utilizzato sempre di più dagli adul-ti, per l’organizzazione di viaggi individuali: le pre-notazioni via Internet in Italia sono al 24%, diecipunti sotto la media europea. Basterebbe insiste-re molto di più sul fatto che il nostro è un Paeseche non deve contare solo sulla stagionalità per-ché ha tutto, sempre. Sia per territorio che per clima. Perché sembria-mo dimenticarci – o ancora una volta, forse nonlo comunichiamo bene – che siamo un Paese medi-terraneo, latino nel sole e nell’anima. Un esempioper tutti: per guadagni e infrastrutture, sulla cartavincerà anche la Costa Azzurra nell’eterno conflit-to con la Liguria, ma sulle emozioni stravincia-mo noi: la Costa Azzurra è davvero più pulita eordinata, è più di lusso e più chic – e quando sipassa la frontiera in treno Mentone te lo urla in

faccia, con un paesaggio che neanche nella giungla e ville che neanche aHollywood – ma di sicuro non ha un porto intriso di storia e di gloria e diodore di mare come Genova, non ha le acciughe che fanno il pallone, nonha l’intonaco colorato che fa tanta allegria anche se scrostato, non ha i“carrugi”, non ha il vociare confuso di ricordi portoghesi e soprattuttonon ha De Andrè. E così via, per tutte le altre Regioni, per tutto il nostro Paese, che è comun-que ancora – e ufficialmente, statistiche alla mano – uno dei più visitati nelmondo. Allora l’immagine di un Paese speciale passa lo stesso! Allora forsebasterebbe solo crederci di più e urlare un po’ più forte. Allora c’è da chiedersi una cosa sola: non sarà che questa partita (a pro-posito di competitività!) la perdiamo solo a causa della troppa umiltà?

▲ Uno scorcio della Riviera Ligure di Levante

▲ Nizza, Costa Azzurra, centro storico ▲ Nizza, la Promenade

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■■■ UNA CURIOSITA’ GENETICAI coreani e i malesi hanno un vantaggio di origine gene-tica, informa il mensile OK Salute: possiedono una par-ticolare variante dell’Adh, un enzima che li aiuta a fre-nare gli effetti tossici dell’alcol. A pari quantità di vinobevuto, insomma, un italiano si ubriaca mentre un abi-tante di Seoul resta sobrio.

■■■ UN LIBRO SOMMERSO“Il pane di ieri” è l’ultimo, bellissimo volume di EnzoBianchi, biblista rigoroso, priore dei monaci di Bose,in Piemonte. Ripescando un avvertimento di SanTommaso d’Aquino (“l’ora più buia della notte è quellache precede l’alba di un nuovo giorno”), Bianchi riflet-te sui valori e le verità di cose essenziali, il pane, il vino,l’orto, la tavola (“il luogo privilegiato per imparare, perascoltare, per umanizzarsi; d’altronde un’unica radiceaccomuna saperi e sapore”), il silenzio e il suono dellecampane, i proverbi contadini del Monferrato, la suaterra d’origine, e la sapienza della Bibbia che può aiu-tare in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo.(Einaudi editore, 117 pagine, 16,50 euro).

■■■ UNA MAPPA VISIONARIAL’ultimo studio dell’Assirm (l’Associazione che rappre-senta 47 tra i maggiori istituti italiani di ricerche di mer-cato, sondaggi d’opinione, ricerca sociale) disegna lamappa dei falsi miti del Made in Italy, ricostruisce i luo-ghi comuni sui prodotti tipici e svela la discordanzatra la percezione degli italiani e il paese reale. Per dire:il marmo per 7 italiani su 10 è indissolubilmente lega-to alla Toscana, distretto di Carrara, solo l’1,1 per centolo associa invece alla Sicilia dove si trova il principalecentro di produzione mondiale, per l’esattezza nel distret-to di Custonaci, nel Trapanese. E nel campo del vino:il 23,3 per cento lo associa di nuovo alla Toscana, epoi al Piemonte, al Veneto, alla Sicilia. Tutto sbagliato,secondo i dati Istat 2007, che dicono come le regioni dimaggior produzione sono nell’ordine Veneto, EmiliaRomagna e Puglia. Effetto e magia della pubblicitàche è alla base di questa frattura tra vero e immagina-to. Una disparità che converrebbe armonizzare: “E’ neces-sario comunicare e organizzare i beni, i valori e le eccel-lenze: l’Italia deve formarsi una cultura dell’informazio-ne efficace e matura”, teorizza Silvestro Bertolini, pre-sidente Assirm. Per saperne di più: www.assirm.it.

■■■ UN APPELLO“Salviamo la cultura del vino” è l’appello lanciato dallaredazione del quotidiano l’Unità domenica 18 gennaio.Vi si legge, tra l’altro: “Non abituare i giovani a bere vino(con moderazione, s’intende) porta al consumo smoda-to di superalcolici, con le nefaste conseguenze che sonooggetto di cronache quotidiane. Educare al gusto delsucco d’uva fermentato significa far conoscere i frutti diun territorio che, anche morfologicamente, è caratteriz-zato dai vigneti così che sembra quasi impossibile imma-ginare un paesaggio toscano che non abbia le vigne egli olivi. Occorrerebbe, quindi, uno sforzo da parte ditutti: prezzi fermi da parte dei produttori, pagamenticerti e ricarichi equilibrati dei ristoratori, un servizio albicchiere intelligente dei titolari di wine bar e allora gio-vani e non giovani, invece di ingurgitare improbabilibevande dolci, ricominceranno ad assaporare il saporedi un vino genuino”.

■■■ UN ADDIOGiorgio Mondadori, l’ultimo editore che profumava dicarta, se n’è andato per sempre 91 anni dopo aver vistola luce a Ostiglia (Mantova). Fu il primo presidente dellasocietà Mondadori - Caracciolo che diede vita al quoti-diano La Repubblica. Nel 1968 fu il successore del padreArnoldo alla presidenza della Mondadori. La lasciò nel1976 dopo i dissidi con le due sorelle Cristina e Lauradetta Mimma. Creò l’Editoriale Giorgio Mondadori e fuun successo: da Airone, la prima rivista dedicata allanatura e alle civiltà diventata tra i maggiori successi edi-toriali del dopoguerra, all’edizione italiana di ArchitecturalDigest, a Bell’Italia e Bell’Europa, Gardenia, Arte,Antiquariato, Millelibri, Am. Un’avventura che continuòfino al ’99, quando passò il timone alla CairoCommunication. La sua più lunga amicizia? Con ErnestHemingway: tra i suoi ricordi c’erano parecchi Capodannia Cortina d’Ampezzo con lo scrittore americano che sidivertiva a riempire di vino dei palloncini per poi cen-trare le bocche degli ospiti.

■■■ UNA CITAZIONE“Il vino? Mi piace berlo e farlo. Con mia figlia Alexandranel nostro agriturismo vicino Arezzo produciamo il Chianti.Ho disegnato l’etichetta con un grande occhio. E’ buono,sa?” (Ilaria Occhini, attrice, sposa di lungo corso con loscrittore Raffaele La Capria, al settimanale Vanity Fair).

Un sorso di cultura

di Valentina Pillot

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Anche nella nostra epoca che sembra non credere più a niente, cisono miti che non tramontano. Tra questi, uno dei più duri a mori-re è un certo qual complesso di inferiorità nei confronti della Francia,

considerata come la culla delle buone maniere e della buona tavola. Il cheè falsissimo: perché fino alla metà del XVII secolo in tutta Europa il gala-teo e lo stile hanno parlato italiano, e tutte le corti guardavano all’Italiacome modello di raffinatezza ed eleganza. Anche perchè nelle città italia-ne la forchetta era usata abbastanza normalmente fin dal 1300, mentrenel resto d’Europa alle tavole reali tutti mangiavano con le mani e si puli-vano la bocca con l'ampio giro delle maniche.Infatti, nel suo trattato di “Saper vivere” pubblicato nel 1530 l’umanistaErasmo da Rotterdam così insegna a apparecchiare la tavola: “A destra

si mette il bicchiere e il coltello ben pulito, a sinistra il pane”. Il cuc-chiaio per la minestra era in comune tra tutti i commensa-

li: da usare, asciugare nella tovaglia e passa-re al vicino perché lo adoperasse a

sua volta; chi non volevaaspettare il suo turno

portava direttamen-te la zuppiera allabocca…La forchetta, verostrumento di rivo-

luzione della tavola,era nata sul finire del

Medio Evo come posa-ta di portata a due denti,

ma poi divenne anche diuso individuale. Accadde

nell’XI secolo, quando il Doge

Galateo, lo scippo

della Francia

UN ESEMPIO: NEL 1533LA FORCHETTA APPRODA

SULLE TAVOLE FRANCESI

GRAZIE AL MATRIMONIO

DI CATERINA DE’ MEDICI

CON ENRICO D’ORLÉANS.IN ITALIA SI UTILIZZAVA

GIÀ DA QUALCHE

SECOLO

di Barbara Ronchi Della Rocca

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Orseolo prese in sposa la figlia dell’Imperatore d’Oriente, che toccava ilcibo solo con una forchetta d’oro. Dapprima quest’abitudine venne boc-ciata come un eccesso di raffinatezza, tanto che la dogaressa fu rimpro-verata pubblicamente dal clero e quando morì di peste, si disse che erastata giustamente castigata da Dio per la sua mancanza di umiltà. Ma lanuova posata era ormai diventata un ambito status symbol, e si diffusein tutte le città italiane, anche perché, snobismo a parte, era lo stru-mento indispensabile per mangiare la pasta, difficile da prendere con lemani, scivolosa e bollente com’era. È nel 1533 che, grazie al matrimonio di Caterina de’ Medici con Enricod’Orléans, uno dei figli del re di Francia, la forchetta (che ormai ha trerebbi) approda in Francia e di lì si diffonderà lentamente nel resto d'Europa.Ma questa sposina quattordicenne porta con sé molto di più della“terza posata”: l’intera civiltà rinascimentale. Il primo set-tembre 1533 prima di imbarcarsi per la Francia invitale dame fiorentine a un pranzo d’addio (primo caso diaddio al nubilato della storia!), in vista del qualealla corte dei Medici viene bandita una gara dei cuo-chi, vinta dal pollivendolo Ruggeri con un “ghiaccioall’acqua inzuccherata e profumata”, cioè un sorbet-to. Quando parte per la Francia, si porta al seguitodamigelle, cavalieri, musici, poeti, sarti, profumieri,ricamatrici e guantai capaci di cucire guanti di pelleconciata con essenze profumate, così sottili da poteressere arrotolati dentro un guscio di noce. Ma l’accompagnano anche cuochi, scalchi, maestri pasticce-ri, ben forniti di ricette e alimenti che rivoluzioneranno ilgusto e la cucina d’Oltralpe, introducendo, tra l’altro,l’uso dei prodotti dell’orto e delle erbe odorose. ComeBernardo Buontalenti, grazie al quale il gelato compare

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▲ Caterina de’ Medici

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sulla tavola reale francese. Il 12 ottobre il cor-teo nuziale sbarca a Marsiglia, dopo una tra-versata terribile sul mare in burrasca. I pro-fumieri fiorentini dichiarano di non voler piùproseguire il viaggio via terra fino a Parigi, edopo una specie di ammutinamento si sta-biliscono… a Grasse! Così, quella che vieneunanimemente considerata la culla della pro-fumeria francese è in realtà una “colonia” ita-liana in terra di Francia!Giunto finalmente a Parigi, il gruppo deifiorentini dà il meglio di sé il 27 ottobre 1533,per il banchetto ufficiale, nel corso del qualefanno conoscere ai francesi il meglio dellacultura gastronomica italiana – tra cui la cot-tura mediante frittura. Per il re Francesco Ipreparano crocchette di cervella e di fegatoin agrodolce; per il figlio Enrico, lo sposo, lelumache, che entrano trionfalmente nel reper-torio della gastronomia francese come piat-to afrodisisaco; per i palati raffinati dellesignore, le faraone, farcite di marroni e tar-tufi, irrorate con panna e succo delle aran-ce che provengono dalle serre Medicee. È pro-babile che l’anatra all’arancia sia un piattovenuto da Firenze, come la carabaccia, ante-nata fiorentina della zuppa di cipolle (che allo-ra veniva preparata con l’aggiunta di man-dorle pestate, zucchero, aceto, cannella). Ipiatti preferiti di Caterina, grande mangiatri-ce, sono i carciofi (che gli orticultori italianihanno ottenuto con operazioni di innesto daun cardo selvatico importato dalla Spagna) ele frattaglie di pollo, di cui fa addirittura indi-gestione. Anche i dolci di provenienza italiana sonouna novità assoluta, perché non sono più abase di miele, ma contengono lo zucchero,che proviene dall’Oriente, dalla Sicilia edall’Andalusia, e in Francia è raro, costoso enon ancora usato in cucina.Dopo le nozze, Caterina farà venire a corte uncuoco specialissimo: il grande Nostradamus,medico, astrologo, profeta e mago, cui inse-gna a usare zucchero e miele per conserva-re la frutta e per preparare scorze e frutti can-diti e mandorle ricoperte di zucchero, aroma-tizzati con muschio e ambra.Ma torniamo al banchetto nuziale, rivoluzio-nario anche dal punto di vista del costume,perché il re Francesco I in omaggio al costu-me italiano costringe le donne della famigliareale a sedere a tavola con gli uomini, annul-

lando la tradizione secondo cui le dame non mangiavano in pubblico pernon nuocere alla bellezza dei lineamenti con l’atto “volgare” della masti-cazione!In onore alla presenza delle signore, vengono posti in tavola dei bicchierifabbricati a Venezia (città che aveva il monopolio assoluto nella fabbrica-zione di vetri di alta qualità) in sostituzione di quelli usuali sulle tavolefrancesi di allora, detti “cul sec”, (o “bois tout”), una sorta di flûte senzabase, che si era obbligati a vuotare in un sorso solo.

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Non solo, si introduce in Francia anche il gusto italiano (e spagnolo) dibere vino ghiacciato, usando il salnitro oppure servendolo nella cantim-plora, specie di caraffa con in mezzo un buco da riempire di ghiaccio oneve. Un ultimo aneddoto: le posate portate in dote da Caterina avevanoben in evidenza sull’impugnatura lo stemma della famiglia Medici, eallora la regina suocera – ostile alla nuora come nelle migliori tradizioni!– ordinò che alla corte si apparecchiasse con le posate rovesciate, cioèponendo in tavola il cucchiaio con la parte convessa verso l’alto e la for-chetta con i rebbi sulla tovaglia, così da mostrare il retro del manico, dovesuccessivamente fece incidere lo stemma reale francese. Uno squallidodispetto, di cui dovrebbero prendere nota i molti snob che credono sia piùelegante apparecchiare “alla francese”, ponendo le posate al contrariorispetto a tutte le altre Corti europee! Nonostante questa codificazione di apparecchiatura, la nuova posata “ita-liana” fu ancora per molti anni poco usata e assai contestata dai france-si che la vedevano come simbolo di eccessiva raffinatezza, e collegatacon la sodomia. E certo non giovò alla reputazione del “diabolico” stru-mento il fatto che l’unico membro di casa reale di Francia che sembravaapprezzarlo fosse Enrico III, noto effeminato… Ancora 110 anni dopo ilfamoso banchetto nuziale di Caterina, il re Sole, Luigi XIV, considerava“troppo affettati” i cortigiani che usavano la forchetta e, nonostante tuttele proprie pretese di eleganza, continuava a mangiare con le mani, tantoche sulla sua tavola figurava come unica posata solo il coltello! Eppure fuproprio durante il suo regno che la Francia assurse al ruolo di faro dellebuone maniere e della diplomazia, e Parigi divenne la capitale della moda.Ma questa è un’altra storia…

▲ Luigi XIV

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Il 24 ottobre 1896, nel podere le Forane, a Capalbio,in piena Maremma finì l’epopea di radice contadina,del brigante “Domenichino”, all’anagrafe Domenico

Tiburzi. Sul tavolo della cucina, poco distante dal cami-no ampio e fuligginoso, un bicchiere di vetro spesso, diforma tozza e bassa, leggermente svasato, conteneval’imbevuto di un vino rosso, scuro nella tinta, opulen-to nel fruttato, robusto in alcool, malandrino nel tan-nino, dal finale succoso e saporito: un vino da veglia,che fosse stato un Morellino?La terra del vino Morellino fu una terra amara. “Tuttimi dicon Maremma, Maremma … Chi va in Maremma elassa la montagna, perde la donna ed altro non guada-gna”, così recita una canzone rurale, intrisa di mise-ria, di vita e di speranza. Tra le righe di questa rima sinasconde una ruralità difficile e un’indole agricola inco-stante e insalubre, giù nella piana malarica. Scansanosta, e stava, in collina, 500 metri s/l/m. È un comu-ne con un’aureola etrusca, d’antico spirito cristiano,

rifinito infine dai Medici e dai Lorena. Qui che si sago-mò, tra il 1969 e il 1970, l’idea di un vino da compier-si con l’uso di sole uve “nere”; seguendo una tradizio-ne enologica, consolidatasi fin dal 1875, che prevede-va la lavorazione delle uve rosse, separate da quellebianche, con impiego di tini aperti, in cui si lasciava ilmosto una volta pestate.Il Sangiovese fu, e ancora lo è, il Re della miscela delMorellino di Scansano; calato dai monti del Chianti edall’entroterra, ha dismesso i nobili abiti (il pugno diferro in guanto di velluto del Montalcinese e i fasti giglia-ti del contado Fiorentino) ed è diventato un brigante delgusto, in costante ricerca di una abbronzatura tirreni-ca che smussi l’impeto di un tannino altezzoso per fon-derlo nelle morbide coperte di un alcool corroborante.Il Sangiovese del Morellino è diversamente vino, è taleperché nacque, nel 1978, con una Doc differente: nonvolle abbinare le uve bianche a quel 15 per cento dialtro che previde il disciplinare. Così facendo si presen-

Quel brigante

del Morellinodi Roberto Bellini

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Il Morellino di Scansano è Docg dalla vendemmia 2007

Le uve impiegate sono: minimo 85% Sangiovese,localmente chiamato Morellino; possono concor-rere, per un massimo del 15%, anche altre uve abacca scura, purchè idonee alla coltivazionenella regione Toscana. La zona di produzione èracchiusa nella provincia di Grosseto e più preci-samente nella fascia collinare tra i fiumi Ombronee Albegna. La resa di uva per ettaro è fissata in 90q.li, quella per ceppo in 3 kg. La gradazione alco-lica minima è di 12,5% vol., 13% nella versioneRiserva. Quest’ultima si appresta a diventare il nuovo biglietto da visita della denominazione, prevedendol’allevamento in legno (senza escludere la barrique) per almeno un anno dei due previsti dal disciplinare.Due i tipi di bicchieri da usare per il servizio: per la Riserva un ballon dal bevante abbastanza ampio; perla versione base un bicchiere dal bevante più affusolato e bocca medio ampia.

UNA DOCG MOLTO GIOVANE

tò sempre briosamente fruttato e floreale, impreziosi-to dagli intensi profumi dell’Alicante e del Mammolo;accentuato nella tinta dal Colorino e reso elegante dalraro “Francese nero”.All’inizio sembrò avere un certo timore reverenzialeverso gli altri rossi di Toscana, eppure la scelta del nomeMorellino, da ricondursi all’usanza di chiamare Morellinoil miglior puledro (di manto nero) allevato nel branco,era da intendersi per un vino da competizione, voglio-so di affermarsi in Toscana a non solo. Il successo siè così consolidato che nel 2006 è diventato Docg. Ildisciplinare è divenuto più restrittivo in termini di pro-duzione in vigna, la gradazione alcolica minima s’è innal-zata, creando di fatto i presupposti per un vino con unapotenzialità di struttura gustativa maggiore. Troviamo quindi un Morellino con una tempra decisanelle peculiarità fruttate e floreali, tanta ciliegia e violamammola rendono seducenti i profumi, finissimi sen-tori di lavanda e di erbe aromatiche di macchia medi-terranea ne allungano la raffinatezza, che spesso sicompleta con note di spezie dolci e legno nuovo tosta-to in quei vini che hanno sostato in barrique. Il gustoesibisce un tannino potente, ma non aggressivo, la suc-cosità del frutto resta integra e insaporisce il finale, chechiude spesso con un retrogusto elegantemente ama-ricante. Nel Morellino di Scansano in versione Docg ilpotenziale d’affinamento in bottiglia s’è allungato, sipresume che il base sarà ottimale per il consumo entroi 5/6 anni dalla vendemmia; la Riserva, se particolar-mente curata, arriverà fino a 10 anni. La temperaturadi servizio non dovrà superare i 18°C, mentre in pre-senza di un Morellino non Riserva si potrebbe scen-dere a 16°C, per esaltare al meglio la parte fresco-sapi-da del suo fruttato. L’abbinamento spazia dai primi piatti al sugo di carne,strepitoso è l’abbinamento con il maccheroni marem-mani, a base di interiore e fegatini di pollo e coniglio;è particolarmente indicati con ricette a base di oche,folaghe e anatre. Quando il Morellino viene prodottocon uve raccolte in vigneti dai declivi ben esposti, da

ceppi di oltre venti anni, macerate a lungo e con pazien-za in tini di legno a perfetta temperatura controllata,esso diventa nero al colore, imponente al profumo, sicarica di un’avvolgenza odorosa che non ha eguali, tirafuori quelle caratteristiche odorose, quasi syrah-style,tanto da poter usare i vezzeggiativi “vin de forêt” e “vinde chasse”: vino di foresta o vino da caccia. Ed è appun-to nell’abbinamento con la cacciagione e la selvaggina,un’attività, la caccia, cara ai briganti prima e ai brac-conieri poi, che si esalta la versione Riserva del Morellinodi Scansano, al punto tale da diventare cacciatore deisapori dei fagiani e dei tordi, dei cinghiali e delle leprie celebrarsi nelle sue gesta gusto olfattive, briganteg-giando nei palati dei gourmets di tutto il mondo.

