DeVinis n. 87 Maggio-Giugno 2009

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DE Vinis PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL ’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - [email protected] LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ, LA CULTURA, IL PIACERE, I PROTAGONISTI DEL BERE BENE Maggio / Giugno 2009 Anno XVI - n. 87 - 3,50 - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postal e - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/ 02/2004 - n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano

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Pubblicazione Ufficiale dell'Associazione Italiana Sommelier

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DEVinis

PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - [email protected]

LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ,LA CUL TURA, IL PIACERE,

I PROTAGONISTI DEL BERE BENE

Maggio / Giugno 2009

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Ripartireper tornare

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La spallata che ha steso l’Abruzzo ha anche colpito tutti noi, travol-ti emotivamente dal terremoto che ha devastato e ucciso. È statauna tragedia a cui il Paese ha risposto con la tempestività delle

istituzioni e la generosità degli Italiani. So che in queste settimane moltidelegati dell’Ais hanno organizzato o stanno organizzando iniziativeper aiutare i cittadini abruzzesi che hanno subito danni dal sisma. Liringrazio perché questa è la conferma che l’Ais è come una grande fami-glia, sempre solidale nei confronti di chi è in difficoltà.Il terremoto ha anche danneggiato il comparto agricolo: secondo unastima del ministro delle Politiche agricole Luca Zaia, i danni ammonta-no a oltre cento milioni di euro. Il settore primario abruzzese, che valeil 15 per cento del Pil regionale e supera il miliardo di euro in valore asso-luto, conta 60 mila aziende, di cui 47 mila in zona montana. Per aiuta-re il settore a superare il difficile momento, il ministero ha preparato unpacchetto di misure. Una volta passata l'emergenza sarà però indispensabile che l'agricoltu-ra e le economie rurali delle zone terremotate siano rimesse in condizio-ne di tornare a operare efficacemente perché costituiscono delle vociimportanti di reddito per queste comunità: si tratta di settori con note-voli e ben note punte qualitative che si traducono in numerose produ-zioni di eccellenza come Doc, Igt, Igp e Dop. In questi mesi bisogneràevitare di cadere nella spirale dei meccanismi perversi di sfiducia chepotrebbero provocare l'abbandono di attività agricole in aree già di persé molto "sensibili", come quelle montane abruzzesi, con pesanti riper-cussioni in termini di gestione del territorio e perdita irreversibile di anti-che tradizioni e sapori locali. Per questo occorre ripartire in fretta pertornare a essere ancora più competitivi.

di Terenzio Medri

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Anno XVI maggio-giugno 2009Associazione Italiana Sommeliers Editore

Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, [email protected] redazionale | Francesca Cantiani, [email protected] la pubblicità | Roberto Pizzi, [email protected] tel. 02/72095574 – ICE Srl – Corso Garibaldi, 16 – 20121 Milano

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Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, [email protected]

Hanno collaborato | Luisa Barbieri, Carla Bruni, Francesca Cantiani, Luigi Caricato, Riccardo Castaldi, Alessia Cipolla,Elisa della Barba, Massimo Di Cintio, Roberto Di Sanzo, Alessandro Franceschini, Fabrizio Franchi, Natalia Franchi,Salvatore Giannella, Maddalena Giuffrida, Emanuele Lavizzari, Maurizio Maestrelli, Letizia Magnani, Antonello Maietta,Angelo Matteucci, Maria Grazia Melegari, Davide Oltolini, Morello Pecchioli, Roberto Piccinelli, Cesare Pillon, Valentina Pillot,Paolo Pirovano, Monica Piscitelli, Fabio Poli, Lorenzo Simoncelli, Stefano Tura, Laura Tuveri, Daniele Urso, Franco Ziliani.

Fotografie | Archivio AisPer l’articolo a firma di Cesare Pillon foto di Giorgio MelisPer l’articolo a firma di Salvatore Giannella il ritratto di “Camilleri e Montalbano” e il logo “Mondi e idee in un bicchiere”sono di Ro MarcenaroPer l’articolo a firma di Franco Ziliani foto dello stesso autore e dell’archivio Cantina TerlanoPer l’articolo a firma di Elisa della Barba le foto delle Isole Cicladi sono di Antonella LamaPer l’articolo a firma di Alessandro Franceschini foto dello stesso autore e di Federico StruzzieroPer l’articolo a firma di Maurizio Maestrelli la foto di Teo Musso è di Alessio FranzosoPer l’articolo a firma di Luisa Barbieri foto del Consorzio Tutela Vini Oltrepò PavesePer l’articolo a firma di Massimo Di Cintio si ringrazia Laura Lupone di Virgola Comunicazione Srl per la concessione dellefoto di Flavia Florindi, Giacomo Sinibaldi e Franco Soldani.Per le foto dell’articolo a firma di Antonello Maietta si ringrazia Filippo Ronco di Tigulliovino.itPer l’articolo a firma di Carla Bruni foto di Alessandro FranceschiniLe foto della premiazione del Ministro Giorgia Meloni sono di Gabriele Fasanaro, Archivio Ais SiciliaPer l’articolo a firma Laura Tuveri foto di Loris VettorettoSi ringrazia Urbano Sintoni per il ritratto fotografico al presidente Terenzio Medri (editoriale)

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La quota associativa è di 80 euro e comprende l’abbonamento annuoalla rivista ufficiale AIS e alla GuidaDuemilavini edizione 2010.

Rinnovo quota associativa 2009

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La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene.

AIS Associazione Italiana SommeliersPresidente | Terenzio MedriVicepresidenti | Antonello Maietta, Rossella RomaniMembri della Giunta Esecutiva Nazionale | Terenzio Medri, Antonello Maietta, Roberto Gardini, LorenzoGiuliani, Vincenzo Ricciardi, Catia Soardi, Rossella Romani, Marco Aldegheri, Roberto Bellini.

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Maggio / Giugno 2009

10 Dieci vini che hanno cambiato la storiaUNA DEGUSTAZIONE SENZA PRECEDENTI CON I CAMPIONI DELL’AIS

16 Il brindisi che batte ogni record!A VERONA SUCCESSO DI PUBBLICO PER IL 43.MO VINITALY

20 La cucina secondo il CoranoLA TRADIZIONE ISLAMICA A TAVOLA

28 A pranzo con Montalbano“LE PAROLE MAESTRE” E I SAPORI DEL COMMISSARIO PIÙ FAMOSO D’ITALIA

36 Al passo con le nuove tendenzeALLA SCOPERTA DI LOCALI ORIGINALI E PARTY INNOVATIVI

40 Grandi bianchi che sfidano il tempoIL PINOT BIANCO VORBERG DELLA CANTINA TERLANO

46 Tra mito e realtàLA GRECIA E LA SUA OFFERTA TURISTICA

51 Il Vulture accoglie i sommelierLA BASILICATA OSPITERÀ IL 43.MO CONGRESSO NAZIONALE AIS

62 Il profumo dell’IrpiniaLA DEGUSTAZIONE DI TAURASI NELLO STORICO BORGO

56 Le cantine sfidano le BorseIL VINO COME NUOVA FORMA DI INVESTIMENTO

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80 Dalla City londinese al gelato nostranoSTORIA DI UN ITALIANO CHE HA SCELTO PISTACCHIO E NOCCIOLA

84 L’Abruzzo dopo la scossaA RISCHIO IL PATRIMONIO ENOGASTRONOMICO DELLA REGIONE

90 L’aurora dell’AlbarossaLA RISCOPERTA DI UN VITIGNO NELL’ALTO MONFERRATO

96 Architettura innovativa in cantinaIL DESIGN MODERNO TRA ARTE E FUNZIONALITÀ

99 L’Oltrepò Pavese e le sue eccellenzeLA VOCE DEL DIRETTORE DEL CONSORZIO DI TUTELA

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Marzo / Aprile 2009

All’interno 68 Musei LE ERBE E I RIMEDI NATURALI

72 Olio FARE SISTEMA, LO SLOGAN PIÙ AMATO DAGLI ITALIANI

74 Birra IL LATO “DOLCE” DEL LUPPOLO

76 Distillati IL SEGRETO DEL BUON GIN

78 Acqua ALLA SCOPERTA DELLA MINERALE

87 Saranno Famosi UNA LIGURIA DA BERE

104 Fumenogastronomia VINO E SIGARI: UN BINOMIO INDISSOLUBILE

112 Sullo scaffale LE NOVITÀ EDITORIALI

114 Io non ci sto! CAMBIAMENTI DI DISCIPLINARE, ALTRIMENTI DECIDE L’EUROPA

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C’è sempre una prima volta. Però la degustazio-ne che l’Associazione italiana sommelier haorganizzato al Vinitaly, giovedì 4 aprile 2009,

non è stata soltanto una prima volta, ma un avveni-mento memorabile. Il titolo dell’iniziativa, “Dieci viniche hanno cambiato la storia presentati dai campionidell’Ais”, già preannunciava che si sarebbe volatoalto, nel cielo dell’enologia italiana. Ma si è capito chequella non sarebbe stata una degustazione come le altrequando il presidente nazionale Terenzio Medri, per pre-sentarla agli intervenuti, si è riferito a una coinciden-za densa di significati: l’Ais è nata 44 anni fa, e proprio

in quel periodo il vino italiano muoveva i primi passidel suo Risorgimento, un Risorgimento a cui la cresci-ta culturale dei sommelier ha fornito un contribuitodi primaria importanza. Senza quei dieci vini l’Ais nonsarebbe ciò ch’è oggi, senza l’Ais quei vini non avreb-bero avuto lo stesso impatto sulla realtà.L’eccezionalità dell’evento, prima ancora che esso comin-ciasse, era già stata percepita dal pubblico, affluitonumeroso e puntuale in un orario piuttosto scomodo,alle due del pomeriggio, subito dopo la cerimonia d’inau-gurazione: i presenti erano 198 semplicemente per-ché la sala Argento del Palaexpo, a VeronaFiere, nonne può ospitare di più, con dieci bicchieri allineati davan-ti a ciascuno. Tanto più che accanto ai dieci bicchieric’erano anche due piattini con dieci appetizer. Comemai? Il motivo lo ha chiarito il giornalista Cesare Pillon(che è anche l’autore di questo articolo. E’ imbarazzan-te scrivere di se stessi in terza persona: finora lo avevafatto soltanto un altro, che però si chiamava GiulioCesare, per narrare nel De bello gallico le proprie impre-se; ma chiamarsi Cesare come lui non basta per otte-nere gli stessi risultati).

Quando i vini scrivono

la storia

di Cesare Pillon

AL VINITALY L’AIS HA RIVISITATO

IL RISORGIMENTO ENOLOGICO

CON UNA DEGUSTAZIONE, PER CERTI VERSI RIVOLUZIONARIA,CHE NON HA PRECEDENTI

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L’Ais, ha spiegato Pillon, ha voluto proporre la sua degu-stazione in una versione nella quale si esprimesse lasua più intima essenza, la sua stessa cultura. E poi-ché il compito più alto a cui sono chiamati i sommelierche essa rappresenta è di individuare qual è l’abbina-mento più felice del vino con il cibo, si è scelto di orga-nizzare una degustazione di vini importanti sì, ma abbi-nati a quei cibi con cui essi hanno un rapporto che LuigiVeronelli definiva poeticamente matrimonio d’amore. “Mi preme far notare”, è stata la premessa di Pillon,

“che il titolo della manifestazione è privo dell’articolo:non sono ‘i’ dieci vini che hanno cambiato la storia del-l’enologia italiana. Se lo fossero non potrebbe manca-re, per esempio, il Sassicaia. Ma il Sassicaia, come iBarolo, i Barbaresco, i Brunello di Montalcino, eranogià venuti al mondo prima della creazione dell’Ais, men-tre le bottiglie in degustazione sono tutte nate duran-te gli ultimi 44 anni, cioè da quando opera questa asso-ciazione, e ciascuna di esse ha segnato una svolta, unatappa, un momento importante”.

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Dieci vini che hanno fatto storia, dunque, che però nonsono stati degustati in sequenza storica, scaglionaticioè secondo l’anno di nascita. Per coerenza con l’im-postazione dell’evento, sono stati serviti come accom-pagnassero un pasto: spumante all’antipasto, biancocon primo piatto e pesce, rosso con carni e formaggio,dolce con il dessert. Tutti e dieci accompagnati dauno stuzzichino studiato appositamente per esaltarneil sapore da altrettanti sommelier. Ma non dieci som-melier normali: dieci autentici campioni, cioè somme-lier qualificatisi in questi anni come i migliori d’Italiao addirittura del mondo Per realizzare questo schema originale e innovativo erastata studiata una brillante soluzione pratica: su ogniappetizer era fissata una bandierina con il nome delvino a cui era abbinato e di chi lo aveva suggerito. Maquali erano questi dieci vini così significativi? Chi eranoi dieci campioni dell’Ais mobilitati per l’impresa? E qualiabbinamenti avevano proposto?

■■■ Spumante Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1999Primo in degustazione uno spumante trentino, il GiulioFerrari Riserva del Fondatore 1999, chardonnay inpurezza maturato sui lieviti addirittura per dieci anni.Quando comparve per la prima volta nel 1980, era frut-to della vendemmia 1972. La sua maturazione era quin-di più breve, allora, otto anni, ma destò ugualmentegrande sorpresa perché fino allora raramente gli spu-manti avevano soggiornato sui lieviti più di un anno emezzo. Furono colti di sorpresa perfino Gino e FrancoLunelli, titolari dell’azienda insieme al fratello Mauro:quest’ultimo, enologo della casa, ha infatti raccontatodi aver preparato quella straordinaria riserva di nasco-sto da tutti. Singolare la vicenda, e singolare l’abbina-mento elaborato da Federico Graziani, miglior somme-lier d’Italia del 1998, in servizio a Milano nel ristoran-te Il luogo di Aimo e Nadia, due stelle Michelin. Per spie-gare quanto fosse felice l’unione della testina di maia-letto di cinta senese croccante alle erbe aromatiche con

VINI RELATORI PRODUTTORI

1. Giulio Ferrari Riserva Mauro Lunelli Ferrari

del Fondatore

2. Franciacorta Cuvée Maurizio Zanella Ca' del Bosco

Annamaria Clementi

3. Vintage Tunina Silvio Jermann Silvio Jermann

4. Gaia & Rey Gaia Gaja Gaja

5. Bricco dell'uccellone Raffaella Bologna Braida - Giacomo Bologna

6. Tignanello Albiera Antinori Marchesi Antinori

7. Montevetrano Silvia Imparato Silvia Imparato

8. Masseto Leonardo Raspini Tenuta dell'Ornellaia

9. Amarone Vaio Armaron Raffaele Boscaini Agricola Masi

Serego Alighieri

10. Torcolato Fausto Maculan Maculan

”DIECI VINI CHE HANNO CAMBIATO LA STORIA PRESENTATI DAI CAMPIONI DELL’AIS”

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il Giulio Ferrari non ha avuto bisogno però di molteparole: l’assaggio aveva già convinto tutti.

■■■ Franciacorta Cuvée Annamaria Clementi 1997Il Franciacorta Docg assaggiato subito dopo era prepa-rato con uve di chardonnay, pinot bianco e pinot nerodella vendemmia 1997, cioè di 12 anni prima.Straordinario era che il degorgement, la sboccatura,fosse stata praticata nel novembre del 2003, cioè quasisei anni fa: dopo la sboccatura, gli spumanti comincia-no a decadere, mentre la Cuvée Annamaria Clementi1997 era fresca come una rosa, con una lunga vitadinanzi a sé. Al suo esordio (vendemmia 1979 si chia-mava semplicemente Millesimato di Ca’ del Bosco, equesto è stato il suo nome fino a quando il suo auto-re, Maurizio Zanella, come ha raccontato lui stesso,non ha deciso di dedicarla alla mamma, AnnamariaClementi. Da un quarto di secolo, ormai, questa cuvéerappresenta il vertice a cui è arrivata la qualità in

Franciacorta. La sua elegante pienezza è stata esalta-ta da una gustosa tartare di mazzancolla marinata agliagrumi con patate violette, proposta da Michele Garbuio,il sommelier campione d’Italia del 2006 che presta lasua opera nel ristorante Acanto dell’hotel Principe diSavoia a Milano.

■■■ Vintage Tunina 2006Il bizzarro destino del Vintage Tunina, terzo vino in pro-gramma, è che volendo essere diverso da tutti gli altribianchi friulani ne è diventato il simbolo. Il millesimodegustato al Vinitaly era il 2006, 31 anni dopo quellod’esordio: la prima vendemmia posta in commercio fuinfatti il 1975, ha ricordato il produttore, Silvio Jermann,dopo due anni di sperimentazioni. Per stupire, allora,non gli mancava nulla: scaturiva da un uvaggio di grap-poli surmaturi in una regione di vini di monovitignofatti con uve raccolte precocemente, la sua vinificazio-ne era innescata da lieviti naturali invece che selezio-nati, e aveva fatto la fermentazione malolattica, evita-ta da tutti gli altri. Eppure si è dimostrato molto lon-gevo, pur non soggiornando neanche un giorno nellegno. Profumato, sensuale ed elegante vino del nord-est, è stato felicemente accoppiato al brandacujun, pre-parazione del nord-ovest ligure a base di stoccafisso,per scelta di Piero Sattanino, il sommelier medagliad’oro di campione del mondo nel 1971 ch’è oggi titola-re dell’hotel Parigi a Bordighera.

■■■ Gaia e Rey 2002Le Langhe sono da sempre terra di grandi rossi. Dal1983, prima vendemmia del Gaia e Rey, sono diventa-te anche terra di grandi bianchi. E lo chardonnay,con le cui uve è fatto, è stato adottato in misura supe-riore ai vitigni autoctoni. Il lato più curioso di questovino è però un altro: il suo autore, Angelo Gaja, lo hadeclinato al femminile chiamandolo con il nome dellafiglia maggiore, Gaia (con la i normale, non con la J) econ il cognome della nonna materna, Clotilde Rey, unadonna che ha avuto grande importanza nella storia del-l’azienda. Azienda che sta festeggiando 150 anni di vita.Simbolicamente, quindi, le donne come passato e futu-ro della casa. Difatti a presentare il vino è stata proprioGaia Gaja, coprotagonista dell’etichetta. E l’abbinamen-to? Lo ha scelto Bruno Casetta, medaglia d’argento 1986al campionato per il miglior sommelier del mondo,attualmente direttore dei ristoranti di Piero Chiambrettia Torino. Azzeccatissimo: tocchetti di fegato grassod'anatra in crosta di nocciole con salsa allo scalogno eaceto balsamico.

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CAMPIONI AIS

Federico Graziani

Campione d’Italia 1998

Michele Garbuio

Campione d’Italia 2006

Piero Sattanino

Campione del Mondo 1971

Bruno Casetta

Vicecampione del Mondo 1986

Ivano Antonini

Campione d’Italia 2008

Luca Gardini

Campione d’Italia 2004

Agostino Buillas

Campione d’Italia 1995

Gianfranco Bolognesi

Campione d’Italia 1974

Antonello Maietta

Campione d’Italia 1990

Eddy Furlan

Campione d’Italia 1980

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■■■ Bricco dell’Uccellone 2006Vino rosso rivoluzionario, il Bricco dell’Uccellone: bat-tezzandolo con un nome irridente e malizioso, GiacomoBologna ottenne 24 anni fa che fosse riconosciuta l’ari-stocratica nobiltà di un vino considerato fino allora irri-mediabilmente plebeo: la Barbera come la chiamavalui, da buon piemontese. Come riuscì a farle fare que-sto salto vertiginoso di status? Facendola soggiornarenella piccola botte chiamata barrique. E’ questa la chia-ve per capire: storicamente la barrique, originariamen-te usata per il trasporto e quindi facilissima da sposta-re, era la più adatta per erigere le barricate, che pro-prio da essa hanno preso il nome. Ed è con le barrica-te che si fanno le rivoluzioni. Compresa quella del Briccodell’Uccellone, raccontata da Raffaella Bologna con lastessa capacità di suscitare simpatia che caratteriz-zava suo padre. Di grande effetto anche l’abbinamen-to con il carpaccio di filetto leggermente affumicato sug-gerito da Ivano Antonini, il sommelier campione d’ItaliaAis del 2008 che opera nel ristorante Il Sole di Ranco,una stella Michelin.

■■■ Tignanello 2001Il Tignanello è il padre dei SuperTuscans che sposanoil più importante vitigno autoctono della loro regione,il sangiovese, con quelli internazionali. Ma non nacquecon queste caratteristiche: il primo Tignanello, dellavendemmia 1971, era un Chianti senza le uve bianche,maturato in barrique. Fece sensazione perché era unVino da Tavola più caro delle Riserve di Chianti Classico.Con l'attuale assemblaggio, sangiovese 85%, il restocabernet sauvignon e franc, ha ricordato Albera Antinori,illustrandone la storia, si presentò alla seconda usci-ta, quattro anni dopo, con la vendemmia 1975. E allo-ra sì, fu davvero innovativo: con esso il papà di Albiera,Piero Antinori, aveva creato una nuova tipologia di vino.E l’etichetta che vi appose, progettata dall'architettoSilvio Coppola, ha innescato anch'essa una rivoluzio-ne. Affidato a Luca Gardini, il sommelier del ristoran-te Cracco di Milano che ha conquistato il titolo di cam-pione d’Italia nel 2004, il Tignanello 2001 è stato abbi-nato in passionale abbraccio a una terrina di capriolocon mosaico di frutta secca.

■■■ Montevetrano 2004Un filo segreto collega il Montevetrano, primo vino inno-vativo della Campania, al Tignanello: il collegamentopiù evidente è che ha lo stesso schema, cioè miscelauve di varietà internazionali, cabernet sauvignon e mer-lot, con una autoctona, l’aglianico. Ma c’è di più: pervinificare la prima annata, il 1993, la sua produttrice,Silvia Imparato, si assicurò la collaborazione d’un amicoenologo, e questo amico era Renzo Cotarella, direttoretecnico della Marchesi Antinori. Oggi l’enologo che cural’elaborazione del Montevetrano è il fratello, RiccardoCotarella, ma la vera autrice è lei, Silvia Imparato, foto-grafa di grande sensibilità, che ha presentato alla degu-stazione il suo vino, intrigante e ricco di fascino, tra-smettendo a tutti l'intensità della sua passione. Aproporre il sorprendente ma indovinato abbinamentodi questo rosso salernitano con un cubotto di tonno

affumicato in crosta di nocciole con salsa di peperonedi Montevetrano è stato un valdostano: Agostino Buillas,sommelier campione d’Italia del 1995, titolare del CafeQuinson di Morgex.

■■■ Masseto 2004Il Masseto, Merlot di Bolgheri in purezza, primo e unicovino non francese trattato sulla Place de Bordeaux,ha segnato una svolta nella storia del vino italiano, enon solo: difatti l’annuncio che da ottobre cinque négo-ciants bordolesi ne commercializzeranno 6 mila botti-glie, il 20% delle 30 mila prodotte dalla Tenutadell’Ornellaia, è stato dato nella sede di Mediobanca, ilsancta sanctorum della finanza italiana. L’evento è enor-me sul piano simbolico. Nato con la vendemmia 1986,il Masseto è arrivato in vent’anni a un traguardo chenessun altro vino al mondo aveva finora osato propor-si. Come c’è riuscito? L’ha raccontato il direttore dellaTenuta dell’Ornellaia, Leonardo Raspini: salendo ognianno più in alto sulla scala della qualità assoluta, curan-do fino all’esasperazione ogni minimo dettaglio, è giun-to a ottenere il voto di 100/100 da Wine Spectator peril millesimo 2001. Gianfranco Bolognesi, patron delristorante La Frasca a Cervia, campione d’Italia dei som-melier Ais nel 1974, ha suggerito l’abbinamento delMasseto 2004 con una terrina di cacciagione.

■■■ Amarone Vaio Armaron 2003L’Amarone forse è sempre esistito, ma ha questo nome

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da mezzo secolo e conosce il successo solo dagli anni80. Il Vaio Armaron, prodotto dai Serego Alighieri perl’Agricola Masi, lo rappresenta bene per due motivi: per-ché è nato con la vendemmia 1979 in un vigneto cheappartiene ai discendenti del poeta Dante e che forseha ispirato il suo nome; e poi perché la Masi ha il meri-to di aver messo in luce che l’Amarone è frutto dellanatura ma anche dell’uomo, che lo trae da uve fattepreventivamente passire, e ha valorizzato questo meto-do produttivo sia affermandone nel mondo l’originaleunicità sia sottoponendolo agli studi di un GruppoTecnico di eccezionale livello scientifico. Ed è stato Raffaele Boscaini, coordinatore del GruppoTecnico Masi, a illustrarne le caratteristiche agli inter-venuti. I quali hanno gustato il Vaio Armaron 2003insieme a uno straordinario parmigiano reggiano sta-gionato 70 mesi, il Malandrone 1477, scovato daAntonello Maietta, sommelier campione d’Italia Ais nel1990, che attualmente opera nell’enoteca A Posàa diPortovenere.

■■■ Torcolato 2006Anche il Torcolato, come l’Amarone, non è nato negliultimi decenni. Però la fama di questo vino dolce, rica-vato da uve di vespaiola tenute ad appassire fino adicembre sospese a un cordino attorcigliato (da cui ilnome), non era mai andata molto al di là dei confini diBreganze, provincia di Vicenza. A promuoverlo tra igrandi bianchi da dessert fu la versione moderna che

Fausto Maculan elaborò con i grappoli della vendem-mia 1970: un Torcolato chiaro anziché marrone, daiprofumi fragranti di miele e fiori anziché di marmella-ta, un sapore dolce e pieno ma che lasciava la boccapulita E’ stato lo stesso Maculan a raccontarne l’evo-luzione successiva: l’adozione della barrique che ne haaccresciuto la consistenza e gli ha conferito profumi divaniglia e legni nobili, assicurandogli un successo chesi è propagato a tutta la zona e a tutti i suoi vini.Dolcemente classico l’abbinamento proposto da EddyFurlan, campione d’Italia Ais del 1980, titolare del risto-rante La Panoramica di Nervesa della Battaglia: condei biscotti, gli zaleti al Torcolato.

La degustazione organizzata dall’Ais al Vinitaly non haaffatto nascosto di avere un significato meditatamen-te polemico. Ponendo come modello il vino bevutodurante il pasto, e quindi elemento importante delladieta mediterranea, ha riaffermato il valore della tra-dizione dei Paesi latini, in contrasto con la moda anglo-sassone di considerare il vino come una bevanda dabere per se sola. Il vino, per la nostra millenaria civil-tà, non è soltanto un drink; questo modo riduttivo dipercepirlo si è però inevitabilmente fatto strada anchenel vecchio continente, soprattutto fra le giovani gene-razioni, negli ultimi anni, cioè da quando la competi-zione commerciale si è allargata al mercato globale. Ealcuni tra i problemi più gravi che esso è costretto oggiad affrontare derivano proprio da questo mutato rap-porto. Infatti, da quando si è cominciato a considera-re il vino come un drink si è scatenata un’assurda garaper ottenerlo sempre più concentrato, sempre piùmuscolare e palestrato, quindi troppo simile a tantialtri, ma soprattutto (ed è pericoloso) di tenore alcoli-co sempre più elevato. Al fondo di questo percorso,soprattutto per i giovani, può esserci la sbronza, lo sbal-lo, la strage del sabato sera. Traendo le conclusionedell’evento, il presidente Terenzio Medri ha quindi affer-mato che la degustazione indetta al Vinitaly si inseri-sce perfettamente nella campagna che l’Ais sta condu-cendo per diffondere tra le nuove generazioni l’educa-zione al bere consapevole. Essa però ha avuto anche un significato di più vastaportata. Il vino bevuto come drink è indubbiamente unraffinato piacere edonistico, ma è per forza di cose unamoda, e le mode sono effimere, passano. Il vino cheesalta i sapori di una pietanza e ne viene a sua voltaesaltato dà un piacere fors’anche maggiore, ma soprat-tutto non è una moda, fa parte di un costume di vita,è frutto di una cultura, risponde a una tradizione, èespressione della civiltà della tavola. E’ questo il signi-ficato che il presidente Medri ha inteso sottolinearequando ha ringraziato l’equipe di sommelier che assi-curando il servizio di mescita in cronometrica sintoniacon l’alternarsi dei produttori al microfono ha vinto lasfida di una degustazione di tipo inedito e complesso,testimoniando una formazione capace di superare anchele prove più difficili, che ha consentito, grazie ancheal rigoroso rispetto dei tempi assegnati per ogni inter-vento, di concludere la degustazione nella durata didue ore, come da programma.

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Un’edizione da record

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Mai visto un Vinitaly così. Alla faccia della crisi.O, forse, proprio per la crisi che ha stretto acorte produttori, espositori, aziende, consor-

zi, operatori esteri, sommelier e professionisti del vino.“Sono proprio i momenti difficili che mettono alla provale nostre convinzioni e i nostri valori”, ha così fotogra-fato il Vinitaly 2009 Vittorio Moretti, patron di Bellavista,Contadi Castaldi e Petra, “dobbiamo avere l’audacia diandare avanti credendo nel progresso e nella crescitadel settore vitivinicolo”.I numeri della 43.ma rassegna veronese del vino dannoragione agli espositori che hanno definito Vinitaly 2009“Il più sorprendente e importante di sempre. Il miglio-re della sua storia”. Vinitaly ha chiuso i battenti con ilrecord di oltre 150 mila visitatori. Un primato sottoli-neato dalla significativa presenza degli operatori este-ri: 45 mila da 110 Paesi del mondo. Mai visti tanti

così nel quasi mezzo secolo di storia della manifesta-zione veronese: l’anno scorso furono 43 mila. Gli espo-sitori sono stati più di 4.200 da una trentina di Paesi;2.400 i giornalisti da 50 Paesi, 91 mila i metri qua-drati di esposizione. Moltiplicati, quest’anno, anche iparcheggi. Il che ha fatto sentire meno pesante (anchese c’è ancora tanto da fare) l’accesso alla Fiera di Verona.“Sorprendente”, “sorpreso”, “stupito”, “incredibile” sonostati gli avverbi e gli aggettivi più usati nei commentipost rassegna: alla vigilia, con lo spettro della crisi chesi agitava nei pensieri e nelle parole dei più, pochicredevano al successone del Vinitaly. Il bilancio finaleha la faccia contenta e il sorriso del presidente diVeronafiere, Luigi Castelletti, che ha chiuso in gloriail suo mandato (è già al suo posto il successore EttoreRiello) e dei grandi nomi presenti tra gli stand.Sentiamoli. Il veronese Sandro Boscaini, presidente di

SONO STATI OLTRE 150 MILA I VISITATORI DEL 43.MO VINITALY, CHE HA

AVUTO UNA SIGNIFICATIVA PRESENZA DI OPERATORI ESTERI, PROVENIENTI DA

OLTRE CENTO PAESI

di Morello Pecchioli

▲ Giancarlo Moretti Polegato, Terenzio Medri, Mario Moretti Polegato e Dino Marchi

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Masi: “Vinitaly è andato bene per l'entusiasmo e la vogliadi superare la crisi, che va monitorata ma di cui, oggi,conosciamo il perimetro. La situazione non è dramma-tica e non dobbiamo spaventarci. Il nostro settore neesce bene. L'entusiasmo di questo Vinitaly è un segna-le che si può uscire bene dalla crisi”. Piero Antinori,presidente della Marchesi Antinori e dell'Istituto vinoitaliano di qualità Grandi Marchi, gli fa eco: “Si puòsicuramente affermare che abbiamo respirato un'at-mosfera che si è rivelata migliore del previsto. La sen-sazione è che Vinitaly 2009 potrebbe rappresentaredavvero un mutamento di rotta della situazione attua-le”. “In un momento di crisi economica”, ha sintetiz-zato Pia Donata Berlucchi della Fratelli Berlucchi, “vede-re una tale affluenza e importanza di importatori e riven-ditori italiani ed esteri, di professionisti del settore eno-logico, era fuori da ogni previsione. Ancora più sorpren-dente il colloquio con queste persone, improntato a pro-getti, innovazioni, speranze ed ottimismo verso un futu-ro immediato”.“Con la situazione attuale”, è il commento finale diAntonio Virando, export manager di Tasca d'Almerita,“era naturale aspettarsi un Vinitaly sotto tono. Invecesi è confermata una fiera di business. Ho visto moltioperatori esteri interessati a continuare ad investireper essere pronti a ripartire nel momento della ripre-sa economica. Per quanto ci riguarda è stato il migliorVinitaly di sempre”. Per Emilio Pedron del Gruppo ita-liano vini, il successo del Vinitaly dimostra che lacrisi che tocca il vino è più da imputare a un bisognodi riordino interno del settore piuttosto che alla situa-zione internazionale. Il consuntivo di Michele Bernettidell'Umani Ronchi è entusiasta per l’affluenza moltobuona di operatori esteri, in particolare da Sud America,Australia, Canada, Taiwan, Hong Kong, Seul e Giappone.E’ lo stesso giudizio positivo di Enrico Viglierchio diCastello Banfi (“Ottima affluenza di operatori sia nazio-nali sia esteri”) e dell’altro grande toscano Jacopo BiondiSanti che non nasconde di aver chiuso più contratti del2008 grazie ai tantissimi operatori esteri presenti.“Vinitaly”, secondo Gianni Zonin, “si sta sempre più

affermando come punto di incontro mondiale per il vino.Sono molto soddisfatto di questa edizione del salone,ma è altrettanto importante il ruolo che Vinitaly WorldTour svolge sia per l’internazionalizzazione della ras-segna sia per far incontrare ai vitivinicoltori italianinuove nicchie di mercato”. Anna Abbona della Marchesidi Barolo evidenzia i contatti importanti, qualificati eseri avuti in particolare con Paesi scandinavi e Cina:“Abbiamo visto tanto entusiasmo, ma il bello è che nes-suno ha chiesto di abbassare prezzi e praticare scon-ti: segno di un mercato sano”.“Vinitaly non cancella la crisi generale”, è il parere diFausto Peratoner, amministratore delegato della can-tina La Vis, “nonostante questo c'è un forte segnalepositivo per il futuro del vino: dagli Usa al Nord Europa,ai Paesi dell'Est, all'Asia; i buyer di questi Paesi li abbia-mo incontrati in Fiera a Verona”. Antonio Motteran, direttore generale di Carpenè Malvolti:“Abbiamo avuto incontri con i nostri importatori e distri-butori ed è emersa una situazione generale incorag-giante. Certo, c’è cautela, ma i programmi commer-ciali di lavoro del 2009 risultano in linea con il 2008”.Gianluca Bisol, direttore generale dell'omonima azien-da trevigiana, ha elogiato la “perfetta macchina orga-nizzativa di Vinitaly”. “E’ riuscita a stupirci un'altravolta: mai avremmo pensato quest'anno di incontrareun pubblico professionale così numeroso, con grandeinteresse dall'estero sia da parte dei mercati storici,quali Usa, Europa e Sud America, ma soprattutto daCina, Russia e Corea del Sud». Soddisfazione è stataespressa da Bruno Trentini, direttore generale dellaCantina di Soave: «I segnali sono piuttosto buoni e misento di affermare che il settore del vino non risentedella crisi. L'edizione 2009 di Vinitaly ha confermatocome in un momento non certo facile, il vino, ma vor-rei dire l'intero settore dell'agroalimentare Made in Italymantenga salde le sue posizioni”.Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere,ha sottolineato come il Vinitaly abbia registrato fra leassociazioni dei produttori - Uiv, Federvini e Fedagri,grazie anche all’importante ruolo di Buonitalia e del

� Flavio Tosi, sindaco di Verona, Luca Zaia,ministro delle PoliticheAgricole, Luigi Castelletti,ex presidente di Veronafiere, eGiancarlo Galan,presidente della RegioneVeneto, all’aperturaufficiale del Vinitaly 2009

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Ministero per le politiche agricole - “una progressivasolida convergenza sul progetto di realizzare un siste-ma di promozione del vino italiano nel mondo. In talecontesto Vinitaly World Tour si mette a disposizionedi tutto il sistema di promozione per un’ulteriore fasedi sviluppo che integri anche il lavoro prezioso delleRegioni, dell’Ice e del Ministero per il commercio conl’estero”. Dal canto suo il ministro per le Politiche agri-cole, Luca Zaia, ha manifestato l’intenzione di pre-miare chi sceglie di dedicare la propria vita appassio-nata alla modernizzazione e alla promozione dell’agri-coltura della propria terra, valorizzando straordinariprodotti la cui forza economica e culturale rappresen-ta perfettamente il made in Italy.In questo panorama di entusiasmo, di pacche sullespalle e di successo va sottolineato il ruolo dei somme-lier Ais. L’Associazione Italiana Sommelier ha organiz-zato una degustazione-evento celebrata da tutti i gior-nalisti, i produttori e gli operatori presenti: "Dieci viniche hanno cambiato la storia presentati dai campionidell'Ais". Indovinatissima e originale la formula delladegustazione condotta da Terenzio Medri, presidentenazionale Ais, e dal giornalista Cesare Pillon. I dieci viniscelti hanno segnato una svolta importante nella sto-ria enoica d'Italia, storia che coincideva con quelladell’Ais. I cui campioni sono stati chiamati, dopo la pre-

sentazione del produttore del vino storico, a presenta-re il vino selezionato e l’appetizer preparato da un gran-de chef abbinato ad esso per esaltarne la personalità.Ecco i vini, i produttori e i campioni Ais dell’evento:Ferrari, Giulio Ferrari Riserva del Fondatore presenta-to da Federico Graziani; Ca' del Bosco, FranciacortaCuvée Annamaria Clementi da Michele Garbuio; SilvioJermann, Vintage Tunina da Piero Sattanino; Gaja,Gaia & Rey da Bruno Casetta; Braida di GiacomoBologna, Bricco dell'Uccellone da Ivano Antonini;Marchesi Antinori, Tignanello da Luca Gardini; SilviaImparato, Montevetrano da Agostino Buillas; Tenutadell'Ornellaia, Masseto da Gianfranco Bolognesi; AgricolaMasi, Amarone Vaio Amaron - Serego Alighieri daAntonello Maietta; Maculan, Torcolato da Eddy Furlan.A dimostrazione che non c’è crisi senza sfoggio di lussosfrenato, nel padiglione Enolitech è stato presentatol'oggetto più caro di tutto il Vinitaly: Wice, il secchiel-lo per vino di Paperon de’ Paperoni. Wice sta per Winee Ice, vino più ghiaccio. Se siete sceicchi o avete un red-dito da milionari arabi ve lo potete permettere: costa80 mila euro. Lo fa la Improject di Altavilla in provin-cia di Vicenza, patria delle aziende legate all’oro e aipreziosi. A quanto pare l'idea è nata da ristoratori vicen-tini. Secondo Alberto Ferrari, l’amministratore dele-gato d'Improject Wice, dovrebbe sostituire il classicosecchiello per il ghiaccio perché oro e diamanti permet-tono di godere il vino e le sue caratteristiche organolet-tiche nel loro massimo splendore. Perché Ferrari nonlo dimostra organizzando una degustazione con i mae-stri e i campioni dell’Associazione italiana sommelier?Con il timbro dell’Ais, Wice avrebbe in tasca il passa-porto per i ricchi clienti mondiali.

� Le bellezze di Miss Italia hanno scelto il loro sommelier!

▲ Una degustazione di grandi rossi bordolesi

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L’Islama tavola

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Le coste del Mediterraneo sono state, nei secoli, sce-nario di incroci, scambi e anche di forti contrap-posizioni. In una delle pagine più belle del “bre-

viario” mediterraneo di Predrag Matvejevic, l'autore dipin-ge le contraddizioni che hanno scandito la storia delMediterraneo in una mirabile ed efficace sintesi: da unlato pone “i libri sacri della pace e dell'amore” e dall'al-tro “le guerre dei crociati e le Jihad anticristiane”, dauna parte “Atene” e dall'altra “Sparta” e poi “l'Imperod' Oriente e quello d' Occidente”.1

Le incongruenze che hanno contrassegnato le diverseciviltà del Mediterraneo sono immense e si sono espli-cate in una sintesi difficilmente componibile. In questo scenario dinamico e fluttuante si inserisceanche la storia della cosiddetta “cucina mediterranea”:dalle abitudini enogastronomiche della Provenza a quel-le della Libia, passando per la Spagna e la Turchia, sonomultiformi e varie le “cucine” del Mediterraneo. Esse sono il frutto di una complessa evoluzione stori-ca, dove si intrecciano fili variegati e difformi.Durante i secoli le “doc” mediterranee del grano, olio evino si sono incrociate con la cultura della carne, delburro e della birra delle popolazioni del Nord Europa;con gli spinaci, la canna da zucchero, il riso degli arabi,

mentre, con la scoperta dell'America altri prodotti, comele patate, il mais, il cacao e il pomodoro sono sbarcatisulle coste del Mare Nostrum.In questo quadro multiforme e composito un ruolo impor-tante e fondamentale ha svolto la cultura islamica: unaltro scrittore, questa volta arabo, Salah Jamal Aboali,in un libro2 sospeso tra il trattato di cucina e il libro diviaggio, trasforma il suo tour gastronomico nelle ricet-te della tradizione araba in un viaggio più ampio, sotto-lineando il ruolo centrale del cibo, come importantemezzo di comunicazione, e della cucina, come attoculturale sensibile agli influssi di civiltà anche moltolontane ed esotiche.Non si può parlare di cucina araba senza prendere comepunto di riferimento il rapporto della religione islamicacon il cibo: per il musulmano l'atto del prendere il cibotrascende il mero nutrimento fisico, rivestendo in primoluogo un senso sacro. Per cogliere il valore simbolico del cibo all'internodell'Islam, occorre innanzitutto sottolineare l'importan-za del Corano, il testo sacro islamico. Il Corano non èun libro scaturito da una mente umana: esso è la Paroladi Dio, Allah, trasmessa all'uomo dal suo profetaMuhammad e compito del musulmano è vivere secon-do gli insegnamenti in esso contenuti.Il Corano disciplina ogni aspetto della vita del muslime quindi anche il rapporto che il credente instaura conil cibo.Le norme alimentari islamiche sono contenute non solonel Corano, pura parola di Dio, ma anche nei precettidel profeta Muhammad, nei costumi e tradizioni, a dimo-strazione della grande importanza attribuita al cibo nellacultura islamica. Per il musulmano l'atto del mangiare e del bere rivesteuna polisemia di significati, non solamente sacri, maanche di natura sociale e igienica. A tavola, ad esempio,non bisogna sorvegliare né dedicare troppa attenzioneal comportamento degli altri, per non metterli in imba-razzo, o criticare il cibo di qualcuno. Un accento parti-colare è posto inoltre all'uso moderato del cibo: il Coranoesorta a non abbuffarsi e a mangiare con riverenza pro-

di Maddalena Giuffrida

� La sura aprente nella prima edizione veneziana del Corano del 1537

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nunciando il nome di Dio sopra ogni boccone. Anche gliaspetti igienici non vanno trascurati: prima di prende-re il cibo è necessario lavarsi le mani, così come dopoaver consumato il pasto bisogna pulirsi i denti.L'Islam regola in maniera molto precisa il consumo dicibi e bevande, distinguendo tra cibi leciti “halal” e proi-biti, “haràm”. Nel termine “haràm” è presente un dupli-ce significato, d’interdizione da una parte e di santità edi purezza dall'altra. E' proibita la carne di maiale, ma non solo. E' vietatocibarsi di sangue e di un numero molto limitato dialtri animali, tra i quali gli uccelli predatori e gli anima-li velenosi.La carne degli animali permessi è commestibile solo acondizione che essi siano stati macellati secondo il ritua-le e che sia stato invocato il nome di Allah prima delconsumo. Alle proibizioni che investono alcuni cibi soli-di, si aggiungono quelle che investono le bevande alco-liche, che non sono permesse. C'è da dire che il Coranoammette deroghe a quanto sopra, solo in caso di neces-sità improrogabili.“All'interno della visione islamica ogni atto esprime unprincipio metafisico, ovvero per un musulmano l'imitazio-ne di Muhammad rappresenta la riproduzione terrena diun simbolo per arrivare al principio che quel simbolo indi-ca. – afferma il dottor Sergio Ujcich, portavoce del Centroculturale islamico di Trieste - Il fatto, ad esempio, cheun musulmano debba prendere il cibo solo con la manodestra, non è una mera regola di comportamento fine ase stessa. La mano destra rappresenta la misericordia,

la generosità; è la mano con cui si fa l'elemosina. L'attodel mangiare e del bere diventa, quindi, un atto sacro cheesprime un principio metafisico, cioè il manifestarsi di unaspetto della Misericordia divina.”“Allo stesso modo – continua il dottor Ujcich - quandosi parla del vino e della vite è importante comprendere lerelazioni metaforiche tra il simbolo e ciò che esso rappre-senta. In un primo tempo nell'Islam il vino non era proi-bito, ma alla sua proibizione si è arrivati gradualmente.”Inizialmente il Corano considera che nel vino ci sianovantaggi e svantaggi, ma che gli svantaggi siano supe-riori: al tempo di Muhammad (570-632 d.C), a Ta'if, unacittà non lontana da La Mecca, si produceva e si espor-tava, difatti, ottimo vino.Successivamente nel Corano vengono condannati glieffetti dell'assunzione del vino: il vino, infatti, quandosupera una certa soglia, altera l'autocontrollo e la capa-cità di comprensione e quindi vanifica la possibilità dielevare a Dio la preghiera. Al musulmano che invocaDio è richiesta l'integrità non solo spirituale, ma anchecorporale: ecco perché tutto ciò che è dannoso per l'uo-mo viene proibito, quindi anche il consumo di vino e disostanze alcoliche. “O voi che credete! Non accostateviall'orazione se siete ebbri , finché non siate in grado dicapire quello che dite” (Sura 4:43)La condanna definitiva del consumo del vino, associa-ta sempre al gioco d'azzardo, viene sancita nella Sura5:90-91 “In verità col vino e il gioco d'azzardo, Satanavuole seminare inimicizia e odio tra di voi e allontanarvidal Ricordo di Allah e dall'orazione. Ve ne asterrete?”

