DeVinis n. 92 Marzo-Aprile 2010

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DE Vinis PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL ’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - [email protected] LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ, LA CULTURA, IL PIACERE, I PROTAGONISTI DEL BERE BENE Marzo / Aprile 2010 Anno XVII - n. 92 - 3,50 - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postal e - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/ 02/2004 - n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano

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Pubblicazione Ufficiale dell'Associazione Italiana Sommelier

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DEVinis

PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - [email protected]

LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ,LA CUL TURA, IL PIACERE,

I PROTAGONISTI DEL BERE BENE

Marzo / Aprile 2010

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Programmiamo

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Un forum per discutere strategie comuni e per ribadire a gran voceche non è possibile improvvisare la cultura del vino, che i territorivanno tutelati per rispettare la natura, gli uomini che vi lavorano

e di conseguenza anche le eccellenze prodotte. Sono alcune delle tematiche da trattare negli stati generali del vino, unainiziativa che la nostra associazione cercherà di mettere in cantiere nelcorso del Vinitaly di Verona. Lì si incontreranno tutti i protagonisti del pia-neta vino, dai produttori ai consumatori, passando per enologi, somme-lier, ristoratori, enotecari, Federdoc, Federvini, associazioni di categoria eistituzioni. A tutti loro chiederemo la disponibilità per mettere in agenda, nelle pros-sime settimane, un appuntamento importante non solo per approfondiree analizzare il presente, ma anche e soprattutto per mettere a punto le stra-tegie del futuro, per mantenere e conquistare nuovi spazi in un mercatodivenuto col trascorrere degli anni – e con l’aumentare dei competitor –sempre più articolato e complesso. Per non perdere ciò che con tempo, fatica e serietà abbiamo conquistatoè importante la programmazione, è determinante mettere al centro della

convivialità la bottiglia di vino, che racchiude lavo-ro, cultura, storia e tradizioni. È quindi indi-

spensabile una regia nazionale che con la col-laborazione di tutti verifichi la validità delle

scelte attuali e ne vagli, se necessario, di nuoveche consentano al vino di continuare a essere un

fattore trainante dell’economia e del settore agroali-mentare. In questo senso è inoltre auspicabile unamaggiore collaborazione tra i ministeri competen-ti, primi tra tutti quelli delle Politiche agricole edel Turismo.Prima abbiamo accennato al rispetto dell’am-biente. Le ultime vicende legate alla fuoriuscitadi petrolio nel Lambro e, di conseguenza, nel Po

hanno ulteriormente posto l’accento sulle proble-matiche dell’ambiente, una ricchezza incommen-

surabile che andrebbe protetta con maggiore respon-sabilità da parte di tutti. Non farlo sarebbe un vero e

proprio delitto. E a rimetterci saremo tutti noi.

di Terenzio Medri

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Anno XVII marzo-aprile 2010Associazione Italiana Sommeliers Editore

Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, [email protected] redazionale | Francesca Cantiani, [email protected] la pubblicità | Roberto Pizzi, [email protected] tel. 02/72095574 – ICE Srl – Corso Garibaldi, 16 – 20121 Milano

Redazione | Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9 - 20125 Milano Tel. +39 02/2846237 - Fax +39 02/26112328 - [email protected]

Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, [email protected]

Hanno collaborato | Marco Aldegheri, Silvia Baratta, Francesca Cantiani, Luigi Caricato, Riccardo Castaldi, AlessiaCipolla, Elisa della Barba, Piermaurizio Di Rienzo, Alessandro Franceschini, Natalia Franchi, Salvatore Giannella,Paolo Giarrusso, Maddalena Giuffrida, Carmen Giuratrabocchetta, Emanuele Lavizzari, Michela Lugli, MaurizioMaestrelli, Letizia Magnani, Angelo Matteucci, Davide Oltolini, Morello Pecchioli, Cesare Pillon, Paolo Pirovano, MarcoPrimolevo, Alessandra Rotondi, Luigi Salvo, Daniele Scapicchio, Lorenzo Simoncelli, Eugenio Tropeano, Daniele Urso,Franco Ziliani.

Fotografie | Archivio AisPer l’articolo a firma di Marco Aldegheri foto dello stesso autore. Si ringrazia Sergio Castagna per l’ottimizzazionegrafica delle etichettePer l’articolo a firma di Salvatore Giannella il ritratto di Silvio Garattini è di Ro MarcenaroPer l’articolo a firma di Alessandro Franceschini foto dello stesso autorePer l’articolo a firma di Riccardo Castaldi foto dello stesso autoreSi ringrazia Urbano Sintoni per il ritratto fotografico del presidente Terenzio Medri (editoriale)

Reg.Tribunale Milano n.678 del 30/11/2001

Associato USPI

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La quota associativa è di 80 euro e comprende l’abbonamento annuoalla rivista ufficiale AIS e alla GuidaDuemilavini edizione 2011.

Rinnovo quota associativa 2010

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La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene.

AIS Associazione Italiana SommeliersPresidente | Terenzio MedriVicepresidenti | Antonello Maietta, Rossella RomaniMembri della Giunta Esecutiva Nazionale | Terenzio Medri, Antonello Maietta, Roberto Gardini, LorenzoGiuliani, Vincenzo Ricciardi, Catia Soardi, Rossella Romani, Marco Aldegheri, Roberto Bellini.

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Marzo / Aprile 2010

10 Appuntamento al VinitalyA VERONA RITORNA PUNTUALE LA GRANDE FIERA DEL VINO

14 Tra prati e vignetiALLA SCOPERTA DELLA CUCINA DELLA VALPOLICELLA

20 Matera Doc da degustareSTORIA MILLENARIA PER UNA GIOVANE DENOMINAZIONE

24 Sorsi di una terra aspra e affascinanteI VINI DEL CARSO TRIESTINO

30 La diversità è la nostra forzaIL PUNTO DI VISTA DONATO LANATI

36 Un brindisi con lo champagne di NapoleoneVISITA ALLA MAISON PERRIER JOUËT

40 Sul pendio dei montiL’AZIENDA FAY E LA PASSIONE PER LA VITE

52 Le “Parole Maestre” per vivere saniL’INTERVISTA A SILVIO GARATTINI

61 New York, il pranzo è servito!LA CUCINA ITALIANA NELLA GRANDE MELA

56 Mare, deserto e storiaVIAGGIO TRA LE BELLEZZE DELLA TUNISIA

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64 Prezioso come l’oroINVESTIMENTI NEL VINO CON SEGNO POSITIVO

76 Non solo chef…IDENTITÀ GOLOSE METTE ORDINE TRA I FORNELLI

78 A servizio dell’ambienteMACCHINARI TECNOLOGICI IN VIGNA

80 Welcome Mr Wine!LA VITICOLTURA IN GRAN BRETAGNA

83 Enologia e spiritualità orientaleIL TANTRISMO DI FRONTE AL VINO

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Marzo / Aprile 2010

All’interno 42 Musei PATATINE, STOCCAFISSO E… CARAMELLE!

45 Vino e scuola UN MASTER PER I SOMMELIER DEL FUTURO

48 Vino e architettura CONTINUA IL VIAGGIO NELLE CANTINE INNOVATIVE

68 Olio UN PASSO FALSO SULL’OLIO D’OLIVA

70 Birra ABBINAMENTI A TAVOLA

72 Distillati VIAGGIO NELLE GRAPPERIE DEL PIEMONTE

75 Fiere DIVINO LOUNGE PER RILANCIARE I CONSUMI

96 Sullo scaffale LE NOVITÀ EDITORIALI

98 Io non ci sto! ALTA RISTORAZIONE: PROPORRE VINI È SEMPRE PIÙ DIFFICILE

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È sempre più

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DOPO UN ANNO

DIFFICILE RESTANO

MOLTI INTERROGATIVI,MA VINITALY HA MESSO

IN ATTO UNA SERIE DI

INIZIATIVE DI

MARKETING DIRETTE

AGLI USA E AI

PRINCIPALI MERCATI

EUROPEI

di Morello Pecchioli

Sono piccole ma hanno tanta voglia di farsi notare. Molte cantineche per anni si sono presentate a Verona intruppate nelle collet-tive regionali, quest’anno hanno deciso di uscire dal mazzo e di

investire più quattrini per promuovere la propria immagine aziendalecon uno stand tutto loro. È il nuovo e interessante fenomeno che carat-terizza la 44° edizione di Vinitaly, in programma dall’8 al 12 aprile. Fede,speranza e qualità. Non è una magnifica risposta alla crisi da parte del-l’imprenditoria vitivinicola italiana?Con tale beneaugurante atto di coraggio, con questa volontà di racco-gliere le nuove sfide e di lottare per affermarsi, si aprono le porte dellapiù importante rassegna del vino made in Italy. A Verona sono attesioltre 4.200 espositori da tutto il mondo, tanti quanti lo scorso anno.Molti altri avrebbero voluto esserci, ma sono finiti in lista d’attesa. SpiegaGiovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere: “Per il 44° Vinitalyil numero di espositori è in linea con quello dello scorso anno perché,nonostante l’ampliamento della superficie espositiva, che in quattroanni è passata da 84mila a più di 92mila metri quadrati, altri non cene stanno”. I numeri che possono variare riguardano i visitatori. L’anno scorso rag-giunsero la cifra record di 151mila, dei quali più di 45mila provenientida 112 Paesi esteri, e di giornalisti nel 2009 ne arrivarono da una cin-quantina di Paesi oltre 2600. Previsioni per quest’anno? “Dopo il buon

L’AISAssociazione Italiana Sommeliers

Vi aspetta alPADIGLIONE 7 – STAND D10

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1967 Il 22 e il 23 settembre si svolgono nelpalazzo della Gran Guardia, in piazza Braa Verona, le Giornate del Vino Italiano. Èl’atto di nascita ufficiale di Vinitaly.

1971 La manifestazione diventa Vinitaly-Salonedelle Attività Vitivinicole, una vera e pro-pria rassegna mercantile. Al suo interno,organizzata da Agriturist e guidata daMario Soldati, si svolge l’asta dei vini pre-giati. Al Vinitaly si affianca anche unasezione merceologica dedicata a mac-chine, attrezzature e prodotti per l’enolo-gia e la prima edizione della MostraCatalogo di Vini Doc.

1978 Vinitaly ottiene la qualifica di “inter-nazionale” e apre le porte alla parteci-pazione di aziende estere.

1987 All’interno di Vinitaly nasce il primoSalone dell’Oliva.

1988 Il Salone dell’Oliva diventa SOL. Nasceanche Distilla, il Salone della Grappa, delBrandy e dei Distillati.

1992 Nasce il Concorso enologico inter-nazionale che è divenuto il più selettivo epartecipato al mondo con una media di90 medaglie assegnate su oltre 3.500 vinida più di 30 Paesi.

1998 L’internazionalità di Vinitaly è confermatae rilanciata dalla scelta di Veronafiere,nel centenario di attività, di andare inCina, a Shanghai, con China Wine, un’es-

perienza positiva che si ripeterà gli anniseguenti. Il settore delle attrezzature dedi-cate al vino e all’olio diviene una rasseg-na ad hoc, Enolitech, il Salone delleTecniche per la Viticoltura, l’Enologia leTecnologie Olivicole ed Olearie.

2002/03 La rassegna conquista anche l’Americacon Vinitaly US Tour e partecipa a Ifows,l’India Food and Wine Show di Mumbay.

2008 Viene lanciato Passionate Business, cherappresenta la sintesi della filosofia oper-ativa di Veronafiere: passione per il vinoe concretezza degli affari. Il salone delvino più grande del mondo consolida lasua leadership internazionale, forte diun’area espositiva di 86mila metri qua-drati netti completamente occupati daoltre 4.300 espositori provenienti da oltre30 Paesi e visitatori in arrivo da più di 100e festeggia i 10 anni di Vinitaly WorldTour. Dopo Vinitaly India a Mumbay eNew Delhi a gennaio, a febbraio vienerealizzata la prima delle due trasferte diVinitaly US programmate in questo annonegli Stati Uniti, che tocca Miami e PalmBeach. A ottobre Vinitaly è di nuovo aChicago e per la prima volta a New Yorke nella capitale Washington. Il calen-dario all’estero si completa con la Russiain giugno e il Giappone e la Cina anovembre.

La storia di Vinitaly

risultato del 2009 con un più 14 per centodei visitatori esteri, Vinitaly ha messo inatto una serie di massicce iniziative di mar-keting diretto negli Usa e nei principalimercati europei per consolidare e amplia-re questo risultato” risponde Mantovani.“Sono attese delegazioni qualificate dibuyer da Svizzera, Gran Bretagna, Francia,Austria, Germania, Ungheria, Danimarca, Svezia,Canada, Russia, Usa, Australia, Egitto, Libia, Tunisia,Marocco, Sudafrica, India, Cina, Corea del Sud,Giappone, Taiwan, Malaysia, Singapore, Indonesia,Ecuador, Messico, Paesi Baltici, America Centrale eMeridionale”.Sono le “aspettative interessanti” di cui parla LucianoPiona, presidente dell’Unione dei Consorzi vini vene-ti (Uvive) reduce da un road show pre Vinitaly in trecapitali dell’Est europeo: Varsavia, Praga e Budapest.“Mi attendo da questo Vinitaly una rivoluzione. Leavvisaglie ci sono: catene alberghiere che cambianola carta dei vini, mercati più dinamici, importatori cheprocedono a un riassortimento, tendenze di gusto chesi evolvono. Certo, usciamo da un anno difficile e moltiinterrogativi rimangono, ma se i consumi vanno beneci sono opportunità per tutti”. Se dipendesse da luila rivoluzione si farebbe già nel calendario: “Un Vinitaly

che comincia di giovedì e finisce, ormaismobilitato, il lunedì, esclude grandissi-ma parte dei ristoratori che, di solito, chiu-dono nei primissimi giorni della settima-na. Sarebbe meglio fare il contrario: apri-re la domenica e chiudere il giovedì”.Su un Vinitaly che rimescoli le carte ingioco punta anche Lucio Bussi, giornali-

sta caposervizio all’economia del quotidiano L’Arenadi Verona. “Uno degli argomenti più sentiti nel mondodel consumo del vino è il rapporto qualità-prezzo. IlVinitaly se ne deve far interprete. Il consumatore nonne può più dei costosissimi vini alla moda. La genteè stufa di farsi prendere in giro e non crede piùall’equazione qualità uguale costo. La cultura enolo-gica di base, grazie al lavoro di giornali seri e ai corsiper degustatori organizzati da associazioni come l’Ais,è notevolmente progredita, anche tra i giovani. Si saquanto costa produrre una buona bottiglia. Il futuroè dei vini di qualità a prezzo giusto. E il Vinitaly deveportare avanti questa istanza”.Sull’importanza dell’educazione enologica e sulla valo-rizzazione delle carte dei vini pone l’accento ancheDino Marchi, presidente dell’Ais Veneto, che proprioal Vinitaly organizza la grande vetrina della premia-zione della carta dei vini dei ristoranti, un riconosci-

� Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere

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mento che è anche un messaggioai giovani. “Come Ais Veneto siamosoddisfatti di come i giovani hannorecepito il messaggio. Le presenzeai corsi sono addirittura raddop-piate andando al di là di ogni piùrosea aspettativa e prendendoci incontropiede. Abbiamo in atto 24corsi. E anche le iniziative organiz-zate con il marchio Ais, come IlVeneto al 300 per 100 (cento can-tine e trecento vini) e il convegnoVino e carattere sono state ripaga-te con grande partecipazione”.Il presidente di Veronafiere, EttoreRiello, è al suo primo Vinitaly.Risoluto e ottimista, pronostica unagrande edizione, alla faccia delmomento congiunturale. “Convinticome siamo della capacità profes-

sionale di chi viene al Vinitalyattendiamo con fiducia la parteci-pazione di aziende e operatori for-temente motivati a capire l’attua-le situazione economica interna-zionale e aperti all’elaborazione dinuove strategie per uscire dallacrisi con una rinnovata capacità distare sui mercati” spiega Riello. “Daparte nostra proponiamo una fieradi servizi evoluti per mettere in con-tatto offerta e domanda. E ci riu-sciamo bene visto che la nostra ras-segna enologica vanta 33 contattiper operatore contro gli 11-15 dellefiere concorrenti. Naturalmenteproponiamo anche una fiera di con-tenuti che favorisce il confronto fragli attori della filiera”.Tra i “servizi evoluti”, visto comesono andate le cose fino all’ultimaedizione, non sono compresi l’ac-cesso alla fiera e i parcheggi intor-no, vero? “L’accesso e il deflusso deivisitatori sono invece sotto control-lo. Merito dell’attività di coordina-mento tra Veronafiere, Comune diVerona, dal quale dipende la gestio-ne della viabilità, e Azienda traspor-ti per la gestione dei parcheggiscambiatori e dei bus navetta.Strategici, poi, gli investimentianche finanziari fatti negli ultimianni dall’Ente Fiere per acquistarele aree da adibire a parcheggioattorno al quartiere fieristico. Edè in fase di realizzazione il nuovopiano infrastrutturale 2010-2014al quale è destinato l’investimentodi 70,7 milioni di euro autofinan-ziati. Prevede la creazione e riqua-lificazione di tre aree di ingresso ela costruzione di due nuovi padi-glioni che porteranno la capacità diVeronafiere a 150mila metri qua-drati lordi complessivi coperti. Saràcomunque necessario prevedere unnuovo riassetto del sistema traspor-ti e viabilità. La questione saràoggetto di uno specifico accordo diprogramma con il Comune diVerona volto a trovare una soluzio-ne funzionale e stabile a tutto van-taggio di espositori e visitatori. Intale contesto, è stato avviato un pro-getto specifico per avere la garan-zia della disponibilità di 15-16milaparcheggi in prossimità del quar-tiere fieristico, quale servizio impre-scindibile da offrire con certezza aiclienti di Veronafiere”.

� Ettore Riello,presidentedi Veronafiere

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L’Ais organizza una serie di degustazioni guidate che si svolgeranno duran-te la prossima edizione del Vinitaly. Gli eventi si terranno nella Sala D – 1°piano, padiglione 9. La quota di partecipazione è di € 20 da versare pressolo Stand Ais – D10 padiglione 7. Le prenotazioni saranno accettate fino adisponibilità dei posti. Ricordiamo che lunedì 12 aprile i soci Ais in regolacon la quota associativa 2010 entreranno gratuitamente in fiera dalla PortaSan Zeno fino alle 12.00 (presentare la tessera associativa o copia dellaricevuta di versamento della quota dell’anno in corso unitamente a undocumento di identità).Per informazioni [email protected].

Venerdì 9 aprile

Il vitigno Sauvignon, spessore varietale e sottile aromaticità Ore 11 – relatore Lorenzo Giuliani

Calabria: sei vitigni in cerca d’autoreOre 14 – relatore Girolamo Grisasi

L’Umbria, il giardino enologico del centro ItaliaOre 16 – relatore Gabriele Ricci Alunni

Sabato 10 aprile

Champagne: la magia raccolta in un calice di bollicineOre 11 – relatore Roberto Bellini

Presentazione del Premio Internazionale “Innovazione nella Professione”Brindisi con la nuova DOCG Valdobbiadene Conegliano Prosecco SuperioreOre 12 – Padiglione 6 Stand Villa Sandi E4

Le vignaiole di Liguria presentano i loro vini più significativiOre 14 – relatore Antonello Maietta

Borgogna e Pinot Noir: eleganza e stile inconfondibileOre 16 – relatore Roberto Gardini

Domenica 11 Aprile

Il fascino del Metodo Classico italianoOre 11 – relatore Annalisa Barison

La provincia dell’Aquila nel bicchiereOre 14 – relatore Manuela Cornelii

Bordeaux, tra mito e realtàOre 16 – relatore Roberto Gardini

Lunedì 12 aprile

Esordi: nuovi vini all’orizzonteDalle ore 11 alle 16 in Sala Argento – Seminterrato Palaexpo

LE DEGUSTAZIONI AISAL VINITALY

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La cucina della Valpolicella conserva i tratti di unamensa accogliente, approdo delle scampagnatefuori porta, come era per le ricche famiglie della

città nei secoli scorsi e a dispetto della fama del suovino più celebrato è rimasta lontana dalla ristorazioned’attrazione, quella “guidaiola” per intenderci, per gour-met itineranti.Ce lo conferma Adelino Molinaroli, vecchio lupo dellaristorazione locale, con un passato orgogliosamentelegato alla montagna (per 13 anni ha gestito il RifugioTelegrafo sul Monte Baldo) e il dna del “bocia” cre-sciuto in osteria, tra litri di rosso e piatti fumanti ditrippa. Tornato nella sua Sant’Ambrogio gestisce oggi,col figlio Andrea ai fornelli, l’Enoteca il Covolo. “Non èaffatto un limite restare lontano dai riflettori”, ci diceAdelino, “l’importante è saper trasmettere con sempli-cità l’essenza dei piatti e dei prodotti più tradizionalidella Valpolicella”. I pascoli delle “highlands” della Lessinia e più a vallele colline con le verdure, gli animali da cortile, l’olio ela frutta, sono un forziere inestimabile per chi sa unireconoscenza delle tradizioni alla perizia in cucina. Questa

cucina è rimasta all’ombra, ma fedele a se stessa e allesue tradizioni più rurali, lontana dalla ricerca osses-siva dell’equilibrio del piatto che attanaglia le nuovegenerazioni di chef, capace per questo di esprimereancora forza e franchezza del gusto.Sono piatti che esaltano la loro natura quando avvici-nati a un Valpolicella, sfruttandone l’immediata perce-zione dei profumi e la vena fresco-sapida. Lo sa beneAdelino, oggi navigato sommelier e, non ultimo, presi-dente della locale Associazione di ristoratori (Le Tavoledella Valpolicella) che ha fatto proprio lo spirito rispet-toso di questa cucina. Una cucina che riesce ancora araccontare storie di uomini passati tra i tavoli di fumo-se osterie che sanno ancora rendere cordiale, come dice-va il buon Hemingway del vino, anche la tavola dellaValpolicella.

Valpolicella: versatilità a tavolaNonostante i fruttai facciano spesso incetta delle uvemigliori, il Valpolicella conserva uno spazio ben defi-nito tra i consumatori perché a differenza del fratellopiù noto, conta su fragranze più immediate, su una

Una cucinasincera

e fedelea se stessa

di Marco Aldegheri

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struttura più snella e soprattutto su unabuona dose di freschezza, sostenuta aseconda della zona di provenienza ancheda un bel livello di sapidità. Armi vin-centi a tavola, specie con piatti a mode-rata tendenza dolce, come le paste fre-sche, alcune carni o i salumi tendenzial-mente più grassi.I tannini possono farsi sentire in secon-da battuta, più che sufficienti per con-trapporsi a untuosità molto più conte-nute che un tempo. Sanno però farsilargo quando cresce la struttura e darman forte a un alcool in genere modera-to. Solo in questo modo si riesce a soste-nere piatti anche di discreta succulenza(una zuppa di fave o una pasta e fasoiad esempio). È anche un vino estremamente versatilecon diverse potenzialità, a partire da una semplice ver-sione base, magari in solo acciaio dove la beva è la cartamigliore, da contrapporre a una pasta all’uovo (un piat-to di bigoli al sugo d’anitra o una tagliatella al ragù di

coniglio). Se passiamo a un Superiorecon corpo e tannino più apprezzabili èpossibile alzare il tiro, ad esempio conuna tradizionalissima e succulentapastisà de caval oppure una fettinadi soppressa su fumante polentaabbrustolita. Non è da meno il Ripasso,ma tendenzialmente più morbido, capa-ce per questo di affrontare anche piat-ti più amarognoli o speziati, una taglia-tella in brodo coi fegatini o, perché no,nella versione Superiore Ripasso ancheun piatto di selvaggina o un MonteVeronese d’allevo. Una buona persi-stenza farà poi il resto. I profumi, chepossono essere anche molto intensi ecomplessi, ci conducono senza veli

all’identità delle corvine. Un buon esercizio del naso perentrare a pieno nel vasto terroir della Valpolicella, goden-do di spezie e di fiori, di note vegetali o minerali, nonsolo di frutta rossa. I vini recensiti di seguito ne sonotestimonianza.

� Adelino Molinaroli

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Santambrogio 2008 – ALDEGHERIValpolicella ClassicoCorvina, corvinone e rondinella costituiscono l’ossatura principale di ogni Valpolicella. Danno uvemolto versatili, che possono essere appassite per grandi vini da lungo affinamento o possono pro-durre, come in questo caso, dei vini più pronti e immediati, umili servitori dell’abbinamento piùche scomodi protagonisti a tavola, come ogni tanto capita. Il Santambrogio ha un naso diretto eschietto, sensazioni vinose, fruttate di durone e mora, che poi evolvono in sfumature vegetali e inpetali secchi. In bocca è un finto magro, tannino modesto sì, ma sapido e abbastanza fresco, digrande godibilità. Soli 12° alcol per un vino da bere.

Valpolicella Classico 2008 – ALLEGRINISe di Franco Allegrini è facile ricordare il ruolo di innovatore, che ha dato sicuramente un tocco dimodernità alla Valpolicella rurale degli anni Ottanta, non deve passare in secondo piano la suarispettosa attenzione per la tradizione, a quello che di buono c’era in quei primi anni. Nel suoClassico troviamo corvina (65%), rondinella (30%) e molinara (5%) e un naso apparentementesemplice per un affinamento tutto acciaio. Amarena e lampone, ma anche viola fiorita, cuoio,spezie dolci e arancia candita. In bocca prevale la freschezza, poi è sapido e abbastanza lungo.Corpo snello e grande beva da “tutto pasto”.

Ognissanti 2006 – BERTANIValpolicella ClassicoOgnissanti è prodotto nei vigneti attorno a Villa Novare, nel cuore geografico della Valpolicella, esoprattutto in quello storico. Qui nel primo ‘900 prende vita il fenomeno cooperativo e poi si dipa-na la lunga storia della famiglia Bertani. Tanta storia sembra influire anche sulle caratteristicheorganolettiche. Un naso austero, mai troppo espansivo, ma sempre molto elegante. Apre al nasocon sensazioni verdi, la liquirizia, poi rosa e viola appassita, cannella e mentuccia, per la ciliegiasotto spirito bisogna aspettare un po’. In bocca è equilibrato con un tannino nobile appena soprale righe e un finale setoso e vellutato. I 18 mesi in barrique non si notano più di tanto.

TB 2005 – TOMMASO BUSSOLAValpolicella Classico SuperioreQuando Tommaso Bussola entra nell’Azienda dello zio Giuseppe inizia a differenziare la “sua” pro-duzione con le iniziali (TB) da quella dello zio (BG). Nasce così TB, la linea di punta che ha dato aTommaso tante soddisfazioni anche in campo internazionale, soprattutto negli Stati Uniti. Corvina,corvinone e rondinella soprattutto, un pizzico poi di molinara e altri vitigni locali, questa la suaricetta. Affinamento per tre lunghi anni in tonneaux e barrique di secondo passaggio. Ne esce unnaso complesso di caramella d’orzo, caffè e timo al naso poi le erbe. In bocca è opulento, 37 grdi estratti non sono uno scherzo, morbido e lungo. Da provare con formaggi di capra stagionati.

Valpolicella Classico 2008 – CANTINA DI NEGRAR Cantina di Negrar rappresenta uno standard di riferimento per la qualità in zona e non ultimo peril rapporto qualità/prezzo. Può permettersi un largo bacino di approvvigionamento per le uveconferite, che vengono da terreni molto vari, argillosi, calcarei, a tratti vulcanici, comunque dallecolline della vallata omonima, e da vigneti prevalentemente a pergola doppia. La fermentazionedelle uve (corvina, corvinone, rondinella e molinara) e l’affinamento del vino avviene in acciaio,con fermentazione malo-lattica completa. Profumo gradevolmente retrò di bacche dolci, fiori espezie, ma vivace in bocca, secco e un po’ caldo, fresco e conviviale, collabora con la giustamodestia al desinare di tutti i giorni.

Ca’ Fiui 2008 – CORTE SANT’ALDAValpolicellaOltre alle uve tradizionali Marinella Camerani aggiunge nel suo Valpolicella piccole quantità dicroatina e rossara, uve autoctone a bacca rossa. Per tutti i vigneti lo stesso standard, il guyot sem-plice e la certificazione biologica ottenuta seguendo i principi dell’agricoltura biodinamica. Lefermentazioni partono spontanee con lieviti indigeni in tini di rovere. Profumo intenso, ciliegia fre-sca, quasi croccante, poi il balsamico e lo speziato. In bocca tannini evoluti, maschio da manifemminili. L’alcool a 12,5 bisogna leggerlo sull’etichetta. Vino di gran bella beva, magistrale esem-pio di fresco squilibrio.

LA DEGUSTAZIONE

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Vigneto di Monte Lodoletta 2003 – ROMANO DAL FORNO Valpolicella SuperioreIl Romano nazionale irride le bizze del meteo di un’annata soffocante con un vino sferzante,ancora fresco e dal tannino evoluto, espressione del sua maniacale ricerca di perfezionismo nel-l’est veronese. Naso ampio in costante evoluzione di frutta macerata e di spezie, di tabacchi eminerali, e corpo potente. Croatina e oseleta sono state la sua scommessa e anche qui accom-pagnano in piccola quantità una base di corvine (70%) e rondinella (20%). La barrique americanaè il vestito di una bella signora come ama ricordare Romano, un abito lungo… 36 mesi in questocaso. Se volete saltate pure la cena…

Valpolicella Classico Superiore 2006 – RUBINELLI VAJOL La piccola conca del Vajol si trova nelle prime pendici che salgono a nord di San Pietro inCariano. Le uve di corvina, corvinone e rondinella fanno appassimento per un mese, quindi fer-mentazione e macerazione per circa 35 giorni, poi il vino viene lasciato ad affinare in botti di rove-re per 12 mesi. Al naso subito spezie, tabacco, cacao amaro quasi prepotenti, e dopo la loro sfu-riata ecco la frutta rossa in crescendo, il tabacco e l’erba amara, in bocca un grande corpo chein parte nasconde i 14 gradi alcolici, secco ma abbastanza morbido con tannini ben evoluti ediscreta freschezza.

Valpolicella 2008 – GROTTA DEL NINFEO – FRACCAROLI DOMENICO Nasce sulle colline di Lavagno nell’est Veronese, a 150 metri di altitudine, in terreni argilloso-calca-rei di origine vulcanica (il nome di Lavagno deriva da lava). I vitigni sono i classici a pergola vero-nese, con lavorazione in acciaio. Subito molto floreale, di rosa, viola ed iris, poi la frutta fragrante euna nota verde che gli dà tono. In bocca è fresco e beverino grazie a un tannino che non distur-ba, un bel vino rosso diretto e piacevole che può essere bevuto anche in estate perché guada-gna da una temperatura di consumo un po’ più bassa. Provatelo con un baccalà, come lo fannoi frati di San Bernardino.

Corte Colombara 2006 – TENUTE GALTAROSSAValpolicella Classico Superiore Dalla storica proprietà di Villa Pule, tra i comuni di San Pietro in Cariano e Negrar, oggi proprietà diGiacomo Galtarossa, ecco uno spavaldo classico superiore. Colpisce per il naso austero ditabacco, cuoio, prugna e carruba. Civetta un po’ di cipria con i 12 mesi di grande botte da 8quintali, come una nobil donna prima di presentarsi in pubblico, ma resta fondamentalmente unvino nervoso, anche in bocca dove il peso del corpo si fa sentire. Tannino graffiante e stile asciut-to con finale sapido per piatti succulenti, anche un salmì se la caccia è fortunata.

Valpolicella Superiore 2005 – MARIONMuscolare interpretazione dei fratelli Campedelli dalle uve tradizionali dei soli 6 ettari nella vallatadi Marcellise, a est di Verona. È un superiore impegnativo che ha grande bisogno di aria per espri-mere fino in fondo il frutto e il ricco corollario di liquirizia dolce, camomilla e timo, le nuance di frut-ta secca e un alloro che è solo l’apripista della forza balsamica di questo vino. Spalle quadrate inbocca (35 gr di estratto), tannino levigato, effetto sapido nell’approccio e fresca la chiusura.Cocciuto sarebbe il confronto con un “musso”, stracotto naturalmente, per l’occasione.

Valpolicella Classico 2008 – NICOLISDell’ampia produzione dei fratelli Nicolis in quel di San Pietro in Cariano vi segnaliamo la fragranzafruttata di questo Valpolicella, di ciliegie e marasche croccanti, di prugna fresca e susina, sfumato dispezia piccante. Uvaggio tradizionale di corvina 65%, rondinella 25% e molinara 10%, il tutto lavoratosolo in acciaio. Molto gradevole l’effetto della beva, complice la freschezza dichiarata, il toccosapido e un tannino che sgomita per dire la sua. Medio corpo per soluzioni attraenti con insaccatimorbidi poco stagionati, quelli che a Pasqua ricordano ancora la concia del pepe e dell’aglio.