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MORELLINO DI SCANSANO DOCG POGGIO TREVVALLE F.lli Umberto e Bernardo Valle – Campagnatico – 2007 – 14,5°

Rosso rubino di media intensità, tinta vivace, briosamente riflessa di vermiglio. Il profu-mo impatta al naso con una nota di frutta a bacca rossa (ciliegia), di petalo di rosa rossaappassita, di spezie e termina con un cenno di vegetale secco. Al gusto il tannino creauna sensazione un po’ verde, mentre l’acidità s’impone con un fruttato al sapore di cilie-gia. La persistenza gusto olfattiva è media e le sensazioni finali ripresentano un fruttatoa bacca rossa.

MORELLINO DI SCANSANO DOCG SAN FELO Fattoria San Felo – Magliano in Toscana – 2007 – 13,5°

Rubino alquanto concentrato con riflessi color buccia di ciliegia scura. La parte odorosadella frutta a bacca rossa e scura, matura (mora di gelso), domina il profumo; non man-cano note di speziato, come la cannella, il chiodo di garofano e il legno tostato. Tannicoe caldo, compone e ricompone un dualismo di alcool e tannico. Il gusto ha il saporedella marasca, il suo tannino ha l’asprezza della gioventù, mentre il finale è marcato daun fondo di oaky. Pai buona.

MORELLINO DI SCANSANO DOCG 2007 Fattoria Le Pupille – Piaggie del Maiano – 2007 – 13,5°

Rubino intenso con unghia violacea. Offre un fruttato a bacca nera, espressioni florealidi viola e di rosa, leggero sottofondo olfattivo al fondo di caffè.Il tannino è deciso e fermo con finale di nocciolo di ciliegia e corredato da sapidità. Buonaè la corrispondenza gusto olfattiva anche se il tannino sembra un po’ esuberante. Ha lanaturale spigolosità del Sangiovese in gioventù, il finale di gusto è lungo e chiude asciu-gando perfettamente il palato.

MORELLINO DI SCANSANO DOCG 2007 MARTETO Azienda Bruni – Fonteblanda – 2007 – 13,5°

Rubino mediamente intenso, buona la vivacità e l’effetto consistenza. Prugna rossa matu-ra al profumo (si ritroverà anche al gusto), la ciliegia del vitigno si alterna a un fondo flo-reale di viola e iris. E’ un Sangiovese classico, pulito nel gusto, il tannino è ben espres-so, arrotondato nell’asperità, e quel che conta è corredato da un fruttato succoso. La per-sistenza aromatica intensa disegna una corrispondenza gusto olfattiva coerente e creaun lungo ricordo.

MORELLINO DI SCANSANO DOCG LORENZOLO Az. Bioagricola Poggiopaoli – Pomonte, Scansano – 2007 – 14°

Un Sangiovese espresso dalla netta tonalità rubino, senza cessioni a riflessi e nuances.Mediamente complesso al profumo, marcato da una ciliegia marinata al limone e da unmix di piccoli frutti rossi, anche un po’ selvatici. Ha una leggera chiusura vegetale, digambo di viola. Al gusto il tannino impatta con irruenza serrando le papille gustative etrascina con sé un effetto dal finale amaricante. La lunghezza gusto olfattiva non trovaun completo allungamento.

LA DEGUSTAZIONE: MORELLINO DI SCANSANO

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MORELLINO DI SCANSANO PROVVEDITORE Az. Agr. Provveditore – Solaiolo Di Scansano – 2007 – 14,5°

L’azienda dichiara un Sangiovese 100%. Rubino con riflessi vivacemente porpora, gioio-so nella tinta. È floreale e fruttato, simpatico è il ricordo di chicco del melograno che ritor-na poi anche al gusto. Originale è l’odore che ricorda la siepe secca mediterranea. Il sostra-to finale è sciroppato, al gusto di ciliegia. La struttura gusto olfattiva è equilibrata, la sapi-dità inizia a insaporire un tannino “dolce”. Il finale di gusto è lungo, al pâté di frutta e difrutta grigliata.

MORELLINO DI SCANSANO DOCG 2007 Az. Moris Farm – Grosseto – 2007 – 14°

Netto il colore rubino intenso. Pienamente espressivo del Sangiovese nei profumi di viola,di rosa rossa, di piccoli frutti rossi e neri. Il tannino saporito, senza cessioni all’asprezza e all’amaro, combina a pieno una morbi-dezza ben corroborata dalla componente alcolica, il tutto insaporito da un’acidità delica-ta ed elegante. Il finale di gusto esprime un’ottima persistenza e chiude con un saporefinale di ciliegia.

MORELLINO DI SCANSANO DOCGCantine Leonardo – Vinci – 2007 – 13°

Al colore è rubino alquanto intenso e vivace. Il profumo è pulito, franco, di fragola di bosco,di viola mammola, di ciliegia matura. Il sapore è decisamente fresco, il tannino è media-mente espressivo tanto che la struttura del vino raggiunge già un equilibrio gustativo,con una sensazione di calore alcolico finemente gradevole. La persistenza aromatica è abbastanza lunga e la sensazione finale del gusto è siglatada un ricordo di mandorla grigliata.

MORELLINO DI SCANSANO DOCG POGGIO BARBONEAz. Agr. Poggio Amorelli – Magliano In Toscana – 2007 – 13°

Colore rosso rubino mediamente concentrato. Ha una graziosa punta di vinosità, il suofloreale si caratterizza per la viola. Non mancano i profumi dei piccoli frutti selvatici comeil lampone. Curiose sono le sensazioni di tamarindo, karkadè e tea inglese natalizio. Gustoin equilibrio tra tannino, acidità e morbidezza, Buona la sapidità, il finale è mediamentepersistente. Se la corrispondenza gusto olfattiva si fosse completata con più armonia cisaremmo trovati di fronte a un grande sorpresa.

MORELLINO DI SCANSANO DOCG MARIANNAAz. Agr. Cantine Marianna – Magliano – 2007 – 13°

Rubino nella tinta accompagnato da un’esile unghia porpora. Floreale e fruttato, ha ilfondo di nocciola di ciliegia. Al palato l’alcool si espande e tende a dominare l’equilibrio, il tannino e l’acidità tendonoa nascondersi nelle morbidezze; si crea quindi un finale condito da un fruttato marmel-latoso e da una chiusura amaricante.

Si ringrazia per la performance di degustazione la Compagnia del Morellino composta da: Carlo Barni, GianlucaBianucci, Luca D’Antraccoli, Maurizio Giovannini, Antonio Papini, Giovanni Tresca Carducci e Giulio Ulivieri.

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Notevole soddisfazione delle aziende e deglioperatori del settore food & beverage perla quattro giorni espositiva dedicata all’ali-

mentazione extradomestica alla Fiera di Rimini.E non poteva essere altrimenti. Cinque manifes-tazioni in contemporanea hanno offerto un panora-ma unico e specializzato del mercato alimentare conla 39.ma Mostra Internazionale dell’Alimentazione(con le sezioni Catering, Specialità Regionali,Sandwiches & Snacks, Biocatering, Gluten Free,Logistics, Frigus), l’undicesimo Pianeta BirraBeverage & Co. (esposizione internazionale di birre,bevande, snacks, attrezzature e arredamenti perpub e pizzerie), l’ottavo MSE Seafood&Processing(salone internazionale delle tecnologie e dei prodot-ti della pesca), il quinto Oro Giallo (salone inter-nazionale dell’olio extravergine di oliva) e, dulcisin fundo, il primo appuntamento con DiVino Lounge– wine, food and more, dedicato a vini, spu-manti e champagne. Complessivamente quasi 1.500aziende hanno occupato qual-cosa come 100mila mq delquartiere fieristico riminese. Ivisitatori professionali inter-

venuti sono stati 82.977 deiquali 2.832 dall’estero. Dasottolineare la grande visibi-lità mediatica dell’evento.Grazie all’autorevolezza rag-giunta dall’appuntamento,si sono accreditati 675 gior-nalisti (570 alla precedenteedizione) tra italiani e stra-nieri. Nelle quattro giornate inviati della stampaspecializzata italiana e internazionale, della gran-de stampa nazionale, regionale e locale, hannoaffollato i padiglioni fieristici e principali tg e grnazionali hanno seguito le varie attività propostecon servizi e approfondimenti.In evidenza il DiVino Lounge, organizzato da La MadiaTravelfood con la partecipazione dell’AssociazioneItaliana Sommeliers e della Worldwide SommelierAssociation. La nuova sezione rivolta al nettare di Bacco hadebuttato con un’importante risposta da parte digrossisti, distributori, importatori, ma anche digestori di locali serali e di esercizi pubblici.Dedicato a tutto ciò che ruota intorno al mondodi vini, spumanti e champagne, il DiVino ha rac-

colto i consensi di aziendemolto prestigiose anche peril format particolarmenteinnovativo. Si proponevanoinfatti tre aree: wine, condegustazioni guidate in col-laborazione con l’Ais; food,

Il grande debutto

di DiVino Lounge

ALLA MOSTRA INTERNAZIONALEDELL’ALIMENTAZIONE DI RIMINIVINI E SPUMANTI RECITANO

UN RUOLO DA PROTAGONISTI

di Emanuele Lavizzari

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Merotto Spumanti - Via Scandolera 21, 31010 Col San Martino Treviso - Italia. Tel. +39 0438 989000 - Fax +39 0438 989800

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con carta dei vini a cura dell’Enoteca Regionaledell’Emilia Romagna e delle acque in abbinamen-to a cibi gourmet; business, con una welcomearea per meeting con buyers esteri e italiani.DiVino Lounge ha così rappresentato per le azien-de produttrici il punto d’incontro privilegiato consommeliers, ristoratori e chefs. L’Ais ha proposto degustazioni per i numerosiappassionati accorsi nel padiglione A1. C’è statosolo l’imbarazzo della scelta: i vini di Sicilia, cham-pagne e spumanti, i grandi rossi d’Italia, le miglio-ri bottiglie di Aglianico e diverse etichette premia-te con in 5 grappoli dalla guida Duemilavini 2009.Il bilancio dell’evento riminese è sicuramente posi-tivo. Nel suo percorso di crescita la MostraInternazionale dell’Alimentazione ha puntatorisorse notevoli per aumentare il tasso di inter-nazionalizzazione. Le giornate della 39.ma edi-zione della MIA hanno infatti proposto la Borsadi Cooperazione Internazionale con circa ottan-ta buyers provenienti da Australia, Austria, Belgio,Bulgaria, Croazia, Francia, Germania, GranBretagna, Grecia, Israele, Marocco, Montenegro,Polonia, Repubblica Ceca, Serbia, Spagna,Svizzera e Ungheria. In collaborazione con l’ICE,l’Istituto Nazionale per il Commercio Estero, sonoarrivate in visita a Rimini anche delegazioni pro-venienti da Canada, India, Danimarca, Finlandia,Polonia, Svezia, Russia, Estonia, Lituania,Lettonia e Norvegia. Il prossimo appuntamentocon la MIA nel febbraio 2010 si preannuncia per-ciò sempre più cosmopolita.

▲ Una degustazione Ais animata da Roberto Gardini

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C’è chi dice che noi siamo i letti nei quali siamo stati. Di certo unterritorio è i cibi e i vini che su di esso sono cresciuti e che tra-mite la storia sono giunti fino a noi, per deliziare le nostre tavo-

le e talvolta anche i nostri letti. Tra tutti i luoghi italiani ce n’è uno chesicuramente più di altri si può dire vocato: il Parmense. È ai piedi del Po, nel bel mezzo della pianura Padana, tra Lombardia e

Emilia, in piena Val Padana, che sono nati alcuni dei salumi più mira-bili che si conoscano, come il Prosciutto di Parma, natural-

mente, ma anche come il Culatello di Zibello, la Coppa diParma e il Salame Felino.

Questa terra è stata particolarmente genero-sa, perché, oltre all’arte della salumeria, hainsegnato agli uomini, dagli etruschi ai giorninostri, anche altre arti, come quella della tra-sformazione del latte in Parmigiano Reggiano,il formaggio più noto al mondo, anche unodei più buoni. Dalla trasformazione alla conservazione il passoè breve. È per questo che, sempre in questecampagne, è stata inventata, a inizio Novecento,la Stazione Sperimentale delle Conserve, cheancora esiste e che ha esaltato le caratteristi-che dell’oro rosso, ovvero del pomodoro. Da que-ste parti naturalmente non ci si fa mancareniente, e così, ecco che la terra dona agli uomi-ni anche i vini dei Colli di Parma e altre preli-batezze, come il Porcino di Valtaro. Se si man-gia e si beve bene, allora si pensa anche bene:è per questo che Parma è stata scelta come sededell’Efsa, l’Authority Europea per la Sicurezza

Alimentare, ma è anche per questo che nella“Food Valley”, come ormai è stata ribat-

tezzata questa area ad alto contenuto digolosità, sorgono i Musei del Cibo.

A Parmala tavola è storia, sapori e cultura

di Letizia Magnani

VIAGGIO TRA I SAPORI DEL TERRITORIO EMILIANO, ALLA SCOPERTA DELLE ECCELLENZE FAMOSE NEL MONDO

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■■■ PARMA, LA CAPITALE DEL GUSTO Cuscinetto fra i domini pontifici e la Lombardia, Parma è stata per seco-li, e ancora è oggi, punto di transito privilegiato attraverso l’Appenninoper i collegamenti tra Nord e Sud dell’Italia e dell’Europa. Da qui passa-va la via Francigena, che già nel Mille, conduceva i pellegrini a Roma. Inquesto crocevia naturale hanno regnato i Farnese, di stirpe romana, iBorbone di Spagna e di Francia, l’austriaca Maria Luigia. Alla Corte diParma sono stati creati i migliori piatti delle cucine europee, sapientemen-te rivisitati grazie al gusto e ai prodotti locali, dando vita a un ricco e raf-finato repertorio di prelibatezze. Ora questa cultura dei sapori è raccoltae raccontata nei Musei del Cibo, che sono stati pensati, ci verrebbe dadire, col metodo Ais. Qui infatti, oltre a mettere in scena la storia delprodotto e del territorio (perché tramite il prodotto si scopre il territorio eviceversa, in un rapporto nuziale inscindibile) si fa anche educazione algusto. L’idea è quella di prendere per mano i visitatori e di condurli a cono-scere i buoni prodotti della tradizione, per saperli riconoscere e scegliereconsapevolmente.

■■■ I MUSEI DEL CIBO DI PARMAÈ questo che raccontano Giancarlo Gonizzi e Gianpaolo Mura, rispettiva-mente coordinatore e presidente dei musei. Al momento il territorio par-mense ospita tre Musei del cibo: quello del Parmigiano Reggiano, a Soragna,quello del Prosciutto e dei Salumi parmigiani, a Langhirano, e quello delSalame, a Felino. Presto però verrà inaugurato anche il quarto museo delcibo, dedicato interamente al Pomodoro. Che cosa c’entra il pomodoro conParma? Tutto e niente. È qui, che, grazie alla generosità della terra, perla prima volta, ci si deve ingegnare sul tema della trasformazione e dellaconservazione (in breve, dal latte al Parmigiano Reggiano, ma anche dalsuino ai prelibati salumi di queste zone). E sono queste due parole, tra-sformazione e conservazione, che legano fra loro tutti i prodotti, dal pro-sciutto al salame, dal parmigiano al pomodoro. Come conservare e tra-sformare questi particolari materiali di cui si dispone? La genialità e

▲ Norcini della ditta ArchimedeRossi di Collecchio, 1920

▲ Una locandina d'epoca per la ditta GinoTanzi di Sala Baganza

� La vetrina di una tipica salumeria di Parma

▲ Battitura e analisi della forma di Parmigiano

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praticabilità della soluzione ha determinato le straordinarie filiere dei pro-dotti tipici.La storia del pomodoro è legata alla creatività di Carlo Rognoni, agrono-mo che capì l’importanza di questo prodotto e lo propagandò come colti-vazione sperimentale. Altri, come lui, si appassionarono al pomodoro, daBizzozero a Solari, e le Casse di Risparmio, nate da poco, sostennero lasperimentazione. Ma non basta coltivare una nuova pianta, occorre cheil mercato compri il prodotto che ne deriva. L’intuizione vera fu quindi laconservazione; si affacciano così alla storia i pionieri dell’industria nascen-te: Mutti, Pagani, Rodolfi, Pezziol e altri ancora, che daranno vita adelle vere e proprie dinastie di imprenditori. Il sistema del pomo-doro decolla però solo nel 1922 quando vede la luce aParma la Stazione Sperimentale delle Conserve.Da qui nascono la pasta al pomodoro,l’industria del pomodoro, ma anche laMostra delle Conserve (antesignana del-l’odierno CIBUS). Presto questa affasci-nante storia sarà raccontata in unmuseo dedicato all’oro rosso.

■■■ UNA CASA PER IL “RE DEI FORMAGGI” Conservazione e racconto sono fonda-mentali anche per andare alla scopertadel Parmigiano Reggiano, il “Re dei for-maggi”, la cui storia si può ripercorre-re nel museo che si trova nel CaselloMeli-Lupi, a Soragna, nel complesso“Castellazzi”. L’antico caseificio, dallastruttura circolare, è stato adibito amoderno museo, dove sono raccoltioggetti e materiali provenienti dall’inte-ro territorio di produzione del ParmigianoReggiano. Il percorso è storico: nel corpopiù antico del fabbricato ci sono glioggetti necessari alla trasformazione,mentre nella parte più moderna sonostate allestite le sezioni non collegatecon la trasformazione. In un salatoio interrato si possonoripercorrere le fasi della salatura,ma anche il racconto del pro-dotto, dalle sue origini, allasua storia, passando per ilsuo impiego gastrono-

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▲ L'apertura della forma di Parmigiano

▲ Una sala del museo dedicato alParmigiano Reggiano

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mico. Proseguendo il viaggio, si entra nella camera del latte sopraelevata,dove si trovano le sezioni dedicate alla stagionatura, alla commercializza-zione e al Consorzio di Tutela della Denominazione d’Origine. Ampio spa-zio è dato al tema della pubblicità e della comunicazione, grazie alle qualiquesto prodotto, unico al mondo, è stato conosciuto (e copiato) ovunque neicinque continenti. Nonostante le tante copie, però, nel museo si capisceperché ogni pezzo di Parmigiano Reggiano sia un’opera d’arte: solo l’aria,l’umidità e la passione di questa terra, infatti, possono dare ogni anno formebuone e perfette.

■■■ DOLCE COME IL PROSCIUTTO DI PARMA La comunicazione (e la dolcezza) ha reso famoso nel mondo anche ilProsciutto di Parma, unico per sapore e forma. La differenza la fa, anco-ra una volta l’aria, ma anche, non va mai dimenticato, il suino. E’ proprioal maiale che sono dedicati gli altri due musei del cibo, ed è in quello delProsciutto e dei salumi di Parma che si scoprono vita, morte e miracolidi un maiale che non si può certo dire comune. Spostandosi da Soragnaa Langhirano si entra nel regno vero e proprio del gusto. È solo qui, nelForo Boario, ora divenuto museo, che si intuisce quanto ingegno e quan-ta cultura ci siano in una fetta di prosciutto. Il museo è organizzato in ottosezioni e, non stupirà, il percorso di visita inizia dal territorio, con la descri-zione dell’agricoltura parmense dall’antichità all’Ottocento. Nella seconda sezione, dedicata alle razze suine, si ripercorre la storia delmaiale. Ma per un ottimo prosciutto non basta la carne, servono anchel’aria, il tempo e il sale. Al principale strumento di conservazione dei cibiè dedicata una intera sala. Il sapore inconfondibile del Prosciutto di Parmaè dato da un sale particolare, di terra, che veniva (e viene ancora) ricava-to sfruttando i pozzi di Salsomaggiore Terme. Nelle altre sale vengono rac-contate l’arte della norcineria e quella degli altri salumi di Parma, i loroimpieghi in cucina, l’evoluzione delle tecniche di lavorazione del prosciut-to e le certificazioni. La scelta dell’ex Foro Boario di Langhirano come sededel Museo ha consentito il recupero funzionale di una struttura legata allavita economica di questa terra e, nel contempo, la sua trasformazione inuno strumento di lettura e comprensione dell’attività alimentare odierna.

■■■ TU CHIAMALO, SE VUOI, SALAME FELINOCosa sarebbe la tavola senza il salame? Anche gli egizi lo sapevano, èper questo che nella tomba di Ramses III vengono raffigurati dei salamiappesi, a testimonianza del fatto che al gusto nessuno può rinunciare. Edè proprio al gusto che si ispira il Museo del Salame Felino, a Felino,

testimone del rapporto privilegiato instaurato nel tempo tra questo capo-lavoro culinario e il suo territorio d’origine. Felino rende così omag-

gio al suo figlio più amato, la cui storia ha trovato casa negli splen-didi locali settecenteschi delle cantine del castello.

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▲ Marchio del Consorzio del Prosciutto di Parma

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Musei del Cibo: www.museidelcibo.it

Museo del Parmigiano ReggianoC/o Corte Castellazzi - Via Volta, 5 - Soragna (PR)Info: 0524 596129, [email protected];Aperto dal primo marzo all’8 dicembre Visita con degustazione: 5 euro

Museo del Prosciutto e dei salumi di ParmaC/o Ex Foro Boario - Via Bocchialini, 7 - Langhirano ( PR)Info: 0521 864324, [email protected] dal primo marzo all’8 dicembre Visita: 3 euroAssaggio di Prosciutto di Parma: 3 euro

Museo del Salame di Felino C/o Castello di Felino Strada al Castello, 1 - 43035 Felino ( PR)Info: 0521 831809, [email protected] Visita con degustazione: 5 euro

GLI INDIRIZZI

Il Museo è l’occasione per apprezzare non solo l’essenza di quello che èstato definito il principe dei salami, ma il territorio e la comunità di cui èespressione, a partire dalla qualità delle materie prime, fino alla sapien-za delle mani che continuano a lavorarlo. Organizzato in cinque sezioni,il percorso di visita inizia con le testimonianze storiche del rapporto traFelino, il salame e il maiale nero parmigiano. Si prosegue parlando di gastronomia, nelle affascinanti cucine del castel-lo, ripercorrendo ricette, miti e riti dei contadini, ma anche dei Gesuiti cheda queste parti erano abili salumieri. Nella sala grande si trova invece lasezione relativa alla norcineria e alla produzione casalinga dell’insaccato.Nel museo si possono vedere molti attrezzi, oggetti e foto d’epoca, che fannointendere che cosa sia davvero la cultura materiale, dal macello in poi,fino ad arrivare alla tavola. La trasformazione e la produzione dei pro-dotti qui seguono ancora i ritmi della natura. Fra le curiosità da nonperdere ci sono il mantello del norcino e una grande macchina insacca-trice da salami. Una sezione è riservata alla commercializzazione e pre-senta la documentazione relativa alla vendita del salame di Felino a par-tire dal Settecento. Infine non mancano le cose insolite, come la storia delDu Tillot, primo ministro del Duca di Parma e marchese di Felino.