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Il vino, dunque, diventa un vero e proprio strumentodemoniaco, poiché l'alcol, abbassando la soglia dell'au-tocontrollo, facilita la manifestazione di odio e violenza.Nel Corano il vino è, invece, la bevanda che verrà con-sumata liberamente in un’ altra dimensione, ovvero inParadiso: qui scorreranno quattro fiumi, di latte, miele,acqua e, naturalmente, vino. (Sura 47:15 ).Latte, miele e acqua rivestono un importante ruolo sim-bolico all'interno della tradizione musulmana: il mieleha poteri di guarigione dell'anima, il latte rappresentala sapienza e l'acqua è dispensatrice di vita, la sostan-za con cui Allah ha creato l'uomo.Se nel Corano l'uso delle sostanze alcoliche è condan-nato ed il suo consumo viene rimandato ad una dimen-sione paradisiaca, altra e diversa da quella limitata e ter-rena, nella poesia iniziatica islamica il vino diventa addi-rittura simbolo dell'amore e della conoscenza divina. Uno dei più importanti mistici musulmani, Omar IbnAl Farid, vissuto tra il 1181 e il 1235, dedica al vinoun vero e proprio poema: “L'elogio del vino”. “In questo poema – commenta il dottor Ujcich - il vinodiventa simbolo di ebbrezza estatica che porta a trascen-dere i limiti della ragione, immergendo il contemplantenella luce di verità, che altrimenti verrebbero nascoste.”Parlare del mondo islamico significa, tuttavia, riferirsiad una realtà molto variegata e con comportamenti non

univoci, anche nell'atteggiamento nei confronti del vino. L'Algeria è famosa per il suo patrimonio vitivinicolo eper la massiccia produzione ed esportazione vinicola intutto il mondo, nonostante le proibizioni coraniche. LaTurchia è, dopo la California, il maggiore produttoremondiale di uva da tavola, sebbene meno del 3% del-l'uva venga trasformata in vino.La regione vinicola intorno ad Istanbul produce il 40%dei vini del Paese. In Libano, dove si coltiva la vite daitempi dei greci e dei romani, si produce ed esporta soprat-tutto vino rosso.Anche nella medicina araba il vino trova vari impieghi,anche se a scopo terapeutico: basti pensare al famoso“Canone della Medicina” di Avicenna (XI sec. d.C), dovel'uso del vino in quantità moderate viene consigliato peri suoi positivi effetti.Ma quali bevande sono concesse ai musulmani?E' ancora lo scrittore Salah Jamal Aboali a condurciattraverso il suo già citato volume, ricco di aneddoti espunti curiosi, in un appassionante viaggio nell'univer-so delle bevande arabe.Per i musulmani non esiste nulla di più prezioso del-l'acqua, che non manca mai sulla loro tavola. E' con-suetudine bere un bicchiere d'acqua alla fine del pasto,perché questa ha poteri digestivi e diuretici ed evita l'ali-to pesante. Un'altra preziosa bibita, tipica dei beduini

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� L' Ayran, unabevanda prepara-ta con acqua, ghiaccio, yogurt,menta, aglio esale

� L'Araq, un distillatoa base di riso eanice

� La Mecca è una cittàdell'Arabia Sauditaoccidentale, situatanella regione del Hijàzche ospita il santuariopreislamico della Ka‘ba o Kaaba.All'interno,normalmenteaccessibile solo agliinservienti e allepersonalità più illustriche ne hanno lacustodia (attualmentela famiglia realesaudita), la Ka ‘baospita un pozzo, ormaiasciutto, chiamato al-Akhshaf.

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dell'Asia minore, è l'ayran, una bevanda a base di acqua,ghiaccio, yogurt, menta, aglio e sale: è la prima cosa cheviene offerta ad un ospite, soprattutto d'estate, perchémolto dissetante.Molto diffuse sono le bibite aromatizzate a base di liqui-rizia, arancia, uva passa, tamarindo ed altre piantemediorientali, offerte sempre agli ospiti come bevanderinfrescanti.Una nota a parte merita l'araq, un distillato a base diriso e anice. Nonostante la proibizione coranica di assu-mere bevande alcoliche, l'araq è molto diffusa in Libanoe Turchia, ma anche questa è una delle contraddizionidella varietà del mondo musulmano. Largamente impiegati sono anche il tè e il caffè: perquanto riguarda il caffè, esistono addirittura decine dimodi di prepararlo. Dopo la siesta al termine del pasto,al risveglio, è consuetudine prendere un dolce e, perconcludere, tè o caffè. Rifiutare un caffè in casa di unarabo, viene considerato un affronto per il padrone dicasa. Prendere un caffè con un amico è consideratoun segno di riappacificazione, mentre non accettarlosignifica continuare nell’inimicizia.Profondamente connesso al mangiare è anche il suoopposto, ovvero l'astenersi dal cibo. La teologia islami-ca prevede, oltre alle proibizioni alimentari che abbia-mo visto, anche periodi di digiuno: in modo particolareil mese di Ramadan, che non è, tuttavia, l'unico perio-do dedicato al digiuno.Il digiuno durante il mese di Ramadan è uno dei pila-stri, ovvero dei doveri fondamentali dell'insegnamentoreligioso dell'Islam, insieme al monoteismo, la preghie-

ra quotidiana cinque volte al giorno, il pellegrinaggiouna volta nella vita ai luoghi santi della Mecca e l'ele-mosina obbligatoria. Ramadan è il nome del nono mesedel calendario musulmano e in questo mese tutti i musul-mani sono tenuti al rifiuto dei cibi e delle bevande dal-l'alba fino al tramonto.Il mese di Ramadan si chiude con la grande festa di idal-fitr, ovvero la “festa della rottura del digiuno”, la festapiù popolare nel mondo islamico, che segna il ritornoad un’alimentazione possibile in tutta la giornata.Attraverso il digiuno e le prescrizioni alimentari, l'uo-

mo deve riuscire ad avere un rapporto corretto con ilcibo, deve dimostrare, cioè, di essere capace di rinun-ciarvi per un certo periodo, o addirittura astenervisi sem-pre come, ad esempio, dalla carne di maiale o dallebevande alcoliche, controllando la sua istintività.La condotta esteriore per il musulmano è profondamen-te legata ad una precisa condotta interiore, spirituale:conoscere la normativa alimentare islamica e i signifi-cati profondi che ne stanno alla base significa, dunque,cercare di comprendere il rapporto che lega il musul-mano al suo Dio, Allah3.

-------------------------------------------1 Predrag Matvejevic, Mediterraneo. Un nuovo brevia-rio, V edizione, Garzanti, 2002, p.212 Salah Jamal Aboali, Sapori arabi. Ricette e raccontidel Vicino Oriente, Guido Tommasi Editore, 20053 Massimo Salani, A tavola con le religioni, EDB, 2007

Abbiamo bevuto alla memoria del Benamato un vino che ci ha inebriatoprima della creazione della vigna.

Il nostro bicchiere era la luna piena.Lui, Lui è un sole; un crescente lunare lo fa circolare.Quante stelle risplendono!, quando è versato.

Senza il suo profumo non avrei trovato la via delle Sue taverne.Senza il Suo splendorel’immaginazione non potrebbe concepirLo

Se tu t’inebri di questo vino,foss’anche per un’ora sola,il tempo sarà il tuo docile schiavoe tu sarai nella potenza.

Qua giù, non è vissutochi senza ebbrezza è vissuto,e chi non è morto per la sua ebbrezzanon ha ragioni.

Che pianga su se stessocolui che ha perso la sua vitasenza prender la sua parte.

(tratto da: “L'Elogio del vino”di Omar Ibn Al Farid)

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Il cuocoambasciatore

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Il futuro della gastronomia italia-na passa da una tavola rotonda.Magari imbandita con i piatti

della tradizione nostrana. Sedutiattorno al desco il ministro per i Benie le Attività culturali Sandro Bondie il suo nuovo consulente, lo chefMatteo Scibilia. Un progetto, quellodel rilancio della ristorazione nostra-na, nato durante le cene del politi-co all’Osteria della buona condotta,indirizzo lombardo goloso per chivuole riscoprire sapori da tempodimenticati. Scibilia non è un uomofacile. Parla chiaro e non si nascon-de dietro a un dito. Sa che ci vuolepazienza e lavoro per diventare comei cugini d’Oltralpe, che della siner-gia politica – turismo enogastono-mico hanno fatto una scienza. Etutto deve partire dai protagonisti,cuochi e ristoratori. Anche se unireuna categoria piena di stelle saràdifficile. Come un compito dovero-so, ma necessario, è «tentare di rac-contare che cos’è il cibo alla gente.Che è anche un bellissimo lavoro,ma che non tutti svolgono», spiegatranquillo il cuoco nato in Puglia:«C’è una nuova generazione di chefche è presa soprattutto dai metodidi scopiazzatura internazionali dicucina. Ma se un grande ristorato-re non sa fare un risotto, poi non èin grado di fare una spuma di risot-to». E così si perde quel patrimonioimmenso e incalcolabile che si chia-ma tradizione. Che un ministro e uncuoco non vogliono lasciar svaniredalla memoria.

Tradizione alla base del rilancio dellacucina italiana?«Come accade anche in Spagna:nasce tutto dalla tradizione, che poisi evolve, per esempio, nella cuci-na creativa. Se non sai come reagi-sce il riso durante la cottura di unrisotto, la cucina molecolare diven-ta una schifezza. Oggi c’è una crisimolto evidente. La gente non cuci-na più a casa. Alle mie clienti dicosempre, cucinate un paio di volte almese un piatto della tradizione, inmodo che possa diventare per ivostri figli un ricordo di quella par-ticolare giornata. Solo così possia-mo salvare la nostra cucina. Se nola gente continuerà a mangiare leverdure congelate e i quattro saltiin padella».

Se c’è bisogno che il governo inter-venga in difesa della cultura enogas-tronomica italiana, vuol dire che lasituazione non è rosea…«Sì, certo».

Per quale motivo ?«In questo momento la gente non samangiare. Lo dico con grande schiet-tezza, partendo dalla mia esperien-za giornaliera di cuoco e ristorato-re».

Come si disimpara a mangiare?«In parte è responsabile la globaliz-zazione, termine abusato, ma cherende l’idea. Siamo circondati damille influenze straniere. Ma èsoprattutto un problema di qualità.

di Daniele Urso

▲ Il Ministro per i Beni e le attività culturali Sandro Bondi

▲ Matteo Scibilia

▲ L’Osteria dellaBuona Condotta

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L’altro giorno mi ha chiamato ilCorriere della Sera e un giornalistami ha accusato: “lei è contro ilkebab”. In realtà non sono controil kebab, ma contro chi cucina male.Contro chi usa carne ammuffita,scongelata e ricongelata».

Lei mangia “straniero”?«Non sono contro la cucina etnica,per esempio amo quella indiana emolti ristoranti che si possono trova-re nelle grandi città sono decisamen-te superiori al classico stereotipo,quello del “ristorante cinese a 10 eurotutto compreso”. Magari ci vogliono40 o 50 euro per mangiare indianobene, però è un’esperienza. Che poiè quello che davvero conta».

Ovvero?«La gente non ha più desiderio difare esperienze gastronomiche: silamenta solo del prezzo e quasi maidella qualità. Eppure, se uno com-pra una polo da 10 euro, sa che reg-gerà solo qualche lavaggio».

Siamo poco preparati?«Faccio un esempio: c’è chi ordina ilpesce in un ristorante e si lamentadel conto. Bisognerebbe però sape-re che il pesce d’allevamento costasei euro e quello pescato all’amo,quando è possibile trovarlo, trenta.E anche tra quelli di allevamento c’èdifferenza. Dal mio fornitore com-pro branzini da due o tre chili. Civuole qualche anno perché raggiun-gano questa dimensione. È un pro-

dotto che costa a noi ristoratori25/30 euro al chilo. Quando però siserve un filetto di spigola o branzi-no, il cliente ti guarda perplesso ecommenta “ma nel ristorante “tal-dei-tali” mi hanno dato un interopesce”. Sì, pesci giovani, meno sapo-riti e mono porzione da sei etti».

Abbiamo perso il senso del gusto?«Quello l’abbiamo perso già da unpo’ di tempo. Le faccio un altro esem-pio. L’Osteria della buona condottaè tra quei ristoranti che la stampadi settore definisce di medio-altolivello. Dalla mattina alla sera siamoalla ricerca di materie prime e ricet-te tradizionali. Il mio fruttivendoloha trovato un po’ di bruscandoli,conosciuti in Lombardia anche comelovertiss. Sono i fiori del luppolo, coni quali si fanno risotti e frittate fan-tastiche. Qualcuno li conosce erro-neamente come asparagi selvatici.Ne ho 4 o 5 chili e ho proposto perqualche giorno il risotto. Quando neparlo, però, con i clienti, molti midicono “ma no, fammi un risotto allamilanese. Chi se frega”. La gente nonricerca più la memoria del gusto».

Come il ricordo della cucina dellanonna?«Sono originario di Bari, ma vivo aMilano da oltre 40 anni. Ricordoancora quando da giovane tornavoa casa da scuola per pranzo e mianonna cucinava. Faceva le orecchiet-te alle cime di rapa, con il soffrittodi cipolla, aglio e il vino bianco. Ecco,

quando riesco a ricreare quel mix diprofumi che si espande nel mio risto-rante è come se una lampadina siaccendesse. Mi ricordo mia nonnae la mia Bari».

E come s’insegna di nuovo alla gentea mangiare?«Tento di raccontare ai clienti cosastanno mangiando. Nella prima pagi-na del mio menù presento i fornitorie illustro la cucina del territorio e latradizione da cui deriva. Cucino piat-ti come i paccheri con il ragù tradi-zionale, dove metto le tre carni, vitel-lo, maiale e cavallo, e la cottura èlunga. Così la gente li assaggia e dice:“ma è il ragù di mia nonna!”. E quan-do se ne ricordano, sono felice, per-ché ho raggiunto il mio obiettivo».

Ha conquistato così il ministro SandroBondi?«È nostro cliente da molti anni e gliho fatto spesso questi discorsi. E ungiorno mi ha chiesto di fargli qual-che proposta. Credo di averlo presoper disperazione».

Ed è diventato consulente del ministro.Concretamente cosa ha proposto difare?«Ho fatto capire al ministro che eragiunto il momento di fare qualcosaper la nostra cucina. Perché inFrancia ogni anno uno chef vienepremiato con la Legion d’onore, lamassima onorificenza? Perché laprima voce nella bilancia commer-ciale d’Oltralpe non sono Renault o

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Citroen, ma è l’enogastronomia. Ela politica lo sa. Da noi, invece, anco-ra oggi, l’attenzione del governo alsettore enogastronomico è insuffi-ciente. Si comincia a muovere qual-cosa solo ora, grazie all’attenzionedel ministro per i Beni e le Attivitàculturali Sandro Bondi, a quella delministro delle Politiche agricole LucaZaia e al sottosegretario con delegaal Turismo Michela Brambilla.Generalmente, però, si vive nell’illu-sione di essere ancora il Paese dellabuona cucina e si pensa che questobasti. Dicono che i ristoranti sonoancora pieni, anche se non è vero.È poco diffusa l’opinione che cibo evino siano valori che possono por-tare a un territorio più benefici diun paio di scarpe».

Come si riempie questa lacuna?«Creando innanzitutto un premio,una sorta di cavalierato agli espo-nenti più meritevoli della nostracategoria, sulla falsa riga dellaLegion D’Onore. Il gabinetto delministro Bondi sta cercando una for-mula adatta. Poi unendo il nostrosettore. Ci sono 120mila ristorantiin Italia con 800mila dipendenti.Senza contare i bar. In totale rag-gruppiamo 2 milioni di lavoratori.Ma siamo troppo parcellizzati e nondiamo al Paese quanto potremmo.Provate a pensare quanti comunidiventano famosi laddove c’è unristorante conosciuto o un’eccellen-za enogastronomica… Così si fini-sce sulle guide. E anche i comunidovrebbero rendersene conto e dareuna mano, invece di mandare i vigi-li a dare le multe nei parcheggidavanti ai ristoranti quando scadeil disco orario».

Qualcuno però si è già mosso inquesto senso…«Le iniziative sono quasi sempre indi-

viduali. Sto cercando di creare unconsorzio di cuochi, partendo dai5mila ristoranti inclusi nelle guidepiù importanti. Da un punto di vistaelettorale facciamo poco testo, mala capacità d’impatto sul made inItaly è fortissima. Anche se ci voglio-no le sinergie giuste. Per esempio,tra un mese vado a Bucarest a cuci-nare pasta. La ristorazione è unbiglietto da visita. Se l’azienda dipasta intelligente segue un cuoco,ecco che ha creato un mercatonuovo. Un altro esempio? Portarecon sé delle belle pentole di un’azien-da italiana… Basta poco perchédiventino un cult. Uno chef è comeun sommelier, un ambasciatore delprodotto Italia».

Qualche idea anche dal punto divista legislativo?«Innanzitutto questa categoria nonvuole fare più parte di quella deicommercianti. Dateci un nuovo sta-tus. Siamo più simili ad artigiani. Infondo prendiamo un chilo di farinae lo trasformo in uno di pasta.Prendo delle materie prime e le tra-sformo in altro».

E…«E’ molto difficile lavorare con la tas-sazione alla quale siamo sottoposti.Tenga presente che nel mondo dellaristorazione si lavora 220 giorni l’an-no e si pagano 16 mensilità ai dipen-denti. Colpa di tante ore sindacaliretribuite che non vengono mai fatte.Spese che si traducono in costo sulcliente.Un taglio delle tasse però in questomomento di crisi generalizzata èfolle. Dando per scontato che i costirimarranno invariati, diamo un altrovalore a questo settore. Non poten-do attaccare l’aspetto fiscale, cer-chiamo altre soluzioni. Abbiamo peresempio il problema degli stagisti.

Per noi è difficile prenderne. Non sisa se sono apprendisti e non si rie-scono a contrattualizzare.Bisognerebbe dialogare con il mini-stro dell’Istruzione MariastellaGelmini, per trovare una forma distage con le scuole senza esageratilimiti sindacali».

L’idea del cuoco ambasciatore delterritorio è affascinante…«Siamo già rappresentanti del ter-ritorio. Io faccio fuori due chili dimissoltini (pesci, ndr) alla settima-na presi nei laghi della mia regionee so che qualche piccolo pescatoreè un po’ più sereno. Noi ristoratoriabbiamo la possibilità di permette-re al piccolo produttore di formaggio frutta di vivere meglio perchésiamo attenti alla peculiarità gastro-nomiche della nostra zona.Diventiamo la vetrina di pasticceri,agricoltori, macellai etc.».

Quanto è difficile mettere tutti d’ac-cordo?«In questo settore c’è molto indivi-dualismo e c’è chi si sente più bravodegli altri. E così avviene anche nelmondo del vino. Certo, bisogna coin-volgere i più famosi: le “stelle” nonvanno demonizzate, anche perchésono mediatiche. Per ora abbiamoprovato a creare un forum della cate-goria, ma con scarsissimi risultati:troppe gelosie. Eppure tutti si lamen-tano e dicono “nessuno fa niente pernoi”. C’è una specie di solitudineimprenditoriale che bisogna supe-rare, con un po’ di diplomazia. Lecategorie vanno contattate tutte, maper gruppi “omogenei”. Non si puòmettere accanto al ristorante stella-to l’osteria di paese. Basta pensareal recente tentativo di RaffaeleAlaimo di riunire i cuochi. È parti-to dagli stellati e quando gli altrihanno capito che non valevano

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altrettanto, non lo hanno seguito.Così ci ritroviamo daccapo e RaffaeleAlaimo non vuole parlare con ilcuoco dell’albergo, perché dice chenon è un ristoratore, ma un dipen-dente. Serve però la capacità di par-lare a nome di tutti».

Conviene mettersi d’accordo, glistranieri vengono in Italia spesso peril cibo…«Sono più preparati di noi in parti-colare i tedeschi. Soprattutto sulvino. Lo straniero arriva con ideeprecise su ciò che vuole mangiaree bere. E si interessano alle tradi-zioni. Si stupisce per un buon piat-to di spaghetti al pomodoro. Fatticome Dio comanda: con gli spaghet-ti artigianali, l’olio che arriva dallaPuglia, i pomodori di Foggia, chetutti insieme creano una piccolaopera d’arte. Sembrano un piatto normale, manon è così. Se sono fatti bene, ilpomodoro avvolge lo spaghetto e sisente il profumo di pomodoro, basi-lico e dell’olio tiepido messo primadi servire in tavola. La nostra for-tuna è quella di avere delle materieprime di assoluto valore che gli altriPaesi non hanno. Da Aosta aCatania ogni provincia ha la sua ric-chezza.Dobbiamo tentare tutti assieme dirivalutare questo patrimonio».

Cosa consiglia ai giovani chevogliono diventare dei grandi chef?«Devi essere bravo ancor prima dimetterti ai fornelli. Ai ragazzi incucina cerco di far capire che ilcuoco non è solo un manipolatoredi materie prime, ma uno scien-ziato dell’alimentazione. Sulle mate-rie prime ci deve passare le notti. Ilcuoco non è solo uno che metteinsieme gli ingredienti, quello losanno fare in tanti».

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A tavolacon Montalbano(e con Andrea Camilleri)

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Se volete conoscere i segreti della tavola del commissario Montalbano,l’investigatore televisivo più amato dagli italiani, non chiedetelo alsuo creatore, Andrea Camilleri, detentore del record delle copie di

libri venduti (oltre 21 milioni di esemplari: e pensare che il primo libro, “Ilcorso delle cose”, 1978, lo pubblicò a proprie spese). Per lo scrittore di origine siciliana (nato nel 1925 a Porto Empedocle,Agrigento, ma vive da mezzo secolo a Roma) affrontare questo tema è “comefare penitenza, aspra e dolorosa per chi, come me, a lungo ha gustato ipiaceri della buona tavola e ora non può più per l’età e per ferreo diktatmedico. Ho preferito continuare a patire nel ricordo di certi sapori, nellamemoria di certi odori”.E allora bisogna imboccare un’altra strada, quella che porta a una gio-vane architetto che per un anno ha indagato l’universo gastronomico diCamilleri. L’inchiesta si è svolta su una tavola imbandita ricostruita attra-verso i gusti del più illustre personaggio creato da Camilleri: SalvoMontalbano, il commissario di Vigàta reso popolarissimo dalla fiction apuntate su RaiUno e interpretato magistralmente da Luca Zingaretti, cheincarna l’uomo mediterraneo schivo, solitario, con un forte senso mora-le, dal carattere spigoloso ma anche un goloso affetto da uno smisurato“pititto” (appetito), per dirlo con il suo colorito dialetto siciliano. Ne viene fuori un’antologia gustosa come una tavolata ben imbandita, conrievocazioni di alimenti e pietanze tratte dai ricordi dell’infanzia di Camilleriin Sicilia. Il cibo diventa protagonista trasversale di tutte le storie, acqui-sta una valenza affettiva molto forte, la passione che ha verso di esso ilcommissario è così prepotente da prevaricare anche la passione amoro-sa. Per lui, il cibo è l’oggetto del desiderio, più importante degli altri pia-ceri e deve essere conquistato a tutti i costi ma i segreti delle gustosepietanze sono custoditi da altri, la “cammarera” Adelina; Calogero, pro-

INDAGINE GUSTOSA SUI SAPORI

E PIACERI DEL COMMISSARIO PIÙ AMATO D’ITALIAE DEL SUO POPOLARE CREATORE

di Salvatore Giannella

▲ Andrea Camilleri

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prietario della trattoria omonima (“un diavolo in cucina, mi costringe apeccare”: da Il ladro delle merendine) e il suo successore, l’oste Enzo. Gusti e ricette sono svelati in un libro presentato a Eataly Torino, il piùgrande mercato enogastronomico del mondo: “I segreti alla tavola diMontalbano”, Il Leone Verde Edizioni, Torino, 10 euro, scritto da StefaniaCampo, 33 anni, architetto specializzata in fotografia e cinema digitale,che vive tra Ragusa e Milano dove affianca alla libera professione eall’insegnamento la passione per la sua terra. La Campo studia e promuo-ve, con l’Associazione Sicilia movietour (www.siciliamovietour.it) itinera-ri culturali ed enogastronomici ispirati alla letteratura e al cinema. Legustose pagine del suo libro sono da leggere, certo, ma anche da assag-giare, da gustare in silenzio e solitudine, con animo lieto e mente sgom-bra, una per volta, come quando Montalbano si siede a degustare i suoipiatti preferiti.

GIANNELLA - Architetto Campo, una curiosità pratica: le trattorie citatenei libri e nei film esistono davvero in Sicilia?CAMPO - Alcune sì, altre sono inventate. Ma inventate non del tutto,perché per Camilleri nulla è veramente inventato. Lui dice di ispirarsi allarealtà, anche se storpia i nomi, tutti nomi di fantasia che alludono a loca-lità reali: Montelusa è Agrigento, un piccolo furto a Pirandello che l’auto-re dichiara apertamente. Vigàta invece è una sua invenzione. Fela è Gela,Fiacca è Sciacca, ecc. Camilleri in modo divertente ne ha modificato i nomi.Lui ha confessato: “Mi capita questa cosa, che io le storie non me le soinventare di sana pianta; ho bisogno di una spinta di verità”.

GIANNELLA - I cibi, invece, sono tutti reali.CAMPO - Sì, io riporto 60 ricette, quelle che si ripetono in più occasioninei suoi 19 romanzi dedicati alla saga del commissario di Vigàta.

▲ Stefania Campo, autrice del libro“A tavola con Montalbano”

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Riproducono i profumi, i sapori, l'atmosfera e i segreti della cucina dellacasa di campagna vicina a Porto Empedocle dove comandava nonna Elvira,la generalessa della cucina. Ogni squisitezza del ricettario di nonna Elviraha la sua storia, anche i mitici arancini di Montalbano o i polipetti allanapoletana o gli involtini di tonno arrostito, arrivano da lì. Svelare i miste-ri dei piatti della cuoca-generalessa Elvira significa ritornare all'infanziadello scrittore, quando lui era un “picciliddro” che aveva sì e no sette anni,e alla prima conoscenza della sua indimenticabile Sicilia.Prendiamo gli arancini, Camilleri ha rievocato: “Mia nonna diceva che pre-pararli era lungariusu, ci voleva tanto tempo. Perché bisognava prepara-re la carne, tanto di maiale e tanto di vitello, spezzettandola col tagghia-turi, la mezzaluna. Si aggiungevano i piselli, un po' di caciocavallo ragu-sano e qualche pezzettino di salame, si impastava tutto in un pugno diriso e si passava l'arancino nell'uovo, nella farina e nel pangrattato, perl’impanatura. Ma non si friggevano subito. No, bisognava aspettare unanotte, lasciarli riposare in pace. E il giorno dopo, a tavola, si vedeva com’era-no venuti. Perché il problema dell’arancino era il dosaggio, che non eramai lo stesso, e dunque ogni volta mia nonna passava un esame. “Comuvinniru stavota?”, domandava. "Un tanticchia asciutti. L'autra vota eranomeglio”, rispondeva mio nonno. Un giorno li fece in un modo davvero subli-me, e io stavo per dirglielo. Mio zio Massimo mi diede un cavuciu sotto latavola. “Boniceddu”, mi sussurrò. Ma perché?, gli domandai. “Perché leideve sempre superare se stessa: se tu le dai soddisfazione, è finita”.Ogni volta che rifaccio un piatto tipico di mia nonna assaporo il piaceredi tornare indietro nel tempo. Ho provato anche a ripetere altre cose mera-vigliose della mia infanzia. Come prendere il pane caldo, andare dalla caprae mungere il latte direttamente sulla fetta. Non ci sono mai riuscito. Laverità è che i sapori del passato sono irripetibili. Una volta, bevendo l'uo-vo appena fatto, ti accorgevi subito se la gallina aveva sconfinato nel campodi trigonella, la pianta conosciuta anche come fieno greco. Oggi... lascia-mo stare”.

GIANNELLA - Che rapporto ha Montalbano con il vino?CAMPO - Per gustare il cibo della sua amata terra come dio comanda habisogno di accompagnarlo sempre con un bel bicchiere di vino. Quelli chedi solito mangia erano piatti che chiamavano vino, e la chiamata non ristòsenza risposta (da: Le ali della sfinge). Eppure Camilleri il discorso“vino” lo tocca sempre con moderazione, come a volersi dare una certaparsimonia non solo nel berlo ma anche nell’immaginazione di questascena. In un racconto alla fine ci dice che quel bianco era “tradimento-so”.

GIANNELLA - Forse la spiegazione è in un particolare autobiografico da luirivelato tempo fa a Repubblica: la sua ultima sbornia avvenne il giornodella strage di Portella della Ginestra: “Era il primo maggio 1947. Almattino mi sbronzai. Poi mi dissero della strage di compagni, la primastrage politica, ordita per impedire al Pci di governare. Vomitai fiele per ilresto del pomeriggio. Da allora non ho più toccato un goccio di vino”. CAMPO - In realtà per il commissario Montalbano il vino è una bevandanormale che deve stare sulla tavola ed è fondamentale per completareun eccellente pasto. In ogni frammento gastronomico dei racconti il vinoviene citato, soprattutto il vino rosso di paese che preparava il padre diCamilleri, il nero d’Avola, il Cerasuolo di Vittoria, il Marsala, il Passito diPantelleria. E fa bere, ovviamente, vino siciliano, a chilometro zero, anchese per le altre bevande preferisce l’estero: il whisky o il caffé che fa arri-vare appositamente da Portorico.

GIANNELLA - La Sicilia è la terra del vino per antonomasia, i suoi vini hannouna gradazione piuttosto forte perchè il sole concentra molti zuccheri nel-l’uva che poi, trasformandosi in alcol, lo lasciano al vino. Non troviamocon facilità vini con gradazione al di sotto dei 13,5%. Di questo Camilleri

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� Polipetti allanapoletana

▲ Arancini

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è cosciente e cerca di non far esagerare il suo commissario, altrimentipotrebbe perdere la lucidità utile per le sue indagini. Al suo investigato-re Camilleri fa bere poco, fa bere bene. CAMPO - Di scelte da fare Montalbano ne avrebbe tante: ad esempio ilNero d’Avola rosso siciliano per eccellenza, o tra i bianchi l’Inzolia o ilGrillo, il Catarratto, fino ad arrivare all’indimenticabile Passito di Pantelleriarealizzato con le uve Moscato di Alessandria altrimenti dette Zibibbo. Peri piatti di pesce che Montalbano ama mangiare nella marinara Vigàta, ivini bianchi di accompagnamento potrebbero proprio essere questi. ScriveCamilleri: “Partendo da Palermo verso Agrigento, ho percorso i territori sici-liani dal mare alle pianure, lago e colline, incontrando nel mio viaggio col-tivazioni di vigne variegate con profumi immaginari che mi hanno invasol’olfatto aspettando impaziente le degustazioni”. Ne La gita a Tindari, quan-do il commissario mangia nella sua trattoria abituale, Camilleri si lasciascappare un’informazione: quando il ristoratore si avvicina per l’ordina-zione scopriamo che Montalbano è solito bere un certo vino bianco. “Perlei commissario, la solita minerale e il solito Corvo bianco. E per lei, signo-rina?”. “Lo stesso”. (p. 87). Il Corvo Bianco è un prodotto tipico di Casteldaccia,in provincia di Palermo, ne esistono due tipi: uno di colore giallo paglie-rino dorato che ha un profumo intenso e un sapore secco e vellutato;l’altro di color bianco carta con un sapore più fresco.

GIANNELLA - In Sicilia, grazie alla fantasia letteraria di Camilleri, è natauna notevole iniziativa imprenditoriale che ha riscosso successo proprioper la bontà dei suoi vini. CAMPO - La trovata commerciale che dà un nuovo slancio al vino sicilia-no in Italia e all'estero, è dei fratelli Scordato, che presentano le loro bot-tiglie con il nome “Vigàta” come marchio. Vigàta è un nome che salta subi-to all'occhio ed è ormai celebre. Non è un caso che sul marchio sia stam-pata anche una rappresentazione dell'isola Ferdinandea, apparsa e scom-

MONDI E IDEE IN UN BICCHIERE

UN SUCCESSO SULLO SCHERMO CHE DURA DA DIECI ANNILa Rai dal 1998 ha prodotto e trasmesso i riadattamenti televi-sivi di gran parte dei racconti che vedono protagonistaMontalbano. Lo stesso Camilleri è stato un celebre sceneggia-tore televisivo (ha curato alcune serie del commissario Maigrete del tenente Sheridan), e non ha mai negato che i suoiromanzi avessero una struttura ottima per la trasposizione sulpiccolo schermo. Ogni puntata della fiction riprende la tramadelle opere, in alcuni casi unendo più racconti brevi; la regia èstata curata in tutta la serie da Alberto Sironi, che ha effettuatole riprese in gran parte della provincia di Ragusa; le trasmissionisono avvenute sul canale Rai Uno, e adesso sono visibili inte-gralmente e gratuitamente sul sito di Rai Click e sul sito ufficialedi Palomar Sulle tracce di Montalbano.

Il protagonista, Luca Zingaretti, ha dovuto adeguare la suaparlata al dialetto siciliano essendo di origine romana. L'attore era stato alunno dello stesso Camilleri altempo della Accademia di arte drammatica. Diciotto gli episodi finora trasmessi. Eccoli: 1. Il ladro dimerendine; 2. La voce del violino; 3. La forma dell'acqua; 4. Il cane di terracotta; 5. Gli arancini diMontalbano; 6. La gita a Tindari; 7. L’odore della notte; 8. Il giro di boa; 9. La pazienza del ragno; 10. Lavampa d'agosto; 11. Le ali della sfinge; 12. La pista di sabbia; 13. La luna di carta (tutti tratti dagli omoni-mi romanzi); 14 e 15. Tocco d'artista e Par condicio (tratti dagli omonimi racconti in Un mese conMontalbano). 16, 17 e 18. Il senso del tatto, Il gatto e il cardellino e Il gioco delle tre carte (da raccontitratti da Gli arancini di Montalbano).

▲ Luca Zingaretti, il volto del commis-sario Montalbano nella fiction Rai

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■■■ ANTIPASTOCaponata di melanzaneIngredienti:1 tazza di salsa di pomodoro200 gr. di olive bianche1 mazzetto di sedano50 gr. di capperi12 melanzane3 cucchiai di aceto3 cucchiai di zucchero100 gr. mandorle tostate

■■■ PRIMO PIATTO: Pasta ‘ncasciataUna delle pietanze più preziose, quellacapace di procurare a Montalbano il massi-mo godimento è la famosa pasta ‘ncasciatadi Adelina che Camilleri cita spesso in piùracconti.La pasta ‘ncasciata è una variante dellapasta al forno e rappresenta uno dei piattiforti della cameriera Adelina.Ingredienti: (per 6 persone)600 gr. di magliette di maccheroncino200 gr. di tuma o caciocavallo fresco200 gr. di carne tritata50 gr. di mortadella o salame2 uova sode4 melanzane100 gr. di pecorino grattugiatosalsa di pomodoro½ bicchiere di vino biancobasilicoolio, sale e pepe

■■■ SECONDO PIATTO: Triglie fritteIngredienti: (per 4 persone)1 kg. di triglie2-3 limoni di media grandezzaciuffetti di prezzemolofarinaolio e sale

■■■ DOLCE: Mostazzoli di vino cottoIngredienti:1 lt. di vino cotto150 gr. di mandorlefarinacannella

Scrigni segreti di casa Montalbano sono il forno e il frigo, da cui si possono tirare fuori i tesori che l’affezionatacameriera Adelina gli ha preparato. Dal libro in uscita di Stefania Campo, abbiamo ricostruito un menù.

LE RICETTE DI MONTALBANO

Tagliate le melanzane a dadi e friggetele dopo averletenute per più di un’ora in acqua e sale. A parte faterosolare in un tegame con poco olio le olive snoccio-late, i capperi ed il sedano, che avrete tagliuzzato e giàbollito in acqua per una decina di minuti per intenerirlo.Aggiungete la salsa di pomodoro e condite con l’acetoe lo zucchero. Versate nel tegame anche le melanzanee lasciatele insaporire per qualche minuto nel sugo afuoco bassissimo, scuotendo di tanto in tanto il tegameper non farle attaccare la fondo. Passate la caponatanel piatto di portata e copritela con le mandorle tritate.Servite perfettamente fredda, anche il giorno dopo.

Tagliate le melanzane a fette e friggetele dopo averletenute per un’ora in acqua e sale. Soffriggete intanto iltritato in un tegame, con olio abbondante, sfumate colvino e completate la cottura aggiungendo qualchecucchiaio di salsa di pomodoro. Lessate la pasta, scola-tela al dente e condite in una zuppiera con la salsa dipomodoro. Prendete una teglia ben unta e spolveratadi pangrattato e versatevi le magliette alternandole astrati con la carne tritata, le melanzane fritte, il formag-gio grattugiato il basilico, le uova sode, la tuma e il sala-me tagliati a fette. Chiudete l’ultimo strato di pasta conmelanzane, salsa e molto pecorino. Passate al fornocaldo per circa 20 minuti. Il formaggio, sciogliendosiforma una leggera crosta dorata (da cui il nome ‘nca-sciata, da cacio).

Pulite le triglie, sciacquate in acqua corrente, infarinate-le leggermente e friggetele in abbondante olio caldo inuna padella. Appena saranno dorate lasciatele sgoc-ciolare su carta da cucina, salatele e servitele ancoracalde in un piatto che decorerete con mezzi limoni eciuffetti di prezzemolo.

Fate bollire il vino cotto e aggiungete a poco a poco lafarina finché non si ottiene una pasta consistente.Quindi formate tanti listarelli, sistemateli in una tegliaimburrata e infornateli per circa 15 minuti. Infine tagliatei mostazzoli, bagnateli nel vino cotto e passateli nellozucchero e nelle mandorle.

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parsa in un "vidiri e svidiri", il 5 luglio 1831, al largo di Sciacca, "tra tuoni,fulmini, saette, dal mare ribollente", e poi sommersa dai flutti solo 5 mesidopo. E' proprio lì, a metà tra realtà e fantasia, è possibile bere una bot-tiglia di “Vigàta”, abbinata alle prelibatezze siciliane. Così si può sorseg-giare l'Inzolia con i "purpi alla carrettiera", il Nero d'Avola con la "capona-tina" e il "RossoSalvo" con i famosi "arancini" di Montalbano. O bere unvino di compagnia come il Syrah che Montalbano sicuramente berrebbecon la sua compagna genovese Livia.

GIANNELLA - La passione di Montalbano per il cibo talvolta da spiritualesi materializza e diventa carnale… CAMPO - Ascolti questo brano: “E arrivarono i pirciati. Sciauravano diparadiso terrestre. Il baffuto si mise appuiato allo stipite della portaassistimandosi come per uno spettacolo. Montalbano decise di farsi tra-sire il sciauro fino in fondo ai polmoni. Mentre aspirava ingordamente, l’al-tro parlò. “La vuole una bottiglia di vino a portata di mano prima di prin-cipiare a mangiare?”. Il commissario fece ’nzinga di sì con la testa, non

aveva gana di parlare. Gli venne messo davanti unboccale, una litrata di vino rosso densissimo.Montalbano se ne inchì un bicchiere e si mise inbocca la prima forchettata. Assufficò, tossì, gli ven-nero le lagrime agli occhi. “Ci vada chiano chianoe leggero”, lo consigliò il cammareri proprietario.“Ma che c’è?”, spiò Montalbano ancora mezzo assuf-ficato. “Oglio, mezza cipuddra, dù spicchi d’agliu,dù angiovi salati, un cucchiarinu di chiapparina,aulive nivure, pummadoro, vasalicò, mezzo pipirun-cinu piccanti, sali, caciu picurrnu e pipi niuna”, elen-cò il baffuto con una nota di sadismo nella voce.“Gesù” disse Montalbano. Intercalando le forchet-tate con sorsate di vino e gemiti ora di estrema ago-nia ora di insostenibile piacere “esiste un piattoestremo come il sesso estremo?”, gli venne di spiar-si a un certo punto, Montalbano ebbe macari ilcoraggio di mangiarsi col pane il condimento rima-sto sul fondo del piatto, asciucandosi di tanto intanto il sudore che gli spuntava in fronte. “Chevuole per secondo, signore?”. Il commissario capi

che con quel «signore» il padrone gli stava rendendo l’onore delle armi.“Niente”. “E fa bene. Il danno dei pirciati ch’abhruscianu è che uno ripi-glia i sapori il giorno appresso”. (da: L’odore della notte).Per Montalbano il cibo è quindi anche passione carnale, ma se è vero que-sto, per la logica fantastica dei sillogismi, è anche vero il contrario e cioènon solo un far l’amore con il cibo, ma farlo attraverso il cibo.