Valpolicella Superiore 2005 – ROCCOLO GRASSI Piccoli uomini crescono, a est in questo caso, a Mezzane di Sotto, dove Marco Sartori si sta definiti-vamente smarcando dall’etichetta di giovane promessa confermando la felice mano anche convini come questo, costruito con garbo ed energia, un po’ermetico al primo olfatto, per degustatoripazienti. Solo allora sarete premiati con ribes e marasche macerate, rami secchi e bosso, orzo, caffèe cacao amaro, menta e china. Venti mesi di legno lo aggraziano, anche in bocca dove il tanninosolletica il palato con compostezza. Una “avvolgente” freschezza si prende lo spazio finale.

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Valpolicella Classico 2007 – SARTORIDietro una dimensione fortemente internazionale si cela la storia centenaria di una delle famigliestoriche della Valpolicella. Il classico 2007 è buona espressione al naso di un frutto ancora fresco,di marasca, lampone e ribes in particolare. Sottile la sfumatura di pepe e salvia. Per l’uvaggio lascelta è quella canonica a base di corvina veronese (50%), rondinella (40 %) e molinara (10%)mentre l’affinamento è un assemblaggio di cemento, acciaio e grandi botti di rovere per 6-8mesi. Fresco l’incedere del palato e sapido il finale. L’agnello allo spiedo del mio amico Melis cistarebbe proprio bene.

Vigneto Sant’Urbano 2006 – SPERIValpolicella Classico Superiore La base portante è corvina (70%) poi rondinella, molinara e corvinone. Vengono dal monte omonimoche guarda Fumane da est. Un breve appassimento e l’affinamento in tonneaux di rovere di Allier da5 hl per 18 mesi scolpiscono un fruttato casto di mora e confettura e un ampio bouquet floreale, contoni verdi ed earthy, in cui spiccano petali di rosa appassiti e spezie nascoste. Sapido e fresco, nonnasconde il calore dei suoi 13,5°, ma il giusto numero di anni gli dà il raro dono dell’equilibrio. Unattraente brizzolato. Elegante e promettente con carni rosse alla brace e formaggi stagionati.

La Fabriseria – TEDESCHIValpolicella Classico Superiore 2006 Ha portato a spasso le uve della Valpolicella con la complicità del cabernet regalando, bisognadirlo, anche delle belle soddisfazioni ai fratelli Tedeschi, ma ora col 2006 il figliol prodigo è tornato alleorigini, con corvina, corvinone, rondinella e un 5% di oseleta, e diventa Doc in ossequio alla migliortradizione. Nel naso ciliegie, amarene e ribes, avviluppate dai 18 mesi di grande botte, al gusto tanni-ni ben presenti e buona freschezza. Nell’insieme un vino lungo, elegante, quasi vecchio stampo.Uccidete pure il vitello più grasso perché 14,5° e oltre 35 gr di estratto vi faranno ben figurare.

Nanfrè 2008 – TENUTA SANT’ANTONIOValpolicella Dal Vigneto Monti Garbi a Mezzane di Sotto, i Fratelli Castagnedi traggono questo Valpolicella affina-to in acciaio che colpisce per l’impatto gusto olfattivo e la fragrante complessità. Note verdi, di radi-ci e chiodo di garofano ritornano in bocca, arricchiti da un bel tannino, freschezza e sapidità.Splendida chiusura quasi mentolata. Agile e scattante, da sposare a una cucina quotidiana: taglia-telle in brodo, risotti, pollo e vitello alla brace. Un vino con il quale osare anche con il pesce: caciuc-co alla livornese e baccalà con olive e patate.

Valpolicella Classico Superiore 2006 – TERRE DI LEONE Con le uve di Marano e Fumane Federico Pellizzari utilizza appassimenti lunghissimi per svilupparecomplessità dei profumi, ma riesce a conservare inspiegabilmente una discreta agilità del palato.Solo la conoscenza della tecnica e una conduzione maniacale possono rendere inavvertibili ben 100giorni di appassimento. Le uve sono quelle tradizionali, con un po’ di molinara e di oseleta e il vinoaffina in rovere francese in formato 5 e 25 hl per 18 mesi. Naso splendido di ciliegie e bacche selvati-che con l’appassimento in lontana penombra. Ufficiale e gentil uomo nel corpo perché dosa conequilibrio forza ed eleganza, lungo e armonico. Prova di carattere per un azienda all’esordio.

Vigneto Rafaèl 2007 – TOMMASIValpolicella Classico SuperioreUn ritratto della tradizione, da terreni calcareo-basaltici dell’omonimo vigneto di Pedemonte, prodot-to con 60% di corvina, 25% di rondinella e ben 15% di molinara, ormai desueta ai più. L’affinamento di15 mesi in botti di rovere da 65 hl dona profumi d’antan di fiori appassiti e di china, frutta rossa, speziedolci e cuoio. Al naso un po’ austero fa il verso un palato più immediato e diretto, con piacevoleequilibrio di bocca, grazie a tannini morbidi, un buon corpo e un finale abbastanza sapido. Un since-ro compagno per piatti di sostanza come pasta fresca alle carni, minestre di legumi, nonché formag-gi a media stagionatura.

Campo Morar 2005 – VIVIANIValpolicella Classico SuperioreUn fulvo color rubino, brillante, dove corvina e rondinella in un legno sapiente diventano lezioned’eleganza. Il resto è un corredo odoroso di rosa canina, caffè d’orzo, sfumature di rabarbaro, fruttasotto spirito, e mineralità delle terre più alte della vallata di Negrar. Perfetta la corrispondenza inbocca, dove questo Superiore, sfodera tutta la grinta dei 14% ed è sostenuto da una splendida fre-schezza in un finale lungo e sapido. Grande vino con carni brasate e speziate che non sfigurerebbepure con la Cassoeula lombarda. Se dopo l’Amarone Claudio Viviani avesse mai bisogno di dimo-strare qualcos’altro, la strada è questa.

Hanno collaborato alle degustazioni: Maria Grazia Melegari, Fabio Poli, Matteo Guidorizzi.

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Una giovanedenominazione

con 2500anni

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Un vino che si identifica con il suo territorio, unterritorio che si identifica anche per il suo vino.È questa la filosofia che ha guidato tutte le ini-

ziative che hanno portato, nel 2005, al riconoscimen-to ufficiale della Doc Matera, terza cronologicamentetra quelle presenti in Basilicata dopo Aglianico delVulture, Terre dell’Alta Val d’Agri e, recentemente,Grottino di Roccanova.“Filosofia” non è un termine usato a caso; questo ter-ritorio agli albori della storia era infatti conosciuto comeEnotria, terra del vino, al centro della Magna Greciadove le colonie del Metapontino riflettevano le profon-de origini elleniche dei loro fondatori e dunque dellacultura illuminata e moderna di cui erano portatori.Un territorio che si identifica nel vino anche con la scel-ta del nome, Matera, che delimita tutta la provinciacome area di produzione, ma affida il “topos” a unadelle città più rinomate del Sud Italia dal punto di vistadelle bellezze storico-culturali con i suoi “Sassi”, patri-monio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco, che lacollocano tra gli insediamenti più antichi della civiltàumana dopo Petra in Giordania.Può accadere, a volte, che una storia millenaria nonsia sufficiente a preservare un patri-monio di conoscenze e tradizioni, percui la vitivinicoltura nella provinciadi Matera ha rischiato di estinguer-si a cavallo degli anni Settanta,sovrastata da una ortofrutticolturain grande espansione e da una con-suetudine alla coltivazione di granoduro che assicurava maggiori introi-ti rispetto alla coltivazione della vitee alla produzione del vino.

Fortunatamente, grazie alla tenacia di alcuni impren-ditori agricoli, che hanno continuato a investire nel-l’innovazione e nella qualità in vigna e al continuo sup-porto della Regione Basilicata è stato avviato un per-corso virtuoso coronato con il riconoscimento dellaDenominazione di origine controllata per i vini di unterritorio agricolo tra i più interessanti del Mezzogiornod’Italia. L’entusiasmo e la competenza di alcuni pro-duttori comincia a dare i suoi frutti alla luce dei rico-noscimenti che la Doc Matera inizia a ottenere e chepotranno sempre di più aumentare, specie se si pun-terà a una maggiore caratterizzazione del vino scom-mettendo su un vitigno simbolo del territorio matera-no quale è il primitivo. Il disciplinare della Doc com-prende sei diversi tipi di vino: Rosso, Primitivo, Moro,Greco, Bianco e Spumante. Ogni vino viene ottenutoda vitigni specifici, attraverso tecniche produttive diver-se. Il Matera Rosso è ottenuto dalla vinificazione diSangiovese, Aglianico e Primitivo, cui si possono aggiun-gere altri vitigni autoctoni non aromatici a bacca nera.Dalla vinificazione di uve Primitivo per almeno il 90%si ottiene il Matera Primitivo. Un uvaggio più internazio-nale caratterizza il Matera Moro, che prevede un mini-

mo di 60% di Cabernet Sauvignon edel 10% di Merlot, oltre a un 20% diPrimitivo e altri vitigni locali. Per ilMatera Greco si utilizza principal-mente il Greco Bianco (85%) con altrivitigni bianchi autoctoni. MalvasiaBianca di Basilicata, Greco Biancoe piccole percentuali di altri vitignidanno vita al Matera Bianco. Infine,dagli stessi vigneti che danno le uveper il Bianco, ma con un diverso pro-

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cesso di vinificazione, si ottiene il Matera Spumante,ottenuto solo per rifermentazione naturale.L’intero processo di vinificazione deve avvenire solo nelterritorio regionale. Per i vari vigneti è prevista una pro-duzione massima di 10 tonnellate per ettaro. La gra-dazione alcolica è compresa tra i 10,5 gradi del Biancoe del Greco ed i 12,5 del Primitivo. L’immissione al consumo delle tipologie Rosso, Primitivoe Moro, infine, può avvenire solo dopo un periodo dimaturazione obbligatorio di dodici mesi, a partire dal1° novembre dell’anno di produzione delle uve.Per accompagnare a tavola il Matera Doc c’è solo l’im-barazzo della scelta, vista l’ampia gamma dei vini di

questa Doc: possiamo andare da un bianco giovanefino ad un rosso strutturato e importante, come ilPrimitivo o il Moro. Matera Bianco e Greco si sposanocon primi piatti leggeri, minestre come l’acquasale, ver-dure come le patate raganate e, ovviamente, pesce delloJonio. Se il Matera Rosso può accompagnare tutto ilpasto, al Moro e ancor più al Primitivo vanno riserva-ti saporiti piatti di carne e sughi ricchi o formaggi sta-gionati tipici della tradizione lucana come pecorino diFiliano Dop o di Moliterno e caciocavallo podolico. Comeaperitivo o su preparazioni più leggere a base di cro-stacei o carni bianche nulla di meglio che un flute diMatera Spumante metodo classico.

MALANDRINA 2006 - MASSERIA CARDILLO MATERA MORO DOC - 14,5%

Nel bicchiere si presenta di colore rosso rubino profondo e impenetrabile, orlato da riflessigranati, con vivaci tonalità, di notevole consistenza. Al naso è intenso complesso ed ele-gante, con piacevoli note di frutta rossa matura, con prugna e ciliegia su tutti, seguiti dasentori speziati di pepe nero e cacao. In bocca è deciso, caldo e avvolgente, ben equili-brato dalla vivida freschezza e da tannini levigati. Di ottima struttura. Lunga la persistenzacon finale balsamico. Maturazione in piccole botti di rovere francese almeno dodici mesi.Da gustare con cosciotto di agnello arrosto al forno con patate.

TITTÀ 2007 - MASSERIA CARDILLO MATERA ROSSO DOC - 14%

Rubino impreziosito da luminosi riflessi, di buona consistenza. Compattezza olfattiva intri-gante che esprime note succose di frutta rossa (lampone, ciliegia, ribes) incorniciate inpiacevoli sentori di pepe nero e spezie orientali. Struttura immediatamente percepibile inbocca, ma allo stesso tempo pulita ed equilibrata tra una importante alcolicità e unnerbo acido in buona evidenza. Lungo il finale, un po’ sapido e con ritorni gusto-olfattivispeziati. Affinamento in acciaio inox, almeno sei mesi in barrique di rovere francese edodici mesi in bottiglia. Ottimo da provare con lo spezzatino di cinghiale, funghi porcini ebacche di ginepro.

LE PAGLIE 2008 - CANTINE CERROLONGOMATERA GRECO DOC - 13%

Si presenta con una veste giallo paglierino lucente, con una buona consistenza.Nel bicchiere ha una sorprendente intensità con note fruttate di nespola, ginestra, sentoridi pera, banana e un tenue finale minerale e speziato. Gusto ricco, morbido, fresco esaporito, delineato da una avvolgente struttura e gradevolmente equilibrato. Buona lapersistenza aromatica intensa e la corrispondenza gusto olfattiva. Ben integrato l’apportodel legno: affinamento tre mesi in acciaio (80%) e tre mesi in legno (20%). Da accompa-gnare con purea di fave e cicoria campestre.

TORRE BOLLITA 2007 - CANTINE CERROLONGOMATERA MORO DOC - 14%

Così denominato da un'antica torre costiera di difesa, proprietà della famiglia Battifarano,costruita dagli Aragonesi nel Cinquecento e ancor oggi saldamente eretta dinnanzi al marJonio. Composto da un blend di uve Cabernet Sauvignon, Merlot e Primitivo si presenta dicolore rosso granato, profondo e luminoso di buona consistenza. Nel bicchiere presentaprofumi evoluti di confettura di prugna, di marasca e viola seguiti da note speziate ditabacco e pepe. Al gusto si presenta subito di grande corpo, caldo, morbido ben equilibra-to da un elegante tannino evoluto e una robusta spalla acida. Ottimo nel finale con unalunga persistenza e una piacevole corrispondenza gusto olfattiva. Affinamento in acciaioper otto mesi e in legno per sei mesi. Da abbinare con arrosto di cinghiale con verdure.

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PIETRAPENTA 2006 - DRAGONE MATERA PRIMITIVO DOC - 13,5%

È un vino ottenuto dalla vinificazione in purezza di uve Primitivo; di colore rosso rubinovirante al granato, di buona consistenza. Gradevole olfatto, emana piacevoli note di prugna in confettura che accompagnanoeleganti sensazioni di vaniglia, more in confettura, spezie dolci e tabacco.Al gusto è caldo, morbido, di buona freschezza con un tannino deciso, ben equilibrato. Dibuona persistenza gusto olfattiva. Matura per due anni.Da degustare con piatto di orecchiette alla materana.

EGO SUM 2006 - DRAGONE SPUMANTE METODO CLASSICO BRUT ROSÈ - 12,5%

Ottenuto da uvaggio 100% primitivo, si presenta di colore rosa cerasuolo con leggeri riflessiramati, con perlage fine e abbastanza persistente.All’olfatto è intenso piacevolmente fruttato, in chiusura rilascia sensazioni di ciliegia, conricordi di fragoline e lamponi e una lieve fragranza di lieviti e crosta di pane. In bocca è morbido, fresco, accattivante e con una gradevole mineralità.Buona la persistenza gusto olfattiva. Affinamento sui lieviti per 12/16 mesi.Ottimo con un risotto agli scampi, ma può essere una piacevole scoperta con i salumi.

SERENELLA 2008 - AZIENDA AGRICOLA DITARANTOMATERA GRECO DOC - 12,5%

Nel bicchiere si presenta giallo paglierino intenso con venature verdoline. Al naso si pre-senta con evidenti note fruttate, di pesca bianca mela renetta, supportate da bouquetfloreali di ginestra, sambuco con richiami agrumati.In bocca ha stoffa, una bella vivacità acida che ben si fonde con un frutto dolce e matu-ro di pesca. La sapidità non manca e il finale, delicatamente amarognolo, ne stimola ilriassaggio. Ottimo in accompagnamento a una tartare di tonno alla mentuccia.

IL CELLARIO 2008 - AZIENDA AGRICOLA DITARANTOMATERA MORO DOC - 13,5%

Rosso rubino, con tonalità abbastanza vivaci. Si apre su note intensamente complesse difrutta rossa in confettura che proseguono verso toni vegetali che accompagnano arichiami speziati nel finale. Al gusto si presenta secco, caldo e morbido, con un tanninodeciso, ma mai aggressivo. Buona struttura e discreto equilibrio. Dal lungo finale che virasu sapori leggermente amaricanti di liquirizia. Da assaporare in abbinamento con maiali-no o spiedini al forno.

PRIMEBACCHE 2005 - MASSERIA LANZOLLAMATERA PRIMITIVO DOC - 13,5%

Nuance granato, intenso e luminoso, di piena consistenza. La buona complessità olfattivaricorda profumi di frutta a bacca rossa matura, subito seguiti da delicate note speziate,accenti vegetali, cuoio, tabacco e pepe. In bocca è deciso, caldo, leggermente morbido, con un tannino deciso, di buona fre-schezza. Il palato è strutturato, buona persistenza, abbastanza equilibrato e con un finaleche racchiude una nota amaricante. Affinamento in acciaio per un anno e successiva-mente per quattro mesi in barrique. Da abbinare con arrosto di agnello al vino rosso.

MONS ALBIUS 2006 - MASSERIA LANZOLLAMATERA MORO DOC - 13,5%

Rubino con sfumature che virano al granato. Si respirano i profumi del sottobosco, delleviole, dei mirtilli e delle visciole sotto spirito, accompagnati da lievi note erbacee e spezia-te. Potente al palato, la dotazione calorica è ben mitigata dalla vivacità dei tannini, dol-cemente sapido e ben equilibrato all’assaggio. Buona la coerente persistenza gusto olfattiva, con nota di liquirizia in chiusura. Da gustare con bocconcini di manzo alle prugne o coniglio alla cacciatora.

Hanno collaborato Carmen Giuratrabocchetta, Marco Primolevo, Daniele Scapicchio edEugenio Tropeano.

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Carso,vini con il saporedi pietra

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Nata nel 1985, la Doc Carso è di granlunga la più piccola Doc del FriuliVenezia Giulia con circa 100 ettari

di territorio una percentuale intorno all’unoper cento della produzione totale regiona-le. Cionostante, dei vini del Carso si parlasempre più spesso tra gli appassionati piùesigenti e curiosi ma più che per le spessoanche convincenti interpretazioni date divarietà internazionali presenti un po’ intutto il Friuli Venezia Giulia comeChardonnay e Sauvignon in bianco eCabernet (Sauvignon e franc) e Pinot neroin rosso, per i vini espressione di due varie-tà autoctone, la Vitovska in bianco ed ilTerrano, appartenente alla famiglia deiRefoschi, ma differente dal Refosco friu-lano, in rosso. Questo senza dimenticaregli ottimi vini che, in bianco, si ottengono da un’uvadelicata come la Malvasia Istriana. Le origini dellaVitovska, come dice chiaramente il nome, sono slove-ne e in Slovenia difatti viene coltivata con il nome diVitovska Garganja e si tratta di una varietà che moltobene si é adattata alle particolari condizioni di siccitàe ventosità di questo ambiente tutto particolare, verazona di confine tra culture e civiltà (anche del vino)molto diverse, che è la terra del Carso. Una terra aspra e affascinante, che gode dell’influen-za del mare e conta su microclimi del tutto particola-ri, dove la produzione vinicola spesso percorre la stra-da del vino da tavola, mentre per i vini a denominazio-ne i produttori tendono a usare indifferentemente laDoc Carso sia l’Igt Venezia Giulia, seguita dall’indica-zione del vitigno. Grazie alla disponibilità di Edi Kante

e Beniamino Zidarich, due dei principali produttoridi questa piccola denominazione, i cui protagonistisono aumentati negli ultimi anni, abbiamo avuto mododi fare un’ampia degustazione di una settantina di vinidella Doc Carso, concentrando l’attenzione proprio suVitovska, Malvasia Istriana e Terrano. Vini, i bianchi,giocati sulla finezza aromatica, sulla mineralità, su uncorredo acido importante, su una definizione e un nerbopreciso, su un “sale” che li rende estremamente vivi epiacevoli, mentre nel Terrano è il tannino, a volte dota-to di una certa ruvidezza scabrosa, a dominare, insie-me a profumi selvatici, boschivi, che rendono i vinimolto particolari e assolutamente, come dicono glianglosassoni, food friendly, ovvero particolarmenteadatti all’abbinamento ai cibi, molto saporiti e gusto-si, della zona. Ma lasciamo ora la parola ai vini.

di Franco Ziliani � Il Carso triestino

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KmetijaKmetija AziendaAzienda

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Vitovska Friuli Venezia Giulia Vitovska 2003 Kante Stupefacente brillantezza e vivacità del colore, paglierino oro splendente, naso di intensi-tà complessità ricchezza e freschezza fuori dal comune, con aromi caldi di agrumi canditie macchia mediterranea, liquirizia, anice, miele d'acacia, albicocca candita, fiori bian-chi, il tutto in una cornice di straordinaria freschezza e sapidità con accenni salini e dimare. La bocca è ricca, calda, piena, avvolgente di assoluta dolcezza, con nerbo preci-so sapido e nervoso, una petrosità estrema e sapidità che rende il vino preciso, lunghissi-mo, verticale, praticamente infinito, con un'acidità e un carattere davvero straordinari.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2007 Fabian Giusto Colore paglierino oro verdognolo di bella intensità e brillantezza, naso molto ampio,caldo, suadente, di grande eleganza, con note di albicocca, pesca, fiori bianchi, agrumie frutta secca. Bocca piena, ricca, salata di grande nerbo e pulizia, il vino si allargaampio in bocca con bella dolcezza di frutto, acidità ben calibrata e persistenza verticalemolto salata, con equilibrio e piacevolezza.

Carso Doc Vitovska 2007 Skerk Colore paglierino oro splendente, naso di bella intensità e fittezza, molto suadente ed ele-gante, con note di albicocca, pesca nettarina, accenno di miele, agrumi canditi, liquiriziae fiori bianchi di bellissima ricchezza. Al gusto asciutto, ricco, pieno, di grande e saldastruttura, ben secco, di grande avvolgenza, con pienezza e carattere incisivo da rosso,grande equilibrio, finezza, lunga persistenza, con acidità bilanciata e mineralità.

Carso Doc Vitovska 2007 Zidarich Colore molto denso, fitto estrattivo, “stile Gravner e dintorni”, naso secco, con ossidazionecontrollata, che si distende poi ampio e solare, con frutta candita, leggera speziatura,albicocca secca, agrumi canditi e liquirizia in evidenza. Bocca larga, piena, avvolgente,con la stoffa e la ricchezza di un rosso, di grande personalità, lunghissimo, largo, impegna-tivo, ancora estremamente giovane con nerbo acido che spinge.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2007 “Vitigno antico” Kante Colore paglierino di bella intensità con note verdognole brillanti traslucide, naso di grandefragranza e purezza, con perfetta interazione tra note di fiori e fieno secco e fruttate, conagrumi, mandorla, nocciola, una leggera speziatura, liquirizia, accenni di anice e sambu-co a completare il bouquet. Bocca di grande impegno e ampiezza ricca, estrattiva, connotevole stoffa ma con freschezza e sapidità estreme, lungo, verticale, nervoso, con aci-dità profonda grande freschezza e sale. Ancora molto giovane e con grande potenziale.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2006 Grgic Igor Colore paglierino oro squillante multi riflesso, naso caldo, fitto maturo, mediterraneo confrutta secca, fieno e fiori secchi in evidenza e accenni di miele con mineralità spiccata.Bocca molto larga, piena, di grande stoffa, ricca e calda con bellissima acidità e fre-schezza, gusto sapido, ben secco, incisivo di grande carattere e sale. Ancora molto gio-vane e pieno di energia.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2008 Jozko Colja Colore paglierino acceso di grande intensità e brillantezza, naso molto fitto, maturo, largo,con bella ampiezza e presenza di frutto (pesca e albicocca), accenni di biancospino e sal-via, a comporre un insieme elegante, ampio suadente, con dolcezza d'espressione medi-terranea e note agrumate. Bocca di bella intensità e ampiezza, con grande nerbo sapido,bell'allungo nervoso e verticale, sottile e incisivo, con acidità viva e grande carattere.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2006 Ostrouska Bella intensità di colore, naso molto vivo, complesso, solare mediterraneo, con erba e fienosecco, miele, agrumi e frutta in evidenza, con fragranza e freschezza. Bocca molto seccaasciutta, di grande slancio e nerbo salato, con persistenza lunga e mineralità spiccata.

DEGUSTAZIONE DOC CARSO

Fabian Giusto

Vitovska 2007

Igor Grgic

Vitovska 2006

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Carso Doc Vitovska 2007 Lupinc Colore paglierino smagliante di vivacità e brillantezza, molto elegante e sottile nei profumifloreali, propone una bocca di grande ampiezza e impegno, asciutta, nervosa, con mine-ralità che spinge e grande materia, ma con freschezza, acidità e nerbo preciso e unagrande lunghezza e verticalità, con carattere petroso spiccato.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2007 Mario Milic Naso molto caldo, pieno, maturo con spiccato carattere vinoso e frutta ben matura(pesca e albicocca) accenni di liquirizia anice e salvia. In bocca é molto largo, asciutto,nervoso, con bell'allungo, ha pienezza, ricchezza estrattiva, lunga persistenza salata bensecca senza concessioni, acidità ben calibrata che spinge e finale molto persistente, verti-cale, salato, di nerbo preciso.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2007 Castello di Rubbia Colore paglierino oro solare multi riflesso, naso molto ampio, mediterraneo con agrumicanditi, fiori bianchi, leggera speziatura e vena petrosa, bocca di notevole impegnomolto asciutto, largo, pieno con sviluppo preciso e coerente, grande intensità e pienezza,ben secco, con un ritorno che richiama il bastoncino di liquirizia, acidità ben sottolineata,una buona verticalità e lunghezza.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2008 Stanko Milic Paglierino verdognolo brillante, naso molto elegante, incisivo, floreale, con una bella pre-senza di pesca bianca e accenno di miele, con freschezza, nerbo, un bell'accenno mine-rale. Attacco asciutto, preciso, nervoso di apprezzabile nitidezza e precisione, sapido enervoso, ha persistenza e buona acidità che spinge.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2007 Roberto Savron Colore macerativo estrattivo, naso molto ricco, asciutto maturo, con anice e liquirizia inevidenza e poi fiori secchi e agrumi, bocca di grande ricchezza con tannini che mordonoancora, pieno molto asciutto, di carattere spiccato ancora con una certa durezza diespressione dovuta a un legno ancora sbilanciato, ma largo caldo di grande impegno.

Malvasia Istriana

Friuli Venezia Giulia Malvasia Istriana 2008 Jozko Colja Paglierino oro traslucido di grande luminosità, naso ricco ampio, suadente di grande fra-granza, dolcezza ed eleganza, con note di mandorla, miele e biancospino. Bocca ampia,ricca, salata, di grande nerbo, si allarga pieno avvolgente caldo, con grande stoffa, macon un sale, una freschezza, un nerbo, un bilanciamento acido da grande vino, con puli-zia, estrema piacevolezza e finale secco asciutto che invoglia a bere.

Friuli Venezia Giulia Malvasia Istriana 2008 Fabian Giusto Colore di bellissima intensità e brillantezza, naso fitto, caldo, suadente, di grande elegan-za, fragranza e complessità, con un tono quasi cremoso, con agrumi, fiori bianchi, accen-ni di miele in evidenza, il tutto in una cornice di grande fragranza e sapidità. Al gusto èricco, pieno di notevole estrazione e colore, alcol (13°) ben bilanciato, ha materia riccache regala ampiezza, larghezza, salda persistenza con una bella vena acida che spingee vivacizza il finale verticale e petroso.

Carso Doc Malvasia Istriana 2007 Skerk Colore di grande ricchezza oro antico con magnifici riflessi e bella densità nel bicchiere,naso fitto, suadente, mediterraneo, con agrumi, albicocca candita, mandorla, fiori secchie miele. Bocca larga, piena, avvolgente, di magnifica estrazione, con retrogusto di mielee frutta secca, magnifica acidità e nerbo salato, con grande eleganza e ricchezza, ener-gia e integrità.

Mario Milic

Vitovska 2007

Fabian Giusto

Malvasia Istriana 2008

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Carso Doc Malvasia Istriana 2007 Zidarich Bella intensità di colore con la leggera nota opaca dei vini macerativi ed estrattivi, nasoche esalta la componente fruttata, con agrumi canditi e note mediterranee calde e solariin evidenza, accenni di mandorla e miele, grande ampiezza ma fragranza e pulizia inbocca, larga, piena, suadente, vellutata, di grande impegno e stoffa. Il vino ha finezza ecarattere, acidità ben bilanciata, fresco e vivo e pieno di sale, con finale lungo, nervoso,preciso, di grande e incisiva verticalità.

Friuli Venezia Giulia Malvasia Istriana 2007 Kante Paglierino brillante e luminoso, naso complesso, fresco, salato, di grande pulizia, grandissi-ma salinità e nerbo preciso, con mandorla, fiori bianchi, anice, vino ricco, estrattivo, macon assoluto bilanciamento tra tutte le componenti. Attacco asciutto incisivo con bellaverticalità e lunghezza, al gusto dà l'impressione di essere ancora molto giovane con unagrande materia che deve ancora completamente aprirsi e lunghissima ampia persistenza.

Friuli Venezia Giulia Malvasia Istriana 2006 Skerlj Colore molto fitto, estrattivo, leggermente opaco, naso caldo e mediterraneo con fruttasecca, miele, albicocca, agrumi canditi e poi una nota minerale sapida, precisa, petrosa,asciutta. In bocca è largo, pieno, carnoso, di grande stoffa e impegno, con magnificasapidità e mineralità, nervoso, vivo, scattante, con preciso equilibrio tra tutte le compo-nenti nonostante la potenza e la ricchezza del vino.

Carso Doc Malvasia Istriana 2006 Grgic Igor Paglierino oro multi riflesso di splendida vivacità, naso molto elegante, compatto, denso,con note di miele, zafferano, frutta secca, albicocca, mandorla, di grande fragranzaampiezza e pulizia. In bocca è molto lineare, incisivo, sapido, nervoso, con grande verti-calità e mineralità, molto essenziale quasi scabro, petroso ma con una precisione e unsale e una freschezza davvero molto notevoli.

Carso Doc Malvasia Istriana 2008 Rado Kocjancic Paglierino di bella vivacità e intensità, naso caldo, maturo, suadente, quasi cremoso, connote solari mediterranee, accenni di pasta di mandorle e marzapane, pesca bianca,miele, nocciola, bocca ricca, piena, ampia, di buon impegno e larghezza, vino volumino-so ma con notevole freschezza e corredo acido bilanciato che regala un finale incisivoasciutto di buon carattere.

Friuli Venezia Giulia Malvasia Istriana 2008 Fattoria Carsica Skerlj Colore paglierino verdognolo luminoso e traslucido, naso molto incisivo e preciso con spic-cato carattere floreale – biancospino e fiori bianchi – quindi anice, accenno di agrumi digrande freschezza e sapidità. La bocca è ampia, larga, di buona estrazione di frutto, conuna bella vena acida sapida che dà slancio ed equilibrio e buona piacevolezza al vinoancora molto giovane e fresco.

Carso Doc Malvasia Istriana 2007 Ferfoglia Bella intensità cromatica, naso ben secco, fiori bianchi, fieno, accenno miele, fruttasecca leggera speziatura, liquirizia, secco incisivo nervoso con una bella estrazione euna piacevole ruvidezza estrattiva, bocca molto secca, incisiva, nervosa, con bella aci-dità e lunghezza.

TerranoCarso Doc Terrano 2003 Kante Rubino di grande integrità e profondità, naso di bella fittezza e persistenza aromatica,ancora con una certa vinosità, con note selvatiche di liquirizia e accenni di rabarbaro,china e note minerali sapide, nervose, a costituire un insieme molto personale. Largopieno, succoso al gusto, con una pienezza di frutto – prugna e ciliegia selvatica – insospet-tabile, ancora molto largo, pieno di grande soddisfazione e polpa, mantiene ancoranerbo, freschezza ed energia.

Igor Grgic

Malvasia Istriana 2006

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Friuli Venezia Giulia Terrano 2006 Igt Fabjan Colore rubino violaceo intenso e brillante, naso selvatico e maturo, con bacche rosse pru-gna, leggera speziatura, more di rovo e ginepro e accenni animali selvatici di bella intensi-tà fragranza e ampiezza. La bocca è piena, viva, succosa, con bella polpa e ricchezza disapore, tannino ben sottolineato, grande materia terrosa con piacevole ruvidezza che dàcarattere e lunga persistenza al vino, con notevole componente acida-salata-minerale.