▲ Il Museo del Salame Felino e l'ingresso del castello

▲ Lavorazione del Salame Felino, 1930

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Che ci provasse gusto a delizia-re la Germania con le bontàdel made in Italy, lo dicono i

suoi trascorsi da giovane e brillanteintermediario della Regione Molise,impegnato, a soli 22 anni, a espor-tare, proprio lì, prodotti rigorosamen-te italiani: pasta, caffè, olio e vino.Vino, sì, quello che poi, per lui, sareb-be diventato il must, ben interpre-tando e soddisfacendo la realtà tede-sca da esperto conoscitore quale erastato in grado di diventare. Certo,

grazie anche a prodotti di primissi-ma qualità e ad una professionalitàben consolidata nel tempo. Ed ecco Domenico Di Paolo, impren-ditore cinquantenne, insignito comeCavaliere della Stella della SolidarietàItaliana nel 2008 dal presidente dellaRepubblica Giorgio Napolitano, lan-ciarsi, due anni dopo quegli esordi,in questa avventura, come la defi-nisce il cavalier Domenico. E aprirenel 1986, ad Hagen, in Nord RenoVestfalia, la sua “Enotria Vino”,

un’enoteca con vendita al dettaglioe all’ingrosso, una delle 400 miglio-ri di tutta la Germania. Il bilancio, a22 anni di distanza, è favoloso, conun’offerta di prodotti internazionalima che non poteva non puntare suvitigni autoctoni italiani. Il programma enologico è infatti com-pleto e spazia su tutte le regioni dellostivale, isole comprese. Unica in questo senso, l’enoteca siavvale della professionalità di ben seisommeliers Ais. Grazie a loro, qui i

L’italianoche ha stregato

i tedeschi

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privati trovano una vasta scelta divini, un consulto professionale, lapossibilità di degustare e di sceglie-re il prodotto che cercano, sicuri diandare ad acquistare quello giusto.E qui si riforniscono anche i risto-ranti della regione, ai quali vieneofferto un servizio che non si fermaalla consegna della merce. Il cliente viene accompagnato nellascelta delle bottiglie per le quali vieneanche creata appositamente l’etichet-ta. Da non dimenticare il serviziogarantito alle grandi catene alber-ghiere come il Rocco Forte e ilGruppo Althoff, con ristoranti da trestelle Michelin. Clienti che hannoreso questa azienda un nome in tuttala Germania, grazie a una distribu-zione che parte da Hagen per arri-vare ad Amburgo, a Monaco, aBerlino e ad Aquisgrana. Formatosi ai corsi Ais, oggi il cava-lier Domenico, per primo, si avvaleproprio di quella professionalità rico-nosciuta dallo Stato e che ha riso-nanza in tutto il mondo. Fatta di unaserietà, dice Domenico, che la con-traddistingue da molte altre associa-zioni. “Il nostro, dice, è stato il primocorso bilingue tenuto all’estero magestito direttamente dall’Italia, e havisto la nascita di 24 sommeliers. E’importante istruire i ristoratori ita-liani all’estero, perché sono loro cheogni giorno devono confrontarsi coni clienti tedeschi e sono ambasciato-ri in prima linea del made in Italy”. Il suo successo, dunque, lo portaoggi a credere nella necessità di dif-fondere più professionalità anche trai privati, invitandoli a prendere parte

ai corsi Ais con seminari, 30 all’an-no fuori casa e 10 in casa, che luistesso organizza regolarmente. Unmodo, racconta Domenico, per con-solidare così la diffusione della cul-tura del vino italiano. A partire dallasua esperienza personale, quella damaestro degustatore, vera espressio-ne del fascino che il mondo del vinoha sempre esercitato su di lui. “Daragazzo, racconta, quando ancoravivevo in Abruzzo, partecipavo già coninteresse alle vendemmie. In seguitoal conseguimento del diploma all’isti-tuto commerciale, ho preso parte avari corsi istituiti dall’Accademia delMaestro Degustatore”. L’incontro con questa associazioneavvenne per lui negli anni Ottanta,durante il Vinitaly, a Verona. Da ine-sperto, Domenico voleva dare unabase teorica a quella passione. Nenacque un’esperienza più che posi-tiva. Una formazione poi proseguitae che ha dato ottimi frutti: un’azien-da in grado di offrire una panorami-ca completa del vino italiano, con unprogramma standard al quale diaffiancano le novità, rappresentatedai vitigni autoctoni non diffusi, nonconosciuti oppure riscoperti. Per incuriosire la clientela e avvici-narla al mondo del vino italiano, eccola trovata: puntare su arte, musicae moda... Da qui l’idea di organizza-re degustazioni e seminari, abbinan-do vino e cibo, vernissage con arti-sti sia italiani, tra cui in passato, l’ar-tista piemontese Carlo Crosso, siatedeschi come Horst Becking, sfila-te di moda come Miss Italia nelMondo e ricevimenti consolari.

▲ Domenico Di Paolo

▲ Cristian Fabrizi e Daniela Bianco,sommeliers dell'Enoteca Enotria

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E i tedeschi gradiscono, eccome: laclientela è cosmopolita, molto aper-ta a livello internazionale, prediligeil vino italiano e quello francese.Preparata, insomma. E affascinata dall’Italia e dalla suacultura, amante dei viaggi, con unocchio di riguardo a Piemonte, Venetoe Toscana, regioni trainanti della pro-duzione vitivinicola italiana. Solo ulti-mamente hanno iniziato ad interes-sarsi al sud e alle isole e questo haportato ad una conseguente richie-sta di vini di quelle zone, grazie ancheall’ottimo rapporto Qualità-Prezzoofferto. E se i tedeschi rispondono magnifi-camente, gli italiani non sono dameno. Soprattutto gli imprenditori,a maggior ragione quelli impegnatinella ristorazione, mentre i privatisono rimasti, per la maggior partedei casi, molto legati alle loro radicie tradizioni e al motto “La roba fattain casa è sempre la migliore...”. Chiha attività ha cercato di evolversi neltempo, per competere con la gastro-nomia internazionale. Si è avvicina-to al mondo del vino e ne ha capito

l’importanza, al punto che oggi, neiristoranti italiani si trovano carte con80-200 vini. Un dato molto signifi-cativo, che sottolinea l’apprezzamen-to dei prodotti di casa nostra. Soddisfazioni per il cavalier Domenicoinsomma, come le innumerevoli cita-zioni che gli sono state dedicate daparte della stampa nazionale e loca-le e da riviste specializzate come il“Feinschmecker” e il “Wein Gourmet”.Oltre al fatto che proprio a lui sia stataassegnata l’organizzazione di uno deipiù importanti eventi che celebranol’Italia. “Ho avuto l’onore di organiz-zare per ben tre anni la “FestaItaliana” ad Hagen, nel 1990, 1992,1994, con il patrocinio dell’ambascia-ta italiana e dell’Ice, Istituto di com-mercio estero. Una manifestazione centrata sulmade in Italy, della durata di 5 gior-ni, che ha visto la partecipazione dicirca 400 mila persone per strada,con grande risonanza di stampa, “DieZeit”, “Die Welt”, e il riconoscimento,da parte della città, del titolo di mani-festazione di maggior successo daldopoguerra ad oggi”.

▲ I sommeliers della delegazione della Germania settentrionale

▲ Domenico Di Paolo e Daniela Bianco

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Ci sono idee che vanno coltivate. Per esempio quel-la maturata da Pasquale Di Lena, fondatore del-l’associazione delle Città dell’olio. La sua propo-

sta di realizzare una “olivoteca d’Italia” ha avuto sin dasubito i primi favorevoli riscontri. L’idea è stata lancia-ta sul settimanale “Teatro Naturale”, agli inizi di dicem-bre 2008, ed è stata prontamente ripresa dall’agenzia distampa Ansa e successivamente da altri media. Unriscontro iniziale avvenuto sotto i migliori auspici, vistoche già si muovono in diversi, a livello istituzionale e non.In diversi, dunque, si dichiarano pronti in questa faseiniziale di lancio ad accogliere lo spirito che anima la pro-posta e ad aderire al progetto. L’Italia d’altra parte vantaun patrimonio varietale piuttosto esteso. Un decreto mini-steriale del novembre 1993 riporta l’elenco delle cultivard’olivo ufficialmente iscritte nello schedario oleicolo nazio-nale. Elenco che è ripartito secondo un numero progres-sivo da 1 a 395, e che offre una essenziale descrizionecon relativo codice di appartenenza. Un lavoro prezioso,che ci fa capire quanto sia effettivamente importante ilgermoplasma olivicolo, vero punto di forza, più di altri,della nostra olivicoltura. E oggi l’Ivalsa, l’Istituto per la valorizzazione del legno edelle specie arboree di Sesto Fiorentino, riferendosi allarisorse genetiche presenti nei nostri oliveti, ne mette inelenco addirittura 538. E’ dunque il caso non solo divalorizzare, ma di fare, di questo esteso e ricco patrimo-nio di varietà, una risorsa da rendere ancora più felice-mente operativa del solito. Intanto, il primo a scenderein campo, dopo la proposta di Di Lena, è stato il presi-dente della Cia Giuseppe Politi, quindi, a seguire,l’Associazione nazionale delle Città dell’Olio, l’Assitol, ealtri riferimenti istituzionali come la Regione Campania,la Provincia di Campobasso, e molti altri ancora che adoggi hanno manifestato un vivo interesse. C’è da fidar-si, così almeno sembra. E pare infatti che il progettopossa prendere davvero corpo, nella speranza che nonresti tuttavia solo sulla carta. L’idea di approntare unasorta di oliveto speciale, che raccolga tutte le identità, èd’altra parte strategicamente fattibile. “Non solo perché

raccoglie, presenta e promuove il ricco patrimonio di bio-diversità dell’olivicoltura italiana – come opportunamen-te ci tiene a precisare Pasquale Di Lena – ma anche per-ché, a conti fatti, disporre di una olivoteca ben struttu-rata consente oggi di creare una attrazione e un puntodi incontro per studiosi e cultori dell’olivo e dell’olio, finoa diventare anche una meta per turisti, scuole, uni-versità e appassionati consumatori. Pasquale Di Lena già pensa al futuro: “L’Olivoteca d’Italia– dice – dovrà diventare la maglia centrale di una rete distrutture similari a carattere pubblico e di livello regio-nale”. E, con l’intenzione di precisare meglio l’idea delprogetto, insiste: “Noi siamo partiti da pochi dati, suffi-cienti per avere il quadro della realtà dell’olivicoltura ita-liana, all’interno di quella mondiale, e abbiamo visto che,sui 12 miliardi di alberi che esprimono ambienti e pae-saggi spettacolari del nostro Paese, sono ben 224 milio-ni e più gli alberi di olivo, i quali per l’esattezza ricopro-no 1,1 milione di ettari di superficie coltivata a oliveto”. Un numero ragguardevole di piante, non c’è che dire; unnumero su cui peraltro non si è ancora puntato a suffi-cienza, fino ad oggi. E lo si vede peraltro da come vienetrascurata la nostra olivicoltura a livello di Istituzionicentrali. Ci pensate? E’ come assistere alla costruzionedi tante nuove città senza alcun piano regolatore. Voi midirete, ma è quello che accade comunemente. Già, macon l’olivicoltura è ancora peggio. Accade proprio di tutto.C’è pure chi – pensate un po’ – cerca di spacciare culti-var spagnole – proprio così: spagnole – nel tentativo diimportarle in Italia al fine di promuovere e favorire unaspagnolizzazione dei nostri impianti olivetati. Ora, siadetto per inciso: io sono aperto a qualsiasi forma di spe-rimentazione, ma non accetto forme di colonizzazione.Non per una chiusura mentale, ma perché è da idioti, difronte a un vasto patrimonio varietale come il nostro,importare cultivar spagnole. Sorge dunque il dubbio checi sia, da parte di qualcuno, un po’ di malafede. Daqui, l’idea di allestire una Olivoteca d’Italia, oltre che unabella idea in sé, rappresenta anche un baluardo a dife-sa del nostro germoplasma olivicolo.

di Luigi Caricato

L’olivoteca d’Italia,

un’idea vincente

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GLI ASSAGGI“Poggio del Fiore” è un 100% italiano, frutto di un blend di diverse trale più rappresentative cultivar nostrane.

Nel bicchiere. Verde dai riflessi dorati, è limpido alla vista. Al naso haprofumi fruttati di media intensità, puliti e freschi, dalle connotazionierbacee, con rimandi netti al frutto. Al gusto è vegetale, con richiamial carciofo e alla mandorla. Al palato è armonico e vellutato, habuona fluidità e note amare e piccanti ben dosate. In chiusura unalieve punta di piccante e toni mandorlati.

L’abbinamento. Insalata di carciofi con patate e valeriana; gnoc-chetti di segale con cipolle al cartoccio e fagioli; arrosto di maiale alfinocchio.

Olitalia Gourmet, via Meucci 22/a, 47100 Forlì, tel. 0543.794811,www.olitalia.com

“Dagla” è un blend, in produzione limitata, da olive Frantoio (80%),Leccino e Pendolino.

Nel bicchiere. Giallo oro dai riflessi verdolini, si apre al naso con pro-fumi fruttati di media intensità, fini ed eleganti, con toni erbacei e difrutta bianca. Al palato ha buona fluidità ed è morbido e avvolgen-te, armonico, equilibrato nelle note amare e piccanti, con gustovegetale di carciofo e lattuga. In chiusura note floreali, sentori dimandorla e lieve tocco piccante.

L’abbinamento. Pasta di farro alla salvia; insalatina di sedano, mela,montasio e noci; involtini di pesce spada al cartoccio con pomodori-ni.

Boris Pangerc, Dolina 116, 34018 San Dorligo della Valle (Trieste), tel. 040.228541, [email protected]

“Tor de’ Sassi” è un blend da olive Frantoio (40%), Moraiolo (30) eLeccino (30).

Nel bicchiere. Verde dalle sfumature dorate, è limpido alla vista. Alnaso ha profumi fruttati di media intensità, freschi e vegetali. Al pala-to è morbido e suadente, di buona fluidità, con note amare e pic-canti evidenti e nette, persistenti, ma in buon equilibrio. In chiusuranote di erbe di campo e punta piccante.

L’abbinamento. Crema di carote; gnocchi di ricotta e spinaci; tonnofresco scottato con carpaccio di carciofi.

Azienda agricola Francesca Barberini-Tenuta Porta Medaglia, via Porta Medaglia 152, 00134 Roma, tel. 06.7136018, [email protected]

“Cetrone” fruttato intenso 2008, da olive Itrana in purezza.

Nel bicchiere. Verde dagli intensi riflessi oro, è limpido alla vista.All’olfatto ha profumi che rimandano netti al frutto fresco e verde,con marcati sentori erbacei e richiami a frutta bianca. Ha buona flui-dità e armonia al palato, con gusto vegetale di carciofo ed erba dicampo, amaro e piccante netti ma ben dosati. In chiusura i tonimandorlati e la persistenza del piccante.

L’abbinamento. Riso rosso in insalata con salsina alla rucola; mace-donia di pomodori con fagioli cannellini e pecorino; polipo conpomodorini, patate e capperi.

Azienda agricola Gina Cetrone, via Cornarolo 4, Sonnino (Latina),tel. 0773.949008, [email protected], www.cetrone.it

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Una birrasotto la Lanterna

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La data della prima cotta, ovvero della prima produzione ufficiale, èquella del 5 giugno 2008. Nemmeno un anno fa. Eppure il birrificioMaltus Faber di Genova ha ottenuto il massimo riconoscimento, al

pari di soli altri ventuno produttori, sulla Guida alle Birre d’Italia 2009. Ce l’ha fatta con la sua Ambrata, ma quello che stupisce è la rapidità feli-na con cui si è insediato ai vertici qualitativi nazionali. Una rapidità, perl’appunto, che potrebbe quasi destare dei “sospetti” se non si conoscessela storia dei due titolari del birrificio stesso: Massimo Versaci e FaustoMarenco.Cominciamo allora a spiegare che i due si conoscono dal 1992, lavoranoinsieme alla Centrale del Latte di Genova, un’azienda nell’orbita del grup-po Parmalat. Marenco è impegnato nel controllo qualità del prodotto,Versaci nell’ufficio marketing. Più tecnico il primo, orientato al commer-ciale e alla comunicazione il secondo. E già queste, verrebbe da dire, sonodelle buone premesse. Ma i due condividono anche una feroce passioneper la birra: collezionista, organizzatore di corsi e di viaggi birrari MassimoVersaci, eccellente homebrewer Fausto Marenco. Quest’ultimo passa in breve dalle cotte casalinghe a quelle, più impe-gnative, per una nota associazione di Pasturana, nel basso Piemonte, edè probabilmente in queste occasioni che affina la tecnica e il talento. Finoal giorno in cui, con Versaci, decidono di mettersi a “giocare” sul serio,producendo birra in proprio e nella propria città: Genova. Tutto quello chesegue ha in effetti un’accelerazione insolita: viene trovato lo spazio perl’impianto in via Fegino 3, all’interno di uno stabile del centro storicoche ospitava dal 1907 la fabbrica di birra Cervisia, un vero e proprio puntodi riferimento per i genovesi. Sembra un segno del destino e forse lo è. Ilpasso successivo è l’impianto di produzione, un passaggio importante pertutti gli artigiani della birra. “Avremmo potuto acquistarlo semplicemen-te”, spiega oggi Versaci, “ma volevamo qualcosa su misura e che avesse lecaratteristiche tecniche che noi riteniamo irrinunciabili. Vede, molti impian-ti pronti si scontrano poi con le necessità del lavoro quotidiano tra cuiquella, fondamentale, della sanificazione dell’impianto stesso. Non ho detto

DUE COLLEGHI

CHE PRIMA LAVORAVANO

ALLA CENTRALEDEL LATTE DI GENOVADECIDONO DI SEGUIRE

LA LORO PASSIONE

E DI APRIRE

UN BIRRIFICIO

ARTIGIANALE

di Maurizio Maestrelli

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lavaggio, ho detto sanificazione per-ché su questo siamo proprio intran-sigenti. Lo consideriamo un requi-sito sine qua non”. La pulizia dell’impianto è in effettiuna regola sulla quale non si puòdiscutere, perché è una delle basisulle quali si costruisce la qualitàdelle birre. Sarà un aspetto pococreativo, ma è sicuramente unatteggiamento professionale. Fattol’impianto ad hoc su un progetto diproprietà con un’azienda specializ-zata ecco che si parte con la primabirra, quella appunto del 5 giu-gno 2008. Si chiama In Primis, è atiratura numerata e se si è fortu-

nati forse la si può ancora trovare. Noi l’abbiamo assaggiata e l’abbiamotrovata molto corretta, anche elegante, con una bella schiuma fine, iprofumi fruttati e un netto finale amaro al palato. Per essere una cottadi prova, non c’è che dire. “La nostra filosofia produttiva”, continua a rac-contare Versaci, “non fa ricorso in nessun modo alle spezie. Non è che noncondividiamo chi lo fa, solo preferiamo attenerci agli ingredienti base.Lavoriamo sulla miscelazione dei malti, sull’utilizzo dei luppoli e sul lie-vito. Produciamo alcune birre che vanno bevute “fresche” di produzione,anche se tutte hanno un periodo di maturazione in bottiglia prima dellavendita, ma anche delle birre che migliorano con il tempo”. Il birrificio Maltus Faber (Tel. 340.1230069; www.maltusfaber.com;[email protected]) lavora adesso su tre linee: ci sono le birre cosid-dette “base” ovvero la In Primis, la Blonde e l’Ambrata; le birre speciali ostagionali come la Brune, la Triple Blonde e la Birra di Natale; e le birreda meditazione ossia la Extra Brune e l’Imperial. “Ammetto che non abbia-mo dimostrato una grande fantasia nella scelta dei nomi”, scherza Versaci,“ma siamo riusciti a comporre una gamma abbastanza ampia e articola-ta per la nostra clientela. Sono tutte birre di alta fermentazione, non pasto-rizzate e non filtrate, in bottiglia da 0,75”. Una gamma che già si puòtrovare in giro, a Genova ma non solo. Il successo di un’iniziativa, oltreche dai commenti favorevoli, si misura anche con i risultati concreti. Ladistribuzione delle birre di Maltus Faber è affidata in esclusiva per laLiguria a un grossista, altri accordi sono stati già raggiunti o stanno peressere conclusi in altre zone d’Italia. I più interessati sembrano essere,come spesso accade, ristoranti ed enoteche che di anno in anno sembra-no farsi maggiormente affascinare dal gusto e dai profumi delle birre arti-gianali italiane. “Ma, e la cosa ha preso in contropiede anche noi”, con-clude Versaci, “riscontriamo notevoli consensi nelle pizzerie. Ci sono loca-li di questo tipo che stanno imparando come la pizza con la birra artigia-nale possa costituire un matrimonio ideale e che ogni pizza può avere lasua birra in abbinamento perfetto. Qualche tempo fa, ad esempio, abbia-mo organizzato una serata a base di focaccia di Recco e le nostre birre, edè stato un successo oltre le nostre migliori previsioni”. Già, perché seMarenco è il deus ex machina della produzione, la mente sempre rivoltaalle ricette e ai fermentatori, Versaci non si è dimenticato la sua compe-tenza nel marketing. La conoscenza e la diffusione delle birre artigianali passa necessariamen-te attraverso il passaparola, le piccole ma appassionanti iniziative rivoltealla degustazione e ai possibili abbinamenti. Una sorta di “torrente car-sico” della comunicazione che non compare sulle pubblicità dei giornalima che, lentamente, sta facendo capire al grande pubblico come le birrenon sono solo i grandi marchi. I piccoli artigiani, in definitiva, sono allariscossa, conquistandosi un loro mercato. Di nicchia, indubbiamente, manon per questo meno importante, forse anche più interessante, di quellogovernato dalla legge dei grandi numeri.