GIANNELLA - Parliamo d’altro. Del gelato, per esempio. CAMPO - A Porto Empedocle il gelato aveva il suo tempio nel CaffèCastiglione, che aveva un segreto per i pezzi duri. Meravigliosi. Il giornoche Mussolini passò da lì (fermandosi in tutto 15 minuti) gli offrirono pro-prio il gelato del Caffè Castiglione. Dopo un po' di tempo telefonarono daRoma alla Capitaneria di porto avvertendo che stava ammarando un idro-volante per caricare un pozzo di gelato per il duce. Il gelato del CaffèCastiglione. Da quella volta, ogni sabato si ripeteva l'operazione. Sentiamoancora Camilleri: “Così, quando Mussolini inaugurò la prima autostradaitaliana, da Roma a Ostia, mio zio Riccardo che era antifascista disse amio padre, fascistissimo: “Pippi’, lo sai picchì Mussolini fici ‘sta strata?Picchì si scantava ca i gelati c'arrivavunu squagliati”.

GIANNELLA - Carne o pesce?CAMPO - Rigorosamente privilegia il pesce, abbinato al vino bianco, quan-do mangia in casa, servito dalla “cammarera” Adelina o dall’oste Calogero,

MONDI E IDEE IN UN BICCHIERE

▲ Gelato al caffè

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proprietario della trattoria omonima a Vigàta o, quando chiude Calogero,dal successore Enzo. Se si avventura in trasferta, verso i piccolissimi paisidell’interno, “dove i pesci non erano mai stati di casa”, allora Montalbanonon ha esitazione: “Carne, carne”, da abbinare a vino rosso. Come quan-do va a trovare la signora Fazio che, per la visita di Montalbano, “s’assu-però: la pasta ’ncasciata fece leccare le dita, il brusciuluni (un rollè condentro ovo sodo, salame e pecorino a pezzetti) si volatilizzò, e dire chesarebbe stato bastevole a una ventina di persone. Il commissario avevaportato una cassetta con 12 bottiglie di vino bono, quello che faceva suopadre. Finita la cena e finite macari le 12 bottiglie, dato ch’era una bel-lissima serata di principio maggio decisero di fare una lunga passiata sulmolo, fino a sotto il faro, per alleggerire tanticchia il carrico che ognunodi loro portava a bordo. (da "Un mese con Montalbano", Mondadori).

GIANNELLA - Peccato che non sia stato organizzato un tour gastronomicoper mettersi a tavola con Montalbano…CAMPO - Il desiderio di mangiare alla Montalbano è diventata ormai unamoda diffusa. In una delle città più raffinate d’Europa, Parigi, è possibi-le mangiare a Casa Vigàta, un ristorante in rue Léon-Frot dove uno chefprepara menù con le pietanze citate nei libri di Camilleri. Per immerger-si a pieno in questa esperienza sensoriale, però, bisogna arrivare in Siciliain cerca delle splendide location, mossi dalla voglia di ritrovare la tratto-ria La Rusticana, cioè l’Osteria di Don Calogero, ritrovo di Salvo e Mimì,dove si può ordinare il menù dal titolo “A pranzo con Montalbano”, o ilristorante di Enzo; di provare i cannoli e i biscotti regina del Bar Albaneseo il gelato duro del Caffè Castiglione e vivere gli stessi sconfinati piaceridel palato. Marinella è Punta Secca, una località balneare in provincia diRagusa. È lì che Salvo vive, in quella bella casa con terrazza che dàdirettamente sulla spiaggia e sul mare e che quando non è usata comeset funziona da Bed & Breakfast. Anche la nostra associazione SiciliaMovietour ha già lavorato per incrementare questa forma di turismo cul-turale. Nel novembre scorso, al caffè letterario Malavoglia in piazzettaSpeciale a Palermo, i romanzi di Camilleri hanno incontrato le lingue delmondo e la cucina sicula in un ciclo di aperitivi "Los livres of Camillerifor einen schiticchio" ovvero "Il rituale della tavola. A manciata". Il localeera stato diviso in quattro aree, dove i presenti hanno discusso in altret-tante lingue. Le conversazioni si basavano sulla lettura di libri di avven-ture di Montalbano. Insegnanti madrelingua traducevano il testo dal sici-liano in francese, tedesco, inglese e spagnolo. Contemporaneamente veni-vano serviti piatti della cucina sicula, come la bruschetta con i pomodorio la caponata di melanzane. Ripeteremo questa esperienza in autunno.Chi vuole si prenoti via mail all'indirizzo [email protected].

MONDI E IDEE IN UN BICCHIERE

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Tra tendenzee provocazioni

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Èuna vita che il sottoscritto, da bravo “sociologodel piacere”, sforna nuove tendenze, svelandomodi, mode ed evoluzioni di un mondo del loi-

sir analizzato con pazienza certosina, “all over the world”.Da qualche tempo, ho però deciso di ricominciare a pro-porre i trend in prima persona, per dimostrarne l’effet-tivo impatto ludico. E per dare la possibilità alle varietipologie di locali di capire quale format sia effettiva-mente in sintonia con le proprie caratteristiche e qualisiano esattamente le modalità di sviluppo. Nel 1999 introdussi l’Oxy Bar, prima a Milano (Shu),poi a Roma (Riparte Cafè), che però non riuscì a cemen-tarsi a dovere, perché mal gestito da chi decise di adot-tarne la formula… Ma come si fa a decidere di far paga-re 10 Euro per qualche sniffata di ossigeno aromatiz-zato? Proprio quel ricordo, ha fatto sì che nell’ultimoanno io abbia personalmente proposto ben tre schemiludici. Uno, assolutamente trash, provocatorio e vota-to al divertissement puro e semplice, il primoCampionato italiano di Porno-Karaoke (al Let’s Godi Desenzano); gli altri due fortemente ed indissolu-bilmente legati all’odierna società dell’immagine, ilCollagen-Party e lo Psycho-Cafè, peraltro già inter-pretato nella duplice versione di Psycho-Pizza e Psycho-Dinner. Ebbene, proprio di questi ultimi vi voglio par-lare con dovizia di particolari. Inizio con il chiedervi uffi-cialmente “che ne dite di partecipare alla prima festache, oltre a divertire, sfamare e dissetare, toglie le rughee gli anni? C’è pure la Vasca della Giovinezza…” In poche parole, nell’occasione vengono proposti piat-ti e bevande anti-aging, a base di collagene, proteinanotoriamente utilizzata per rendere giovane ed elasti-ca la pelle. Tutto nasce dal Giappone, dove ho perso-

nalmente visto frotte di ragazze, fortissimamente lega-te alla cura del viso, affollare ristoranti che propongo-no improbabili zuppe con pinne di pescecane, vertebredi maiale, alghe e cartilagine di pollo, stufati nel brodo.Ma dalle nostre parti, quei piatti non sono assoluta-mente proponibili, ragion per cui, dopo aver verificatoche medici e farmacisti non ravvisano nessuna diffe-renza fra il collagene spalmato sul corpo e quello inge-rito, ho pensato bene di sviluppare una versione oppor-tunamente modificata e corretta del trend, coinvolgen-do nella fase successiva Cesare Marretti, talentuosochef de La Prova del Cuoco-RaiUno. Insieme al qualeho dato vita al progetto Collagen Food&Drink, fattoapposta per far ringiovanire, mangiando e bevendo congusto. Due gli eventi andati in scena finora: il primoal Jet Set di Roma (con tanti vip e filmati a disposi-zione degli increduli, sul mio sito. Tipo, www.piaceree-divertimento.com/tv_performance/costume_societa.ht;

DAI PARTY CHE TOLGONO LE RUGHE ALLE FESTE CON PSICOLOGO

VOTATO ALLA SOCIALIZZAZIONE, PASSANDO PER GLI APPETIZERS

“MANGIA&BEVI” E UNA SECONDA TIPOLOGIA DI SOMMELIER…

di Roberto Piccinelli

▲ La pizza più chic!

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www.piacereedivertimento.com/tv_performance/cult.htm;www.piacereedivertimen-to.com/tv_performance/festa_italiana.htm), l’altro recentissimo, all’Astragalodi Castiglioncello, ma tanti ne seguiranno. Perchè il pia-cere di offrire ai propri ospiti un drastico taglio allerughe con conseguente pelle liscia e vellutata, nonchéun immediato ribasso dell’età apparente è una libidi-ne non da poco, vieppiù nell’età fortemente votata all’im-magine, che stiamo vivendo. C’è la vasca della giovinezza, piena di un’inebriantebevanda a base di collagene di pescecane, con la qualesi brinda inizialmente, salvo poi lasciarsi andare a can-nelloni, involtini, cotoletta e lecca lecca al collage-ne, ma anche ad un antipasto classico, debitamenterivisitato, prosciutto e melone con collagene sirin-gato! Del resto, che la cura del corpo e la necessità diapparire sempre in gran spolvero risultino straordi-nariamente importanti nella società odierna trasparein modo evidente dalla mia catalogazione, risalente aben 4 anni fa, del fenomeno Social Beauty (luogo vota-

to tanto al benessere fisico quanto al disimpegno psi-chico, con massaggi, musica, terapie salutari e momen-ti conviviali chiamati a miscelarsi alla perfezione) che,da allora, considero la tipologia ludica con maggioripossibilità di crescita e successo, qualora ben assem-blata, ovvio. Vieppiù, in un momento come questo, in cui la spie-tata legge dell’immagine è affiancata da un innegabilestato di crisi. Il cui livello di guardia viene, guarda caso,misurato dal Financial Times, notando l’aumento dellevendite di fondotinta tanto in Gran Bretagna quantonegli Usa. Più il momento è duro, più si fa uso di pro-dotti atti a rendere luminoso, uniforme e solare ilviso. Più la situazione è difficile, più occorre apparirein gran forma. Più sale lo stress e la pelle soffre, più vamessa una pezza all’imbruttimento. Più il Dow Jonesscende, più aumentano le vendite di fondotinta. E ciònon vale solo per le donne, perché il nostro Presidentedel Consiglio non può non essere considerato un ante-signano nell’uso del prodotto: che sia un trendsetter?

▲ Cesare Marretti e RobertoPiccinelli assaggiano un aperitivoa base di collagene di pescecane

▲ La Lampara, il ristorante e il privé

Astragalo - Cesare Burgalassi 335-373606Baia del Quercetano, 1 - Castiglioncello (LI)Tel. 0586/759065; 338/8078640; 335/7903456

Lampara – Enzo D’Argento 347-6944227 Via de Gemmis 1 - Trani (BA) - Tel. 0883/[email protected]

Barcelona Cafè Via Matteotti 10 - Crema (CR) - Tel. 0373/81625

Jet SetPiazza Umberto Elia Terracini - Roma. Tel. 06/5913743;393/7517510

Let’s GoVia Mantova 137 - Desenzano (BS) SS Desenzano-Castiglione delle Stiviere - Tel. 339/2080000

Riparte CafèVia degli Orti di Trastevere 7 - Roma - Tel. 06/58611

ShuVia Molino delle Armi, ang. Via della Chiusa - Milano Tel. 02/58315720

SohoVia al Ponte Calvi 20r - Genova Tel. 010/8692548; 338/9133943

ToninoVia Cairoli 16 - Bologna - Tel. 051/5882700

INDIRIZZI

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In questo caso, non mancherà di partecipare ad un col-lagen party: hai visto mai che dopo l’ambasciatore delBelize Nunzio Alfredo D’Angeri, il giornalista del TG1Attilio Romita ed il principe Carlo Giovannelli, spia-niamo le rughe anche a Silvio Berlusconi? Sicuramente,ce ne renderebbe merito… Ne parleremo con la suacuratrice d’immagine, l’amica Miti Simonetto.

■■■ SOCIALIZZAZIONE E RELAX, AMMINISTRATIRimaniamo in tema di società dell’immagine per par-lare del secondo format, lo Psycho Cafè, che ho svilup-pato in versione Psycho-Pizza, da Tonino, a Bolognae sotto forma di Psycho-Dinner presso il risto-discoLampara Club di Trani. In questo caso, tutto nasce dal-l’incomunicabilità di massa, che attanaglia giovani evecchie generazioni. La spietata legge per la qualeuna brutta figura o un due di picche in pubblico rap-presentano uno smacco insostenibile fa sì che semprepiù spesso si esca con la propria compagnia di amici,senza arrischiarsi a fare altre conoscenze. Ecco, quindi, che l’intervento dello psicologo, con licen-za di mettere in contatto le persone, per di più in basea ben precise affinità, può aiutare, eccome. Ed il tavo-lo sociale diventa la risposta concreta alla finzioneinternettiana targata Facebook! Trattasi di nuovoformat tematico, a sfondo conoscitivo, socializzante egastro-allettante. “Ordina la tua cena... Ti dirò chi seie chi sono i tuoi nuovi amici!” potrebbe essere lo slo-gan di una serata che punta a svelare il vero io di cia-scun commensale, creare nuove amicizie e suggerirecompatibilità caratteriali, attraverso la risultanza discelte gastronomiche, coinvolgimenti sensoriali e doman-de esperienziali. Garantite dalla verve comunicativa delsottoscritto e dalla professionalità della psicologa e psi-coterapeuta Lucia Chiarioni. 8 coperti, caratteristichedi alta riconoscibilità ed eleganza, apparecchiatura,sedute ed accessori over the top, inizialmente lasciatovuoto, al centro del locale, il tavolo sociale punta a crea-re nuovi amici e protagonisti assoluti. Chiamati allaribalta ed assortiti al meglio, grazie all’opzione Grazing:niente suddivisioni fra antipasto, primo, secondo, frut-ta e dolce, ma 10 piatti fra cui scegliere il proprio,personalissimo menù, nell’ordine preferito. Con altret-tanti vini al bicchiere, di stampo differenziato, parimen-ti chiamati a fungere da evidenziatori caratteriali. Ciò per quanto attiene al ristorante, perché in pizzeriaabbiamo aggiunto la birra e optato per la libera sceltafra 30 ingredienti, da miscelare a piacimento, per unmassimo di 6. Il risultato finale è una cena in cui i com-mensali diventano parte integrante della rappresenta-zione, mettono a nudo i rispettivi caratteri e socializza-no alla grande, grazie a test rivelatori, chiacchiere inlibertà controllata e scelte eno-gastronomiche di stam-po chiarificatore. A chiusura del paragrafo, va ricorda-to che sono anche stato il primo a segnalare l’avventodei Knit Cafè, il cui primo prototipo vidi a New York,post apertura datata dicembre 2003 by MiriamMaltagliati, ma le cui versioni italiane sono state comeal solito mal riportate ed interpretate: vogliamo scom-mettere che, a breve, anche nel nostro Paese, sarà pro-posta la versione corretta, quella che spacca, magari

con qualche variante ad hoc, particolarmente efficace? Pare ormai assodato che lavorare a maglia possa esse-re considerato una nuova forma di yoga, un veicolo pri-vilegiato di relax, ma le modalità di abbinamento conil mondo del loisir, qua da noi, sono state totalmentefuorviate. La tipologia non nasce per essere appannag-gio della sola casalinga di Voghera, ma per fare in modoche lei stessa, al pari di molti altri, possa entrare incontatto con aficionados del fenomeno quali CameronDiaz, Julia Roberts e Sarah Jessica Parker… E poi,chi l’ha detto che nel contesto si debba bere solo esoltanto the?

■■■ SCOPERTE, IDEE E NUOVE PROPOSTEGirando (e tanto!) per individuare le novità pro miaGuida al Piacere e al Divertimento, si scoprono newsche nemmeno i partner tecnici ti dicono. Sarà perchéio ho sempre tenuto distinti sponsor e critica, fattosta che solo arrivando al nuovo Soho di Genova (risto-pescheria di matrice hi-tech), ho scoperto che Drappier,unico champagne in carta, è storicamente lo champa-gne dei ricevimenti ufficiali del governo francese, amatodal generale De Gaulle ed in grado di vantare un’eti-chetta non contenente solfiti! Curioso, davvero. Come pure la gestazione del DrinkEat, griffato MarcoPistone by Barcelona Cafè di Crema. Essendo capita-to in loco ed avendo parlato con il boss, mi è venutaspontaneo incentivare la sua idea di dar vita ad unanuova versione di appetizers, nati con l’idea di far man-giare e bere allo stesso tempo. Parlandone assieme, èscaturita una sorta di aperitivo omnicomprensivo,che ho visto crescere, modificato ad hoc, etichettatoin maniera appropriata e voluto al mio fianco nella lottacontro l’Happy Hour sguaiato di questi tempi. Ovvio,quindi che i nomi dei due primi esempi pratici sposi-no, frammentandolo, un mio marchio, Dr. Pleasure &Mr. Fun, sinonimo di Blog, Tv, Cd, T-Shirt ed altroancora. Dr. Pleasure si presenta sotto forma di semi-sfera di cioccolato Tribago al 64%, gelatina di spicchid’arancia e zucchero di canna pestati insieme, liquoredi lamponi, liquore di arancia, rum S. Teresa riserva,ripieno di gorgonzola, caprino, crema di latte, noccio-le tostate e cannella. Mr. Fun vanta al suo attivo polen-ta, gelatina di saké, zenzero e melone, burro in poma-

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ta, succo di scorza di mandarino, gamberetti e uovadi lompo. La segnalazione va letta anche come un miopersonalissimo elogio per l’iniziativa benefica pro SLA,Sclerosi Laterale Amiotrofica, voluta da Marco stesso,addì 28 maggio 2009, Teatro San Domenico di Crema,con il sax di Francesco Cafiso on stage. Per chi non losapesse, Francesco, accompagnato nell’occasione dal-l’altrettanto bravo Dino Rubino, va considerato unagiovanissima star del jazz contemporaneo. Basti pen-sare che, il 19 gennaio scorso, è stato chiamato a suo-nare a Washington, nell’ambito dei festeggiamenti proBarak Obama for president. Basta la parola. Dulcisin fundo, una richiesta vera e propria. Una necessità verificata, un desiderio insopprimibile.Visto e considerato che molti locali vivono attualmen-te d’immagine, come più volte ripetuto, perché non pen-sare ad una tipologia di sommelier più easy, menomanieristici, meno formali e meno paludati, da aggiun-gere a quelli, giustamente sussiegosi e scenografici, chelavorano con profitto nei vari ristoranti stellati? Anchei locali “à la page”, perfino quelli dove si mangia dav-vero male, devono avere qualcuno che consigli cosabere. Anche a prezzo calmierato. Sarà più complicato, ma la ricerca ad hoc è richiesta.Perché l’educazione vinicola è fondamentale, a tutti ilivelli. Vieppiù, quando c’è di mezzo un pubblico giova-

ne. Che va educato, a dovere. Perché non è possibileche accada ciò che è successo a me in un risto-discomodaiolo: nell’ambito di una cena a menù prestabilitoed a prezzo fisso, c’era un solo vino a disposizione, peral-tro assolutamente “out of order”. Costava poco (era com-preso in una cena da 25 Euro) e teneva conto della crisi,va bene, ma era davvero imbevibile (se ne sarebberopotuti proporre 1.000 altri, migliori…). Incredibile,ma vero, nella cantina del locale non c’era nessun’al-tra etichetta! Non ho avuto altra strada se non quelladi optare per uno Champagne, per non essere costret-to a bere solo acqua… Certo, in questo tipo di locali, ilsommelier non deve essere di maniera, bensì di forma,non rigoroso, ma conviviale, non asettico, ma coinvol-gente, non didascalico, ma esplicativo. Ed il suo lookdeve essere in sintonia con il luogo. Del resto, non è ilvestito a dover fare la differenza, bensì la professiona-lità e la competenza. In ogni caso, pregasi astenersi,caricature simil Antonio Albanese, por favor. Perchéesistono, li vedo, anche se preferirei non vederli. Perfinire, anticipo fin d’ora che dopo la Top 7 Barman inse-rita sulla mia Guida al Piacere e al Divertimento 2009(www.piacereedivertimento.com/oscar_piacere/bien_vivre.htm), nella versione 2010 della mia stessaGuida ci saranno anche I Magnifici 7 Sommelier. Lettinella mia ottica, ovvio: se ne parlerà e molto!

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Con oltre un secolo di storia (è stata infatti fondata nel 1893), laCantina Produttori (o Kellereigenossenschaft, come si dice in tede-sco) di Terlano (località a mezza via tra Bolzano e Merano, celebrata

anche per i suoi asparagi bianchi) non è solo una delle più antiche can-tine sociali altoatesine, e indiscutibilmente una delle migliori (come l’hadefinita anche la prestigiosa rivista britannica Decanter in un recente arti-colo) Cantine sociali italiane, ma negli anni si è sempre più qualificatacome l’area d’elezione da cui provengono alcuni dei più importanti vinibianchi italiani. Capaci di reggere e di evolvere nel tempo, rimanendo vivi e piacevolissi-mi, anche dopo diversi decenni. Roba che solo i grandi Riesling tedeschisanno fare. I “bianchi di Terlano”, in larga parte ottenuti da quel gran-dissimo vitigno, troppo sottovalutato rispetto alle varietà aromatiche moltopiù “di moda” e appealing, che è il Pinot bianco o Weissburgunder, sonodiventati il sinonimo del bianco italiano che anche senza adottare lo stilefrancese che prevede l’affinamento in barrique può splendidamente matu-rare e acquisire, anche dopo molti anni, una complessità straordinaria. Merito innanzitutto di un terroir straordinario, quello dell’enclave di Terlano,dalla natura ideale per assicurare longevità, freschezza e vitalità ai vini,grazie all’elevato contenuto di porfido dei terreni, che immagazzinano calo-re, e alla porosa pietra arenaria presente, che permette all’acqua di deflui-re nella terra, mantenendo asciutto il terreno a contatto con le radici, alparticolare microclima, alla posizione dei vigneti, che possono salire quasia 900 metri d’altezza, ma anche merito di un personaggio che, per primo,ha saputo cogliere la vocazione di Terlano a produrre grandi vini bianchie ha posto le basi per far entrare la Cantina Produttori nel ristrettorango dei migliori produttori di bianchi italiani. Sto parlando di Sebastian Stocker, che per oltre quarant’anni è stato ilKellermeister (cantiniere ovviamente, ma anche direttore commerciale,responsabile dei rapporti con i soci viticoltori) della Cantina. Una storiache, come mi ha raccontato, inizia nel 1955, quando “il modo di lavorareera diverso, si vendeva tutto in fusti da 50, 100, 150 litri, e poche dami-giane, poi il doppio litro. “Le bottiglie da sette decimi abbiamo cominciato a farle, 31.000, tutte perun cliente di Milano, nel 1956. Ho imparato a fare vino con una grandegioia, affiancando il vecchio cantiniere di Terlano che veniva da Termeno:insieme si discuteva, ci si confrontava, e quando mi diceva che avevo ungrande palato io tremavo dall’emozione. Ho fatto poca scuola e tantapratica. Io ero sempre in cantina, il primo ad arrivare e l’ultimo a chiu-dere, con molta semplicità. Ho sempre pensato che con le uve ed i terre-ni di Terlano si potessero fare grandi vini e assaggiando ho sempre cer-cato di mettere da parte una piccola scorta in fusti più piccoli, perchéconoscevo la zona e le sue caratteristiche, mettevo da parte i vini che arri-vavano dai diversi vigneti, il Winkl, il Kreutz, il Vorberg, ecc. Già dai primitravasi mi accorgevo che un mosto aveva profumi più fini, che uno era piùaspro, l’altro più acido. Facevo le mie riflessioni prendendo molti appun-ti e osservazioni minute che conservo ancora, chiedevo ai contadini se levigne erano vecchie, assaggiavo le uve, invitavo tutti a selezionare le uvemigliori e ad eliminare gli acini ed i grappoli non sani, e così andava vial’8-10%, e si aspettavano la giusta maturazione, le gradazioni ideali. Levigne prima di 15-20 anni non fanno mai un vino buono, e io cercavo ivigneti con gli innesti giusti di cui mi aveva parlato mio padre, che è statoil mio primo maestro”. Perché i vini bianchi di Terlano siano “speciali” èpresto spiegato per Stocker: “Sono più complessi, hanno un maggiore equi-librio dato dal terreno, dal contenuto di porfido che fa durare nel tempoi vini bianchi”.Quanto alla forma di allevamento, anche se oggi larga parte dei vignetidella Cantina di Terlano sono passati alla più moderna forma del guyot,Stocker non ha dubbi: “Di recente ho assaggiato un 1961, fantastico, chemi ha convinto che per i profumi la pergola va meglio, dà più finezza. Ilgrappolo mi sembra più libero e ha bisogno di non essere completamen-

▲ I vigneti di Terlano

di Franco Ziliani

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te esposto al sole e di avere un po’ di ombra, altrimenti i profumi vengo-no bruciati. I vini vecchi da vigneti a pergola hanno più fascino, maggio-re equilibrio. Non si può dire che la pergola sia da buttare. 100-200 annifa c’era il guyot e poi si è passati alla pergola e ci sarà pure stato un moti-vo!”. Quanto alla scelta di affinare i vini in legno Stocker ricorda di aver “sem-pre lavorato su grandi fusti da 50-100 ettolitri, facendo fermentazione eaffinamento in legno. Nei primi anni Novanta anche noi abbiamo prova-to le barrique sui rossi, ma i risultati non mi sono assolutamente piaciu-ti. Con la lavorazione in botte o in acciaio riesci a rispettare meglio le carat-teristiche dell’uva e ad esaltare le differenze da zona a zona”. Circa il ruolodell’acidità nei vini di Terlano, Stocker, che ha iniziato ad utilizzare ilSauvignon nel 1956, per primo in Alto Adige, poi usando anche Pinot bian-co e Riesling italico e Welschriesling, che “oggi non c’è quasi più nei nostrivigneti, ed è un peccato”, pensate che “l’acidità, intorno al 5,8-6 è perfet-ta, con grappoli leggeri di vigne vecchie non troppo cariche, grande sele-

zione in vendemmia in fase diverse. C’eranograndi uve in passato, migliori di oggi. Io i mieibianchi li ho fatti senza Guyot, senza tagliaregrappoli, facendo una selezione molto severae basta! Ho lavorato soprattutto cercando dirispettare l’uva e la terra, con fusti di 25 quin-tali di rovere di Slavonia, lasciando il tartaro,pulendo bene e solforando, ho sempre imbot-tigliato con 25-30 di anidride solforosa libera,il vino doveva essere a posto e mantenere i suoiprofumi”. Cosa sia per lui un grande vino è semplice, “unvino dal colore vivo, dal profumo pieno e digrande equilibrio e grande pienezza, con notedi maturità che accennino al miele, ma nontroppo. A Terlano quando i contadini doveva-no piantare venivano da me ed io indicavo lorodove piantare le giuste varietà nei posti miglio-ri. Io guardavo al tipo di terreno, alla mia docu-mentazione, mi basavo sulla mia esperienza,anche per il Vorberg, che noi non etichetta-vamo come cru a parte, ma solo per dei clien-ti svizzeri. Un grande vino è sempre un vinoelegante, deve farsi bere bene, non deve esa-gerare con la concentrazione e con i muscoli”. Introdotto lo “spirito” dei vini, la loro storia,passiamo alla degustazione della serie di gran-di annate proposte da Klaus Gasser, diretto-re vendite della Cantina, (che oggi si avvaledella collaborazione tecnica, come enologo,di Rudi Kofler) durante la mia recente visita,non senza aver ricordato che il Pinot bianco

della selezione di vigneto Vorberg è stato commercializzato con questonome per la prima volta nel 1995 e viene prodotto in circa 50 mila esem-plari, che il Pinot bianco è la superficie più importante, con i suoi 30 etta-ri su 140 complessivi nei vigneti dei 105 soci conferitori di Terlano (unapiccola parte arriva anche dai colli della frazione Silberleiten), seguito daaltrettanti 30 ettari di Sauvignon, varietà che si adatta molto bene al ter-roir di Terlano, che il Vorberg normalmente fa malolattica (nel 2003 malo-lattica parziale), che tutto il Pinot bianco finisce in bottiglia da settedecimi, che la produzione della Cantina di Terlano è per il 70 per cento(in passato era il 55%) ad uve bianche. Merita di essere poi ricordato che tra le “Rarità” ancora presenti in can-tina e commercializzate in piccole quantità, figurano il 1996 Pinot bian-co commercializzato come riserva, lo Chardonnay 1990, 1994, 1995, 1997,

▲ L’antica vinoteca

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il Sauvignon 1995, il Terlaner 1991, il Pinot bianco 1988 e 1983. E chein cantina vengono tuttora conservate, in serbatoi d’acciaio, piccole quan-tità dei vini delle annate più vecchie, ad esempio il 1979. Del Pinot bian-co Vorberg sono disponibili in cantina le annate 2001 – 2002 – 2003 –2004 – e ancora poche bottiglie del fantastico 1999. Cominciamo la nostra verticale procedendo a ritroso nel tempo, dall’an-nata più vecchia a quella più giovane.

1959 - Primo vino nientemeno che un bianco di cinquant’anni, annata1959, che Stocker ricorda come un’annata strepitosa, dove “c’era moltolavoro dietro, bisognava assaggiare tutti i giorni, evitare che arrivasseun gusto di crudo, intervenire subito quando necessario, travasare anchedi domenica, seguire i vini come dei figli”. Di questo vino possiamo direche ha fatto fermentazione in legno, sur lie, in botti da 25 ettolitri di rove-re di Slavonia e tedesco, fino al marzo successivo con imbottigliamento inaprile-maggio. Le note analitiche dicono che inizialmente il ph era piùbasso rispetto all’acidità e questo ha assicurato una grande stabilità inbottiglia. Il vino è stato ritappato nel 1995. Colore di stupefacente stabi-lità e brillantezza oro antico brillante luminosissimo splendente multiriflesso, mostra un naso fitto, compatto, integro di assoluta complessità,con note di fieno secco, camomilla, agrumi, erbe e fiori di montagna, conuna vena minerale pietrosa precisa che lo innerva, accenni di albicoccasecca, cioccolato bianco, segale e senape ed in evoluzione zafferano e sam-buco. La bocca è di stupefacente freschezza, sapidità e nerbo, con attac-co vivo, asciutto, nervoso, grande dinamismo e complessità. In evoluzio-ne tira fuori un carattere etereo da Amontillado, dove la componente ioda-ta salina quasi marina è straordinariamente evidente. L’alcol è ben bilan-ciato, il vino di una magnifica essenzialità e asciuttezza ancora morden-

▲ I vini degustati

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te e nervoso con un retrogusto che richiama il cioccolato bianco.Aristocratico, misterioso, essenziale, dotato di una forza e di un fascinomaterico incredibile, ti lascia una bocca pulitissima nervosa e integra,senza alcun segno di stanchezza.

1979 - L’etichetta riporta la dizione Terlaner Weissburgunder, la bottigliariprende una forma storica locale ed è la prima rarità imbottigliata daStocker, dopo essere rimasta in serbatoi d’acciaio fino al 1991. Colorepaglierino oro di stupefacente miracolosa vivacità e brillantezza. Nasofittissimo suadente cremoso avvolgente ancora con una succulenza di frut-ta incredibile, note di crème caramel; sviluppa un naso petroso, con fioribianchi, gelsomino e fiori d’arancio in evidenza, note di pan brioche, mielee accenni eterei, crème brulée, panna cotta e leggero richiamo di cara-mello. Bocca larghissima, ampia carnosa succulenta, con una vivacità edun nerbo quasi tagliente nella sua integrità, salatissimo, nervoso, scat-tante pieno di energia, ma elegante, avvolgente largo e profondo. Grandissima armonia e soddisfazione al palato, avvolgente caldo pienoricco, ma freschissimo, di assoluta eleganza ha la stoffa il velluto, la pie-nezza, la larghezza ed il carattere di un grande rosso di stampo borgo-gnone: più resta nel bicchiere e più si mostra vivo, elegante e complessovino di classe aristocratica, di assoluto fascino. In evoluzione emerge niti-da una nota di pietra colpita dal sole, di grafite e di porfido: lunghissimoe verticale, cresce incredibilmente lungo e preciso con una pulizia finalestupefacente.

1987 - 21 anni in bottiglia per questo Terlaner Weissburgunder klassicher,come si legge in etichetta. Color oro paglierino con sfumature verdogno-le, mostra un naso essenziale e nervoso con la componente minerale petro-sa protagonista, note di agrumi, fiori bianchi, crosta di pane, erbe sec-che di montagna in evidenza. La bocca ha un attacco asciutto aggressivoestremamente nervoso, con l’acidità a spingere, verticalizzare e innerva-re il vino con notevole lunghezza e persistenza. Un vino dal carattere quasi“carsico”, che in evoluzione sviluppa sorprendenti note di mandorla e con-

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fetto e conserva una bocca viva scabrosa, di misteriosa essenzialità e nerbo.Al gusto è meno ricco e completo del 1979 ma mostra una purezza, un’in-cisività, una mineralità esemplare. Grandissima beva e piacevolezza.

1999 - Un Pinot bianco da uve provenienti dal vigneto Vorberg di dieci anni,ma sembra nato ieri. Espressione di un’annata classica, piuttosto fre-sca, paragonabile al 2008, caratterizzata da acidità elevata (ma meno del1995), mostra un colore di splendida vivacità e intensità paglierino ver-dognolo brillante e un naso che sorprende al confronto degli altri per lasua straordinaria gioventù, con un frutto più evidente che richiama lamela e poi, in sequenza, note di fiori bianchi, gelsomino, fior d’arancio dinotevole integrità e freschezza. La bocca è succosa e piena, rotonda masviluppa il nerbo tipico del vino, con magnifica sapidità, acidità chespinge, vivo nervoso di grande energia e “sale”. Giovanissimo, fa capiredi poter reggere un lunghissimo affinamento in bottiglia, dov’è ormai dalgiugno 2001. Una parte di questo vino, destinato alle riserve, è ancora inacciaio nelle cantine aziendali.

2002 - Annata problematica il 2002 in diverse zone vinicole italiane, manon a Terlano, e un’annata che secondo Gasser è sinora la più interes-sante tra quelle del nuovo secolo. In degustazione un Pinot bianco Vorbergriserva, nato in un regime di leggera sovramaturazione delle uve, simileal 1979, con bassa pressione in Austria, vento caldo (phon) con tempe-rature elevate e disidratazione delle uve nell’ordine del 7-8% e leggeroattacco di muffa nobile. Il naso è molto fitto, caldo, elegante, con note dicamomilla e fiori secchi, accenni leggeri di cioccolato bianco, arancia, frut-ta secca, sambuco e spezie. Al gusto è molto largo e ricco, pieno e succo-so, con acidità più bassa e grande avvolgenza aromatica. Al gusto mostranotevole struttura e pienezza, bellissima intensità, complessità e ampiatessitura, con timbro asciutto di magnifica freschezza, acidità scattantee nervosa e potenziale di evoluzione importante. Considerando l’annatasorprende per l’elegante fragranza, l’acidità nervosa, l’integrità e la bel-lissima personalità.

2003 - Pinot bianco Vorberg riserva Colore paglierino intenso luminoso,vivo e splendente, mostra un naso di sorprendente presenza, fittezza edeleganza, più sul frutto delle altre annate, ma sempre nello stile del Vorberg,incredibilmente fresco vivo e sapido, con sfumature di albicocca, agru-mi, mela candita molto delicate. Al gusto è molto equilibrato succoso epiacevole, ma con una freschezza, un sale e un nerbo che non ci si aspet-terebbe da un 2003. Molto largo, pieno, di grande soddisfazione e lungapersistenza. Carattere solare e mediterraneo molto particolare con unasorprendente componente tannica ben pronunciata.

2006 - Pinot bianco riserva Vorberg. In bottiglia da 10 mesi, in commer-cio da ottobre: un vino ancora “bambino” che è assurdo pensare di inqua-drare e giudicare nel solco delle annate che l’hanno preceduto e che èmeglio non bere ora. Colore paglierino verdognolo e un naso che oltre anote di agrumi canditi sorprendentemente tira fuori note di ortica esambuco che richiamano il Sauvignon con uno spiccato carattere aro-matico. Un vino integro, nervoso, quasi scontroso, di bella spalla nerbo eacidità ben pronunciata ancora con qualche spigolosità che denuncia lagiovinezza del vino e la necessità di ammorbidirsi, di aprirsi e di acquisi-re complessità. Un vero peccato, considerata la capacità di evoluzione delVorberg, berlo ora. Molto meglio acquistarlo e metterlo in cantina.

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La Greciapunta sulla

competitività

Lo spettacolare paesaggio di Mykonos

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L’Acropoli di Atene fa quasipaura. La guardi e ti piovo-no addosso millenni di sto-

ria, stai lì con il naso all’insù e noncapisci più niente, di fronte a questoenorme e bellissimo testimone deltempo che ti ricorda silenzioso quan-to sei piccolo.Dal Greco akros, sommo, supremo,alto e polis, città, la “città alta” diAtene, elevata di 156 metri sul livel-lo del mare sopra la città, mantieneoggi lo stesso aspetto invincibile cer-cato e pianificato millenni fa alla suacostruzione. Il Partenone, iniziato nel447 a.C. sotto Pericle e completatonel 438 a.C., è il monumento chedomina l’Acropoli, simbolo del glo-rioso passato greco.Con una storia che quasi non harivali in quanto a tracce lasciate e

preservate dall’umanità, ci si aspet-ta che la Grecia sia fra i primi Paesivisitati al mondo, anche solo per lacuriosità di andare a toccare conmano quello che i libri studiati peranni hanno raccontato a milioni dipersone. La troviamo invece solo sedicesima,con circa sedici milioni di arrivi inter-nazionali, dopo Austria (12.moposto), Russia (13.mo posto), Canada

(14.mo posto) e Hong Kong (15.moposto). Le statistiche si riferiscono al2006. Piuttosto scioccante, se sipensa all’importanza fondamentaleche il turismo riveste per il Paese:così il ministero greco nel 2007 hainvestito 40 milioni di euro per pro-muovere l’immagine della Greciaall’estero.Nonostante un clima temperatocostante quasi tutto l’anno, la Grecialamenta un incremento del turismolimitato principalmente alla stagio-ne estiva, con dei turn-over nei risto-ranti e negli hotel che riportano unindice molto alto nel trimestreluglio/agosto/settembre (165,8 nel2007) e basso fuori stagione. Ma temperature miti 365 giorniall’anno non bastano per chiamarea sé abbastanza turisti.L’Italia ha dalla sua un ampio van-taggio: una varietà di paesaggio stra-biliante, se si pensa alla grandezzadel Paese. L’Italia ha rilevato nel 2007 volumieconomici che ammontano per ilturismo balneare a 15,5 miliardi dieuro, per il turismo culturale a 14,8miliardi di euro, per il turismo mon-tano a 7,7 miliardi di euro, per il turi-

IL PAESESTA AMPLIANDO

L’OFFERTAPER ACCONTENTARE

UNA DOMANDA

PIÙ INTERNAZIONALE,OFFRENDO SOLUZIONI

DI TURISMO

ALTERNATIVO

di Elisa della Barba

▲ Un insolito scorcio estivo dell'isola di Mykonos

Santorini

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smo lacustre a 3,7 miliardi di euro,per il turismo termale a 2,9 miliar-di di euro, per il turismo verde a 2,3miliardi di euro.Rispetto alla Grecia, piuttosto uni-forme nei suoi profili brulli e roc-ciosi, l’Italia è infatti caratterizzatada variazioni di quota e di clima talida permettere una rotazione turisti-ca perenne (il fatto che poi non sfrut-ti al massimo la sua ricchezzaambientale è un altro discorso).La Grecia da parte sua sta amplian-do l’offerta per accontentare unadomanda più internazionale, offren-do soluzioni di turismo alternativo(sostenibile, week-end lungo, spor-tivo) che attirino la clientela anchein bassa stagione.Possiamo anche affermare con cer-tezza che il sistema sta funzionan-do: gli arrivi nel 2007 sono saliti adiciassette milioni e mezzo. I turisti provengono da Inghilterra,Germania, Albania e Italia. E se pergli arrivi internazionali il Paese è insvantaggio rispetto all’Italia, allaGrecia si può e si deve guardare perquanto riguarda le strutture di acco-glienza turistica.Inferiori numericamente rispettoall’Italia (ricordiamo l’avvocato AchilleColombo Clerici, presidente diAssoedilizia e dell’AssociazioneItaliana Amici dei Grandi Alberghi,che ha dichiarato che “in Italia l’as-set del turismo è di 33.000 alberghi,16.000 agriturismi”), le strutturealberghiere greche offrono però unventaglio più ampio di scelta.Con 9.207 hotels (2007), la Greciariesce a soddisfare le esigenze piùdiverse: la maggioranza è a due stel-le con 4.403 stabilimenti, ma i rima-nenti si distribuiscono quasi equa-mente da una stella a cinque stelle,accontentando un po’ tutti, dai ragaz-zini in vacanza dopo-maturità cheviaggiano al risparmio al managerche cerca la comodità e la pace inalberghi extralusso.La Grecia è attrezzatissima ancheper quanto riguarda il metodo piùeconomico di viaggiare: i campeggi.Sono 324 i campeggi organizzati conuna capacità totale di circa 30.500piazzole e 950 bungalows, classifi-cati in quattro categorie (A, B, C, D),con un costo medio al giorno cheva dai 4 ai 6 euro per un adulto, edai 4 agli 8 euro per tenda grande.

In Puglia e in Sardegna si va dai 9 ai16 euro ad adulto!Questo significa possibilità di accon-tentare quasi tutte le esigenze conprezzi adeguati alle diverse catego-rie: il potere di scelta unito a prezzicontenuti è il punto di forza che fala differenza quando si tratta di sce-gliere una meta turistica.Guardiamo a un plus che è comunesia all’Italia sia alla Grecia: il mare.Spettacolare alle Cicladi, però laSardegna o il Sud Italia non hannonulla da invidiare!Perché quindi “scappare” in Greciainvece di nuotare in dolci acque ita-liane? Ben 972.000 italiani l’hanno sceltacome meta turistica nel 2008, terza

in classifica dopo Francia e Spagna,i nostri maggiori competitori.Tra Italia e Grecia, come abbiamovisto, la differenza di prezzi è rilevan-te e considerando che entrambe sonocaratterizzate da un turismo estivoe da caratteristiche storiche e medi-terranee molto simili, la competizio-ne sui prezzi diventa indispensabi-le per vincere una fetta in più o inmeno di entrate. L’Italia dovrebbe aspirare ad unasostenibilità economica data da unapolitica dei prezzi al ribasso e da costifissi stabili, ma bisogna tenere contodel fatto che sostiene un carico dispese per i consumi energetici deci-samente più elevato degli altri com-petitors.