Carso Doc Terrano 2006 Ostrouska Rubino violaceo intenso molto brillante, naso caratteristico, selvatico, speziato-pepato,con accenni cuoiosi-animali, di liquirizia e sottobosco e una componente minerale di gra-fite e polvere da sparo ben espressa. Al gusto grande equilibrio acido-sapido bel corredotannico, una piacevole asprezza e ruvidezza, fresco, vivo, sapido, pieno di sale ancoragiovanissimo, scalpitante nervoso ancora con grande energia e nerbo.

Carso Doc Terrano 2007 Zidarich Bellissima intensità di colore, fitto, profondo ma brillante, naso di grande carnosità, ampioe strutturato, con frutti rossi di bosco, prugna accenni minerali speziati pepati in evidenza,fragranti e quasi cremosi. In bocca grande nerbo e freschezza con un frutto di grandeprecisione carnoso, succoso, pieno, di grande dolcezza eppure nervoso e sapido, converticalità minerale e tannino che morde e dà carattere spiccato al vino.

Friuli Venezia Giulia Terrano 2006 Skerl Colore molto fitto concentrato, quasi grasso nel bicchiere, fruttato, vivo, succoso, moltomaturo in evidenza a naso, con tendenza alla sovra maturazione, con sfumature legger-mente cuoiose e animali e spiccato carattere selvatico. Al gusto grande materia ricca,larga, succosa di notevole impegno e potenza, quasi masticabile, potente ampio ecaldo, con un sostegno tannico preciso e una grande ricchezza di sapore retta da unabella acidità.

Carso Doc Terrano 2006 Milic Colore rubino intenso, naso di assoluta espressività, fresco, vivo, succoso con carattere sel-vatico spiccato e note di liquirizia, cuoio, pepe nero, ginepro, macchia mediterranea dibellissima fragranza e profondità. In bocca molto pulito, suadente quasi cremoso, grandedolcezza e ricchezza, con materia salda piena e ricca, bel sostegno tannico, spiccatocarattere terroso, ampio e carnoso, ancora fresco e vivo.

Carso Doc Terrano 2007 Fattoria Carsica Grande intensità e densità di colore, naso molto intrigante su note selvatiche di piccolifrutti di bosco e prugna, con leggera speziatura e note minerali affumicate. Salda strutturaal gusto, nitido e nervoso, con tannino ben evidente che caratterizza il vino, bella compo-nente minerale con acidità ben presente, ricco di sapore nervoso petroso, con una suapiacevole tipica ruvidezza.

Friuli Venezia Giulia Terrano 2008 Roberto Savron Rubino violaceo molto vivo e brillante, naso selvatico che richiama la prugna, la mora digelso, il sottobosco, con una nitida viola e un accenno leggermente terroso. Al gustonotevole struttura e ricchezza, ampio, pieno succoso, con un bel sostegno tannico eun'acidità nervosa, piacevolmente ruvido, ma di gran carattere.

Friuli Venezia Giulia Terrano 2008 Colja Jozko Colore rubino violaceo di buona densità e profondità, aromi densi e carnosi di frutta rossae piccoli frutti e note selvatiche di sottobosco. Al gusto mostra ricchezza e densità succo-sa, bella polpa incisiva, fresca di precisa definizione e nerbo, gran carattere con equilibrio,freschezza, piacevolezza, e finale piuttosto lungo e persistente.

Fabjan

Terrano 2006

KmetijaKmetija AziendaAzienda

OSTROUŠKA

TerranoTerrano

Milic

Terrano 2006

Fattoria Carsica

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La diversità,il punto di forza

del vino italiano

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Negli ultimi trent’anni il vino italiano ha conosciuto una stagio-ne di straordinario successo, arrivando a competere con quel-lo più prestigioso al mondo, il vino francese. Ma l’anno scorso

la crisi, abbattutasi come un ciclone anche sul vino italiano quandoquesto non era più sulla cresta dell’onda, ha cambiato le carte in tavo-la. Qual è la situazione oggi? DeVinis lo ha chiesto a Donato Lanati,figura di spicco della cultura enologica italiana (è docente all’Universitàdi Torino) ma anche consulente di molte aziende sparse in tutta lapenisola, per cui dispone di informazioni di prima mano e ha tutti glistrumenti per analizzarle in profondità.

In questo momento così complesso e difficile, qual è lo stato di salutedel vino italiano?“La crisi ha colpito tutto il mondo ma, in Europa, particolarmente Italiae Francia. La Francia lamenta i danni più gravi perché la sua imma-gine si identifica soprattutto con Bordeaux e Champagne, che hannosubito perdite del 30-40 per cento (lo Champagne però ha saputo rea-gire con maggior prontezza). L’Italia ne ha risentito meno perché i suoivini, favoriti dalle differenze di stili e di regioni, sono stati in grado diaffrontare le difficoltà meglio dei concorrenti. A compromettere la lorocompetitività è stato però (fino al febbraio scorso) il rapporto di cam-bio delle valute, con un euro troppo forte e un dollaro troppo debole,che li ha rincarati, favorendo i vini australiani e cileni. E non è statocerto d’aiuto il sistema italiano di denominazioni, ingessato da buro-crazia e restrizioni, molto meno agile del laissez faire, magari ancheeccessivo, di cui godono i Paesi nuovi produttori”.

Quando si è alle prese con difficoltà economiche, il fattore prezzo assumeun’importanza fondamentale per qualunque prodotto, figuriamoci per ilvino, che non è indispensabile per l’alimentazione umana, e di cui per-ciò si può fare a meno. Di fronte all’inevitabile diminuzione dei consumi,la tentazione di abbassare i prezzi, pur di vendere, diventa fortissima.Qual è oggi, e quale dovrebbe essere, il rapporto tra prezzo e qualità? “Prima di tutto va fatto un distinguo: quando si parla di grandi vini cisi riferisce a denominazioni che godono di riconoscimento mondialecome Amarone, Chianti, Barolo, Brunello. Ma sono prodotti di nicchia,ed è una nicchia che non arriva neanche al 10 per cento della produ-zione. Sono vini che offrono indubbiamente margini importanti, ma lavariazione del loro prezzo non smuove grandi volumi: chi abbassa trop-po il suo listino rende meno credibile il proprio marchio senza far

PER CONQUISTARE

IL CONSUMATORE

È INDISPENSABILE

CAMBIARE STRATEGIA:BISOGNA ESPORTARE

CULTURA, FAR

CONOSCERE STORIA

E TRADIZIONI

IN MODO DA CREARE

INTERESSE E GENERARE

ASPETTATIVE, CHE

VERRANNO SODDISFATTE

ESPORTANDO IL VINO

di Cesare Pillon

� Donato Lanati

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aumentare le vendite in misura apprezzabi-le. Per questi vini va fatta invece una politi-ca sempre più seria di qualità, perché devo-no rappresentare unicità enologiche.Attraverso di essi si vende territorio, e perciòbisognerebbe lavorare sulla valenza dell’ori-gine, comunicando un sistema diverso piùche continuare a proporre tante denomina-zioni che creano confusione. Diverso è ildiscorso per i vini più commerciali”.

In che senso?“Nel senso che il rapporto prezzo-qualità, nelloro caso, si confronta con quello degli altriPaesi produttori, quindi per valutarlo è essen-ziale innanzitutto capire quali sono i fattoriqualitativi richiesti dal mercato: insomma,che cosa intende per qualità il consumatore,in un vino che arriva a 5 euro sullo scaffale?Poi bisogna confrontarsi con i concorrenti everificare a quale livello si può competere,senza dimenticare però la redditività che deveavere tutta la filiera”.

Il confronto, per questi vini, ha luogo nellagrande distribuzione, che non è un partner neu-trale perché dispone di un’enorme forza con-trattuale per comprimere i prezzi.“Effettivamente in Italia metà dei circa 50milioni di ettolitri prodotti viene venduta attra-verso la grande distribuzione, che è diventa-ta terribilmente importante in un momentoin cui i consumatori sono alla ricerca del pro-dotto più conveniente. Infatti la tendenza èdi abbassare sempre più i prezzi, per evita-re stoccaggi di cantina insopportabili, e dipraticare operazioni di svuotamento. Si appli-ca perciò abitualmente il principio della ven-dita a costo industriale e a volte della “per-dita di profitto”“.

i nostri produttoriBernardis V. San Sebastiano 16 Nimis UD Tel. 0432-790140A. Berra V. Ramandolo 29 Nimis UD Tel. 0432-790296G. Bertolla V. Manzoni 19 Nimis UD Tel. 0432-790301G. Bressani V. dei Conti 52 Nimis UD Tel. 0432-790430A. Claucigh V. San Sebastiano 14 Nimis UD Tel. 338-7562364A. Comelli V. Valle 71 Nimis UD Tel. 0432-790402M. Cussigh V. Ramandolo 9 Nimis UD Tel. 0432-790427G. Dri V. Ramandolo 7 Nimis UD Tel. 0432-790516Favite V. Cloz 40 Nimis UD Tel. 0432-783914Filippon V. Valle 72 Nimis UD Tel. 0432-790212D. Gervasi V. Cloz 11 Nimis UD Tel. 0432-790019I Comelli Largo Diaz 8 Nimis UD Tel. 0432-790685Il Roncat V. Pescia 7 Nimis UD Tel. 0432-790260Job Agricoltura V.Coiadi Lev. 26TarcentoUDTel. 0432-783226La Roncaia spa Via Verdi 26 Nimis UD Tel. 0432-790280Merlino V. Carducci 47 Nimis UD Tel. 347-8931342Micossi V. Bernadia 20 Tarcento UD Tel. 0432-783276G. Petris V. Ramandolo 35 Nimis UD Tel. 0432-797039Ronchi di Nimis V. dei Conti 26 Nimis UD Tel. 0432-790487R. Tami V. Roma 50 Buttrio UD Tel. 0432-670174Toblar srl V. Ramandolo 17 Nimis UD Tel. 0432-755840Vigneti P. Pittaro V.Udine 67CodroipoUDTel. 0432-904726S. e M. Vizzutti V. Vuanello 14 Nimis UD Tel. 0432-790167M. Zaccomer V. Sedilis 31 Nimis UD Tel. 0432-790234

enoteche e wine bar selezionatiEmilia RomagnaCantina Tumedei V. Ortolani, 32 Bologna Tel. 051-540239Friuli Venezia GiuliaAcer V. Manin 16 Udine Tel 0432-504186Ai Bintars V. Trento Trieste, 67 S.DanieleUDTel 0432-957322Carnia Sapori Sauris di Sopra UD Tel 0433-866378Da Benito Largo Diaz 4 Nimis UD Tel 0432-790019Enoteca Dawit V.AlpiGiulie30CamporossoUDTel0428-63012Enoteca di Buttrio V.Cividale 38ButtrioUDTel. 0432-683072Rist. Cial de BrentV.Pordenone1PolcenigoPNTel0434-748777G. Scognamiglio V. Conti 34 Trieste Tel 040-639582Trattoria al GropV.Matteotti 7TavagnaccoUDTel 0432-660240LazioEnoteca Trimani V. Goito 20 Roma Tel 06-4469661LombardiaBottega del Vino Peck srl V. Hugo 4 Milano Tel 02-861040Cantina la Frasca V.Ticino15S. FruttuosoMBTel039-2726243Enoteca ai Ronchi V. Galilei 89 Brescia Tel. 030-305354Enoteca Cotti V. Solferino 42 Milano Tel 02-29001096Ottimo Rist. e Gastr. V. S.Marco 29Milano Tel. 02-62694634Winner Wines srl V. Roma 27 Leno BS Tel. 030-906374ToscanaEnoteca Bonatti srl V. Gioberti 66/R Firenze Tel. 055-660050Selez. FattorieV.Artigianato50MontespertoliFITel.0571-670584VenetoEnoteca Cortina V.Mercato 5Cortinad’A. BLTel. 0436-862040Enoteca LaMiaCantina P. leS.Croce21PadovaTel.049-8801330Quadri GranCaffè P.zzaS.Marco120VeneziaTel. 041-5222105

RAMANDOLOD. O. C. G.

Consorzio Tutela Vini Colli Orientali del Friuli e [email protected] www.ramandolo.it

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Ma allora il concetto di qualità è moltodiverso, per i vini da 5 euro rispetto aquelli da 30.“Proprio così. In questi ultimi c’è il patri-monio storico e culturale di un terri-torio con cui l’acquirente vuole entra-re in contatto e per questo è disposto aspendere di più. Nei vini da 5 euro, inve-ce, contano di più la varietà e la man-canza di difetti, anche se la qualità èoggi una condizione assoluta a tutti ilivelli e non più un attributo dei vinial top. Questi, però, devono comunica-re qualcosa di più: una qualità unica,riconoscibile, identificabile e allo stes-so tempo storia, tradizione e verità.Meglio se verità scientifica!”.

Questo concetto, che il vino italiano hadavanti a sé un grande futuro soltantose riesce a far percepire il suo legamecon il territorio e la sua storia, è diventa-to un ritornello che ripetono tutti. Ma lasensazione è che dietro le belle parolenon si faccia molto di concreto, in ques-ta direzione. Lei che cosa ne pensa?“Bisogna prendere atto che i francesi,avendo saputo esportare in tempi non recenti la loro cultura enologi-ca, hanno fatto diventare i loro vini il punto di riferimento più facileper tutti i consumatori del mondo. Con la sola eccezione di Barolo eBrunello di Montalcino, perciò, la produzione italiana viene messa aconfronto con Cabernet, Merlot, Shiraz, Chardonnay, ed è un confron-to difficile. Tuttavia la vendita può essere favorita quando i viniottengono punteggi molto elevati dalla newsletter The Wine Advocatedi Robert Parker o dal periodico Wine Spectator, pubblicazioni che inuna sola lingua vengono lette in almeno trentacinque Paesi del mondo:possibilità che le guide dei vini italiane ovviamente non hanno”.

Ma il giudice decisivo non è il consumatore?“Sono il primo a esserne convinto, però è necessario che il vino arrivia lui. Il problema è che se si vuole entrare negli Stati Uniti o in Russiacon un nuovo marchio, bisogna esibire delle credenziali e questi super-giudici sono in grado di fornirle. Ma se il vino non è ancora sul mer-cato, non può avere un punteggio da Parker o da Wine Spectator: è ilclassico caso del gatto che si morde la coda. Ma c’è anche un altro pro-blema. Le varietà tradizionali italiane sono molto diverse da quelle fran-cesi, soprattutto sono accusate di avere meno colore. Io però sono con-vinto che la diversità delle loro caratteristiche, che sembrerebbe unpunto debole, può diventare invece il loro punto di forza”.

In che modo?“L’obiettivo di ogni produttore, oggi, è di proporre vini riconoscibili: ilconsumatore attento è stufo di assaggiare vini che si assomiglianotutti. Per conquistarlo è indispensabile però cambiare strategia: biso-gna prima esportare cultura, far conoscere storia e tradizioni in mododa creare interesse e generare aspettative. Aspettative che verrannosoddisfatte esportando, ma solo a quel punto, il vino”.

Lei ha affermato spesso l’esigenza di una tracciabilità scientifica pergarantire l’origine del vino. Certo, è importante dar certezza al consuma-tore che ciò che sta scritto in etichetta corrisponda esattamente a ciò

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che contiene la bottiglia, ma inun momento come questo, in cuiil rischio più temuto è la cadutadei consumi, è lecito chiedersi:la tracciabilità scientifica puòservire a incoraggiare le venditeoppure no? “No, a favorire le vendite oggisono il marchio e la qualità. Ilmarchio esprime fiducia,costanza, sicurezza. E la qua-lità non è più un attributo macondizione assoluta che deveessere garantita a tutti i livellidi prezzo. Da sola la tracciabi-lità scientifica non può incorag-giare le vendite per un motivomolto semplice: i consumatoripensano che sia già garantitada Doc e Docg. In realtà, avve-nimenti anche recenti hannodimostrato che ciò non è affat-to vero: tutti i controlli impostidalla normativa, i registri e lecertificazioni permettono sem-plicemente di arrivare al produt-tore, ma è lui stesso, in defini-

tiva, che garantisce varietà e origine di provenienza. Non sarebbe piùrazionale allora pretendere da lui solo un’autocertificazione delle quan-tità prodotte e del luogo da cui le ha ottenute, e poi, a campione,verificare scientificamente l’origine?”.

Ma in che cosa può consistere questa verifica scientifica? “Esiste già un sistema di controllo, basato sul valore dei rapporti iso-topici degli elementi leggeri, ma i risultati che si ottengono hanno solocarattere probabilistico perché sono influenzati dalle variazioni delclima. Vi è però un settore di ricerca più innovativo, centrato sulfatto che la vite, come tutte le piante, assorbe dal suolo le sostanze peril proprio metabolismo e nel percorso terreno-pianta-uva-vino visono alcuni isotopi che non subiscono frazionamenti neanche duran-te la fermentazione. Questi sono perciò eccellenti indicatori di prove-nienza, sempre costanti nel tempo, ma con valori specifici in funzio-ne della natura e della composizione del terreno. Costituiscono cioèuna vera e propria impronta digitale che certifica la zona di nascita delvino. Ecco perché sono convinto che la tracciabilità scientifica dell’ori-gine geografica diventerà valorizzazione dell’economia reale e del ter-ritorio”.

La sua proposta di tracciabilità scientifica provoca però qualche perp-lessità. Questa, per esempio: in un mercato egemonizzato dalla culturaamericana, che privilegia la qualità varietale del vino, come pensa sipossa imporre la qualità territoriale patrocinata dalla cultura e dallatradizione europea? “Credo che la questione vada capovolta. Se il mercato omologato dallacultura americana dovesse mai prevalere, noi saremmo costretti asmettere di fare vino perché in Australia, nel Cile e in Argentina le uve,per questo tipo di vino, si ottengono a costi decisamente più bassi.L’Italia, come tutti i Paesi storici, vende varietà ma soprattutto origi-ne. Perciò deve fare vini appetibili al consumatore mantenendo le carat-teristiche delle sue varietà così come scaturiscono da un territorio bendefinito”.

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Ma perché non accettare invece la sfida sul terrenodella qualità varietale?“Lo si è tentato anche troppo spesso, in questi anni,ricorrendo a furbizie e scorciatoie, arricchendo ivini italiani di colori e profumi, mediante tagli truf-faldini, per conferire loro più facilmente le caratteri-stiche dei vini dell’omologazione. Ma così facendo essihanno perso la forza della territorialità e l’emozio-nalità della nostra cultura. Se invece di infilare nellebottiglie a denominazione di origine vini provenientida altre zone, si fosse fatta una vera ricerca viticola,selezionando le piante per ottenere una migliore dif-ferenziazione, avremmo qualche possibilità in piùdi vincere sull’omologazione. In Italia si fa troppo pocaricerca, in parte perché è costosa, ma anche perchéc’è pochissima gente preparata per poterla fare”.

Su questo tema si innesta un’altra questione: episodicome quello del Brunello di Montalcino, nel quale ilsuo centro di ricerca, l’Enosis, ha avuto un ruolo diprimo piano come consulente della Procura, hannolasciato nell’opinione pubblica la sensazione che siamolto complicato controllare scientificamente concertezza la qualità varietale di un vino. A lume di naso,le difficoltà di controllo della qualità territoriale dovreb-bero essere anche maggiori. Perché allora il consuma-

tore dovrebbe sentirsene più garantito e basare su diessa le sue scelte?“Creda, non è difficile ricercare la varietà, almeno neivini monovarietali. Per gli altri ci sono già oggi meto-di biochimici e tecniche molecolari. E poi i ricerca-tori stanno portando avanti anche in Italia le tecni-che risolutive del Dna: è solo questione di tempo maci si arriverà. Vorrei però sottolineare qual è il ruolodella ricerca in queste vicende. Secondo me, lo scopodella ricerca è capire la qualità e cercare di esprimer-la al meglio, mantenendola nel tempo; il confrontocon i vini truccati ne è solo una conseguenza”.

Può essere più esplicito?“Certo. Il mio gruppo a Enosis non studia come sco-prire le sofisticazioni, ma cerca di assolvere al piùgrande compito dell’enologia che è quello di indivi-duare quali sono i metaboliti di interesse qualitati-vo per ogni particolare varietà, quali sono i fattoriambientali che stimolano l’espressione di alcuni genianziché di altri e come sovrintendono ai corrispon-denti livelli biosintetici. Tutto ciò per capire di più enella consapevolezza che per fare delle scelte mira-te bisogna basarsi su rigorose basi scientifiche.Insomma: non sono lo sceriffo di Nottingham. Mapoiché vivo a Sherwood, preferisco fare Robin Hood”.

CONVOCAZIONE DI ASSEMBLEA PER L’APPROVAZIONE DEL BILANCIO CHIUSO AL 31 DICEMBRE 2009

È convocata l’Assemblea dell’Associazione Italiana Sommeliers prevista dall’articolo 11 dello Statuto vigentepresso la sede dell’AIS, Viale Monza 9, Milano per mercoledì 21 aprile 2010 alle ore 6.00 in prima convocazionee per GIOVEDÌ 22 APRILE 2010 ALLE ORE 9.00 in seconda convocazione per discutere e deliberare sul seguente

ORDINE DEL GIORNO

1 – Lettura della relazione sull’attività gestionale2 – Lettura della relazione del Collegio Revisori dei Conti3 – Discussione e approvazione del Bilancio al 31 dicembre 20094 – Discussione e approvazione del Bilancio Preventivo 2010

Il PresidenteTerenzio Medri

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Lo champagnedi Napoleone

e della Regina d’Inghilterra

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La Maison Perrier Jouët è, innanzitutto, il frutto di un’unione: quellatra Pierre Nicolas Perrier e Rose Adélaide Jouët, meglio conosciutacome Adèle. Lui venticinquenne appartenente a una famiglia di viti-

coltori e artigiani della regione, lei proveniente da una famiglia di com-mercianti della Normandia, decisero di dedicarsi al commercio di Champagnee nel 1811 fondarono la loro famosa Maison, acquistando, tre anni più tardiil grande edificio che ne diventerà la sede storica, in Avenue de Champagnen. 28 ad Épernay. Si dice che la Maison sia nata sotto una buona stella, ovvero durante il pas-saggio della cometa di Halley, osservata per la prima volta la notte del 25marzo proprio del 1811, che fu anche l’anno della prima, eccezionale,vendemmia Perrier Jouët, di cui, già nel 1819, rimanevano soltanto 50 bot-tiglie. Nel 1861 la Regina Vittoria decise di fare dell’azienda la fornitrice uffi-ciale della Corte d’Inghilterra, il che rappresentava un riconoscimento dellagrande qualità della produzione della Maison. Recentemente sono stati ritro-vati in cantina anche gli ordini di champagne di altri clienti di altissimolivello, quali Napoleone III e Caterina II, imperatrice di Russia. La Maisonpossiede in proprio 65 ettari, classificati al 99,2% nella scala storica deicru, ovvero ogni appezzamento è classificato quasi completamente comeGrand Cru. Il fabbisogno aziendale viene coperto per un terzo da uve di proprietà, men-tre la parte restante viene selezionata presso viticoltori che collaborano conla cantina da ormai molte generazioni. È lo Chardonnay, vitigno fine ed ele-gante, floreale e raffinato a caratterizzare la produzione Perrier Jouët cheprivilegia le vigne mature, ovvero con un’età media di circa 23 anni. Si trat-

di Davide Oltolini� I vigneti della maison MaisonPerrier Jouët

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ta di poco meno di 40 ettari situati sui mitici Grand Cru di Cramant e di Avize.Tale vitigno viene poi unito al Pinot Meunier del Premier Cru di Dizy, genero-so e fruttato e al Pinot nero della Montagna nord, come quello del Grand Crudi Mailly, certamente più delicato rispetto a quelli del sud. La Maison, fin daisuoi esordi, è stata strettamente legata all’arte, all’estro creativo e al design, apartire dall’esclusiva bottiglia della mitica Cuvée Belle Epoque, il cui decoro dianemoni, creato nel 1902 dal maestro vetraio dell’Art Nouveau Émile Gallé, larende, ancor oggi un sofisticato capolavoro estremamente attuale. La mitica Cuvée è invece nata nel 1969, quando è stata proposta al pubblicodegli estimatori con il grande millesimo 1964. La presentazione avvenne a Parigipresso Chez Maxim’s, uno dei templi della vita fastosa di inizio secolo e fu, suc-cessivamente, replicata, alla presenza dei più grandi nomi della politica, del-l’arte e del mondo dello spettacolo, in occasione della serataper i festeggiamenti del settantesimo compleanno di DukeEllington, ovvero Edward Kennedy Ellington, direttore d'or-chestra e pianista, tra i più grandi compositori americani delNovecento. E proprio la mitica Cuvée Belle Epoque è stata laprotagonista di un’eccezionale ed esclusiva degustazione ver-ticale, di sole bottiglie dal formato Magnum, che si è svoltanella sala degustazione di Perrier Jouët, all’interno della sto-rica sede di Épernay, alla quale hanno preso parte, oltre achi scrive, solo Ivano Antonini, miglior sommelier italiano2008, del ristorante Sole di Ranco di Varese, Fabrizio Sartorato,sommelier del ristorante Da Vittorio di Bergamo (3 stelleMichelin), Lorenzo Rondinelli, responsabile wines del risto-rante Trussardi di Milano, e Davide Jais di Pernod Ricard,distributrice dello storico marchio. A condurre l’importante degustazione, delle storiche annate1999, 1998, 1996, 1995, 1988, 1985 e 1982, un personag-gio d’eccezione come Hervé Deschamps, dal 1993 Chef decave della Maison, uno dei soli sette uomini che si sono alter-nati in questo ruolo in ben due secoli della gloriosa storia diPerrier Jouët e attuale depositario della filosofia produttivadell’azienda.

� Davide Oltolini, il primo a destra, alla Maison Perrier Jouët

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ANNATA 1999Annata di difficile gestione, dall’inverno freddo, ma senza gelate, seguito da una primavera che ha alternato periodi caldia temporali e da un’estate soleggiata. Alla vista si presenta di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, mentre alnaso si rivela complesso con, in apertura, una nota di fiori bianchi, seguita da sentori di albicocche, frutta esotica, ananase pera e a una sensazione agrumata apportata dallo Chardonnay, i quali evolvono verso sentori mielati, di frutta secca ebrioche. In bocca appare caldo, rotondo, potente e generoso, con il Pinot nero che, oltre a presentarsi in quest’annatafruttato e leggero, offre al vino un’ottimale “ossatura”. Lungo il finale che, in retrolfazione, evidenzia gradevoli note di torro-ne, noce e mandorla.

ANNATA 1998 Annata dall’inverno mite e secco, caratterizzata da diverse gelate nel mese di aprile, alle quali è seguita la grandine, non-ché abbondanti precipitazioni. Abbastanza fresche le temperature di inizio dell’estate che è, invece, proseguita con unmese di agosto piuttosto caldo. Il Belle Époque 1998 si presenta come un prodotto non immediato, né semplice da degu-stare, ma di un’innata eleganza, e appare come una delle migliori espressioni dello Chardonnay. Alla vista offre un coloregiallo paglierino dai riflessi ben pronunciati, sintomatici di un’ottimale concentrazione, mentre all’olfazione diretta appareintenso, esprimendo una grande ricchezza, caratterizzata da aromi floreali e fruttati, con richiami particolari al limone ealla pesca, oltre a note di miele di fior d’arancio. Al palato si presenta consistente e corposo, rinfrescato da un’acidità benpresente che si stempera in un lungo finale.

ANNATA 1996 Le condizioni climatiche inizialmente avverse del 1996 hanno, invece, consentito l’ottenimento di un’annata unica nel rap-porto tra zuccheri e acidità. 50% di Chardonnay, 45% di Pinot Noir e 5% di Pinot Meunier per questo Champagne cheall’esame visivo si presenta di un bel giallo paglierino, mentre al naso risulta caratterizzato da notevoli ed articolate notefruttate, arricchite da sensazioni minerali e un’invitante richiamo di tostatura. In bocca rivela una spalla acida ben presen-te, accomunata a un buon corpo e a una rilevante “potenza” gustativa, che si chiude con una notevole persistenza aro-matica intensa con ricordi retrolfattivi agrumati.

ANNATA 1995Annata caratterizzata da molte piogge e poche giornate di sole, che ha costretto, in fase di vendemmia, a un’attentissi-ma selezione dei grappoli. Il 1995 è il primo millesimo assemblato da Hervé Deschamps in qualità di Chef de cave e si com-pone del 48% di Chardonnay, 46% di Pinot Noir e 6% di Pinot Meunier. Alla vista appare di un bel giallo paglierino, mentre alnaso si rivela ricco e invitante, con una spiccata e altrettanto delicata, nota floreale, che confluisce in sensazioni fruttate ein più evolute note di pasticceria, con un tocco di mineralità finale. L’attacco al palato è pieno, seguito, dopo una sorta diesitazione, da uno slancio fresco e agrumato. Lungo il finale per questo champagne elegante e di notevole espressività,dal particolare profilo organolettico.

ANNATA 1988Le condizioni climatiche del 1988 hanno contribuito all’ottenimento di questo Champagne di un bel giallo paglierino cari-co con riflessi dorati. All’olfazione si presenta fine, di grande eleganza, dagli aromi evoluti, contraddistinti da note quasiburrose e di pasticceria, che lasciano quasi sorpresi quando all’assaggio il vino presenta un’acidità “importante”, sintoma-tica di una potenziale, notevole longevità. Ottima P.A.I.

ANNATA 1985 Una grande annata, contraddistinta da basse temperature. Le gelate hanno rischiato di compromettere il raccolto (in par-ticolare per quanto riguarda il Pinot Nero della Montagna di Reims), che si è, comunque, rivelato di altissima qualità. 48% diChardonnay, 47% di Pinot Noir e 5% di Pinot Meunier donano un colore paglierino con riflessi dorati che fa da anticameraa un naso di grande espressività. Particolarmente accattivante, dotato di un bellissimo e maturo fruttato, oltre a una note-vole “rotondità” minerale, è arricchita da note di cuoio e fumée. L’attacco in bocca è intenso, cremoso, per lasciare poispazio alle sensazioni pseudo caloriche dell’alcol e a una nota di piacevole freschezza. Il finale è lunghissimo.

ANNATA 1982 Una vendemmia di eccellenti livelli qualitativi, seguita a due annate particolarmente difficili, porta alla creazione di questacuvée ottenuta da 49% di Chardonnay, 46% di Pinot Noir e 5% di Pinot Meunier. Qui lo Chardonnay mostra le sue potenzialità.La finezza olfattiva si gioca sul classico intreccio fruttato-minerale, su un sottofondo tostato. Emergono note burrose, mielate,con richiami alla brioche e al torrone. Al palato mostra una struttura più esile delle precedenti, che si chiude in un lungo, ele-gante, finale .

LA DEGUSTAZIONE

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Valtellina,un amore

che duranel tempo

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ne!

Anni di studio, di passione peril vino e di conoscenza appro-fondita del proprio territorio,

la Valtellina. È il mix che sta facen-do dell’azienda Fay di San Giacomodi Teglio, in provincia di Sondrio, unadelle realtà più interessanti nel pano-rama vitivinicolo lombardo e nazio-nale. Si tratta di un’azienda giovane,fondata nel 1973 da Sandro Fay, cheun bel giorno decise di svilupparequella che fino a quel momento erasolo un’attività amatoriale del padrePietro. Partendo da una piccolagamma, presto la produzione si allar-ga e dal 1998 si affiancano i figliElena e Marco. Quest’ultimo, appe-na trentaduenne, ora è il vero moto-re. Ha studiato prima a San Micheleall’Adige, poi ha conseguito una lau-rea breve in Enologia alla Statale diMilano. Quindi il ritorno a Teglio perprendere in mano il gioiellino di fami-glia, curarlo giorno dopo giorno e por-tarlo alla ribalta del mercato nazio-nale e internazionale. Ora la sua vitaè tutta casa e vigna, con una punta-tina all’anno in Borgogna per scopri-re sempre qualcosa di nuovo. “Mi sono appassionato allo studiodelle potenzialità delle uve valtelline-si, prevalentemente Nebbiolo” raccon-ta Marco Fay. “Ho cercato di capire ledifferenze tra le sottozone della DocgValtellina Superiore (Valgella, Inferno,Sassella, Grumello, Maroggia), spo-

sando una precisa teoria: a fare ladifferenza è il posizionamento deivigneti in verticale”. Partendo da que-sto presupposto, Fay, che nella suaattività non si avvale di consulenticommerciali o di enologi, ha passa-to tre anni a sperimentare. Alla fine,ha collocato sotto i 450 metri le uveper il vino base, semplice senza par-ticolari complessità, complice l’umi-dità nel fondovalle. Tra i 450 e i 600metri coltiva le uve per le sue etichet-te più importanti, le selezioni, tuttein zona Valgella. Al di sopra di que-st’area, dove l’aria si fa sempre piùfredda, ha destinato la coltura dellaChiavennasca, questo il nome che quiprende il Nebbiolo, per lo Sforzatodi Valtellina: grappoli meno maturi,poco zuccherini, ma certamente piùacidi. La vendemmia inizia nei primigiorni di ottobre per lo Sforzato, chein etichetta si traduce in Ronco deiPicchi. Verso la metà del mese si scen-de verso il basso a cominciare dalCarteria, altro prodotto di punta, ilcui nome deriva dalla frazione diTeglio dove sono situate le vigne. Poisi passa al Glicine, coltivato nel ter-ritorio di Sondrio. Quindi il Cà Morei,ancora a Teglio, dal nome dialettaledi Casa Morelli, che identifica la pro-prietà in cui Mansueto Morelli vive-va con la famiglia nei primi anni delNovecento. La figlia Emma nel 1947sposò Pietro Fay, il nonno di Marco.