▲ Massimo Versaci e Fausto Marenco

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In Olandasi curavano

con il gin

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IL GENEVER VENIVA

BEVUTO A SCOPO

MEDICINALE CONTRO LA

CATTIVA DIGESTIONE

E ALTRI DISTURBI: GLI ALLEATI INGLESI

LO CONOBBERO NELLA

TERRA DEI TULIPANI

DURANTE LA GUERRA

DEI TRENT’ANNI

E DECISERO

DI PORTARLO

OLTREMANICA

di Angelo Matteucci

Immaginate una giornata faticosa, apparentemente interminabile:difficoltà e contrattempi ci fanno desiderare con impazienza la sua fineper assaporare la libertà della sera che finalmente arriva con uno splen-

dido tramonto da contemplare in allegria e distensione con le persone piùcare, seduti al bar preferito con terrazzo a picco sul mare. Sul tavolo davanti a noi vi è un bicchiere alto, appannato da gocciolineformate dalla diversa temperatura tra il contenuto ghiacciato e la tiepidatemperatura serale. Il ghiaccio nel bicchiere si scioglie lentamente e le bol-licine a scatti si staccano dal fondo per esplodere in superficie. Il drink èun perfetto gin & tonic preparato con maestria dal barman amico ed è losplendido compagno rilassante di quel felice momento.A differenza di altri distillati il gin, nell’immagine del consumatore, è unprodotto metropolitano legato soprattutto al capoluogo britannico per ladenominazione London Dry gin. Contrariamente a quanto si crede, nonnacque in Inghilterra ma vide la luce in Olanda probabilmente nella secon-da parte del XVI secolo a scopo medicinale contro la cattiva digestione pervolere di Sylvius e Franciscus de la Boe, entrambi medici e professori del-l’università di Leida. A purissimo alcol varie volte distillato furono aggiun-ti in infusione alcuni elementi botanici comprese bacche di ginepro perdistillare l’infuso ancora una volta. Ben presto il genever, come è chiamato in Olanda, varcò l’uscio dell’alchi-mista per essere considerato un ottimo medicinale per vari disturbi edanche una piacevole bevanda con aromi derivanti da bacche di ginepro,semi di coriandolo, liquirizia, angelica e altro. Il distillato ha una storiaparticolare con alterne fortune dato che nella sua lunga esistenza fu edè talvolta prodotto e presentato in modo incorretto pur avendo nobili ori-gini. Fu largamente utilizzato anche dalle truppe olandesi prima delle bat-taglie per dare coraggio ai soldati. Gli alleati inglesi di stanza nei PaesiBassi durante la guerra dei trent’anni (1618-1648) impararono a farnelargo uso decidendo di portare il genever in patria al loro ritorno. InInghilterra in quel periodo la nobiltà e l’alto clero bevevano vino e cognacimportati dal territorio francese mentre il popolo consumava esclusiva-

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mente birra locale. I produttori di birra inglesi colsero al balzo l’opportu-nità di iniziare anch’essi l’attività di distillatori utilizzando cereale e bac-che di ginepro senza peraltro aggiungere elementi botanici particolari. Nel1638 fu fondata a Londra la Company of Distillers che stabilì regole attea premiare la purezza dei distillati con più passaggi in alambicco. L’ascesa al trono d’Inghilterra di William III d’Orange nel 1689 favorì l’im-portazione del distillato dall’Olanda, boicottando così vini e distillati dellanemica Francia. Il successo del genever olandese in territorio inglese edil distillato locale (denominato geneva ed in seguito gin) uniti divennero labevanda nazionale politicamente legata all’Inghilterra protestante, men-tre il francese cognac era visto come simbolo cattolico. La produzione digin esplose in quegli anni raggiungendo consumi da capogiro nel verosenso della parola! Nel 1730 solamente nel territorio metropolitano lon-dinese vi erano settemila vendite di liquori. La produzione fu lasciata anchenelle mani di locandieri, spesso senza scrupoli, che distillavano con meto-di rudimentali e con risultati catastrofici per la salute dei cittadini. La ven-dita di pessimo gin corretto con miele per renderlo dolce e meno sgrade-vole, raggiunse nel 1743 ben settanta milioni di litri con una popolazio-ne inglese di sei milioni. Si può facilmente comprendere che il basso costodel gin alla portata di tutti indusse larghi strati della popolazione menoabbiente allo stato di alcolismo cronico, piaga particolarmente nociva perle donne, soprattutto madri che traevano il loro sostentamento esclusiva-mente dal gin. In quel periodo il tasso di mortalità a Londra superava quel-lo delle nascite con picchi altissimi per i bambini. Il parlamento britan-nico prese vari provvedimenti e solamente nel 1751 riuscì a porre un frenoa questa epidemia. La tassa alcol aumentò sensibilmente rendendo il ginnotevolmente più costoso. Un maggior controllo da parte delle autoritàridusse la possibilità di bere smodatamente e la qualità del gin miglioròraggiungendo e probabilmente superando il livello originale. Vi furono grandissime proteste e tafferugli in tutto il Paese che si spense-ro nel tempo. A Londra, tuttavia alcuni distillatori di grande capacità eserietà professionale producevano gin di qualità. I nomi che sono giuntiai nostri giorni sono i fratelli londinesi Robert e Daniel Booth che inizia-rono la distillazione nel 1742 e lo scozzese Alexander Gordon che aprì lasua distilleria a Londra nel 1769 ed altri ancora che, sempre nel capoluo-go inglese, produssero un eccellente gin secco, pulito che chiamaronoLondon Dry Gin. In seguito si unirono ai nomi citati altri che produsseroi gin Tanqueray, Bombay e Beefeater’s. Nel 1793 nacque nella città diPlymouth sulla Manica la distilleria omonima che opera ancora nelluogo originale ricavato da un antico monastero benedettino. E’ l’unicogin con denominazione geografica (Plymouth gin) mentre il non protettoLondon Dry Gin può essere prodotto ovunque. Nel frattempo altre bevan-de, un tempo riservate alla nobiltà, furono introdotte sul mercato a prez-zi abbordabili. Ci riferiamo al caffè, alla cioccolata e soprattutto al tè importato dai domi-ni britannici che divenne la bevanda per tutti gli strati sociali. Nel XIXsecolo il gin inglese iniziò la distribuzione in bottiglia che diede maggiorimpulso alla sua distribuzione mondiale. Divenne la bevanda della RealeMarina e seguì i britannici nel Commonwealth. In India fu particolarmen-te apprezzato miscelato con acqua al chinino (dolcificata e gassata), Indiantonic water che rese il gin & tonic la bevanda alcolica di fama mondiale. Sempre nel XIX secolo furono preparate le prime miscele coadiuvate daghiaccio che presero nome di cocktail resi famosi negli anni venti e triste-mente famosi durante il proibizionismo statunitense (1919-1933) quan-do in molti casi il gin usato era di pessima qualità. Ancora oggi si produ-cono alcune qualità di gin economici di scarso valore che vengono servi-ti in certi bar non qualificati e soprattutto nel mondo della notte.Sua maestà il gin, il più versatile tra i distillati, è comunque vincente gra-zie all’ottima produzione in generale e per il fatto che nella preparazionedi una bevanda a base di gin viene spesso richiesta la marca favorita dalconsumatore esigente che sa apprezzare le cose buone della vita.

▲ Un ''Gin Toddy'', preparato con gin, acqua, limone, zucchero e cannella

▲ Bacche di ginepro, semi dicoriandolo, liquirizia e angelica,ingredienti botanici del gin

▲ Il Plymouth, l'unico gin condenominazione geografica,e lo storico Gordon's Gin

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Le nanotecnologie nuotano

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Come appare evidente nontutte le acque sono adatte adessere consumate dall’esse-

re umano. Per essere tali, cioè pernon arrecare danno all’organismo senon, addirittura, causare la mortedi chi le beve, devono, infatti, rispon-dere al requisito della potabilità. Untempo sul territorio italiano era pos-sibile commercializzare e consuma-re unicamente due tipi di acque. Conl’attuale disciplina di derivazioneeuropea, che si esplicita nel decre-to legge n. 339 del 1998 e n. 31 del2001, ai fini dell’immissione in ven-dita, non è più rilevante l’origine del-l’acqua, ma unicamente la sua cor-rispondenza alle caratteristiche dipotabilità previste dalla normativavigente. Di conseguenza nella nostrapenisola sono commercializzateessenzialmente due diverse macro-tipologie di acque: le acque cosiddet-te “non trattate”, che si identifica-no nelle acque “di sorgente” e nelleacque “minerali”, e le acque “tratta-te”, come l’acqua “dell’acquedotto”(ovvero l’acqua di rubinetto, dettaanche acqua “del Sindaco”) e l’acqua“purificata”. Quest’ultima, dopo esserstata depurata, viene demineraliz-zata ed equilibrata, prima di essereimmessa al consumo. Questo pro-dotto ha riscosso già da tempo un

grande successo, soprattutto negliStati Uniti, dove è tra l’altro spessopresente, come ormai anche in Italia,nei cosiddetti “boccioni”, ovvero i“water coolers” che, secondo lanostra legislazione, possono conte-nere anche acque “di sorgente”, men-tre risulta vietato, in questi partico-lari contenitori, l’impiego di acquericonosciute, da parte del Ministero

della Sanità, come minerali. Tra le novità in tema di depurazioneriveste, indubbiamente, grande rilie-vo, quella dell’impiego di tecnologiehi tech ed, in particolare, di nano-tecnologie. Queste ultime sono, infat-ti, sempre maggiormente presenti inambito gastronomico dove, da tempo,si parla ormai di nanofoods. Ma cosasono le nanotecnologie? Si tratta diun insieme di procedimenti che con-sentono la manipolazione della mate-ria a livello molecolare ed atomicosulla scala di un miliardesimo dimetro. E’ indubbiamente la novitàscientifica più rilevante del nostrosecolo e le sue applicazioni prati-che risultano essere infinite. In realtà già incontriamo tali tecni-che di manipolazione della materianella nostra vita quotidiana, pursenza rendercene conto: in alcunifarmaci, nelle marmitte catalitiche,in diverse creme antirughe, che uti-lizzano l’ossido di titanio, in varidentifrici, ma anche in pellicole ali-mentari e nella produzione di padel-le, come accade, ad esempio, inVeneto dove un’azienda impiega car-bonanotubes, ovvero molecole dicarbonio legate tra di loro in mododa formare nanotubi più resistentidell’acciaio. Si parla addirittura di approntare,

di Davide Oltolini

▲ Un “Water Cooler”, da noi spessoindicato come “boccione” d'acqua

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nel giro di non molti anni, comesostiene lo statunitense RayKurzweil, esperto di intelligenze arti-ficiali, dei nanorobot che, per mezzodel nostro sistema circolatoriopotrebbero arrivare al cervello e lìoperare in sinergia con lui. Per quan-to riguarda i nanofoods si possono,invece citare diversi cioccolati, maio-nese, chewingum ed altri ancora. Lo scorso anno il giro d’affari nelmondo per i materiali nano-tech ammontava a 50 miliar-di di dollari e, prima dellarecente crisi economica, iltasso di crescita annuodelle aziende che vi sidedicano era, addirittu-ra, del 28%. Il vero pro-blema è, però, quello diriuscire a capire se le par-ticelle impiegate dallenanotecnologie, soprattut-to (ma non unicamente) quel-le utilizzate in ambito gastro-nomico, siano, o meno, pericolo-se per la salute dell’essere umano.A tal proposito lo scorso anno laCommissione Ue ha, infatti, incari-cato l’Efsa (European Food SafetyAuthority), cioè l’Autorità europeaper la sicurezza alimentare, che sioccupa della valutazione dei rischirelativi all’alimentazione umana eanimale fornendo consulenza scien-tifica indipendente, di approfondireadeguatamente l’argomento. In ognicaso, a livello medico, non si cono-scono ancora, almeno con precisio-ne, gli effetti che tali tecnologie hannoo possono avere sul corpo umano. Si tratta di un aspetto estremamen-te rilevante, anche perché le nano-particelle sono in grado di penetra-re all’interno delle cellule, risultan-do, quindi, assolutamente indispen-sabile che siano biodegradabili, alfine di scongiurare anche gli effettinegativi di un’introduzione nell’or-ganismo che potrebbe essere prolun-gata nel tempo. Ma, in particolare, come avvienel’applicazione della nanotec-nologia nel campo delladepurazione dellea c q u e ?S i

tratta di un processo ideato da PeterMajewski e Chiu Ping Chan,dell’Università del Sud Australia, checonsente un rilevante abbattimentodei costi di purificazione di questeultime, con conseguenti enormi van-taggi economici. Minuscole particel-

le di silice rivestite da uno stratonanometrico di un idrocarburo, chefunge, così, da sostanza attiva, pos-sono essere impiegate al fine delladepurazione dell’acqua da virus, bat-teri e sostanze chimiche tossiche perl’uomo. La silice (SiO2), solido cristal-lino di colore bianco, è un compostodel silicio. La natura di semiconduttore di que-st’ultimo ne suggerisce l'impiego nelsettore dell'ingegneria elettronica,

come, ad esempio, nella fabbrica-zione di circuiti integrati e di variulteriori componenti elettronici. Nel processo di depurazione lapolvere di silice si mescola all’ac-qua dove rimane ad agire percirca una sessantina di minu-ti. Successivamente il liquidomischiato con tale polvere nano-

tecnologica viene sottoposto a fil-trazione e risulterà, così, alla fine

del processo, del tutto privo di agen-ti patogeni. Questi ultimi, infatti, rimangono ine-vitabilmente intrappolati sulla super-ficie delle particelle a causa dell’at-trazione elettrostatica (l’elettrosta-tica è, infatti, quella branca della fisi-ca che studia le forze esercitate daun campo elettrico stazionario, ovve-ro che non muta col tempo, su corpicarichi). Concludiamo questo nostro piccolo“viaggio” nel mondo della più recen-ti tecnologie regalando ai lettori di DeVinis una curiosa anticipazione: untempo quelli che erano considerati iprodotti dell’alta tecnologia venivanomisurati in “Milli” prefisso 0,001(ovvero in millimetri), poi è arrivata lacosiddetta microtecnologia che si evi-denzia in “Mikro” prefisso 0,000001ed ora siamo alfine giunti, come illu-strato, alla nanotecnologia: “Nano”prefisso 0,000000001. Qual è, quin-di, il termine che potrebbe, un gior-no, contraddistinguere la tecnologiadel futuro, se continuerà tale incre-dibile evoluzione? Si tratta di pico-tecnologia da “Piko” prefisso

0,000000000001. Avremo vistogiusto? Conservate questo arti-

colo e ne riparleremo tra unacinquantina d’anni.

Prosit.

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Il vinodel pittore

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La pittura e il vino si sono incontrati molte volte,perché il vino non è esclusivamente materia ecolore ma è anche luminosità e metamorfosi. I

pittori da sempre sono legati al vino, musa ispiratricee fuoco vitale ma d’altro canto anche il vignaiolo, comeil pittore, possiede una sua tavolozza dove dosa e tra-sforma, mescola e crea, giocando con le leggi naturaliche presiedono alla fermentazione e all’evoluzione delvino. Insomma il vino e la pittura sono due modi diver-si di interpretare la vita. Non c’è da stupirsi dunquese il passaggio da artista a vignaiolo, per Angelo Accadia,sia avvenuto in maniera naturale, come la sempliceconseguenza di pensieri, passioni e scelte.Ed è stata proprio la decisione di stabilirsi nel cuoredelle Marche, sulle dolci colline a sinistra del fiumeEsino, tra la frazione Sasso e Castellaro di Serra SanQuirico, in provincia di Ancona, e il desiderio di viverein una casa colonica con annesso piccolo vigneto a spin-gere il pittore Accadia, dotato di una spiccata vena arti-stica, a mettere in un angolo tavolozza e pennelli e adedicarsi totalmente al vino.«L’artista nasce prima del vino» spiega Angelo. «La miavita era incentrata prevalentemente sull’arte, la pittu-ra e la scultura e il vino era un piacere che apprezza-vo ma che non condizionava la mia vita. Oggi natural-

mente accade il contrario, però se devo essere since-ro, non so se quella per il vino sia una passione che èsempre stata dentro di me oppure sia nata con il tempoper l’energia e l’attenzione che richiede il lavoro di chiproduce vino. Comunque continuo a dipingere, a scol-pire ed espongo le mie opere in giro per il mondo».E infatti appena si entra in azienda la prima cosa checolpisce l’attenzione sono i quadri dai colori vivi e lesculture che campeggiano solitarie come divinità silen-ziose.

■■■ Ma perché un pittore diventa vignaiolo?«Mia moglie ed io abbiamo comprato questa casa nel1979 e ci siamo trasferiti per un certo periodo. Vivendoqui ce ne siamo innamorati a tal punto da decidere distabilirci definitivamente. Oltre alla casa colonica abbia-mo acquistato il piccolo appezzamento di terra in partevitato, detto vigneto storico, dove veniva coltivata unamolteplicità di uve che servivano sia per le esigenze dichi viveva qui prima di noi sia per farne vino.Inizialmente il poco vino prodotto era esclusivamentedestinato alla nostra tavola e agli amici. Sono stati pro-prio loro a spingerci “ad allargare la cerchia”, a farloassaggiare anche ad altri. Abbiamo deciso quindi dipiantare nuove viti. L’azienda vera e propria è nata

di Francesca Cantiani

▲ Angelo Accadia nella sua vigna ▲ La campagna a Serra San Quirico

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nel 1983 e può contare su cinque ettari, posti a 370metri di altezza, messi a dimora nel 1991, e dove gra-zie ad un attento lavoro di selezione di porta-innesti edi cloni dell’impianto siamo riusciti a realizzare vini diforte personalità».

■■■ Si è avvalso della collaborazione di un esperto?«Effettivamente è dalla conoscenza di un agronomo cheè nata l’idea di impiantare un vigneto di uve biancheVerdicchio per ottenere il vino Verdicchio dei Castelli diJesi nella tipologia Classico e Superiore e di mettere adimora un vigneto di uve nere Montepulciano,Sangiovese e Lacrima per ottenere il vino Rosso Piceno.La collaborazione ha portato di conseguenza alla neces-sità di organizzare in modo ottimale il vigneto e la can-tina e alla scelta delle attrezzature più idonee per lagestione del vigneto, per la spremitura e la conserva-zione del vino. Inoltre la tipologia del nostro vino è deter-minata dalla scelta degli appezzamenti, sempre a bassoimpatto ambientale, sulla base delle caratteristiche mor-fologiche del terreno».

■■■ Si può dire che è un lavoro partito in silenzio, quasiin sordina, ma che ha portato ad ottimi risultati? «Esatto. Pensi che all’inizio vendevamo il vino sfuso.Abbiamo cominciato ad imbottigliarlo nel 1985 e daquel momento è stato un crescendo, con un aumentoinaspettato della produzione. Oggi produciamo trenta-cinquemila bottiglie, che non solo distribuiamo su tuttoil territorio nazionale ma esportiamo anche all’estero:Danimarca, Germania, Stati Uniti, Canada, Giappone.La nostra soddisfazione maggiore è che i nostri vini sonoapprezzati in molte parti del mondo».

■■■ Quali sono i vini che producete?«Il nostro prodotto di punta è Cantorì, Verdicchio deiCastelli di Jesi Classico Superiore Doc. Viene ottenu-to dalla selezione di uve Verdicchio in campo, in appez-

zamenti di vigneto con esposizione climatica e carat-teristiche morfologiche particolari. L’uva viene vendem-miata surmatura a mano in piccole casse e in più pas-saggi e viene messa integra nella pressa pneumaticaper prenderne soltanto il mosto migliore. Infine la fer-mentazione avviene a temperatura controllata e invasche di acciaio inox. Il Conscio, Verdicchio dei Castellidi Jesi Classico Superiore Doc, è ottenuto da appez-zamenti ben esposti al sole. Anche in questo caso laraccolta è fatta a mano in piccole casse e la vinificazio-ne è in bianco con spremitura soffice e con fermenta-zione in vasche di acciaio inox. Il Consono, Verdicchiodei Castelli di Jesi Classico Doc, è dato da uve Verdicchiocon una resa per ettaro inferiore a quella prevista daldisciplinare di produzione e comunque adeguata all’an-damento stagionale. Si tratta di un vino che esprimetutta la tipologia classica del Verdicchio. E infine ilRiverbero Rosso Piceno Doc, ottenuto da uveMontepulciano, Sangiovese e Lacrima. Ha un lungo affi-namento, dieci mesi in barrique e tonneaux, dieci mesiin vasche di acciaio e quattro in bottiglia».

■■■ Un particolare interessante di questi vini riguardale etichette. «Le etichette sono estratte dai miei quadri e poi elabo-rate graficamente. Ad esempio sull’etichetta del Cantorìc’è l’immagine dei cantori e per un errore tipografico èstato messo l’accento. Anche il Riverbero riprende iltema della musica con i suonatori. Il Conscio rappre-senta invece dei catamarani e dei pescatori e ricordache solo se si beve un bicchiere di vino si resta consci,consapevoli».

■■■ Il vino è arte?«Fare vino è un’arte perché bisogna capire la pianta,sapere come lavora il mosto, anche se alla fine il vinodeve rimanere una cosa semplice perché non è altroche una spremuta di uva».

UN PAESE DA SCOPRIREL’azienda Accadia si trova a pochi chilometri da una vera e propria perladelle Marche: Serra San Quirico. È un paese di pietra adagiato su costarocciosa e con le sembianze di una nave con la prua sulla valledell’Esino. I monti sovrastano l’antica fortezza, testimoni di un passato chei secoli non hanno cancellato. Il centro storico conserva intatto l’impian-to medievale, con una particolarità: le “Copertelle”, passaggi copertiche corrono lungo le mura. Di vero interesse la torre principale di difesa

detta il “Cassero” e la chiesa di Santa Lucia,uno degli esempi più interessanti ed integri dibarocco delle Marche. A pochi chilometrinon si può non visitare l’Abbazia diSant’Elena, un esempio di romanico marchi-giano. Ovunque regna il verde delle pinete edelle montagne che offrono spunti per pas-seggiate e dolci atmosfere di pace. Da nondimenticare le Grotte di Frasassi, uno dei piùspettacolari complessi carsici del mondo,che destano l’emozione di un universonascosto e bellissimo dove il silenzio è rottosolo dallo stillicidio delle gocce d’acqua.