Una tipica chiesetta greca spicca nel porto di Antiparos

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Il costo medio mensile per il consu-mo di energia (elettricità, gas, ecc.),per le riparazioni e per le manuten-zioni periodiche degli alberghi italia-ni, per esempio, è di circa 89 europer ogni camera, contro i 73 euro deifrancesi ed i 72 degli spagnoli.Il prezzo unitario per kwh dell'elet-tricità è pari a circa 5,3 euro ogni100 kwh consumati dagli hotel fran-cesi contro gli 8,7 euro pagati dagliitaliani ed i 7,9 euro degli spagnoli(dati Isnart).Difficile quindi stare al passo con glialtri Paesi. Come ovviare alla dispa-rità costo/guadagno senza gravaretroppo sul cliente e “obbligarlo” adandare altrove?Il turismo italiano dovrebbe aggredi-

re i mercati internazionali attraver-so l’intermediazione da parte di Touroperator mondiali che aiuterebberoa vendere di più, vista l’attualediscrepanza fra la domanda (l’Italiaè la prima destinazione richiesta perl’88,7% dei Tour operator) e la ven-dita dei nostri prodotti turistici (soloil 35,6 del venduto mondiale), diva-rio che porta alle imprese ricettiveitaliane solo il 9% della clientela pre-sente. Anche la Grecia ha i suoi crucci: laCommissione Ue ha aperto la proce-dura di deficit eccessivo per i seipaesi dell'Unione nei quali il rappor-to deficit/pil risulta superiore al 3%“non in maniera temporanea”, e cioè“destinato a protrarsi e, in alcuni

casi, ad aumentare nei prossimi annia causa della recessione”.I sei paesi sono Irlanda (deficit/pil2008 al 6,3%), Grecia (deficit/pil2008 al 3,7%), Spagna (deficit/pil2008 3,4%), Francia (deficit/pil 20083,2%), Lettonia (deficit/pil 20083,5%), Malta (deficit/pil 2008 3,3%).L’Italia quindi è fuori dalla “listanera”, con un rapporto deficit/Pil del2,6%.Il Pil della Grecia mostra però segnipositivi, con una previsione di cre-scita di 2,5 nel 2009 (Pil 2008:$326.4 miliardi - 2007 est.) controlo 0,0 di casa nostra. Anche per quanto riguarda i traspor-ti la Grecia pare funzionare discre-tamente, con una rete ferroviaria pic-cola ma efficiente: 2.571 Km controi 19.394 km dell’Italia. Organizzataanche la rete dei bus, il mezzo di tra-sporto più usato dai locali.Le Olimpiadi del 2004 hanno datouno slancio economico al Paese euna modernissima rete sotterraneaad Atene, dotata anche di un gran-de aeroporto collegato con il centrocittà da trasporti ad alta velocità eda costi irrisori.Contro ogni previsione, inoltre, l’eco-nomia post-Olimpiadi ha continua-to a crescere notevolmente nel 2005e 2006. Per quanto riguarda le preferenze deituristi sui trasporti, la maggior partedei visitatori arriva in Grecia in aereo,con 12.001.222 arrivi; a seguire l’au-tomobile, con 4.354.879 arrivi; viamare, con 1.066.359 e infine viatreno, con 95.331 arrivi. Gli arrivi via crociera, che vengonocalcolati a parte in quanto la perma-nenza potrebbe essere inferiore alle24 ore, sono di 1.235.802. In un confronto costruttivo fra l’Italiae la Grecia, Paesi che sicuramentenegli ultimi decenni hanno soffertoun ristagno economico ma rimango-no comunque tra i più belli delmondo, è impossibile non menzio-nare gastronomia e cultura.La cucina greca è forte ancora unavolta del costo decisamente sosteni-bile del vitto rispetto a quello italia-no, ma è indiscutibilmente menovaria.Pur essendo Paese con una tradizio-ne culinaria plurisecolare, infatti,non ha sviluppato la regionalitàgastronomica che caratterizza l’Italia,

Atene, il Partenone

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aiutata – come dicevamo – anchedalla grandissima varietà di clima,paesaggio e vegetazione.I piatti tipici sono spesso di ottimaqualità, ma la varietà lascia a desi-derare.Mancando di un primo piatto, lacucina locale offre i mezedes, anti-pasti a base di olive nere, sottaceti,acciughe, salami, involtini di riso odi carne tritata (dolmades), taramo-salata (salsa a base di uova di pesce),melitzanosalata (salsa a base dimelanzane lavorate), tzatziki (yogurtlavorato con cetriolo, aglio e olio).Tra i piatti di carne sono comunis-simi quelli allo spiedo: agnello, maia-lino da latte, carne bovina o suinacotta ai ferri e poi infilzata in unospiedino di metallo (piatto detto sou-vlaki).Il piatto forse più conosciuto è ilmoussaka al forno: strati di larghefette di melanzane e di patate condi-te con ragù e ricoperti di besciamel-la. Nelle isole e lungo le coste greche

si approfitta dell’attività ittica, conun’offerta di pesci di ogni tipo (spe-cialmente dentice e pesce spada)cucinati al forno, fritti, o conditi consalse. Famosa l’insalata greca cho-riatiki (paesana) a base di pomodo-ro crudo e condita con olio, olive,peperoni, cipolle fresche a fette, pez-zetti di formaggio feta. È questo ilformaggio nazionale, bianco e moltosaporito, ma vi è un’ampia scelta diproduzione locale come il ladotirinelle Isole Cicladi e Lesbo o il manou-ri di Creta. Tutti dovrebbero gusta-re almeno una volta lo yaourti(yogurt), liscio oppure con il miele(buonissimo quello di Cefalonia) enoci. I dolci sono forse la categoriapiù varia, con pasticcini alla crema,crostate, ma soprattutto dolci tipicicome il galaktomboùreko (fatto consfoglia a base di crema) e il baklavas(strati di sfoglia alternati con man-dorle tritate e miele). Nonostante l’offerta enologica noneguagli neppure lontanamente quel-

la italiana, vannopoi menzionati ilretsina, vino sciol-to bianco e seccoresinato, e l’Ouzo(dal gusto di anice).Ecco quindi un motivo in più per visi-tare l’Italia: l’offerta gastronomica,ricca di specialità locali, anzi, moltolocali. In Italia si trovano prodotti ali-mentari diversissimi tra loro da pae-sino a paesino, all’interno della stes-sa regione. Va detto che queste diver-se caratteristiche gastronomichesono sì correlate alla diversa fisiono-mia dei Paesi, ma soprattutto a unadifferenza storica fondamentale: laGrecia non ha avuto il Rinascimento,epoca che ha fatto fiorire le corti e diconseguenza le arti, anche quelleculinarie, con una gastronomia ric-chissima. Per lo stesso motivo, la Grecia è sìtestimone fondamentale di secoli distoria e di arte, che rappresentanoperò “solamente” quello che riguar-da gli avvenimenti riguardanti laGrecia antica. Questa condizione èforse la più grave, in quanto nonmodificabile: un grande numero dituristi preferisce alla Grecia meteche offrano un più ampio respirostorico-artistico. Ecco quindi spie-gato il sedicesimo posto, rispetto acompetitors come Francia, Spagnae ovviamente Italia, nonostantemonumenti e reperti inestimabili.Ogni traccia del passato è importan-te per ricostruire il percorso chel’umanità ha compiuto fino a qui:luoghi come il Palazzo di Cnosso aCreta, Micene, Olimpia, Delfi var-rebbero anche da soli un viaggio inGrecia. Ma non bisogna dimenticarsi che,se è vero che Graecia capta ferumvictorem cepit (la Grecia conquista-ta conquistò il rozzo vincitore), laciviltà romana nei secoli ha guada-gnato terreno e, ad oggi, taglia sicu-ramente il traguardo per prima.

▲ L’insalata greca choriatiki ▲ I souvlaki ▲ La moussaka

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Basilicata,ritorno alle origini

di Roberto Di Sanzo

Terra aspra e rigogliosa, fatta di montagne e dolci vallate, di luoghidel silenzio e dall’allegria contagiosa della sua gente. La Basilicata,lembo di terra incastonata tra Puglia, Campania e Calabria, trova

ricchezza dalle sue contraddizioni che la rendono unica, affascinante eancora tutta da scoprire. Lontana dai classici itinerari turistici, è peròterra dal sapore unico, incontro di tradizioni antiche, ormai perse neltempo, e una modernità che a fatica ma inesorabilmente sta cambiandoil volto del territorio. E sarà proprio questo luogo dai profumi inconfon-dibili che, dal 30 settembre al 4 ottobre 2009, ospiterà il quarantatreesi-mo congresso nazionale dell’Associazione italiana sommelier. L’importante rassegna enologica si terrà, per la precisione, a Rionero inVulture, centro nevralgico di un territorio – appunto il Vulture – affac-ciato sulle propaggini settentrionali della regione, in provincia di Potenza,ad un tiro di schioppo dal Foggiano. Un angolo unico di Basilicata, riccodi colline, gioielli naturalistici di importanza nazionale e condizioni idea-li per la produzione di vini di prestigio, come l’Aglianico. Tra sali e scen-di, vegetazione rigogliosa e vigneti ci si imbatte spesso in castelli, centristorici antichi e cattedrali di notevole valore artistico e culturale. A farlada padrona, comunque, è sempre e solo la natura, con paesaggi intatti,e l’occhio che si perde tra campi di grano, uliveti e coltivazioni di ortaggi.E proprio queste zona era stata scelta da Federico II di Svevia come riser-va di caccia, giorni interi passati a scovare, con il falco, volpi, lupi econigli. Alle pendici del Monte Vulture, ecco sorgere Rionero, attivo centro econo-mico, importante per la produzione e l’imbottigliamento delle ottime acqueoligominerali provenienti dai Laghi di Monticchio, e la presenza di stori-che e raffinate cantine del pregiato vino Aglianico. Oggi annoverato tra imigliori nettari d’Italia, l’Aglianico è prodotto in tutta la zona vulturina,

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invecchiato in botti di rovere, conservate in grotte scavate nel tufo lungola costa montuosa, una volta abitate, oggi utilizzate come cantine. Unatradizione che si tramanda di generazione in generazione, di padre in figlioanche in piccoli borghi limitrofi come Barile, Maschito e Ginestra. Tra gliedifici religiosi più interessanti della città, da segnalare la Chiesa Madre,dedicata a San Marco Evangelista, che fin dalla sua nascita nel 1695, fudi proprietà dell’antica università di “Rionigro”. La struttura venne costrui-ta dalle famiglie più ricche, a ciascuna delle quali l’Università assegnòl’edificazione di un altare con sepoltura privata. L’impianto iniziale era anavata unica e transetto, con l’ingresso dall’attuale Cappella del Cuore diGesù. Rifatta nel 1763, con facciata in stile barocco, è stata ulterior-mente rinnovata nel 1930. Fu ampliata nel 1700 in funzione di un note-vole aumento della popolazione, a tre navate con pianta a croce latina.

L’edificio conserva l’antico campanile a piantaquadrata che termina ad ottagono con cuspidepiramidale ed è affiancato dalla torre dell’orolo-gio. L’interno custodisce intagli lignei del XVIIIsecolo e tre altari in marmi policromi e un orga-no intagliato e dorato con cantoria del 1751. Inpieno centro del paese, poi, merita una visita ilPalazzo Fortunato, espressamente voluto nel 1728da Carmelio, capostipite della famiglia Fortunatoproveniente da Giffoni, un paese in provincia diSalerno. Composto da una cinquantina di stan-ze, con tanto di cortile e giardino rigoglioso, nelpalazzo soggiornarono personaggi come GiuseppeBonaparte nel 1807, Ferdinando II nel 1846 eGiuseppe Zanardelli agli inizi del ‘900. Dal 1975,poi, l’edificio è sede della Biblioteca comunale coni suoi circa 11.000 volumi del Fondo antico appar-tenuto alla famiglia Fortunato.Pochi chilometri di tragitto ed eccoci alle pendicidi Monticchio, antico vulcano con due laghi cra-terici, a 600 metri sul livello del mare, protetti da

una cortina verdissima di faggi, castagni, frassini, acèri e tigli. Le acquesono ricchissime di tinche, carpe, anguille. Tante anche le costruzioni sto-riche da visitare, immerse nel verde, a cominciare dall’Abbazia di SanMichele, fondata prima del 1000 dai frati Benedettini intorno ad una grot-ta basiliana del secolo XI. Proprio tra i due laghi, poi, ecco i ruderi delmonastero e la chiesa di Sant’Ippolito, risalenti ai secoli XI e XII, fondatidai monaci Benedettini.Dove invece si respira ancora l’aria dell’antichità e della tradizionale cul-tura latina è a Venosa, splendida cittadina, affascinante per la sualunga vicenda storica che dalla preistoria passa attraverso i Sanniti, i

▲ Il Duomo di Santa Maria Assunta a Melfi

▲ I Sassi di Matera

▲ Il castello di Lagopesole, costruito da Federico II di Svevia

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Romani, i Normanni, gli Svevi. Nell’Ottocento, inoltre, la città aderìall’insurrezione filoborbonica, appoggiando e accogliendo le bande del bri-gante Carmine Crocco. Ma soprattutto Venosa è famosa per aver dato inatali, nel 65 a.C., al famoso poeta latino Quinto Orazio Flacco, figlio diun esattore di vendite all’asta. Proprio in quel periodo Venosa divenne uncentro ricco e potente: una fortuna proveniente in larga parte dalla suaposizione geografica. Per molto tempo, infatti, la cittadina fu una delleprincipali stazioni della Via Appia, forse la più importante arteria di comu-nicazione dell’antichità, strada che congiungeva Roma con Brindisi,passaggio obbligato degli scambi tra il Mondo Occidentale e quello Orientale.Le tracce di una storia così antica e prestigiosa sono testimoniate anchedal castello che domina la città. Fu Pirro del Balzo a finanziare la suacostruzione nel 1460, con l’innalzamento di parte delle torri cilindricheche segnano gli angoli della pianta quadrangolare e la murazione, men-tre al 1553, ai tempi del dominio del vicereame spagnolo, risalgono l’esca-vo del fossato, l’erezione dei bastioni e la loggia interna su pilastrini.Dall’androne si accede al camminamento, una galleria seminterrata muni-ta di feritoie e garitte. Il castello è anche sede dello splendido MuseoArcheologico Nazionale venosino, con reperti che vanno dalla fase prero-mana ai Normanni. Passeggiando per la città, infine, la curiosità spingea visitare la presunta Casa di Orazio.Uno dei centri più importanti del Vulture è sicuramente Melfi. La città siadagia ai piedi di un poderoso castello normanno-svevo, anche questoampliato e ristrutturato da Federico II, Imperatore di Svevia. Proprio nelcastello il monarca promulgò nel 1231 le “Constitutiones Augustales” oCostituzioni Melfitane, volte a regolare il diritto feudale: si tratta del primotesto organico di leggi scritte nell’età medievale di contenuto penale e civi-le. Al giorno d’oggi nel castello si trova il Museo Archeologico Nazionaledel Melfese, dove è conservato, oltre a numerosi reperti archeologicidella zona, il famoso sarcofago di Rapolla, monumento funerario risalen-te alla seconda metà del II secolo dopo Cristo. Melfi fu anche importantesede vescovile, come dimostrano il Palazzo Vescovile e il Duomo di SantaMaria Assunta, che conserva il campanile originario del 1153; inoltre ospi-tò vari concili, tra cui il Concilio convocato dal Papa Urbano II nel 1089,durante il quale il pontefice bandì la prima crociata in Terra Santa con-tro gli infedeli, istituendo inoltre l’obbligo di celibato ai religiosi.Borgi antichi e medioevali. Come Lagopesole, con il suo castello federicia-no, a dominare la Valle di Vitalba. Realizzato tra il 1242 e il 1250, secon-do gli storici è stata una delle ultime residenze di Federico II. E’ conside-rato uno dei più classici esempi di architettura fortificata: di sicurofascino la cappella palatina, caso davvero raro e singolare per una costru-zione voluta dallo “Stupor Mundi”. Nella sua forma odierna il castello sipresenta come un massiccio blocco rettangolare i cui ambienti, articola-ti su due piani, si distribuiscono intorno a due cortili, uno maggiore, sul

▲ I Sassi di Matera

▲ Uno dei laghi di Monticchio e sullo sfondo l'Abbazia di San Michele

▲ Il castello di Melfi

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quale si affacciano i saloni, le stanze di rappresentanza, adornate consplendidi capitelli raffiguranti la flora e la fauna del territorio circostan-te, e la chiesa. Quello più piccolo, invece, nel mezzo accoglie il “donjon”,che in antichità era destinato ad attività di servizio. L’aspetto attuale èfrutto di numerosi rifacimenti e accrescimenti. Gli architetti svevi aggiun-sero all’edificio di età normanna nell’ala nord una sala per ascoltare lamusica e alcuni camini, mentre iniziarono ex novo l’edificazione del don-jon, ultimo baluardo di difesa, nel cortile minore, utilizzando comemateriale le pietre estratte da una cava realizzata nello stesso cortile. Ilcastello, oggi proprietà demaniale e sede del Corpo Forestale dello Stato,ospita numerose attività culturali e dal 2000 accoglie l’Antiquarium,realizzato con i materiali medioevali rinvenuti durante le campagne discavo effettuate nel cortile minore alla fine degli anni Novanta.Ma Vulture, come già spiegato, è anche – e soprattutto – sinonimo di vino.Qui, ad un’altitudine variabile tra i 200 e i 500 metri sul livello del mare,ha trovato il suo habitat naturale il vitigno Aglianico. Le uve maturanotardivamente, presentano grappoli medi con buccia spessa e di colore vio-letto intenso. I vitigni sono allevati verticalmente e i filari sono dispostidi solito ad un metro l’uno dall’altro. La coltivazione della vite in Basilicataha una storia antica risalente addirittura all’VIII secolo avanti Cristo, cometestimoniano i vari ritrovamenti archeologici che raccontano della produ-zione di vino.Ad introdurre il vitigno Aglianico - termine deformato nel tempo, delladenominazione originaria “Ellenico” - furono i coloni greci all’epoca dellafondazione di Cuma, antico abitato nell’area vulcanica dei Campi Flegrei,a Napoli. La produzione media per ettaro si aggira sui 50 quintali e variada zona a zona a seconda della morfologia del terreno e delle condizioniclimatiche. L’Aglianico del Vulture, che ha ottenuto la Denominazione diOrigine Controllata nel 1971, ha colore rosso più o meno intenso o gra-nato vivace che acquista riflessi arancione con l’invecchiamento. Ha unsapore asciutto, sapido e armonioso che tende al vellutato con il passaredegli anni. La sua gradazione alcolica non può essere inferiore agli 11,5gradi. E’ perfetto per accompagnare gli arrosti e in genere tutta la sel-vaggina. All’Aglianico, invecchiato almeno tre anni in botti di rovere, siaggiunge la qualifica di “Vecchio”, mentre l’etichetta di “Riserva” è limi-tata al vino invecchiato per non meno di cinque anni.Dalle uve del vitigno sono prodotti due spumanti: Aglianico spumanterosso e Aglianico spumante bianco.

www.basilicatanet.it

APT BASILICATAUfficio informazioni:Via del Gallitello, 89 85100 PotenzaTel. 0971 507622 [email protected]

COMUNE DI RIONERO IN VULTUREVia Amedeo di Savoia Tel. 0972/729111 www.comune.rioneroinvulture.pz

INDIRIZZI UTILI

▲ Rionero in Vulture

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■■■ Mercoledì 30/09/09Arrivo della Giunta Esecutiva Nazionale■ Sistemazione presso il Grand Hotel Garden – Barile■ In serata cena con i vertici dell’Ais BasilicataDegustazione dei vini del Consorzio Tuteladell’Aglianico del Vulture presso il RistoranteEnoteca Il Cantinone – Rionero in Vulture

■■■ Giovedì 01/10/09Arrivo dei Consiglieri Nazionali Ais■ Sistemazione e pranzo presso il Grand Hotel Garden– Barile■ Ore 10.30Riunione della Giunta Esecutiva Nazionale presso ilPalazzo Giustino Fortunato – Rionero in Vulture■ Ore 13.00Lunch break e degustazione dei vini del ConsorzioTutela dell’Aglianico del Vulture presso ristorante inRionero in Vulture■ Ore 14.30Riunione del Consiglio Nazionale presso il PalazzoGiustino Fortunato – Rionero in Vulture■ Ore 19.30Trasferimento in pullman presso Località MonticchioLaghi con visita guidata all'Abbazia di San Michelee ai laghi■ Ore 20.30CENA DI GALA con le Autorità regionali in Rioneroin Vulture

■■■ Venerdì 02/10/09Arrivo dei congressisti da tutta ItaliaSistemazione in Hotel o nei B&B del Vulture■ Ore 11.00Cerimonia di apertura del 43° Congresso NazionaleAis presso il Palazzo Giustino Fortunato – Rionero inVulture■ Ore 12.45Trasferimento in pullman a Melfi■ Ore 13.30Pranzo con degustazione di prodotti e vini lucani incollaborazione con il Consorzio di Tuteladell’Aglianico del Vulture Doc e con il Consorzio diPromozione dell’Aglianico del Vulture Doc pressoristorante in Melfi■ Ore 15.30Assemblea Nazionale Ais presso il Castello di Melfi –Sala del Trono■ Ore 17.30Incontro della Presidenza Ais con i Delegati di tuttaItalia presso il Castello di Melfi■ Ore 17.30Selezione Miglior Sommelier d'Italia presso ristorantein Melfi

Itinerario 1 – dalle 16.00 alle 18.00Visite guidate al Museo Archeologico Nazionale diMelfi e al Castello Federiciano di LagopesoleItinerario 2 – dalle 16.00 alle 18.00Visita guidata alle Cantine del Vulturedalle 18.00 alle 19.00Navette per i vari hotel■ Ore 20.30Cena presso ristorante in MelfiPremiazione dei vincitori del Master BonaventuraMaschio “La ricerca dell’eccellenza”

■■■ Sabato 03/10/09■ Ore 08.30Trasferimento dei congressisti verso Materadalle 10.30 alle 14.00Visita alla città di Matera e ai Sassi con percorsi didegustazione enogastronomici organizzati dalConsorzio di Tutela Matera Docalle 14.00Trasferimento dei congressisti verso Venosa■ Ore 15.00Finali Miglior Sommelier d’Italia 2009 – PremioGUIDO BERLUCCHI presso il Castello Pirro del Balzo –Venosa, con la partecipazione di ospiti del mondodello spettacolo e della cultura.Visite guidate: Città di Venosa, Castello, casa diOrazio - SS Trinità■ Ore 18.30Proclamazione del Miglior Sommelier d'Italia 2009(Venosa, Castello Pirro del Balzo, Sala del Trono)dalle 18.30 alle 19.00Rientro in hotel■ Ore 20.30Cena e spettacolo presso Cantina a cura delConsorzio di Promozione dell’Aglianico del VultureDoc

■■■ Domenica 04/10/09Itinerario 1■ Ore 09.00Trasferimento verso Castelmezzano e PietrapertosaVolo dell’Angelo■ Ore 13.00Pranzo presso ristoranti di Castelmezzano e diPietrapertosa

Itinerario 2■ Ore 09.00Visita alle Cantine del Vulture■ Ore 13.00Pranzo a buffet presso ristoranti di Rionero in Vulture■ Ore 15.00Rientro presso le proprie sedi

43° Congresso AisRionero in Vulture (PZ)30 settembre – 4 ottobre 2009

IL PROGRAMMA

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Terrae cantine

rendono più delle Borse

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Arrivati ormai alla metà di un 2009 complesso per l’economia mon-diale, sono maturi i tempi per fare un bilancio sulle opportunitàd’investimento per i risparmiatori italiani.

Gli attesi segnali di ripresa tardano ad arrivare e se l’estate 2009, adetta degli eminenti economisti, doveva essere il primo spiraglio di lucedopo la tempesta, tutto lascia presupporre che la previsione sia stata l’en-nesima bufala. Per chi ha deciso di mettere al sicuro i propri risparmi,se non è arrivato troppo tardi, i possibili asset d’investimento sono limi-tati e poco redditizi. Mettendo da parte l’azionario e l’obbligazionario,rischiosi e ancora molto volatili, nella variegata finanza rimangono fondie titoli di Stato. Ma se i primi dopo un’attenta analisi dell’offerta prodot-ti, magari coadiuvata da una buona competenza in materia, possono anco-ra regalare profitti interessanti; i secondi, gli strumenti finanziari rifugioper eccellenza, hanno toccato il nuovo minimo storico di rendimento(Bot a 3 mesi 1,053%). Che fare dunque con i tesoretti accumulati dopoanni di fatiche? Le risposte potrebbero essere molteplici e non è detto chela via dell’investimento sia la migliore. In fin dei conti si vive una voltasola, e quindi anche dar adito alle proprie passioni non sarebbe poi cosìsbagliato. Sempre rimanendo nel lecito naturalmente.

■■■ IL VINO IN CASASe invece avete liquidità e la strada dell’investimento non la volete pro-prio accantonare, ecco che torna di moda l’immobiliare. Nonostante lacontrazione delle vendite rimane il bene rifugio per eccellenza. Per noiamanti del vino poi l’offerta è ancora più ghiotta, infatti, da qualcheanno sta riprendendo piede l’investimento immobiliare legato al vino. Sichiama wine real estate, per dirla all’inglese. Consiste nell’acquistare tenu-te, che hanno nelle vicinanze un numero più o meno rilevante di ettaridi vigneti. Dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Toscana e l’Umbria

I MERCATI NON

SEMBRANO

RIPRENDERSI,L’IMMOBILIARE

TRADIZIONALE

È IN FRENATA. PER GLI AMANTI

DEL VINO C’ÈUNA NUOVA

OPPORTUNITÀ: IL WINE REAL ESTATE

di Lorenzo Simoncelli

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l’offerta in questo particolare asset immobiliare è variegata, ma nonsempre di prima scelta. Qualità dei vigneti e moderne strumentazioni perla lavorazione del vino sono le caratteristiche più importanti per un cor-retto investimento nel wine real estate. A guardare i prezzi raggiunti daimigliori vitigni italiani, il settore non sembra essere in difficoltà. «Nel ter-roir del Barolo», spiega Edoardo Narduzzi, presidente Synchronya, leadernell’advisory per il settore vitivinicolo, «si può raggiungere il mezzo milio-ne di euro per ettaro». Ci sono anche vitigni a prezzi più accessibili? «Semprein Piemonte», prosegue Narduzzi, «c’è il Barbaresco, dove si va dai 35 ai75 mila euro all’ettaro. Si può acquistare più facilmente, anche, nella zonadel Roero: prezzi tra 35 e 50 mila euro all’ettaro. Questo perché il territo-rio è un po’ più selvaggio e ricco di boschi, per cui meno ambito».Nelle altre regioni italiane le quotazioni sono le stesse? «In Toscana nellazona di Montalcino», afferma il presidente di Synchronya, «il prezzo mediooscilla tra i 250 e i 300 mila euro ad ettaro; mentre nei terreni di Bolgheri,resi famosi dai Supertuscan, negli ultimi anni le quotazioni per ettaro pos-sono essere anche superiori».

■■■ LA RIVALUTAZIONE DI TERRA E VIGNETIDetto questo considerando il periodo 2001 – 2008 la rivalutazione mediadei terreni è stata molto superiore a qualsiasi indice borsistico italiano enon. E questo è accaduto sia prima sia dopo la crisi dei sub prime.Secondo stime Inea (Istituto nazionale economia agraria) più 70% per ivigneti di Montalcino, più 72% tra i vigneti Doc delle colline umbre diOrvieto. Ma a sorpresa i terreni che si sono rivalutati maggiormente inItalia negli ultimi dieci anni sono quelli meno affermati. A partire dai vigne-ti Doc dei Castelli Romani (+ 160%), la zona del Vermentino di Gallura(+125%), fino ad arrivare alle uve specializzate della collina bresciana,Franciacorta in primis, dove l’attuale valutazione di un buon ettaro vita-to si aggira sui 250 mila euro. Parlare di corsa all’investimento in vino,come negli anni Novanta, sarebbe sbagliato, ma data la contingenza eco-nomica internazionale ci si può accontentare. Dopo il 2004 il fenomenosi è raffreddato, soprattutto a seguito di un massiccio abbandono di chiera entrato nel settore vinicolo con grande entusiasmo, ma con scarsaprofessionalità. La crisi dei nostri giorni non ha certo aiutato il compar-

▲ Edoardo Narduzzi, presidente diSynchronya, leader nell’advisoryper il settore vitivinicolo

▲ Lucia Barzani, Il Mosnel▲ Martino de Rosa, Presidente diWiish Group

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to, ma ha almeno aumentato l’offerta, visto che molti sono stati costrettia cedere alcuni gioielli di famiglia. A salvare il vino è la sua decorrelazio-ne dai mercati finanziari; voglio solo far notare che per l’ennesimo meseNoble Crus, uno dei principali fondi di investimento europei sul vino, hafatto registrare segno più.

■■■ DOVE INVESTIRE?Dopo aver dato un po’ di cifre è giunta l’ora di rivolgersi agli esperti delsettore, e cioè a chi ha deciso di investire sul wine real estate. La primacosa da capire è, a prescindere dai propri gusti personali, su qualeregione puntare. Quando, infatti, si decide di scommettere su un assetcosì complesso non basta essere attratti dall’appeal della location, bensìbisogna compiere un’analisi accurata per capire se gli elementi vincenti

per questo tipo d’investimento sussistono. Uno di questi è la qualitàdella terra. «Per chi si affaccia per la prima volta a questo tipo di

mercato», spiega Martino de Rosa, presidente Wiish Group, hol-ding di investimento immobiliare che ha realizzato il progetto“Tenuta La Badiola” in Maremma, «è meglio scegliere terre menorinomate per evitare di infrangersi su una barriera d’ingressotroppo alta». Ogni regione ha le sue peculiarità, ma riuscire acombinare il binomio qualità vino – attrazione turistica rappre-senta la perfezione in termini di investimento.«La Maremma è una di quelle terre italiane su cui puntare»,afferma de Rosa, «ha sia il mare sia la campagna, oltre ad esse-re fortemente attrattiva da un punto di vista vinicolo e turisti-co». L’Alto Adige (unica regione dove le viti si misurano al metroquadro) è un’altra di quelle, soprattutto dopo il grande svilup-po del Valdobbiadene. Per il prossimo futuro il Sud rappre-senta la grande scommessa, soprattutto se infrastrutture, tra-

sporti e tecnologia vinicola continueranno il processo di raffor-zamento avviato in questi anni. Il Vulture in Basilicata, le parti

pregiate della Sicilia, Taurasi, la zona dell'Aglianico e del Greco inIrpinia, sono secondo Narduzzi, presidente Synchronya, zone su cui

investire in futuro. Anche il posizionamento del terreno è importante.Tra i 150 e i 500 metri sul livello del mare, esposto a sud e con una pen-denza collinare che va dal 5% al 15%.

■■■ QUALITÀ, QUANTITÀ E TECNOLOGIEMa la qualità della terra non è tutto. Sono da tenere in considerazioneanche la dimensione dei vigneti e le strumentazioni presenti per la lavo-razione vinicola. Non esiste un budget di ettari di partenza. Ogni singoloinvestitore può decidere (molto dipende dalle disponibilità del portafoglio)quanti ettari acquistare. Facendo una piccola analisi del panorama delleaziende vinicole italiane è però difficile trovarne una con meno di 20 –

30 ettari (un ettaro corrisponde a 10 mila metri quadri). Una quan-tità di vigneti inferiore rappresenterebbe un profilo di rischio/ren-

dimento troppo alto. Infatti, è tra questi investitori che negli anniscorsi si è verificato il più alto numero di abbandoni nel setto-re. Da non sottovalutare poi l’aspetto tecnologico. Si va semprepiù verso una meccanicizzazione del processo di vendemmia e

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quindi risulta fondamentale attrezzare la tenuta con strumenti all’avan-guardia ed adatti alla necessità di quella zona specifica. Irrigazione a goc-cia, nelle regioni più aride; serbatoi in acciaio inossidabile e vendemmia-trici meccaniche possono essere le carte vincenti per una competizionesempre più complessa.

■■■ INVESTIRE CON SUCCESSO: DUE ESEMPIPrima di illustrarvi due case history da cui trarre spunto, è importanteevidenziare quali possono essere i margini di profitto per un investimen-to di questo tipo. Il wine real estate non è finanza, di conseguenza non sipossono pretendere ritorni cospicui e immediati. I tempi di patrimonializ-zazione si aggirano intorno ai dieci anni, a patto che ci sia stata una buonagestione d’impresa. «Se ben gestita», conferma Edoardo Narduzzi, presi-dente Synchronya, «il ritorno sul capitale investito può superare il 10%.Se poi l'azienda è specializzata da molti anni nel commercializzare unaproduzione di qualità limitata, il valore si avvicina a quello tipico dei mono-polisti 30-35%». «A questo ritorno va aggiunta», prosegue Narduzzi, «larivalutazione del terreno posseduto che varia nel tempo, ma che oltre acoprire ampiamente l'inflazione annua, offre sempre un ulteriore rendi-mento reale di qualche punto percentuale annuo». Sono moltissimi gliesempi di aziende vinicole italiane che hanno raggiunto altissimi livelliin Italia, due su tutte. La prima è “Tenuta La Badiola”, uno splendido com-plesso di 500 ettari che si estende sulle colline toscane di Castiglione dellaPescaia nel mezzo della Maremma. E’ stata acquistata nel 2000 da Wiish Group, holding di investimento atti-va in vari settori dell’immobiliare, per realizzare un progetto su più fron-ti. Ecco il motivo per cui l’ho selezionata. La sua multifunzionalità. 25ettari di vigneti, 17 di rosso e 8 di bianco. Due le etichette prodotte adoggi: l’Acquadoro, un vermentino bianco, e l’Acquagiusta, un rosso com-posto da un mix di otto uvaggi. Una produzione che a regime dovrebberaggiungere le 250 mila bottiglie. Ma, il progetto non riguarda solo il vino.Si produce olio, e soprattutto è stato creato un relais di grande charme:l’Andana. L’altro esempio di successo ha gli stessi fini, ma una base dipartenza diversa: la tradizione familiare. Una realtà molto radicata in Italia, soprattutto tra le imprese agro alimen-tari. “Il Mosnel” azienda vinicola nel cuore della Franciacorta sotto il nomedella famiglia Barboglio lavora il vino dal 1836. Nell’ultimo anno LuciaBarzanò e suo fratello, che dal 2007 dirigono l’azienda, hanno prodotto250 mila bottiglie. Rispetto dell'ambiente, alta densità di viti per ettaro ebassa resa d’uva per pianta sono i criteri che regolano la coltivazione dei40 ettari di vigneto (35 ettari a Docg Franciacorta e 5 ettari a Doc), alfine di ottenere la massima qualità dell’uva. Per concludere abbiamo chie-sto a Lucia Barzanò, titolare dell’azienda vinicola “Il Mosnel”, oltre chegiovane imprenditrice di successo, un consiglio per chi volesse intrapren-dere questa strada. «Bisogna provarci con umiltà ed imparare ad amarequesto lavoro che è molto duro, ma dà grandissime soddisfazioni in ter-mini di qualità di vita ed apprezzamento da parte degli estimatori. Se sitratta di una tradizione di famiglia ne vale ancora di più la pena.L’importante è non avere troppa fretta ed essere consapevoli che siragiona su un arco temporale molto lungo».

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Il marito ideale

della piadina

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Molti di coloro che si avvicinano alle peculiaritàgastronomiche della Romagna rimangono stre-gati da un formaggio dal nome strano e sim-

patico, ovvero lo squacquerone, squaquaron in dialet-to romagnolo. Immancabile presenza nelle osterie e nelletrattorie degne di tale nome, lo squacquerone viene ser-vito con affettati e piadina, con la quale forma, per gustoe semplicità, uno dei matrimoni gastronomici più riu-sciti di questa terra.Si tratta di un formaggio prodotto con latte vaccino apasta molle che si presenta cremoso e deliquescente,privo di crosta e di colore bianco madreperlaceo uni-forme e che viene consumato fresco. Come descrittonella relazione tecnica redatta per l’ottenimento della

DOP, il suo sapore è gradevole, dolce e dotato di unapunta acidula, salato ma non in maniera marcata; l’aro-ma è delicato, tipicamente di latte, con una leggera notaerbacea. Lo squacquerone affonda le proprie radici nellatradizione rurale della Romagna, dove in passato veni-va prodotto per lo più col latte dei bovini destinati allavoro dei campi, rappresentando un’importante fontedi sostentamento per la famiglia contadina. Le sue carat-teristiche garbate e lievi lo rendono idoneo ad un con-sumo frequente – se non quotidiano - per cui è da sem-pre il formaggio dei romagnoli per eccellenza.Consumato in tutto il centro – nord Italia, lo squacque-rone vanta estimatori anche all’estero tra coloro ched’estate frequentano la riviera romagnola.

di Riccardo Castaldi

IN ROMAGNA LO SQUACQUERONE SERVITO CON LA PIADINA DÀ VITA

A UNO DEI MATRIMONI GASTRONOMICI PIÙ RIUSCITI E APPREZZATI

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■■■ UN PO’ DI STORIASecondo quanto riportato da Antonio Mattioli nel voca-bolario Romagnolo – Italiano stampato nel 1879, lo scrit-tore Petronio Arbitro, vissuto nel I secolo d.C. e auto-re del Satyricon, chiamò “caseum molleum” quello checon ogni probabilità potrebbe identificarsi oggi con losquacquerone; Mattioli definisce lo squacquerone “unformaggio tenero, burroso e squaccherato o squacque-rato, cioè quasi liquido”, racchiudendo in poche paro-le le sue caratteristiche essenziali.Nonostante le umili origini, lo squacquerone, legato dasempre all’alimentazione di tutti i giorni, è stato apprez-zato anche da personaggi illustri, tra i quali spicca ilcardinale Carlo Bellisomi, vescovo di Cesena, che tenneuna corrispondenza col vicario generale delle diocesicesenati Casali, avente come soggetto per l’appuntoquesto cremoso formaggio.Il cardinale Bellisomi, nel corso del lungo soggiorno aVenezia per partecipare al conclave che elesse al sogliopapale il cardinale cesenate Chiaromonti col nome diPio VII, in una lettera datata 15 febbraio 1800 chiedenotizia degli squacqueroni richiesti e non ancora giun-ti alla sua mensa. Le parole usate dal cardinale Bellisomisono le seguenti: “Fin’ora nulla so de Squacquaroni,ma in questa mattina se ne farà diligenza daFranciscone. Ed intanto Ella ringrazi il Bazzocchi damia parte”.In una lettera datata 1 marzo 1800, è invece premuradi don Luigi Vittori, segretario del Cardinale, confer-mare finalmente l’arrivo dei formaggi, usan-do testuali parole: “Sono giunti nel Lunedìdi Carnevale i Squacquaroni in ottimostato. Sono stati graditissimi dalnostro Emo (Eminentissimo), ed ioprego la di Lei bontà ringraziare ilSignor D. Domenico Bazzocchi acui per mancanza di tempo nonposso scrivere”.La prolungata permanenza aVenezia iniziava probabilmente astancare il Cardinale, sempre piùdesideroso di far ritorno in Romagna.Non essendo ovviamente possibileabbandonare il conclave, aveva quindipensato di alleviare le proprie giornate conti-nuando a gustare i cibi ai quali era da lungo tempo abi-tuato e legato, facendosi inviare degli squacqueroni chepotessero farlo sentire in Romagna.

■■■ COME SI PRODUCEVALa produzione dello squacquerone avveniva in passa-to per lo più nel periodo compreso tra novembre e marzoquando, in assenza di frigorifero, le basse temperatu-re consentivano di prolungarne la conservazione di qual-che giorno.L’azdòra - termine romagnolo che identifica la reggitri-ce, colei che presiedeva al governo della casa – utiliz-zando il paiolo di rame scaldava nel camino il latte appe-na munto, dopodiché vi aggiungeva il caglio, ricavatodallo stomaco essiccato di agnelli e vitelli oppure anchedal cardo, quest’ultimo in grado di caratterizzare il for-maggio conferendogli una tipica nota amarognola.Mantenendo il paiolo vicino al fuoco, la cagliata forma-

tasi veniva rotta con l’ausilio della ramina, non in manie-ra casuale ma bensì sollevandone strati orizzontali, chevenivano posti nello scolapasta o in piccoli cestelli divimini atti a favorire lo spurgo del siero; l’economiadomestica della famiglia patriarcale prevedeva che ilsiero fosse recuperato ed utilizzato per cuocere il riso.Dopo essersi spurgato, il formaggio veniva rovesciatosu foglie di cavolo o di fico dove, per la propria carat-teristica consistenza cremosa, si allargava “squac-quarandosi”. Salato con sale fino, lo squacquerone era immediata-mente messo in vendita o consumato nel giro di pochigiorni. Considerato il breve periodo di conservazione,la produzione dello squacquerone destinato alla vendi-ta veniva programmata in modo che fosse pronto il gior-no in cui si svolgevano i mercati dei paesi e delle cittàche si intendeva raggiungere.Come ricordato da Luigi Pasquini, poliedrico artistanonché testimone della cultura romagnola, una voltache il formaggio era tolto dal “suo giaciglio verde” e postonel piatto per essere consumato, era tradizione conce-dere la foglia di cavolo ai bambini che ripulivano avi-damente tutti gli incavi della lamina nei quali si eraannidata “la virtù del formaggio squacquerone”.

■■■ ALL’INSEGUIMENTO DELLA DOPDieci tra i principali produttori di questo formaggiohanno costituito l’associazione “Squacquerone diRomagna Dop”, che ha tra i principali obiettivi l’otteni-

mento della denominazione d’origine protetta, fon-damentale per tutelare l’origine e la tipicità

del prodotto e per garantire al contempo unelevato standard qualitativo. Dopo alcu-

ni anni di stasi, pare essersi messo nuo-vamente in moto l’iter burocratico chedovrebbe portare al riconoscimentodella DOP, grazie proprio alla capar-bietà e alla spinta dei membri dell’as-sociazione. Il disciplinare proposto prevede che per

la produzione dello squacquerone siparta da latte vaccino intero provenien-

te dall’area tipica di produzione del formag-gio, comprendente esclusivamente le provin-

cie di Forlì – Cesena, Rimini, Ravenna e Bologna;le razze di riferimento per la produzione del latte sonola Frisona, la Bruna e ovviamente la Romagnola.Dopo la pastorizzazione, mantenendo una temperaturadi 35 – 40°C, vengono inoculati fermenti lattici autocto-ni e aggiunto il caglio di vitello, in modo da ottenere lacoagulazione in 15 – 30’. Si procede poi alla rottura dellacagliata, a cui segue un periodo di riposo; si esegue quin-di un’agitazione della cagliata, fondamentale per favori-re lo spurgo del siero e per ottenere la consistenza cre-mosa tipica. Successivamente la cagliata viene messanegli appositi stampi forati, che sono rivoltati almenouna volta nel corso delle 24 ore al fine di favorire un’ul-teriore eliminazione del siero. Si procede con la salatu-ra, qualora non sia stato aggiunto cloruro di sodio allatte prima della cagliatura, che avviene in salamoia, acui segue un breve periodo di maturazione, compresotra 1 e 4 giorni, durante il quale gli squacqueroni sonostoccati ad una temperatura compresa tra 3 e 6°C.