LA VALORIZZAZIONE E

LA PROMOZIONE DELLE

NOSTRE PRODUZIONI

RAPPRESENTANO

ASPETTI FONDAMENTALI:PAROLA DI MARCO FAY,TITOLARE DELL’AZIENDA

DI FAMIGLIA

di Piermaurizio Di Rienzo

� Marco Fay

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Nella zona intermedia, infine, trova-no spazio le uve per la produzione deLa Faya, a ridosso di un bosco seco-lare: vi crescono Merlot, Nebbiolo eSyrah, in rigoroso ordine di altezza. Inbottiglia nasce un prodotto al 60 percento Nebbiolo, al 30 per cento Merlote al 10 per cento Syrah. Dai vignetipiù bassi provengono il Nebbiolo inpurezza e il Rosso di Valtellina, com-binazione di Chiavennasca, Merlot ele varietà autoctone Pignola, Rossolae Brugnola. L’affinamento delle selezioni Docg èuguale per tutti. Carteria, Cà Morei,Glicine e La Faya riposano un annoper un terzo in barrique nuove, perun altro terzo di secondo passaggio eper un ulteriore terzo di terzo passag-gio. Passano altri sei mesi in acciaioe un nuovo anno in bottiglia. Lo stes-so avviene per lo Sforzato Ronco delPicchio, dove cambia solo la materiaprima, le uve appassite. “Esce il vinoche voglio io, quello che mi sono stu-diato nei minimi dettagli prima anco-ra di iniziare tutto il processo” rac-conta Marco Fay, che annovera intotale 14 ettari di proprietà, fatta ecce-zione per una piccola porzione cheaffitta da un cugino del padre. La pro-duzione annuale si attesta ormaiintorno alle 85mila bottiglie per unfatturato di circa 800mila euro. Alledipendenze ci sono sei lavoratori sta-gionali, nel periodo della vendemmia,

due in cantina a tempo indetermina-to che si aggregano nel periodo cloudell’anno al resto del team. La sorel-la Elena si occupa di marketing e dellarete commerciale. Il padre Sandro siè ritagliato uno spazio nella gestionedella contabilità. Il mercato italianosi sviluppa attraverso un network dirappresentanti diretti nelle provincedi Como, Lecco, Bergamo e Sondrio.Per il resto del Paese l’azienda siappoggia a un distributore di Trento.Per quanto riguarda l’export, che rap-presenta il 30 per cento della produ-zione, i vini Fay sono presenti ormaiin quattordici Paesi. “Andiamo moltobene sulle piazze di New York eLondra, che hanno sempre apprezza-to i prodotti piemontesi, ma che ulti-mamente hanno scoperto il Nebbiolovaltellinese” sottolinea Fay. “Andiamobene anche in Giappone. Poi il restolo fa il Vinitaly di Verona, un momen-to che ci permette di creare occasio-ni di business. Ricordo ancora la sod-disfazione di aver intercettato un ope-ratore danese che scelse la nostragamma dopo aver girato tutto il gior-no per il padiglione della Lombardia”.I prezzi? “Vengono fatti dal mercato,ma bisogna considerare che abbiamocosti di produzione più alti rispettoad altre zone italiane: 1.000-1.200ore di lavoro a ettaro”.Funziona bene anche il Consorzio diTutela dei Vini della Valtellina, all’in-

terno del quale c’è stato ultimamen-te un parziale ricambio generaziona-le. Per Marco Fay “la valorizzazionee la promozione delle nostre produ-zioni rappresentano aspetti fonda-mentali. L’Ais e la Regione Lombardiasi stanno muovendo per fare le cosebene, ma noi non dobbiamo e nonpossiamo più tradire le attese. LaValtellina deve smetterla di fare soloparole, occorre impegnarsi esclusi-vamente sui vini, evitando autoce-lebrazioni”. A proposito di riconosci-menti, va detto, però, che l’aziendaFay negli ultimi mesi ha messo insie-me un bel bottino. La guida Duemilavini 2010 ha asse-gnato cinque grappoli al ValgellaCarteria 2006 e quattro al Cà Morei,al Glicine, al Ronco del Picchio e alLa Faya. Nell’ambito del progetto Viniplus, pro-mosso dall’Ais Lombardia, a Fay èstato assegnato il premio speciale “IlSano”, quale realtà che unisce la qua-lità della produzione a un’etica orien-tata al “sano, buono ed equo”. Perle prossime annate le prospettivesono buone. Lo Sforzato Ronco delPicchio 2007 sta affinando alla per-fezione: esala già aromi di confettu-ra e violetta. Anche l’ultimo invernoha rispettato le attese: freddo e nevenon sono certo mancati e da questeparti non sono solo condizioni benaccette, ma fondamentali.

� I vigneti dell'azienda Fay

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Cibi uniciper buongustai

di tutte le età

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Il cibo e il vino sono eredità. E come tuttele eredità nascondono segreti, curiosi-tà, amori. Vestono identità e sapori diver-

si ma, c’è da crederlo, non mancano le rari-tà. Forma e contenuto si mescolano nellamessa in scena dei cibi. È questo che siscopre andando in giro per i musei delgusto. Così, ci si può lasciar rapire dai colo-ri e dagli aromi del museo delle caramel-le, a due passi da Lione, in Francia, maci si può letteralmente innamorare di altriprotagonisti sacri del gusto, come la pata-ta e lo stoccafisso, ma non solo. Entrambisono cibi umili, ricchi di sapore e di sape-re, universali. C’è un segreto per cuocereal meglio le patatine fritte? E, se sì, chi l’hainventato? A Bruges, in Belgio, non hannodubbi: la patatina fritta è nata proprio lì.In Norvegia invece sono convinti che lostoccafisso sia un cimelio nazionale. Piùancora della bandiera, rappresenta i marie le terre del Nord, fredde e distanti datutto. Per questo è sorto un museo unicoal mondo, dove si possono scoprire le ragio-ni della conservazione di questo cibo chesi mangia in molte zone del mondo.

di Letizia Magnani

VIAGGIO GOLOSO NEI MUSEI INTERNAZIONALI DELLA PATATINA FRITTA, DELLO STOCCAFISSO E DELLE CARAMELLE

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��� Un museo per la patata Nel 2008, l’anno della patata, in Belgio hanno pensato di dedicare al tube-ro più famoso del mondo un vero e proprio museo. Si trova a Bruges, nelnord-est del Belgio e a dire il vero è la Mecca della patatina fritta, ilFrietmuseum. In barba alle diete ipocaloriche e ai concetti nutrizionistiche bandiscono il fritto dalle tavole, questo museo vuole al contrario esal-tare proprio la patata fritta che, a dire dei belgi, è un’invenzione nazio-nale. Sia come sia, la patata fritta è una costante nella cucina di quasitutto il mondo, come a dire che la sostanza e il gusto non hanno patria.

Nel museo si trovano come sempre car-telloni pubblicitari, ma anche un’interes-sante collezione di macchine utilizzatenella lavorazione industriale delle pata-te. Fra le curiosità da non perdere ci sonole French fries nell’arte e nella musica.È in questo modo che i belgi hanno deci-so di esaltare la loro “invenzione” nazio-nale, declinandola in diversi aspetti chepescano nella cultura materiale e che

rendono la patatina fritta un vero must. Allabase dell’esposizione ci sono alcune domande ricorrenti: da dove vieneveramente la patata? E, soprattutto, qual è il segreto per fare delle otti-me patatine fritte? Con fare giocoso il museo prova a fare un percorso,divertente per i bambini e non solo, nel quale racconta vita, morte e mira-coli di miss chips. Info: www.frietmuseum.be/en/

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��� Stoccafisso amore mio La patata non è buona solo fritta ma proposta in mille altri modi e accom-pagnata a numerose pietanze. È il caso del baccalà, per esempio, unacostante che si ritrova in molti Paesi del mondo e che, accoppiato allapatata, è un piatto ricco di sapore e di sapere. In Liguria, così come inPortogallo e nel centro della Spagna ci sono intere feste paesane dedica-te a questo particolare pesce secco che, dai gelidi mari del Nord, da seco-li, viaggia per mare e per terra e sfama intere popolazioni. Lo stoccafissoè un cibo che può essere considerato sia di mare che di terra. Non èraro, infatti, trovare ricette che lo riguardano anche molto lontano dalmare. È il caso dei piatti tipici del Centro e del Sud della Spagna, ma anchedi molte prelibatezze portoghesi e italiane. Nei Paesi del Nord lo stoccafis-so è immancabile, accompagnato molto spesso a ortaggi di sostanza e atuberi, come, appunto, la patata. E proprio allo stoccafisso è dedicato ilLofoten Stockfish Museum, che si trova nell’isola di Lofoten, in Norvegia.Ogni anno a partire dalla fine di Aprile una vasta area della città viene let-teralmente coperta di baccalà, messi uno a fianco all’altro per essere essic-cati. È questa una delle attività principali dell’isola. Gli abitanti dellaNorvegia infatti non solo escono in mare per la pesca, ma sono abili arti-giani della conservazione. Sono sedici i tipi di stoccafisso che vengonopescati, trattati, conservati ed essiccati. Di ogni specie il museo raccontala storia, ma anche le curiosità e le ricette tipiche della Norvegia e nonsolo. Il museo sorge sul mare, in mezzo a palafitte ed è progettato per rac-contare la storia e il futuro dello stoccafisso. Ogni anno è visitato da miglia-ia di turisti curiosi. Info: www.datadesign.ws/stockfish.htm

��� La mania per le caramelle A Uzès, vicino a Lione, in Francia, sorge un altro originale museo, quellodei Bonbon. Si sa, ai francesi piacciono i dolci, per questo non stupisce

che proprio nel cuore della Francia sorga questo luogo magico.Esattamente come nel film La fabbrica di cioccolato, nel museo

ci si lascia rapire dagli aromi di zucchero, caramello, vani-glia e cioccolata, ma anchedalla magia delle carte colora-te. L’estetica nella presenta-zione dei cibi e dei vini è moltoforte in Francia, per questonon stupisce che venga dataalle carte dei bonbon, cioè dellecaramelle, almeno la stessaattenzione del contenuto inquanto tale. Il museo, apertodal 1996, racconta la storiadella confetteria francese, con-

sente di giocare, assaggia-re, manipolare e ovvia-mente degustare. Haribo è uno dei marchi più noti nel

mondo per quanto riguarda la produzione e distribuzione di bonbon, cara-melle e gommosi, per questo più di dieci anni fa ha allestito il museo, pro-gettandolo a portata di bambino. La prima cosa che un visitatore, di qua-lunque età, ha voglia di fare dentro al museo, è quello di allungare la manoe prendere una manciata di “golosinas”, per dirla alla spagnola. Bonbon,caramelle e leccornie varie sono a disposizione di chiunque abbiamo vogliadi tuffarsi nel magico mondo delle caramelle.Info: www.haribo.com/planet/fr/info/main/musee/popup/index.php?cat=1&nav=1&subnav=1

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Sommelier,un master

in comunicazione

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Un grande esperto di enogastronomia e di turismo, capace di gestiree di comunicare il vino e i suoi abbinamenti. Ecco la figura profes-sionale che uscirà dal Master Sommelier partito a febbraio presso

la sede di Alma a Colorno. Proprio dall’accordo tra la scuola internaziona-le di cucina e l’Ais è nato questo percorso formativo (IV livello Ais) rivolto asommelier, ristoratori e operatori di settore per diventare indiscutibilmen-te “specialisti del vino”.Il progetto didattico nasce dalla volontà di Albino Ganapini, presidente diAlma, e Terenzio Medri, numero uno dell’Ais, attraverso l’unione del model-lo didattico di Alma ai contenuti professionali dell’Ais. Il tutto innalzato aun corso di livello superiore.Il bilancio dei primi tre anni di vita di Alma è molto positivo: 1500 studen-ti, più della metà dei quali stranieri, hanno frequentato i corsi di ristorazio-ne con risultati pienamente positivi. La vocazione internazionale dell’istitu-to di Colorno è molto marcata, ma ancor più forte è quella dell’Ais e dellaWsa. Per questo motivo il sodalizio che ne è scaturito non poteva che con-siderare questo percorso didattico alla luce della crescente internazionaliz-zazione del settore. La formazione superiore è sicuramente una risorsaper il nostro Paese in molti ambiti, ma a quello del turismo e dell’enogastro-nomia non si era ancora dedicata la dovuta attenzione. Sono nati nelcorso degli anni molti Master di comunicazione e di gestione, di economiae di marketing del territorio, ma nessuno si è orientato a formare un veroe proprio top manager del vino. All’inizio di febbraio è stata ufficialmente inaugurata la prima edizione delMaster Sommelier Alma-Ais. Il Master è strutturato in modo da fornire cono-scenze teorico-pratiche molto avanzate nel campo di tutta la cultura eno-gastronomica di cui il vino è espressione. Questo con particolare attenzio-ne agli strumenti più adatti alla comunicazione, alla gestione e alla pro-mozione del prodotto.Ogni lunedì, per un totale di 20 giornate, gli allievi saranno accolti secon-do un programma didattico che prevede lezioni teoriche e degustazioni gui-date di alto livello, il tutto supportato da ulteriori approfondimenti da effet-tuare tramite formazione a distanza per ottenere una preparazione integra-ta e in linea con le esigenze professionali di un moderno sommelier.Da febbraio a luglio molte giornate saranno inoltre dedicate alle uscite didat-tiche sui territori che meglio rappresentano la produzione vinicola di altaqualità in Italia, per capire come nascono le specifiche identità territorialie come viene mantenuta e trasmessa l’eccellenza qualitativa raggiunta. Sonopoi previsti periodi di stage e di coinvolgimento degli allievi in attività lavo-rative sul campo, perché la formazione ricevuta si trasformi in esperienzapratica immediata.

HA PRESO IL VIA

IL CORSO NATO

DALLA COLLABORAZIONE

TRA AIS E ALMAPER FORMARE VERI

E PROPRI MANAGER

DEL VINO

di Emanuele Lavizzari

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Direttore del Master è il sommelier Luigi Bortolotti e Rossella Romani ne èil tutor scientifico. La formazione è affidata a docenti universitari, profes-sionisti ed esperti dei diversi settori, docenti Alma e a sommelier di sicurae comprovata esperienza e capacità come i già citati Luigi Bortolotti e RossellaRomani, quindi Antonello Maietta, Manuela Cornelii, Roberto Bellini, FabrizioMaria Marzi. Proprio con Rossella Romani, vicepresidente Ais e tutor scien-tifico del Master, abbiamo discusso per mettere in rilievo i contenuti delcorso e capire in dettaglio come è stato strutturato.

Un Master sicuramente unico nel suo genere quello lanciato da Ais e Alma.Quale sarà l’orientamento di questo corso?Il Master mira alla valorizzazione del rapporto tra vino, territorio e qualità,affrontando un ampio spettro di tematiche di settore, con l’obiettivo prima-rio di offrire ai corsisti gli strumenti indispensabili per la migliore comuni-cazione e gestione del prodotto-vino.

Come è pensato questo percorso formativo?Il percorso formativo del Master si svolge su diversi piani. La fase residen-ziale prevede lezioni frontali e partecipate presso la Sede Alma di Colornoed è svolta in parallelo con la formazione a distanza, proposta su unapiattaforma multimediale, nella quale i corsisti approfondiranno gli argo-menti trattati dai docenti attraverso letture, partecipazione a forum, prepa-razione di elaborati e test di valutazione. A questo approccio più stretta-mente teorico, seppur supportato da numerose degustazioni guidate, siaffiancano diverse visite in Cantine e un periodo di stage.

Che importanza avranno queste uscite presso le aziende?Le giornate dedicate a queste visite non si limiteranno a semplici tour esplo-rativi, ma dovranno rappresentare un aspetto fondamentale del Master, poi-ché permetteranno di approfondire temi di assoluto interesse per la comu-nicazione del vino, toccando con mano gli elementi peculiari che caratteriz-zano le diverse strutture. Alcuni temi interessanti che saranno affrontatidurante queste giornate saranno, per esempio, il movimento del turismodel vino, la costruzione di un brand, il vino come racconto di storie umanee di territori, che permetteranno di cogliere l’anima del rapporto tra vino eterritorio e di saperlo comunicare, di entrare in modo diretto nel marketing,nel commercio di settore e nel rapporto tra il vino e l’alta ristorazione.

Che spazio avranno gli stage?Gli stage saranno un periodo di tirocinio individuale durante il quale il cor-sista svilupperà in aziende di settore le sue conoscenze e competenze in uncontesto operativo di marketing e comunicazione vino.

Ais e Alma, ovvero vino e cibo. Per parlare del bicchiere non si può tralascia-re il piatto…Assolutamente. Il sommelier deve essere un interprete della perfettafusione tra le sensazioni che i cibi e i vini possono offrire, interpretando eguidando i gusti del cliente, grazie a una interazione continua, creativa ecostruttiva con lo chef. Per questo motivo il Master affronterà anche letecniche di cottura e di abbinamento, la costruzione del gusto e il food pai-ring.

Consigliare e servire il vino giusto richiede quindi un’ampia preparazione!Uno degli obiettivi del Master è quello di migliorare le abilità nella degu-stazione dei vini, ma soprattutto nella capacità di contestualizzarli nellediverse realtà di territorio e di mercato. Il sommelier deve essere in gradodi ricoprire il ruolo di un esperto che sappia gestire il vino sotto ogni

aspetto e lo racconti al cliente in modo incisivo e convincente.

Nella sua esperienza di insegnamento, quale risulta il modo più efficaceper presentare le tecniche di degustazione e di abbinamento?Il mondo del vino è affascinante e incredibilmente sfaccettato. Su un sub-

� Rossella Romani, vicepresidenteAis e tutor scientifico del master

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strato di conoscenze teoriche acquisite si deve inserire la continua espe-rienza di degustazioni di vini di ogni origine e tipologia, di visite in canti-na, di confronti con tutte le realtà che compongono il mondo del vino. L’erroreche cerco di evitare è quello di parlare di vino elencando nozioni senza dareloro un significato più profondo, senza collegare gli argomenti, senzaporre domande e cercare insieme ai corsisti, sempre, la risposta più logi-ca. L’obiettivo che mi propongo di raggiungere e che cerco di trasmettereanche ai corsisti è quello di “capire il vino”, di riuscire a trasmettere lorocuriosità, passione ed entusiasmo, gli elementi fondamentali che li guide-ranno nella precisa osservazione nell’interpretazione di ogni sfumatura dicolore, profumo e sapore, per creare ogni volta il mosaico sensoriale, terri-toriale e qualitativo di un vino.

Le nuove tecnologie e Internet non possono essere trascurati dai sommelierdel terzo millennio. Come si pone questo Master verso queste forme di comu-nicazione?I media di ultima generazione sono uno straordinario veicolo di conoscen-ze, ampiamente utilizzati anche da moltissime persone che si occupano divino. Il Master sfrutterà quindi anche queste nuove forme di comunicazio-ne, che permetteranno ai corsisti di ampliare le proprie conoscenze attra-verso la visita di siti aziendali, vere e proprie vetrine per la comunicazionedei propri vini, in Italia e nel mondo. Non solo, perché la formazione a distan-za si completerà attraverso l’approfondimento di argomenti e la partecipa-zione a un forum tra i corsisti, che dovranno discutere diversi argomentiproposti dai docenti, oltre che attraverso la verifica in itinere della loro pre-parazione con test ed elaborati. Ovviamente non si trascurerà la conoscen-za della microlingua inglese di settore, da tempo la lingua del commercio edi Internet e indispensabile per una visione allargata della comunicazionedel vino nel mondo.

Un Master di questo tipo sarà un importante biglietto da visita per i corsisti…Il progetto di questo Master è stato elaborato con l’obiettivo di offrire un per-corso formativo di livello superiore, che possa creare una figura professio-nale moderna e dinamica, in grado di incidere in modo efficace nel mondodel lavoro. Molti dei partecipanti hanno già un impiego e il nostro augurioè che questo Master dia loro gli strumenti necessari per compiere un impor-tante salto di qualità e migliorare ulteriormente la propria professionalità,con creatività e determinazione, e quindi di recitare un ruolo di primo pianonel mondo della comunicazione e della gestione del vino.

� I corsisti del master il primogiorno di lezione insieme a ManuelaCornelii e Luigi Bortolotti

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Elementi naturali per esaltare

il vino abruzzese

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Il vino è sogno ed emozione. Continuamente. Maè anche cultura, storia, tradizione e territorio.Le politiche di marketing dei competitor del Nuovo

Mondo rispetto a quelle della tradizione vitivinico-la dei Paesi del Vecchio Mondo spostano l’attenzio-ne il più possibile sul nome, sulla comunicazio-ne, che sulla terra di provenienza.Per “Vecchio Mondo” ci riferiamo alle produzionivitivinicole che possiedono una lunga storia e cul-tura, come l’Italia, la Francia, la Spagna e ilPortogallo, mentre con il concetto di “Nuovo Mondo”intendiamo quelle nazioni, come l’ Australia, laNuova Zelanda, la California, il Cile, l’Argentina, ilSud Africa e anche, in un certo modo, l’Ungheria,che hanno incominciato ad affacciarsi sullo sce-nario internazionale, ma che grazie a innovativestrategie promozionali, acquistano posizioni sem-pre più velocemente. Questi Paesi produttori hannosviluppato una viticoltura nuova, basata su tecni-che produttive innovative e tecnologie all’avanguar-dia e hanno investito anche sui luoghi di produ-zione, sulle cantine, realizzate spesso da grandiarchitetti internazionali. Il vino da loro ottenutosembra prevalere per le caratteristiche di chia-rezza e di immediatezza nei confronti del consu-matore, e ciò rischia di mettere in crisi la viticol-tura dei vecchi territori del vino: il rischio della per-dita di importanza del terroir, concetto francesetipico dell’ideologia del Vecchio Mondo, che com-prende un insieme di clima, terreno e paesaggio,ma anche di cultura, storia, organizzazione socia-le, risulta grave dove l’origine del vino è sempre piùun elemento per il settore di marketing e sempremeno per il settore di produzione.In Europa, la risorsa territorio va mobilitata in dire-zione del futuro. Le soluzioni a questo pericolo con-creto risultano essere molteplici, ma due rappre-sentano risposte concrete: la prima è data dall’ideadi promuovere e tutelare il territorio, un bene comu-ne, attraverso il “fare sistema”, cercando di met-tere insieme e coordinare le conoscenze, le espe-rienze, facendo “gruppo”, anche superando caren-ze normative, per attività concertate e integrate,finalizzate a interventi sul territorio condivisi, abasso impatto ambientale, di semplice realizzazio-ne, definitivi ed efficaci; la seconda risposta riguar-da il ruolo del cittadino, del consumatore, parte

di Alessia Cipolla

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principale del “sistema territorio” eche come tale deve condividere epartecipare attivamente alle scelte,alla gestione ma anche all’informa-zione e alla tutela; per questo vacostantemente formato e informatoper una migliore consapevolezza delvalore ambientale ed economico chelo circonda. Uno dei momenti fon-damentali dell’accoglienza in can-tina, spesso trascurati, è la visita nelvigneto. Parlare di vite è parlare dellavita di un territorio, della sua for-mazione e delle sue storie, un modoper comunicare la propria passione per la terra a un con-sumatore, magari curioso di capire qual è l’origine delvino che a breve degusterà. Parlare di vitigni, del loroorientamento, dei colori durante le stagioni, dei sentoriprimari che nascono nel vino, vuol dire comunicare laqualità non solo di una regione e di un territorio, maanche di un’azienda, magari di una storia di famiglia.Il vino nasce dalla vigna, far capire il lavoro che si celadietro una bottiglia, la vita di una pianta con le proprienecessità di cura durante tutte le stagioni, il tempo dedi-cato a un buon impianto e al suo sviluppo impressiona-no sempre l’appassionato enoturista e regalano infor-mazioni utili, chiare, familiari del prodotto facendonepercepire maggiormente il suo valore.Bisogna partire, dunque, da un diverso approccio al siste-ma territorio, capace di avviare nuovi processi di svilup-po e di crescita innovativi e significativi, ritenendo l’am-biente e il territorio gli elementi principali e quindi il vola-no dello sviluppo economico e sociale ma anche eco-sostenibile ed eco-compatibile. Proseguiamo il nostro viaggio all’interno delle nuove can-tine italiane realizzate tra il 2001 e il 2009 in Italia, scel-te secondo la qualità architettonica e funzionale, oltreche per il rispetto e la valorizzazione del paesaggio cir-costante.

CANTINA DI DORA SARCHESE Caldari (CH)Una cantina fatta di pietra, legno e tanta concretezzaabruzzese. L’idea è la riqualificazione di una strutturarealizzata negli anni Ottanta, che si aggiunge a ele-menti della cantina preesistenti. Realizzato dall’ingegne-

re e architetto Rocco Valentini nel2007, il progetto ha dato una sedeadeguata al lavoro e alla passione diDora Sarchese e di tutta la sua fami-glia per la propria azienda vitivini-cola, fondata dallo scomparso mari-to di Dora. La cantina si trova in Caldari, comu-ne di Ortona, in provincia di Chieti,ed è stata costruita nell’altipianoortonese, in una zona d’Italia mera-vigliosa, poco conosciuta ma dallegrandi potenzialità, all’interno di unterritorio fatto da gente coraggiosa,

di grande dignità e carattere. I protagonisti di questo progetto sono i materiali dellatradizione: il legno, la pietra e i mattoni, sempre a ricor-dare che il vino è un elemento vivo, fortemente legatoal suo territorio e alla sua storia. Usati come elementi diarchitettura bioclimatica, i materiali naturali permetto-no e agevolano il mantenimento costante della qualitàigrometrica degli interni della cantina, evitando cosìcostosi impianti di climatizzazione. Un progetto dallaforte personalità, un oggetto architettonico racchiuso insé, intimo, come la relazione di ognuno di noi con il vino,una figura geometrica simbolica che appartiene forte-mente alla tradizione del paesaggio abruzzese, un ele-mento definito, chiaro, protettivo ma anche aperto versoil paesaggio circostante, con un largo utilizzo di formecircolari e ondulate, sia in pianta che in prospetto, quasia voler ricordare che il vino è un elemento liquido, conuna sua esistenza, difficile da racchiudere all’interno disuperfici troppo definite.L’ampliamento, una sorta di raccordo tra gli edifici pree-sistenti, è una struttura multiuso, sia per la trasforma-zione del vino, sia per la sua presentazione e promozio-ne. La nuova struttura abbraccia e racchiude il capan-none esistente: si presenta come un muro curvo ester-no in pietra, all’interno del quale si sviluppano al pianoterra, un portico e una sala da degustazione, gli uffici ei nuovi spazi per l’imbottigliamento.Al piano inferiore troviamo una nuova bottaia per la con-servazione del vino.Il muro e la pensilina in legno proteggono la bottaia inter-rata dall’irraggiamento e fungono, nello stesso tempo,da volano termico accumulando calore durante le oredel giorno e cedendolo nelle ore notturne.La sala degustazione, uno spazio su due livelli, consoffitto a struttura in legno in travi lamellari, è delimi-tata da una parete in parte vetrata, dalla quale è possi-bile mantenere il contatto visivo con il paesaggio circo-stante, con le viti e gli ulivi che la circondano. La bottaia, spazio altamente scenografico, completamen-te interrata, è circondata da un muro curvo in pietra are-naria che diventa il supporto di più file di bottiglie diste-se, inserendo nel progetto il vetro come ultimo mate-riale naturale.Un progetto che di notte, nel silenzio dell’altopiano orto-nese, tra la montagna e il mare, emana fasci di luce chetengono viva l’attenzione sui materiali utilizzati ed esal-tano la complessità geometrica di un oggetto architet-tonico solido come lo spirito abruzzese.

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� La bottaia della cantina di Dora Sarchese

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Cambiare stile di vita

per vivere saniNON CI SONO

BACCHETTE MAGICHE,BISOGNA IMPOSTARE

AZIONI EDUCATIVE DA

PARTE DI TUTTE LE

FORZE SANE DELLA

SOCIETÀ IN MODO DA

DIMINUIRE, SE NON

CANCELLARE, LA

DIFFUSIONE DI ALCOL,FUMO E DROGHE.

di Salvatore Giannella

Da cinquant’anni Silvio Garattini, maestro di vita che appartienealla generazione dei fuoriclasse “senza tempo” come Veronesi, Olmie Missoni, rappresenta l’antenna più sensibile puntata sui danni

dell’alcol, del fumo, delle droghe, dell’inquinamento e sui rapporti di que-ste sostanze con i farmaci. Il suo impegno di fustigatore inflessibile dellecattive abitudini degli italiani coincide con la rara avventura dell’Istitutodi ricerche farmacologiche Mario Negri, una fondazione privata non pro-fit che quest’anno festeggia, nel nuovo edificio nel quartiere milanese dellaBovisa, il suo primo mezzo secolo di vita dalla data del testamento di MarioNegri di indipendenza, di critica costruttiva, di difesa della salute pub-blica. Un’avventura non solo scientifica che ha il sapore di una favola.

GIANNELLA - Professor Garattini, come nacque il “Mario Negri”?GARATTINI - Nel 1957, a 29 anni, ero volato da Milano negli Stati Uniti perla prima esperienza di ricercatore sul campo. È stata un’avventura brevema molto istruttiva. Io avevo scelto la carriera universitaria, ero liberodocente e mi ero accorto della grande differenza che c’era tra loro e noiitaliani. Lì far ricerca era già una professione, da noi era solo un modo perfar carriera. In Italia per un ricercatore c’era solo lo sbocco nell’universi-tà pubblica o nell’industria, in America c’erano invece più forme di ricer-ca: in particolare mi aveva colpito la loro idea di fondazione, perché la fon-dazione aveva e ha la libertà d’azione tipica di tutte le attività private ma(non dovendo fare profitti) permette di rivolgersi all’interesse pubblico.

GIANNELLA - Al ritorno dagli Stati Uniti trovò un’Italia che stava fiorendoper il miracolo economico. GARATTINI - Tutto lievitava al meglio. Il Prodotto interno lordo cresceva aritmi da record, oltre il 6 per cento. Il reddito pro-capite passò da 350milalire a 571mila lire, favorendo la crescita dei consumi individuali di oltre 5punti percentuali l’anno. L’industria registrò una crescita pari all’84 percento tra il 1953 e il 1961. Questi numeri ridussero il divario storico coni grandi Paesi europei. Importanti cambiamenti ci furono anche nell’ali-mentazione, grazie alla diffusione del frigorifero che, permettendo una pro-lungata conservazione del cibo, modificava anche le abitudini della spesaquotidiana. In questo scenario io, con Alfredo Leonardi (poi indimentica-bile segretario scientifico dell’istituto) e una ventina di collaboratori dovem-mo prendere una decisione: partire tutti per gli Stati Uniti, e questa voltadefinitivamente, o resistere al fascino dell’emigrazione e fare qui in Italiaqualcosa di diverso da quello che già esisteva. E così, ingenuamente, chie-devo a tutti quelli che incontravo se potevano darci una mano a realizza-re il nostro sogno: una fondazione per le ricerche sui farmaci.

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GIANNELLA - E un bel giorno il vostro desiderio fu esau-dito.GARATTINI - Nel 1958 ebbi la fortuna di incontrare, percaso, Mario Negri, un imprenditore milanese proprie-tario di una gioielleria, con l’animo del filantropo. Luiaveva investito un po’ di soldi anche in una piccolaazienda farmaceutica. Un giorno venne a chiedermiconsigli. E anche a lui chiesi se mi aiutava a fare unafondazione. Era molto interessato. Abbiamo dapprimacollaborato, facevo ricerche per la sua azienda, poiabbiamo parlato del futuro. Lui avrebbe fatto la fonda-zione da vivo, ma venne colpito da un tumore e pocoprima di morire, nel ‘60, mi chiamò e mi disse: “Stiatranquillo, ho fatto ciò di cui avevamo discusso”. Neltestamento lasciava il ricavato dalla vendita delle azio-ni dell’azienda e altri risparmi, in totale 900 milioni dilire, al fine di far nascere la fondazione. Una firma delpresidente della Repubblica Gronchi e via, abbiamocominciato a costruire l’istituto. Il 1° febbraio 1963 èpartita la nostra attività.