SERRA SAN QUIRICO

▲ Una ''copertella''

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Sembrerebbe quasi impossibile, lasciando il frenetico e rumorosotraffico dell’autostrada Milano-Venezia, poter trovare a pochi chilo-metri dal centro di Brescia, dopo qualche dolce tornante, un’oasi

incontaminata e selvaggia immersa nel silenzio e nel verde. Trentamilametri quadrati di parco faunistico con cerbiatti, pavoni e anatre selvati-che, circondano infatti l’aristocratico edificio che ospita uno dei più esclu-sivi ristoranti del territorio.Sulla sommità del Colle San Francesco, alla fine del Cinquecento, la nobi-le e potente famiglia dei Malvezzi edificò il suo castello, un baluardo natocon l’intento di difendere, spesso in modo cruento, i possedimenti circo-stanti. Alla fine del Seicento accanto al castello venne poi innalzato unaltro edificio: un oratorio a pianta ottagonale dalla cupola in cotto, desti-nato ad accogliere la cappella di famiglia. Solo in epoca successiva la dimo-ra conobbe maggiore tranquillità, quando venne destinata ad elegante“casina” di caccia e… di piacere! Qui per secoli si sono ritrovati i nobilidella città e dei dintorni per cacciare lepri e fagiani ma talvolta ancheper sistemare, con duelli a colpi di spada, insanabili questioni d’onore.

Nel castello

c’è l’officina del gusto

A BRESCIA

UN BALUARDO NATO

PER DIFENDERE

I POSSEDIMENTI, NEGLI ANNI NOVANTA

È STATO TRASFORMATO IN

UNO DEI PIÙ ESCLUSIVI

E CONOSCIUTI

RISTORANTI

DEL TERRITORIO

GESTITO DAL SOMMELIER

DARIO DATTOLI

di Antonello Maietta

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A partire dal 1960 un paziente e delicato intervento di restauro ha resti-tuito all’edificio il suo altissimo valore storico ed oggi la costruzione èpiù facilmente identificabile in una villa fortificata, avendo perso l’anticacinta difensiva che caratterizzava il fabbricato originario. Nel 1977 l’inte-ra struttura viene trasformata da Dario Dattoli, un appassionato gour-met, in un ristorante di charme con il nome di Castello Malvezzi. L’edificio principale, che segue il tipico schema delle ville palladiane conquattro salette minori disposte a coppia in modo simmetrico ed imprezio-sito dal grande salone delle feste, viene destinato ad accogliere il ristoran-te, mentre la piccola cappella gentilizia, sconsacrata da tempo, vienetrasformata in una suggestiva cantina per ospitare negli anni il fruttodel paziente lavoro e dell’encomiabile passione del suo anfitrione nellaricerca di vini di alto lignaggio. L’ordine regna sovrano e le pregiate eti-chette che ammiccano dagli scaffali identificano il carattere di una can-tina dal respiro internazionale. Qui, al riparo di ampie volte, tuttorariposano e si affinano le nobili bottiglie che compongono una carta di gran-de spessore: duemila blasonate referenze suddivise per regione e per tipo-logia di vitigno o di uvaggio, raccolte in un volume di 180 pagine, rilega-to in brossura.La ricerca degli appassionati si può sbizzarrire tra bottiglie rare come loChampagne Grand Cru Blanc de Blancs Brut 1985 di Lilbert, il Meursault1992 di Coche Dury, il Montrachet 1995 di Amiot o il Pauillac ChâteauMouton-Rothschild 1973 oppure ancora il Gewürztraminer Quintessence1989 di Clos des Capucins. Chi decidesse invece di restare al di qua delleAlpi potrà trovare l’annata 1988 del Chianti Classico Vigneto San Lorenzodel Castello di Ama oppure il Brunello di Montalcino Case Basse 1986 diGianfranco Soldera, tutti accomunati dall’encomiabile filosofia di ricari-chi molto contenuti. Il vino più economico presente in carta è un verotributo al territorio e si identifica nel Ronco di Mompiano 2006 prodottoa poche centinaia di metri dall’azienda agricola di Mario Pasolini. Si trat-ta di un sapiente uvaggio di Marzemino e Merlot di elegante complessitàche, per nulla incurante della sudditanza psicologica di essere propostoin carta a 15 euro, si trova perfettamente a suo agio tra il meglio della pro-duzione vinicola del pianeta. Tra i vini più costosi troviamo invece Pétrus1990 e Romanée Conti 1997, posizionati al loro rango grazie anche airispettivi prezzi di 3.000 e 4.500 euro.La passione di Dario Dattoli per i vitigni nobili, con una particolare pre-dilezione per il Pinot Nero, ha lasciato una traccia indelebile nelle moltebottiglie dei grandi millesimi di Borgogna che ancora oggi, a distanza diparecchi anni dalla sua prematura scomparsa, sublimano la loro massi-ma espressione in una serie di pietanze, oltre che in un ricco carrello deiformaggi di ricercata composizione.Attualmente l’intera struttura è gestita da un affiatato tandem che si con-cretizza nelle sapienti capacità comunicative di Enrica Bortolazzi eccel-lente manager dell’accoglienza e del buon gusto e nelle felici intuizioni diAlessandro Cappotto, regista a tutto campo di tutto ciò che è cibo e vino.

▲ Alessandro Cappotto, Chef Directeur de Cuisine

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Ristorante Castello MalvezziVia Colle San Giuseppe, 125133 BresciaTel. 030 2004224E-mail: [email protected]

Info:

Fin dal suo debutto qui al Castello Malvezzi, avvenuto nel 1992, Alessandroha conferito alla cucina una sua particolarissima impronta, frutto del-l’ammirevole legittimazione del suo variegato percorso professionale chelo ha portato dal Cavalieri Hilton di Roma al Royal Garden di HongKong, passando per gli Intercontinental di Londra, Francoforte e Ginevra,giusto per citare solo qualche tappa, senza trascurare stage di approfon-dimento da Alain Ducasse a Monaco e Jacques Maximen a Lione. Sarebbestato tuttavia molto difficile lavorare per molti anni fianco a fianco di unpatron dalla personalità indiscutibile come quella di Dario, senza assor-bire una parte importante della sua inclinazione e così Alessandro ha fre-quentato anche i corsi Ais, acquisendo la qualifica di sommelier profes-sionista.Alessandro accompagna oggi gli ospiti del ristorante in un percorso deisensi mirabilmente sintetizzato nei semplici concetti della sua filosofiadi chef: “Amo pensare alla mia cucina come un officina del gusto, dove iprofumi provenienti dai vapori delle pentole e gli aromi delle verdure edelle spezie, ti riempiono di emozioni tali da essere già loro sufficienti agiustificare i sacrifici da affrontare per ottenere quei risultati che fannogrande un ristorante”. Si ritiene quindi estremamente gratificato dall’idea di poter trovare dellesemplici armonie mediante l’accostamento di sapori primari con nuovepresentazioni ricche di colore e di gusto estetico. Ed in effetti, dopo la ten-denza all’eccesso che ha dominato in molti settori negli ultimi anni, la suaè una cucina tendenzialmente caratterizzata da sapori originali ma nontroppo marcati, da piatti non grassi, poco speziati, sapidi, sviluppati concotture rapide nell’intento di mantenere il più possibile inalterato il gustoe il valore nutritivo degli ingredienti di origine. Una cucina del mercatosostanzialmente, trasformando solo ciò che di meglio offre quest’ultimo,con il categorico rifiuto delle inutili complicazioni, nella riscoperta dellabellezza e della semplicità. Ma anche una cucina di territorio con i suoi prodotti più tipici, senza tut-tavia alienare la curiosità di introdurre nuovi ingredienti e sperimentarenuovi accostamenti, esplorando di pari passo le tecniche d’avanguardia ele cucine straniere.E’ difficile e riduttivo a questo punto continuare a pensare al “Malvezzi”,com’è familiarmente chiamato dalla sua clientela più abitudinaria, sem-plicemente come un ristorante, il luogo viene identificato da oltre 30 annicome sede ideale di incontri di lavoro o come meta tranquilla per raffina-ti gourmet, grazie all’amorevole compendio di riservatezza, di ospitalità edi proposte enogastronomiche di assoluta credibilità. L’organizzazione del

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locale è peraltro in grado di allestire catering esterni ambientati nei luo-ghi più ameni. Saltuariamente vengono inoltre organizzate serate di degu-stazione a tema che si trasformano in occasioni pressoché uniche per con-dividere l’apertura di bottiglie veramente rare, difficilmente reperibili altro-ve. Mentre nelle calde serate estive la “Cantina” viene aperta al pubblicocon la stuzzicante offerta di un centinaio di etichette proposte al bicchie-re, da accompagnare in modo informale a taglieri di salumi e formaggi,carne e pesce alla griglia, comodamente seduti ai tavoli antistanti il pre-zioso edificio.Ma l’arrivo della bella stagione è scandito anche dal rapido susseguirsidi affascinanti eventi, accade allora che, per offrire a queste iniziative unospazio adeguato, ai margini del parco viene allestita la Khaima, una tendaestiva arredata in stile etnico dove vengono sovente organizzati spettaco-li musicali di vario genere, dai ritmi caldi e suadenti del jazz ai toni gar-bati della musica da camera, alternati di tanto in tanto a sfilate di moda,rassegne d’arte, mostre fotografiche ed eventi culturali di grande spesso-re. Insomma tutto quanto contribuisce a determinare uno stile impecca-bile che corre il rischio di farci dimenticare la vista mozzafiato che daqui si gode sulla città.

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Saba, sugal e savôr sono prodottiderivati dal mosto di uva chefanno parte della tradizione ali-

mentare rurale della Romagna e trag-gono origine dalla necessità di tra-sferire parte dell’abbondanza dell’ul-timo raccolto autunnale, la vendem-mia, al più parco periodo invernale.Mentre oggi sono considerati fonte dipiacere per il palato, in passato, quan-do le possibilità di conservare il ciboerano limitate, queste preparazionicostituivano un’importante riserva dicalorie, sfruttata per soddisfare le esi-genze alimentari di coloro ai quali ilvino era proibito, ovvero i bambini, oltreche per variare ed arricchire la dieta.Saba, sugal e savôr si conservano aseguito del processo di cottura a cuiviene sottoposto il mosto, a differen-za del vino che invece si conserva gra-zie al grado alcolico, all’acidità e all’ani-dride solforosa aggiunta. La lunga cot-tura, eseguita a fuoco diretto, esplica

la sua azione uccidendo la maggiorparte dei microrganismi presenti, invirtù delle elevate temperature rag-giunte; si deve considerare inoltre chela cottura determina un significativoaumento della concentrazione zuc-cherina, e quindi del potenziale osmo-tico, che si oppone alla proliferazionedelle cellule microbiche provocando-ne la disidratazione.

■■■ LA SABA E I SABADÒLa saba viene ottenuta dalla cotturadi mosto di uva a bacca bianca,Trebbiano romagnolo principalmen-te, ma anche da vitigni a bacca nera.Le sue origini sono sicuramente moltoantiche, tanto da essere già conosciutaal tempo dei Romani; in particolareApicio nel De Re Coquinaria annove-ra il “sapum”, ovvero l’odierna saba,tra i differenti mosti cotti preparati alsuo tempo. Pellegrino Artusi rendeinvece omaggio alla saba inserendo-la in “La scienza in cucina e l’arte dimangiar bene” – ricetta 731 – sottoli-neando che “può servire in cucina adiversi usi poiché ha un gusto spe-ciale che si addice in alcuni piatti”.La cottura del mosto avviene a fuocodiretto, utilizzando un paiolo di rame,e deve procedere molto lentamente.Il mosto può essere filtrato preventi-vamente con un canovaccio – comeconsiglia Pellegrino Artusi – oppureripulito dai vinaccioli e dai frammentidi buccia con un colabrodo; spessoperò la pulizia avviene esclusivamentead inizio cottura, togliendo a più ripre-se la schiuma che affiora con l’ausi-

Le mille risorsedel mosto

DAL MOSTO D’UVAIN ROMAGNASI RICAVANO

PREPARAZIONI

CHE OGGI

SONO CONSIDERATE

GOLOSITÀ

MA UN TEMPO

SERVIVANO

PER CONSERVARE

PARTE DELLA RICCHEZZA

DELLA VENDEMMIA

NEL POVERO

PERIODO INVERNALE

di Riccardo Castaldi

� I Sabadò, dolci tipici della tradizione contadinaromagnola

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lio della ramina prima che il mostoinizi a bollire, operazione che da solaè in grado di garantire l’eliminazio-ne della maggior parte delle particel-le in sospensione.La cottura, che può richiedere da diecia quindici ore e oltre, termina soloquando il mosto si sarà ridotto a circa1/3 – 1/4 del volume iniziale; sicco-me la cottura determina la perdita diacqua e la caramellizzazione degli zuc-cheri, la saba assume una colorazio-ne molto scura e una consistenzaoleosa. Dopo la cottura la saba vienelasciata raffreddare e decantare perdiverse ore, al fine di poter elimina-re le particelle solide rimaste, quin-di viene messa in bottiglia, dove siconserva senza problemi per anni,migliorando le proprie caratteristicheorganolettiche.La saba veniva utilizzata come con-dimento per legumi lessati quali fagio-li, lupini e ceci, abbinata al formag-gio oppure impiegata per insaporirei dolci natalizi e di carnevale, comeriportato da Graziano Pozzetto in“Cucina di Romagna”. Le nonne ricor-dano ancora come un tempo, la sabavenisse versata sulla neve raccolta inun bicchiere, per preparare una sortadi granita casalinga molto apprez-zata dai bambini.Il suo impiego principale è però quel-lo di ingrediente per la preparazionedei sabadò, uno dei dolci tipici dellatradizione contadina romagnola. Si

tratta di tortelli ripieni, ottenuti a par-tire da una sfoglia tirata piuttostospessa, dalla quale si ricavano qua-drati di 7-8 centimetri di lato; per ilripieno, a conferma delle umili ori-gini, si utilizzano fagioli e castagnesecche lessati, i quali vengono schiac-ciati, aromatizzati con scorza di limo-ne e amalgamati con la saba. Dopoessere stati chiusi con cura, i saba-dò vengono cotti, in acqua oppurein graticola, ed infine riposti in untegame dove sono inzuppati abbon-dantemente con la saba.Per la “Saba dell’Emilia-Romagna” èstata richiesta l’Indicazione geografi-ca protetta, proponendo un discipli-nare di produzione che prevede chesia ottenuta a partire da uva prodot-ta all’interno della regione e prove-niente da vigneti iscritti all’albo deivigneti Doc e Docg o all’elenco deivigneti IGT. Il disciplinare propostoprevede inoltre che i vigneti siano aproduzione integrata o biologica, chele uve presentino una gradazioneminima pari al 17,5% di zuccheri inpeso e che il mosto, prima che inizila cottura, sia conservato tra -1 e 4°Cper evitare l’avvio della fermentazio-ne alcolica. Il mosto deve cuocere afuoco diretto per almeno sedici ore,fino a ridursi di oltre 2/3, e devematurare per almeno sei mesi primadi essere imbottigliato. Non è superfluo ricordare che la sabaè in definitiva anche il prodotto di par-

▲ La cottura del mosto

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tenza utilizzato per l’ottenimento delpregiato Aceto Balsamico Tradizionaledi Modena e Reggio Emilia.

■■■ I SUGALSi tratta di un dolce tradizionale estre-mamente semplice, ottenuto anch’es-so con ingredienti poveri, ancora piut-tosto diffuso nelle campagne roma-gnole, dove non è troppo difficile repe-rire il mosto necessario per la sua pre-parazione.Per la loro preparazione il mosto diuva, eventualmente filtrato, vienemesso a cuocere a fuoco diretto finoa ridursi a circa 1/2 del volume ini-ziale; anche in questo caso si deveprestare attenzione all’eliminazionedella schiuma. Terminata la cotturail mosto viene lasciato raffreddare etravasato in un altro recipiente, inmodo da eliminare le particelle decan-tate, poi vi si aggiungono con gra-

dualità e mescolando diversi ingre-dienti, tra i quali rientrano il panegrattugiato, la farina di mais, la fari-na di frumento e i semi di anice; talu-ne ricette prevedono anche l’aggiun-ta di buccia di limone e di qualchefettina di mela cotogna. Il mosto vienerimesso sul fuoco e riportato in ebol-lizione, mescolando con un cucchia-io di legno per assicurarsi che non siformino grumi, dopo di che lo si versain piatti fondi, dove raffreddandosi sirapprende e diviene solido.All’interno dei piatti, mantenuti inambiente fresco, i sugal venivano con-servati in passato per qualche mese;durante la conservazione poteva for-marsi sulla loro superficie una legge-ra muffa biancastra, che veniva sem-plicemente rimossa prima del consu-mo. I sugal vengono attualmente con-

sumati per lo più a fine pasto comedolce, mentre in passato si consu-mavano anche a colazione e a meren-da, sempre col pane, tagliando spes-se fette dal piatto col coltello o con irebbi della forchetta. Si presentano dicolore bruno, con differente intensitàin funzione del grado di cottura edhanno un sapore ricco, leggermenteacidulo e per nulla stucchevole, cheli rende particolarmente piacevoli.Nel corso degli anni la loro prepara-zione è rimasta prettamente casalin-ga, per cui è difficile trovarli nei risto-ranti; talvolta li si può incontrare inalcune delle sagre paesane cha a finevendemmia animano la campagnaromagnola.

■■■ IL SAVÔRAnche per la preparazione del savôr,il mosto viene cotto fino a ridurlo dellametà e ripulito dalla schiuma, dopodi che vi si aggiungono una serie difrutti fino a ritornare al volume ini-ziale. Tra i frutti utilizzati rientranonoci, pinoli e mandorle, pere, mele emele cotogne tagliate a fette, le pic-cole pere volpine intere, fichi secchi,zucca tagliata a cubetti, oltre a scor-ze di agrumi e bucce di melone taglia-te a sottili strisce e poste ad essicca-re al sole durante i mesi estivi, comeindicato da Gianni Quandomatteo in“Mangiari di Romagna”.Dopo l’aggiunta si riporta in ebolli-zione il tutto, mescolando lentamen-te con un cucchiaio di legno, fino aridurre il volume a 1/3 della massainiziale, ottenendo così una compo-sta di colore scuro, con pezzi di frut-ta che devono rimanere perfettamenteintatti; terminata la cottura venivaversato in recipienti di terracotta, dovesi conservava fino alla primavera suc-cessiva e anche oltre, mentre attual-mente si conserva in vasi di vetro achiusura ermetica.Ricco di zuccheri, sali minerali, fibrae vitamine, il savôr veniva utilizzatoper l’alimentazione di bambini, anzia-ni e donne in gravidanza.Sotto il profilo gustativo si presentadelicato, morbido, con leggera e pia-cevole nota asprigna, dolce ma nonstucchevole e lo si può consumaresemplicemente con pane comune, chene esalta i sapori, o con la piadinaromagnola, oppure lo si può abbina-re a formaggi, sia freschi sia stagio-nati; perfetto l’abbinamento con lesensazioni piccanti del formaggio difossa di Sogliano sul Rubicone (FC).Annualmente a Montegelli, sulle col-line di Cesena, questa prelibatezzaviene celebrata nell’ambito della sagradegli Antichi Sapori.

▲ I Sugal

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New Yorkassaggia l’Italia

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Even

ti

Si è tenuta a New York, presso il Marriot MarquisHotel di Manhattan la 24.ma edizione del GalaItalia, evento vitivinicolo e prestigiosa presenta-

zione del “Made in Italy”: la migliore enogastronomianazionale abbinata all’arte, musica, design e moda. Allamanifestazione, organizzata come ogni anno da LucioCaputo, presidente dell’Italian Wine and Food Institute- insignito dal presidente Terenzio Medri di un’onorifi-cenza durate la visita della delegazione Ais a New Yorknel 2007 - hanno partecipato i più qualificati produt-tori vinicoli nazionali, presentando ad un pubblico diaddetti ai lavori, giornalisti, importatori e distributori,ristoratori, ma anche ad una vastissima platea di con-sumatori “a stelle e strisce”, alcuni delle etichette ita-liane più famose. Il gala si è aperto con il seminario-degustazione “Thetaste of Italy”, letteralmente “Un assaggio dell’Italia”, incui 30 grandi produttori hanno presentato vini di note-vole livello a 300 selezionatissimi giornalisti del setto-re. Il seminario, condotto da Lucio Caputo, ha appas-sionato tutti per oltre 3 ore durante le quali non si è

mai avvertito un abbassamento di attenzione, nemme-no durante il contemporaneo servizio del pranzo pre-disposto dal ristorante Le Cirque. Tre i segmenti del seminario: “From Sicily with Love:The Nero d'Avola”; “Chianti, SuperTuscan or Brunello”;e “My Best Wine from 2000 to Today”, cioè i grandi viniitaliani. Al termine si è sorteggiato un viaggio in Siciliaofferto dall’Istituto Vite e Vino di Palermo, vinto da unagiornalista locale. Al seminario ha fatto seguito l’ecce-zionale “Wine and Food Tasting”: 282 vini di 70 caseproduttrici italiane; 5.900 bottiglie aperte; oltre 2.500tra operatori, giornalisti e Vip presenti; oltre 1.400importatori, grossisti e dettaglianti provenienti dagliStati dell’est degli Usa; 480 ristoratori e 450 giornali-sti, nonché 550 operatori e 350 giornalisti del settoremoda e numerose reti televisive; oltre 36.000 i bicchie-ri usati; 58 vini premiati da una giuria americana conla “Gold Medal”; sorteggio di cinque viaggi, in Toscana,Sardegna e Sicilia, e di una Vespa Piaggio.Il Food Tasting, ha visto la partecipazione di 20 tra i

nomi più famosi della ristorazione italiana di New York,

di Alessandra Rotondi

LA GRANDE MELA HA OSPITATO UNA MANIFESTAZIONE CON LE GRANDI FIRME DEL NOSTRO

VINO CHE HANNO PRESENTATO LE LORO ECCELLENZE A GIORNALISTI, IMPORTATORI,DISTRIBUTORI E ADDETTI AI LAVORI IN UN COCKTAIL DI ARTE, MUSICA, DESIGN E MODA

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tra cui Serafina con i suoi 6 locali su Manhattan, sino-nimo di “pizza, pasta e cucina italiana”; Salumeria Rosicon l’amatissimo Chef Cesare Casella; l”Osteria del Circo,versione toscana dello storico Le Cirque di Sirio Maccioni;Sandro, la porchetta più buona addirittura di quella deiCastelli Romani, e molti altri. Parallelamente si è avutala mostra dei dipinti del Guercino organizzata in colla-borazione con l’Istituto Italiano di Cultura. È stata quin-di la volta della parte più spettacolare del “Gala Italia”,con la performance musicale di Jo Squillo e delle pre-sentazioni di moda delle collezioni primavera-estate di“Star Chic”, di Simona Ventura e Federica de Pompeise “Curiel Couture” di Raffaella e Gigliola Curiel. Il pubblico presente ha gradito particolarmente la pre-senza radiosa di Simona Ventura, che generosamentesi è intrattenuta con tutti dimostrando una grande affa-bilità nei confronti dei suoi fan d’oltre oceano. Presenteanche Giovanni Bozzetti, presidente del Comitato“Lombardia per la Moda”, che è stato la forza motricedietro la grande partecipazione della Lombardia all’even-to. La “Cena di Gala”, ad inviti, preparata dallo chef

Giancarlo Morelli, appositamente venuto dall’Italia perpredisporre un tipico menù milanese con selezione digrandi vini lombardi, ha concluso l’intensa giornata,allietata da una performance del tenore LeonardoCortellazzi e del pianista Vincenzo Scalera dell'Accademiadel Teatro alla Scala di Milano. Al Gala hanno parte-cipato autorità e Vip, tra cui l’ambasciatore italiano aWashington, Giovanni Castellaneta, l’ambasciatored’Italia presso le Nazioni Unite, Giulio Terzi di Santagata,il console generale Francesco Talò. È stata una inizia-tiva di grandissimo spessore e di altissimo livello, oltrela tradizionale e notevole rilevanza commerciale che vaavanti con successo da oltre 20 anni. Uno dei pochissimi eventi che viene segnato in agen-da un anno prima come “qualcosa da non perdere”. Appuntamento a New York il 25 Febbraio 2010, con-tando ancora sull'Alto Patronato dell'Ambasciata ita-liana a Washington, la collaborazione dell'Istituto delCommercio Estero, il patrocinio dell'Istituto Italiano diCultura, dell'ufficio di New York dell’Ente italiano delturismo e del Vinitaly.