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Taurasi 2005,

il fascino di un’annata

controversa

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Capita che la natura sia imprevedibile. Anzi, soli-tamente, il più delle volte, è francamente impos-sibile lanciarsi in previsioni a lungo termine,

specie in viticultura. Fa quindi sorridere scorrere i gior-nali o vedere servizi televisivi specie quando, puntual-mente, già verso la fine di luglio, viene dedicato ampiospazio all’annata che verrà, quasi sempre in terminientusiastici ed ottimisti, con sereno sfoggio di certez-ze quanto a qualità e quantità. Nel 2002, annata nefa-sta quanto a regolarità, ma soprattutto ricca di piog-gia, se non grandine in alcuni areali, si dovette ammet-tere che le uve, un po’ lungo tutto lo stivale, non eranomaturate a dovere, tranne poi fare dietrofront quandoci si accostava con più precisione all’analisi di deter-minate zone, constatando come ci si trovasse, in alcu-ni casi, di fronte, addirittura, ad annate del secolo.Da un estremo all’altro quindi: un classico della comu-nicazione. Così fu il caso della Valtellina, baciata daun’annata eccezionale, che comincia a far intravedereproprio in questo momento quella maturità ed elegan-za insieme, che si preconizzava nell’autunno di setteanni fa. Il 2005 non ha raggiunto quei picchi negativicome il 2002, ma certamente non fu un’annata sem-plice da interpretare e decifrare in molte zone di pro-duzione italiane: bel tempo fino a poco prima della ven-demmia e poi l’arrivo delle piogge. Nella zona delBarbaresco, per esempio, fu decisiva l’intuizione da unaparte, e la fortuna dall’altra, di aver vendemmiato pocoprima o poco dopo l’arrivo delle perturbazioni. Similela situazione in Irpinia, se non ancora più travagliata,con un colpo d’ala finale, proprio nel momento in cuitutto sembrava non andare proprio per il verso giu-sto.

LE BIZZE DI UN’ANNATA “SINOSUIDALE”In Irpinia, nella zona di produzione del Taurasi inparticolare, è successo un po’ di tutto. Un inverno rigi-do come non si vedeva da tempo, con nevicate, piog-gia e freddo, che si è protratto sino all’inizio della pri-mavera, facendo sì che la ripresa vegetativa dell’aglia-nico ritardasse lievemente. Un maggio caldo ed asciut-to che consentì un recupero della maturazione ed alcontempo una barriera naturale contro le classichemalattie della vite, peronospora in particolare. Pocapioggia e tanto sole ancora sino alla fine di agosto, aspet-to che lasciava supporre, quasi con certezza, di trovar-si di fronte ad un’annata potente, calda, dall’ottima pro-duttività. Ed invece il repentino cambiamento di scena:dalla fine di agosto sino a primi giorni di ottobre, perio-do decisivo nel caso dell’aglianico taurasino, piogge etemporali sembrano compromettere definitivamenteun’annata che appariva ai più come segnata dal sole.

Dalla grande euforia ad un pessimismo diffuso e quasidefinitivo. E, in effetti, molti vigneti hanno patito pro-blemi sanitari: in molti casi i grappoli si gonfiarono edarricchirono di troppa acqua, con i problemi che que-sto comporta, tra i quali l’assottigliamento della buc-cia se non, in alcuni casi, la sua rottura precoce. In questi casi è prassi dire che chi lavora veramentebene in vigna, riesce non solo a salvare un’annata, maaddirittura ad emergere: e più che mai nel 2005 inIrpinia, questa frase fatta, che oramai fa parte del lin-guaggio enoico, ha una sua verità da svelare. Non soloperché ha esaltato, in effetti, la capacità di conduzionedella vigna durante i momenti avversi settembrini, maperché ha poi premiato chi ha saputo condurre con espe-rienza la vigna con uno sviluppo quasi insperato, traottobre e novembre. Notti tiepide con salutari escursio-ni termiche, sole ed uno sviluppo aromatico che ha sapu-to regalare aderenza al varietale di partenza e quella ele-ganza tipica delle annate più austere.Ci ritroviamo quindi a contare quasi un milione e tre-centomila bottiglie di Taurasi 2005 a fronte di unasuperficie vitata denunciata di 262,46 ettari: un’anna-ta scarsa quantitativamente specie se rapportata a quel-la più esuberante dell’anno precedente. Raffaele delFranco, che insieme a Paolo de Cristofaro (ci piace ricor-dare anche Diana Cataldo ed Adele Chiagano) hannoorganizzato anche quest’anno, in modo praticamenteineccepibile, l’anteprima dedicata alla stampa ed aglioperatori di settore nelle sale del Castello Marchionaledi Taurasi, parla giustamente di “annata sinusoida-le”. Eterogeneità, quindi, la parola d’ordine.

4 STELLE DA VERIFICAREPochi giorni prima della citata presentazione, una com-missione, volutamente tecnica, composta dai migliorienologi operanti nella provincia di Avellino e presie-

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di Alessandro Franceschini

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duta dal Prof. Luigi Moio (Sebastiano Fortunato,Vincenzo Mercurio, Massimo di Renzo, Roberto di Meo,Pierplaolo Sirch, Lucio Mastroberardino e RaffaeleInglese) assegna le fatidiche stelle all’annata: 4 su 5.La curiosità, quindi, durante il tasting alla cieca didomenica 8 Marzo, non mancava: solitamente, in anna-te così eterogenee ed incerte, è facile imbattersi in altie bassi qualitativi, alla ricerca di un equilibrio difficileda raggiungere. A Taurasi, le sottodenominazioni postead altitudini più elevate, hanno beneficiato di maggiorventilazione e quindi limitato i danni delle piogge usu-fruendo del successivo periodo soleggiato con maggiorincisività. D’altronde la diversità del clima tra i singo-li appezzamenti della denominazione irpina sono sem-pre da annotare, considerando le diverse altimetrie deivigneti, che variano dai 150 metri sino ai 600, dissemi-nate tra 17 comuni con terreni diversi nonché tempi dimaturazione differenti, in alcuni casi quantificabilianche in un mese. I maggiori dubbi riguardavano i tan-nini: verdi, duri se non “gessosi”? Non sono mancaticampioni che in questa prima fase, in effetti, hannomostrato caratteristiche di questo tipo, ma in altrettan-te espressioni, alla normale ruvidezza giovanile, non èmancata una tessitura ed una grana di piacevole slan-cio già in questa fase. Non così tante, quindi, come invece ci si aspettava, quel-le note verdi e vegetali che si pensava potessero mar-care con più forza sia l’aspetto olfattivo che quello gusta-tivo. Aderenza al varietale, con note floreali e mineralied una definizione della componente fruttata più “timi-da”: questi forse gli aspetti più evidenti dopo la degu-stazione di 27 campioni (9 dei quali non ancora imbot-tigliati). Un ulteriore comun denominatore è rappre-sentato poi dall’acidità: ben presente nella stragrandemaggioranza dei millesimi, non solo ha reso piacevol-mente scorrevole la beva durante l’esame gustativo, ma

ha lasciato la sensazione che quest’annata potrà pro-babilmente dare il meglio di sé con il tempo. E d’altron-de il giudizio di quattro stelle, come più volte sottoli-neato degli organizzatori, non vuole essere definitivo,ma “un primo punto di vista”. Vini, quindi, nel com-plesso, nervosi, con punte di eccellenza di valore asso-luto all’interno di un panorama composto anche da vinirustici. Discreta l’estrazione, vivace e varietale l’aroma-ticità olfattiva.

VENDERE TAURASI: DIFFICILE QUANTO PRODURLOSi è parlato anche di questo, non senza una certaconcitazione da parte del pubblico che affollava lesale dove il giornalista Luciano Pignataro moderava ildibattito tra enologi, produttori e giornalisti. Il Taurasinon è un vino semplice da vendere: spesso scontrosoin gioventù, si colloca sul mercato a prezzi simili a quel-lo di denominazioni che negli anni sono riuscite acostruirsi un appealing di maggior fascino. Tolti subito dal campo eventuali tentazioni di modifi-ca della base ampelografica locale, che si poggia, comeè giusto che sia, sull’aglianico, molti hanno sottolinea-to l’importanza della comunicazione nella valorizzazio-ne, non solo del vino irpino, quanto dell’intero compar-to agroalimentare locale e campano nel suo insieme. Sitratta, però, di decidere come comunicare, ed una voltatrovata la formula giusta, di essere in grado di fornirestrutture ricettive che possano accogliere i turisti nelcuore del paesaggio taurasino, ancora vergine e dalfascino rurale. I mezzi non sembrano mancare, se, come ha poi espres-so il sindaco di Taurasi, di ritorno dagli Stati generalidel vino di Avellino, in svolgimento proprio nei giorniantecedenti l’anteprima, verranno stanziati dalla RegioneCampania, importanti fondi. Si tratta ora di avere pro-getti seri, da realizzare nel minor tempo possibile.

▲ Il castello di Taurasi

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Il suggestivo borgo di Taurasi, inprovincia di Avellino, ha ospita-to, a inizio primavera, lo svolgi-mento del primo mastersull’Aglianico promossodall’Associazione nazionale incollaborazione con la sezionecampana e con il Consorzio diTutela dei Vini dell’Irpinia.Il concorso, riservato a somme-lier professionisti e non profes-sionisti di tutta Italia, ha vistotrionfare, a margine di duegiorni di gara serrata e avvin-cente, Davide Staffa.Il sommelier emiliano, classe‘67, ha strappato per un soffio la vittoria adAngelo Di Costanzo, il campione regionale cam-pano, che si è piazzato a pari merito con il colle-ga Salvatore Correale.Palcoscenico della gara è stato il CastelloMarchionale, imponente fortezza di origine longo-barda attorno alla quale è raccolto l’abitato delpiccolo irpino, patria dell’omonima Docg e sededell’Enoteca regionale campana. Ad accompagnare l’intero week end, culminatocon la proclamazione del vincitore, è stata un’at-mosfera di grande partecipazione e festa. “Horicevuto una accoglienza davvero calorosa“ haraccontato Davide Staffa. “Al mio ritorno – hacontinuato - ho scritto ai colleghi campani percongratularmi con loro per la perfetta organizza-zione del concorso. Tutto è stato curato nei minimiparticolari con grande professionalità”. Articolata e impegnativa, la scaletta delle provescritte, orali e di servizio sulle quali si sono confron-tati i quindici concorrenti partecipanti a questaprima edizione, di fronte alla commissione com-posta da Roberto Gardini, Vincenzo Ricciardi,Nicoletta Gargiulo e Pino Savoia. Chiari nel disegno dei promotori del Master, gliobiettivi dell’iniziativa: offrire un momento diapprofondimento agli associati sui vini a baseAglianico e sui territori di riferimento. Due sopratutti: la Campania, regione nella quale questo viti-gno è il più coltivato tra quelli a bacca rossa; e laBasilicata. Irpinia e Vulture, dunque, terroir che,pur nelle loro specificità, sono unanimementericonosciuti come i più vocati per la coltivazionedell’Aglianico che ivi si esprime con grande finez-za, potenza ed eleganza. “L’idea – ricorda Antonio Del Franco, presidentedell’Ais campana – è nata un paio d’anni fa. Ilprogetto ha preso corpo pian piano. L’entusiasmocon cui lo ha accolto il Responsabile nazionale aiconcorsi, Gardini, ci ha dato ulteriore stimolo aperfezionarlo e a farne un’importante occasionedi promozione di un territorio, quello irpino, cheoffre un’opportunità irripetibile di conoscenza di

questo vitigno, in quanto èl’unico a disporre di unarchivio di documenti ebottiglie che risale ai primi anni Ottanta. Questomateriale è indispensabile per studiare per unagara cosi’ impegnativa”.Con il concorso dell’Ais, l’Aglianico, che già sulfronte della produzione è inserito tra le perle del-l’enologia nazionale grazie ad un gran numero diaziende che si esprimono a livelli d’eccellenza,entra a far parte di un circuito permanente diapprofondimento e studio per i sommelier italiani.Un destino che l’Aglianico condivide conSangiovese, Sagrantino, Nebbiolo. Sono questi,infatti, gli unici vitigni ai quali, finora, l’Associazioneha deciso di dedicare un concorso monotemati-co. Felice si è rivelata, poi, l’intrecciarsi dellaprima edizione del concorso con “AnteprimaTaurasi 2005”. Mentre Staffa veniva proclamatovincitore, centinaia di winelover e di addetti alsettore accorrevano al castello di Taurasi per l’an-nuale appuntamento con il re dei vini irpini e delSud a base Aglianico, quest’anno classificato conun “ottimo” da parte della commissione di enolo-gi che lo ha valutato a fine febbraio.Nato in Romagna il 12 gennaio 1967, DavideStaffa ha iniziato a frequentare i primi corsi Ais nel1996 ed è diventato sommelier professionista nel2000. Dopo aver maturato diverse esperienzecome sommelier in diversi ristoranti della provinciadi Ravenna - tra i quali La Scottona, Elfo delleRose, Caffè della Rotonda, Vista mare – oggi pre-sta attività di consulenza nel campo del vino. Il Davide pensiero: “Amo i piccoli produttori chelavorano per passione, per bisogno, con fatica.Quelli dalle mani screpolate dal freddo, macchia-te dai mosti, che girano fra le vigne, che si spor-cano i piedi, che sudano e soprattutto che fini-scono i vini perchè ne fanno poco. Non ugual-mente le grosse aziende del business del vino ingrande scala”.

(Monica Piscitelli)

MASTER AGLIANICO: VINCE STAFFA

▲ Davide Staffa, vincitore del primoMaster Aglianico

▲ La commissione esaminatrice

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Cantine Lonardo Contrade di Taurasi – Taurasi 2005 – Taurasi (Av)Campione di razza, tra i più convincenti dell’annata in questo momento. Piccola l’azienda, aconduzione familiare con 5 ettari di proprietà e vigneti su terreni vulcanici, ma grande la ricercae la sperimentazione, con l’obbiettivo di raggiungere espressività di terroir. Note terrose ed orien-taleggianti con sfumature sottili di frutti al naso. Bocca di grande tensione, fresca, minerale, conun rientro sapido e di grande lunghezza. Vino deciso, pulito, di grande eleganza olfattiva.

Di Prisco – Taurasi 2005 – Fontanarosa (Av) Pasqualino Di Prisco conduce praticamente da solo una produzione che raggiunge punte dieccellenza, nonché di rapporto qualità/prezzo, anche tra i bianchi, in particolar modo con ilGreco di Tufo, minerale e di grande apertura aromatica, in grado di invecchiare con risultati sor-prendenti. Il Taurasi presentato all’anteprima colpisce con il suo attacco floreale di bella finezza,cenni di sottobosco ed un frutto delicato. Bocca nervosa, fresca, con qualche nota verde daverificare nella sua integrazione futura, ma nel complesso più che buon equilibrio.

Molettieri – Taurasi Vigna 5 Querce 2005 – Montemarano (Av) Nata nel 1995, l’azienda condotta da Salvatore e Giovanni Molettieri possiede circa 11 ettari, trai quali anche il vigneto “Cinque Quercie”, posto a circa 600 metri di altitudine, con esposizionesud-est e su terreni argillosi-calcarei. La precisione stilistica, sia al naso, sia in bocca, è oramaiuna delle cifre di questo aglianico, a metà strada tra modernità e tradizione: anche in questaannata si presenta con note fruttate ben mature, integrate con il balsamico del rovere ed unquadro dolce e pronto già in questa fase. Fresco e snello, riesce a coniugare con armonia pron-tezza di beva, corpo e pienezza estrattiva.

Tenuta Cavalier Pepe – Taurasi Opera Mia 2005 – Sant’Angelo all’Esca (Av) New entry e subito un buon risultato. Condotta da Angelo Pepe e sua figlia Milena, l’aziendapossiede 35 ettari quasi completamente occupati dalla vite, tra i comuni di Luogosano, S.Angelo all’Esca e Taurasi, tra i 350 ed i 500 metri con esposizione a sud, sud-est. 18 i mesi in barri-que, 12 quelli in bottiglia. Tanto succoso, con tannini di bella trama ed ottima freschezza inbocca, quanto floreale e delicato nella sua componente fruttata al naso. Un ingresso che si fanotare, da seguire con attenzione.

Tecce – Taurasi Poliphemo 2005 – Paternopoli (Av) Altra novità: il Taurasi di Luigi Tecce, prodotto in 2500 esemplari, affinato per 12 mesi in carati ebarrique, sia nuovi sia di secondo e terzo passaggio. Attacco dolce, di buona maturità, con unfrutto che ricorda la ciliegia, ben fuso con le sfumature balsamiche e dei piacevoli cenni men-tolati. Discreto l’allungo finale con una buona freschezza fa da contraltare ad un tanninopotente, da assestarsi ancora, ed un retrogusto lievemente amarognolo.

Il Cancelliere – Taurasi Nero Né 2005 – Montemarano (Av) Non chiarificato, né filtrato, fermentato senza l’ausilio del controllo della temperatura, torchiatoa mano ed affinato in grandi botti di rovere per 24 mesi. Questi i dati di uno dei Taurasi più origi-nali presentati durante l’anteprima. Terroso, con note di incenso, canfora ed un frutto di espressi-vità quasi timida, di bella freschezza e pulizia. Fine la trama tannica, ottima la freschezza.

Mastroberardino – Taurasi Radici 2005 – Atripalda (Av) Storica azienda irpina, non ha certo bisogno di presentazioni. Tre i vini presentati in questa ante-prima (oltre al Radici 05, anche il Campania Aglianico 07, il Taurasi Naturalis Historia 05 ed unTaurasi Riserva Radici 03). Attacco decisamente speziato, con note di zenzero e chiodi di garo-fano. Bocca di discreto slancio, ben sorretta da un centro bocca di buona avvolgenza ed untannino di grana fine .

LA DEGUSTAZIONEVi riportiamo le note di degustazione di alcuni dei campioni 2005 di Taurasi, già imbottigliati, che ci sono sembra-ti più convincenti e degni di nota, omettendo, volontariamente, quelle relative ai campioni da botte. Non chenon siano emerse indicazioni interessanti, anzi, ma non comunque sufficienti, come è giusto che sia, per stilareun giudizio più compiuto. La degustazione, ospitata presso le sale del Castello Marchionale di Taurasi, ha messoa disposizione agli oltre 50 giornalisti italiani ed esteri, anche una interessante batteria di aglianico più giovani,soprattutto delle annate 2007 e 2006, che ricadono nel cappello delle denominazioni Irpinia, Campi Taurasini eCampania, nonché una breve retrospettiva di Taurasi delle annate precedenti.

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Dal vinoalle erbe,

tutto il meglio della natura

Mu

sei

del

vin

o

Dici vino e pensi ovviamente alla bevanda pereccellenza. Ma nella storia il vino ha assuntonumerose forme, prima di diventare essenza in

grado di avvicinare gli uomini alle divinità del cielo: ilvino è stato cibo, energizzante e vitale, per chi dovevafare fatica, in mare o nei campi, e poi anche medica-mento e cura. C’è un filo sottile che lega il vino alle erbee alle spezie, ed è per questo che, nel nostro viaggio

per i musei del cibo e deivino, ci fermeremo

questa volta incentro

Italia, a San Sepolcro, dove viene custodito un sapereche è molto simile a quello del vino e dove sorge l’AbocaMuseum, dedicato interamente alle erbe.

NON SI VERSI “ALLA TRADITORA” In molte parti d’Italia si dice ancora di non versare “allatraditora”, ovvero di non fare il gesto innaturale di ver-sare il vino ruotando la mano da sinistra verso destra.Era questo infatti il modo col quale veniva versato ilveleno dagli anelli ai bicchieri. Da qui, molti dicono,nasce anche un altro gesto, poi divenuto rito, nell’artedel degustare il vino, ovvero quello del cin cin. I bic-chieri che si incontrano in aria e che sbattono fra loroper il brindisi nascono, non in segno di amicizia, ma,al contrario, in segno di cattiva fiducia per il propriocommensale. Facendo sbattere i bicchieri fra di loroin aria si riesce a soppesare la quantità del vino nella

di Letizia Magnani

L’ABOCA MUSEUM DI SANSEPOLCRO, IN PROVINCIA DI AREZZO, È DEDICATO AI

RIMEDI NATURALI: SI POSSONO TROVARE OLTRE MILLE TESTI DI BOTANICA E

UNA COLLEZIONE DI BILANCE DA FARMACIA

▲ La stanza delle erbe

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coppa, che è tanto più leggera, quanto meno veleno c’èdentro al bicchiere. Sono queste alcune delle antichestorie che racconta il Museo delle Erbe di San Sepolcro,dove è custodita, non a caso, una sala dei veleni.

PARTIAMO DAI VELENILe erbe, come il vino, vengono usate per lunghi annicome medicamento e solo lo speziale sa come tramu-tare un’erba velenosa in un toccasana. Per questo unadelle sale più interessanti dell’Aboca Museum è proprioquella dei veleni. Veleni che, nei secoli, sono finiti piùdi una volta in una coppa di vino. La potente famigliaBorgia aveva fama di usare il veleno come arma negliintrighi politici. Lo facevano bere, disciolto nel nettaredegli dei, agli avversari politici. Anche Shakespeare siserviva dei veleni per creare atmosfere di forte dram-maticità: il padre di Amleto viene ucciso con del succo

di giusquiamo versato nell’orecchio; Romeo si procurada uno speziale una “droga micidiale” per uccidersisulla tomba di Giulietta. La conservazione dei velenirichiede il massimo delle cautele. Ma la conservazionee la scelta in generale delle erbe richiede cura, propriocome avviene nella scelta delle uve e nella conservazio-ne dei vini. Per questo le spezie vengono riposte in reci-pienti particolari, di ceramica, di preziosi metalli o divetro. Sia le erbe, sia i vini, devono, infatti, anche allaconservazione, una parte del loro valore.

IL VALORE È NELLA SCELTA E NELLA CONSERVAZIONE E’ questo che si scopre entrando nelle sale dedicate airecipienti. I vasa medicinalia si sono via, via nel tempoadeguati alle esigenze di conservare erbe preziose, senzache queste perdessero le loro caratteristiche curative.Si tratta di ceramiche, soprattutto, ma anche di vetri.

▲ La sala dei mortai

▲ Un’altra veduta della sala dei mortai ▲ La sala della storia

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I vasi in maiolica hanno subito nel corso della storiauna progressiva fase di miglioramento tecnico, per lanecessità di disporre di un materiale sempre più imper-meabile, necessario ad evitare la fermentazione e l’ir-rancidimento dei componenti delle preparazioni medi-camentose e migliorare così la loro conservazione. I vasituttavia non avevano solo la necessità di essere funzio-nali, bensì anche quella di essere belli. Per questo, sulleceramiche, soprattutto dal XII secolo in poi, si ritrova-no decorazioni di interesse artistico. Nel tempo, poi, ivasa medicinalia hanno subito anche un’evoluzionecostruttiva, per la ricerca di forme sempre più adattealla conservazione dei medicamenti e all’uso da partedello speziale. Spicca fra tutte la forma dell’albarello, ilpiù tipico vaso da farmacia dalla particolare forma cherichiama una canna di bambù, utilizzato per contene-re sostanze pastose ed unguenti. A San Sepolcro sonocustodite maioliche davvero belle, fra le quali un alba-rello del XV secolo dal decoro detto “a occhio di pennadi pavone”. Questa rara decorazione è tipica delRinascimento e conferisce ai vasi una raffinatezza unica.

DALLE CERAMICHE AI VETRI Il percorso prosegue nella sala dei vetri. Le erbe vengo-no conservate nel vetro già in epoca egizia. Si tratta deivasetti da balsamo, risalenti al II millennio a.C. A quel-lo stesso periodo, non a caso, si datano anche i primicontenitori per il vino. Il vetro è un materiale facilmen-te modellabile al fuoco e per questo si è ottimamenteprestato agli usi in farmacia, compresi i numerosi stru-menti per il laboratorio. Con la tecnica del vetro soffia-to, dopo il II secolo a.C., iniziò la produzione di ogget-ti di forme diverse, a seconda dell’uso e del gusto degliartigiani. “I maestri vetrai – racconta la direttrice delmuseo, Anna Zita Di Carlo - usavano anche smaltaree decorare il vetro, in particolare nel XVII e XVIII seco-lo, con cartigli ricchi di simbologie alchemiche, motivifloreali, scene mitologiche, religiose o di altro genere”.Per questo, nella sala sono esposte differenti tipologiedi vetri, che, a seconda del medicamento da conserva-re, variano nelle forme e nelle trasparenze: bocce, fiale,vasi, brocche, ma anche strumenti da laboratorio. Frale curiosità da vedere ci sono i vetri del Settecento concartigli e scritte apotecarie decorati a mano, ma anchele piccole coppette da salasso.Dal piccolo, si passa al grande. Al museo sono con-servati, infatti, anche vetri di grande formato, tra i qualioggetti particolarissimi, come i tiralatte e un raro mor-taio in vetro verde. Con l’invenzione del vetro soffiato,prima, e con quella del cristallo, poi (grazie all’aggiun-ta di calce e gesso in Boemia), i vetri per la farmaciasono diventati sempre più raffinati e rari. L’Italia eVenezia in particolare vantano la leadership per quan-to riguarda la produzione della vetreria farmaceutica.

LA SALA DELLE ERBEQuesto museo è sorprendente, non solo per la quanti-tà e la qualità degli oggetti che conserva, ma anche perl’esperienza sensoriale che si può fare attraversando-lo. Oltre ai 1200 testi antichi di botanica e alchimia checostituiscono la biblioteca storica e alla collezione dibilance da farmacia di tutte le epoche, infatti, si puòanche entrare in una sala molto particolare, quella delleErbe. La suggestione deriva dalle fragranze. Le erbe, didiversa specie e natura, sono infatti raccolte in mazziappesi al soffitto, che fanno un tetto colorato e insoli-to, ma che, soprattutto, spandono per la stanza un bou-quet di profumi di grande impatto emotivo e sensoria-le. E’ qui dentro, proprio come in una cantina, che sipuò fare un tuffo nella memoria, magari chiudendogli occhi e affidandosi solo al ricordo. Stando sempre al ricordo, allora non sfuggirà come itempi del vivere quotidiano siano cambiati. Se solo finoa mezzo secolo fa erano i ritmi della natura ad impor-si all’uomo, oggi non è più così. La scienza e la tecno-logia, gli strumenti e i mezzi ci hanno reso più autono-mi dalla natura, ma è vero quello che si legge sui muridell’officina alchemica: “Le erbe medicinali sono unaforza della natura creata per tutti i viventi” e, di conse-guenza, “L’Homo sapiens potrà, se vorrà, trovare innatura i rimedi per tutti i suoi mali”.

I RIMEDI SI TROVANO IN NATURA In altri termini, i rimedi si trovano in Natura, ma occor-re rimettersi in ascolto. D’altra parte, la raccolta delleerbe iniziava con l’ascolto e con l’osservazione giorna-liera del modo di crescere delle piante. L’intento eraquello di selezionare quelle più perfette, perché era opi-nione corrente che queste possedessero le migliori qua-lità medicinali. Soprattutto si osservava il giusto tempobalsamico, ovvero lo stadio ottimale in cui la pianta rag-giunge il massimo contenuto in sostanze attive. Dopola raccolta si passa alla conservazione, la cui tecnicamigliore rimane l’essiccazione, procedimento che eli-mina l’acqua della pianta senza farle perdere le pro-prietà curative. Appese in ambienti asciutti ed arieg-giati, al riparo dalla luce diretta del sole, le erbe subi-vano lentamente quei cambiamenti che le preparava-no ad essere ridotte in salutari prodotti medicinali. Dopoquest’ultima fase, le erbe venivano conservate in appo-siti contenitori come cesti di vimini e preziose scatolein legno, decorate con cartigli riportanti il nome dellapianta. Nell’Aboca Museum sono conservati numerosiesemplari originali, risalenti a vari secoli. Ma la Naturadava, non solo prodotti, bensì anche indicazioni su comeusarli, da qui sono nati alcuni miti e riti, come gestiverbali propiziatori: dalle preghiere, alle invocazioni,passando per i riti gestuali propri della religiosità popo-lare.

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▲ Il bookshop ▲ L’antica farmacia dell’Ottocento ▲ L’officina erboristica

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Aboca MuseumPalazzo Bourbon del Monte Via Niccolò Aggiunti, 7552037 Sansepolcro (Ar) 0575.733589 www.abocamuseum.it

L’ANTICA SPEZIERIA E L’ARTE DELLA DISTILLAZIONE ALCOLICA Il segreto di tutto, quindi, sta nell’equilibrio frauomo e natura. Se ne può essere certi assaporan-do un buon vino, ma anche visitando questomuseo, la cui sala forse più interessante è pro-prio l’officina alchemica. Officina, nel significatooriginario, vuol dire laboratorio e questo spiegaperché qui è ricostruito un ambiente di lavorazio-ne delle erbe del ’600. L’officina è il centro di rife-rimento dell’antica medicina: vi gravitavano i rac-coglitori di erbe, il pestatore, lo speziale, il medi-co, gli ammalati, ma soprattutto l’addetto all’estra-zione della quinta essenza. Ecco perché ovunqueè un fiorire di alambicchi, distillatori, forni, for-nelli a carbone, grossi mortai, contenitori in vetroper gli estratti, presse, oltre naturalmente alleerbe raccolte in loco ed alle spezie di importazio-ne. In questa sala una nicchia un po’ nascosta,ma molto suggestiva costituisce il luogo dove veni-vano conservate le “res pretiosae”, cioè i prodot-ti più costosi e di difficile reperibilità. Tra questic’erano l’oro, che in passato era considerato unvero e proprio medicamento, ma anche il grassodi vipera, la canfora, lo zucchero, la noce mosca-ta ed altre spezie provenienti da paesi lontani.Qui si conservavano però anche acqua, latte, vino,aceto, grassi vegetali ed animali. E proprio in unospazio come questo, fra le cose più preziose, èstata sperimentata la prima volta la distillazionealcolica, intorno al X secolo d.C., grazie alla qualesi è potuto trasformare le erbe in derivati semprepiù complessi ed evoluti. Natura, scienza, tecnica, storia, aromi, tutto simischia in queste stanze, di grande impatto e,passando dall’una all’altra, si scopre come la ricer-ca della quinta essenza e della pietra filosofaleabbiano fatto parte del sapere e del sapore di que-sta terra, così come erbe, vino e altre “res pretio-sae”, un tempo, come oggi.

▲ Il laboratorio fitochimico

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Fare sistema,lo slogan più amato

dagli italiani

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Vi è mai capitato di parteciparea un convegno in cui il tema diriferimento fosse il mercato?

Nel mondo dell’olio, come evidente-mente anche in quello del vino, taliappuntamenti sono piuttosto frequen-ti, spesso organizzati da associazionidi categoria, enti pubblici, o comun-que da realtà paraistituzionali. Ebbene, in tutti questi incontri, il cer-vello dei partecipanti al tavolo delladiscussione sembra come esprimereun pensiero unico e condiviso, giac-ché tutti annuiscono soddisfatti. Einfatti questi cervelli fumanti di sape-re sembrano dare il meglio di sé, comefossero tanti cervelli di geni riunitiin un conclave, pronti a dare luogoalle migliori performance sulla piaz-za internazionale. Ed io – credetemiin tutta sincerità – resto basito quan-do noto che tutti dicono, all’unisono,che: “occorre fare sistema”. Già, daqualche anno a questa parte, ma forseda sempre, lo slogan più amato dagliitaliani è: “fare sistema”. Al che, io, per non deludere le aspet-tative generali, e per lasciare insom-ma un po’ di speranza in chi ascolta,alle volte me ne sto zitto e faccio fintadi nulla, altre volte, invece, quando ilfatidico “fare sistema” viene ripetutopiù volte, fino all’inverosimile, perristabilire gli equilibri ricorro all’iro-nia: “Oddio, non ci avevo pensato”,dico. “Occorre fare sistema! – aggiun-go, mentre simulo l’espressione sof-ferta, che fa sempre effetto. “Accidenti!” – trovo il tempo di dire,che già tutti mi manifestano la pro-pria solidarietà, gonfi di soddisfazio-ne perché loro, i grandi pensatori estrateghi, l’acqua calda l’hanno giàscoperta, molto prima di me. E’ suf-

ficiente che dicano “occorre fare siste-ma”, e la storia prende un’altra piega.Così almeno credono, costoro. Ma ioche non amo le frasi fatte, sono quipronto a farvi alcuni esempi, di comeappunto le parole si rivelino spessoe volentieri flatus voci. Si parla, siparla, ma poi non resta alcun segnoconcreto, tant’è che l’espressione “faresistema” sembra che stia sempre esolo sulla bocca degli stolti. Veniamo a noi, dunque. Chi conosceil mio lavoro e la mia dedizione sulfronte del mondo dell’olio, sa bene cheho fatto qualcosa di molto concreto,già solo fermandomi ai molti libri cheho pubblicato, senza dover andareoltre. Ma tra i miei impegni posso conorgoglio ricordare il tentativo di risol-levare le sorti di un settore in fortecrisi di identità e dal futuro moltoincerto, nonostante la grande visibi-lità che il mondo dell’olio ha guada-gnato nel corso degli ultimi anni. Ilmio impegno l’ho manifestato ancheattraverso l’organizzazione di un tavo-lo di concertazione tra i vari attori dellafiliera, che avevo denominato “ilRisorgimento dell’olio italiano”, inclu-dendo, per la prima volta nella storia,anche figure esterne al mondo dellaproduzione, del commercio e dell’in-dustria. Avevo infatti inserito il mondodella ricerca, dei media, degli agrono-mi e di altre figure professionali, non-ché la stessa Unione nazionale con-sumatori, in prospettiva di una suc-cessiva apertura al mondo della risto-razione, ma niente. Obiettivo manca-to, seppure quasi raggiunto. Il fatto è che l’Unaprol e l’Aifo – in rap-presentanza rispettivamente dei pro-duttori e dei frantoiani – hanno deci-so di sganciarsi e non firmare il docu-

mento programmatico predisposto perl’occasione. Tutto, insomma, è anda-to a finire in una bolla di sapone,nonostante i miei sforzi nel riuscire amettere insieme Federolio e Assitol,in rappresentanza quest’ultimi di com-mercio e industria. Nulla di fatto. L’Unaprol, regista delmancato accordo, si è tirata indie-tro; ma poi accade che la stessa orga-nizzazione abbia poi presentato al Soldi Verona il progetto “IOO”, acronimodi Italian olive oil, ricalcando in buonaparte lo spirito del “Risorgimento del-l’olio italiano” da me proposto.Insomma, l’organizzazione più poten-te dell’olio ha saputo distruggere allanascita qualcosa che era stato costrui-to per bene e che aveva un forte sensodi coralità, per costruire invece qual-cosa di nuovo, mettendo insieme i pro-pri amici (quelli che dicono sempre disì a tutto, ubbidienti), pronti a pun-tare sul rilancio del made in Italy esull’alta qualità. Qualcosa di grosso,insomma; puntando a un progetto chesi spera non sia fallimentare comel’esperienza della macro organizzazio-ne commerciale “Oliveti d’Italia”, dicui sono stati artefici di un nulla difatto. L’assurdo – e qui, credetemi, si toccaproprio il fondo – è che da un latol’Unaprol ha presentato a Verona ilproprio progetto denominato “IOO”;dall’altro lato, il Cno, altra grande sto-rica unione di olivicoltori, ha pre-sentato – sempre a Verona, e semprelo stesso giorno – un progetto analo-go e alternativo a Unaprol. Insomma,come si suole dire, gli olivicoltori ita-liani dimostrano di essere maestri dav-vero ineguagliabili nel “fare sistema”.Onore al merito, dunque.

di Luigi Caricato

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GLI ASSAGGI“Tenuta di Ghizzano” Igp Toscano, è un blend di olive Frantoio eRazzo prodotto da Ginevra Venerosi Pesciolini.

Nel bicchiere. Verde dai riflessi dorati, è limpido alla vista. Al naso haprofumi vegetali dalle intense connotazioni erbacee. Al palato habuona fluidità, corpo e struttura, con amaro e piccante che si apro-no progressivi e armonici. Sapido, ha un alto potere condente e notedi noce e cardo. In chiusura la persistenza del piccante e note man-dorlate.

L’abbinamento. Gnocchi di patate al timo; insalata di cetrioli freschi;tagliata di vitello alla rucola.

Tenuta di Ghizzano, via della Chiesa 1956030 Ghizzano di Peccioli (Pisa)- tel. [email protected], www.tenutadighizzano.com

“L’olio di Flora” da olive Gentile di Larino in purezza.

Nel bicchiere. Giallo oro dai riflessi verdolini, è limpido. Al naso haprofumi vegetali mediamente intensi, di sedano e carciofo, con con-notazioni erbacee pulite e fresche. Al palato è morbido e avvolgen-te, di grande personalità, con gradevole ed equilibrata nota amarapersistente. In chiusura una lieve punta piccante ed eleganti tonimandorlati.

L’abbinamento. Minestra d’orzo e porri; insalata di pesce spada;asparagi fritti in pastella.

Azienda agricola La Casa del Ventoc.da Monte, 86035 Larino (Campobasso)cell. 335.8169881, [email protected]

“Sole Sabino” Dop Sabina, è un blend di olive Frantoio, Carboncellae Leccino.

Nel bicchiere. Verde dai riflessi dorati, è limpido. Al naso ha sentorivegetali che rimandano netti al carciofo. Al palato ha buona fluiditàe armonia delle note amare e piccanti, gusto sapido e fine, con sen-tori mandorlati che si percepiscono anche in chiusura, con unapunta piccante e sentori di erbe aromatiche.

L’abbinamento. Passato di carciofi al naturale; schiacciata di ceci;salmone alle mandorle.

Azienda agricola Sole Sabino di Francesca Pingi, vicolo Mercato Vecchio, 02031 Castelnuovo di Farfa (Rieti)tel. 0765.36385, [email protected]

“Lirys” da olive Moraiolo in purezza.

Nel bicchiere. Giallo oro dagli intensi riflessi verdi, è limpido. Al nasoha profumi vegetali puliti e freschi piuttosto marcati, che rimandanoal carciofo e alle erbe di campo. Al gusto ha corpo e carattere, connote speziate e sensazioni di amaro e di piccante armonici e in forteevidenza. In chiusura le note di mandorla e noce, assieme con unaelegante punta di piccante.

L’abbinamento. Funghi al pomodoro e basilico; fagioli all’uccelletto;arista di maiale ai semi di finocchio e noci.

Luigi Tega-Molino Il Fattore, loc. Vesciavia dei Frantoi 53, 06034 Foligno (Perugia)tel. 0742.660015, [email protected], www.luigitega.it

TOSCANA

MOLISE

LAZIO

UMBRIA

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Il lato “dolce”della birra

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Nel mondo della birra artigianale oggi si fa tanto parlare delle cosid-dette birre “estreme” ovvero di quelle che, per i neofiti, sembrano quasidelle forzature, ma che in realtà, o perlomeno più spesso, rivestono

molto più semplicemente l’aspetto maggiormente creativo che ogni bravobirraio custodisce dentro di sé. Luppolature prolungate, affinamenti in bar-rique, utilizzo di ingredienti a dir poco inconsueti. Stati Uniti, Belgio ma anche Italia offrono un numero assai ampio di que-ste tipologie. Alcune hanno talmente incontrato il gusto del pubblico dadiventare dei nuovi “classici” dell’arte brassicola internazionale. Tuttavianon tutte le birre considerate, a prima vista, “estreme” sono da ritenersi tali.L’errore è facile e scusabile e si spiega con il luogo comune che per fare labirra, qualunque tipo di birra, basti avere dell’acqua, del malto d’orzo, delluppolo e del lievito. Chi segue queste pagine su DeVinis sa che si tratta,appunto, di un luogo comune perché non di solo orzo “vive” la birra, maanche di frumento, avena, segale o farro, non di solo luppolo, perché di lup-poli ne esistono molti e, soprattutto, non dei soli ingredienti “base”. La gran-de tradizione belga è infatti un ricco tesoro di “addizioni” indovinate: dallespezie come cardamomo e anice stellato, a frutta come ciliegie e lamponi. Addizioni che potrebbero sembrare, anche qui a prima vista, il frutto di costu-mi più o meno recenti, stili venuti alla luce grazie all’alta concentrazione ditalenti birrari che il Belgio possiede e che ha poi trasmesso al resto del mondo.Una straordinaria eccezione alla regola, ma in verità un’eccezione che hasempre giocato il suo ruolo nella lunga storia della birra.Quando infatti i primi agricoltori sumeri compresero l’effetto che la fer-mentazione casuale degli zuccheri all’interno dei cereali produceva, dandovita così alla birra primitiva, iniziarono presto anche a sperimentare ingre-dienti che potessero, da un lato, migliorare la “magica” fermentazione e, dal-l’altro, arricchire il sapore stesso della bevanda. Bastò loro guardarsi intor-no per trovare gli ingredienti più utili. Frutti comuni come i datteri, ad esem-pio, oppure il miele. Il miele è stato con tutta probabilità il primo dolcifi-cante della storia e come tutte le cose dolci deve aver attratto subito l’uomo,esattamente come molti altri animali, ma il miele aveva dalla sua anche lacapacità di essere altamente fermentabile. Doppiamente utile dunque.Pertanto, quelle che oggi conosciamo come, appunto, le “birre al miele”non sono tentativi di rompere con la tradizione e inventarsi una birra nuova,semmai il desiderio di annodare un virtuale fil rouge tra i birrai dell’antichi-tà e quelli di oggi. Le birre al miele erano senz’altro conosciute e apprezza-te da egiziani e da celti, prodotte prima ancora che ci si rendesse conto delformidabile apporto dato dal luppolo, insomma uno stile che ha coinvoltoper secoli popoli di cultura e latitudine completamente diverse. E la tradi-zione è continuata infatti fino ai nostri tempi: in Belgio soprattutto dove nonsono poche le etichette che prevedono l’impiego del miele nella ricetta. Alcuni

SPESSO I BIRRAI

RICORRONO AL MIELE

PER DARE UN TOCCO DI

PERSONALITÀ ALLE LORO

CREAZIONI. IN BELGIO

MA ANCHE IN ITALIA LA

PRODUZIONE

ARTIGIANALE OFFRE

DEI PICCOLI CAPOLAVORI

di Maurizio Maestrelli

▲ Beppe Vento del Bi-Du

▲ Teo Musso di “Le Baladin”

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Imperiale Carpe Diem

Produttore: Tenute Collesi - Apecchio (Pu)Distributore: D&C (www.dec.it)

Cogliete anche voi l’atti-mo con questa birra ele-gante e profumata, dichiara ispirazione belga.Immediati sono al naso itoni fruttati, di albicocca,una vaga dolcezza chericorda il miele. Tutto peròsenza eccessi, con

apprezzabile misura. Al palato la frizzantezza è dav-vero piacevole e il gusto si man-tiene equilibrato, il che permet-te di berne con prolungata sod-disfazione. Con primi piatti esughi di verdure.