GIANNELLA - Quanti eravate?GARATTINI - Eravamo ventidue. Oggi siamo oltre unmigliaio, distribuiti nelle quattro sedi in Italia. Un veromiracolo che noi, descritti come missionari laici con-sacrati alla scienza, dobbiamo a lui, Mario Negri, alquale è stata intestata la via che circonda il nostro isti-tuto.

GIANNELLA - Come la ricorda quella Milano degli anniSessanta? E quali differenze trova rispetto a quella dioggi? GARATTINI - La Milano di ieri era una pentola in ebolli-zione. Giorno dopo giorno fiorivano tante novità, Milanoaccoglieva cervelli e braccia provenienti da ogni parted’Italia, vicina o lontana: per esempio, io arrivavo da

Bergamo, Paolo Grassi dalla Puglia a sviluppare il PiccoloTeatro… C’era più interesse concreto per la ricerca unitaa una cultura del fare. Oggi Milano resta la capitale ita-liana della scienza biomedica e una delle città euro-pee a maggiore densità di istituzioni scientifiche, mac’è troppo individualismo, pubblico e privato devonotornare a lavorare insieme. Si è tutto più burocratizza-to, ogni giorno si assiste allo scontro tra burocrati ecreativi. Per fare qualsiasi cosa servono decine di per-messi, di firme congiunte ed è facilissimo bloccare un’ini-ziativa, trovando un appiglio, ignorando una pratica.Per dirla con un titolo del “Corriere della Sera”, “siamonell’Italia dei piccoli poteri: creo ostacoli, dunque esi-sto”. E nel nostro campo “creo brevetti, tengo il segre-to, dunque esisto”.

1928: Silvio Garattini nasce a Bergamo. Studia da perito chimico. Lavora aglialtiforni della Dalmine. Si laurea in medicina. È libero docente in chemiotera-pia e farmacologia. 1962: assistente e aiuto presso l’Istituto di farmacologia dell’Università diMilano. 1963: è fondatore e direttore del “Mario Negri” (sito: www.marionegri.it). Congli anni l’Istituto ha attrezzato quattro sedi: Milano; Bergamo, 1983; il “NegriSud” in Abruzzo, a Santa Maria Imbaro (Chieti) 1986; Ranica nel Bergamascospecializzato nella ricerca sulle malattie rare,1992; con un personale di 1.050unità. È stato membro di vari organismi fra cui: Comitato di biologia e medicina delConsiglio sanitario nazionale e Commissione della Presidenza del Consiglio dei ministri per la politica dellaricerca in Italia, membro della Commissione unica del farmaco (Cuf) del ministero della Salute. Ha rico-perto molte cariche, fra le quali quella di presidente del Comitato di chemioterapia antitumoraledell’Unione internazionale contro il cancro; presidente dell’Organizzazione europea di ricerche sul can-cro (Eortc), consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità. Autore di centinaia di lavori scientifici,fa parte del gruppo 2003 (i ricercatori italiani altamente citati nella letteratura scientifica internazionale:www.lascienzainrete.it. 4 su 51 sono del “Mario Negri”). In mezzo secolo di attività, l’Istituto, sotto la suadirezione, ha prodotto 11.105 pubblicazioni scientifiche e circa 250 volumi. Oltre 6.100 sono i giovani lau-reati e tecnici che si sono specializzati presso l’Istituto. 03254210150 il codice fiscale dell’Istituto da indica-re per destinare il 5 per mille nelle dichiarazioni fiscali (i contributi sono deducibili).

SILVIO GARATTINI: UNA VITA IN POCHI NUMERI

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GIANNELLA - E intanto migliaia dei nostri migliori cer-velli lasciano l’Italia per cercare opportunità lontano.GARATTINI - È un paradosso tragico. Finanziamo i Paesieuropei già forti e più attenti al loro futuro, fornendonon solo risorse economiche ma anche cervelli che inItalia non trovano attenzione e strutture adeguate alloro lavoro.

GIANNELLA - Perché la ricerca in Italia è così maltrat-tata?GARATTINI - Perché siamo molto pochi, meno di tre ricer-catori per ogni mille lavoratori, contro gli oltre cinquedella media europea e gli otto degli Stati Uniti. La nostraspesa non rispecchia il peso del nostro Paese, che è ilsesto Paese industrializzato del mondo. In base a impe-gni europei presi a Lisbona avremmo dovuto spende-re il 3 per cento del Pil, invece investiamo meno dell’1per cento.

GIANNELLA - A proposito di brevetti coperti da segreti:sono stato nel più grande laboratorio di restauro pri-vato, quello dei Nicola ad Aramengo in Piemonte. Lì ilpatriarca Guido Nicola mi raccontava, per il libro cheho scritto per Allemandi (I Nicola appunto) che anchenel loro campo avevano un rigido segreto professiona-le, fino all’alluvione di Firenze 1966: quell’emergenzaportò a diffondere i metodi di restauro, ci volle una tra-gedia storica per battere il segreto.GARATTINI - La mia può essere una visione utopistica,però noi come istituto non brevettiamo le nostre sco-perte, produciamo solo idee e risultati scientifici chesono pubblicati sulle riviste internazionali e messe adisposizione della comunità scientifica. Ovviamenterispettiamo i brevetti e i segreti degli altri, anche secredo che tutti i dati dovrebbero diventare pubblici, per-ché i pazienti hanno il diritto di sapere che farmaciprendono e perché li prendono.

GIANNELLA - Voltiamo pagina: l’inquinamento, a queltempo, com’era? GARATTINI - C’era un altro tipo di inquinamento, c’eral’anidride solforosa e c’era il carbone. La misura l’ave-vi sul davanzale quando trovavi al mattino uno stratodi nero che si era accumulato nelle ore notturne. Adessol’inquinamento è più subdolo, non è visibile, ed è dovu-to sempre agli stessi due fattori: il riscaldamento (cheperò sta migliorando, anche se c’è ancora da fare), ele auto ed è molto peggiorato, non tanto per via dei loroscarichi (ridotti) quanto per l’aumento delle vetture cir-colanti. E questo porta alla sensazione dell’aria oppri-mente, irritante, dannosa. Ci vorrebbe molto più corag-gio da parte delle autorità. Purtroppo gli amministra-tori non decidono: nel caso specifico il Comune di Milanoha tagliato i fondi della ricerca anti-inquinamento.Insomma, per sconfiggere la “mal’aria” ci vorrebberocittadini più coerenti e autorità più coraggiose che fac-ciano riforme strutturali capaci di favorire i compor-tamenti virtuosi dei cittadini.

GIANNELLA - Continuiamo con il confronto tra ieri eoggi. Spostiamoci sull’alimentazione e l’alcol. Com’eranoe come sono le abitudini di bere dei milanesi?GARATTINI - L’alcol allora era più diffuso e anche ilfumo. Abbiamo fatto molti passi avanti, però sono sortialtri problemi preoccupanti: per esempio l’abbassamen-to dell’età, per cui si comincia sempre più giovani a berealcol (e il discorso si può estendere al fumo e alle dro-ghe). Oggi si comincia a 12-13 anni, roba che negli anniSessanta non si riusciva nemmeno a immaginare. Emolte donne hanno preso confidenza con l’alcol.

GIANNELLA - Da questa emergenza come si esce?GARATTINI - Non ci sono bacchette magiche e comun-que non se ne esce nei tempi brevi. Bisogna avere lacapacità di pensare sul lungo termine. Sommando 13

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milioni di fumatori, alcolisti, consumatori di cannabis,cocainomani, ci aspetta un brutto futuro. Ecco per-ché bisogna impostare azioni educative da parte di tuttele forze sane della società: famiglie, insegnanti, medi-ci, sociologi, amministratori che guardano lontano, gior-nali, in modo da diminuire, se non cancellare, la diffu-sione di alcol, fumo e droghe, per esempio della cocai-na che ormai è diffusa trasversalmente. Al “Mario Negri” abbiamo studiato la diffusione dellacocaina con un metodo particolare. Abbiamo misura-to la presenza di tracce nelle acque fognarie primache esse entrino nei depuratori. E abbiamo trovato, a sorpresa, notevoli quantità deimetaboliti della cocaina. In quanto a cocaina nelle fogne,Milano è al primo posto in Europa. Non solo nelle fogne,va da sé. Ormai la cocaina è diventata un modo attra-verso cui alcuni rimediano allo stress, alla competizio-ne sul lavoro, alla necessità di rendere di più.

GIANNELLA - Si deve fare più prevenzione. Ma agli ita-liani lo si dice dai tempi di Leonardo. Ho trovato trac-cia, da poco, di un suo decalogo, Insegnioti la sanità.Vi si legge, tra l’altro: “Guardati dall’ira e fuggi l’ariagreve. Tien mente lieta. Sta coperto bene di notte. Sefai esercizio sia di picciol moto. Non mangiar sanzavoglia e cena leve. E il vino sia temprato, poco e spes-so, non fuori pasto, né a stomaco vuoto. Mastica bene.Non aspettar né indugiar al cesso”.GARATTINI - Consigli di grande attualità. Vede, noi con-tinuiamo a parlare di diritto alla salute, che è giusto,però dobbiamo parlare anche dei doveri nei confrontidella salute. Tutti coloro che hanno cattive abitudini di vita nonhanno solo la responsabilità individuale perché potreb-bero fare ciò che vogliono, ma anche responsabilitàsociali perché il servizio sanitario nazionale deve paga-re per attività che non sono necessarie: si calcola chequasi la metà delle malattie non piovono dal cielo masiamo noi che ce le autoinfliggiamo con cattivi compor-tamenti. Tutto questo è responsabilità anche sociale, se voglia-mo mantenere la sostenibilità del servizio sanitario chedà gratuitamente a tutti quello che è necessario: unbene della cui importanza non ci rendiamo conto.

GIANNELLA - Basti pensare alle fatiche del presidenteObama, per istituzionalizzarlo negli Stati Uniti. GARATTINI - Ai tempi in cui non c’era il servizio sanita-rio ma c’era la mutua, una malattia cadeva pesante-mente sulle spalle della famiglia anche dal punto divista economico. In conclusione, cambiamo stile di vita,riduciamo le medicine inutili (circolano 20 mila farma-ci, ma solo poco più di 300 funzionano davvero) e tenia-mo d’occhio i doveri verso la salute.

GIANNELLA - Cattive abitudini alimentari: le tre più dif-fuse?GARATTINI - La prima è quella di mangiar troppo rispet-to a ciò che si consuma, perché tenere lontano il sovrap-peso è il primo presupposto per mantenersi in buonasalute. Secondo errore: è quello di non privilegiare, insie-me al pesce, la frutta e la verdura cruda. La parte vege-tale dovrebbe essere una voce molto importante di ognidieta: è stato dimostrato che broccoli e cavolfiori hannola capacità chimica di far aumentare gli enzimi che neu-tralizzano le sostanze cancerogene prima che entrinoin circolo. La stessa funzione protettiva viene dal resve-ratrolo, contenuto nella buccia dell’uva nera e nel vinorosso, ma il problema è che nel caso del vino, il resve-ratrolo si assume con l’alcol. Queste prime due norme sarebbero già sufficienti perstar bene. La terza: non si può pensare a una culturanel campo del cibo, senza pensare anche all’eserciziofisico, perché il movimento (il “picciol moto” raccoman-dato da Leonardo) è un complemento necessario al tipodi alimentazione. Se qualcuno vuol dimagrire nonpuò dimagrire soltanto mangiando poco, perché in que-sto modo sottrarrà al suo organismo molti micronu-trienti che sono importanti. Deve farlo con i due aspet-ti della bilancia: mangiare un po’ di meno e muoversiun po’ di più.

GIANNELLA - Anche sul movimento come terapia, noiitaliani siamo stati precursori al mondo. Penso al Dearte gymnastica del medico romagnolo GirolamoMercuriali (Forlì 1530-1606), celebre per avere per primoteorizzato l’uso della ginnastica su base medica. GARATTINI - Purtroppo sono cose note da molto tempoma praticate poco o niente.

� Il gioielliere e filantropo MarioNegri (1891-1960) destinò nel testa-mento 900 milioni di vecchie lire perfare nascere l'istituto di ricerca

� La nuova sede dell'Istituto MarioNegri

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GIANNELLA - Lei che ha esplorato le interazioni tra vino,alcol e farmaci, ci dia dei consigli utili per evitare nefa-ste conseguenze dall’eccesso di alcol. GARATTINI - A piccole dosi (vedere riquadro a pag. xx,Ndr) l’alcol può avere effetti positivi. Se si supera lasoglia, si provocano seri danni al fegato e al cervello.Quando si guida, quando si usano apparecchiature chepossono comportare pericoli, quando si fanno attivitàche richiedono riflessi pronti, la tolleranza deve esse-re zero. Se ricorrono queste condizioni, la persona nondeve bere o deve bere in tempi adeguati prima di farela sua attività. Vanno privilegiate bevande a basso con-tenuto alcolico; si dovrebbero evitare liquori e grappe,whisky, cognac e brandy, perché hanno alte percen-tuali di alcol che sono irritanti per le mucose e quindialla lunga possono essere responsabili di tumori deltratto digestivo. Infine è da tener presente che alcol efumo si potenziano a vicenda: per uno che fuma e chebeve alcol il conto 2 più 2 non fa 4, ma fa 16.

GIANNELLA - A Helsinki, in una festa, ho visto che aitavoli c’era un biglietto con l’indicazione del commen-sale astemio. Certo i finlandesi bevono, ma il punto èche dopo non guidano. Ogni auto di quegli invitati avevail suo autista astemio o “astemio” solo per quella sera. GARATTINI - Questi sono piccoli passi, ma (se emulati)aiuterebbero da noi a evitare stragi sulle strade comequelle del sabato sera.

GIANNELLA - Professore, ho da farle una domanda pri-vata. Da quando la conosco, e sono più di trent’anni,l’ho vista sempre vestito con i suoi inesauribili maglio-ni dolcevita, sia al lavoro sia in occasioni mondane.Dove nasce questa passione per i maglioni? GARATTINI - Me li regala mia moglie Anny. Ogni tanto,quando capita a Roma, va in una bottega storica di viadel Corso e fa rifornimento. Il negozio si chiama Schostal,ha aperto nel 1870 e aveva tra i suoi clienti LuigiPirandello.

L’abuso di alcol, secondo gli ultimi dati pubblicati da Garattini con Alessandro Nobili, sarebbe responsabile dicirca 30 mila decessi l’anno in Italia. � Questo il contenuto di alcol (etanolo) per 100 ml di bevanda alcolica: circa 10,5 grammi per il vino; 2,8 g per

la birra; 33,6 g per la grappa; 27,3 per amari e digestivi; 32,6 per gli altri alcolici (whisky, cognac e brandy). � Un bicchiere di vino corrisponde a circa 125 ml, uno di birra a circa 330 ml, uno di grappa, amari, digestivi,

whisky, cognac o brandy a circa 30 ml. A piccole dosi (da 30 a max 50 grammi di vino al giorno), l’alcol puòavere effetti positivi.

� Da tenere presente che: 1) l’uso concomitante di farmaci che deprimono il sistema nervoso centrale aumenta la tossicità dell’alcol; 2) la capacità di giudizio e la reattività agli stimoli possono essere gravemente compromesse dagli effetti

combinati dell’alcol, anche in piccole quantità, con i barbiturici, con conseguente marcata azione seda-tiva e potenziale ipnosi;

3) gli effetti dell’alcol sul sistema nervoso possono essere aumentati anche da altri farmaci, tra cui gli antide-pressivi triciclici, i tranquillanti minori, gli analgesici oppioidi e gli antistaminici. Il consumo di alcol in questicasi deve essere assolutamente evitato. Inoltre è bene avvertire il paziente dei rischi che corre nello svol-gere attività lavorative o di altra natura che richiedono particolare attenzione, come per esempio guidarel’automobile.

� Il rapporto completo di Garattini e Nobili sulle principali Interazioni tra farmaci e alcol, con l’elenco di tutti iprincipi attivi, le rilevanze cliniche, i possibili effetti, i meccanismi e i comportamenti clinici, può essere richiestoalla redazione di “DeVinis”.

ALCOL E FARMACI

� Il Presidente Napolitano in visitaall'Istituto Mario Negri, accompag-nato dal Professor Silvio Garattini

Un pensiero del Presidente �Giorgio Napolitano a ricordo della

sua visita all'Istituto Mario Negri

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Si dice che il suo nome, Tu-nus, abbia origine dalla lingua berbera eche significhi “promontorio”, oppure “luogo in cui passare la notte”.E di notti, i turisti che visitano la Tunisia, ne passano ben più di una

in questo Stato del Nord Africa confinante con l’Algeria a ovest e la Libiaa sud e a est. Terra con origini che risalgono alla preistoria – i primi abitanti del Paesefurono proprio le tribù berbere che oggi rappresentano una piccola mino-ranza – qui i Fenici fondarono Cartagine, che conobbe un periodo digrande prosperità grazie al dominio romano.La Tunisia, che conta una popolazione per la maggior parte araba di diecimilioni di abitanti (2008), ha molto da raccontare a chi la visita: con unmisto di archeologia, resort ed enogastronomia ricorda in parte il panora-ma turistico che offre l’Egitto.Purtroppo un altro fattore oltre a quello della tipologia delle risorse turi-stiche accomuna i due Paesi: il basso tasso di crescita del settore turisti-co. L’Egitto infatti, con un 7,5 per cento affianca la Tunisia che riportaun 7 per cento, ultimo fra i 19 Paesi studiati dalla Banque Européenned’Investissement che ha esaminato il tasso di crescita annuale previstodurante l’arco temporale 2006-2010. Campione di crescita fra i Paesi delMediterraneo è risultato invece il Marocco (19,4 per cento), seguito dallaSiria (16,3 per cento), la Turchia (15 per cento), il Libano (14,9 per cento),l’Algeria (14,4 per cento), Israele (10,7 per cento) e la Giordania (10 percento). Lo stesso vale per gli arrivi turistici. Con un tasso di crescita annuale del 24 per cento la Siria distacca tutti glialtri Paesi della Regione Mediterranea: anche qui la Tunisia è ferma con

Tunisia,un paradiso

in cerca d’identitàdi Elisa della Barba

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un 5,4 per cento, superata dalla Giordania (6,5 per cento), il Marocco (8per cento), l’Algeria (11,2 per cento), il Libano (11,7 per cento), Israele (13,3per cento), l’Egitto (14,8 per cento) e la Turchia (15,5 per cento). Va un po’ meglio per quanto riguarda le spese dei turisti: la Tunisia si clas-sifica quinta, dietro alla pole position della Turchia, dell’Egitto, del Maroccoe della Siria. La diagnosi di questa analisi che vede la Tunisia arrancare è però nota:la poca diversificazione dell’offerta turistica. La Tunisia fino a poco tempofa ha infatti basato la sua immagine esclusivamente sul turismo balnea-re familiare a prezzi ragionevoli. Solo ultimamente, grazie alla consapevo-lezza di questa posizione, il Paese ha cercato di diversificare maggior-mente puntando sul turismo desertico, su quello termale e su quello archeo-logico, con un miglioramento lento ma che fa ben sperare. Pollice verso, però, per il 2008 con una diminuzione notevole dei turistidall’Europa occidentale: inglesi, tedeschi, spagnoli, italiani e francesi sonomeno inclini a visitare la Tunisia nonostante le offerte all-inclusive (unesempio per tutti, un pacchetto di una settimana in alta stagione in hotelextra lusso viene offerto a 500 euro). A salvare la situazione sono i mer-cati dell’Europa dell’Est e del Medio Oriente, allettati dai prezzi. L’aspettopositivo della tipologia di questo turismo è che non si affida agli hotel bensìalle ville balneari e preferisce evitare la formula all-inclusive: questo creaun certo dinamismo nell’industria turistica tunisina.Quello che colpisce invece dei bilanci annuali è che, nonostante la crisi, laTunisia ha resistito bene nel 2009, con un impatto ridotto sull’industriaturistica che rappresenta il motore dell’economia tunisina con il 10 percento della popolazione attiva totale impiegata in questo settore. Bilancio positivo, infatti, per il primo trimestre che segna un più 0,7 percento di guadagni turistici in euro rispetto al 2008: un milione di turistiha visitato la Tunisia nei primi tre mesi del 2009, anche se va segnalato

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che vi è stata una diminuzione del numero di turisti europei, circa 70milain meno rispetto al 2008. Persino gli europei che hanno scelto la Tunisiahanno modificato il loro comportamento: i francesi, per esempio, hannooptato per soggiorni di breve durata. Questo ha coinvolto di conseguenzale prestazioni che ruotano attorno al turismo: voli, alberghi, ristorazione. Per attirare clienti, le aziende dei trasporti aerei hanno ridotto i prezzi trail 15 e il 20 per cento e le industrie alberghiere hanno ribassato del 70per cento le tariffe per camera (in caso di quelle extralusso la condizioneera mantenere l’anonimato).Questo stratagemma, che aveva fallito nel 2008, pare quindi aver funzio-nato per il 2009 (merito probabilmente della crisi), anche se la realtà è chele parole chiave per una rimonta davvero stabile e duratura del settoresono diversificazione e qualità dell’offerta. Per un Paese come questo, che ha a disposizione le stesse caratteristicheattrattive di tutti i suoi colleghi del Mediterraneo – storia, clima tempera-to quasi tutto l’anno, coste bellissime – la soluzione è trovare un turismodi nicchia. E allora mentre la Turchia, terzo Paese preferito come desti-nazione turistica dai francesi, punta tutto su prezzi competitivi per atti-rare i giovani, la Tunisia sceglie un’altra strada e si organizza per investi-re sulla terza età. È previsto che 16.500 turisti over 60 raggiungeranno la Tunisia nei pros-simi due anni. Un mercato promettente, se si considera che questa è l’uni-ca fascia d’età che quasi non è stata toccata dalla crisi e che è dispostaquindi a spendere di più. Non avendo poi problemi di ferie, i viaggi si distri-buiscono durante l’intero anno, risolvendo così i periodi di “magra” dellabassa stagione. Certo è che la Tunisia dovrà fare in modo da organizzarsiper soddisfare appieno questa categoria, mettendo in conto servizi d’ani-mazione specializzati e assistenza medica facilitata. A questo scopo il mini-stero del Turismo ha messo a disposizione, per cominciare, 50mila dina-ri, la moneta ufficiale (circa 27mila euro).Nel 2009 si è visto inoltre un aumento di turismo da parte del mercato

Il cortile interno della Moschea Zitouna �

� La Medina di Tunisi

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recentemente acquisito dell’Europa dell’Est e soprattutto dell’Inghilterra(più 5 per cento rispetto al 2008), che dispone di un notevole potere d’ac-quisto. Ecco perché nonostante il numero dei turisti sia stato 6,4 milionidi visitatori si è avuto un incremento delle entrate monetarie grazie a unturismo di più alto profilo, con una forte capacità di spesa.Meno turisti e più entrate potrebbe essere la risposta ai problemi dellaTunisia, costretta, come abbiamo visto, fino ad oggi a giocare al ribassocon un turismo di massa per nulla conveniente per il Paese anche in ter-mini di fidelizzazione del turista. Ma che cosa si può visitare in Tunisia? Con capitale Tunisi, collocataall’estremo nord del Paese, la Tunisia vanta le più disparate attrattive turi-stiche. Con 1200 chilometri di coste c’è l’imbarazzo della scelta fra i resortbalneari di Scusse, Monastir, Hammamet, Djerba, Tabarka, dove oltre aprendere il sole si possono praticare immersioni subacquee, windsurf, vela.Non lontani dal paradiso di sole e mare i siti archeologici, storici e monu-mentali sono un must. A Tunisi, non perdetevi la Moschea Zitouna, acces-sibile anche ai non musulmani, e la medina, dove visitare il Souk el Attarine,il mercato dei profumi, risalente al XIII secolo: si possono ancora trovareoli essenziali e profumi rari. Andate anche al Museo Bardo, collocato in unpalazzo del XVII secolo, per vedere gli splendidi mosaici romani. Il museooffre anche importanti resti archeologici di Cartagine e delle ere musulma-ne e cristiane (primo periodo). Una tappa a Cartagine è d’obbligo vista l’importanza storica di questosito nominato patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco. Merita anche la medina della città santa di Kairouan, che vanta più di cin-quanta moschee. Sempre nella medina di Kairouan si trova la Moscheadi Sidi Oqba, la più antica di tutto il Nord Africa. Da vedere anche Sidi-Bou-Saïd, il villaggio meglio conservato di tutto illitorale mediterraneo, con tipiche case bianche; le grotte-abitazioni diMatmata, ora disabitate, anche se alcune riabilitate come hotel, costruitedai Berberi sottoterra per sfuggire al calore così come la “versione” roma-

� L'ingresso di una delle caratteristiche abitazioni di Sidi-Bou-Saïd

� Il minareto della GrandeMoschea di Sidi Oqba a Kairouan

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na di queste, Bulla Regia, dove si possono ammirareintere stanze conservate al tempo del dominio roma-no. Se il tempo non manca ci si può anche avventurare perun safari nel deserto (partendo da Douz, villaggio tipi-camente desertico) o spingersi fino a sud, per ammira-re gli ksour, villaggi fortificati costruiti con il fango cheservivano da rifugio ai Berberi contro gli attacchi noma-di ma anche come granai. Anche la gastronomia non delude: come per il Marocco,è una gustosa miscela di cucina francese e araba ed èparte integrante della cultura tunisina. Olio d’oliva espezie, in particolare quelle piccanti, sono gli ingredien-ti base: la cucina tunisina è quella più piccante fra tuttequelle del Nord Africa. In aggiunta vi è grande uso dipomodori ma anche grande assortimento di carni e dipesci. Come antipasti menzioniamo il più famoso, il brick àl’oeuf, una pastasfoglia triangolare riempita con tonno,erbe e un uovo e poi fritta in olio. Un altro antipastofamoso è la chorba, una zuppa cremosa fatta di pomo-dori, cipolle e pastina. Qui gli antipasti sono chiamatikemia, preparano all’appetito e sono composti anche dabocconcini di polipo, peperoni, olive, salsiccia di agnel-lo grigliata (merguez). La harissa è la salsa da pasto loca-le, preparata con peperoncino essiccato, aglio e spezie. Il couscous è il piatto nazionale: sia i Berberi che lacomunità ebraica contribuirono in passato a portarloin Tunisia. Si possono trovare come portate principali anche gam-beri o sardine o la chakchouca, una ratatouille di pomo-dori freschi, peperoni e cipolle o la koucha, un arrostodi spalla di agnello con peperoncini e patate cotte alforno. La frutta è sempre freschissima e per chi ama i dolciquelli tradizionali sono fatti di mandorle, noci, datteri econditi con miele. I baklava sono quelli più conosciutie utilizzati in tutte le feste del Paese: sono fatti di pistac-chio, burro, pasta sfoglia e sciroppo di miele. Il tè alla menta è una classica bevanda da pasto e il caffètunisino è forte e preparato con estrema cura. Per quanto riguarda l’enologia, l’arte di fare il vino perla Tunisia risale all’epoca punica. Gli abitanti diCartagine furono i primi a occuparsi di viticoltura, pra-tica che divenne comune a partire dall’VIII secolo a.C..Ad oggi la Tunisia produce (spesso con l’aiuto di eno-logi francesi) più di 300mila ettolitri di vino all’anno(2007) che viene esportato in tutto il mondo. Il 70 per

cento dei vini è Doc e il 20 per cento è classificato comePremier Cru. Nel 2008 le vendite si è registrato un incre-mento delle vendite pari al 6 per cento in più rispetto al2007. La tradizione enologica è così radicata nel Paese checirca la metà delle vigne tunisine esistenti è dedicataall’uva per la produzione di vino e non all’uva da tavo-la; ultimamente, piccole compagnie come Domaine Atlas,St. Augustin e Ceptunes si sono affermate con succes-so creando una nuova generazione di vini tunisini. Le zone più rinomate per la produzione sono Tunisi,Megrine e Grombalia, chiamata dai suoi abitanti “il regnodelle uve”. I vitigni più comuni sono di origine europea,per lo più francese: l’Alicante-Bouchet, il Cinsault, ilGrenache, il Carignan, il Nocera, il Pinot Nero come vinirossi (e rosati) e il Semillon, il Pedro Ximénez, il Moscatodi Terracina e il Moscato di Frontignan per i vini bian-chi, per quanto riguarda i vitigni autoctoni ricordiamol’Abeidi, il Mizzutello e il Sultanieh. Tra i vini rossi celebri tunisini: Vieux Magon, ChâteauSt. Augustin e Sélian; tra i bianchi Château St. Augustine Ugni Blanc, tra i rosé Coteaux de Carthage e ChâteauMornag.Una curiosità: per il rosso Vieux Magon, “Magon” deri-va dal nome dell’agronomo che visse a Cartagine al tempodei Fenici e annotò le tecniche di vinificazione, oggi anco-ra in uso, in un trattato di viticoltura.