Lucio Caputo, presidente

dell’Italian Wineand Food Institute,

con AlessandraRotondi

▲ Simona Ventura, Lucio Caputoe Jo Squillo

▲ La sala del Marriot Marquis Hoteldi Manhattan, sede della manifestazione

▲ Alcuni tra i partecipanti: la salumeria Rosi di Cesare Casella

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Il vino:un veicolo di dialogo tra religioni diverse

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Per conoscersi non c’è niente di meglio che sedersi a tavola insieme.L’atto di mangiare non ha solo a che fare con il nutrimento fisico,ma riveste una importanza squisitamente culturale: l’etimologia stes-

sa della parola convivio (cum-vivere) associa il concetto del vivere insie-me con il mangiare insieme.1

La tavola è il luogo destinato alla condivisione e alla scambio: a tutti i livel-li la partecipazione alla mensa è il primo segnale di appartenenza a unafamiglia, a un gruppo, a una comunità.Parlare di cibo significa, dunque, fare riferimento ad una cultura, a delleabitudini, ad una religione.Ogni Paese ha infatti il suo modo di alimentarsi, di usare certi prodottipiuttosto che altri. Anzi, attraverso il cibo noi possiamo scoprire la storiadi un paese, le abitudini, le tradizioni, la religione e l’identità di una per-sona. Il cibo si presenta, dunque, come un importante paradigma di identitàculturale e allo stesso tempo segno di scambio tra culture, oltre ad esse-re uno strumento per riconoscere e trasmettere la propria appartenenzareligiosa.2

Nel panorama delle tre grandi religioni monoteistiche nate nel “mosaico” delMediterraneo, l’Islam e l’Ebraismo marcano profondamente l’appartenenzaalla loro forma di vita attraverso una stretta osservanza delle norme ali-mentari. Il cristianesimo si presenta invece come sistema “più libero” incampo gastronomico, caratterizzato da consumatori di gusti molto diversi.Un denominatore accomuna, tuttavia, l’ebreo, il musulmano e il cristia-no: il concetto di cibo come dono divino.Al di là di questo aspetto unificante, profonde differenze caratterizzano ilrapporto con il cibo all’interno dell’ebraismo, islamismo e cristianesimo.Conoscere queste diversità aiuterà, ad esempio, a non presentare atavola cibi in contraddizione con le rispettive normative alimentari a degliospiti musulmani o ebrei. I nostri figli a scuola non si stupiranno se uno o più compagni di classedi diversa appartenenza religiosa consumeranno cibi diversi, perché attra-verso quel cibo arriverà loro un messaggio diretto e preciso sul senso diappartenenza culturale e religiosa.

di Maddalena Giuffrida*

NOTE

1. Cfr. Massimo Montanari, Il cibo come cultura, Laterza, 2004

2. Cfr. Oscar Marchisio (a cura di), Religione come cibo e cibo comereligione, Franco Angeli, 2004

▲ La Torah (הרות) è il documentoprimario dell'ebraismo ed è lasorgente delle 613 mitzvot (613precetti) e della maggior partedella sua struttura etica-amena incui sono scritte. Secondo latradizione furono rivelate a Moséda Dio sul Monte Sinai.

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LE REGOLE ALIMENTARI EBRAICHELe regole alimentari ebraiche, che costituiscono uno dei pilastri della loropratica religiosa, trovano il fondamento teologico ed ideologico nella Torah,ovvero nella legge dettata da Dio all’uomo. Non solo il Pentateuco, maanche l’insieme di norme rabbiniche della legge orale formano il più impor-tante codice legislativo ebraico chiamato curiosamente “shulkhan aruch”,ovvero tavola apparecchiata. I commenti e le glosse seguono lo stessoimmaginario gastronomico, chiamandosi tovaglia, utensili, posate, ecc.È degno di nota il fatto che uno dei primi precetti impartiti agli esseriumani concernesse il cibo, con la proibizione ad Adamo ed Eva di man-giare i frutti dell’Albero della Vita.Regolando l’alimentazione, la Legge ebraica, impone una via per la sacra-lizzazione degli atti più semplici e comuni della vita dell’ebreo. Per ognitipo di alimento esiste, infatti, una benedizione appropriata che va pro-nunciata prima di consumarlo.Il termine “kashèr” significa valido, adatto, buono. Un cibo è kashèr quan-do è adatto ad essere consumato e quando è stato preparato nel rispettodelle norme alimentari ebraiche. La “kashèrut” è l’insieme delle numero-se norme che regolano l’alimentazione ebraica.Schematicamente le regole principali possono essere così riassunte:

1. Suddivisione delle specie animali permesse e proibiteGli ebrei suddividono gli animali in quattro gruppi principali: quadrupe-di, animali acquatici, volatili e insetti. All’interno di questi gruppi le spe-cie animali vengono permesse e proibite, definendo l’animale permesso“puro” e quello proibito “impuro”. Ad esempio, tra i quadrupedi sonopermessi quelli con lo zoccolo diviso in due e ruminanti, quindi sono purila mucca, la pecora, mentre sono impuri quelli che non corrispondono aquesti criteri, come il cammello, il maiale, etc. Tra gli acquatici sono per-messi solo i pesci che hanno pinne e squame. Tra i volatili vengono con-siderati puri il pollame e specie simili. Sono proibiti tutti gli animali stri-scianti.

2. La macellazioneLa kashèrut di un animale dipende anche dalla macellazione, dalle con-dizioni di salute dell’animale e dalla preparazione della carne prima delconsumo. Un animale che non è stato macellato seguendo le regole dellamacellazione (Shechità) non può essere considerato permesso. E’ proibi-to bere il sangue degli animali e mangiare alcune loro parti.

3. Divieto di mescolare carne e latteE’ proibito cucinare, mangiare e trarre qualsiasi giovamento dalla mesco-lanza di carne e latte. La separazione fra carne e latte si applica non soloal cibo stesso, ma anche a tutti gli utensili impiegati per la sua conser-vazione, preparazione e consumazione.

4. VegetaliTra le norme che regolano il mondo vegetale, ricordiamo il divieto di pro-durre e mangiare alcuni tipi di frutti provenienti da innesto in Israele oltrea quello di consumare i vegetali senza un accurato controllo sull’assenzadi uova di insetto.

5. Rendere kashèr gli utensili da cucinaAlcuni tipi di utensili da cucina che vengono a diretto contatto con ilcibo devono essere sottoposti ad una speciale “immersione” prima di esse-re usati.Quelle che abbiamo elencato sono le principali norme alimentari che deb-bono seguire gli ebrei che abbiano raggiunto la maggiore età (13 anni imaschi, 12 le femmine), anche se in realtà esiste una vasta gamma di pre-scrizioni che per brevità qui non abbiamo riportato.Mentre le prescrizioni di cui sopra sono sempre valide, in certi periodi del-l’anno vigono prescrizioni ulteriori. In particolare, durante la festa di Pasquain memoria dell’affannosa uscita degli Ebrei dall’Egitto, si deve esclude-re qualsiasi alimento lievitato o fermentato, ad esclusione del vino.

▲ Carne bovina kasher

▲ Frutta kasher

▲ Nella religione ebraica è vietatomescolare il latte con la carnenella preparazione dei piatti

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UN BICCHIERE DI VINO KASHERIl vino è oggetto di una particolare attenzione per il ruolo simbolico attribuitonel rito ebraico: il vino è, infatti, considerato una bevanda “speciale”.La normativa ebraica classifica il vino come una speciale bevanda di uvafermentata che merita una benedizione particolare: a differenza di tutte lealtre bevande sulle quali viene recitata una benedizione generale, sulvino già fermentato viene recitata addirittura una benedizione speciale“borè peri ha gafen” (che ha creato il frutto della vite). Numerosi sono i rife-rimenti biblici a dimostrazione della grande importanza che il vino riveste:nel libro del Genesi Noè è ricordato come fondatore della viticoltura edanche come colui che per primo sperimentò gli effetti inebrianti del vino.Durante l’incontro tra Melchisedek, re di Salem, e Abramo, capostipite delpopolo ebraico, che torna vittorioso da una certa battaglia fatta per libe-rare suo nipote Lot, Melchisedek “sacerdote del Dio altissimo” gli si faincontro per offrirgli “pane e vino” e benedirlo: per l’autore della Genesil’offerta del pane e del vino presentata ad Abramo era segno di sacra ospi-talità: accoglienza, sicurezza, permesso di transito. Assaporare il vino nella Bibbia è simbolo di ogni piacere, di ogni delizia egioia della vita(Salmi 104, 15), “Bevi il tuo vino con cuore lieto” attesta il libro dell’Ecclesiaste(9, 7). Un uso eccessivo, smodato, del vino è tuttavia deplorato nella Bibbia:l’autore del libro dei Proverbi rimprovera la stoltezza di colui che “si lasciasopraffare dal vino” (20, 1).Ma al di là di questa condanna dell’eccesso e dell’ubriachezza, il vino,nel suo significato traslato, è non soltanto simbolo di vita e di salvezza,ma anche d’amore. Nel Cantico dei Cantici, uno dei testi poetici più alti della Sacra Scrittura,il vino diviene infatti il suggello dell’unione d’amore tra l’amato e l’ama-ta. Non è un caso, credo, che la prima parola del Cantico dei Cantici siaproprio quella che descrive un bacio inebriante, accompagnato da “tene-rezze più dolci del vino”.La specificità del vino nel mondo ebraico si evidenzia inoltre nel suo con-sumo in occasioni particolari legate al calendario delle festività (a cui gliEbrei accordano una grande importanza) e nelle rigide norme che rego-lano la sua produzione.La presenza del vino è obbligatoria, ad esempio, durante il rituale dellacirconcisione o durante la cerimonia nuziale. Durante la festa di Pasquaè obbligatorio bere quattro bicchieri di vino, mentre è proibito bere vino

▲ Preparazione di pane kasher

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nei giorni di lutto nazionale e personale. Ma qual è il vino che un ebreopuò bere? L’unico vino permesso dalla normativa alimentare ebraica è ilvino kashèr, prodotto secondo le regole della kashèrut.“Affinchè sia considerato kashèr, il vino deve essere prodotto da ebrei osser-vanti del Sabato e profondi conoscitori delle norme alimentari – afferma ilRabbino dottor Umberto Piperno, già docente del Collegio Rabbinico Italiano,ora attivo presso la Yeshiva University di New York. Il controllo della produzione - continua il Rabbino Piperno - inizia dallaspremitura dell’uva fino all’imbottigliamento. La kashèrizzazione delle vascheinizia nei giorni precedenti alla spremitura per poter riempire ogni cisternad’acqua e svuotarla dopo 24 ore per tre volte consecutive. Occorre prepa-rare tutti i macchinari, smontarli accuratamente e verificare che tutto siapulito. Ogni intervento deve essere compiuto da ebrei, così come ogni altroingrediente o coadiuvante deve essere autorizzato dal Rabbino sulla basedi un certificato valido per l’anno in corso. Saccaromiceti, bentonite, perliteper la chiarifica devono avere un certificato valido. Per quanto riguarda l’im-bottigliamento, la norma ebraica richiede che vi siano tre segni di ricono-scimento della specificità del prodotto: etichetta, eventuale retroetichetta oin alternativa capsula termica, tappo con segno di riconoscimento, con segnodi riconoscimento o marchio del Rabbinato. Nell’etichetta - conclude il RabbinoPiperno - dovrà apparire inoltre il nome del Rabbino che ha eseguito il con-trollo e rilascia il certificato. La produzione annuale sarà accompagnata daun certificato originale registrato presso il Rabbinato Centrale d’Israele”.La certificazione non si limita naturalmente al vino, ma investe tutti i pro-dotti alimentari trasformati. Sono più di 6.000 nel mondo le aziende che vantano la certificazionekashèr, con oltre 110.000 prodotti certificati tra vini, liquori, formaggi,pasta, ecc. Negli Stati Uniti il cibo è diventato sinonimo di sicurezza ali-mentare, al pari dei prodotti “bio” e non solo per gli ebrei, ma anche pervegetariani, per chi soffre di intolleranze alimentari o chi è semplicemen-te attento a ciò che viene riportato in etichetta in tempi di mucca pazza,suini alla diossina e aviaria. Anche in Italia grandi aziende, ristoranti enegozi hanno iniziato a muoversi nell’ottica della certificazione kashèr, asottolineare l’importanza di un rigido controllo alimentare.Esistono diversi siti informativi che forniscono indicazioni sull’universokashèr, dai negozi ai ristoranti, dalle liste dei prodotti alle sinagoghe, moni-torando le principali città italiane, mentre per informazioni sulla produ-zione è possibile interpellare lo stesso Rav Piperno ([email protected]).

CONSIDERAZIONI FINALI“In vino veritas” non è solo un noto proverbio latino - spiega il Rav Piperno- bensì l’insegnamento di una massima talmudica (T.B. Meghillà) che pro-pone, attraverso il comune valore numerico di settanta, un legame struttu-rale tra il vino (iain) ed il mistero (sod), ovvero la capacità del vino di per-mettere la comunicazione tra persone di settanta lingue diverse, laddove ilsettanta nella numerologia ebraica indica tutti i popoli esistenti”.Il vino, con la sua forte carica culturale ed economica, potrebbe divenirea buon diritto un potente veicolo di dialogo tra religioni e culture diver-se, tenendo presenti, ovviamente, le specifiche prescrizioni religiose deidiversi popoli che ne proibiscono l’uso.Queste ultime potrebbero anche diventare un momento formativo impor-tante per tutti coloro che, per professione, mettono la “buona tavola” al cen-tro della loro attività lavorativa (ristoratori, sommeliers, ecc.), aprendo inte-ressanti opportunità di espansione su mercati ancora poco esplorati.Oggi abbiamo posto al centro della nostra tavola un bicchiere di vinokashèr.

*Con la collaborazione del Rabbino Umberto Piperno

▲ I principali simboli dell’ebraismo:La stella di David, la Torah, laMenorah (candelabro a settebracci), la Kippah (il copricapoindossato dagli osservantimaschi)

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La creativitàcome antidoto

alla crisi

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Non è semplice parlare di alta ristorazione o“Cucina d’Autore” in un periodo dove la parolacrisi è all’ordine del giorno: eppure, anche que-

st’anno, i cuochi chiamati a congresso a Milano, duran-te la quinta edizione di Identità Golose, lo hanno fattosenza alcun timore o incertezza. “Non è possibile getta-re al vento molti anni di creatività”, questo il messag-gio che durante la seconda giornata del congresso halanciato uno dei personaggi più attesi: Ferran Adrià. Lo chef spagnolo, che per sei mesi gira il mondo, parte-cipa a congressi come quello italiano, ma, soprattutto,sperimenta nuove invenzioni, mentre nella seconda metàdell’anno (quest’anno dal 16 giugno al 21 dicembre) lemette in scena nel suo ristorante/laboratorio El Bulli,non ha dubbi: l’antidoto per superare questo periododi recessione mondiale è guardare al futuro con ottimi-smo, pensando a quanta strada è stata fatta sino ad oradalla cosiddetta alta cucina, magari di avanguardia esperimentazione, di cui lui è il più alto ed indiscussoprotagonista. Stimoli, voglia di sperimentazione, comel’introduzione della liofilizzazione delle verdure, che que-st’anno il cuoco spagnolo ha presentato alla stampa edai colleghi. “Apro il mio ristorante se ho stimoli, altri-

menti non ha senso” afferma Adrià e chissà quanti vor-rebbero permettersi di poter ragione in questo modo, conliste di attesa lunghissime per sedersi al suo ristorante,come nel suo caso. Ma la voglia di stupirsi, più che distupire e quindi di mettersi sempre in discussione, sem-bra uno dei leit motiv di questa edizione. “Bisogna averela capacità di stupirsi e per far questo bisogna pensarecome un bambino. Quando non senti più questo, cambialavoro”. E’ il pensiero di un altro grande chef spagnolo,basco per la precisione, Juan Mari Arzak, grande amicodel genio di El Bulli, che con la figlia Elena conduce ilsuo ristorante tristellato a San Sebastian. L’essenza delsuo lavoro è racchiusa proprio nello sguardo fanciulle-sco che un cuoco deve avere per saper cogliere dal mondoche ci circonda “anche da un bar o una semplice taver-na” idee che poi si tramutano in piatti, nonché spuntiper andare avanti ogni giorno con rinnovata fiducia. Eccoquindi il bonito parterre, ispirato dalla visione di un giar-dino o il dessert “Pietra di Luna”, ispirato al film 2001,Odissea nello Spazio di Kubrick, con delle palline di aran-cia in azoto liquido, olio di oliva, salsa al vino rosso eXantana che appoggiati su polvere di sesamo e zucche-ro disegnano un paesaggio extraterrestre.

di Alessandro Franceschini

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Anche Massimo Bottura, chef dell’Osteria Francescanadi Modena, gioca con il quotidiano e con i ricordi di unavacanza a New York: lo skyline della Grande Mela osser-vato dal grande verde di Central Park si trasforma inuna rivisitazione del bollito misto, dove i sette tagli clas-sici si trasformano in rettangoli, o meglio, piccoli grat-tacieli, cotti sotto vuoto con una spuma di salsa verdeai piedi. “Vivere il quotidiano, ma non perdersi nel quo-tidiano”, questo il motto del vulcanico cuoco modene-se, perennemente in movimento, quasi frenetico nelpresentare i nuovi sviluppi della sua cucina, anzi, dellasua arte, fatta di contaminazione con il jazz di TheloniusMonk, come nel caso del merluzzo infuso nel suo sugocon tonno essiccato insieme a degli spaghetti di radi-ci, carote e cipollotto al nero di seppia ed ancora zen-zero e pelle del merluzzo. Un piatto di pura improvvi-sazione, da assaporare al buio, per concentrarsi solosui sapori.Le stelle non sono mancate, come nelle passate edizio-ni, praticamente per tutti e quattro i giorni del congres-so, che quest’anno si sono alternate nella nuova, e piùfunzionale, sede del Mic (Milano convention centre) apochi metri dal vecchio velodromo Vigorelli: se in pas-sato bisognava guardare lo schermo, per vedere le bri-gate cucinare ed impiattare in ambienti separati, que-st’anno un’unica sala accoglieva cucina e relatori, cir-condati, come di consueto, dagli stand degli sponsor.La formula, oramai ampiamente sperimentata negli anni,è una macchina veloce che procede senza intoppi eriesce a portare sul palco settanta chef provenienti nonsolo dall’Italia, ma dal mondo intero. Dai diciotto dellaprima edizione, il passo in avanti è stato inarrestabile,così come i temi che hanno ispirato tutti gli appunta-menti: quest’anno le verdure sono state il filo condut-tore, non per motivi quaresimali o salutistici, come hasottolineato l’ideatore di Identità Golose, il giornalistaPaolo Marchi, aprendo i lavori, ma: “quale nuova cucca-gna e rivoluzionario riscatto da contorno a epicentro, capa-ci, emancipandosi, di aprire una fase nuova”.Le verdure, quindi, ingredienti semplici, se vogliamo,al centro di molte delle creazioni di cuochi stellati oaspiranti tali, non solo di Pietro Leemann, che del Joiaa Milano ha fatto uno dei punti di riferimento per gliamanti della raffinata cucina vegetariana. E le verdu-re le abbiamo trovate abbondantemente anche tra lericette degli chef che rappresentavano quest’anno laregione ospite: le Marche. Un’invasione di ortaggi ederbe, con tanto di lezione sui fondamenti dell’analisisensoriale, ha caratterizzato le proposte di MicheleBiagiola, dell’Enoteca Le Case di Macerata, attinte dal-l’orto posto a due passi dal ristorante. Tagliatelle cotte nell’acqua delle biete con coste e scor-za di limone o ancora l’incredibile quadro cromatico e

di sensazioni composto da una passata di finocchi espinaci con origano, acetosella, mela selvatica e anco-ra pimpinella e caccialepre ed un mix di fiori assortiti.Semplicità, sia nella ricerca delle materie prime sia nel-l’esecuzione, che però non fa rima con banalità, anzi.Questo il comun denominatore di molti dei giovani risto-ratori marchigiani che si sono avvicendati sul palco: apartire da Carmine Calò, del Caffè Meletti di AscoliPiceno, con la sua dichiarazione di amore nei con-fronti delle vere olive ascolane, rivisitate ed alleggeritecon un ripieno di solo coniglio ed avvolte con una sot-tile crosta di pane, prima di essere fritte in extravergi-ne di oliva. Riccardo Agostini del Piastrino di Pennabilli(Pesaro Urbino) che valorizza quaglia e capriolo oppu-re un flemmatico ma coinvolgente Aurelio Damiani chein quel di Porto San Giorgio ha fatto delle patate, unodei suoi cavalli di battaglia: possono essere rosse pro-venienti da Visso, oppure bianche, le “fiocco di neve” diMontemonaco o ancora di altura perché provenienti daiColli Sibillini, e lui le abbina con le cozze in una mille-foglie piuttosto che con il tartufo, il siero di latte ed ilrosso d’uovo. “Due chicchi di sale, delle eccelse patatelesse ed un buon olio, sono già un grande piatto, unavera goduria”: questa la sua filosofia in cucina, che odia“le standardizzazioni del sottovuoto e delle grammatu-re” ed adora “la cucina spontanea, senza menù presta-bilito, facendo la spesa con la stagione, con il territorioe con il mercato ogni mattina”. Questo è il bello dellacucina: dal pesto che si gelatinizza per creare dei ravio-li senza pasta di Ferran Adrià al minimalismo di AurelioDamiani, passando da Moreno Cedroni, che daSenigallia colora di blu le seppie utilizzando l’acqua dicottura del cavolo nero.Forse, come dice l’ex direttore del Gambero Rosso,Stefano Bonilli, dalle pagine del suo seguitissimo blog“Papero Giallo” (http://blog.paperogiallo.net/), è man-cato un confronto, una tavola rotonda, per parlare dicrisi e di come uscirne, anche nella ristorazione, oppu-re ha ragione lo stesso Paolo Marchi, quando dalla suanewsletter gli risponde: “per quanto sappia bene quan-to è duro il momento, non mi è mai sfiorata l’idea diallineare degli esperti in fallimenti o delle cassandre odei ragionieri dietro a un tavolo. Sono cose che spettanoa enti e associazioni di categoria tipo la Fipe”. Aspettandoche qualcuno, siano gli attori principali o le categoriedi settore, ne parli, ci piacerebbe poter dire, estenden-do l’affermazione a tutto il comparto enogastronomico,“Nel nostro universo non c’è crisi”, prendendo in presti-to le parole con le quali ha esordito Frédéric Bau, diret-tore dell’ Ècole du Grand Chocolat Valrhona. Peccatosi riferisse solo alle dolcezze del cioccolato, altro prota-gonista, insieme alla cucina francese, di questa quin-ta edizione del congresso Identità Golose.