Torbata

Produttore: Almond ’22 - Pescara(www.birraalmond.com)

Una birra importantequesta dell’abruzzeseJurij Ferri, non solo perl’alcolicità notevole,8,7% vol, ma per le sen-sazioni avvolgenti chesa donare. Come si intui-sce dal nome nella ricet-ta sono utilizzati maltitorbati, ma al di là della

nota “fumosa” c’è di più: cara-mello, miele di castagno, fruttasecca… Da fine serata, dameditazione, ma ci si può met-tere vicino del cioccolato fon-dente o, perché no, un buonsigaro.

Ruby Red

Produttore: De Koninck – Anversa (Belgio)Distributore: Beer Concept(www.beerconcept.it)

Produzione mirata allaristorazione, questabirra firmata da unaben nota birreria delleFiandre. Colore ambra-to molto carico, schiu-ma fine e compatta, sioffre al naso ricca di

note di frutta rossa (ribes) e diagrumi. Al palato un iniziodolce, una bella sensazione dimiele, poi grande equilibrio, adispetto di un tenore alcolico di8% vol, e un finale pulito. Daprovare con formaggi morbidi efreschi o con carni bianche.

SCHEDE DI DEGUSTAZIONE

marchi sono tra l’altro molto conosciuti anche nel mercato italiano, pen-siamo alle belghe Bière des Ours e Barbãr, altri un po’ meno, come la bri-tannica Waggle Dance, ma l’aspetto per noi più interessante è che anchemolti birrai artigianali italiani si sono lasciati conquistare dal miele. E conrisultati, molto spesso, nettamente migliori di quelli raggiunti, ad esempio,dalle etichette summenzionate. Senza avere la pretesa di essere esaustivi,ma per chi volesse cogliere una buona visione del lato “mieloso” della birraitaliana, raccomandiamo alcuni “campioni” che, a nostro avviso, sono irri-nunciabili. Iniziamo allora con la Erika del notissimo Le Baladin di Piozzo(www.baladin.it), una delle ultime creature di Teo Musso, che l’ha realizza-ta con melata di abete e miele di erica, utilizzando i prodotti di quel magodei mieli che risponde al nome di Andrea Paternoster, ovvero Mieli Thun(www.mielithun.it). Stessa scelta, ossia quella dei Mieli Thun, anche per BeppeVento del Bi-Du (www.bi-du.it) che per la sua Ley Line ha scelto il raro e costo-so miele di corbezzolo. Vanno inoltre segnalate l’ottima Marruca, con mieleomonimo, del birrificio toscano Amiata (www.birra-amiata.it), la Zagara,con miele di fiori d’arancio, del sardo birrificio Barley (www.barley.it) e laMelissa, con miele Millefiori, del piemontese Grado Plato (www.gradoplato.it).E, infine, la Nectar, al miele di castagno, frutto delle passeggiate sul MonteGrappa di Fabiano Toffoli, mente creativa del veneto 32 Via dei Birrai(www.32viadeibirrai.com), e della sua amicizia con degli apicoltori della zona.“Quella del miele è una mia vera passione”, ci spiega Toffoli, “tanto che hopraticamente la casa invasa da decine di barattoli diversi. Assaggiandolo misono reso conto che ogni miele ha le sue peculiarità e che non tutti eranoadatti alla birra che intendevo realizzare. Ho scelto il miele di castagno per-ché amo fare birre caratterizzate, quasi aggressive, ma sempre particolari.Il miele di castagno si avverte subito al naso, è quasi impossibile sbagliare.La Nectar non vuole essere una birra equilibrata, dove si possono coglierediversi profumi: ha la sua impronta decisa e solo chi è davvero attento rie-sce a cogliere sfumature diverse che, peraltro, ci sono”.Insomma, volendo banalizzare, una birra al miele che sa di miele. Di produ-zione limitata, ma straordinaria, come carattere e come sensazioni. Daprovare con dei formaggi, caprini stagionati ed erborinati “decisi”, oppureda lasciar scorrere in gola da sola. Ha il grande pregio, raro nelle birre almiele di matrice belga ma invece assai condiviso tra gli esempi italiani, dinon stancare mai. E “segnare un punto” ai maestri belgi in campo birrarionon è certo cosa di tutti i giorni.

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Il gin è sicuramente il più diffuso superalcolico almondo per la sua versatilità ed è prodotto in mol-tissimi Paesi, spesso per consumi locali. Sono di fatto

relativamente pochi i gin di fama internazionale. Il ginin generale è la base di cocktail e long drink che delizia-no il palato di molti consumatori. Alcuni scrittori lohanno scelto come vero e proprio protagonista nei lorolibri. Si trova, ad esempio, citato più volte nei raccon-ti di Ernest Hemingway come Di là del fiume e tra glialberi dove il Gordon’s è il fondamentale ingrediente deinumerosi “Martini” very very very dry (oggi conosciutocome “Alla Hemingway”) bevuti a Venezia dal Colonnelloe dalla sua giovane compagna all’Harry’s Bar di ArrigoCipriani.Il Gordon’s (prodotto dal 1769) è da lungo tempo il gininternazionale più venduto al mondo, presentato in bot-tiglia di vetro verde ed etichetta bianca per il mercatobritannico e con vetro chiaro ed etichetta giallo/rosso/oroper l’esportazione. Negli ultimi anni ha modificato l’eti-chetta “estera” per evitare le molteplici imitazioni daogni parte del globo terrestre.Il gin o meglio il genever o jenever nacque in Olanda pre-sumibilmente alla fine del XVI secolo e si diffuse lungole vie delle spezie nord europee. Dobbiamo ricordare chele spezie erano particolarmente richieste per la con-

servazione dei generi alimentari prima del-l’era della refrigerazione. In passato le merciviaggiavano prevalentemente via maree la tradizione del gin è quindi lega-ta all’utilizzo di ingredienti sta-gionati. Nacquero distillerie nelle cittàportuali di Olanda, InghilterraFrancia e Germania. A Londraebbe il maggior sviluppo doveprese il nome di Geneva o gin ediventò in seguito London DryGin. Nella città di Plymouth,sulla Manica, nacque nel 1793la distilleria omonima quandol’Ammiragliato britannico iniziòa fornire la Reale Marina diagrumi per prevenire lo scorbu-to. Il Plymouth gin fece partedelle provviste di bordo dellaReale Marina Britannica a par-tire dalla prima metà dell’800 edivenne ben presto famoso inmolti Paesi del dominio britan-nico. Recentemente Plymouth è

Il segretodel buon ginDISTILLATO PURO ED ECCELLENTI INGREDIENTI BOTANICI: ECCO LA FORMULA

PER IL PROTAGONISTA PRINCIPALE DI COCKTAIL E LONG DRINK

di Angelo Matteucci

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stato introdotto nuovamente anchealla gradazione alcolica di 57° defi-nita Navy strength. I gin classici sonoprodotti con alcol di finissima qua-lità da cereali, barbabietola da zuc-chero o melassa al quale sonoaggiunti gli ingredienti botanici perun’ultima distillazione in alambiccodiscontinuo con conseguente estra-zione degli aromi. Bombay Sapphire,prodotto in Gran Bretagna, ha unsistema differente di distillazione conl’estrazione degli aromi nella partefinale dell’operazione tramite il vapore alcolico. La composizione degli ingredienti per la produzione delgin varia secondo la scelta del produttore. La base pertutti è composta dalle bacche di ginepro con una spe-ciale richiesta per le italiane o della ex Jugoslavia. Siaggiungono altri elementi tra i quali citiamo le scorzedegli agrumi, quali limone, arancia amara, arancia dolce,lime, mandarino, clementina, pompelmo provenienti daiPaesi del Mediterraneo, Messico ed i Caraibi. Semi dicardamomo dall’Estremo Oriente, radici di angelica daiPaesi Bassi, rizoma di giaggiolo dalla Toscana, semi dicoriandolo dalla Russia, cassia dall’India, mandorle dallaTurchia ed altri. Gli ingredienti, vengono selezionati estagionati nei magazzini delle distillerie fino a 18 mesiper un maggior controllo sulla qualità.Nel 2000 dall’Inghilterra è stata introdotta sul mercatola nuova qualità Tanqueray 10, creata in base ad undiverso criterio; oggi la frutta anche tropicale viaggia conmezzi più veloci giungendo a destino pochi giorni dopoil raccolto. Fu deciso pertanto di unire a purissimo alcolagrumi freschi come arancia, pompelmo e lime, taglia-ti a spicchi oltre a particolari elementi botanici anch’es-si freschi. L’infuso è quindi distillato nel piccolo alam-bicco tradizionale numero 10utilizzato per quasi mezzosecolo per sperimentare par-tite limitate. Il risultato è unnuovo tipo di gin, più fragran-te e fresco rispetto alla quali-tà tradizionale. Simile sceltaè stata fatta alla distilleriaspagnola Larios cui oltre allaqualità tradizionale creata nel1866 si è recentemente ag-giunto Larios 12 che com-prende dodici ingredienti trai quali risaltano per freschez-za ed aromi citrici ben seiqualità di agrumi. In Franciasegnaliamo Cidatelle Gin pro-dotto dal 1771 a Dunkurquesulla Manica da distillato difrumento e, unico al mondo,con ben 19 ingredienti bota-nici che lo rendono comples-so ed equilibrato. Negli StatiUniti abbiamo principalmen-te due tipologie differenti di

produzione: tipo London Dry Gindefinito Hard Gin e American DryGin (soft). Seagram’s è il più cono-sciuto in Nord America con il clas-sico Extra Dry e la qualità Reservecoadiuvati da una serie di gin aro-matizzati. Gli italiani sono buoni consumato-ri di gin: molti scelgono la marcafavorita tra le più conosciute. Unarichiesta generica lascia al barmanla libertà di scelta che potrebbe esse-re negativa essendo il mercato del

gin composto anche da prodotti anonimi di qualità sca-dente. Anche nel nostro Paese domina il Gordon’s Drygin seguito a distanza da Bosford, Larios, BombaySapphire, Tanqueray, Beefeaters e Gilbeys. Un capitolo a parte è dedicato ai prodotti consumati liscisecondo la più antica tradizione del Benelux e del NordEuropa. In Olanda si trovano produzioni di Jenever conun numero limitato di ingredienti. I maggiori produt-tori sono Bols e De Kuyper. Quest’ultimo fondò la suadistilleria nel 1695 e già nel 1827 esportava la maggiorparte dei suoi prodotti alla famosa Azienda Mathew Clarkdi Londra che provvedeva a distribuirli non solo inInghilterra ma in tutte le colonie britanniche. Le quali-tà più vendute sono due Jonge e Oude ed hanno untenore più basso di alcol (37,5°) rispetto al gin in gene-rale. Alcune sono ancora imbottigliate in recipienti diterracotta. Bols ne commercializza una chiamataCorenwyn. La differenza tra le tre tipologie è dovuta allaquantità di distillato di cereale prodotto in alambiccodiscontinuo (moutwjn) almeno il 2% per la qualità Jonge,oltre il 15% per Oude ed oltre il 50% per Corenwyn. Ilrimanente alcol proviene da distillazione continua. Infinesi trova sul mercato la specialissima qualità Schiedam

Moutwjngenever in purezza(100% distillato in alambicco).In Belgio si trovano leGraanjenever di Hoorebeke, fon-data nel 1740, Peket DeHouyene Smeets. Infine in Germaniasul Mare del Nord troviamo laproduzione di Dornkaat, undistillato particolarmente deli-cato.

� Ernest Hemingway cita più volte il gin nel suo romanzo “Di là dal fiume e tra gli alberi”

� Il Martini Dry faceva partedelle 6 ricette fondamen-tali del “The Fine Art ofMixing Drinks” di David A.Embury, del 1948.La ricetta proposta daEmbury era la seguente:7 parti di gin inglese1 parte di vermouth (dry)

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Acq

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Abbiamo già parlato su queste pagine della cor-retta definizione di acqua minerale e delle carat-teristiche che la differenziano dalle altre tipolo-

gie di acque, non trattate, di sorgente, e quelle tratta-te, quelle degli acquedotti (le cosiddette “acque del sin-daco”) e le acque purificate. A nostro avviso appare, però, utile, per il sommelier,un particolare approfondimento sulle molteplici pecu-liarità che contraddistinguono e differenziano le acquedefinite, appunto, minerali rispetto a quelle delle restan-ti tipologie. Ricordiamo che queste ultime, per essereconsiderate tali, devono ottenere il riconoscimento daparte del Ministero della Salute e vengono identifica-te, come recita il decreto legge 399 del 4 agosto 1999con quelle acque che “avendo origine da una falda ogiacimento sotterraneo, provengono da una o più sor-genti naturali o perforate e che hanno caratteristicheigieniche particolari e, eventualmente, proprietà favo-revoli alla salute”. Per quanto riguarda tale riconoscimento il relativo decre-to prevede, in riferimento alla parte chimica, quattroanalisi consecutive stagionali il cui risultato deve neces-sariamente confermare che la composizione delle sud-dette acque è, assolutamente, conforme a quanto pre-visto dalla normativa. L’origine profonda delle acqueminerali è garanzia di purezza e di sicurezza sotto ilprofilo igienico. La particolare configurazione delle fontidovrebbe, inoltre, garantire in qualsiasi periodo del-l’anno le medesime caratteristiche chimico – fisiche,nonché le medesime caratteristiche e sensoriali. Lacomposizione di un'acqua minerale è definita da ben48 parametri la cui tipologia è indicata dal Decreto n.542/92, modificato con il più recente D.M. 31 mag-gio 2001 ed, ulteriormente aggiornato con il D.M. del29 dicembre 2003, che stabiliscono la ricerca e la deter-minazione sia dei principali componenti delle acque,sia dei possibili contaminanti delle stesse, oltre ai limi-ti massimi di concentrazione di alcune sostanze. L’etichetta, secondo il D.Lgs 105/92, deve almeno ripor-tare come informazioni e diciture: 1) "Acqua mineralenaturale", con l'eventuale aggiunta di indicazioni riguar-

danti il livello di gasatura, 2) la denominazione dell'ac-qua e il nome della località d'origine, 3) i risultati del-l'analisi chimica e fisico-chimica, che vanno aggiorna-ti almeno ogni 5 anni, 4) la data in cui sono state ese-guite tali analisi chimiche ed il laboratorio che ha ese-guito le stesse 5) il contenuto nominale del recipiente(che in Italia non può, comunque, essere superiore a 2litri) 6) il titolare del provvedimento di autorizzazioneall'utilizzazione 7) il termine minimo di conservazionee 9) la dicitura di identificazione del lotto di produzio-ne. La Circolare n. 19 del 12 maggio 1993 del Ministerodella Sanità riferisce, invece, i parametri chimici e chi-mico-fisici che devono essere obbligatoriamente indi-cati in etichetta come gli elementi caratterizzanti l'ac-qua minerale espressi in mg/l, compresi gli elementicontaminanti o indesiderabili eventualmente presenti,la conduttività (cioè la conducibilità elettronica, la qualedipende dalla quantità di sostanze con carica elettrica,ovvero gli ioni, disciolte in essa), il residuo fisso (la quan-tità, solitamente indicata in milligrammi, di sali mine-rali presenti in un litro d’acqua fatta completamenteevaporare alla temperatura di 180°), il ph e la CO2 libe-ra alla sorgente (fatta eccezione per le acque mineralisottoposte a trattamenti consentiti, che comportano lavariazione di tali parametri). La circolare n. 19 non spe-cifica, però, con esattezza cosa si intenda per elemen-to caratterizzante, il che può consentire la commercia-lizzazione di acque con etichette in cui non vengonoindicati alcuni elementi, comunque rilevanti, quali,ad esempio, il sodio ed i nitrati. Il D.M. 11 settembre2003 prevede, invece, che in etichetta vengano ripor-tate indicazioni riguardanti il contenuto di fluoro el’eventuale trattamento con aria arricchita di ozono. Inparticolare le acque minerali naturali la cui concentra-zione di fluoro è superiore a 1,5 mg/l, devono riporta-re in etichetta “Contiene più di 1,5 mg/l di fluoro:non ne è opportuno il consumo regolare da parte deilattanti e dei bambini di età inferiore a sette anni”. Taledicitura deve figurare nell’ immediata prossimità delladenominazione dell’acqua, in caratteri nettamente visi-bili. Le acque minerali naturali sottoposte a trattamen-

Si fa presto a dire

di Davide Oltolini

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acqua…to con aria arricchita di ozono devono menzionare inetichetta, in prossimità dell’indicazione della composi-zione analitica, la dicitura: “Acqua sottoposta ad unatecnica di ossidazione all’aria arricchita di ozono”. Ma quali sono le operazioni ammesse su di un’acquaminerale? La captazione, la canalizzazione, l’elevazio-ne meccanica, l’approvvigionamento in vasche o serba-toi, la separazione dagli elementi considerati instabilicome i composti del ferro e dello zolfo. Tali trattamen-ti vengono effettuati tramite decantazione, termine caroa noi sommelier (ovvero tramite sedimentazione per gra-vità) o per filtrazione. Il termine captazione, che deri-va, evidentemente, dal termine captare, identifica il pre-lievo di acque dall'ambiente. Tale prelievo può essere effettuato in superficie, adesempio da fiumi e corsi d'acqua, magari attraversouna derivazione, o in profondità da falde raggiungibilitramite appositi pozzi. Tra le operazioni ammesse vi è,inoltre, l’eliminazione parziale o totale dell'anidride car-bonica libera, nonché l’incorporazione o la reincorpo-razione dell’anidride carbonica stessa. Il tutto va, ovvia-mente, effettuato mediante procedimenti ben precisi. Itrattamenti non ammessi sono, invece, quelli di pota-bilizzazione, quelli che comportano l’impiego di sostan-ze battericide o batteriostatiche e qualsiasi altro trat-tamento suscettibile di modificare il microbismo del-l'acqua minerale naturale. Per potabilizzazione si inten-de l’insieme dei trattamenti a cui viene sottoposta l’ac-qua, prelevata da un pozzo o da un invaso superficia-le, quale un lago, un fiume o un torrente, per essereresa conforme a quelli che sono i parametri, ovvero lecaratteristiche chimiche e fisiche perché possa esse-re consumata senza danno per la salute, determinatidalle normative vigente. Per ciò che concerne la confezione delle acque minera-li un tempo questa era unicamente in vetro. Attualmentenel nostro paese ne esistono di tre differenti tipologie.Oltre al vetro vi è, infatti, anche la plastica, ovvero ilPVC, cioè il cloruro di polivinile, polimero plastico for-mato da una catena di molteplici unità di cloruro divinile monomero, costituite dall'unione di etilene e cloro

ottenuti, rispettivamente, dal petrolio e dal sale mari-no. Sempre afferenti alla tipologia comunemente defi-nita plastica abbiamo le confezioni in Pet, cioè il polie-tilene tereftalato o polietilentereftalato, resina termo-plastica adatta al contatto alimentare (come da Direttiva2002/72/CE della Commissione Europea e successi-ve modifiche 2004/19/CE). Si tratta di un materialeparticolarmente apprezzato per il confezionamento, siadal punto di vista estetico rispetto ad altri materiali pla-stici, sia per il suo grado di resistenza meccanica (lacapacità di resistere a “forze” esterne senza subire rot-ture o modifiche di forma e la dimensione) che per quel-lo di permeabilità ai gas. Il Pet, diffusosi a partire daglianni Ottanta è, attualmente, impiegato in Italia per itre quarti del totale delle bottiglie di minerale. Una tendenza comune a molti Paesi, tranne che inGermania dove, grazie all’uso ancora particolarmenteradicato del vuoto a rendere, il vetro mantiene ancorauna supremazia anche dal punto di vista quantitativo.Oltre che nei confronti delle altre materie plastiche ilPet deve il suo successo proprio ai vantaggi che gli ven-gono attribuiti nei confronti dell’impiego del vetro, ovve-ro il peso inferiore, l’infrangibilità, i minori costi di pro-duzione ed i considerevoli risparmi in fase di stoccag-gio e di distribuzione. A tal proposito basti pensare cheun autotreno di medie dimensioni è in grado di traspor-tare circa 19.000 litri di acque in vetro o, in alternati-va, ben 26.500 litri di acque in plastica. I formati dellebottiglie sono da litri 2, da litri 1.5 , da litri 1 e da litri0.5, oltre ai formati da litri 0.33 e da litri 0.25 creatinell’ottica di sostituire il consumo dell’acqua “al bic-chiere” ovvero “sfusa”. E’ necessario ricordare che iwater coolers, ovvero i cosiddetti “boccioni”, possonocontenere sia acque trattate, cioè acque di acquedottoed acque purificate, sia acque di sorgente, ma, per legge,non possono contenere acque minerali. La terza tipo-logia di confezione, oltre al vetro ed alla plastica, cheha, comunque una diffusione di gran lunga inferiorerispetto alle precedenti, è quella in cartone politenato,maggiormente conosciuto al grande pubblico con il ter-mine di “brick”.

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A Londra il gelato

parla italiano

Dagli austeri palazzi del potere finanziario dellaCity agli allegri vicoli di South Kensington perdeliziare i sudditi di Sua Maestà con succu-

lente coppe di gelato. La storia di Christian Oddono,esperto di “corporate finance” diventato il gelataio piùpremiato e osannato di Londra, è tutta da raccontare.Mentre la crisi finanziaria devasta la City e i mercaticrollano, gli inglesi fanno la fila per comprare il cono alpistacchio siciliano o alla nocciola piemontese. E il meri-to è tutto suo e della sua infallibile lungimiranza.Dopo una laurea alla Bocconi, Christian sbarca nellacapitale britannica e grazie al suo talento ottiene unimpiego di prestigio nella City come direttore per laricerca sull’attività azionaria di una famosa societàfinanziaria. Il lavoro va a gonfie vele. Sono gli anni delboom economico e Christian è avviato verso una lumi-nosa carriera nel mondo della finanza. Ma dentro di sécontinua a coltivare un sogno che insegue da oltre dieci

anni: diventare imprenditore, aprendo una società lega-ta al mondo del cibo e degli alimenti di qualità. Così,mettendo a frutto la sua esperienza nelle ricerche dimercato, Christian capisce che a Londra, capitale euro-pea dove si può trovare veramente di tutto, ciò chemanca è una gelateria artigianale di qualità. Si togliela giacca e la cravatta, si rimbocca le maniche, trovaun partner, Marco Petracchini, ex manager delle caf-fetterie “Starbucks” e il gioco è fatto. Nel 2004 a SouthKensigton, nel cuore della Londra più esclusiva, nascela gelateria “Oddono’s” che oggi è divenuta una cate-na con quattro punti vendita e la prospettiva di trasfor-marsi in franchising.Abbiamo incontrato Christian nella sua gelateria allespalle del “Victoria and Albert Museum” in un pome-riggio assolato di fine aprile per farci raccontare, tra uncono e una vaschetta di vaniglia, fragola e cioccolato,i motivi di questa scelta e il segreto del suo successo.

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Perché proprio il gelato? “Il gelato è una passione che ho sinda bambino, da quando mia nonnafaceva il gelato alla vaniglia sul for-nello. Sono cresciuto con questoodore penetrante in cucina…”

E a Londra c’era lo spazio per unagelateria italiana? “Sì, mi sono accorto subito che nonc’era il buon gelato artigianale italia-no e ho capito che si poteva sfrutta-re questa opportunità”.

Quest’idea come è cresciuta, comesi è sviluppata? “L’idea è stata quella di cercare di col-

mare un vuoto d’offerta. All’inizio erapoco più di un hobby, poi ho cono-sciuto Marco, manager di Starbucks,e insieme abbiamo aperto questagelateria. In poco tempo da hobby siè trasformato in un vero e propriobusiness in costante crescita”.

Ma passare dal mondo della finanzaa quello della gelateria è un salto piut-tosto azzardato. Non crede? “Diciamo che io mi sono sempre con-siderato un imprenditore prestatoalla finanza. In realtà durante il miolavoro precedente di corporate finan-cing e di head of research ho appro-fondito il settore marketing e mi sono

IL BUSINESSMAN CHRISTIAN ODDONO HA APERTO UNA GELATERIA

E I LONDINESI FANNO LA FILA PER GUSTARE LE SUE SPECIALITÀ ARTIGIANALI

di Stefano Tura*

▲ Marco Petracchini e ChristianOddono sono stati premiati al Great Taste Awards 2008

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certamente serviti gli studi e l’atti-vità precedente per creare e svilup-pare quest’azienda del gelato”.

Le è risultato difficile aprire quest’im-presa? “No, anzi è stato molto facile perchéla Gran Bretagna e Londra in parti-colare sono il luogo ideale per inizia-re questo tipo di attività. Tanto perdarle un’idea, la società a cui ho datovita è una Limited Company, l’equi-valente di una Srl. L’ho creata su Internet spendendo50 sterline con una sterlina di capi-tale e in tre giorni mi sono arrivatitutti i documenti. In più il governobritannico, che ha avviato un pianoper sostenere la giovani imprese, miha offerto un contabile o un consu-lente legale, del tutto gratuitamente.E’ una situazione un po’ diversadall’Italia…”.

Oddono ha fin dall'inizio deciso difare solo gelati e sorbetti artigianali,senza usare conservanti o coloranti,neanche quelli naturali, e senzaricorrere all'utilizzo di semilavoratipronti , come il 95% delle gelaterieitaliane.

Lei ha voluto puntare solo su prodottinaturali, senza pensare ai costi. E’ forsequesto il segreto del successo dellagelateria? “L’innovazione è stata quella di crea-

re un prodotto di qualità come veni-va fatto una volta, con ingredienti fre-schi e selezionati. Noi siamo molto attenti a fare un gela-to di qualità, per esempio usando ilpistacchio di Bronte, le bacche di vani-glia del Madagascar o la nocciolaPiemonte. Non usiamo coloranti per-chè secondo noi sono inutili e spessodannosi”.

La gelateria ha un laboratorio avista con una grande finestra chepermette ai clienti di vedere comeviene fatto il gelato. Galen Weston, ilmiliardario proprietario dei magazzi-ni “Selfridges” ha assaggiato il gela-to di Oddono's e gli è piaciuto alpunto che ha voluto aprire un puntovendita all'interno del grande cen-tro di Oxford Street. Da allora ilnumero di gelaterie è cresciuto.

Chi sono i suoi clienti? “Ci sono molti italiani, molti france-si, ma anche americani e numerosimediorientali che apprezzano moltoil pistacchio, perché è un frutto chenasce dalle loro parti. Poi natural-mente i bambini. Qui intorno è pienodi scuole”.

Dal piccolo negozio del quartiere lasua impresa si sta allargando. “Sì, il progetto iniziale non era quel-lo di fare una gelateria e basta, il miointento era di creare un format per

espandere il business. Io vedo poten-zialità di crescere anche all’esteroperché manca secondo me una cate-na di gelaterie artigianali di qualitàa livello internazionale. Abbiamoavuto già richieste dal Medio Orientee dall'Asia. Tra due o tre anni poipotremmo quotare la società sull'Aimlondinese, la Borsa delle piccoleaziende”.

Mentre negozi e ristoranti chiudono acausa della recessione, la crisi eco-nomica sembra far aumentare gliaffari per le gelaterie Oddono’s.Perché, secondo lei?“Il gelato è un confort food, un pro-dotto che uno mangia quando hadelle preoccupazioni un po’ come ilcioccolato. E quindi chi si trova in cattive acquenon va al ristorante, non va in vacan-za ma si concede tranquillamente unbuon gelato”.

Non c’è il rischio che il gelato primao poi si sciolga? “Beh, speriamo di no, o forse speria-mo di sì perché se si scioglie signifi-ca che fa molto caldo. Quindi ci augu-riamo che finalmente il caldo arrivianche a Londra e che la gente abbiasempre più voglia di cibi freschi e diqualità”.

* Corrispondente Rai da Londra

▲ Marco Petracchini e Christian Oddono

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Un sorso di cultura

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Gocce

■■■ UN PRETESTO DI VINOStava acquistando una bottiglia divino, gesto che per il mondo occiden-tale fa parte della più innocua quo-tidianità, quando è stata arrestatadalla polizia iraniana. È successo allatrentenne giornalista americanaRoxana Saperi. Fermata con un pre-testo (quello, appunto, dell’acquistodi alcol in un paese musulmano, perdi più compiuto da una donna) lareporter è stata successivamenteincriminata per presunto spionaggiodalle autorità di Teheran.

■■■ UNA SPESA GENIALEAll’origine del primo cannocchialecreato da Galileo Galilei, c’è una listadella spesa. Una ricerca stabilisceinfatti il valore di un documentomanoscritto di Galileo conservatoalla Biblioteca Nazionale di Firenzee finora sottovalutato, il quale segnal'avvio della costruzione dello stru-mento. È una lista della spesa,appunto, scritta dallo scienziato allafine del novembre 1609 sulla partebianca di una lettera ricevuta daOttavio Brenzoni. Galileo si recava aVenezia per fare spese e, insieme aciò che serviva per la vita quotidia-na, annotò alcuni materiali con iquali realizzerà il telescopio prota-gonista delle sue rivoluzionarie sco-perte. Con il vino, lo zucchero e ilcappello per il figlio ci sono, infatti,la canna d'organo di stagno, i vetrispianati e le palle d'artiglieria perlavorare le lenti.

■■■ UNA FIGURA EMERGENTEAl lusso non c’è limite. Soprattuttose si parla di pezzi unici e altamen-te personalizzati. E a questa leggedel mercato non sfugge un bene tra-sversale come il vino. Quando infatti possedere la bottiglia

pregiata non basta più, il passag-gio successivo per i vip (soprattuttoamericani) porta direttamente nellevigne toscane dove, da qualche anno,sta dilagando sempre di più unnuovo servizio “su misura” per ilcliente disposto a non badare aspese. Cliente cioè capace di fareavanti e indietro dagli Stati Uniti peruna decina di volte con il solo obiet-tivo di creare, grazie alla figurasuperspecializzata del “wine consul-tant” (un assistente enologico che lemigliori cantine gli mettono a dispo-sizione) il bouquet che più si avvi-cina al proprio gusto personale.

■■■ UN’ANALISI IMPERIALEFederico II è stato un cultore dei pia-ceri della tavola e aveva trovato, inPuglia, terreno fertile per sviluppa-re ricette tra le più raffinate dell’epo-ca. Alcune delle quali arrivate fino aigiorni nostri sotto forma di piatti tipi-ci locali (i cavatelli, per esempio) eaddirittura internazionali (le crespel-le, erroneamente attribuite alla cul-tura culinaria francese). È proprio loSvevo (protagonista di una dellenostre interviste immaginarie, vedi“De Vinis” n. 85) a essere considera-to l'antesignano della gastronomiameridionale e pugliese. Lo ha sotto-lineato, analizzando il Liber de coqui-na e il Meridionale, due famosi ricet-tari del periodo, Anna Martellotti,docente di Storia della lingua tede-sca all'Università di Bari, nel suolavoro "I ricettari di Federico II”. «Lacucina del Mezzogiorno di Federicoè la migliore di tutta l'Europa, eccel-le anche su quella francese ancoraarretrata», è la teoria della docente.Per avere un’idea di quanto tenessein grande considerazione l’aspettodel gusto, basti ricordare i prepara-tivi del Colloquium di Foggia dell'8

aprile 1240. Per l'occasione (l'assem-blea di tutti i funzionari, giustizierie dignitari regi) Federico ordinò 200prosciutti dall'Abruzzo, 100 barili divino siciliano, 500 montoni calabre-si e 600 forme di cacio siciliano. Unacuriosità: anche durante gli spo-stamenti in Italia settentrionale,Federico si faceva mandare gliapprovvigionamenti dal Sud perchésulla sua tavola, ovunque egli fosse,non potevano mancare vino, pro-sciutto, pasta e olio, rigorosamenteDoc.

■■■ UNA LAUREA POCO SOBRIAAlla prestigiosissima università diCambridge, in Inghilterra, il rito diiniziazione delle matricole è tuttotranne che contenuto. Lo ha rivela-to il giornale degli studenti dell’ate-neo, Varsity, e tra i riti troneggia unosmodato consumo di alcol. Un paiodi esempi? Bere quattro pinte di birrae ingurgitare il naso di un maiale (iltutto in tre minuti), o ingerire setteportate di cibo intervallate da unabottiglia di vino ciascuna.

di Valentina Pillot

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Abruzzo, ecco cosa rischiamo

di perdere

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Terr

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Se si dovesse scegliere soltanto una tra le tante considerazioni chesono state fatte in relazione alla tragica vicenda del terremoto inAbruzzo, non v’è dubbio che quella maggiormente evidente sia stata

la dignità espressa dagli abruzzesi. E’ una caratteristica peculiare di que-sto popolo fiero che nella sua storia ha saputo sempre reagire, agli oppres-sori come alle calamità, senza per questo essere mai arrogante e provoca-tore. Dunque non è un caso che l’Abruzzo sia definito “forte e gentile”: fortenel rimanere aggrappato alla sua terra e alle sue tradizioni, gentile nell’ac-cogliere i visitatori e nell’offrire quello di cui dispone. E non è un caso chequesta sia considerata tra le regioni che meglio abbia saputo conservaretanto il proprio territorio – con oltre il 30% del quale è protetto da tre par-chi nazionali, da una dozzina di riserve nazionali e regionali e da nume-rose oasi è definita la “Regione Verde d’Europa” – quanto le proprie abitu-

dini alimentari, fatte di prodotti e dipreparazioni tradizionali (144 sonole voci attualmente inseritenell’Atlante pubblicato dalla RegioneAbruzzo) che non sono state influen-zati dal volgere dei secoli, ma cheanzi in alcuni casi si sono rivelatianticipatrici di tendenze. E’ vero nella gastronomia, visto chela scuola alberghiera di Villa S. Mariaè ritenuta la prosecuzione di quelcenacolo culinario che la famigliaCaracciolo avviò nel XVI secolo: oggiquesto borgo non è soltanto il luogodove è nato il patrono dei cuochi ita-liani San Francesco Caracciolo (alquale il 13 ottobre di ogni anno èdedicata una grande festa culinaria),ma anche il punto di partenza didecine di “munzù” destinati al ser-vizio nelle case nobili e nelle piùimportanti cucine di tutto il mondo.Ed è ancor più vero in campo enolo-gico: nonostante negli anni ’90 inmolte zone d’Italia fu grande la spin-ta all’inserimento cosiddetti vitigni

di Massimo Di Cintio

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“migliorativi” – intesi per tali i vitigni internazionali più diffusi – la piatta-forma ampelografica dell’Abruzzo è rimasta pressoché intatta, basata peril 90% sui due vitigni storicamente più importanti, il Montepulciano e ilTrebbiano che danno origine alle due Doc principali, ed è andata via viariscoprendo e rilanciando alcuni vitigni autoctoni diffusamente presentiin molte aree del territorio, come il Pecorino, la Passerina, la Cococciola eil Moscato di Castiglione a Casauria. Oggi il vigneto Abruzzo conta circa33 mila ettari, concentrati sulla collina litoranea, ma con alcune microzo-ne anche nelle aree interne, nelle piane e nelle zone pedemontane: in par-ticolare, oltre il 75% dei vigneti è coltivato nella provincia di Chieti, segui-ta da Pescara e da Teramo con circa il 10% ognuna e infine da L’Aquila conmeno del 4%. Una provincia, quest’ultima, che è stata la culla del vitignomontepulciano (qui in gran parte coltivato dalla metà del 1700 ai primi del1900, per poi svilupparsi quasi per intero sulle colline litoranee) e che inconseguenza del terremoto ha registrato solo qualche danno in alcune strut-ture di cantina, fortunatamente non così grave da impedire la prosecuzio-ne delle attività.Si evince come la conformazione dell’Abruzzo abbia reso buona parte delterritorio naturalmente predisposto alla vitivinicoltura, con i vignetiubicati tra il mare e le montagne più alte dell’Appennino, colloca-zione che garantisce infatti buone escursioni termiche tra gior-no e notte che, associate ad una buona ventilazione, dona-no alla vite un microclima ideale per vegetare e produr-re uve di straordinaria qualità. Nella grande maggio-ranza dei casi i terreni hanno una struttura sab-bioso-argillosa, generalmente sciolti o di medioimpasto, con spessore variabile in relazionealla pendenza e alla esposizione e con bassaritenzione idrica. Il panorama produttivo vede oggi impe-gnate circa 170 tra aziende private ecooperative (40 delle quali aderenti alMovimento Turismo del Vino) chenell’ultimo decennio si sono dimo-strate capaci di conquistare con-sensi di critica e di mercato concirca 110 milioni di bottiglie:se da un lato i vini abruzze-si crescono costantementenel numero di riconosci-menti assegnati sia daiconcorsi – da tre anni ilMontepulciano d’Abruzzoè la Doc più premiata alVinitaly e il Cerasuolo dadodici anni conquistaalmeno due delle tre meda-glie a disposizione nella cate-goria “Rosati doc” – sia dalleguide e dalle riviste nazionali edinternazionali, dall’altro continua-mente hanno ampliato il proprio rag-gio d’azione sul mercato italiano (doveè uno dei vini più venduti negli iper e neisupermercati) e soprattutto all’estero, dovefinisce il 50% della produzione. I dati (fonteIce) dicono che l’Abruzzo ha aumentato il valo-re delle sue esportazioni da 51 a 78 milioni dieuro nel periodo tra il 2003 e il 2008, con unacrescita superiore alla media italiana, sintomo evi-dente di un maggiore riconoscimento del loro valo-re dei vini: se la metà delle esportazioni sono assor-bite in parti quasi uguali da Usa e Germania, l’appealdei vini abruzzesi è crescente negli altri Paesi del centro(Inghilterra) e del nord Europa, e nei nuovi mercati di

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Giappone, Brasile, Cina e Russia. Si tratta di risultati che si spieganoprevalentemente con lo straordinario rapporto qualità/prezzo dei suoi vinia denominazione di origine. Se al Montepulciano d’Abruzzo “CollineTeramane” Docg (8 mila hl.) si assegna il ruolo di punta avanzata, laparte del leone la fa il Montepulciano d’Abruzzo Doc (che nel 2008 ha com-piuto 40 anni) con circa 800 mila ettolitri nelle due versioni rosso e Cerasuolo,seguito dal Trebbiano d’Abruzzo Doc con 200 mila hl. e dal ControguerraDoc (3 mila), mentre l’ultima arrivata Tullum o Colline Tollesi ha fatto ilsuo esordio con la vendemmia 2008. Da questi numeri risulta evidente come il vino in Abruzzo, con un volumedi affari annuo di 350 milioni di euro (il 28% della produzione lorda ven-dibile agricola) rappresenti una voce importante nell’economia e un sup-porto determinante per contribuire ad innescare il meccanismo virtuosodella rinascita dopo il terremoto. Si tratta di un patrimonio produttivo viva-ce e dinamico che si trova ad affrontare i prossimi anni con tante novitàcon l’obiettivo di esaltare le singole zone di produzione, per certi versi ine-splorate o non adeguatamente valorizzate nelle loro peculiarità. Si tratta di un processo avviato con la vendemmia 2006 con l’aggiorna-mento del disciplinare della Doc Montepulciano d’Abruzzo il quale oggi pre-vede la versione “Riserva” e due nuove denominazioni aggiuntive per ivini prodotti nelle sottozone Terre dei Vestini” e “Casauria o Terre di Casauria”(anche per loro c’è la versione “base”, commercializzabile dal 1 novembre2008 con l’annata 2006, sia la Riserva), rispettivamente nei territori delnord-ovest fin sotto il Gran Sasso, e del sud-ovest fino al confine con laprovincia di L’Aquila. Proprio i produttori aquilani non si sono fatti sfuggire l’occasione di esal-tare le produzioni di montagna e hanno inoltrato la richiesta di trasforma-zione delle attuali Igt Alto Tirino e Valle Peligna in sottozone delMontepulciano d’Abruzzo Doc, e la istituzione della nuova Igt “Terre Aquilaneo di L’Aquila”; in provincia di Chieti, oltre all’uscita dell’annata 2008 deivini più giovani targati Doc “Tullum o Colline Tollesi” (che prevede diecitipologie), si avvierà alla conclusione della procedura per la nuova Sottozona“Teate” per il Montepulciano d’Abruzzo. Sempre nei prossimi mesi il Comitatonazionale vini vaglierà l’istanza per un disciplinare autonomo destinatoal Cerasuolo d’Abruzzo (oggi è una tipologia della Doc Montepulcianod’Abruzzo) e per la modifica del Trebbiano d’Abruzzo, che comprende lenuove versioni Superiore e Riserva con almeno 18 mesi di invecchiamen-to. In itinere, infine, anche la nuova Doc Abruzzo che ricomprenderebbevarie tipologie e la tutela di vini da monovitigno Montonico, Passerina,Pecorino, Cococciola e Malvasia.

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Mai come in questi ultimianni nel panorama enologi-co internazionale si dibatte

in maniera approfondita sul concet-to di cultura del vino. Musica per leorecchie di chi, come noi, fa parte diuna fantastica associazione che neisuoi quasi 45 anni di vita ha sem-pre compiuto il proprio dovere alfianco del vino di qualità, individuan-do nella formazione e nell’educa-zione al bere il filo conduttore di granparte della sua attività. Di esempimessi in campo per far crescere laconoscenza in questo settore se nepossano fare moltissimi: mi permet-to allora di analizzare il contributoche l’Ais ha dato alla cultura enolo-gica del nostro paese, prendendoin prestito alcuni modelli di riferi-

mento con cui ho una certa familia-rità perché avvengono nella regionein cui vivo, ma che trovano sicura-mente parecchi elementi in comunecon quanto avviene in molte altreregioni d’Italia.In Liguria gli appuntamenti della pri-mavera si arricchiscono infatti ditutta una serie di eventi di grandefascino legati al mondo del vino. E’ben noto che stiamo parlando di unaterra in cui l’accoglienza verso que-sto tipo di manifestazioni è semprestata piuttosto tiepida. La maggiorparte di queste, solo dopo poche edi-zioni, ha gettato la spugna oppuresi è ridimensionata verso traguardimeno ambiziosi ed orientati preva-lentemente in un ristretto ambitolocale. Sono poche infatti quelle ras-segne che hanno radicato la loro pre-senza in un calendario consolidato.Una di queste è sicuramenteVinidAmare, giunta quest’anno allasua sesta edizione, che si svolgerà aCamogli il 18 maggio. La nostra com-plicità in questo caso è molto eviden-te in quanto l’Associazione italianasommelier ne è stata la promotricenel 2004 e tuttora figura tra gli entiorganizzatori, col comune di Camoglie col Sistema turistico locale delleterre di Portofino. Stiamo parlandodi una manifestazione in cui il con-testo ambientale della passeggiata amare del piccolo borgo, dove il rumo-re discreto dei tappi estratti dalle bot-tiglie e il fluire lento nei bicchieri diprodotti di grande pregio, degustatisullo sfondo del Mar Ligure, costi-tuisce già di per se un ottimo punto

Una Liguriada bereTRE APPUNTAMENTI

DI GRANDE FASCINO

DA SCRIVERE IN AGENDA

ARRICCHISCONO

LA PRIMAVERA

DI SOMMELIER

ED ENONAUTI

di Antonello Maietta

▲ Elisabetta Caviglia, vicesindaco di Camogli, con Pierfranco Schiaffino,delegato agli eventi Ais Liguria

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di partenza. La possibilità poi di degustare i vinidelle aziende più rappresentativedella regione, sotto lo sguardo sod-disfatto dei produttori e con la com-petente assistenza dei sommelierdell’Ais conferisce un ulteriore valo-re aggiunto all’evento. C’è stato per-tanto negli anni un crescendo di par-tecipazione ed oggi, grazie alla pre-senza di circa 80 cantine, VinidAmaresi caratterizza praticamente comel’unica rassegna in Liguria che pre-vede la partecipazione pressochétotale delle aziende di qualità.Probabilmente grazie ad una formu-la molto snella che per un interopomeriggio consente tanto agli esper-ti di vino, quanto ai semplici appas-sionati, di scambiarsi reciprocamen-te i commenti sulle caratteristiche diciascuna tipologia degustata.Quest’anno la manifestazione diven-terà ancora più appetibile grazie adun piccolo preambolo che nelle gior-nate di sabato 16 e di domenica 17vedrà protagonista l’entroterra conalcune visite guidate sul territorioche culmineranno alle ore 19.00 conuna degustazione di vini liguri rispet-tivamente presso il Borgo dei Fieschi,nei pressi di Lavagna, ed il Cenobiodei Dogi a Camogli. Inoltre nel corsodella manifestazione verrà assegna-to il prestigioso Premio VinidAmare -Ais Liguria e Comune di Camogli, con-ferito quest’anno al noto giornalistaFranco Ziliani.