Uno degli ksour tunisini, antichi rifugi berberi, presso Ouledsoltane �

Il chakchouca, a base di pomodorifreschi, peperoni e cipolle Brick à l'oeuf tunisino Baklava

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Cosa bolle in pentola a New York? Di tutto e di più! Nella metropoliin cui etnie e culture diverse si incontrano e coabitano, anche lecucine del mondo convivono quotidianamente. In questa Babele di

sapori, effluvi e ricette, oltre agli orrori delle rivisitazioni culinarie arbitra-rie e fasulle del made in Italy, quali il chicken parmigiana, pastrocchiodi pollo inserito suo malgrado in una parmigiana di melanzane in cui amancare sono, per assurdo, proprio le melanzane, fortunatamente moltieccellenti professionisti dell’enogastronomia, insieme a una nuova gene-razione di imprenditori, propongono il rispetto della vera tradizione culi-naria nazionale. Sono ristoratori, chef, titolari di aziende vinicole, giorna-listi del settore, personaggi della vita sociale o istituzioni quali il Consolatogenerale, l’Istituto del Commercio estero, l’Ente nazionale del Turismo.Negli ultimi mesi, tutti costoro si sono adoperati per la promozione delmade in Italy da mangiare e da bere, proponendo su New York una seriedi eventi che hanno suscitato l’attenzione dei media, oltre che del vastopubblico americano. Tra questi, la Giornata internazionale delle cucineitaliane, organizzata dal Gruppo Virtuale dei Cuochi Italiani (GVCI) cheriunisce nel mondo migliaia di adepti, tra cuochi e addetti ai lavori, deci-si a dire no ai taroccamenti e alle falsificazioni della cucina e prodottinostrani. È il terzo anno consecutivo che il GVCI, capitanato da MarioCaramella, chef di base a Bali, indice una giornata dedicata al rispettodi una ricetta che fa parte del patrimonio culinario italiano da celebrarsisimultaneamente nel mondo. Dopo il risotto alla milanese e gli spaghettialla carbonara, quest’anno si è indetto “il rispetto” delle tagliatelle al ragù.L’anteprima dell’evento si è svolta a New York, presso la sede dell’Italian

Il made in Italyspopola

a New York

di Alessandra Rotondi

� Chefs degustano tagliatelle tra cui Mario Batali e Cesare Casella

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Culinary Academy, il cui responsabile, ideatore e preside deglistudi è lo chef Cesare Casella, titolare del Ristorante SalumeriaRosi, nonché leader del GVCI negli USA. Vari cuochi italianiaderenti all’iniziativa, come Valentino Rizzo dell’Osteria BottegaBologna e Cinzia Orlandi, vera sfoglina, sono convenuti nellaGrande Mela esibendosi nella preparazione originale delle taglia-telle alla bolognese. Il console generale Francesco Maria Talòha fatto da arbitro nella prova culinaria. Mario Batali, popola-re cuoco italo-americano cultore del ragù, durante la video con-ferenza in diretta con Bologna è stato nominato membro ono-rario dell’apostolato della tagliatella e ambasciatore culinariodi Bologna ed Emilia Romagna. Rappresentanti di eccellentimarchi dell’enogastronomia e beveraggi italiani, come GranaPadano, Parmacotto, Ferrarelle, Barilla, Calvisius Agroittica,hanno offerto seminari e degustazioni gratuite. Una cena digala, svoltasi anch’essa presso la scuola di Casella, prepara-ta da Chicco e Bobo Cerea, (ristoran-te Da Vittorio, Bergamo, 3 StelleMichelin) coadiuvati dagli allievi del-l’istituto, ha riunito personaggi dellatavola di New York, tra cui AnneBurnell, conduttrice di un reality tvdi gran successo dal titolo I PeggioriCuochi d’America, ma soprattuttocuochi e ristoratori italiani, tra cui i“newyorkesi” Sirio Maccioni de LeCirque e Osteria del Circo; LidiaBastianich di Felidia, Becco, Del Postoe l’itinerante Gianfelice Guerini, chefdel Team Ferrari Formula 1, i qualisono stati tutti insigniti dell’ItalianCuisine Worldwide Award, per l’im-pegno nella diffusione dell’autenticacultura enogastronomica italiana,ricevendo una padella in argentocome premio simbolico. A distanza dipochi giorni, l’Accademia italianadella cucina, istituzione culturaledella Repubblica, riconosciuta in talsenso dal ministero dei Beni Culturali,ha festeggiato proprio a New York il50° Anniversario dalla sua fonda-zione. La contessa Francesca BaldeschiBalleani, delegata su New York, haorganizzato al Metropolitan Club unacena di gala tutta marchigiana, operadello chef Lucio Pompili, alla qualeha partecipato oltre che il presiden-te dell’Accademia, Giovanni Ballarini,l’alta società e le autorità. Nel corsodella serata sono stati premiati per-sonaggi che operano nell’enogastro-nomia per “l’alta professionalità e l’in-telletto con cui svolgono il loro mestie-

� Tagliatelle al ragù

� Preparazione delle Tagliatelle per la Giornata Internazionaledelle Cucine Italiane

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re e soprattutto per il cuore con cui sanno esprimere le eccel-lenze delle tradizioni culinarie italiane”. E ancora una volta SirioMaccioni era nel parterre dei premiati, come Lou Di Palo, tito-lare dello storico Di Palo Alimentari ed Enoteca a Little Italy,meta indiscussa per gli acquirenti delle prelibatezze italiane epunto di attrazione turistica, per i cento anni di attività festeg-giati quest’anno. Dall’Italia la simpaticissima Luisanna Messeri,autrice e conduttrice televisiva del Club delle Cuoche ha rice-vuto lo stesso premio. Verdicchio, Pecorino, Passerina, RossoConero e Piceno di varie aziende hanno ricevuto l’onore deglialtari come forse mai successo prima. Ma tutti i vini italianihanno avuto recentemente una chance in più di farsi conosce-re e apprezzare dal pubblico newyorkese. È successo con l’even-to Vino 2010, promosso dall’Italian Trade Commission, cioèl’Ufficio del Commercio estero di New York,oltre che daBuonitalia, Vinitaly, vari consorzi vinicoli e regioni, che ha offer-

to alla città grandi degustazioni, semi-nari, conferenze e cene a tema percelebrare le tipicità italiane. A richiamare l’attenzione dei mediaanche l’inaspettato arrivo del presi-dente della Camera dei Deputati,Gianfranco Fini, di passaggio dopouna visita ufficiale a Washington, cheha presenziato a uno dei wine tasting,degustando vini e intrattenendosi coni titolari ed enologi convenuti, tra cuiMarco Pallanti in qualità di presiden-te del Consorzio del Chianti Classicoe Riccardo Ricci Curbastro per laFranciacorta. E la rassegna si chiu-de con il galà in maschera che la fami-glia reale di Serbia, residente a NewYork, ha organizzato per raccoglierefondi a favore dell’opera benefica eumanitaria Lifeline. L’occasione erail Carnevale e, visto il tema, non pote-va non tenersi in quella che è consi-derata la trasposizione di Venezianella Grande Mela, cioè la sontuosasala da ballo di Cipriani sulla 42ªStrada. In questa occasione il madein Italy è andato ancora oltre: nonsolo la sede dell’happening esclusi-vo, che ogni anno richiama tutto iljet-set newyorkese e internazionale,era italiana, ma anche tutto il vinoche è stato servito, merito della gene-rosa e totale donazione da parte delleaziende Zonin e Salvatore Ferragamo,le quali, oltre a contribuire a unanobile causa, hanno garantito agliinvitati il miglior intrattenimento pos-sibile: quello del vino al cento percento italiano!� Vino 2010, la settimana enologica italiana a New York

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� La Principessa Kathreen di Serbia, in blu, esuoi ospiti al Ballo in Maschera da Cipriani

� Riccardo Ricci Curbastro, Gianfranco Fini,Marco Pallanti e Aniello Musella, Direttoredell'ICE New York, in occasione di Vino 2010

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Se l’oro abbaglia, il vino rallegra

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Con la fine della prima decade del ventunesimo secolo è tempo dibilanci anche per la finanza. Due gli elementi da sottolineare. Primo:l’investimento azionario è quello che tra le diverse asset class ha

performato peggio (meno 24,5 per cento) negli ultimi dieci anni, standoben al di sotto dell’asticella dell’inflazione (22,34 per cento). Secondo:chi ha scommesso sui beni rifugio, oro e immobili su tutti, ha avuto anco-ra una volta ragione. Il metallo giallo ha conseguito un rendimento del più155 per cento, cioè quasi il 10 per cento all’anno (molto più di Bot e Cct),mentre il mattone si è rivalutato del più 118 per cento. A seguire è statopremiato chi ha scommesso su petrolio, titoli di Stato e mercato moneta-rio. Ma la vera sorpresa è il vino. Lo dimostra l’andamento del Liv-ex 100,l’indice basato a Londra, che rappresenta un benchmark per il settore conle sue cento bottiglie più ricercate al mondo (91 per cento Bordeaux).Dal 2001 a oggi le grandi etichette hanno registrato un più 11 per cento,e nel 2009, anno ancora burrascoso per le borse mondiali (soprattutto ilprimo semestre), il Liv-ex ha fatto registrare un più 0,9 per cento atte-standosi a 237,17 punti. Un trend di crescita che tra l’altro sembraessere confermato anche per il 2010 visto che a gennaio è salito ancoradel 2,7 per cento. Oltre alla sua valenza economico-finanziaria, questoindice è uno strumento molto utile per tutti quei collezionisti che voglio-

no controllare il valore della loro can-tina. Le etichette che confermano laloro quotazione, anche al di là delleoscillazioni tra le diverse annate, sonoprincipalmente i bordolesi PremierCru: Lafite Rothschild, MoutonRothschild, Cheval Blanc, HautBrion, Margaux, Latour, Petrus. Perquanto riguarda la Borgogna invecenon sembrano sentire oscillazioni dialcun genere i prodotti del prestigio-so Domaine Romanée Conti.Fra le etichette italiane, poche (0,63per cento dell’indice), c’è il Massetodella Tenuta dell’Ornellaia.Un prodotto di qualità elevata che dadieci anni a questa parte ha vistoincrementare il suo valore economi-co del 446 per cento. Presso la casad’aste Gelardini & Romani l’annata2006 en primeur è stata battuta alla

DAL 2001 A OGGI

IL VALORE

DEI GRANDI CRU

È AUMENTATO

DELL’11 PER CENTO.CHI HA INVESTITO

IN VINO HA AVUTO

OTTIMI RITORNI,INFERIORI SOLO

A ORO E IMMOBILI

di Lorenzo Simoncelli

� Giovanni Geddes, AD della Tenuta dell'Ornellaia

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cifra record di 604 euro (14/03/2009). Valori che hanno preso quota ulte-riormente dopo che il Petrus italiano (come lo ha definito il noto criticoenologico Robert Parker) ha messo piede nella Place de Bordeaux(11/11/2008). Una scelta voluta fortemente dall’amministratore delega-to dell’azienda toscana, Giovanni Geddes, che in esclusiva per DeVinis,ha spiegato alcuni retroscena dell’operazione. «Con la vendemmia del 2006abbiamo deciso di mettere una quota del Masseto (20 per cento) sulprincipale palcoscenico dei migliori vini a livello internazionale» spiegaGeddes. «Nel corso di questo primo anno ha già lasciato il segno facendoregistrare quotazioni che hanno raggiunto i 560 euro. È un grande suc-cesso che conferma la qualità del nostro Merlot. Essere a Bordeaux, rap-presenta un privilegio. I Negociants gestiscono da sempre i grandi Cru diBordeaux e perciò hanno il know how perfetto per gestire un grande Cruitaliano. Con questa operazione manterremo il pieno controllo della trac-ciabilità del nostro vino, abbiamo un accordo che prevede la totale tra-sparenza su dove verrà venduto il vino». Investire in vini giusti e d’anna-ta può dunque rendere anche il 20 per cento. È il caso del Lafite Rothschild1982, che negli ultimi dieci anni ha avuto una rivalutazione dell’857 percento. Ciò significa che dodici bottiglie di questo Premier Cru bordolesesono passate da un valore di 2 mila sterline alle attuali 25 mila. Oppureil caso dello Château Le Pin 1998, una cassa sempre da dodici nel 1999valeva 800 sterline, quattro anni dopo ne valeva 1.550 (più 27 per cento).Ma l’acquisto diretto dal produttore o tramite asta sono solo alcune dellepossibilità d’investimento nel vino. Da una decina d’anni, infatti, anche ilvino ha subito in parte un processo di finanziarizzazione, che ha visto lanascita dei primi fondi d’investimento comuni, della prima sicav (societàd’investimento a capitale variabile) nel 2008 e dei contratti futures. I risul-tati anche qui sono stati ottimi, meno per quanto riguarda la diffusionedel vino come asset strategico da inserire nei portafogli. Il perché non siaancora apprezzato dai gestori delle banche d’investimento lo abbiamo chie-sto a Claudio Zara, ricercatore e professore di banking e finanzadell’Università Bocconi e della Scuola di direzione aziendale (Sda) dellaBocconi. «La nota positiva del fondo d’investimento in vino è la possibili-tà di finanziarizzare un prodotto che per natura non lo è» spiega ClaudioZara. «La finanza permette di rendere questo bene, che per natura non ènegoziabile, indirettamente negoziabile, tramite strumenti quali quote difondi chiusi o future mediante le regole del mercato finanziario». E quel-la negativa invece? «Come tutti i mercati di nicchia», ammonisce il profes-sore della Bocconi, «c’è il rischio che ci possano essere forti scostamentinel tempo e quindi una scarsa garanzia per il futuro. Inoltre si investe

su vini specifici, con un mercato che puòessere volatile e con prezzi poco traspa-renti. È sbagliato confrontarlo con altriasset finanziari, l’importante è coglierne ilbeneficio». Che cosa fare dunque per farsì che questa forma d’investimento abbiaun futuro più roseo viste le buone per-formance registrate in un periodo di gros-sa turbolenza dei mercati? «In un corret-to portafoglio sarebbe bene mettere un 10-15 per cento di investimenti alternativi tracui il vino. È un settore che ha grossepotenzialità, il problema sta nel veicolar-lo correttamente, per farlo crescere biso-gna aprire la dimensione del mercato, altri-menti si rischiano speculazioni» conclu-de Zara. In Europa a tutt’oggi esiste unsolo fondo d’investimento sul vino, esclu-se alcune strutture off-shore in GranBretagna, Svizzera e Canada, ma di dub-bia trasparenza. Si chiama Noble Crus, è

� Claudio Zara, ricercatore e professore di banking e finanza,Università Bocconi e SDA Bocconi

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Vin

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fin

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za

di diritto lussemburghese (loemette la società di consulenzaElite Advisers), ed è gestito daChristian Roger, uno dei massimiesperti del settore, nonché fonda-tore della prima società di consu-lenza sull’investimento in vino,chiamata appunto Vino e Finanza.Lanciato sul mercato il primo gen-naio del 2008 nel pieno della crisifinanziaria, ha fatto registrare più20,8 per cento il primo anno e

più 9,7 per cento nel 2009. Una massa totale gestita che si aggira intor-no ai 20 milioni di euro: di questi il 10 per cento cash per far fronte allerichieste d’uscita, e un portafoglio composto prevalentemente da vini dellaBorgogna. Tra le grandi novità degli ultimi mesi una serie di acquisti mira-ti per rafforzare la posizione sulle annate più recenti dei grandi vini, erro-neamente sottovalutate l’anno scorso, e adesso con prezzi nuovamente inripresa. In particolare Christian Roger, gestore del fondo Noble Crus, hapuntato forte sul Premier Cru Château d’Ausone 2005. «Senza alcun dub-bio lo Château d’Ausone è il numero uno dei Bordeaux degli ultimi diecianni» commenta Roger. «Si tratta pertanto di un investimento sicuro e digrande qualità». Tra i progetti futuri di Noble Crus c’è anche l’apertura aquello che è e sarà sempre di più la locomotiva dei vini di lusso, ossial’Asia (secondo la società di ricerche Iwsr la Cina ha un aumento annuodei consumi di vino pari al 15 per cento e nel 2012 supererà la quota di

1,24 miliardi di bottiglie) e in par-ticolare Hong Kong. L’obiettivodel gestore del fondo è, infatti,costituire una grande collezioneverticale di Château d’Yquem,ossia tutte le annate del ventesi-mo secolo, molto apprezzata dalladomanda orientale. È passata labufera? E quali scenari per ilfuturo? «Per i vini top di gammanon ci sono stati problemi,soprattutto per gli Châteaux dovela richiesta è superiore all’offer-ta» risponde Christian Roger,gestore del fondo Noble Crus.«Tutto ruota attorno alla qualità.Il terroir è impossibile da espor-tare. I vini di alto valore possonocrescere anche del 12-15 percento all’anno. In questo periodochi ha bottiglie pregiate non vuole

vendere e chi compra lo fa a prezzi ribassati». Due, secondo il fondatoredi Vino e Finanza, gli elementi principali che caratterizzeranno il 2010dei grandi vini. USA e Gran Bretagna, le cui divise si sono deprezzate neiconfronti dell’euro, esauriranno le loro scorte di grandi vini e sarannocostrette a ricostituirle acquistando sul mercato europeo, facendo cosìalzare i prezzi delle piazze di Londra e New York, che avranno un effettotraino su tutto il settore. Secondo: il 2009 sembra essere un’ottima anna-ta, ci sarà quindi una corsa all’acquisto con conseguente lievitazionedei prezzi. Effetto moltiplicatore per le produzioni minime. Per conclude-re nel 2010 Noble Crus avrà maggiore attenzione per l’Italia e in parti-colare alla Toscana che nel 2006 ha prodotto un’ottima annata, attual-mente già in commercio.

� Christian Roger, fondatore della società ''Vino e Finanza''

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Un passo falsosull’olio di oliva

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Oli

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tali

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Ci sono molti passi in avanti da fare, sul fronte dellacomunicazione di una corretta cultura dell’olio dioliva in Italia. Se poi nel fare comunicazione a fal-

lire è proprio il ministero delle Politiche agricole, alloraogni speranza è perduta e non si può certo pretendereche il consumatore assuma atteggiamenti corretti.Immagino che abbiate preso visione dello spot dedicatoalla promozione dell’olio di oliva trasmesso sulle reti Rai.Per chi non avesse visto il filmato, è possibile reperirlosu YouTube, alla voce “spot olio italiano”, dove si leggo-no commenti autoreferenziali del tipo “lo spot che man-cava!” oppure “gran bel montaggio” e complimenti a segui-re. Commenti scritti da qualche mano amica. A me,tuttavia, lo spot non è piaciuto. Ritengo sprecati i 156milaeuro, Iva compresa, investiti. L’impegno economico èeccessivo a fronte dei risultati. Si sarebbero potuti uti-lizzare diversamente e con maggiore efficacia tali fondi.L’iniziativa è stata pensata allo scopo di fronteggiare lagrave crisi che ha coinvolto in que-sti ultimi mesi l’intero comparto,ma non apporta nulla. Da un puntodi vista tecnico lo spot è mal riusci-to. Per avere un riscontro esternoho sentito il regista Angelo Ruta,il quale concorda con la mia sensa-zione. “A prima vista mi sembra unospot realizzato in modo amatoria-le” ha dichiarato. “Dall’ambientealla luce, dai costumi alla struttu-ra drammaturgica: non apre oriz-zonti, ma li chiude”. Non è soltan-to una mia sensazione. Lo spot “èpensato per un pubblico piuttosto provinciale” ha aggiun-to. “Gli attori fanno del loro meglio. Le comparse ai tavo-li, invece, a giudicare dalla loro rigidità, sembrano paren-ti del regista. Manca forse un’atmosfera generale, evoca-ta dalla voce fuori campo ma non corrisposta da quelloche si vede”. Il giudizio di Ruta è inequivocabile. Mette in evidenza ivistosi limiti tecnici dello spot. Su internet, il portale spe-cializzato Spot anatomy - la pubblcità vista al micro-scopio accoglie commenti del tipo: “Anonimo… non lasciatraccia nello spettatore” oppure “lo speaker poteva sfor-zarsi un po’ di più” e di conseguenza “da Lowe Pirella-Fronzoni mi sarei aspettato di più. Ma visto l’interlocu-tore…”. Lo spot, della durata di trenta secondi, è ambientato inun ristorante e ha come protagonista una coppia di inna-morati che introduce lo spettatore alla conoscenza e alladegustazione dell’olio extra vergine di oliva italiano.L’agenzia pubblicitaria ideatrice del filmato è appunto la

Lowe Pirella-Fronzoni, non un nome a caso ma, fannosapere dal ministero, un riferimento ritenuto “di prima-rio livello internazionale”. Il regista è Franco Bernini. Ci sarà pure un “primario livello internazionale”, dietroallo spot ma il risultato resta comunque insoddisfacen-te. Ciascun lettore potrà verificare in prima persona. Ciòche emerge è che fare della buona comunicazione sulfronte degli oli di oliva sia proprio un terno al lotto. Eppurecon altri spot l’effetto è totalmente diverso. Ricordate lostorico spot a favore della birra, con protagonista RenzoArbore? Quello sì che era uno spot avvincente, perchériusciva a convertire al consumo della birra anche gliastemi più incalliti. Al contrario lo spot sull’olio, oltre afallire sul fronte della comunicazione, ha sprecato ancheil denaro della collettività. Scendo più nei particolari, soffermandomi sul perchéanche sul piano dei contenuti lo spot sia di fatto falli-mentare. Per la cronaca, risale al 1991 l’introduzione uffi-

ciale, con un apposito regolamen-to comunitario, del ricorso al paneltest per gli oli di oliva. È stato ilprimo alimento che ha fatto pernosull’analisi sensoriale per valutarela bontà di un extra vergine. Ed èsempre a opera dell’Unione Europeache è avvenuta l’adozione del bic-chiere ufficiale per la degustazione,seguendo le indicazioni fornite dalConsiglio oleicolo internazionale. Sitratta del noto bicchiere tulipano,ambrato, che si scorge chiaramen-te nello spot. Ma la scena risulta

errata: il cameriere versa l’olio e l’uomo seduto al tavolodopo averlo annusato nel bicchiere, lo riversa sul pane,per apprezzarlo al gusto. È una scena che mette in crisile molte scuole di assaggio operanti nel Paese, le qualiper anni hanno fatto il possibile per trasmettere e farcapire - dapprima al produttore, in seguito al fruitoreprofessionale del prodotto, chef o personale di sala chesia e, in ultimo, al consumatore finale - il concetto chel’olio va degustato solo nel bicchiere tulipano, in mododa valutare le note olfattive e gustative. Anni e anni difatica per far capire che l’olio lo si degusta in purezza nelbicchiere e non invece sul pane. E ora si ricomincia dac-capo, spiegando che lo spot era solo uno scherzo e chesul pane l’olio lo si apprezza e si gusta, ma non lo si valu-ta. Non è per essere puntigliosi ma il bicchiere o entra inscena utilizzato in maniera corretta o non entra affattoe rimane il semplice piacere dell’assaggio dell’olio sulpane e nulla più. Perché è così difficile far capire qual-cosa di elementare?

di Luigi Caricato

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GLI ASSAGGI“Isola” da olive Biancolilla in purezza.

Nel bicchiere. È verde dai riflessi dorati e limpido. Al naso ha profumifruttati puliti e freschi di oliva, con netti sentori di pomodoro e conno-tazioni erbacee. Al palato è morbido e avvolgente, suadente earmonico, con note amare e piccanti ben dosate. In chiusura unapunta piccante e note di mandorla.

L’abbinamento. Con couscous freddo al limone e zenzero con zuc-chine e mais, crema di verdure, carni bianche ai ferri.

Consorzio olivicoltori di Pantelleria, via Tadi 12, 35139 Padova, tel. 049.660900, www.olioisola.com, [email protected]

“Colle dell’eremita” da olive Moraiolo (70 per cento), Frantoio (20per cento), Leccino (10 per cento). Ottenuto per estrazione conmetodo sinolea, sole 500 bottiglie da 500 ml.

Nel bicchiere. Verde dai riflessi oro, è limpido alla vista. Al naso haprofumi di media intensità, note vegetali di carciofo e rimandi alleerbe di campo. Al palato è sapido e avvolgente, gusto vegetale dicarciofo e punte amare e piccanti nette ma in equilibrio. In chiusurasentori di cardo e tocco piccante.

L’abbinamento. Con gnocchetti di segale con cipolle al cartoccio efagioli, minestroni di verdure e grigliate di carni rosse.

Luigi Tega – Il mondo dell’olio, via dei Frantoi 53, 06034 Foligno (Pg)tel. 0742.660015, www.luigitega.it, [email protected]

“Per Liliana” da olive Ascolana in purezza.

Nel bicchiere. È giallo oro dalle sfumature verdi e limpido alla vista. Alnaso ha toni fruttati di media intensità e chiari sentori erbacei. Algusto le note vegetali di carciofo e mandorla, l’armonia di amaro epiccante. In chiusura note di pomodoro e richiami di mandorla.

L’abbinamento. Con vellutata di lenticchie verdi, insalata di carcioficon patate, involtini di pesce spada al cartoccio.

Tenuta Zimarino - Masseria don Vincenzo, via Torre Sinello 45Contrada Zimarino, 66054 Vasto (Chieti), tel. 0873.310027 www.tenutazimarino.com, [email protected]

“Pietra Bianca” da olive Salella in purezza.

Nel bicchiere. Giallo dai riflessi verdolini, è limpido alla vista. Al nasoha note fruttate di media intensità con netti sentori di pomodoro edeleganti toni floreali. Al palato è morbido, con sensazione dolce ini-ziale e una progressiva apertura all’amaro e al piccante, gustovegetale pieno, lieve astringenza. In chiusura note mandorlate epunta piccante.

L’abbinamento. Con orzo alle erbe aromatiche, asparagi alle noci,petti di pollo alle cipolle.

Frantoio oleario Germano Monzo, 84040 Casal Velino Marina (Sa) tel. 0974.907384, www.oliodelcilento.it, [email protected]

SICILIA

UMBRIA

ABRUZZO

CAMPANIA

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Quando la birra

va a tavola

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Bir

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Un sommelier del calibro di Luca Gardini non si scompone nelproporre un abbinamento con la birra a un piatto di Carlo Cracco.D’altra parte, lo stesso Cracco prepara da qualche tempo un fan-

tastico dessert proprio con la birra. Davide Oldani, a Identità Golose 2010,ha proposto una sua creazione con spuma profumata alla birra, MassimoBottura ha fatto qualcosa di simile poco tempo fa. Da Igles Corelli la birraè di casa, la carta dei vini di Moreno Cedroni apre con una selezione dibirre Baladin e Marco Bistarelli aveva già confessato di possedere una suapiccola cantina di birre preferite. Può bastare? Se non altro a dimostrareche l’ingresso delle birre nei ristoranti, anche blasonati come quelli cita-ti, sia un dato di fatto. Scoperto già dalla maggior parte delle guide di set-tore, ma “creato” grazie alla spinta propulsiva del movimento birrario arti-gianale che, a partire dai primi anni del nuovo millennio, si è fatto sem-pre più consistente, in termini di quantità e di rappresentanza, e piùcostante, in termini di qualità ripetuta e assicurata nel tempo. Requisitiquesti imprescindibili, ma qualche volta dimenticati, se dalla sfera delvolontariato birrario, bello e spesso folcloristico, si vuole passare a unadimensione più seria e imprenditoriale dell’avventura birraria. Oggi i risto-ratori sanno di poter contare su un manipolo di produttori affidabili quan-to creativi e originali, che realizzano ottime birre in bottiglie degne di staresulle loro tavole, che assicurano consegne in tempi logici e attendibili e,alla fine, portano nelle carte e nei menu dei loro ristoranti una ventatadi novità e, a nostro avviso, un valore aggiunto.Che in tutto questo ci sia un effetto moda è innegabile, ma molto si deveanche alla naturale curiosità degli chef, abitualmente alla ricerca di nuovisapori e profumi, al cambiamento in corso da anni negli stili di consumofuori casa, si beve meno e si sta più attenti al contenuto alcolico di ciò chesi beve, e infine alla moltiplicazione di consumatori consapevoli o edottiquindi curiosi di tutto ciò che è patrimonio enogastronomico italiano. E,sebbene neonata in confronto al vino, la birra artigianale nazionale è ormaiun patrimonio italiano. È su queste basi dunque che si è costruito lenta-mente il fenomeno delle birre nei ristoranti, un fenomeno compreso a fondoanche dai grandi gruppi che non a caso stanno puntando, come maiavevano fatto prima, su questo canale di vendita, ma soprattutto di imma-gine. Almeno per quanto li riguarda. Sono spuntate così delle vere e pro-prie carte delle birre pensate da aziende di produzione e distribuzione ein diverse occasioni, al di fuori dei circuiti birrari tradizionali, si è inizia-to a parlare di alta e bassa fermentazione, di stili, di ingredienti. Elementiquasi imprevedibili fino a qualche anno fa.Preso atto dunque del fenomeno in corso, adesso si tratta di lavorare peril suo radicamento. Alcuni fattori positivi di base ci sono, molti ristorato-

LA TRADIZIONALE

FRONTIERA SEMBRA

ESSERE STATA

INFRANTA. SONO

SEMPRE PIÙ NUMEROSI I

RISTORANTI CHE

VALORIZZANO LE BIRRE

DI QUALITÀ, NEGLI

ABBINAMENTI E IN

CUCINA. UN FENOMENO

CHE IN PARTE È MODA,MA CHE INDIVIDUA UN

CAMBIAMENTO NEGLI

STILI DI CONSUMO

di Maurizio Maestrelli

� Una birra chiara per accompa-gnare una caprese

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Rodersch

Produttore: Birrificio Bi-Du - OlgiateComasco (Como) (www.bi-du.it)

Si può definire “un classico” unprodotto che ha solo qual-che anno alle spalle? Noipensiamo di sì anche per-

ché sul talento cristallino diBeppe Vento non si discutee questa birra chiara, dialta fermentazione e ispira-ta a uno stile originario di

Colonia fa parte di unrange ristretto di birreche vorremmo averesempre a disposizione.Fortunatamente, per

noi, è prodotta tutto l’an-no. Colore giallo paglieri-no, note fruttate di bana-na, pesca e miele, straor-dinario equilibrio al pala-to. Si fa bere senza se esenza ma.

Panil Barriquée Sour

Produttore: Birrificio Panil - Torrechiara(Parma)(www.panilbeer.com)

Torrechiara è famosa nel mondoper la qualità del prosciuttocrudo di Parma che si stagionada queste parti, ma da qualcheanno è nota a livello internazio-nale anche per la sua birra arti-gianale interpretata dall’inesau-ribile vena di Renzo Losi. La birraassaggiata è la versione sour,ovvero “acida”, di una birrascura fatta affinare in barriquedi rovere francese dove i batterilattici le conferiscono questanota unica e incredibile cheha portato la sour a essereeletta tra le migliori birre delmondo sul popolare sitoRatebeer.com. Inutile dire cheha fatto incetta di premianche in Italia.

Nectar

Produttore: 32 Via dei Birrai - Pederobba(Treviso)(www.32viadeibirrai.com)

Fabiano Toffoli è uno dei piùcompetenti e regolari pro-duttori di birra artigianale diqualità, Alessandro Zilli ilsuo più valido collabora-tore e Loreno Michielin uncommerciale capace edefficiente. Logico quindiche le birre di 32 Via deiBirrai stiano conquistandoun pubblico sempre piùvasto, soprattutto tra i risto-ranti e le enoteche. La Nectar èbirra scura particolare, un’altafermentazione aromatizzata conrilevanti dosi di miele di casta-gno del Monte Grappa, intensae complessa, prodotta in tiraturalimitata ma senza dubbio danon perdere.

SCHEDE DI DEGUSTAZIONE

ri, ad esempio, affermano che la birra cresce sulle loro tavole anche inconsiderazione del suo minore contenuto alcolico, ma non bastano enon è detto che siano destinati a durare nel tempo. In molti casi la birraè ancora considerata un’alternativa al vino, spesso si rimane affascinatisoprattutto dalla sua componente di originalità con una conseguente cac-cia alla birra più strampalata d’Italia cosa che, inoltre, spinge incauta-mente molti birrai artigianali esordienti a impegnarsi da subito su birrecon ingredienti particolari. Mentre sarebbe forse meglio mettere prima apunto delle birre, per così dire, “base”. Soprattutto, capita che la birra fac-cia fatica a uscire dagli abbinamenti tradizionali, carni e formaggi soprat-tutto, o informali, ovvero ricette più semplici e immediate. È uno strasci-co della considerazione che la birra ha sempre avuto in Italia: una bevan-da riservata a giovani e compagnie variegate, perfetta sulla pizza e davan-ti a un barbecue. Noi non vogliamo negare le buone possibilità della birrain questi contesti, ma ci teniamo a sottolineare che l’abbinamento nondovrebbe essere tanto sul contesto, quanto sugli aromi e sul gusto. Gliabbinamenti con la birra vanno insomma fatti con la testa sgombra dapreconcetti e luoghi comuni e soprattutto vanno fatti, perché possonoessere fatti, con la nostra cucina italiana, tipica o creativa che sia. Proprioperché è una questione di alchimia e di equilibrio organolettico. Affrontatala questione in questo modo e “svestite” le birre dai parametri della novi-tà, della sorpresa e delle tendenze del momento, siamo convinti che sipossa dare, anche all’interno del mondo della ristorazione italiana, unsolido futuro alle birre di qualità. Per farlo è necessario conoscere il mondodelle birre, frequentare qualcuno dei sempre più numerosi corsi di degu-stazione, andare alle fiere di settore, anch’esse più frequenti e diffuse diun tempo, e ovviamente assaggiare e ancora assaggiare. Esattamente comemi aveva spiegato, con queste due parole, un vecchio oste di Parma parec-chi anni fa quando muovevo cautamente i primi passi nel mondo del vino.Ecco, per le birre è la stessa identica cosa.

� Una birra ambrata abbinata a un piatto di salumi

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Il Piemontee le sue grappe

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Dis

till

ati

Piemonte, ricco di storia con-tadina legata alla terra, al vinoe alla grappa. Un viaggio allo

scopo di riscoprire le antiche distil-lerie, nate nel cuore della regione viti-vinicola e tuttora fiorenti nonostan-te le difficoltà del momento. Parlarecon chi produce grappa è sempre ungrande piacere. Ognuno dice la sua,ognuno ama il suo operato che difen-de con tenacia. Sono molte le grap-perie sparse sul territorio, alcune conuna lunga tradizione familiare, altredi più recente fondazione, gestite congrande entusiasmo da chi lavora conpassione. Le piccole realtà continua-no su una strada artigianale, produ-cendo grappe in limitate quantità,cercando di ottenere i massimi risul-tati. Ancora una volta si possono

notare le caratteristiche della distil-lazione discontinua effettuata concaldaiette a vapore o a bagnomariacon un ulteriore passaggio in distil-latore a colonna per raggiungere irisultati voluti. In alcune distillerietroviamo anche il successivo distil-latore demetilatore, per un’ulteriorerettificazione. Queste imprese gene-ralmente rimangono fedeli alle vinac-ce piemontesi, spesso locali, aven-do una capacità produttiva limitata.Sul territorio vi sono, naturalmente,distillerie a livello industriale che ope-rano su scala più ampia. A Silvano d’Orba, in provincia diAlessandria, troviamo la distilleriaGualco nata nel 1870 da PaoloGualco e ora nelle mani di AlessandroSoldatini e dei figli Giorgio e Marcella.