▲ Massimo Bottura▲ Carmine Calò ▲ Ferran Adrià

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Il Franciacorta non conosce crisi. Nel 2008 lebottiglie vendute hanno oltrepassato i 9,6 milio-ni, il 16% in più rispetto all'anno precedente: unbilancio che conferma il valore straordinariodelle bollicine Docg coltivate nel territorio checomprende diciannove Comuni della provin-cia di Brescia.Il trend in crescita è stato confermato dalConsorzio per la tutela del Franciacorta, i cuivini metodo classico hanno anche ottenutodiversi riconoscimenti da parte delle guideenologiche 2009: in particolare, secondoquanto riferisce il Consorzio in una nota, «sonostati 33, su un totale di 53 bottiglie (il 62% deltotale), i Franciacorta premiati con i massimiriconoscimenti dalle diverse guide del settore».A crescere, oltre alla dimensione commercialefirmata Franciacorta, è anche la superficievitata sul territorio della denominazione, salitoa 2.215 ettari (+5% rispetto ai 2.115 del 2007).«Risultati soddisfacenti» li ha definiti EzioMaiolini, presidente del Consorzio per la tuteladel Franciacorta. «Il mercato – ha dichiarato –sta riconoscendo ai produttori la giusta notorie-tà del Franciacorta, nato da un disciplinare diproduzione unico, che ne è prerogativa fonda-mentale». In effetti, per raggiungere un prodotto sinoni-mo di qualità superiore e contemporanea-mente emblema di uno straordinario territorio, iviticultori di Franciacorta hanno puntato sulnuovo disciplinare di produzione. Pubblicatosulla Gazzetta Ufficiale a metà 2008 è in assolu-

to il più rigido al mondo aparità di metodo

produttivo.

Per le aziende sitratta di uno stra-ordinario impe-gno che harichiesto impor-tanti investimentieconomici.Ma gli sforzi profu-si sono stati rico-nosciuti anchedalla critica. Le guide dei vini 2009 hanno con-fermato la leadership qualitativa delFranciacorta fra i “metodo classico” (simboloper antonomasia dei brindisi di fine anno, maormai apprezzati anche come piacevoleaccompagnamento a tutto pasto): oltre allegià citate 33 etichette su un totale di 53, incro-ciando i punteggi di tutte le guide, fra lemigliori 9 bottiglie in assoluto, ben 6 sonoFranciacorta.«Il 2009 è partito bene – precisa Maiolini – mala situazione economica attuale è tutt’altroche rassicurante. Intendiamo comunque conti-nuare a investire nella comunicazione, poten-ziando altresì la presenza del Franciacorta aeventi nazionali e internazionali».Se l’eccellenza qualitativa si profila infatticome un assunto imprescindibile, sul versantedella comunicazione c’è ancora un certo mar-gine di azione. Tra gli obiettivi del Consorzio peril nuovo anno spicca la volontà di consolidarela riconoscibilità del marchio franciacortinoall’estero, in particolare in Germania (il Paesedove oggi si concentra il 30% dell’esportazio-ne). Senza tralasciare il mercato di casa nostra,come conferma la folta presenza di aziende diFranciacorta al Vinitaly 2009 con 49 produttori

(l’anno scorso erano 42) che occupe-ranno 1.063 metri quadrati di esposi-

zione. Uno spazio in cui di certonon mancheranno visitatori alla

ricerca di «un’esperienza diassoluto prestigio – sottolineaMaiolini – sinonimo di qualitàsuperiore, cultura e tenden-za».

Il mercato premiail Franciacorta

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Il vino italiano è stato protagonista di una “tournée” aldi là dell’Oceano: l’Ice, in collaborazione con leregioni Abruzzo, Calabria, Lombardia, Toscana eVeneto, ha lanciato la prima edizione della“Settimana del Vino italiano negli Usa”, a Boston, NewYork e Miami. A New York ha collaborato anche ilConsorzio del Brunello di Montalcino, guidato dalPresidente Patrizio Cencioni. “Era giusto in questo momento di difficile congiunturaeconomica aiutare le nostre imprese a ribadire la prio-rità del mercato americano come principale sboccodei nostri vini. Abbiamo ricevuto segnali di grandeattenzione da parte di importatori e distributori localied una vera e propria rincorsa tra i più importanti nomidel settore a guadagnarsi il ruolo di ‘speaker’ o ‘pane-list’ negli eventi previsti. Oltre alle regioni menzionate,hanno partecipato circa 270 produttori – molti ancoranon presenti negli Usa – tutti rappresentanti della vastagamma di stili delle aree geografiche italiane” hacommentato Aniello Musella, direttore esecutivodell’Ice negli Usa. Gli eventi americani celebrano unsuccesso: secondo le anticipazioni sui dati dellaCommissione Europea – riportati dal bollettino Vini&Vinidell’Ice di New York – l’Italia ha riconquistato la vettadella classifica dei produttori mondiali, superando laFrancia. Alla fine del 2008, la produzione italiana è cre-sciuta dell’8%, avvicinandosi a 47 milioni di ettolitri divino, contro i 44,4 milioni della Francia, in calo del 5%.Boston ha dato avvio a “Vino 2009”, con un omaggioal Montepulciano d’Abruzzo. A New York, il program-ma è iniziato con un ricevimento presso il WarldorfAstoria. Nei giorni successivi, degustazioni e seminaririguardanti tutte le realtà coinvolte, con enfasi parti-colare sul Brunello di Montalcino, il cui Consorzio hapresentato un’anteprima della vendemmia 2004.Infine a Miami, attenzione particolare alle diverse“meraviglie microclimatiche”.

New York ha rappresentato senza dubbio il clou deltour. Le regioni hanno organizzato cene-degustazioninei più esclusivi ristoranti di Manhattan per presentarei patrimoni enogastronomici e le peculiarità di ognu-na, con guide speciali: Valentino Sciotti per l’Abruzzo;Paolo Librandi per la Calabria; Riccardo RicciCurbastro per la Lombardia; Lamberto Frescobaldiper la Toscana e Marilisa Allegrini per il Veneto. Infine, presso la Rainbow Room di Cipriani, sono statiassegnati, i “Distinguished Service Awards”, i premi airappresentanti dell’industria vinicola maggiormenteimpegnati nella promuovere i vini italiani negli Usa, tracui: Leonardo Lo Cascio, presidente/fondatore diWinebow; John Mariani Jr., presidente emerito di BanfiVintners e Castello Banfi; Hubert Opici, presidente diOpici Wine Group; Piero Selvaggio, proprietario delristorante Valentino a Santa Monica e AnthonyTerlato, presidente della Terlato Wine Group.

(Alessandra Rotondi)

Per il vino italiano un tour a stelle e strisce

▲ Aniello Musella, direttore dell'Ice ▲ L’inaugurazione al Warldorf Astoria

▲ I banchi d’assaggio

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I “top 40” sbarcano a Londra

I migliori vini italiani hanno percorsole acque del Tamigi per raggiunge-re la city londinese e conquistare lacorte della Regina Elisabetta. Dettocosì sembra quasi un’impresa, main realtà è stato tutto decisamentepiù semplice. È noto che i gusti deibritannici sono molto distanti dainostri, ma è altrettanto vero che leeccellenze vitivinicole del BelPaese mettono d’accordo anche ipalati più differenti.Così è stato lo scorso 2 marzo,quando la Worldwide sommelierassociation e l’Associazione italianasommeliers hanno portato oltrema-nica una selezione di etichette pre-miate con i 5 Grappoli dalla guidaDuemilavini 2009, il “meglio delmeglio”, potremmo dire. Non acaso la degustazione è stata intito-lata“I like the best” per conferirequel tocco di esclusività all’evento.I banchi d’assaggio sono stati alle-stiti grazie al prezioso contributo diAndrea Rinaldi, delegato Ais e por-tavoce della Wsa nella capitale bri-

tannica, presso lo storicoCommonwealth Club, prestigiosoritrovo della Regina d’Inghilterra.Situato nel cuore di Londra, a pochiminuti da Trafalgar Square, il Clubha rappresentato la cornice idealeper ospitare alcune tra le bottiglieche hanno più emozionato la com-missione della Duemilavini. Fondatonel 1868 come un luogo di incontrointernazionale per lo scambio diidee e la conversazione, l’ambien-te unico del locale continua la suamissione in un modo estremamentemoderno a dispetto della sua tradi-zionale facciata. Celebra la diversi-tà e promuove l’istruzione e il multi-culturalismo. La Wsa e l’Ais l’hannoperciò scelto proprio per esaltare lospirito cosmopolita di quest’iniziati-va. La degustazione è stata apertaal pubblico per tutto il pomeriggioin presenza di importanti personag-gi del panorama vitivinicolo nazio-nale e internazionale, grandi esper-ti della ristorazione londinese, i prin-cipali mass media e diversi vip.

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In diverse occasioni della vita capita di sottolineare come la cucina siacultura e passione, e non una semplice attività per soddisfare il bisognoprimario di nutrimento.In Italia, e soprattutto a San Patrignano, questo punto di vista è un impe-rativo categorico.Dal Primo maggio fino al 4 torna infatti l’appuntamento con Squisito, l’uni-ca manifestazione enogastronomica interamente organizzata all’internodi una Comunità di recupero, che giunge quest’anno alla sua sesta edi-zione.In quest’occasione, i 1500 ragazzi di Sanpa seguiranno personalmentel’organizzazione dell’evento, dando prova di come l’arte culinaria possatrasformarsi in un importante momento di integrazione sociale.La Comunità di San Patrignano fu fondata nel 1978 da Vincenzo Mucciolicon lo scopo di fornire assistenza gratuita a tossicodipendenti ed emargi-nati.In breve tempo l’associazione ricevette un sempre maggior numero dirichieste d’aiuto e ad oggi risulta essere la più grande comunità terapeuti-ca d’Europa.La sua ricchezza risiede nell’unicità del progetto: a San Patrignano iragazzi non vengono considerati dei malati bensì giovani con grandipotenzialità, a cui fornire un ausilio per riscoprire le proprie capacità e svi-lupparle al meglio.Squisito rappresenta una delle tappe di questa forma mentis, un’occasio-ne per ricercare e riassaporare il gusto della vita in senso lato! Anche quest’anno sono in programma iniziative con chef affermati chedelizieranno i palati con prelibate ricette; accanto a loro ci saranno gio-vani aspiranti cuochi che cercheranno, come si suol dire, di “rubare ilmestiere”.Ecco quindi che “la Giostra dei cuochi”, uno degli appuntamenti piùseguiti di Squisito, vedrà a fianco di Davide Paolini, suo “inventore”, glichef di Jre (Jeunes Restaurateurs d’Europe), in una formula del tutto inno-vativa che suscita grande curiosità. Ogni giorno i ragazzi proporranno leloro ricette ad un pubblico di spettatori che avrà così la possibilità di inte-ragire con la loro cucina, per conoscerne i segreti e i trucchi.I “Giovani ristoratori” hanno da poco cambiato guida: Marco Bistarelliche per tre anni e mezzo è stato presidente dell’associazione, in occasio-ne della manifestazione milanese “Identità Golose” ha passato il testimo-ne all’amico e collega Emanuele Scarello; proprio in quest’occasioneBistarelli ha ricordato le grandi emozioni che l’associazione gli ha regalatoe ha voluto sottolineare che i momenti che resteranno indelebili nella suamemoria sono in maggior parte legati a San Patrignano e a ciò che iragazzi sono stati capaci di creare. Altra tappa importante del programma è rappresentata da “IdentitàSquisite”, appuntamento ideato da Paolo Marchi, giornalista e pionieredelle già citate Identità Golose, un palcoscenico culinario utilizzato da

Quando il gustodiventa un’occasione!L’appuntamento con “Squisito!” è a San Patrignano nei primi quattro giorni di Maggio

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▲ Degustazioni a Squisito diversi astri nascenti, che quest’anno a Milano ha visto il debutto di FabioRossi, chef del ristorante della comunità di Sanpa, insieme alla sua brigatadi cucina.Grazie al successo riscosso, prosegue anche l’appuntamento con“Vigneti in Bottiglia”, il tradizionale incontro con degustazioni e seminariorganizzato dall’Associazione italiana sommeliers e dalla rivista Bibenda,che ripeterà la formula doppia introdotta lo scorso anno: l’area 100 eti-chette, raccolta esclusiva delle migliori produzioni italiane e l’area delleverticali, degustazioni guidate dai migliori sommeliers.In un momento difficile come quello attuale, in cui i giovani si trovano adover affrontare una situazione di grande precariato e sempre menopunti di riferimento, Squisito diviene ancora di più un esempio di ciò chedovrebbe avvenire all’interno di ogni società che si rispetti, dove i giovanivengono considerati delle vere e proprie risorse, con cui è dunque possibi-le intavolare riflessioni sull’offerta formativa disponibile per il settore e leconcrete opportunità di inserimento.Il programma procede con l’immancabile Paolo Massobrio e il suo clubdel Papillon che, come d’abitudine, ci presenteranno “Experimenta”, illaboratorio che insegna ad utilizzare inusuali combinazioni di gusti maanche a riconoscere i prodotti freschi e di qualità.Per soddisfare i gusti dei più patriottici non mancherà anche quest’anno“Il Villaggio degli Artigiani”, produzioni 100 per cento made in Italy, chevede come novità la presenza di degustazioni durante le quali sarà possi-bile scoprire i segreti delle creazioni ponendo domande e curiosità ai pro-tagonisti.Molte quindi le aspettative anche per questa edizione: verranno certa-mente soddisfatte grazie all’impegno e alla costanza ai quali ci hannoabituati, nel corso degli anni, i ragazzi della Comunità.

(Katia Giarrusso)

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A pensarlo oggi sembra quasi impossibile. E’ infatti divenuto il vino“moderno per eccellenza”, con la sua nota fruttata e la moderata alcoli-cità, che lo rendono abbinamento perfetto anche con la cucina light oesotica che oggi vanno tanto di moda. Eppure era il 1969 quandoConegliano Valdobbiadene otteneva la Denominazione di origine con-trollata. A quarant’anni dal riconoscimento, il Prosecco di ConeglianoValdobbiadene rinnova la propria identità presentandola in anteprima aVino in Villa, Festival internazionale che si svolgerà dal 16 al 18 maggio

nello splendido Castello di San Salvatore a Susegana, inprovincia di Treviso. La novità più importante? La richiesta della Docg a par-tire dalla prossima vendemmia e la modifica del discipli-nare, che porterà in primo piano il territorio.“La richiesta della Docg è un’esigenza nella prospettivadel cambiamento del mondo Prosecco grazie allaRiserva del Nome”, afferma il presidente Franco Adami.“Se fino ad oggi il nostro vino era conosciuto nel mondocome Prosecco Doc, dal momento che l’ottenimentodella Denominazione di origine controllata è avvenutonel 1969, tra le prime doc d’Italia, e fino ad oggi si èmantenuta l’unica Doc del Prosecco con Montello eColli Asolani, oggi non basta più. Con la nuova norma-tiva verrà creata una nuova grande Doc baseProsecco, estesa su ben otto province. Per l’area stori-

ca, quindi, il nome Prosecco diventa stretto… Cambiare è una sceltacoraggiosa ma i tempi sono maturi per farlo”. Dopo il riconoscimento a primo Distretto spumantistico d’Italia, l’areaintraprenderà una nuova sfida: ottenere il riconoscimento a PatrimonioUnesco, dal momento che, in Italia, oggi non esistono territori che abbia-mo ricevuto la preziosa qualifica grazie alla viticoltura.

A “Vino in villa” si parlerà quindi di un “territorio in fermento”. L’evento,giunto alla dodicesima edizione, sarà aperto al pubblico sabato e dome-nica, mentre lunedì l’ingresso sarà riservato agli operatori e ai soci Ais.Nelle sale del Castello di San Salvatore, le aziende non saranno disposte inordine alfabetico ma per territori, cru e vigneti. Calice alla mano, si partiràda Conegliano per arrivare, comune per comune, a Valdobbiadene perscoprire il cru Cartizze. Un modo originale, questo, per incontrare i produttori, uno ad uno, e perconoscere attraverso la degustazione dei vini le differenze dei singoli suolie microclimi. Durante le giornate, poi, saranno organizzate visite al territo-rio per conoscere gli scorci più belli che diverranno base di valutazioneUnesco. Si potrà anche prendere parte alle singole iniziative che i produt-tori dell’area offriranno in cantina.Sabato sarà il giorno dedicato alla cultura, la mattina con il convegno dipresentazione del progetto Unesco e delle molte novità 2009, nel pome-riggio con i Simposi di Vino in Villa, appuntamento culturale in collabora-zione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia, quest’anno dedicato aL’Abbondanza.

I primi quarant’anni del ProseccoVerranno festeggiati con una rinascita a “Vino in villa”, il festival in programma dal 16 al 18 maggio

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In gennaio è cominciato il “Master in FineFood & Beverage”, il primo master internazio-nale in general management dedicato almondo del food and beverage, organizzatodalla Sda Bocconi, la Scuola di direzioneaziendale dell’Università Bocconi di Milano.Diretto dai professori Massimiliano Bruni eGiorgio Lazzaro, il corso ha l’obiettivo di for-mare manager in grado di sviluppare la com-petitività delle realtà imprenditoriali italiane inun contesto di crescenti opportunità e dipressioni internazionali.Il master è un programma full-time, delladurata di un anno, tenuto in lingua inglese,dedicato alla gestione delle imprese che avario titolo operano nei settori del food andbeverage di fascia alta, nella tradizione dellacultura e dell’imprenditoria italiana. L’Mffb è pensato per formare giovanilaureati provenienti da tutto il mondo che abbiano sviluppato una primaesperienza di lavoro e che intendano proseguire la propria carriera pro-fessionale in questi affascinanti settori, in cui sempre più è richiesta lacapacità di coniugare una superiorità di prodotto e di servizio, tipica delleaziende che operano in questi ambiti, con logiche e strumenti manage-riali avanzati, capaci di assicurare percorsi di crescita nazionali ed interna-zionali. Coerentemente con questo obiettivo, il Master coniuga il rigore e la pro-fondità di contenuti che caratterizzano da sempre le iniziative della SdaBocconi, il cui prestigio internazionale è stato recentemente ribadito dalleclassifiche del Financial Times e del Wall Street Journal Europe, con inte-ressanti momenti d’esperienza, in cui i partecipanti entrano in contattodiretto con le imprese, le tradizioni e le culture internazionali del food andbeverage, attraverso degustazioni, visite in azienda e permanenze inregioni italiane riconosciute a livello mondiale per i loro prodotti. Proprio in quest’ottica trova spazio la collaborazione con l’Ais, che, con ilcontributo scientifico e didattico di Rossella Romani e di Michele Garbuio,coinvolgerà i 23 Partecipanti Mffb (di cui 19 italiani) nel corso per somme-liers negli spazi della Sda Bocconi. L’intenzione è quella di promuovere una cultura manageriale di valore nelsettore del food and beverage e di sviluppare una specifica sensibilitàverso l’importanza del ruolo assunto dalla professione del sommelier nellediverse realtà che a vario titolo operano nel settore.