Faremo appena in tempo ad assimi-lare le nostre nuove conoscenze chegià ci attenderà un altro irrinuncia-bile evento, dal taglio un po’ più enci-clopedico, che spazia dunque sututta l’Italia del vino, con rapide diva-gazioni anche all’estero. Lunedì 15Giugno il Palazzo Ducale di Genovae le splendide sale che nel 2001hanno ospitato il G8, accoglierannoTerroir Vino, orgoglio di TigullioVino.ite del suo giovanissimo patron Filippo

Ronco, geniale, competente e polie-drico personaggio del vino con unalaurea in giurisprudenza e un diplo-ma di sommelier Ais nel cassetto. Lastoria di questo evento che Filippoama definire, con la tipica prudenzadei liguri, “un percorso graduale fattosempre con i piedi ben saldi perterra”, iniziò praticamente nel 2000,quando la commissione degustatri-ce di TigullioVino.it, il sito web da luicreato, incominciò a recensire cen-tinaia di campioni di vini inviati dalleaziende italiane. Nel 2002 poi nellapluripremiata trattoria La Brinca,condotta con grande competenza dalsommelier professionista SergioCircella a Ne, nell’entroterra diChiavari, prese forma un premio acadenza annuale, destinato ai miglio-ri vini degustati, occasione tra l’al-tro di incontro tra la commissione,gli appassionati, la stampa ed i pro-duttori dei vini segnalati. L’eco di unlavoro così serio e capillare impiegòpochissimo tempo a varcare i confi-ni della Liguria cosicché la crescitadi dimensioni e di notorietà che negliultimi anni aveva visto protagonistaTigullioVino.it sulla rete, indusse apensare ad un momento di incontroun po’ più grande rispetto a quelloche era stato inizialmente concepito,trasformandolo in un vero e proprioevento sul vino a carattere naziona-le. La prima edizione del TigullioVino.itMeeting debutterà quindi nel 2005tra le mura amiche della trattoria LaBrinca e manterrà questo nome finoalla terza edizione, con il consuetoobiettivo di portare avanti l’annualepremio e di presentare al pubblico edagli operatori la selezione delle azien-de effettuata dalla propria commis-sione degustatrice. Il tutto sarebbeservito anche a dare vita ad unmomento con maggior fisicità di con-fronto e di dialettica, in considera-zione del fatto che durante tutto l’ar-co dell’anno i contatti più frequentitra gli attori della filiera avvenivano

sul web. Nei due anni successivi lamanifestazione si spostò per ragionidi spazio e di logistica a Rapallo,presso l’Excelsior Palace Hotel, pas-sando dalle iniziali 30 adesioni dellaBrinca alle circa 90 della terza edi-zione. Ma il grande salto avverrà nel2008, con il trasferimento della mani-festazione a Genova nella prestigio-sa sede di Palazzo Ducale con pocopiù di 130 espositori selezionati.Cambia il luogo e cambia anche ilnome, passando a quello attuale diTerroir Vino con l’obiettivo di enfatiz-zare, anche nel nome, l’intimo lega-me che deve risiedere tra un prodot-to e l’ambiente da cui prende vita.Inoltre, lo spirito e la promessa dellamanifestazione, ossia l’incontro trail vino, le persone e il web, intendo-

▼ Il logo di ''TigullioVino.it''

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Per informazioni più dettagliate sulle varie manifestazioni:VinidAmare su www.vinidamare.comTerroir Vino su www.terroirvino.itLiguria da Bere su www.speziafiere.it

no sottolineare la costante necessi-tà di confronto tra i produttori, gliaddetti ai lavori, il pubblico degliappassionati e gli operatori dell’in-formazione e della comunicazione.Il successo della rassegna, oltre chedalle capacità organizzative di unteam collaudato ed affiatato, è garan-tito anche dal rigoroso criterio di sele-zione delle aziende partecipanti, ope-rato attraverso il lavoro delle com-

missioni di degustazione. In partico-lare, tra tutti i vini degustati, vengo-no messi in evidenza i produttoried i vini che, oltre all’elevato livelloqualitativo ed all’eccellente rappor-to tra la qualità ed il prezzo, sianoanche riusciti a trasmettere le emo-zioni più forti, coniugate con il rispet-to del vitigno e del territorio di pro-venienza. Al di là delle mode o delblasone, vengono quindi segnalatiprodotti che meritano attenzione perla loro qualità, originalità ed anchefruibilità. L’Ais non è coinvolta diret-tamente in questo evento, è sufficien-te tuttavia scorrere l’elenco dei com-ponenti delle commissioni di assag-gio per percepire l’entità del contri-buto professionale di molti nostriassociati. Insomma per un’intera giornataPalazzo Ducale metterà da parte cen-tinaia di anni di storia, vissuti comeluogo di potere della Repubblica diGenova e di residenza dei suoi Dogi,per dare spazio ad una serie inter-minabile di piacevoli e nuove espe-rienze di degustazione che culmine-ranno con la consegna di tre premispeciali ad altrettanti produttoriintervenuti. Ci sarà infatti un rico-noscimento per il “miglior vino inassoluto”, conferito ad un’aziendache nell’ultimo anno di degustazio-ni si sia distinta per l’elevatissimaqualità dei propri vini, per la costan-za dimostrata su tutta la linea pro-duttiva, per il rispetto del territorioe per l'utilizzo di vitigni in partico-lare sintonia con il Terroir della zonadi produzione; un altro premio, desti-nato al “miglior vino per rapporto

qualità/prezzo”, sarà assegnato alprodotto caratterizzato dall’eccellen-te rapporto tra questi due parame-tri, senza tuttavia trascurare la tipo-logia, la zona di produzione ed ilnumero di bottiglie disponibili; perchiudere poi con il premio “una vitaper il vino” destinato ad una perso-na che abbia dedicato gran partedella propria vita al vino ed al vigne-to, con particolare riferimento all’im-pegno dedicato alla salvaguardia diun Terroir. La continuità con VinidAmare saràassicurata da uno spazio in cui verràpresentato il libro Vini di Liguria -VinidAmare nato dalla filosofia dellarassegna di Camogli. Si chiude infine con Liguria da Bere,l’evento organizzato da RegioneLiguria ed Unioncamere a La Speziadal 26 al 28 Giugno. Quest’ultimamanifestazione si rivolge ad un pub-blico molto eterogeneo e, in tutt’one-stà, non ha ancora trovato una suadimensione appropriata. Da que-st’anno è stata richiesta la collabo-razione dell’Ais per dare impulso evitalità alla rassegna attraverso unaserie di degustazioni mirate di gran-de spessore. Sarà quindi molto inte-ressante verificare al termine dellamanifestazione se anche in questocaso l’impronta dell’Associazione ita-liana sommelier avrà determinato ladifferenza.Una serie di date da segnare rigo-rosamente in agenda quindi, sia pergli operatori del settore sia per ilgrande pubblico del pianeta vino, peraccedere al magico universo dei pro-dotti che gravitano nel suo firma-

▲ Terroir Vino ospitato nel Palazzo Ducale di Genova

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E dall’incrocio magico nacque

l’Albarossa

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NEL 1938 GIOVANNI

DALMASSO DA

NEBBIOLO E BARBERA

FUSE IN UN'UNICA

VARIETÀ LE

CARATTERISTICHE E LE

QUALITÀ DEI DUE

VITIGNI PIEMONTESI

di Emanuele Lavizzari

uando si intraprende unpercorso enologico inPiemonte è bene teneresempre alla mano una

mappa dettagliata. Perché da que-ste parti nella miriade di denomina-zioni e fra le decine e decine di viti-gni coltivati non è sempre così age-vole orientarsi. E per il momento nonci sono ancora navigatori satellitariche possano venirci incontro perdistricarci tra le innumerevoli zonee sottozone di produzione.Tra le Langhe cuneesi e astigiane, lapianura alessandrina e la confinan-te Liguria ecco l’Alto Monferrato e in

particolare l’area di Acqui Terme.Qui, a cavallo tra le province di Astie Alessandria, fanno da padroniMoscato, Brachetto, Barbera eDolcetto. Ma da qualche anno si staritagliando uno spazio importanteun vitigno che per troppo tempo erastato lasciato in disparte: l’Albarossa.La sua storia inizia nel 1938 quan-do il professor Giovanni Dalmasso,uno tra i più autorevoli ampelogra-fi italiani, a quell’epoca direttore dellaStazione Sperimentale di Viticolturae di Enologia di Conegliano, lavoracon passione e competenza al miglio-ramento genetico delle uve da tavo-la e da vino allo scopo di ottenerevitigni che si adattino alle condizio-ni climatiche delle regioni settentrio-nali del nostro Paese. Tra i numero-si incroci effettuati figura anchel’Albarossa, uva a bacca nera conorigine genetica Barbera per Nebbioloche, nelle intenzioni del ricercato-re, unisce alle pregevoli qualità orga-nolettiche delle uve Nebbiolo le posi-tive caratteristiche di colore e ferti-lità del Barbera.Gli studi di Dalmasso, risalenti ormaia più di settant’anni fa e rimastichiusi per decenni in un cassetto,sono stati ripresi in tempi recenti.Innanzi tutto le ultime analisi delDna hanno definito l’esatta identitàdell’Albarossa: è un incrocio delNebbiolo di Dronero, genitore pater-no, con il Barbera, genitore mater-no. Nel 1999 la Regione Piemonteha autorizzato il progetto di speri-mentazione del vitigno presentato

▲ Il delegato Ais di Alessandria - Acqui, Giuseppina Raineri, con un gruppodi produttori di Albarossa

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▲ L'Enoteca Regionale di Acqui Terme

dal Comune di Bistagno sotto ladirezione scientifica del professorFranco Mannini del Centro diMiglioramento Genetico della Vite -Cnr di Torino. Alla ricerca ha fattoseguito la scelta di alcune aziendedell’area dell’Acquese di impiantarediverse vigne. Da qui la nascita delconsorzio “Le Grange di SanQuintino”, che si è impegnato a rac-cogliere il testimone di un lavoroscientifico di selezione per rispon-dere a criteri di qualità. Una sceltaper proporre un prodotto nuovo eoriginale, ma pur sempre profonda-mente legato attraverso il Barberaalla tradizione locale.

IL VITIGNO E IL VINOIl vitigno Albarossa è di media vigo-ria con produzione costante e abbon-dante, buona resistenza alle avver-sità atmosferiche e media resisten-za agli agenti parassitari. Il germo-gliamento tardivo rende necessarioriservargli i vigneti di collina conbuone esposizioni. Fioritura mediacosì come l’invaiatura e maturazio-ne tardiva. Il grappolo si presentamedio, corto, piramidale, alato connumero di acini medio e pedunco-lo corto. L’acino è piuttosto piccolo,corto, ellittico, con la sezione tra-sversale circolare, di colore blu-neroper l’elevata quantità di pruina. Lafoglia adulta è di grande dimensio-ne, pentagonale e pentalobata, conla pagina superiore verde scuro equella inferiore di colore più chiaro.Le viti, decisamente produttive in

uva, sono caratterizzate da notevo-le vegetazione e richiedono un deci-so diradamento a beneficio della qua-lità.Il vino, particolarmente ricco di anto-ciani e polifenoli, si presenta di colo-re rosso rubino con riflessi e sfuma-ture violacee. Un intenso profumofruttato si conferma alla degustazio-ne con note di prugna e frutti dibosco. Sapore ampio, acidità medio-alta e struttura sostenuta da unabuona dotazione tannica che nedetermina una notevole persistenzaal palato. La sensazione generale è

quella di un vino che possiede gran-di potenzialità di invecchiamento.Altra caratteristica significativa, comeci tengono a sottolineare i produtto-ri, è l’elevato contenuto di resvera-trolo, una molecola antiossidante,che numerose ricerche scientifichehanno dimostrato essere un elemen-to protettivo per il sistema cardiocir-colatorio e che al tempo stesso con-ferisce al prodotto grande longevità.Un giusto abbinamento di questovino è quello con carni rosse, selvag-gina di piume, formaggi stagionati esalumi.

Il fascino di Acqui TermeL’Alto Monferrato, contrariamente a quanto sembra suggerireil termine, si estende a sud del Basso Monferrato a partiredalla valle della Bormida sino a lambire le pendicidell'Appennino Ligure. Vienedelimitato a ovest dalla valledella Bormida di Spigno e aest dalla porzione occidenta-le della media valle Scrivia.Acqui Terme ne è considera-ta la “capitale” e deve la suanotorietà ai celebri Dolcettoe Brachetto che la riportanonella denominazione. Il richia-mo turistico della città non siferma però alle sole ricchez-ze enologiche. Le sorgenti termali e diversi monumenti di rile-vanza storica, tra cui i resti di un acquedotto romano, sonomotivo di interesse per numerosi visitatori.

“LE GRANGE DI SAN QUINTINO”Il consorzio dei produttori di Albarossa prende il nomedall’Abbazia di San Quintino nelle vicinanze di SpignoMonferrato, non distante da Acqui, e dal termine con cui siindicava un fabbricato rurale adibito a granaio: la “grangia”,per l’appunto.

Consorzio “Le Grange di San Quintino”C/o Comune di BistagnoVia Saracco 31 - 15012 Bistagno (Al)Tel. 0144 79106 – 329 [email protected]

Per degustare i vini Albarossa potete rivolgervi presso l’Enoteca Regionale di Acqui TermePiazza Levi, 715011 Acqui Terme (Al)Tel. 0144 770273

Il consorzio dei produttori:

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La scommessa

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La “prima Anteprima” per Bardolino - non è ungioco di parole - è per l’annata 2008 e si è cele-brata l'8 marzo scorso nella bella sede della

Dogana Veneta nel porticciolo di Lazise.I dati diffusi dal Consorzio fanno riflettere e induconoa pensare che questo possa essere l'anno della svoltaper questa realtà vinicola: nel 2007 si è registrato unincremento del tre per cento nella vendita di Bardolinocon una vera e propria esplosione del fenomenoChiaretto (+40% in due anni) contro una riduzione dellaproduzione del quattro per cento.Siamo di fronte a un'inversione di tendenza? La reces-sione porta all’acquisto di vini meno costosi oppuresono mutati i gusti del pubblico? L’annata 2008 saràin grado di confermare questo fenomeno? Questi i temicentrali di Anteprima Bardolino 2008.Soltanto alcuni metri separano le aree di produzionedel Bardolino dalla Valpolicella, come due fratelli vis-suti sotto lo stesso tetto, ai quali la fortuna ha guarda-to in maniera diversa. Stiamo parlando, della zona vene-ta maggiormente apprezzata a livello internazionale, ilValpolicella, e di quella che raccoglie nelle sue versio-ni la prima Docg Veneta, il Bardolino Superiore. La con-correnza tra i muri di casa e la voglia di emergere hannoprobabilmente indotto Bardolino a fare di più e a rin-correre il traguardo della Docg raggiungendolo nel 2001. “L’annata del secolo” per l’Amarone era già stata ven-

demmiata e di lì a poco sarebbe stata commercializza-ta. Il mercato voleva vini coloriti e muscolosi. Iniziò confatica la risposta del Bardolino: evolvere conservandooriginalità, più fiori che frutta, più freschezza che corpogeneroso. Ne uscirono vini difficili, non immediati e unpo’ scomposti in durezza, ma affascinanti, che poco val-gono per i freddi numeri del mercato, ma che hannofatto parlare le guide: Corte Gardoni Sup. 2006, MunusSup. 2006 di Guerrieri Rizzardi e Le Fraghe 2007,due etichette che hanno riscosso ottime critiche.Era sicuramente la strada giusta, ma difficile da per-correre, perché forse il mercato non era ancora pron-to. Gli anni seguenti non hanno certo incoraggiato que-sto processo. Il prezzo delle uve più basso ha alimen-tato la tentazione di inseguire i gusti del pubblicorischiando di perdere una propria riconoscibilità.Ecco arrivare allora qualche incursione di Cabernet cheha confuso non pochi addetti ai lavori, pur trovandoqualche favore del pubblico. Ora gli scenari sembranoinvece cambiare e premiare proprio chi ha saputo resta-re più fedele a se stesso.Il Bardolino ritorna ad essere un vino piacevolmentebevibile, un vino “quotidiano” che scommette sulla suafreschezza, sulle sue note variamente fruttate e spezia-te, senza ricercare un inutile sovrappeso. Per far que-sto investe con nuovo slancio sul suo profondo legamecon il territorio, quello lacustre, con il quale s’intreccia

E’ UN VINO PIACEVOLMENTE BEVIBILE, QUOTIDIANO, CHE GIOCA SULLA SUA FRESCHEZZA

di Maria Grazia Melegari e Fabio Poli

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la sua storia: i pescatori del Garda bevono da sempreBardolino con il pesce di lago. L’Anteprima alla Doganadi Lazise dimostra che la strada è quella giusta, anchecol successo dei numeri: quasi tutte le aziende produt-trici presenti e oltre 2000 visitatori.

COLOR BARDOLINOAlcuni elementi caratterizzano fortemente questa tipo-logia di vino e tra questi il colore.Per la versione in rosso il colore “rubino” per molti cam-pioni è brillante e trasparente, quasi mai cupo, per irosati il tono è il classico chiaretto, dallo scarlatto nellesue innumerevoli sfumature alle pennellate di cipolladi Tropea, semplicemente color Bardolino. Al gusto tuttii vini sono risultati molto discreti nel corpo e quasi maieccessivi nel tenore alcolico, di buona freschezza e sapi-dità, insomma, di ottima bevibilità. Una tendenza chesi sta allargando anche alla vicina Valpolicella, ma cheil Bardolino, per sua natura, non fatica a esprimere almeglio. Ne fa dei vini da poter godere in spensieratez-za, anche per il prezzo (da 3 a 6 euro in cantina).Viene naturale il parallelismo con la Borgogna e, vor-remmo aggiungere, non solo per il corpo più snello, maanche per quelle eleganti sensazioni olfattive di frago-la e rosa appassita e vagamente “earthy”, che ci paredi trovare già abbozzate in qualche buon prodotto.Differenti poi gli stili e le interpretazioni che s’inne-stano sulle caratteristiche delle Unità Vocazionali bendescritte nel Manuale della Zonazione: toni spiccati dispezie, lampone e fragola più a nord, note fruttate diciliegia verso sud, freschezza più o meno intensa, masempre invitante al palato.

I VINI DEGUSTATIIl 2008 è un’annata buona per un esordio in antepri-ma. Le piogge settembrine hanno influenzato in modoevidente il carattere dei vini e in particolare dei rosati:in genere chi ha raccolto prima ha avuto maggiorefreschezza, mentre chi ha raccolto più tardi ha ottenu-to maggiore morbidezza. Naturalmente meno pronti ivini rossi.Tra i molti vini, circa 150, per ben 64 aziende, alcunisono più introversi e vagamente "earthy "al naso, ne èun esempio Le Fraghe, (il suo 2007 aiuta a capire dovesi vuole arrivare) mai eccessivo nel corpo e di straor-dinaria beva. Stessa strada per Ronca pur con menovendemmie alle spalle: un carattere che può anche nonpiacere ma che distingue e caratterizza l’Azienda.Struttura da vendere ma mai pesante per GiovannaTantini: colore rubino, naso di ciliegia e viola e nuan-ces borgognone; il 2007 è apparso ancor più elegantee consiglia l’attesa per il 2008. Alla bella e dinamicaGiovanna vanno anche i meriti di aver bucato lo scher-mo e di aver fatto parlare di Bardolino in un momentodifficile. Ancora in vasca anche Le Vigne di S.Pietro,rosso rubino abbastanza intenso e di bella struttura. Piacevolmente morbido Il Gorgo: ottimo da aperitivooppure con piatti che lo consentono. Chiude appenapiù in freschezza Tre Colline con struttura meno evi-dente di qualche precedente, ma che proprio nulla togliealla piacevolezza di beva. Per Raval ecco un rosso rubi-no scarico, profumo di rosa, tannini dolci e tanta sapi-dità; in due parole: terribilmente bevibile. Tra le Cantine

Sociali e non solo emerge il Classico Ca’ Vegar: nasoche esce in freschezza e ampiezza di profumi, in boccapiacevolmente di medio corpo e ben equilibrato fra sen-sazioni dure e morbide. Tra i meno equilibrati ma meglio orientati all’abbina-mento col piatto, forti anche di una buona lunghezzain bocca, ecco Cavalchina, dal naso elegante e MonteOliveto fragrante di frutta e spezie. Bene anche GuerrieriRizzardi (quasi tannico il cru Tacchetto). Da provareanche Monte Saline, che va ricordata come una dellepoche aziende che ha creduto nel Chiaretto SpumanteMetodo Classico. Le Cantine Sociali da sole coprono il60% dell’intera produzione di Bardolino. La maggiorefreschezza la troviamo nel Chiaretto di Cantina Caorsa;è più equilibrato quello di Cantina di Castelnuovo delGarda e più morbido quello di Cantina di Custoza: tutticomunque offrono ottima sapidità e piacevole bevibili-tà. Bella sapidità per il rosato di Villanella, morbido epiacevolmente elegante di corpo, con profumo di cilie-gia candita e ciclamino quello di Zeni. Fresco, con untocco di durezza in più, Monte del Fra.Tra i chiaretti più carichi ricordiamo Lenotti dal naso com-plesso, con note di fragola, appena erbaceo in bocca, pienoe fresco e Costadoro, di color porpora, con tocco di rosaappassita al naso, sapido e piacevolmente leggero.

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Perlage,quando le bollicinediventano protagoniste

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“Con tutte quelle, tutte quel-le bollicine” cantava VascoRossi in una sua famosa

canzone e il ritornello si addice per-fettamente alla prima edizione di“Perlage”, manifestazione interamen-te dedicata al metodo classico.L’evento di Madonna di Campiglio harichiamato esperti, appassionati e pro-duttori delle maggiori case spuman-tische d’oltralpe e di casa nostra, coin-volgendo in modo particolare i som-melier che hanno avuto la possibili-tà di misurarsi nell’appuntamentoclou della manifestazione: il PremioFerrari per decretare il primo amba-sciatore del metodo classico italianonel mondo. Dodici i concorrenti, tra sommelierprofessionisti e degustatori ufficiali,tutti molto preparati, motivati e for-temente intenzionati ad aggiudicar-si questo primo concorso Ais dedica-to all’universo delle bollicine nobili,metodo classico. Dalla semifinale, cheprevedeva un questionario, una degu-stazione scritta e una prova di abbi-namento cibo-vino sia pratica chescritta, sono emersi tre sommelier:Luca Gardini, Nicola Bonera eGabriele Del Carlo, tutti giovanissi-mi, dal curriculum professionaleimportante e ricco di esperienze matu-rate in locali rinomati. Gardini è

impiegato nel celebre ristoranteCracco di Milano. Il bresciano Boneraè wine consultant e docente, mentreil lucchese Del Carlo è sommelierpresso la famosa enoteca fiorentinaPinchiorri. Nella finale i tre concorrenti si sonomisurati in una degustazione di tremetodo classico, nell’accoglienza epresa della comanda, anche in lin-gua, e nella stappatura e servizio diun metodo classico. Oltre a questeprove, si sono dimostrati essenzialiper le valutazioni l’abbinamento didiversi metodo classico, italiani edesteri, con un menù prestabilito e lacorrezione di una carta vini metodoclassico. La giuria, coordinata dal pre-sidente Ais Terenzio Medri, ha decre-tato vincitore di questa prima edizio-ne del premio e dunque ambascia-tore del metodo classico italiano LucaGardini. Il sommelier romagnolo hasuperato gli altri concorrenti per lagrinta, segnale di una buona prepa-razione e di una tecnica sicura e

anche per quel pizzico di fantasia,emersa soprattutto nelle proposte diabbinamento, che hanno sicuramen-te incuriosito positivamente la giuria.Il secondo posto è andato a NicolaBonera e il terzo a Gabriele Del Carlo,che comunque hanno saputo dimo-strare una grande professionalità euna forte passione per il vino. «Per me è un grande piacere», hadichiarato il presidente Medri, «vede-re giovani così preparati e innamora-ti di questo mestiere. Il concorso è unsegnale positivo per l’Associazione ita-liana sommelier, che ancora una voltaha saputo dimostrare la capacità dipreparare e di motivare giovani ditalento». Insomma la manifestazio-ne di Madonna di Campiglio si è rive-lata un vero successo e la presenzadi esperti di livello internazionale hamostrato come la kermesse, fin daquesta prima edizione, può conside-rarsi un punto di incontro irrinuncia-bile per gli amanti delle bollicine. Afarla da padrone, infatti, sono statele degustazioni delle eccellenze, deifuoriclasse del Classico italiano e dellebollicine straniere più prestigiose, perun totale di venticinque grandissi-me etichette: dall’Annamaria Clementi2001 di Ca' del Bosco, al Grand CuvéePas Operé Tradizione Bellavista finoal Cabochon Monterossa (in totale

di Francesca Cantiani

� Il vicepresidenteAis AntonelloMaietta e il presidenteTerenzio Medri

� MarcelloLunelli,TerenzioMedri,LucaGardini e MatteoLunelli

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otto etichette nostrane), fino ai piùnoti Champagne d’Oltralpe, comeil Cuvè Sir Winston Churchill 1998di Pol Roger, e alle bottiglie piùrinomate provenienti direttamen-te dall’Australia, dalla Spagna,dall’Austria e dal Sudafrica. Più ditrecento cultori del metodo classi-co, appassionati ed esperti si sonolasciati trasportare nell’ineguaglia-bile universo frizzante, guidati dasommelier del calibro di RobertoGardini, Roberto Bellini, NicolaBonera e Mariano Francesconi. E poi le tre incredibili verticali, incui è stato possibile assaporare ilmeglio delle tradizioni uniche e deigrandi territori viticoli: la vertica-le di quattro annate Gavi SoldatiLa Scolca Brut D'Antan - La Scolcaguidata da Corrado Cavallo; la ver-ticale di sei annate ChampagneAmbonnay Grand Cru – AndréBeaufort con Jacques Beaufort einfine la verticale di sei annateTrento Doc Giulio Ferrari - Riservadel Fondatore - Cantine Ferraricon Marcello Lunelli.Accanto alle degustazioni ampiospazio è stato riservato all’appro-fondimento delle tematiche piùattuali legate al settore dei grandiclassici. Figure di spicco dei varisettori di produzione, tra cuiEmanuele Rabotti, Matteo Lunellie Oscar Farinetti hanno illustratole diverse prospettive di sviluppolegate all’innovazione delle meto-dologie produttive, i recenti orien-tamenti delle scelte viticole e ladiversificazione del mercatoe dei consumi.Decisamente soddi-sfatto per il successoottenuto da “Perlage” ilpresidente dell’Ais delTrentino, MarianoFrancesconi. «Il metodo clas-sico italiano è sempre piùautorevole ed esistono enormipossibilità di crescita e di promo-zione anche all’estero» ha dichia-rato. «Il grande riscontro cheabbiamo ottenuto dimostra chesiamo sulla giusta strada e chela sfida con cui ci dovremo con-frontare in futuro è quella di farcapire sempre di più le potenzia-lità delle bollicine, di promuover-ne il consumo dall’aperitivo aipasti e di far affermare all’este-ro le più nobili tra le bollicine,un altro simbolo dell’eccellenzae dello stile di vita italiano».

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L’immagine e l'uso del vino sono profondamen-te cambiati. I mercati ed i consumi si stannoaprendo, allargando, qualificando. Nuove sono

anche le motivazioni che spingono il consumatore adacquistare, degustare, regalare, vendere vino. Oggi quando si esporta e si presenta un prodotto, siesporta anche una cultura, un territorio e un nostromodo di essere: il paesaggio, nella gran parte del ter-ritorio italiano, si costituisce come un mosaico di imma-gini locali, in cui l'agricoltura è storicamente inscindi-bile dalla forma del suolo, dal clima e dalle produzionitipiche; esso diventa la rappresentazione di un rappor-to equilibrato tra “prodotto” e “contesto di produzione”. Il turismo italiano possiede grandi possibilità non anco-ra utilizzate: l' enoturismo sembra essere una delleespressioni più efficaci di turismo sostenibile, in quan-to l'interesse per il vino e per il territorio vengono tra-sformati in cultura del prodotto e dell'ambiente. Siamoabituati a vivere il vino dalla parte del fruitore, ma lavera conoscenza del prodotto parte dai suoi luoghi diproduzione.

Risulta quindi sempre più urgente sviluppare e inten-sificare una cultura dell'accoglienza in cantina e neiluoghi della ricettività, attrezzare le aziende vitivinico-le con un maggior numero di posti letto, portare turi-sti nazionali e internazionali, operatori e giornalisti aconoscere sul posto i luoghi di produzione del vino, iprodotti enogastronomici, la cultura e le tradizioni tes-sendo una fitta rete di nuovi luoghi d'interesse. Il processo di cambiamento nel mondo del vino è ormaidecollato: le strategie di marketing più evolute sonoseguite dalle aziende maggiori, ma risulta fondamen-tale che anche i piccoli e medi produttori vi si dedichi-no. Negli ultimi dieci anni il tema del progetto architet-tonico di nuove cantine ha assunto un’ importanza sem-pre più rilevante: è già stato ampliamente dimostratoche l’investimento nel mondo del vino e nella sua comu-nicazione o immagine, regala ottimi risultati ed è pre-vedibile che saranno sempre maggiori le risorse che gliimprenditori riverseranno in questo settore, risorse dellequali beneficerà soprattutto la qualità del prodotto, maanche l’immagine dell’azienda, per permettere, nel pros-

di Alessia Cipolla

La cantina è arte, storia e funzionalità

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L’area di fermentazione

della Cantina Tenuta Manicor

simo futuro, di rimanere competitivi a livello mondia-le. Il progetto di una nuova cantina o di un ampliamen-to della esistente, magari un oggetto architettonico digrande interesse realizzato da valenti professionisti,può risultare essere il cardine delle strategie di marke-ting dell’azienda, ma anche il fulcro di una progettua-lità più amplia che investe il suo territorio e indirizzal’economia dell’area verso nuove e interessanti possi-bilità. Le nuove cantine devono quindi inserirsi all’in-terno dello stretto rapporto tra terra e prodotto finale,non compromettendo la bellezza e l’unicità del paesag-gio italiano, ma anzi re-interpretando e agevolando losviluppo del patrimonio vitivinicolo nazionale. I nuovi progetti non rappresentano solo dei sempliciluoghi di lavorazione delle uve necessari ai produttoridi vino, ma diventano l’identità del prodotto, un modonuovo per occuparsi della propria terra dimostrando lacura e la passione per le proprie radici. Una cantinacontemporanea non implica l’abbandono della tradi-zione: le recenti architetture del vino si confrontano conesigenze funzionali moderne e antichissime, memorietecnico-scientifiche del paese e delle sue identità cul-turali e materiali, come anche con esigenze tecnologi-camente innovative, rispettose dell’ambiente interno eesterno che l’enologia richiede.

Parte con questo numero un percorso conoscitivo dellenuove cantine italiane realizzate tra il 2001 e il 2009 intutte le regioni d’Italia con il comune denominatore dellaqualità progettuale e architettonica oltre che del rispet-to e della valorizzazione del paesaggio circostante.

■■■ Cantina Tenuta Manicor - Caldaro (Bz)Il conte Michael Goess-Enzenberg rilevò l’azienda difamiglia nel 1991 che allora conferiva l’uva dei proprivigneti alle Cooperative di Caldano e Terlano; in quasivent’anni di costante lavoro e passione sia in vigna siain cantina ha raggiunto la grande qualità dei viniManicor. Attualmente l’azienda comprende 48 ettari divigneti, frutteti e alcune splendide dimore: è la più gran-de tenuta dell’Alto Adige che vinifica uve proprie, anco-ra a conduzione familiare.Il progetto della nuova cantina, un attiguo ampliamen-to delle antiche cantine Manicor, nacque per volontàdel proprietario nel 2001 e si realizzò con l’inaugura-zione avvenuta nel 2004 dove l’idea globale della tenu-ta Manicor, partendo dalla storia familiare e dalla tra-dizione, trova nella ricerca di una coerenza tra terra,vite, architettura, produzione e vino, il progetto identi-ficativo di un determinato territorio, riconducibile adun unico e chiaro punto di riferimento.

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Come i grandi maestri di un tempo ormai lontano, l’ar-chitetto incaricato del progetto Walter Aragonese ( assie-me a Rainer Koeberl e Silvia Boday) chiuse il suo stu-dio di Bolzano nel 2001 trasferendosi a Manicor, per“sentire” il genius loci, per percepire quindi e compren-dere le caratteristiche proprie di un luogo e la sua piùprofonda identità. È così iniziata l’avventura della costru-zione della cantina seguita con passione e grande curaper 3 anni, anni di grandi sforzi e pazienza, sia per ilcommittente come per il professionista incaricato, riu-scendo così nel vedere nascere e crescere giorno dopogiorno il progetto del nuovo edificio: una sintonia diintenti che accade solo tra un professionista e un com-mittente illuminato.L’edificio è un progetto ipogeo, una costruzione quin-di sotterranea, realizzato scavando per molti metri ilterreno adiacente all’antica dimora di Manicor, costruen-do il manufatto di 3 piani e successivamente ricopren-do l’edificio con uno strato di terra dove è stato pian-tato un vigneto.

La nuova cantina è un progetto quindi inserito dentroil paesaggio, nel massimo rispetto per il territorio cir-costante, un oggetto architettonico che non si esponeimmediatamente e direttamente al visitatore, ma vuoleessere scoperto seguendo un percorso conoscitivo cer-cato. Gli unici elementi che emergono dalla collina sonoi vari ingressi, la sala da degustazione con terrazza eun locale vendita inserito tra la vecchia dimora e l’ac-cesso al nuovo luogo di produzione. Una rampa di scalepermette la discesa dal vitigno soprastante l’edificio

verso i livelli inferiori della produzione.All’interno l’organizzazione degli spazi corrisponde allasuccessione dei sistemi di produzione, dove le uve ven-gono immesse nel processo di vinificazione dal livellopiù alto e subiscono tutte le lavorazioni necessarie neipiani inferiori. Dopo aver superato il raffinato piccolo locale dedicatoalla vendita dei prodotti della tenuta, attraverso unarampa, si entra al piano +1 dove si trovano la zonaamministrazione, alcuni locali privati, l’ufficio dell’eno-logo, la zona degustazione con una magnifica terrazzapanoramica sulle vigne e l’area per il conferimento delleuve. Al piano inferiore, il livello 0, troviamo la cantinadi fermentazione, la barricaia, il magazzino di stoccag-gio, l’imbottigliamento, e il collegamento diretto con leantiche cantine dell’azienda. Al piano -1 troviamo ildeposito di macchine agricole con l’accesso dei tratto-ri e la zona pressa e serbatoi. Attorno al manufatto, èstato inserito un corridoio tecnico di ventilazione, un’in-tercapedine tra la terra e l’edificio, per il controllo dellastabilità della temperatura stagionale e del sistema igro-metrico di tutto il complesso reso possibile anche gra-zie ad un avanzato sistema tecnologico.Il vino è un processo di trasformazioni: i materiali uti-lizzati nel progetto come l’acciaio e il cemento delle strut-ture sono lasciati liberi di trasformarsi attaccati damicrorganismi necessari per la creazione di un micro-clima adeguato ad una ottima conservazione e rispet-to del prodotto. Nuova costruzione non vuol dire eliminare il sapore eil fascino della tradizione.

▲ Il foyer ▲ La sala degustazione

▲ La Cantina Tenuta Manicor ▲ Il locale vendita

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Le grandi eccellenze

dell’Oltrepò

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Carlo Alberto Panont, dal 2004direttore del Consorzio TutelaVini Oltrepò Pavese, sul lavo-

ro di soddisfazioni ne può certamen-te vantare. Ma non nasconde unsogno: creare il terzo pilastro spu-mantistico italiano legato al Metodoclassico a denominazione di originee che permetta alle produzioni di altrequattro zone disciplinari di casanostra di primeggiare insieme alProsecco e all’Asti. Le bollicine sonoquelle che nascono a Trento, inFranciacorta, in Oltrepò, dal 1912 laprima zona spumantistica d’Italia, ead Alta Langa; obiettivo, ampliarnela produzione per portare le attuali20 milioni di bottiglie l’anno vendu-te a 70-90 milioni. Un po’ come giàsuccesso in Francia dove il Cremantd’Alsazia costituisce una validissimaalternativa allo Champagne graziea una produzione passata da 15 a 60milioni di bottiglie l’anno. Una bellasfida per il numero uno dell’Oltrepòche della cura di questa magnificaterra ha fatto una delle ragioni dellasua crescita professionale. La zona,per sentito dire, la conoscono tutti.

Non tutti sanno però che su questagrande fetta di territorio compresotra Piemonte, Lombardia ed Emilia,con 42 comuni collinari, in estensio-ne a sud del Po, non ci sono altro chesplendidi vitigni. Tredicimila ettari dicoltivazioni esclusive e di grandissi-ma qualità, da secoli. Dove tutta l’eco-nomia rurale si fonda sulla coltiva-zione del vigneto. 600 le aziende ope-rative, 340 quelle con marchio com-merciale; 4.500 le famiglie che vivo-no grazie a un impiego nel settore.E alla produzione di due ottimi vini:la Croatina, il nome è dell’omonimovitigno, il più coltivato qui, e ilBonarda. Già il Bonarda: il più ven-duto in Lombardia, 18 milioni dibottiglie l’anno; il quarto più ven-duto in tutta Italia. Ma quando si dice Oltrepò non si puònon correre col pensiero al Pinot nero,a cui, però, occorre dedicare undiscorso a parte. Perché? Intanto per-ché in Oltrepò, alla coltivazione deivitigni che producono questo vinoviene riservata una superficie che,fra quelle vitivinicole, è la più este-sa in tutta Italia: tremila ettari sui

▲ Carlo Alberto Panont, direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò

di Luisa Barbieri

IL DIRETTORE DEL CONSORZIO ILLUSTRA PROGETTI E AMBIZIONI

DI UN TERRITORIO DA SEMPRE CONOSCIUTO PER I SUOI GRANDI VINI

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quattromila complessivi. E poi per-ché vive una fase di massima espor-tazione negli Stati Uniti, pari a12/14milioni di bottiglie l’anno,soprattutto dopo l’effetto di Sideways,il famoso film che inneggia a questosplendido vino. Recentemente gli è stata dedicataanche una guida, la più completa maiscritta in tema: è la “Guida all’utiliz-zo della Denominazione di originePinot nero in Oltrepò Pavese”, 200pagine di informazioni, dedicatesoprattutto agli esperti del settore oagli amanti di questa delizia. Il testopermette di scoprire come il Pinotnero sia presente in Oltrepò fin dallametà del XIX secolo avendo trovato ilsuo habitat naturale in Rocca dèGiorgi nell’alta valle Scuropasso, adopera del Conte Giorgi di Vistarino.“Questa guida – spiega Carlo AlbertoPanont – è un prezioso strumento dilavoro che racconta una vocazionedalla vigna alla bottiglia, cresciutasul territorio dopo anni di impegno”.Al Pinot nero viene garantito il mar-chio Docg, un riconoscimento che,

precisa Panont, si era perso negli anniOttanta quando le regole commercia-li vincevano sui grandi obiettivi didenominazione e che invece restitui-sce tutta l’importanza di questa pro-duzione. A questo vino viene poi rico-nosciuto il merito di originare ancheuno splendido rosé metodo classi-co, il Cruasé. E per il quale Panontsi dice pronto a dare battaglia allarecente ordinanza comunitaria chene consentirebbe una produzione,diciamo così, da laboratorio, ottenu-ta miscelando vini bianchi e rossianziché da uve o mosti specifici.“Guai – dice Panont – se venisse

attuata. Perderemmo la nostra sto-ria di Rosé in tutta Italia”. “Ne discuteremo a Roma – prose-gue Panont – pronti a fare, di qui afine agosto, quando il provvedimen-to potrebbe diventare esecutivo, tuttociò che è nelle nostre facoltà per fer-marlo”. L’elenco delle eccellenze dell’Oltrepò,dunque, vanta Croatina, Bonarda,Pinot nero e Cruasé. Ma il panora-ma non si chiude qui: Oltrepò PaveseRiesling, Oltrepò Pavese Pinot Nerovinificato in Bianco, Oltrepò PaveseRosso, Oltepò Pavese Rosso Riserva,Oltrepò Pavese Barbera, OltrepòPavese Pinot nero vinificato in Rosso,Oltrepò Pvase Buttafuoco, OltrepòPavese Sangue di Giuda, OltrepòPavese Pinot Grigio, Oltrepò PaveseMoscato, Oltrepò Pavese MoscatoPassito, Oltrepò Pavese Malvasia,Oltrepò Pavese Bianco, Oltrepò PaveseCortese, Oltrepò Pavese Chardonnay,Oltrepò Pavese Sauvignon, OltrepòPavese Rosato, Oltrepò Pavese PinotNero Vinificato Rosato.Una produzione insomma di cui ilConsorzio va fiero. E mentre quotidianamente confer-ma di prestare tutta l’attenzione delcaso alla cura dei suoi doveri isti-tuzionali, ufficializzati dal Ministrodelle Politiche Agricole, con la certi-

▼ Pinot Nero

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ficazione della filiera produttiva gra-zie a fascette apposte alle bottiglie,ad alta tracciabilità, per l’ente eccoprofilarsi nuovi orizzonti da seguire:in primis, l’estensione dell’area sucui si coltivano i vitigni che produ-cono Pinot Nero a 4mila ettari dai3mila di oggi, raggiunti negli anni daPanont che al suo ingresso in con-sorzio, nel 2004, ne trovò 1870. Epoi la realizzazione dell’Università delVino nel Podere Riccagioia di proprie-tà della Regione Lombardia. Aprirà nel 2010; qui verrà trasferitoil corso di tre anni di specializzazio-

ne in viticoltura ora a Milano.Un’eccellenza, insomma che potràvivere grazie alla collaborazione traPubblico e Privato in partnership conle due università di Milano e Pavia. Nei progetti, poi, una volta tutelatada eventuali scivoloni legislativi, perla prima bollicina italiana che nasceda uva rossa, il Cruasé, è previstauna vera campagna di lancio. E1.500 nuovi ettari da dedicare alRiesling nei dintorni di Oliva Gessi,vecchia zona di produzione dei vinibianchi in Oltrepò, per garantirne lariscoperta.