VIAGGIO NELLE

DISTILLERIE STORICHE

DI UNA REGIONE CHE HA

NUMEROSE GRAPPERIE

CHE SI TRAMANDANO DI

GENERAZIONE IN

GENERAZIONE

di Angelo Matteucci

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La distilleria ha un alambicco tra-dizionale a bagnomaria alla piemon-tese della capacità di 200 chilogram-mi, con vinacce emerse (con la solaumidità delle vinacce rispetto allealtre caldaiette a vinacce sommerseper l’aggiunta di acqua e/o di vino)alimentata dal fuoco delle vinacceesaurite. Produce una gamma digrappe sia monovitigno sia invecchia-te in botti di rovere di Slavonia da2500/3000 litri. Per le qualità scel-te per lungo invecchiamento si uti-lizzano carati di acacia da 200 litrio barriques di rovere da 225 litri. Siproducono 25mila bottiglie l’anno ela distillazione avviene esclusivamen-te nei mesi di ottobre e novembre.Secondo la tradizione sono messe incommercio anche grappe aromatiz-zate alla ruta, erba Luisa, pepperae ginepro. Sempre a Silvano d’Orbatroviamo Luigi Barile che, al con-trario della maggior parte degli altriproduttori, non è nato “in distilleria”.La sua passione e ragione di vita l’hascoperta in età adulta, nel 1976,quando ha acquistato una vecchiagrapperia, innamorandosi dellanuova attività. Famose sono le suegrappe invecchiate in barili di rove-re utilizzate prima in Scozia per lamaturazione del whisky. Opera conuna coppia di alambicchi disconti-nui a bagnomaria alla piemontesealimentati a legna e con le vinacce“spente”. La vinaccia è Dolcetto diOvada e la distillazione è limitata asoli trenta giorni con una produzio-ne totale di 9mila bottiglie. Non distil-la per conto terzi. Molti sono i premie i riconoscimenti che Barile ha otte-nuto in questi anni. Ad Altavilla Monferrato, in provinciadi Alessandria, troviamo l’AnticaDistilleria di Altavilla di LauraRaimondo Mazzetti che opera contrenta caldaiette a vapore (utilizzatein batterie) seguite dal rettificatorea colonna. In alcuni casi utilizzaanche il demetilatore per vinacce divitigni particolari. La distillazione siconclude entro il mese di dicembreper poter utilizzare solamente vinac-

ce fresche locali e regionali. La carat-teristica dell’azienda è di offrire allapropria clientela grappe millesimate,sapientemente invecchiate e alcuneriserve. Imbottiglia anche per alcunivignaioli. Interessante il museo dellagrappa. Sempre ad Altavilla vi è ladistilleria Mazzetti di Altavilla. Di fattonel 1846 Filippo Mazzetti iniziò adistillare e le due aziende sopra indi-cate sono condotte separatamente daidiscendenti del fondatore. Qui abbia-mo una realtà più piccola della pre-cedente che opera esclusivamente concaldaiette “a corrente di vapore” clas-siche piemontesi. La produzione arti-gianale di 70-80mila bottiglie com-prende le serie di grappe monoviti-gno Bricco del Vignaiolo e Bricco degliApostoli oltre a Ruché di CastagnoleMonferrato prodotta con vinacce delvitigno autoctono. Anche in questocaso imbottigliano piccole partite digrappa per conto di alcuni vignaioliche danno le loro vinacce. A Costigliole d’Asti dal 1951 vi è ladistilleria industriale Beccaris cheha una vasta gamma di grappe siabianche, sia invecchiate, sia mono-vitigno. La grappa di moscato è con-siderata la specialità della casa.Distillano per conto terzi. Semprenell’astigiano troviamo la distilleriafondata da Paolo Berta nel 1947 etrasferita nel 2002 a Casalotto diMombaruzzo. Oggi, grazie ai figli delfondatore, è diventata una vera e pro-pria industria ed è tra le distillerieche ha dato nuovo vigore alla grap-pa piemontese. Opera per la maggiorparte con distillazione continua maalcuni prodotti come la Riserva delfondatore o il Bric del Gaian sonoottenuti dalla distillazione in calda-iette a corrente di vapore.La distilleria Rovero in San Marzanottoin Valdonata, sempre in provincia diAsti, è all’interno di un’azienda agri-turismo produttrice anche di vinoeccellente. Franco Rovero dimostrasempre il suo entusiasmo di distilla-tore. Distilla le proprie vinacce e quel-le che raccoglie nel Sud Piemonte.Imbottiglia con il proprio marchio

� Grappa diMalvasia diCasorzodell’AnticaDistilleria diAltavilla

� Grappa diMoscato della distilleriaGualco

� GrappaRovero

� GrappeBeccaris diNebbiolo eMoscato

� Grappe dell’Antica GrapperiaBosso

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Dis

till

ati

esclusivamente grappe provenienti davinacce piemontesi. Tuttavia su richie-sta distilla anche vinacce di altre regio-ni e le grappe sono imbottigliate per irelativi produttori di vino. Non utiliz-za vasche di raccolta e riceve le vinac-ce in sacchi di plastica ermeticamen-te chiusi oppure in bins da 400 chilo-grammi per le vinacce dei dintorni.Utilizza due caldaiette a bagnomariadella capacità di 400 chilogrammi. Legrappe principali sono i monovitignidi Moscato, Nebbiolo e Barbera. Per lequalità invecchiate (come altri distil-latori) non utilizza coloranti (caramel-lo). Le sue grappe sono consideratedagli esperti tra le migliori piemonte-si. L’Antica Grapperia Bosso è aCunico sempre nell’Astigiano e ha treimpianti. Due con caldaiette di picco-le dimensioni, atte a contenere circa300 chili di vinaccia, che lavorano incoppia a vapore a bassa temperaturae vengono utilizzate per le grappemonovitigno e per piccole produzioniper conto dei fornitori di vinaccia.L’Azienda vinicola Bava di Cocconato,ad esempio, fornisce le vinacce allaGrapperia Bosso e fa distillare per pro-prio conto una grappa bianca diMalvasia e, con etichetta Cocchi, unagrappa bianca e la famosa grappa Dorédi Moscato invecchiata sette anni. Il terzo impianto di Bosso è respon-sabile della maggior parte della pro-duzione (in totale si raggiungono120mila bottiglie). Le grappe desti-nate alle qualità riserva sono invec-chiate in grandi tini di rovere dallacapacità di 8-10mila litri. La distilla-zione si effettua fino a marzo e levinacce sono custodite in vasche rico-perte da teli e quindi da sabbia perevitare quanto più possibile l’ossida-zione delle vinacce stesse. Si utilizzain certi casi anche la colonna didemetilazione.Passando nel Novarese, a Ghemmevi sono le industriali DistillerieFrancoli. Qui sono prodotte varie tipo-logie di grappa etichettate LuigiFrancoli che comprendono qualitàbianca, riserva, monovitigno e spe-cialità della casa. La grappa Oro diBarolo ha ricevuto la medaglia d’oroa Bruxelles. Le prime distillazioni digrappa da parte della famiglia risal-gono alla metà dell’Ottocento in ValSan Giacomo mentre le attuali distil-lerie presero il via a Ghemme nelprimo dopoguerra ad opera di Luigi

Francoli. A Piobesi d’Alba, in provin-cia di Cuneo, la distilleria Sibona,ricostruita fuori paese nel 2003, hamantenuto la sua anima di anticagrapperia (con la licenza di distilla-zione n.1) e allo stesso tempo hamodernizzato i propri impianti conun nuovo sistema che si distinguesia dall’industriale a colonne, sia dal-l’artiginale a caldaiette. I risultatigarantiscono una maggiore caratte-rizzazione del vitigno e una produ-zione in linea con le esigenze del mer-cato. Per piccole partite di vinaccia ein casi particolari vengono utilizzanecaldaiette a vapore. La distillazionenormalmente termina prima di Natalecon una produzione di circa 300milabottiglie che comprendono principal-mente monovitigni o con invecchia-menti in barili particolari.Sempre in quel di Alba, in frazioneMussotto, Paolo Marolo nel 1977 hadeciso di dedicare le sue energie allaproduzione di grappa che si identi-fica con il produttore. La distilleria

ha tre caldaiette a bagnomaria avinacce sommerse. Due della capa-cità di 400 chili sono utilizzate per levinacce a bacca bianca e l’altra di 800chili per le vinacce a bacca rossa. Lagamma è variegata e comprendeanche grappe monovitigno di vinac-ce provenienti da altre regioni. La suaproduzione è di 60-70mila bottiglie.La distilleria non ha vasche per con-tenere le vinacce. La distillazione ini-zia ad agosto con le vinacce bian-che e la distilleria continua via via aricevere e a distillare, in pochissimigiorni di permanenza, le varie quali-tà per terminare con le vinacce diNebbiolo da Barolo (fermentato inmaniera tradizionale) che giungonoultime in distilleria all’inizio di dicem-bre. Ogni fase di lavorazione, ogniparticolare, dalle bottiglie alle etichet-te, al packaging in generale dimostra-no, come per altri suoi colleghi, lapassione di Paolo nello svolgere illavoro vissuto come una vera e pro-pria missione.

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DiVino Lounge, il rilancio

parte anche da qui

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Even

ti

Produzione, distribuzione eristorazione rilanciano iconsumi. DiVino Lounge,

l’appuntamento dedicato a vini,spumanti e champagne rivolto aun pubblico professionale, chiu-de i battenti con grande soddi-sfazione delle aziende e degli ope-ratori del settore. L’evento, ripro-posto dopo il successo dell’esor-dio dell’anno passato, si è inse-rito all’interno della prima edi-zione di Sapore 2010, la nuovaformula espositiva che alla fieradi Rimini ha raccolto in contem-poranea le storiche manifestazioni sull’alimentazioneextradomestica: Mia, Mse, Frigus, Oro Giallo e PianetaBirra Beverage & Co.All’interno di DiVino Lounge ha mosso i primi passi ilmovimento 2010 Anno dell’orgoglio del vino con un con-vegno promosso da La Madia Travelfood per riafferma-re le connotazioni positive del nettare di Bacco e sotto-lineare che il mondo del vino rientra a pieno titolo dellaparte migliore di questo Paese, superando una logicaproibizionista e di allarme sanitario e sociale. Un dibat-tito in cui il presidente dell’Ais, Terenzio Medri, haribadito l’impegno di tutti i sommelier a diffondere unacultura del “bere consapevole”.La formula, già sperimentata nella scorsa edizione, hariproposto un’area business, con appuntamenti prefis-sati tra buyer esteri e italiani e postazioni internet pervendite on-line, un’area food, con abbinamenti a cibigourmet realizzati grazie alla collaborazione di noti chef,e un’area wine. Proprio in questo spazio l’Ais ha orga-nizzato degustazioni guidate che hanno coperto l’interapenisola: dalle bollicine italiane al Nebbiolo nelle suediversificazioni, dai vini isolani sardi e siciliani aiSupertuscans, dai grandi bianchi altoatesini alle eccel-lenze di Romagna. Il successo delle manifestazioni dedi-cate al food&beverage nel polo fieristico riminese sonoconfermate dai numeri registrati durante i quattro gior-

ni di attività di Sapore 2010: oltre76mila visitatori e un boom dioperatori stranieri che ha segna-to un più 25 per cento rispettoall’anno scorso. Straordinario è stato anche ilvalore di business meeting inter-nazionali con oltre 4mila incon-tri d’affari registrati. Più di 600sono stati i giornalisti accredi-tati e i servizi sulla stampa nazio-nale, regionale e locale hannoraggiunto oltre 41 milioni di con-tatti. Il presidente di Rimini Fiera,Lorenzo Cagnoni, ha commenta-

to con soddisfazione i risultati ottenuti: «Su Sapore abbia-mo concentrato impegno e sforzi d’innovazione, affinchéquesto periodo di generale difficoltà economica fosseoccasione per rilanciare l’autorevolezza di un appunta-mento che rimane, nella sua globalità, il più importan-te per l’alimentazione e la distribuzione Horeca. Affrontarei problemi con spirito imprenditoriale, investendo nellemanifestazioni di punta, è la miglior risposta da fornireai mercati. Un’iniezione di fiducia ben percepita daglioperatori, soddisfatti da una presenza di visitatori sem-pre più qualificata, professionale e soprattutto interna-zionale».DiVino Lounge tornerà all’interno di Sapore nel febbra-io 2011 con un arricchimento della rosa di iniziative spe-ciali finalizzate a costruire e a valorizzare relazionisempre più articolate e profonde tra i vari protagonistidella filiera agroalimentare: il Progetto Prometeo, inpartnership fra Rimini Fiera e Fipe Confcommercio (unprocesso di formazione e informazione destinato ai risto-ratori desiderosi di avviare una nuova stagione di dialo-go con il mondo dell’industria alimentare) e l’ampliamen-to della storica e costruttiva collaborazione con l’asso-ciazione Italgrob con un ciclo di incontri, articolato intavole rotonde, per favorire il confronto tra il mondo delladistribuzione e quello dell’industria.

(E.L.)

IL SUCCESSO DELLA MANIFESTAZIONE DIMOSTRA CHE AFFRONTARE I PROBLEMI

CON SPIRITO IMPRENDITORIALE È LA MIGLIOR RISPOSTA DA FORNIRE AI MERCATI

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La semplicitàfa rima

con complessità

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Even

ti

Probabilmente, il modo miglio-re per parlare dell’ultima edi-zione del congresso italiano di

cucina d’autore, Identità Golose,giunto alla sua sesta edizione, sareb-be quello di dedicare ampio spazioall’incursione di Max Laudadio e delsuo nuovo compagno di scorriban-de, lo chef Rocco Iannone, titolaredel ristorante Pappacarbone in queldi Cava dei Tirreni. In effetti, il rumo-re che proveniva dall’auditorium delMIC (Milano Convention Centre) nonlasciava indifferenti. L’occasione peril duo del tg satirico di Canale 5 eraghiotta: in un colpo solo avrebberotrovato Paolo Marchi (critico nei con-fronti dello chef campano dalle pagi-ne del suo blog), ideatore del con-gresso e lo chef Massimo Bottura(Osteria Francescana di Modena),attesa star di questa edizione e trai principali bersagli nei mesi scorsidella cosiddetta inchiesta di Strisciala Notizia denominata FornelliPolemici. L’uso di additivi in cucina,ma anche e soprattutto nell’indu-stria alimentare, in realtà mai affron-tato dal tg satirico, potrebbe o

dovrebbe essere un tema centrale didibattito non solo del settore enoga-stronomico, quanto di quello cheindaga i rapporti tra scienza e salu-te, medicina e alimentazione. Nonpensiamo, però, che le modalità finqui adottate siano servite ad appro-fondire questo delicato argomento,quanto a creare un clima di odio o,come giustamente ha affermato dalpalco del congresso lo stessoBottura, «di vera e propria caccia allestreghe» francamente deprimente. Quasi prevedendo l’incursione diStriscia, lo stesso Paolo Marchi avevaaperto il congresso parlando delle“guerre fratricide” che hanno avve-lenato la cucina italiana negli ulti-

mi tempi, proprio in un periodo nelquale l’unità di intenti dovrebbeessere l’imperativo categorico da per-seguire per affrontare il difficilemomento economico, ma anchefinalmente per donare un’immagineunitaria e identitaria, soprattuttoall’estero.Il tema di questa sesta edizione èstato il lusso della semplicità: risco-perta delle materie prime, magaridel proprio territorio, e offerta di piat-ti della tradizione. Il tutto con un’at-tenzione alle tecniche di lavorazio-ne che si celano dietro la semplici-tà della presentazione di un piatto.Due esempi possono rendere benel’idea di quello che è stato il leitmo-

di Alessandro Franceschini

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tiv di molte delle relazioni degli chefche si sono avvicendati nelle differen-ti sale trasformate in cucine dal vivo:Elio Sironi e Davide Oldani. Entrambiaccomunati dalla semplicità dellematerie prime, ma al tempo stessodalla cura, a tratti maniacale, dei det-tagli e delle sfumature nella prepara-zione, operano in location pratica-mente agli antipodi l’una con l’altra.Il primo nel lussuoso Hotels&Resortsdi Bulgari, in pieno centro a Milano,a pochi passi dal quadrilatero dellamoda, il secondo nella prima perife-ria ovest milanese, a San Pietroall’Olmo, frazione di Cornaredo, nelristorante che porta le iniziali del suonome: D’O.Elio Sironi ha aperto le danze delricco calendario di incontri dedica-to a un ingrediente semplice, popo-lare e italianissimo come la pasta,che ben sintetizza in sé il tema inte-ro del congresso. Un grillo sul palco,passionale e coinvolgente, è riusci-to a stupire i clienti con una sem-plice pasta al pomodoro, la cui ricet-ta, però, occupa tre pagine fitte didettagli e accorgimenti fondamenta-li: «C’è poco studio sulla pasta per-ché la considerano semplice. Questoha bloccato la ricerca. Invece cisarebbero approcci diversi e com-plessi da approfondire». Per esem-pio la cottura e il cuoco brianzoloparla di quella “passiva”. Cosa siintende? Prima di tutto selezionareuna pasta di grande qualità, succes-sivamente farla bollire per due minu-ti a fuoco vivo e poi spegnerlo,lasciando che cuocia lentamente,quasi a “lume di candela” per circasei minuti. A questo punto è pron-ta per essere utilizzata in padellainsieme ai nostri condimenti. Checosa si guadagna? In sapore, masoprattutto in valori nutrizionali,perché quasi sempre «buttiamo viail buono della pasta insieme all’ac-qua che scoliamo nel lavandino». Al giovane Davide Oldani è invecetoccato il compito di aprire i lavoridel congresso nella sala principale:slide in PowerPoint e una termino-logia degna di una presentazione dimarketing per affermare che «il buongusto può essere alla portata ditutti». Cucina Pop, questa la defi-nizione della sua filosofia in cucina:qualità dei prodotti, ma a prezziaccessibili, selezionando tagli meno

nobili, dalavorare conla maestria ditecniche affina-te presso annidi apprendista-to da grandi mae-stri del calibro diDucasse o Marchesi,ma tralasciando tecni-cismi: «Niente sifone perfare le spume, costa trop-po, uso la frusta».Un ritorno alla semplicitànell’offerta, quindi, ma chenon fa rima con banalità:dietro delle semplici tagliatelle congli scampi, si può nascondere unalavorazione impensabile e decisa-mente originale. È il caso di NikoRomito, giovanissimo chef bistella-to del ristorante Reale in quel diRovisondoli, nel cuore dell’entroter-ra abruzzese: una pasta all’uovosenza uovo. Lo scampo è utilizzatonella sua interezza: le chele per rica-vare un fumetto dentro il quale cuo-cere la pasta, le teste centrifugatelentamente per ottenere una sostan-za gelatinosa da impastare con lafarina al posto dell’uovo e, infine, lapolpa come condimento finale.Per Moreno Cedroni (Madonnina delPescatore a Senigallia) la semplici-tà non consiste, invece, nell’utilizzodi materie prime meno nobili comeOldani: «È un palliativo. Per me lasemplicità consiste nell’ottimizzazio-ne del tempo. Ce ne vuole poco, altri-menti se uso materie prime poveree poi ci impiego tanto tempo percucinarle non ho risolto nulla». Il

lusso, quindi,come tempo nonsprecato, che

Cedroni taglia dra-sticamente facendoassorbire il sugodalla pasta molto

prima della sua effet-tiva preparazione: cot-tura per due minuti epoi in frigo insieme al

condimento, nel suo caso il salmo-ne e il cocco. Se Cedroni gioca conla pasta lavorandola a freddo, c’èanche chi la reidrata con acqua tie-pida per riportarla allo stato origi-nario, «come se fosse appena usci-ta dalla trafila». È il trentaquattren-ne Peter Brunel (Ristorante Chiesaa Trento), che utilizza solo materieprime del territorio nella creazionedi un bicchiere di spaghetti reidra-tati per un’ora, cotti nel Teroldego eabbinati a del salmerino delle ValliGiudicarie aromatizzato con mieledi melo. Il tutto affumicato con fumoottenuto da trucioli di legni nobili.E Bottura? Standing ovation all’in-gresso sul palco e un discorso intro-duttivo che certo non lascia indiffe-renti. «È un momento difficile, digrande confusione. Per certi aspet-ti di caccia alle streghe. In Italia lafamiglia e l’amicizia sono al centrodella vita. Condividere un pranzo èil miglior modo di passare del tempoinsieme, si creano idee, si sogna esi smussano attriti! Dietro i fornel-li non rinnego il passato, ma attin-go dal passato. Non faccio rivoluzio-ni, cerco di evolvermi, cavalcando iltempo e proiettandomi nel futuro».

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Le tecnologieche proteggono

l’ambiente

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Vin

o e

tecn

olo

gia

Non si può restare tranquilli se ci si sofferma sulla lettura di proto-colli mondiali studiati per ridurre l’emissione di gas dai più svaria-ti e devastanti effetti o quando si leggono bollettini sui cambiamen-

ti climatici e su ciò che scomparirà o cambierà radicalmente sul pianetada qui ai prossimi trent’anni. Fortunatamente, il progresso tecnologico chein molti casi ha spinto l’acceleratore della devastazione mondiale, in altret-tante occasioni è servito da paracadute o da uscita di sicurezza.È degli ultimi anni l’attenzione, ma la necessità ha origine un po’ più indie-tro, di guardare soprattutto in campo agricolo al lato ambientale. Sonomolti gli studi e i prototipi, che da essi sono nati, di macchinari che, purmantenendo la loro funzione originaria di instancabili lavoratori agricoli,sono dotati di sofisticati dispositivi il cui scopo ultimo è la salvaguardiaambientale. In questo contesto trova spazio CASA – Crop Adapted SprayApplication, un prototipo di macchina irroratrice ideata per il frutteto, all’in-terno del progetto europeo Isafruit, ma il cui utilizzo si estende anche alvigneto. Il prototipo, nato dagli studi condotti dall’Università di Agraria di Torinoin collaborazione con l’Istituto di Pomologia e Frutticultura polaccoSkierniewicze e con l’Universtità di Wageningen dei Paesi Bassi, è equipag-giato con una serie di sensori e dispositivi elettronici che gli permettono diadeguare, in modo automatico, i parametri operativi della distribuzionedella miscela fitoiatrica in funzione della quantità di vegetazione presen-te, dello stato di salute della pianta e delle condizioni ambientali. Per ben comprendere l’importanza che il sistema CASA riveste nel bilan-cio del processo di salvaguardia ambientale, occorre partire dalla consa-pevolezza che, come emerge da più di uno studio di settore, soprattuttonel caso di trattamenti fitoiatrici, una considerevole parte della miscelaimpiegata non viene messa a segno da una normale macchina irroratricema, al contrario, si disperde sul terreno o nell’atmosfera (Gil et al., 2007;Walklate et al., 2007). Il sistema CASA è dotato di tre componenti graziealle quali la distribuzione della miscela fitoiatrica risulta essere precisa,sicura ed efficace. Crop Health Sensor o CHS è il nome del primo compo-nente. Si tratta di un sensore ottico che individua precocemente (giàdalle prime ore di insorgenza) la presenza del patogeno sulla pianta ade-guando, di conseguenza, la dose di agrofarmaco da erogare solo dove equando necessario in base al livello di diffusione del patogeno stesso. Il secondo componente, Crop Identification System detto CIS, è in gradodi identificare la presenza, le dimensioni e l’intensità vegetativa della pian-ta da trattare grazie all’azione di sensori a ultrasuoni. Ciascun lato dellamacchina dispone di tre sensori, il cui segnale di risposta, analizzato, atti-va automaticamente gli ugelli erogatori, la cui portata viene regolata in fun-

SONO SEMPRE PIÙ I

MACCHINARI DOTATI DI

SOFISTICATI DISPOSITIVI

PER LA SALVAGUARDIA

AMBIENTALE. TRA

QUESTI CASA, UN

PROTOTIPO DI

MACCHINA IRRORATRICE

IDEATA PER IL

FRUTTETO MA IL CUI

UTILIZZO SI ESTENDE

ANCHE AL VIGNETO

di Michela Lugli

78_79 Lugli Irroratrice Vigneto.qxd:Layout 1 8-03-2010 11:13 Pagina 78

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zione delle dimensioni e della densità vegetativa della pianta bersaglio. Ilsistema, che ha come obiettivi quelli di individuare la presenza o menodella vegetazione da trattare e adattare il profilo e il volume della distri-buzione alle caratteristiche geometriche della vegetazione quando presen-te, può ridurre il quantitativo di agrofarmaco impiegato, rispetto a unairroratrice tradizionale, da valori pari al 30 per cento fino a toccare puntedell’80 per cento del volume distribuito. Infine, il terzo dei componenti chepermette a questo prototipo amante dell’ambiente di funzionare, si chia-ma EDAS o più estesamente Environmentally Dependent Application Systeme la sua capacità sta nel saper adeguare la distribuzione di prodotto allecondizioni ambientali, in modo da regolare i parametri distributivi renden-do il trattamento più sicuro per l’ambiente e proteggendo le aree sensibi-li all’inquinamento. Per fare questo, EDAS si avvale di un navigatore GPSin grado di identificare la posizione dell’irroratrice nel vigneto o frutteto edi un anemometro sonico per misurare la velocità e direzione del vento.L’unione dei due parametri regola il livello di polverizzazione delle gocceimpiegando, alternativamente, ugelli convenzionali e ugelli antideriva. Lamacchina infatti è dotata di novantasei ugelli totali, di cui quarantotto con-venzionali e altrettanti antideriva. Un convogliatore d’aria indirizza ilflusso generato dal ventilatore a sedici tubi (otto per lato) che terminanocon bocchette, su sei delle quali (per ciascun lato) sono presenti quattrougelli convenzionali a fessura e quattro antideriva a iniezione d’aria. Lamacchina, inoltre, è divisa su ciascun lato in tre sezioni idrauliche che cor-rispondono a tre diverse altezze di lavoro così da distribuire la soluzionein modo preciso, adeguandola ai parametri vegetativi e all’intensità di infe-zione presente nella pianta bersaglio. Come spiega Paolo Marucco delDipartimento di Economia e Ingegneria agraria, forestale e ambientale,Sezione di meccanica dell’Università di Torino, il prototipo è stato oggettodi una serie di otto dimostrazioni in campo svoltesi tra giugno e ottobre2009 in sette diversi Paesi europei (Danimarca, Italia, Olanda, Germania,Francia, Polonia e Spagna), nelle quali, utilizzando bersagli artificiali, èstato evidenziato il funzionamento del sistema CIS. Un percorso predefi-nito, inoltre, indicato con appositi conetti colorati, ha permesso di evi-denziare il funzionamento del sistema EDAS. Notevoli i vantaggi derivan-ti dall’impiego di un mezzo altamente tecnologico come CASA, che puressendo allo stadio di prototipo certo non mancherà di suscitare il gran-de interesse internazionale. A conferma di ciò, la giovane macchina eco-logica e intelligente ha già ricevuto la medaglia d’oro all’edizione 2010 delPolagra Premiery, all’interno della fiera della meccanizzazione agricolapolacca conclusasi a metà febbraio. A quanto pare, CASA non sa stare lon-tana dalle luci della ribalta e sarà tra le attrazioni dell’edizione 2010 dellapiù importante kermesse bolognese per le macchine agricole. Non restadunque che attendere per scoprire l’effetto che la tecnologia ecologica faagli addetti del settore. La speranza è che anche molti di loro amino le mon-tagne, i vigneti e gli spazi aperti incontaminati.

CASA – Crop Adapted Spray Application

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L’introduzione della vite nelle isole britanniche èavvenuta nel 43 d.C., con l’arrivo dei Romaniche la impiantarono nei territori più meridio-

nali, facendo assumere alla sua coltivazione una signi-ficativa valenza economica, vista l’importanza del vinonel loro regime alimentare. La qualità organolettica deiprimi vini britannici non era con molta probabilità eccel-sa, tanto che Publio Cornelio Tacito considerava le con-dizioni climatiche dei territori d’oltremanica decisamen-te non adatte alla viticoltura.È comunque stato accertato come le popolazioni indi-gene conoscessero il vino antecedentemente all’arrivodei Romani, grazie ai Belgi, tribù celtiche e germani-che, che si erano insediate nella porzione sud-orien-tale dell’isola e che lo facevano giungere dai territorifacenti attualmente parte di Francia e Italia.La diffusione del Cristianesimo, avvenuta a partire dalIV secolo d.C., favorì l’espansione della vitivinicoltura,il cui sviluppo si arrestò però bruscamente con la finedel dominio di Roma nel 409 d.C. e il successivo arri-vo di Angli, Sassoni e Juti; la viticoltura continuò astento anche presso i monasteri, dal momento che que-ste bellicose popolazioni nordeuropee indussero i mona-ci a ritirarsi negli angoli più sperduti del territorio, inaree proibitive per la coltivazione della vite.Per assistere alla ripresa della produzione di vino sidovette attendere la conquista da parte dei Normanninel 1066, il cui arrivo si ritiene abbia coinciso con l’ini-zio di un periodo, della durata di circa trecento annicaratterizzato da condizioni climatiche favorevoli allaviticoltura. I Normanni, abituali consumatori di vino,diedero impulso alla coltivazione della vite soprattuttopresso i monasteri, favorendo l’arrivo dalla Francia dimonaci con profonde conoscenze viticole ed enologiche.Oltre ai monaci la produzione di vino iniziò ben prestoa interessare anche la classe nobiliare, tanto che dei42 vigneti censiti nel 1087, solo 12 erano annessi amonasteri.Dopo alcuni secoli floridi, la coltivazione della vite andòincontro a un graduale declino, imputabile principal-

mente al ritorno a condizioniclimatiche avverse, alla BlackDeath, l’epidemia dipeste che si diffuse dal1348 al 1370 ed ebberipercussioni anchesul comparto agrico-lo, e non ultimo ladistruzione dei monaste-ri o la confisca dei loro beni nel 1538, per volere diEnrico VIII. Il consumo di vino però, divenuto piutto-sto radicato soprattutto nelle classi sociali più eleva-te, continuò e si rafforzarono le importazioni da Francia,Spagna e Italia, divenute piuttosto consistenti già nell’XIsecolo.Nel periodo compreso tra XVII e XIX secolo, la viticol-tura ebbe per lo più un carattere sperimentale, in molticasi portata avanti da appassionati e ricercatori, tra iquali spiccano il botanico John Tradescant e John Rose,giardiniere di Carlo II e autore del trattato di viticoltu-ra The English Vineyard Vindicated. Da ricordare ancheLord Bute, che con l’aiuto del giardiniere AndrewPettigrew realizzò un vigneto commerciale nel 1875presso Castle Coch, nelle vicinanze di Cardiff.Nel periodo compreso tra la Prima e la Seconda GuerraMondiale la messa a dimora dei vigneti si è arrestatacompletamente, per poi riprendere con un certo vigo-

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Vit

icolt

ura

Il vino della terra

di Albionedi Riccardo Castaldi

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re a partire dal 1951. I cam-biamenti climatici degli ulti-mi cinquant’anni, caratteriz-zati da temperature mediepiù elevate e da una minorepiovosità, hanno stimolato unulteriore ampliamento dellasuperficie vitata.

��� TRA I VIGNETI DI INGHILTERRA EGALLESLa superficie vitata presente nel RegnoUnito, pur essendo in senso assoluto piut-tosto esigua, ha fatto registrare negli ultimi quattrodecenni una crescita significativa tanto che, da menodi 200 ettari presenti nel 1975, è balzata fino aglioltre 1.250 ettari attuali.Le aziende vitivinicole della Gran Bretagna, che sor-gono esclusivamente sui territori di Inghilterra e Galles,sono situate nella porzione sud-orientale del Paese, inuna fascia che si estende fino a 54 grado di latitudineNord e che interessa lo Yorkshire e il Lancashire.La maggior concentrazione di superficie vitata la siincontra però nelle contee più meridionali, vicino alCanale della Manica, dove le condizioni pedoclimatichesono tendenzialmente più favorevoli alla coltivazionedella vite. Vagando per la stupenda campagna ingle-se, dall’estrema punta della Cornovaglia fino al Kent,attraversando Devon, Dorset, Hampshire, West Sussexe East Sussex, non è quindi così difficile imbattersi inuno dei curatissimi vigneti inglesi; la viticoltura viene

inoltre praticata anche nell’Isola diWight, nelle Isole Scilly ad Angleseye a Jersey.Complessivamente esistono 116aziende vitivinicole, le più grandidelle quali sono The Chapel Down

Winery (Kent), Denbies Wine Estate(Surrey) e Nyetimber Vineyard (West

Sussex), che possono contare su pocomeno di 110 ettari di vigneto ciascuna.

��� VITIGNI TEDESCHI E FRANCESII vitigni di riferimento sono stati per lungo tempo

quelli tedeschi, Müller Thurgau in modo particolare, eil francese Seyval blanc, in quanto in grado di portarea maturazione l’uva anche nelle condizioni climatichedel Regno Unito.L’ampliamento della gamma di vitigni coltivabili dovu-ta ai cambiamenti climatici e il favore riscosso dai viniprovenienti dal Nuovo Mondo, prodotti con vitigni inter-nazionali più nobili, associati al crescente interesse neiconfronti della spumantizzazione, hanno decretato unnetto cambiamento di rotta verso Pinot nero eChardonnay, che sono attualmente i vitigni più diffu-si; ad essi seguono Bacchus, Reichensteiner, Seyvalblanc, Müller Thurgau, Madeleine Angevine 7672,Schönburger, Rondo, Pinot Meunier, Ortega e Huxelrebe.I vitigni a bacca bianca precoci, dato il clima fresco,sono nettamente prevalenti su quelli a bacca nera einteressano approssimativamente i quattro quinti dellasuperficie vitata complessiva.