Food and beverage: primo master in Bocconi

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Da giovane imprenditrice a giornalista per Mediaset,da responsabile numero uno degli imprenditori under40 della Confcommercio a Sottosegretario allaPresidenza del Consiglio con delega al Turismo.Michela Vittoria Brambilla è senza ombra di dubbiouna donna di successo. E il suo lavoro per quel setto-re tanto caro all’Ais le è valso il titolo di “SommelierOnorario”, conferitole dal presidente nazionaleTerenzio Medri.La Brambilla ha ricevuto il riconoscimento con gran-de emozione e ha voluto ribadire subito il suo impe-gno per tutto il comparto turistico: «Ringrazio di cuorel’Associazione italiana sommeliers e spero al più pre-sto di poter ricambiare la fiducia con provvedimenticoncreti a vantaggio di questo settore tanto rilevan-te per l’economia del nostro Paese».Così come annunciato dal presidente del Consiglio

Silvio Berlusconi, nel corso del 2009 arriverà un nuovoMinistero delle Politiche Turistiche e la Brambilla saràa capo di questo dicastero. All’origine della decisio-ne di reintrodurre la figura del ministro del Turismo,dopo l’abrogazione tramite referendum nel 1993 e ilpassaggio di competenza alle Regioni con la modifi-ca del titolo V della Costituzione, c’è la presa d’attodella centralità di questa attività per lo sviluppo del-l’economia nazionale. Da ciò la necessità di averenel governo un referente autorevole per una materiacosì importante. «Non è pensabile – ha aggiunto laBrambilla – che in un momento di crisi come questoin cui c’è bisogno di aiutare le imprese, il turismo nonpossa contare sulla massima operatività e sostegnoda parte delle istituzioni locali e nazionali». L’Ais èquindi pronta a brindare con entusiasmo all’insedia-mento del nuovo ministro.

Alla Brambillail titolo di Sommelier onorario

▲ Il presidente dell'Ais Terenzio Medri e Michela Vittoria Brambilla

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Quando il vino è solidarietàL’Amarone della Valpolicella Classico Doc Riserva Speciale 1995 rappre-senta il fiore all’occhiello della produzione dell’azienda Aldegheri. A que-sto nettare unico è stata riservata un’occasione speciale che permettes-se di dargli un valore aggiunto. L’Amarone Riserva 1995 è stato infatti ilprotagonista di un’iniziativa benefica, scelta per sottolineare l’evento e ilprofondo rapporto che lega il vino al territorio. Sono stati realizzati trentajeroboam da cinque litri, il cui ricavato è andato in beneficenzaall’Associazione Arcobaleno di San Pietro in Cariano. L’ente da anni sioccupa di disabili, di emarginati e del sostegno sanitario, economico elegale delle persone affette da problemi psichici. L’associazione, inoltre,ha appoggiato un progetto in un ospedale in Uganda per il sostentamen-to di bambini orfani e ammalati di Aids. Per conferire un ulteriore significa-to questo speciale Amarone è stato proposto con un inedito packagingd’autore, realizzato da Luciano Padovani. L’artista, veronese di nascita eresidente a Sant’Ambrogio nel cuore della Valpolicella, è profondamentelegato alla realtà del territorio. Nella piena maturità del suo percorso arti-stico ha affrontato la tematica del vino e per questo Amarone unico harealizzato il quadro riprodotto poi sull’etichetta. “Un abito” di alta classeper un vino dallo stile difficilmente eguagliabile e che segna un connubioperfetto tra arte, territorio e solidarietà.L’eccezionale annata 1995 ha permesso all’azienda Aldegheri di ottenereun Amarone speciale, prodotto in un numero limitato di bottiglie, frutto diun attento lavoro. Dopo un accurato appassimento, infatti, nei primi giornidi febbraio, le uve vengono diraspate e pigiate in modo soffice. Il mosto ele vinacce sono fatte poi fermentare per lungo tempo e quindi, dopoalcuni travasi, il vino viene trasferito in apposite grandi botti di rovere per illungo invecchiamento. Dopo l’imbottigliamento l’Amarone viene ancoraaffinato un anno in bottiglia per poter esprimere, al momento dell’apertu-ra, le sue caratteristiche migliori. E proprio il particolare tipo di invecchia-mento lo rende ancora più robusto, pieno e caldo, con profumi di con-fettura di prugna e di liquirizia e una sensazione di equilibrio e di morbidez-za al palato. Caratteristiche che ne fanno un ottimo accompagnamentoper arrosti, piatti a base di selvaggina, agnello al forno, filetto di maialefino ai formaggi a pasta dura e come vino da conversazione.

(F. C.)

▲ Luciano Padovani, autore del -l’opera da cui è stata realizzatal'etichetta

▲ Paola Aldegheri e Giovanni Rana

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Un riconoscimento per la sua instancabile attività nelsettore alberghiero e della ristorazione. Il presidentedell’Ais, Terenzio Medri, ha ricevuto l’Eurhodip Award,un premio conferito dall’omonima associazione consede a Bruxelles, che raduna le più importanti scuolealberghiere e di ristorazione europee e non solo.Eurhodip ha recentemente ricordato i suoi vent’annidi attività in occasione dell’annuale conferenza,svoltasi in Marocco a Casablanca, oltrepassando iconfini continentali sulle coste mediterranee delNord Africa.«Siamo lieti di consegnare questa onorificenza al pre-sidente Medri. Con i sommeliers dell’Ais contribuisceall’evoluzione del nostro settore in tutto il mondo. Ilturismo e i valori dell’ospitalità sono una ricchezzache ogni Paese possiede e che devono essere valo-rizzati non solo perché fanno da traino dell’econo-mia interna, ma soprattutto perché diffondono lacultura e le peculiarità di ogni singolo territorio», hadichiarato Alain Sebban, presidente di Eurhodip.

La cerimonia di consegna dei riconoscimenti, che havisto protagonisti anche alcuni tra i migliori istitutialberghieri europei, si è tenuta all’Hotel Golden TulipFarah di Casablanca per sottolineare che ilMediterraneo è risorsa comune tra il nostro continen-te e quello africano. «Sono onorato di ricevere insie-me a questo premio tutta la stima di Eurhodip. È ladimostrazione che il lavoro che l’Ais porta avanti daanni per la formazione di molti sommeliers ha rag-giunto un valore internazionalmente riconosciuto. Unringraziamento va a tutti coloro che giorno per gior-no si impegnano e portano avanti le nostre attività inItalia e oltre i confini nazionali con la Worldwide som-melier association», queste le parole che il presidenteMedri ha tenuto a sottolineare. «Rivolgo inoltre la miariconoscenza a Eurhodip: come noi dell’Ais, favoriscela formazione alberghiera a partire dai più giovanied è innegabile che il futuro del nostro settore nonpuò che essere affidato nelle mani delle nuovegenerazioni».

L’Ais premiata con l’Eurhodip AwardCon questa prestigiosa onorificenza viene riconosciuto il ruolo dei sommeliers nello sviluppo del turismo

CONVOCAZIONE DI ASSEMBLEA PER L’APPROVAZIONE DEL BILANCIO CHIUSO AL 31 DICEMBRE 2008

È convocata l’Assemblea dell’Associazione italiana sommeliers prevista dall’articolo 11 dello Statuto vigentepresso la sede dell’Ais, Viale Monza 9, Milano per mercoledì 22 aprile 2009 alle ore 6.00 in prima convocazionee per GIOVEDÌ 23 APRILE 2009 ALLE ORE 10.30 in seconda convocazione per discutere e deliberare sul seguente

ORDINE DEL GIORNO

1 – Lettura della relazione sull’attività gestionale2 – Lettura della relazione del Collegio Revisori dei Conti3 – Discussione e approvazione del Bilancio al 31 dicembre 20084 – Discussione e approvazione del Bilancio Preventivo 2009

Il PresidenteTerenzio Medri

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2008, anno bisestile, anno funesto: così recita un cele-bre motto esclusivo delle culture di base romana. Senei primi giorni dell’anno vi siete affrettati a leggere leprevisioni astrologiche per questo 2009 agli esordi,foriero, sembrerebbe, di fortune e riscatti in barbaall’inesorabile crisi economica e di valori che ci atta-naglia, allora non fatevi mancare l’edizione 2009 del-l’ormai consueta Guida al Piacere e al Divertimentodi Roberto Piccinelli. Un prezioso concentrato di con-sigli e suggerimenti sui locali dove trascorrere le nostreserate, abbandonando per un momento la difficile resadei conti con mutui e disoccupazione incipiente.Usciamo e divertiamoci: ce lo meritiamo, senza con ciòdover necessariamente contribuire alla invocata ripre-sa dei consumi.

A guidarci nella ricca offerta del mondo del loisir,Roberto Piccinelli, giornalista, scrittore e creatore dineologismi ormai entrati nel parlato comune (in pochiormai ignorano cosa sia un dream hotel). Giunta allasua dodicesima edizione, la guida e la sua periodicità

annuale si spiegano per due ordini dimotivi, indicati dallo stesso autore: lafrenetica successione dei locali meri-tevoli di segnalazione e la continuaindividuazione di nuove tipologie strut-turali. Immobilismo e preconcettosono aggettivi che Piccinelli aborrisce,convinto che la realtà odierna, sem-pre più propositiva e instabile, nonpossa essere approcciata passivamen-te, ma prevista in anticipo.

Delle oltre 2.500 strutture personal-mente censite dall’autore sono forni-te indicazioni essenziali quali nomi-nativo, indirizzo, telefono, giorni e orari

di apertura, periodo di chiusura annuale, oltre a descri-zioni curate di taglio giornalistico.

Imperdibile, in chiusura del volume, la sezione “I pro-tagonisti del Bien Vivre”, dove troviamo elencate le per-sone giuste i cui nomi non possono essere ignorati dachi va alla ricerca del meglio della vita: politici(Santanché, ma anche Veltroni e Gelmini), attori(Scamarcio, Mastelloni), manager e imprenditori, archi-tetti, giovani rampanti.

Non fatevi mancare nulla.

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GUIDA AL PIACERE E AL DIVERTIMENTO 2009Tutti gli indirizzi più nuovi e alla moda d’Italia

Autore: Roberto PiccinelliEditore: OutlinePrezzo: 15,00 euro

SULLO SCAFFALE di Natalia Franchi

Terra dalle mille promesse, la Sicilia esprime nellaprovincia di Trapani un affascinante incrocio di sole,terra e mare. Una terra che andrebbe inserita nelleguide turistiche più popolari, per far conoscere alturismo mondiale una delle mete meno scontate epiù preziose della nostra penisola. La parte intro-duttiva del volume si sviluppa con l’illustrazione deitre principali percor-si enogastronomicidel sale, del vino edell’olio, nei quali illavoro dell’uomo siintreccia spesso conleggende antichissi-me. E con luoghi dalfascino secolare maitramontato: Marsalae Selinute, per cita-re solo i più noti siti di interesse del trapanese. Lastraordinaria offerta enogastronomica fa infattida contraltare alle vestigia e alle tradizioni frutto diquasi tremila anni di storia, che dalle prime coloniegreche arrivano ai giorni nostri, in una straordina-ria miscellanea di culture e civiltà nel centro delMediterraneo.

Scopo dell’apprezzabile volume, curato dalla Cameradi Commercio Industria Artigianato e Agricoltura diTrapani, dunque, far conoscere le bellezze e i prodot-ti di eccellenza del territorio trapanese. L’opera si pro-pone come una guida agile e coinvolgente per scopri-re la ricchezza e la varietà sia dei prodotti della terrasia dei piatti più caratteristici. I modi di preparazio-ne dei cibi variano spesso da una città all’altra, dandocosì vita a un avvincente affresco di sapori.

Ecco quindi un’attenta elencazione e descrizione diricette suddivise nelle seguenti sezioni:gli antipasti, preparati con ingredienti semplici madal sapore deciso; il pane e le pizze; le insalate, incui vengono realizzati accostamenti sorprendenti;le minestre e le zuppe, piatti semplici della cucinapopolare in cui si mischiano verdure, legumi, ortag-gi e pesce; i primi piatti; il pesce; la carne, in parti-colare maiale, agnello, capretto e coniglio; la pastic-ceria, in cui accanto ai dolci tipici come cassate ecannoli troviamo molte prelibatezze preparate conle mandorle, i semifreddi, i torroni e le torte a basedi ricotta.

Vedi Trapani e poi muori.

TRAPANILe terre del gusto

Autore: Camera di commercioIndustria ArtigianatoAgricoltura di Trapani

Editore: PS Advert Edizioni

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Chi scrive conosce ed apprezza da anni le dolcezze,gli spigoli e il fascino unico della località di Camogli.L’odore, l’atmosfera e il significato di un posto doveil solo osservare la fierezza del faro che si erge sem-plice e maestoso tra le acque del suo piccolo porto,basta a dimenticare la banalità di lunghi giorni tra-scorsi in una grigia metropoli. Un porto che è espres-sione della sostanza e della chiara lealtà della genteche vi abita. Al di là della focaccia e dei luoghi comu-ni che attirano i sempre più numerosi milanesi.

Il volume arriva dopo cinque anni di indubbio suc-cesso della rassegna di vini liguri “VinidAmare”, ospi-tata appunto dalla cittadina di Camogli (il prossi-mo appuntamento è previsto nel mese di maggio).Una iniziativa che vanta ilpatrocinio della RegioneLiguria e delle Province diGenova, La Spezia, Savona eImperia, a rispondere alle esi-genze di quanti, produttori,giornalisti o appassionatidella cultura del vino, apprez-zano la tradizione vinicolaligure e desiderano approfon-dire la conoscenza di ogni suoaspetto. Occorre superare illuogo comune della Liguriacome sito condizionato uni-camente dal suo stretto rap-porto con il mare, per cogliere la varietà del patrimo-nio regionale in cui rientra a pieno titolo la produ-zione di vini con suoi vigneti costruiti sui pendii delleriviere.

Otto le zone della Liguria, caratterizzate da altret-tante Doc – Denominazione di origine controllata –presentate nel volume, in un percorso da Ponentea Levante che analizza i diversi disciplinari di pro-duzione, opportunamente privati del freddo e pococomprensibile linguaggio burocratico. All’autore, Antonello Maietta – vice presidente nazio-nale Ais – va il merito di aver reso l’opera un affre-sco non solo del territorio ligure, ma altresì un ritrat-to delle ultime generazioni di uomini che hanno tra-sformato le sorti di un’economia fino ad oggi deva-stata dal dissesto idrogeologico e dal declino paesag-gistico. Giovani che hanno rivitato le superfici, cre-ando nicchie di autentica qualità, capaci di reinter-pretare, modernizzandolo, il tradizionale individua-lismo di queste terre.

Una terra da amare.

VINI DI LIGURIAVinidAmare

Autore: Antonello MaiettaEditore: Corigraf Genova

A torto lo si considera il più umile e il più facileda produrre tra gli alimenti fermentati. Famaimmeritata, quella dell’aceto, che a buon dirittoè tra i condimenti maggiormente consumati intutto il mondo e il più sicuro sotto l’aspetto igie-nico sanitario. Tanto da essere il “conservante”per eccellenza di altri alimenti.

Ancora, l’umiltà che gli si attribuisce non consi-dera l’enorme varietà di materie prime da cui l’ace-to può derivare. Ogni materia prima suscettibiledi fermentazione rappresenta una fonte per la suarealizzazione. A differenza degli altri membri dellafamiglia degli alimenti fermentati (vino, birra,bevande alcoliche, formaggi, pane), l’aceto è il soloa derivare dall’attività di più microrganismi chelavorano in successio-ne; la cosiddetta fer-mentazione acetica èsempre l’ultima e nonè mai così scontata.

Nelle intenzioni degliautori – che hannopersonalmente speri-mentato le tecnologieproposte nel volume –consentire ai curiosi dicimentarsi nella pro-duzione di aceti comu-ni, esotici, non con-venzionali.E proprio nella descri-zione degli aceti non convenzionali risiede l’ele-mento curioso che fa del volume una chicca perchi non intende fermarsi al solito aceto di vino.Accanto al più noto aceto di mele (di sidro), tro-viamo illustrate procedure per la realizzazionedi aceti da numerosi frutti – fichi, banane, agru-mi e frutti di bosco – dal miele, dalla birra, dalriso e dall’orzo.

Esaustiva e doverosa la lettura del capitolo dedi-cato al mai abbastanza conosciuto aceto balsa-mico. Chiude il volume un omaggio agli aceti “stra-ni”, le cui materie prime, oltre che insolite, potreb-bero essere di difficile reperimento, come la palma,le radici e i tuberi.

A ognuno il suo aceto.

ACETI FAI DA TE

Autore: Paolo Giudici, Carlo Zambonelli,Luigi Grazia

Editore: Ed. Agricole Il Sole 24 Ore Business Media

Prezzo: 16,00 euro

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E’ del produttor (di vino)ancora il fin la meraviglia?

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Bisognerà scriverla, prima opoi, a bocce ferme, la storiadel mondo del vino di questi

ultimi vent’anni, che accanto ad unainnegabile crescita, qualitativa, d’im-magine e di prestigio presenta pagi-ne molto meno esaltanti. Bisogneràparlare dei molti errori compiuti,delle ingenuità, della tendenza dif-fusa a compiacere e talora cavalca-re le mode, della grande difficoltà adelineare con lungimiranza e senzacontinue correzioni di rotta, precisestrategie. Per molti produttori italia-ni questi sono stati e sono ancoraanni all’insegna del marinismo. Non fraintendetemi, non mi riferi-sco alla bionda e giunonica Valeria,attrice, showgirl e ora anche stilista,anche se l’opulenza di certi vinifarebbe pensare ad una sorta di ispi-razione alla “burrosa” soubrette. Ilmarinismo cui penso è proprio quel-lo che prende nome da GiovanBattista Marino, massimo rappre-sentante della poesia barocca italia-na, il cui motto più celebre, traman-dato da tutte le storie della lettera-tura, dice che “È del poeta il fin lamaraviglia”. Cosa sono state, cosasono difatti molte libere interpreta-zioni enologiche, tutte ghirigori, tro-vate ben calcolate, specchietti perallodole, se non libere variazioni eapplicazioni al tema vino di quell’in-vito, lanciato secoli fa da Marino, asorprendere, con tutti gli effetti spe-ciali dati ieri dalla retorica e oggi dauna tecnica sempre più agguerrita,il lettore e, oggi, mutatis mutandis,il consumatore ed il degustatore pro-fessionale? Cos’erano difatti se noneffetti speciali, espedienti per farsinotare, più con elementi collateraliche con la verità e la bontà del pro-dotto finale, il ricorso ad inutili ecostose bottiglie super pesanti o difoggia particolare create apposita-mente, il vorticoso turn over delleetichette, ogni volta affidate al gra-fico o al designer (verrebbe voglia didire lo stilista…) più in voga, e poi

l’adozione di nomi che più fantasio-si, stravaganti, privi di ogni legamecon il territorio, scelti per battezza-re i vini più ambiziosi e costosi? Vi sembra esagerato quello che dicoe viziato da un tradizionalismo chemi spinge a diffidare della “creativi-tà” e del nuovo? Bene, allora vogliocitare quanto ha scritto recentemen-te, parlando della proliferazione dellecosiddette super cuvées, uno dei piùautorevoli wine writer britannici,Andrew Jefford, sulle colonne diDecanter. Ha scritto: “Non v’è dub-bio che la scelta di produrre vinida singoli vigneti (parla di un feno-meno che dalla Borgogna si è este-so anche ad altre zone vinicole fran-cesi) otterrà il plauso dei puristi enon v’è dubbio che rappresenti lamigliore soluzione se il luogo in que-stione ‘consente la creazione di unvino che presenta una qualità e unostile unici e ben percepibili dovuteal particolare ambientamento diquelle uve in quel posto’. Ma anchein Borgogna questa unicità non è senon raramente distinguibile”. La conclusione è che “la scelta dellasuper cuvée, della selezione specia-le, è una sorta di mostro generatodall’ascesa e dall’imporsi di una cri-tica del vino basata sui punteggi”. Equeste selezioni speciali, “innegabil-mente impressionanti”, lo sono “piùper l’accumulazione delle qualità,facile da tradurre in un punteggio,che per la definizione di queste stes-se qualità”, che è più difficile da per-cepire e richiede che ai vini vengaconcesso il giusto tempo per matu-rare e poterle esprimere. Come si ètradotto questo discorso relativo allasituazione francese nel panoramavinicolo italiano? Si è tradotto, lospettacolo, se così si può dire, è sottogli occhi di tutti, in un’assurda,incontrollata, disordinata frammen-tazione della produzione in cru, sottocru, super cuvées, selezioni partico-lari, vini di nicchia, che hanno ridot-to la massa critica ed il potenziale

appeal commerciale di molti vini,perché un conto, soprattutto per unimportatore, è contare su 50,100mila bottiglie di un determinato vino,un conto è sapere di avere a che farecon un “vin de garage” da tremilapezzi, ma hanno funzionato, finchéhanno funzionato, maravigliosamen-te come rilucenti attrazioni in gradodi catturare l’attenzione di una stam-pa e di una critica alla ricerca delnuovo. Perché un conto, nel loro ragionare,è parlare del vino già noto e affer-mato, un conto è raccontare al let-tore dell’ennesima novità, della spe-rimentazione in corso, della stranez-za e particolarità provata “per vede-re come si ambientava quell’uva inquel determinato terroir”, o perché,insomma non provare a produrre unMerlot, un Pinot Nero, un Viognierin zone dove da secoli si lavoravasolo sul Sangiovese, o sul Nebbiolo,è un po’ da “provinciali”... Pensiamo,ad esempio, alla sola Toscana, alChianti Classico, oppure ad altrezone come Montalcino dove in osse-quio alla parola d’ordine dei SuperTuscan, accanto ai classici vini adenominazione sono fioriti, espres-sione, ci è stato detto, delle uvemigliori, tutta una serie di vini “inno-vativi” prodotti con incroci e commi-stioni di varietà autoctone e allocto-ne o totalmente internazionali nellaloro composizione e nello spirito. A cosa sono serviti? A nulla, solo afar parlare, ad attirare l’attenzione,a dimostrare che era davvero il mari-nismo ad ispirare larga parte di unmondo produttivo intento solo adimostrare che é “del produttore ilfin la meraviglia”. Innovazione l’han-no chiamata, capacità di rinnovar-si, di offrire nuovi stimoli al consu-matore. Sarà anche vero, ma se que-sto è il mondo del vino e se questesono le “ricette” per affrontare i mer-cati in tempi di crisi, non posso chedire, a costo di apparire ripetitivo,scusate, ma io non ci sto…

di Franco Ziliani

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