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Anche il vino“cade” nella

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The Millennials: per i maggiori esperti è il nuovo tar-get su cui affinare le leve del marketing e soprat-tutto la comunicazione del vino. Giovani america-

ni (dai 15 ai 32 anni) che stanno facendo del vino un ele-mento indispensabile della loro dieta quotidiana accan-to ai cibi. Curioso ma prevedibile che questo guardare“con occhi nuovi” il significato e le potenzialità del vino“ben comunicato” arrivi dagli Stati Uniti. Prevedibile,se pensiamo che l’export del vino italiano - in sofferen-za solo nel 2008 dopo un 2007 con il 21 per cento diquota, prima di Francia e Spagna - ha negli Usa uno deiprincipali Paesi di sbocco.La leadership mondiale del vino italiano è sicuramentemantenuta grazie a un’attenzione al marketing che hapochi rivali in altri settori del “Made in Italy” e a un ogget-tivo valore che al vino viene attribuito, anche grazie auna tradizione – anche religiosa – che affonda le sue radi-ci nei secoli. Da elemento simbolico, carico di significato religioso con-diviso dalle più diffuse dottrine monoteiste, il vino ha infat-ti attraversato diversi mutamenti socio-culturali fino adivenire un fenomeno di costume. Quale altra bevanda,a eccezione del pane, può vantare una valenza simile?Elemento simbolico, liturgico e sacrale, il vino ha da sem-pre assunto, nell’area del bacino del Mediterraneo, unaforte valenza culturale e il suo simbolismo è duplice. Ilprimo attinge proprio all’Antico Testamento ed è comu-ne con la tradizione ebraica. Qui il vino, simbolo per eccellenza di gioia e di festa, èmolto importante. Il vino consacra e in ogni occasionelieta si raccomanda di bere vino. In un passo della Bibbia,Dio definisce il popolo eletto (l’ebraico) come i tralci diuna vite.Anche il mondo cristiano eredita questa visione, ma l’ar-ricchisce poi con il simbolo del calice eucaristico. “Cristo- ha affermato monsignor Ravasi - affida attraverso ilvino la rappresentazione del suo sangue. Il vino e il panesono dunque i due grandi segni cristiani del Cristo stes-so ed è importante notare come siano due elementi pro-pri della quotidianità. Il vino dunque, per la passione

con cui è fatto, per la storia, ma anche per la semplici-tà, può essere visto come segno per eccellenza di convi-vialità e di fratellanza”.Un fenomeno quindi che ha progressivamente modifica-to la sensibilità alimentare del consumatore consapevo-le, ora sempre più impegnato nella ricerca della qualitànel bere. Come si è arrivati a tale risultato? Quali sono stati glistrumenti adottati per il suo raggiungimento? Qual è lostrumento intentato o poco sfruttato volto a rendere anco-ra più efficace la comunicazione del vino? Si è ricorsi ingran parte a mezzi extramediali come le fiere enogastro-nomiche, le degustazioni e le visite nelle cantine. Poi almezzo tradizionale della stampa (in particolare specia-lizzata). Raramente alla televisione, mai al cinema. Ilgrande assente o quasi? Internet e le sue enormi poten-zialità di diffusore di stili e consumi, grazie a blog, forume commercio elettronico.A ciò si aggiunga che le più recenti evidenze decretanouna inesorabile crisi della carta stampata: vendite incaduta verticale, riduzioni nette della fogliazione, lati-tanza degli inserzionisti pubblicitari. Una crisi cui alcu-ni Paesi europei, come la Francia, cercano di risponde-re con finanziamenti statali di tutto rilievo che difficil-mente riusciranno però ad invertire la tendenza. La per-vasività e gratuità del mezzo Internet rispondono infat-ti con massima aderenza alle più comuni esigenze del-l’utente: raggiungere l’obiettivo rapidamente, da casa epressoché gratis.La punta di diamante dell’agroalimentare in Italia nonpuò sottrarsi a quella che appare una realtà ormai ditutta evidenza: il media Internet rappresenta il mezzo sucui puntare affinché il vino raggiunga le vette di visibi-lità e notorietà che il prodotto merita.E come affrontare la nota dolente del consumo eccessi-vo di vino (e, in generale, delle bevande alcoliche?). Quelloche gli antichi riassumevano nella formula in vino veri-tas e che in tempi più recenti possiamo assimilare allaperdita di coscienza che molti danni provoca al viverecivile e alla collettività?

di Natalia Franchi

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Anche in questocaso una correttacomunicazione può faremolto. Una ipotesi è cheanche il packaging del vino possacontribuire ad arginare il fenomeno.Pare infatti che l'ultima tendenza in fatto dipackaging del vino risponda a regole sempre più ade-renti al marketing di un prodotto d'élite, per consuma-tori dai gusti raffinati - certi vini sembrano flaconi di pre-giato profumo - implicando in tal modo un consumomoderato e adulto del vino.E’ intorno a questo tema e alla crescente domanda diprofessionalità che è stato creato, presso la Facoltà diEconomia dell’Università degli Studi di Verona e con ilsostegno della Fondazione Giorgio Zanotto, il corso diperfezionamento su “Packaging e comunicazione del vino”.Direttore del corso, il professor Diego Begalli che con ilprofessor Davide Gaeta tiene con innegabile passionelezioni per laureati e diplomati determinati a scoprirecosa si nasconde dietro una bottiglia. Il corso si articola in tre moduli didattici: Mercato delvino e Politiche di marca; Politica e Legislazione – comemuoversi nel labirinto del sistema normativo; Tecnologie

e Comunicazione. Nell’edizione della pri-mavera di quest’anno, le ore d’aula sono state integratecon interventi di giornalisti, autori di guide, pubblicita-ri: tutti professionisti che, dai rispettivi punti di vista,hanno contribuito a offrire un quadro completo del rap-porto tra il vino e la comunicazione moderna, dal qualepoi deriva per linea diretta il rapporto tra il vino e iconsumatori.Il percorso formativo risponde a una intuizione non bana-le, in tempi di oggettiva recessione, laddove ogni tenta-tivo di allineare le proposte formative universitarie alleoggettive e reali esigenze dello studente, non può cheessere salutato con apprezzamento. L’annoso scollamen-to tra mondo accademico e mondo del lavoro, almenoper certe discipline, trova in questa iniziativa un enco-miabile esempio di coerenza tra il sapere e il “qui ed ora”delle comprensibili ragioni di ognuno.

Rete

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Vino e sigari italiani:secoli di storia a confronto

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Vino e sigaro? Per maggiore chiarezza è giunto il momento di far capi-re il perché si prende spesso in considerazione la Toscana con i suoivini ed i suoi sigari e dunque l’abbinamento sigaro vino, sempre più

di moda nel pubblico dei fumenoappassionati. Proprio il sigaro italiano eil vino rappresentano da sempre un binomio indissolubile, fatto di tradi-zione, di cultura, di secoli di storia. La Toscana è stata capace di offrire aquesti due intramontabili compagni il terroir e il clima ideale per esprime-re, seppur in contesti diversi, le qualità migliori e una fama internaziona-le.Oggi è impossibile tracciare una data precisa dei primi incontri/scontri travino e sigari naturali e quali etichette venivano prese in considerazione,ma l’abbinamento sigaro vino per antonomasia è rappresentato da sem-pre da quei grandi vini rossi toscani ottenuti da “Sangiovese” e da quei

bitorzoluti sigari toscani ottenuti da“Kentucky”.Possiamo affermare che i “due” oltrea rappresentare nel mondo unaeccellente “bandiera di toscanità”sono anche in grado di coniugareuna forte tipicità: sigaro TOSCANO®è monocultivar perché prodotto con100% tabacco Kentucky e da uveSangiovese in purezza, quindi mono-vitigno, si ottengono vini di famainternazionale come il Brunello diMontalcino, il Chianti Classico, ilNobile di Montepulciano, il Morellinodi Scansano e tanti altri.In Italia si inizia a parlare di Kentuckyverso la metà del 1500 quando il fio-rentino Niccolò Tornabuoni, amba-sciatore del Granduca di Toscanaa Parigi, inviò allo zio AlfonsoTornabuoni, vescovo di Sansepolcro,

semi di questa varietà di tabacco per usi medicamentosi. Più tardi, alla finedel 1500, arrivano anche le prime indicazioni specifiche sulla tipicità ter-ritoriale del Sangiovese sempre grazie ad un gentiluomo fiorentino,Gioanvettorio Soderini, che riportò le prime attestazioni di questo vitignonel Trattato sulla Coltivazione delle Viti. Ferdinando III e il Barone Bettino

di Fabrizio Franchi

▲ Ricasoli e Toscano®, un connubio da sperimentare!

▲ Le sigaraie di Firenze negli anni Trenta

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LA SCHEDA

Ricasoli gettarono poi le basi del successo e della storia contemporanea delsigaro TOSCANO® e del vino Chianti proponendo una selezione di varietàdi Sangiovese: San Gioveto, Canaiolo e Malvasia bianca. Si era ormai nellaseconda metà dell’Ottocento quando si realizzò l’espansione di una forteimmagine, sostenuta anche da caratteristiche organolettiche che andava-no a formare un sigaro e un vino perfetto dal carattere toscano. Possiamo dunque attribuire al grande ruolo del monocultivar Kentucky edel monovitigno Sangiovese l’enorme successo che ancora oggi sta riscuo-tendo il sigaro italiano e i blasonati rossi toscani che sono considerati trai migliori vini al mondo. Alla celebrità dei sigari e dei vini toscani si uni-sce oggi la diffusione dell’immagine del territorio, della cultura, dell’arte,dell’artigianato, della gastronomia. Oggi sono frequenti gli appuntamenti che permettono ai nuovi fumenoga-stronomi di avvicinarsi all’abbinamento tra sigaro italiano e vino arrivan-do a scoprire nuove emozioni come è successo all’ultima kermesse vero-nese del Vinitaly, in occasione della quale il Fumenogastronomo® ha gui-dato un abbinamento nel segno della tradizione mettendo a confronto ilpiù equilibrato dei monocultivar, il sigaro TOSCANO® EXTRAVECCHIO,con il più rappresentativo e storico Sangiovese toscano, il Chianti ClassicoDocg Castello di Brolio di Ricasoli e dulcis in fundo il Vin Santo Castellodi Brolio.

Per ulteriori informazioni: [email protected]

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Le eccellenze lombardepremiate a Roma

Dominare Roma per una sera, abbracciarel’urbe dalla fantastica posizione dell'HotelCavalieri Hilton. Quale location più adattaper premiare i migliori vini lombardi?Per la quarta edizione della prestigiosaguida enologica Viniplus 2009, promossa daAis Lombardia, si è deciso di varcare i confi-ni regionali scegliendo come palco d’ecce-

zione la capitale.L’obiettivo? Diffondere laconoscenza dei vini di qualitàdella Lombardia e promuove-re un territorio che ha fattodella cultura della vite e delvino una sua importante risor-sa (il comparto vitivinicololombardo, oggi, è uno deifiori all’occhiello dell’econo-mia nazionale). Così a Roma i 49 vini miglioridella guida Viniplus 2009, chehanno ottenuto le 4 rosecamune e la classificazione di

“eccellente”, sono stati applauditi da 900appassionati e giudicati da una commissio-ne internazionale che ha assegnato i tradi-zionali Tastevin d'Oro, d'Argento e di Bronzoe un premio speciale “Il Sano” attribuitoall'azienda che, a giudizio della commissio-ne, riassume in maniera esemplare la filoso-

fia della qualità complessiva.Ma facciamo un passo indietro: come vienepreparata la famosa guida Viniplus 2009?Hanno partecipato 167 cantine con 553bottiglie campione da degustare. 70 som-melier in 4 giornate, hanno compilato oltre4000 schede e classificato le 49 eccellenzee gli 83 ottimi. Il risultato è una guida di 360pagine.Torniamo all’appuntamento finale del pro-getto Viniplus 2009 svoltosi a Roma.Quest’anno per la prima volta i vini sonostati degustati e giudicati da autorevoli pro-fessionisti dello scenario enologico mondia-le. Tra loro Michèle Shah, Jane Hunt, Thomasllkiaer e Timo Jokinen.Il Tastevin d'Oro lo ha vinto il ValtellinaSuperiore Sassella Riserva Vigna Regina1999- AR.PE.PE. Seconda posizione, premia-to con il Tastevin d'Argento, occupata dalLugana Superiore 2004 Ca’ Lojera. Il Tastevindi Bronzo, invece, è andato all’OltrepòPavese Pinot Nero Giorgio Odero 2005-Frecciarossa.Il premio speciale “Il Sano” è andato allaCasa vinicola Nino Negri; oltre 26 le menzio-ni speciali ad altrettanti vini scelti dai som-melier come i più rappresentativi della pro-duzione lombarda.Durante la premiazione, Franco Maria Ricci,Presidente Ais Lazio e padrone di casa, hasottolineato come “l'Ais ancora non abbiamostrato tutte le proprie potenzialità sul ver-sante della diffusione della conoscenza delvino, troppi ancora gli italiani che mancanodella cultura del bere bene e consapevo-le”. Luca Bandirali, Presidente AisLombardia, oltre ad aver condiviso l'appellodi Ricci a moltiplicare l'impegno di tutte lecomponenti Ais a crescere insieme, ha ricor-dato che la premiazione era l'ultimo tassello,forse il più suggestivo di un importante lavo-ro iniziato in estate per creare Viniplus 2009.Sempre Luca Bandirali: “Il nostro principaleobiettivo di partenza era quello di valorizza-re e premiare i produttori più sensibili ad unrichiamo etico oltre che qualitativo. Con lapremiazione delle migliori aziende inseritenella Guida vogliamo ribadire la nostraintenzione di dare un nuovo senso alla paro-la qualità; un concetto che tiene contodegli sforzi profusi dai produttori in tutte ledinamiche che intervengono nel camminodi produzione di un vino”.

(Carla Bruni)

▲ Il Presidente Ais Lombardia Luca Bandirali

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A soli 29 anni è diventata vicepresidente della Camera dei Deputati edue anni più tardi è stata nominata a capo di un dicastero. GiorgiaMeloni è il più giovane ministro della storia della Repubblica Italiana e a32 anni il suo curriculum può fare invidia ai parlamentari più navigati.La Meloni ha recentemente incontrato l’Associazione italiana sommelier aTaormina in occasione di un importante evento istituzionale. Il presidenteAis Sicilia, Camillo Privitera, le ha consegnato l’attestato di Sommelier ono-

rario, riconoscimento da lui stesso richiesto edeliberato dalla Giunta nazionale, per sottoli-neare l’impegno della politica a favore dellaformazione professionale dei giovani per un piùagevole e rapido inserimento nel mondo dellavoro in Italia e all’estero.Privitera ha ricordato al ministro della Gioventùche l’Ais organizza da oltre 40 anni corsi di for-mazione che hanno dato lustro a una categoriaprofessionale, fondamentale per l’immagine delnostro paese, in particolare per la valenza turisti-ca che la caratterizza. Il Presidente Privitera haringraziato la Meloni per il lavoro svolto e haauspicato un’attività sempre più intensa rivoltaai giovani e al mercato del lavoro.La cerimonia di consegna dell’attestato si èsvolta nella terrazza dell’Hotel Timeo con unosplendido tramonto sul golfo di Taormina a fareda sfondo ed è stata seguita da un brindisi conottimo spumante, rigorosamente siciliano, acura dei sommelier Ais.

A Giorgia Melonila sommellerie onoraria

Il presidente AisSicilia Camillo

Privitera brindacon il Ministro

Giorgia Meloni

� Camillo Privitera consegna il diplomaal Ministro Giorgia Meloni

Il riconoscimento è stato consegnato al ministro della Gioventù dal presidente di Ais Sicilia Camillo Privitera

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Meditate gente, meditate

L’Associazione italiana sommelier Umbriaorganizza dal 12 al 14 giugno la settima edi-zione di “Excellentia” un evento suggestivodedicato ai vini da meditazione di tutto ilmondo.

Il titolo della kermesse vuole sottolinearel’importanza che a livello internazionalecerti vini hanno acquisito nel corso della sto-ria e che trovano in Umbria importantiriscontri: le Muffe Nobili di Orvieto, iSagrantino Passiti, i Vin Santi e leVendemmie Tardive.

La manifestazione è il connubio tra vini eluoghi d’arte e da meditazione, ed è metadi migliaia di eno-turisti in un periodo del-l’anno in cui il turismo è protagonista nellecittà d’arte e di cultura.

L’evento, nato nel 1991, viene organiz-zato con cadenza biennale e si spo-sta nelle varie edizioni nei luoghi piùsuggestivi della regione. La scelta perl’edizione 2009 è stata quella diaccentrare l’iniziativa nel capoluogodi regione: l’affascinante Perugia. La manifestazione ha registrato unacontinua crescita perché nel corsodegli anni ha premiato la ricercadella qualità propria dei grandi vinida meditazione: VendemmieTardive, Picolit, Passiti, Muffati,Marsala e grandi vini invecchiatioltre a vini blasonati del panoramainternazionale come TokajUngherese, Sauternes, Porto eSherry, che popolano le enotechedi tutto il mondo.Excellentia 2009 nasce sotto buoniauspici non solo perché il pubblicoè maturato ma soprattutto perché,in questa nuova edizione, unirà lacompetenza e la rilevanza di asso-ciazioni che da anni operano pervalorizzare e promuovere la cultu-

ra del vino.

La manifestazione costituisce un’occasioneimportante per tutti coloro che voglionoallargare le proprie conoscenze anche aquesto settore enologico, che fino ad oraha avuto difficoltà a trovare un palcosceni-co ideale in cui esprimere le proprie carat-teristiche secondo un approccio meditativoe specifico, che le grandi kermesse comeVinexpo o Vinitaly non consentono.

Oggi, questo vuoto può essere occupatocon autorevolezza dall’Umbria che fu laprima ad intuire l’importanza dei vini dameditazione. Excellentia 2009 si realizzerà aPerugia, una delle città più belle d’Italiache, per la sua storia, la sua cultura e le bel-lezze artistiche, merita ancora una volta,come fu in origine, di essere palcoscenicodi questo grande evento.

L’anno 2009 prevede un’anticipazione dellamanifestazione attraverso un’anteprimache si terrà a Perugia, giovedì 11 giugno, inuna sede d’eccezione: l’orto medievaledell'antico complesso benedettino di SanPietro che oggi è anche sede della Facoltàdi Agraria dell'Università degli Studi diPerugia. L’orto medievale presenta unainteressante lettura in chiave simbolica delgiardino di un tempo e in special modo inun complesso benedettino in cui vigeva laregola della presenza ininterrotta di acqua.Gli appuntamenti di Excellentia 2009 verran-no ambientati in diverse sedi del ComplessoMonumentale di San Pietro, sede dellaFacoltà di Agraria dell’Università di Perugia: ichiostri di San Pietro, l’aula magna dellaFacoltà di Agraria, i giardini e l’orto medioe-vale.

La manifestazione ruoterà attorno a quattromomenti.L’enoteca permanente. All’interno delChiostro di San Domenico, nel centro storicodi Montefalco, le aziende presenteranno ipropri prodotti. Saranno esposti più di 450vini dolci provenienti da tutto il mondo chepotranno essere degustati da tutti coloroche vogliono addentrarsi nel meravigliosomondo del vino da meditazione.

Dolce Friuli. Il Friuli Venezia Giulia sarà ospitespeciale in questa prossima edizione.Verranno svelati i segreti dei nettari Friulani(Picolit, Ramandolo, Verduzzo, ecc.) attra-verso degustazioni guidate dai vari produt-tori o esperti del territorio. Inoltre, i vini prove-nienti dai vitigni più rappresentativi del terri-torio verranno abbinate, durante una cenaa tema, ai prodotti tipici di questa regione,in cui la terra e il sole esprimono tutto il lorocarattere.

Parliamone. Un calendario di approfondi-menti in cui esperti di ogni settore discute-ranno su diverse tematiche che avranno

A Perugia torna Excellentia, la più importante manifestazione sui passiti:il vino incontra l’arte nel cuore verde d’Italia

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come filo conduttore la storia, la cultura e latradizione dei vini da meditazione.

L’arena delle Degustazioni. Il pubblico, gui-dato da esperti sommelier AIS in compa-gnia di produttori ed esperti provenienti datutta Italia, potrà conoscere e apprezzare lediverse tipologie di vini da meditazione.

Le degustazioni saranno denominate indiverso modo in base alla provenienza delvino.

Lampi di Genio: momento dedicato a viniprovenienti da territori resi unici dall’inter-vento e dalla genialità dell’uomo;

Vini d’ Autore: degustazioni di nettari enolo-gici raccontati ed illustrati dal loro produtto-re-autore.

Compagni di Viaggio: degustazioni temati-che in abbinamento a sapori che ne esalta-no le caratteristiche come sigari, eccellenzeagro-alimentari, cioccolato, fegato d’oca opasticceria artigianale.

Le Piramidi del vino: momento dedicatoalla scoperta e degustazione di vini prodotticon il metodo Soleras.

Il Grande Vecchio: degustazioni alla scoper-ta della longevità dei più grandi vini rossi delpatrimonio enologico mondiale.

Gli Indimenticabili: incontro con i vini chehanno fatto la storia del vino da meditazio-ne e considerati introvabili per la loro rarità.Vini che faranno esclamare al degustatore“C’ero anch’io.”

Muffa Nobile… un nemico pentito: degusta-zioni alla scoperta dei più grandi muffati delmondo… Sauternes, Tokaji, Acini Nobili,Muffe di Orvieto…

Umbria Cuore Dolce d’Italia: degustazione epresentazione delle dolci eccellenze umbrecome Sagrantino Passito, Muffe Nobili diOrvieto, Vin Santi del Trasimeno,Vendemmie Tardive di Orvieto.

Cielo… Si è fatto tardi: degustazione e pre-sentazione delle vendemmie tardive piùimportanti del patrimonio enologico nazio-nale.

In religioso Silenzio: erroneamente tutti i vinidolci sono considerati “vini da Messa”.Finalmente una vera degustazione alla sco-perta dei vini autorizzati dal Codice di DirittoCanonico.

Per informazioni: 075 5056053info@aisumbria.itwww.aisumbria.itwww.excellentiawinefestival.it

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A tutti gli eno-appassionati che cercano vino anchenel web segnaliamo che la delegazione di Palermo haattivato da alcuni mesi un proprio sito: www.aispaler-mo.net.Lo spazio on-line riporta le degustazioni, gli eventi inprogramma, foto, curiosità e naturalmente le date deiprossimi corsi e i recapiti di riferimento per prenderecontatto con il delegato Francesca Tamburello. Recentemente è partito un primo livello a Palermo e sista per concludere un terzo corso ospitato a Marsaladalle Cantine Pellegrino di Caterina Tumbarello Rendae Benedetto Renda.Invitiamo tutti i “sommelier-internauti” ad aggiungere ilsito tra i propri “preferiti”!

L’Ais Palermova in rete

▲ (Da sinistra) Giovanni Gambino, Fabio Sannasardo, Rosario Farina, Benedetto Renda e Caterina Tumbarello Renda,Francesca Tamburello, Giovanni Ruisi, Loredana Tamburello, Luisa Melia, Renato Di Franco

▲ Francesca Tamburello e Terenzio Medri

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Secondo i sommelier veneti è la Locanda San Lorenzodi Puos D’Alpago a esibire la migliore carta dei vini,aggiudicandosi il primo posto del premio “Carta deiVini della Ristorazione del Veneto”. Circa 150 i localiveneti fra ristoranti, osterie, pubblici esercizi ed enote-che, segnalati dalla sommellerie, ma anche dagliagenti Santa Margherita, main sponsor del progetto,per questo premio ideato dall’Ais Veneto per far emer-gere quei locali che propongono alla propria clientelala migliore offerta dei vini e distillati attraverso la cartadei vini. Gestita da Renzo Dal Farra e dalla moglieMara Zanon, sommelier professionista, la carta dei vinidel ristorante bellunese ha quasi 800 etichette. Nonnecessariamente vini di tendenza, quelli più importantici sono tutti, naturalmente, ma molte sono anche lechicche scoperte conoscendo, in giro per l’Italia, pic-coli produttori. Renzo e Mara puntano naturalmentesui vini italiani, ma vogliono valorizzare anche le eti-chette francesi. Il secondo premio è stato assegnato al ristorante SanMartino di Michela Berto, nell’omonima località aScorzè (Ve), mentre sul terzo gradino del podio è salitoLuca Grezzani, titolare, in quel di Noventa Vicentina,del ristorante Alla Busa. La cerimonia di premiazione, a cui ha presenziato ilpresidente nazionale dell’Ais Terenzio Medri, si è svoltaal Vinitaly, nello stand della Regione Veneto che hapatrocinato l’iniziativa.Obiettivo del premio anche ribadire che una carta deivini correttamente impostata, di facile lettura e com-pleta nell’offerta, dà valore aggiunto al locale.Immagine; impatto emozionale; leggibilità; chiarezzanell’identificazione dei vini; trasparenza nell’indicazio-ne dei prezzi; originalità; professionalità; coerenza earmonia con il locale e le sue proposte culinarie, i crite-ri con cui sono state valutate le carte dei vini.I primi tre classificati hanno ricevuto una targa delmaestro orafo, il veneziano Alberto Zucchetta, perso-naggio di spicco anche nel mondo enogastonomico.

Gli altri dodici ristoranti finalisti hanno ricevuto unavetrofania da applicare all’esterno del locale con lasegnalazione della partecipazione al concorso. Sono:ristorante Da Gigetto, Miane (Tv); ristorante InstabileScorzè (Ve); ristorante Ilva, Sanguinetto (Vr); ristoranteLe Calandre, Sarmeola di Rubano (Pd); ristorante Lavit,Sarmeola di Rubano (Pd); ristorante La Peca, Lonigo(Vi); ristorante Al Borgo, Belluno (Bl); ristorante Sarti,Sorgà (Vr); Locanda Aurilia, Loreggia (Pd); ristoranteBacco D’Oro, Mezzane di Sotto (Vr); trattoria DalContadino, Vo’ Euganeo (Pd); ristorante LaMarescialla, Montebello Vicentino (Vi). La giuria eraformata dal presidente dell’Ais Veneto, Dino Marchi,dal delegato Ais della provincia di Treviso, ArnoGaleazzi, da Luigi Francescon (Regione Veneto), daLorenzo Biscontin (Santa Margherita), da Lino Strambi(Bonaventura Maschio), da Luca Toaldo (Luigi Bormiolispa) e dal giornalista Luca Pinzi. Gli altri partner di que-sta avventura sono stati Dersut Caffè, Luigi Bormioli SpAe Distilleria Bonaventura Maschio.

(Laura Tuveri)

Carta dei vini, premiatala Locanda San Lorenzo

▲ Dino Marchi con i vincitori, Mara Zanon e Renzo Dal Farra

I vincitori del premio

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SULLO SCAFFALE di Natalia Franchi

Pane, vino e acqua, i tre elementi essenziali dellatavola, sono i protagonisti di questo volumescritto da Don Mario Dalla Via e pubblicatodall'Azienda Agricola Le Pignole di Brendola, inprovincia di Vicenza. Storico, archivista e appas-sionato archeologo, don Mario, ha pubblicatovari volumi di storia locale e sacra. Con Pane,vino...e acqua ci propone un'analisi simbologi-ca dei tre elementi essenziali della tavola.Partendo dalle civiltà della Mesopotamia, il suostudio ripercorre la storia soffermandosi in par-ticolare sulle Sacre Scritture e giungendo finoalla tradizione contadina veneta e ai giorninostri. Si riscopre così, nel corso dei secoli e trale righe dei testi sacri, il valore degli elementiche costituirono il nutrimento essenziale pergenerazioni e che ancora oggi rappresentanoun significato profondo per la cultura del ter-ritorio.Il libro è stato pubblicatodall'Azienda Agricola LePignole mantenendo fedead un impegno preso ilgiorno dell'inaugurazionedella cantina, nel dicem-bre del 2006. In quellaoccasione il sacerdote,chiamato a benedire lanuova costruzione, feceprecedere alla formula dirito una riflessione sullasimbologia degli alimentidella tavola. I titolari del-l'azienda riuscirono allora a strappargli la pro-messa di mettere per iscritto quegli studi, pren-dendo l'impegno di dare alle stampe il libro chene sarebbe risultato per raccogliere fondi a favo-re di una causa benefica. La ricerca di don Marioè così proseguita con la raccolta di nuove fontidocumentali per arrivare ora alla pubblicazio-ne di un saggio di circa 170 pagine, corredatoda immagini e cartografie, a cui si aggiunge unacorposa appendice dedicata alle Concordanzepastorali della Bibbia.

In tempi di ardenti polemiche su sacro e pro-fano, Stato e Chiesa, politica e religione, un bel-l’esempio di analisi rigorosa sugli elementi prin-cipi delle nostre tavole.

Pane quotidiano e… molto altro.

PANE, VINO… E ACQUA

Autore: Don Mario Dalla ViaEditore: Le Pignole – Colli Iberici

Si deve ad Alberto Pattono, sommelier e degustatore Aisquesto godibile volume che chiude, idealmente, il per-corso di una “trilogia enologica”, dopo Bramaterra edErbaluce, del panorama della viticoltura biellese.La trilogia si chiude dunque con un affettuoso tributo alLessona, il vino Doc biellese più legato al nome e all’iden-tità del luogo d’origine. Deriva dal Nebbiolo, il “principedei vitigni”, padre di stupendi e meravigliosi figli, capacedi assumere sfumature incredibili e diverse a seconda dellaterra che lo ospita. Un vino che esiste da sempre e che,oltre ad essere espressione delterritorio, può diventare stru-mento di conoscenza e di dif-fusione di una civiltà, frutto distoria, tradizione e culturasecolari.E’ intorno a numerose inter-viste, che danno anima al vino,che si snoda la passione diPattono per il Lessona. Un vinoche risale al periodo romano.Una attribuzione temporalecomprovata da due prove indi-rette: la scoperta in Lessonadella lapide, detta del sagario,a testimonianza dell’utilizzo daparte di contadini di rozze tuniche in canapa, tessute inloco; e l’esistenza della via Lexonasca, importante stradache collegava Lessona con Mottalciata. Dalla Roma anti-ca, al Medioevo, all’Ottocento, si fa strada l’apprezzamen-to per questo vino dalle caratteristiche uniche. Un apprez-zamento che non risparmiò neppure Camillo Benso Camillodi Cavour, uno dei più importanti personaggi della viticol-tura piemontese, che rivoluzionò i processi di vinificazio-ne delle uve Nebbiolo, dal Barolo al Gemme. E che, in qua-lità di Ministro dell’Agricoltura, del Commercio e dellaMarina (1850), incentivò attraverso una serie di accordicommerciali con l’Austria (1851) e con la Francia (1852)l’esportazione dei vini piemontesi in questi paesi.Eccoci arrivare al Novecento, nel periodo tra le due guer-re mondiali, inframmezzate dal proibizionismo fascista edalla Fillossera, che rimase nel biellese sino agli anni Venti.Un periodo negativo per la viticoltura lessonese, che ebbeperò un autentico fautore nel Monsignore Delfino Maggia,parroco di Lessona dal 1922. Un precursore del Disciplinaredi produzione della Denominazione di Origine che videnella coltivazione del vitigno di questo vino una reale fontedi ricchezza per la nazione.L’analisi storica di Pattono continua ad arricchire le nostrementi e ad alimentare un orgoglio di cui ogni italiano, nonsolo biellese, dovrebbe farsi portatore.

La forza della tradizione, il senso di un paesaggio.

IL VINO LESSONA Storie di coraggio,passione e orgoglio

Autore: Alberto PattonoEditore: Lineadaria EditorePrezzo: 15,00 euro

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Non perdetevi questo esilarante volumetto colmodi esempi di “buon vivere” e di una ilarità mai scon-tata e tarata sul vissuto quotidiano di ognuno. Ilmerito è di due autori, noti ai più per l’apprezzatatrasmissione radiofonica che conducono su Radio2 Rai, Caterpillar.Profondi conoscitori delle nevrosi e delle manie deiradioascoltatori italiani, Cirri e Solibello ci propon-gono una imperdibile carrellata di situazioni estre-me nella loro paradossalità, ma di ineluttabile quo-tidianità, ed esempi virtuosi e curiosi di soluzionidegli stessi, adottate da comunità e persone anco-ra capaci di ribellarsi alla arresa imperante.Parlando della sempre attuale mobilità urbana, chedire dell’idea messa in pratica dal comune diScandiano, ventitremila abitanti a 10 chilometri daReggio Emilia, dove i vigili fanno le multe al con-trario? Premiando con bigliettini di ringraziamen-to chi rispetta il codice della strada? Un’azione cheapre nuovi orizzonti di inte-razione sociale, in cui allarepressione si oppone la per-suasione, l’incentivo, la caro-ta al posto del mal tolleratobastone. “Luke Skywalkerche sconfigge Darth Fener.L’evoluzione della specie”.Passando al tema energia, intempi di fotovoltaico e bio-masse, scopriamo che i vege-tali potrebbero sostituire ilpetrolio. Chi, da piccolo, harifiutato con sdegno di man-giare spinaci, carciofi e finoc-chi, guardi con occhio nuovoe speranzoso l’intuizione delcremonese Professor Fogher; il tabacco, sì, proprioil malvagio tabacco delle sigarette, ha un seme checontiene il 40% di olio, un olio combustibile chesi può bruciare per produrre energia al posto delcarbone o del gasolio delle nostre caldaie. Un risul-tato strabiliante che lo stesso ex ministro Sirchiasaluterebbe con stupore, dall’irrisorio impattoambientale, esempio perfetto di riconversione vir-tuosa di una delle massime fonti del vizio.Al professore e a tutti i protagonisti delle commo-venti soluzioni contemplate nel libro, fieri opposi-tori delle lobbies mondiali va l’accorato suggeri-mento degli autori: cambiare spesso i tragitti e nondormire più di due notti nello stesso letto!

C’è chi ci prova.

NOSTRA ECCELLENZA

Autore: Massimo Cirri e Filippo SolibelloEditore: ChiareletterePrezzo: 12,00 euro

Storia curiosa quella del Sannio beneventano, laterra più vocata della regione Campania e, ciono-nostante, totalmente assente dalla storia del vinoitaliano.A tracciare il profilo di quest’area misconosciutaed elencare gli oggettivi motivi di tale fenomeno,Manuela Piancastelli, scrittrice e vignaiola, pervent’anni giornalista de “Il Mattino”. A lei il meri-to di aver compiuto un’operazione culturale diconservazione della memoria.Sì, perché con undicimila etta-ri vitati, un milione di ettolitridi vino prodotto e oltre 40aziende vitivinicole, il Sannio èl’unica reale strada del vinodella Campania. Eppure i pochivini citati in qualche testo anti-co (Pannarano e Cerreto) sonodi fatto scomparsi dall’attualepanorama vinicolo. Benché laproduzione di uva sia semprestata una voce importante del-l’economia di quest’area, nonc’è traccia di vini beneventaninei grandi “cataloghi” del pas-sato. Causa di ciò, la miseria estrema in cui ver-savano queste terre, che solo da pochi decenni sisono riscattate dalla povertà. L’onerosità della col-tivazione della vite impedì infatti vere iniziativeimprenditoriali su larga scala, con terreni esclu-sivamente dedicati alla vigna, laddove invecel’obiettivo dei contadini non poteva essere la qua-lità ma solo la quantità.Il mutato scenario socio-economico consente oraal sistema del vino beneventano di contare sunumerosi punti di forza. In primo luogo la ric-chezza del vigneto per estensione e composizionevarietale. Poi, la prossimità di infrastrutture diricerca importanti. In ultimo, le numerose mani-festazioni di notevole presa sul pubblico e sulsistema dei media.Ai moderni punti di forza fanno però da contral-tare alcune debolezze, da neutralizzare, comeauspica l’autrice: l’assenza di aziende leader equindi l’insufficiente notorietà dei valori vitivini-coli del Beneventano presso il grande pubblico.La fragilità del sistema distributivo e la scarsacoesione della filiera.

La riscossa del Sannio.

UNA VIGNA CHIAMATA SANNIO

Autore: Manuela PiancastelliEditore: KatPrezzo: 20,00 euro

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Cambiamenti di disciplinare a passo di carica, altrimenti decide l’Europa

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Succedono cose stranissime in questo avvio diprimavera che segue quella grande fiera (anchedelle vanità) che è il Vinitaly. Il mondo del vino ita-

liano, come preso dal morso di una tarantola, va di fret-ta, corre, si affanna. Quale la causa di tanta agitazione?La voglia di affrontare e se possibile vincere la crisi, diprovare a reagire “aggredendo” i mercati con propostevalide e convincenti dal punto di vista della qualità e delprezzo? Anche, ma ad impegnare soprattutto i produt-tori italiani, in una sorta di rincorsa affannosa, è la con-sapevolezza, che diventa quasi affannosa, che dal pros-simo primo agosto, in seguito alla riforma Ocm vino, chevedrà le nostre attuali Doc, Docg e Igt trasformarsi,pur mantenendo i nomi con cui siamo abituati a cono-scere e chiamare le nostre attuali denominazioni, in Dope Igp, le competenze in materia di assegnazione di nuovedenominazioni, oggi arrivate all’astronomica quota di470 complessive, passeranno da Roma, dal Comitatonazionale vini, a Bruxelles. Un passaggio di competen-ze che dovrebbe por fine ad un’epoca che ha portato auna proliferazione incontrollata ed inutile di Doc e Igtdalla portata e dalla diffusione municipale, spesso igno-te a soli 50-100 chilometri di distanza (alla faccia delmercato globale), spesso del tutto prive di rispondenzasul mercato. Cosa accade in questi ultimi mesi che ciseparano dalla data “fatidica” del primo agosto? Accade che secondo una logica allucinante, un po’ da“ultimi giorni di Pompei” o da “assalto alla diligenza”prima che arrivi lo sceriffo, si continui a chiedere il rico-noscimento di nuove denominazioni. Denominazioni la cui “urgenza” e necessità apparivanogià dubbie con l’antico regime, ma che diventa ancorapiù difficile giustificare pensando alla scadenza di ago-sto… In alternativa, sempre in zona Cesarini, si prova(e talvolta viene concesso, anche a vini la cui notorietàe importanza è tutta da dimostrare) il passaggio dallaDoc alla Docg oppure, nel nome del restyling, del rinno-vamento si chiedono, e spesso vengono approvate, modi-fiche ai disciplinari di produzione. Aggiornamenti sensati, in alcuni casi, ma in altri, aleggere le “spiegazioni”, se così le si può definire, si trat-ta di ammodernamenti la cui utilità è tutta da dimostra-re o che avvengono con procedimenti e sistemi non certoimmuni da critiche. Voglio citare solo due casi, tra le sva-riate variazioni di disciplinare approvate o alle viste, quel-le relative al Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene eal Primitivo di Manduria. Con incredibile tempestività algrido di “Salviamo il Prosecco dalle imitazioni!” ci è statoannunciato che a partire dal primo agosto 2009 tutto ilProsecco sarà protetto a livello comunitario ed interna-zionale come Denominazione di Origine Protetta o Dop.

Verrà creata un’apposita nuova Doc Prosecco, mentre lestoriche Doc Conegliano Valdobbiadene e Colli Asolanidiventeranno Docg. Per arrivare a questo risultato, cheprevede tra l’altro che il nome dell’uva da cui si ottieneil Prosecco (vino), ovvero l’uva Prosecco venga sostitui-ta da un cosiddetto sinonimo, Glera, così designato daun decreto d’urgenza del Comitato Ministeriale varietàviti, si è deciso di trasformare una Doc sostanzialmen-te regionale in una Doc interregionale che comprende-rà tutte le Province del Friuli Venezia Giulia nonché quel-le venete di Belluno, Treviso, Venezia, Vicenza, Padova.Una Doc che prenderà dunque il nome dalla località enon dal vitigno, avendo come capitale non più la MarcaTrevigiana da cui il Prosecco (vino) è partito costruen-do il suo successo, bensì la località di Prosecco (in slo-veno Prosek), frazione di Trieste situata sul Carso a pochipassi dal confine con la Slovenia. Con questo escamo-tage, che riprende il meccanismo utilizzato dagli unghe-resi con la loro storica zona del Tokaji per costringere iproduttori friulani a non chiamare più Tocai friulano iloro vini base Tocai, rivendicando il primato della deno-minazione sul vitigno e la tutela a livello di ComunitàEuropea della denominazione geografica come marchio,diventerà impossibile produrre, come oggi avviene, vinia base di uva Prosecco in Romania, Brasile, Argentinae chissà dove. Tutto bello, peccato però che nella capi-tale di questa nascente ampia denominazione, la locali-tà triestina di Prosecco, non si sia mai prodotto vinoProsecco con uve Prosecco, realizzando se non un “falsostorico” una forzatura nello spirito che guida il concet-to di denominazione…E con il Primitivo di Manduria, spostandoci a sud, cosasta succedendo? Accade che mentre il mondo e soprat-tutto i consumatori stanno scoprendo e valorizzando ivitigni autoctoni, quelli dotati di un gusto peculiare einimitabile, stanchi dei soliti vini standardizzati a suondi Cabernet e Merlot, nel cuore della Puglia, nella terradi quello storico grande vino (anche da taglio) che è ilPrimitivo e nella sua storica capitale, che è Manduria,decidano (ma che pensata “originale”!) di cambiare labase ampelografica ammettendo nel vino sino ad un 15%di altre uve raccomandate e autorizzate in provincia diTaranto e Brindisi. Aglianico e Negroamaro, dicono,ma alla prova dei fatti saranno invece le solite uve bor-dolesi. Modifiche, viene detto, “per mettere il disciplina-re del Primitivo al passo con i tempi”, per consentire“maggiore sperimentazione da parte delle aziende”. Saràla logica del mercato, dicono, ad imporre questi cambia-menti a passo di carica, ma di fronte a questi “mala tem-pora” come posso non ripetere che io (e non penso diessere il solo) non ci sto?

di Franco Ziliani

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