� Barnsole Vineyard nella conteadel Kent, non distante da Canterbury

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��� LO STILE UKLa produzione enologica della Gran Bretagna ha com-piuto notevoli passi in avanti sotto il profilo qualitati-vo negli ultimi decenni, soprattutto per le migliori carat-teristiche delle uve prodotte, riconducibili ai cambia-menti climatici, all’introduzione di nuovi vitigni e a unapproccio più scientifico alla viticoltura. Non devonotuttavia essere sottovalutati anche i passi compiuti incantina dove, a una accresciuta competenza tecnica siè aggiunta la diffusione delle più moderne macchineenologiche, soprattutto nelle realtà di medio-grandidimensioni.Pur considerando le variabili dovute alle differenti con-dizioni pedoclimatiche degli ambienti di coltivazione, aivitigni e alle tecniche enologiche adottate, è possibiledelineare i caratteri generali dei vini della Gran Bretagna.I vini bianchi fermi, che riguardano circa il 63 per centodella produzione, si presentano in genere intensamen-te profumati e caratterizzati da sentori floreali fini, danote fruttate che richiamano gli agrumi e la mela verde,mentre più difficilmente presentano note di frutti matu-ri; al palato si dimostrano tendenzialmente leggeri, dota-ti di buona freschezza e abbastanza persistenti. I vinirossi, che nell’ultimo decennio hanno raggiunto il 12per cento della produzione vinicola, grazie alla diffusio-ne di Dornferlder e degli ibridi Regent e Rondo, hannouna colorazione nettamente migliore rispetto al passa-to, sia come intensità che come tonalità, inoltre pre-sentano una struttura che gli consente in molti casidi essere affinati in legno; fini e delicati all’olfatto, algusto sono freschi, abbastanza persistenti, caratteriz-zati da note fruttate e speziate e tendenzialmente dota-ti di buona bevibilità; degni di nota anche i rosé, moltoapprezzati dal mercato interno.La categoria di vino in più forte crescita e sulla quale iproduttori stanno riponendo molte speranze, è rappre-sentata dagli spumanti, che interessa il 25 per centodella produzione e le crescite di Chardonnay, Pinot neroe Pinot Meunier ne sono la prova tangibile. Abbandonatala gassificazione, molto diffusa in passato, i produtto-ri d’oltremanica hanno puntato con decisione sul meto-do classico, ottenendo in diversi casi risultati di eleva-to livello qualitativo che hanno consentito loro di misu-rarsi con lo Champagne, modello al quale si ispirano.

��� QUALITY WINE SCHEMEConformemente a quanto stabilito nel Quality WineScheme, istituito nel 1992, i vini prodotti nel RegnoUnito vengono classificati in Table Wine, Regional Winee Quality Wine.Il Table Wine viene prodotto con uve che devono pre-sentare un grado alcolico potenziale minimo pari al 5per cento, senza limiti di resa riferiti all’unità di super-ficie.Per produrre un Regional Wine si deve invece partireda uve provenienti dalle regioni designate, ottenute perl’85 per cento nella regione dichiarata in etichetta e invigneti ubicati a meno di 250 metri di altitudine; vienecontemplata una resa massima di 100 ettolitri/ettaro

e un grado alcolico potenziale minimo delle uve parial 6 per cento.Il Quality Wine, designato in etichetta come England oWales (Galles) a seconda della provenienza delle uve,viene prodotto con uve ottenute a meno di 220 metri dialtitudine, considerando una resa massima di 80 etto-litri/ettaro e un grado alcolico potenziale minimo delleuve pari al 6 per cento.In Gran Bretagna, per l’innalzamento del grado alcoli-co, è consentito l’impiego del saccarosio, così comedel resto tradizionalmente anche in diverse regioni dellaFrancia, tra cui Champagne e Alsazia, in Germania, inAustria e in molti altri Paesi dell’Europa centro-setten-trionale facenti parte della UE.

� Il Vallo di Adriano

Il Vallo di Adriano (in latino Vallum Aelium), è una forti -ficazione in pietra, fatta costruire dall'imperatoreromano Adriano nella prima metà del II secolo d.C.,che anticamente segnava il confine tra la provinciaromana occupata della Britannia e la Caledonia, l'at-tuale Scozia. Questa fortificazione divideva l’intera isolain due parti. Oltre al suo impiego come fortificazionemilitare, si ritiene che le porte di accesso attraverso ilvallo siano servite come dogane per permettere la tas-sazione delle merci.Una significativa porzione del vallo è ancora esistente,in particolare la parte centrale. Il Vallo di Adriano èdiventato patrimonio dell'umanità dell'UNESCO nel 1987.

� I vigneti di Barnsole Vineyard

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Il vino

“spirituale”dell’India

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Può essere il vino un mezzo peril raggiungimento dell’estasimistica? Per gli adepti del

cosiddetto tantrismo della Via dellaMano Sinistra il vino è consideratoun veicolo per entrare in contattocon il divino. Come si ricava dallaLuce dei Tantra: «L’alcol è il succo diShiva, né senza di esso vi possonoessere fuori liberazioni e fruizioni». Il tantrismo è uno dei più vasti e com-plessi movimenti religiosi dell’Indiasorto intorno al VI secolo d.C., è unacorrente spirituale e religiosa di ciòche generalmente viene chiamatoinduismo. Esiste anche un tantri-smo buddhista e persino uno giaina.

Generalmente in Occidente quandosi parla di tantra si tende a svilirnee snaturarne l’essenza mistica peruna sorta di luce sinistra su alcu-ni aspetti legati all’uso del sesso. Aldi là di certa manualistica che amaindulgere sul binomio tantra e sesso,la via tantrica è una sintesi della spi-ritualità indù.Per usare una formula cinese, gliadepti del tantrismo “cavalcano latigre”, ovvero hanno la capacità ditrasformare gli aspetti usualmenteritenuti nocivi in validi mezzi salvi-fici; non reagiscono né subiscono lepassioni, ma si aprono e si identi-ficano in esse in modo attivo.

NEL TANTRISMO IL VINO

È CONSIDERATO UN

VEICOLO PER ENTRARE

IN CONTATTO CON IL

DIVINO MA IL SUO USO

DEVE AVVENIRE

ESCLUSIVAMENTE A

SCOPO RITUALE,REGOLATO DA PRECISI

DETTAMI

di Maddalena Giuffrida

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Questa superiore libertà si manife-sta anche in campo alimentare e nelconsumo di sostanze altrimentiproibite nella tradizione induista ebuddhista, come le bevande alco-liche, il pesce e la carne. Se da noiun pasto a base di carne e vino èun’abitudine comune e normale, inIndia le cose vanno diversamente. L’India è un Paese prevalentemen-te vegetariano e il rifiuto della carneè legato al rispetto per tutte le formedi vita. Poiché la carne è frutto diuna violenza sugli animali, capacedi generare a sua volta effetti nega-tivi, essa viene bandita dalla tavolainduista insieme alle bevande alco-liche, che oscurano la mente e osta-colano la crescita spirituale.La capacità di trasformare il nega-tivo in mezzi di salvezza spieghereb-be, invece, l’uso di carne, pesce evino per gli adepti della Via dellaMano Sinistra che, diversamente daiseguaci della cosiddetta Via dellaMano Destra, dagli induisti e bud-dhisti stessi, non subiscono inter-dizioni alimentari.Le bevande alcoliche sono tra i pro-tagonisti del pancatattva o ritualesegreto delle cinque M, uno deirituali più importanti del tantrismodella Mano Sinistra, volto a far spe-rimentare al praticante l’unionemistica di Shiva e Shakti, ovvero lacoppia divina.I cinque elementi del rituale, chein sanscrito iniziano tutti con la let-tera M, sono l’unione sessuale (mai-thuna), il vino o un’altra bevanda

inebriante (madya), il pesce (mat-sya), la carne (mamsa) e i cereali fer-mentati (mudra). Il Kularnava-Tantra (V, 84), uno deitesti della via tantrica della ManoSinistra per l’utilizzo rituale di vino,carne e pesce, permette alla castasacerdotale di bere sostanze ine-brianti a piacimento; i re-guerrieripossono berne prima di una guer-ra, i mercanti e gli agricoltori ne pos-sono consumare durante i sacrifici,mentre agli intoccabili è concesso diberne al momento dei riti funebri.In genere, però, può consumarebevande alcoliche solo chi è liberodai dubbi, dai timori ed è forte nellospirito, senza mai arrivare a perde-re il controllo di sé. Qualche autore ha voluto vederenell’estasi mistica tantrica un’inte-ressante convergenza con l’ebbrez-za dionisiaca, cioè quella particola-re “pazzia” che fa superare all’uo-mo la sua naturale limitatezza permetterlo in comunione con il divi-no. Il professor Raffaele Torella,ordinario di lingua e letteratura san-scrita all’università La Sapienza euna delle maggiore autorità in Italianegli studi di indologia, nel libroPassioni ed emozioni nelle filosofiee nelle religioni dell’India scrive: «Ènel tumulto delle passioni che è pos-sibile incontrare di più faccia a fac-cia il divino. La dimensione emoti-va, sia essa eccitazione sessuale,gioia, dolore o terrore, non va can-cellata ma neanche soltanto accet-tata, al fine di neutralizzarla. Al con-

� Alcuni ''mantra'', particolari formule rituali.La parola mantra deriva dallacombinazione delle due parolesanscrite manas (mente) e trayati(liberare). Il mantra si può quindiconsiderare come un suono ingrado di liberare la mente daipensieri. Sostanzialmente consistein una formula (una o più sillabe,o lettere o frasi), generalmente inSanscrito, che vengono ripetuteper un certo numero di volte(Namasmarana) al fine diottenere un determinato effetto,principalmente a livello mentale,ma anche, seppur in manieraridotta, a livello fisico ed ener-getico.Esistono moltissimi mantra per gliscopi più diversi; la maggiorparte sono in sanscrito, ma neesistono anche in altre lingue. Ilmantra più conosciuto è il mantraOm (AUM).

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trario, le emozioni vanno coltivatee sapientemente intensificate peraccedere alla Coscienza/EnergiaUniversale. E il vino rappresentauno dei veicoli per creare dei sotti-li squarci nel velo dell’esistenza ordi-naria ed entrare in contatto con ildivino».L’uso delle bevande alcoliche neltantrismo deve avvenire esclusiva-mente a scopo rituale ed è regola-to da precisi dettami. Come si evin-ce rispettivamente da alcuni versidel Mahanirvana-Tantra e delKularnava-Tantra «anzitutto ènecessario purificare il vino o altrebevande alcoliche mediante la reci-tazione di determinati mantra, cioèdi particolari formule» aggiungeKrishna del Toso, appassionato stu-dioso di filosofie orientali, «quindivanno offerte al guru e alle divini-tà e solo in seguito possono essereconsumate dal discepolo tantrico.Chi, invece, beve alcol e mangiacarne per sedare la propria sete efame è considerato colpevole, subi-

sce l’ira degli dei e rinasce negli infe-ri».Sull’onda della filosofia tantrica, lacasa vinicola astigiana Scrimaglioha creato addirittura un vino, ilMonferrato Doc Rosso Tantra, chenelle intenzioni dei suoi produttorideve essere degustato nella sua glo-balità, senza necessariamente por-tare alla scissione delle sue peculia-rità, dovute all’assemblaggio di duevitigni, ovvero Cabernet e Barbera.La loro nobile armonia è il trattodistintivo di questo vino dal colorerosso purpureo intenso e profondo,che ambiziosamente tende al supe-ramento della dualità e della sepa-razione per indicare la via della tota-lità, in perfetta sintonia con la visio-ne tantrica della natura pervasa dal-l’assoluto. Il vino, tuttavia, in Indianon è mai stato il protagonista prin-cipale a tavola.Sembrerebbe che la viticoltura siastata introdotta all’inizio del IV mil-lennio a.C., ma è possibile che il vinonon sia stato prodotto per moltis-simi secoli (J.Robinson, The OxfordCompanion to Wine, Third Edition,Oxford University Press, 2006).Bisogna attendere il periodo vedico(II-I millennio a.C.) per vedere com-parire nei testi sacri il nome di duemisteriose bevande: soma, conside-rata la bevanda dell’immortalità, unpo’ come l’ambrosia per gli antichigreci, e sura, un potente drink aro-matizzato al miele prodotto da orzoo riso fermentati.Sull’uso del vino in India, invece,alcuni autori greci e romani fornisco-no informazioni spesso contradditto-re e basate su false generalizzazio-ni. Da una parte affermano che l’as-sunzione di vino sia consentita soloa scopo rituale, dall’altra, invece, laconsiderano una normale abitudine(Pentti Aalto, Madyam apeyam, inJnanamuktavali - Commemorationvolume in honour of Johannes Nobel,International Academy of IndianCulture, New Delhi, 1963, pp. 17-37).La regione vocata per la produzio-ne vinicola era il Kashmir grazie allesue favorevoli condizioni climati-che e pare che il vino qui fosse moltodiffuso (India in early greek literatu-re, di Klaus Karttunen, StudiaOrientalia, Helsinki, 1989).Kautilya, consigliere e ministro del-l’imperatore indiano Chandragupta

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� Shiva e Shakti, la coppia divina.La consorte di Shiva è Shakti, unaforma di Devi, l'aspetto femminilee materno di Dio che si manifestain aspetti differenti. In pratica, seShiva rappresenta l'aspetto per-sonale di Dio, immanifesto etrascendentale, Shakti è l'energiadivina che da lui scaturisce,generando gli universi materiali edeterminandone la trasfor-mazione.

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Maurya, fustiga l’uso di alcol e lapassione un po’ troppo spinta per ilvino da parte dell’imperatore e delsuo seguito nel trattato sull’arte delbuon governo, Arthasastra, che tra-dizionalmente gli viene attribuito.Va detto che qualche moderno com-mentatore (Pentti Aalto, Madyamapeyam) mette in dubbio che fosseeffettivamente il prodotto della vitequello che Kautilya condanna, men-tre per altre fonti rappresenta addi-rittura il primo documento ufficia-le che testimonia l’esistenza del vinoin India (J.Robinson, The OxfordCompanion to Wine). «In effetti lacosa non è chiara. C’è però almenoun passo, dal Brahmayamala, chenon lascia adito a dubbi: parla dimadya, che in sanscrito significavino (o anche bevanda alcolica), con-trapposto a sura, dicendo del primoche nasce dall’uva. Il che però nonvuol dire strettamente che non cisiano anche altri madya nati da altresostanze» puntualizza il professorTorella. Meno rigido sull’uso dell’al-col pare essere un altro autorevoletesto della tradizione indù, ilManavadharmasastra, che allagenerale condanna del vino associadei consigli sulle occasioni in cui èlecito consumarne.Nei secoli il vino in India fu un pro-dotto riservato alle classi aristocra-tica e guerriera; le masse preferiva-no piuttosto bevande alcoliche deri-vate da altri prodotti agricoli locali,come orzo, riso o miglio. Furono inseguito i colonizzatori portoghesi einglesi a dare impulso alla viticoltu-ra e alla produzione vinicola, chesubì una battuta d’arresto a causadelle devastazioni causate dalla filos-sera alla fine dell’Ottocento e, piùtardi, dalla politica proibizionista.Le sfavorevoli condizioni climatiche,la difficoltà di collegamenti strada-li e il divieto di bere sostanze alco-liche imposto dall’ortodossia indui-sta e buddhista non hanno certa-mente facilitato la penetrazione della

cultura del vinoin questo Paese.Oggi il vino sta len-tamente prenden-do piede anche inIndia e questo gra-zie a pionieri comeRajeev Samant, ilcreatore di Sula, unodei marchi più noti,insieme a Grover e ChâteauIndage. Il marchio Sula è lega-to alla produzione di vini cali-forniani, Château Indagedetiene il monopolio dellebollicine, Grover ha trasferi-to la sua passione per la Francia nellesue vigne a nord di Bangalore. Lamaggior parte dei produttori, eccettoGrover, sono concentrati nello Statodi Maharashtra, che è a tutti gli effet-ti lo Stato leader nella produzione vini-cola indiana.Prima di togliere al whisky il prima-to dal cuore degli indiani, il vino devefare ancora molta strada; certamen-te l’economia guarda all’India comea uno dei mercati più interessantidel continente asiatico, con un futu-ro ricco di prospettive e di crescita(Vino: Vinitaly, India e Singaporenuove frontiere per il nostro vino, IlSole 24 Ore Radiocor, 3 aprile 2009).Se il grande sogno delle principaliaziende vinicole è quello di traghet-tare l’India a ruolo di leader nelmondo, quello che ancora mancaalla produzione, qualitativamentepriva di difetti grazie allo sviluppodella tecnologia, è una più precisaidentificazione della peculiarità delsuo terroir, come rileva la rivista«Indian Perspectives». La ricerca diuna identità precisa e marcata è lasfida che la viticoltura in India deveaffrontare per penetrare pienamen-te nel mercato mondiale.Chissà quali sorprese allora ci riser-verà nel futuro il vino indiano, unavolta trovata la chiave del succes-so. Non ci resta, quindi, che aspet-tare.

� Rajeev Samant, fondatore dell'azienda Sula

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I richiami classicheggianti, ricchi di suggestione dellasettecentesca Villa Panza a Varese hanno fatto dapalcoscenico al Gran Galà Viniplus 2010 per la pre-miazione dei migliori vini della Lombardia. La cerimoniasi è svolta, anche quest’anno, a conclusione del pro-getto Viniplus, inaugurato lo scorso novembre con lapresentazione dell’omonima guida. Un importantebanco d’assaggio ha preceduto la premiazione e hapermesso al pubblico di degustare in anteprima leeccellenze enologiche lombarde. La scelta della provincia varesina per le premiazioni èstata avvalorata dall’affermazione in campo vinicolodella recente denominazione Igt Ronchi Varesini.«Abbiamo puntato molto sulla promozione e sulla qua-lità dei nostri vini» ha dichiarato l’assessoreall’Agricoltura della Regione Lombardia, Luca Ferrazzi.«Sono particolarmente felice che questo importantemomento per i vini lombardi abbia trovato ospitalità aVarese, che con la nuova Igt Ronchi Varesini entra nelcircuito dell’enologia regionale e da oggi avrà mododi riunire il meglio delle nostre etichette, dalle zone sto-riche e pluripremiate di Franciacorta, Garda, OltrepòPavese e Valtellina, fino alle realtà emergenti delMantovano e della Bergamasca». Il premio speciale “Il Sano” è andato all’Azienda agri-cola Fay di San Giacomo di Teglio, in Valtellina.

L’azienda, a giudizio della commissione, è riuscita ariassumere in modo esemplare la qualità della produ-zione e la filosofia del concorso, che punta su un’eticaproduttiva orientata al “sano, buono ed equo”. ITastevin oro, argento e bronzo hanno premiato laFranciacorta, l’Oltrepò Pavese e il Garda bresciano. Il Tastevin d’oro 2010 è andato al Franciacorta ExtraBrut Comarì del Salem 2004 dell’Azienda Umberti, l’ar-gento all’Oltrepò Pavese Pinot Nero 2005 dell’AziendaLe Fracce e il bronzo al Garda Classico ChiarettoMolmenti 2007 dell’azienda Costaripa.Doppio podio dunque per la provincia di Brescia che siaggiudica due riconoscimenti su tre.Sono state attribuite anche ventisette menzioni specialiad altrettanti vini scelti dai sommelier lombardi come ipiù rappresentativi della produzione regionale. Anchein questo caso le province di Brescia con Franciacorta,Lugana e Garda Classico, di Pavia con l’Oltrepò e diSondrio con la Valtellina confermano la propria voca-zione territoriale alla produzione di ottimi vini. «Partendo dal nostro principale obiettivo, valorizzare epremiare i produttori più sensibili a un richiamo etico equalitativo, siamo giunti a una fondamentale tappadel progetto Viniplus» ha spiegato Luca Bandirali, presi-dente dell’Ais Lombardia. «Con la premiazione dellemigliori aziende inserite nella guida vogliamo ribadire

la nostra interpretazione del con-cetto di qualità che tiene contodegli sforzi dei produttori in tuttele dinamiche che intervengononel cammino di produzione di unvino. Per quanto riguarda ipremi, quest’anno sono stati toc-cati tutti i territori lombardi, dallaValtellina alla Franciacorta,dall’Oltrepò Pavese al Lago diGarda, assieme a realtà cheogni anno si riconfermano punted’eccellenza della produzionevinicola della nostra regione».Insomma un’altra tappa di suc-cesso verso la promozione delsistema dei vini lombardi chestanno conquistando sempre piùspazio anche sulle carte deimigliori ristoranti. Vini eccellentiche non sono uguali a nessuno.

(Francesca Cantiani)

Sul podio le eccellenze lombarde

� Il presidente Ais Lombardia Luca Bandirali e l'Assessore all’Agricoltura dellaRegione Lombardia Luca Ferrazzi insieme ai produttori premiati

Franciacorta Extra Brut Comarì del Salem 2004, Oltrepò Pavese Pinot Nero 2005 e Garda Classico Chiaretto Molmenti 2007 i tre migliori vini della Lombardia

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L’Amarone della Valpolicella, vale a dire il redei vini veneti e una delle punte di diamantedell’enologia italiana, finalmente riconosciutaDocg, ha messo a segno un importante puntoa suo favore: nel 2009 ha registrato un bilanciodi mercato “soddisfacente”. Agli inizi dell’annoscorso, a dire il vero, le vendite avevano avutoun rallentamento, ma nei mesi successivi si èpalesata una rimonta tale da fornire risultatimigliori rispetto al 2008.All’Ente Fiere Verona, il presidente delConsorzio di Tutela Vini Valpolicella, LucaSartori, non ha nascosto la propria soddisfazio-ne, in occasione della presentazione dell’an-nata 2006. “Si tratta di un’ottima notizia pertutti i produttori che nel frattempo avevanodeciso di autoridurre la quantità di uve a ripo-so, destinate all’Amarone, del 30 per cento,per mettersi al riparo da sovrapproduzioni econseguenti cali di prezzo” ha affermato. “Levendite hanno recuperato terreno sul 2008tanto da consentire di consegnare nel 2009oltre 9 milioni di fascette contro gli 8,4 dell’an-no precedente. Ebbene questa politica di rigore deve essereancora mantenuta nell’ottica di un equilibrio di

mercato anche per gli anni a venire”.Vi è da dire che il 2009 sarà ricordato, secondoil Consorzio di tutela, per due tappe di rilievo: ilconseguimento della denominazione di originecontrollata e garantita (Docg) per l’Amarone,vino tra i più grandi e ambiti dell’enologia ita-liana, (e anche per il Recioto della Valpolicella)e l’ambìto riconoscimento di Regione Vinicoladell’anno 2009, conferito dall’autorevole rivistaamericana Wine Enthusiast.Giustamente malcelata la gioia di Luca Sartori.“È un riconoscimento per tutta la denominazio-ne” ha detto. “Premia non solo il territorio con isuoi vini, ma anche la capacità degli imprendi-tori, i loro investimenti sia in vigneto sia in canti-na per migliorare la qualità. Siamo orgogliosi ecrediamo che questo premio ci aiuterà sianella lotta alle frodi e alla contraffazione (perinciso nel 2009 è stato smascherato un com-mercio di Amarone falso di 1 milione di botti-glie), sia sui mercati anglofoni su cui puntiamoper la promozione nell’immediato futuro”.Ben sessantacinque aziende produttrici hannopartecipato al prestigioso appuntamentodell’Anteprima Amarone, organizzata dalConsorzio di Tutela Vini Valpolicella in collabo-

La rimonta dell’Amaronedella Valpolicella

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� Uva Corvina per Amarone

razione con la Camera di Commercio diVerona, la Banca Popolare di Verona,VeronaFiere e con il contributo del ministerodelle Politiche Agricole e Forestali. Se il 2005verrà ricordato come un millesimo di grandelongevità, l’Amarone 2006 è quasi pronto,presenta un grande equilibrio, un naso frutta-to e floreale e tannini morbidi.Senza ombra di dubbio, la grande variabilitàdell’annata ha privilegiato la bevibilità, ma sipuò anche affermare che va a scemare latendenza generalizzata alla muscolarità chenon aveva risparmiato l’Amarone, pur tro-vandoci di fronte a vini di elevato tenorealcolico e notevole estratto. Le variazioni piùimportanti e significative del disciplinareriguardano la possibilità di porre un limiteall’iscrizione di nuove superfici all’albo deivigneti e di intervenire passo dopo passo, dianno in anno, rispetto alle uve rivendicabili ea quelle da mettere a riposo. Quest’ultimoaspetto è particolarmente importante emerita che ci si possa soffermare almeno unattimo: consentirà infatti di gestire sul pianocommerciale la denominazione, comeperaltro è già stato fatto con ottimi risultatianche nell’anno appena trascorso. Inoltre,particolare non certamente di secondo ordi-ne, diventa obbligatorio l’imbottigliamentoin zona, ferme restando le deroghe per lesituazioni consolidate. Vi è da rilevare, infine,che vengono incrementate, aumentanocioè nell’uvaggio le percentuali di Corvina edi vitigni autoctoni veronesi e nazionali auto-rizzati in provincia. In questo caso la conclu-sione viene affidata al vicepresidente delConsorzio di Tutela Vini Valpolicella, DanieleAccordini: “Si tratta di disciplinari che rical-cano ciò che già stiamo facendo. Alla “fran-cese” fotografano la realtà attuale, mante-nendo una certa elasticità”.

(Paolo Giarrusso)

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La sala del Westin Palace è gremita, nessuno vuoleperdersi la degustazione. Fiorenzo Detti, delegatodell’Ais Milano e organizzatore dell’incontro, ha fattomiracoli ed è riuscito a prenotare all’ultimo la sala piùgrande. Ci sono centoventi persone ma, nonostantegli sforzi, più di sessanta sono rimaste in lista d’attesa.Nei bicchieri c’è un bianco elegante e inimitabile, il rie-sling al suo massimo livello. Quello che, con tutto ilrispetto per altre latitudini, cresce solo in Germania, suipendii che costeggiano il corso di Mosella, Saar eRuwer. Una terra da fiaba, verde e rigogliosa in prima-vera, gelida in inverno. Ad accompagnare i presentinella degustazione, il naso fine del sommelier GuidoInvernizzi, enciclopedia vivente del mondo del vino enon solo. Con lui Dick ten Voorde, olandese di nascita,italiano d’adozione (sposato con una nostra connazio-nale), profondo conoscitore del riesling per passione eper lavoro (la sua società, Vino e Design, li importa): èlui che ha selezionato gli otto vini della serata. Unabuona scelta, che mostra la versatilità del vitigno. Siparte con uno spumante, seguito da tre vini secchi. Poiquattro con residuo zuccherino naturale, ultimo deiquali l’Eiswein (vino di ghiaccio). Dick e Guido presen-tano disciplinare tedesco e territorio, passaggi fonda-mentali per capire l’unicità di questi prodotti. La salapende dalle loro labbra. Solo la prima spiegazione,utile per comprendere le complesse etichette tede-sche, meriterebbe un fiume di parole. Semplificandomolto, i trocken (secco in tedesco) sono quelli conmeno di 9 grammi di zucchero per litro. Gli altri sonodolci, anche se il termine è riduttivo. Più semplice com-prendere l’alchimia del terreno tedesco. I riesling diquesta zona hanno in comune spiccata acidità, dol-cezza e bassa gradazione alcolica. Sono però longevicome i grandi rossi. «Tutto grazie all’ardesia nel terreno»racconta ten Voorde, «che ha anche protetto i vitignidalla filossera. Così la maggior parte delle viti sono apiede franco, molto vecchie». Il resto lo fa il freddo (ein certi casi la botrytis cinerea), che fa maturare i vinilentamente e blocca la fermentazione, lasciando ilresiduo zuccherino naturale. Finita la spiegazione, sipassa a degustare. Tutti i vini al naso presentano un’in-confondibile nota di idrocarburo. In bocca, pur tuttidifferenti, hanno in comune il perfetto equilibrio tramineralità, sapidità, dolcezza e acidità. Non annoianomai. Si fa fatica a credere che siano tutte anime diver-se dello stesso vitigno. Eppure lo si dà per scontato,anche se sembra un paradosso. Descriverli tutti comemeritano in poche parole è impossibile. Ne scelgo uno,quello che mi colpisce di più: il 2004 Von Schubert,Abtsberg, un QbA (la nostra Igt). C’è tutto il terroir diquesta regione nel bicchiere. Nel naso si avverte unleggero sentore bruciato, seguito da note minerali efloreali, come il biancospino, il glicine. Ma anche sal-via, con una nota muschiata. Un vino molto comples-so, che in bocca però è sorprendentemente fresco. La

leggera sapidità è bilanciata dalla dolcezza, quelladella mora. Ritorna la salvia e si aggiunge il tè. La persi-stenza è lunghissima. Come la longevità di questo vino,ancora un po’ giovane (sei anni!), grazie alla forte aci-dità, Dick consiglia di dimenticarselo in cantina pertrent’anni. Dopo tre ore di autentica goduria è ilmomento dei saluti. Il tutto è costato 20 euro, moltopoco visto il valore e la rarità dei vini e l’organizzazio-ne. Il “trucco” lo svela Fiorenzo Detti: «Puntare solo acoprire i costi. Il socio Ais paga già una quota associa-ta, va rispettato e noi lavoriamo per lui. Deve sentirsiparte di una famiglia, non all’interno di un business». Ilresto lo fa la squadra di Fiorenzo: «Sono eccezionali»dice. Eccezionali come questi riesling.

(Daniele Urso)VINI IN DEGUSTAZIONESekt (metodo classico)1) 2004 Von Schubert Sekt – Mosel. 11%, Rz 12,9, Ac 6,2

Trocken (secco)2) 2007 Horst Sauer – Kabinett – Franken12%, Rz 8, Ac 7,23) 2008 Donnhoff – Tonschiefer – Riesling – QbA – Nahe12%, Rz 8, Ac 84) 2005 Rebholz – Kastanienbusch – Grosses Gewachs –Pfalz

Con residuo zuccherino naturale5) 2004 Von Schubert – Abtsberg – QbA – Mosel9%, Rz 54, Ac 10,56) 2007 Markus Molitor – Zeltinger Sonnenuhr – Spatlese– Mosel7,2%, Rz 88, Ac 6,67) 1994 Karlsmuhle – Kaseler Kehrnagel – Auslese –Mosel7,5%, Rz 69,2, Ac 108) 2007 Dr. Loosen Blauschiefer Eiswein – Mosel6,5%, Rz 69,2, Ac 10

I vini che arrivano dal freddo

� La Mosella e i suoi vigneti

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La salute nel bicchiere è il titolo dello specialeappuntamento organizzato dalla delegazione trie-stina dell’Associazione italiana sommelier a favore diun partner d’eccezione, la Lega Italiana Lotta aiTumori (LILT), che da oltre ottant’anni si impegnanelle campagne istituzionali di sensibilizzazione ededucazione pubblica contro le cause chepossono alterare lo stato di salute dell’indivi-duo.La serata, i cui proventi saranno devolutiin beneficenza alla LILT, si terrà a Trieste il 28maggio, alle ore 20.30, all’Hotel GreifMaria Theresia e sarà moderata dalgiornalista de «Il Sole 24 ore», PaoloPichierri.Al tavolo dei relatori siederanno laprofessoressa Bruna Scaggiante, neopresidente della sezione triestinadella LILT, il professor Claudio Tiribelli,direttore del Centro Studi fegatodel nosocomio triestino edell’Area di Ricerca, e il professorStefano Ciatti, presidentedell’Associazione Vino e Salute.Partner scientificodell’Associazione Città delVino, Vino e Salute dal 2005riunisce alcuni tra i maggioriricercatori e medici italiani,uniti dal comune intento didivulgare la cultura del vinoe di diffondere la ricercaapplicata alle sue proprietàsalutistiche. Al centro della serata i positivieffetti del vino sulla salute, seconsumato con moderazio-ne, ma anche gli effetti negatividerivati dal suo abuso. «Sono particolarmente orgogliosodi aver avuto la possibilità di orga-nizzare questo evento» sottolineaFederico Trost, delegato della sezionetriestina dell’Ais. «Iniziative come questapermettono non solo di divulgare la cono-scenza del potere terapeutico del vino sulnostro organismo, ma anche di favorire la preven-zione, soprattutto tra le fasce più deboli, come, adesempio, i giovani».In scaletta una degustazione di vini, generosamenteofferti da prestigiosi marchi quali Foss Marai,Mastrojanni, Livio Felluga e Rocca Bernarda, e diprodotti tipici dell’altipiano carsico donati dalla ZKB- Banca di Credito Cooperativo del Carso.

(Maddalena Giuffrida)

La salute nel bicchiere

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In collaborazione con l’Istituto regionale sicilianodella Vite e del Vino, l’Ais Sicilia dà il via a un’impor-tante iniziativa, orientata a incentivare e a sostenereil flusso enoturistico nell’isola. Si tratta del primo corsodi formazione per esperti di enoturismo, rivolto adaccompagnatori turistici e ad operatori del settoreselezionati tramite un bando di concorso. Le figurespecializzate formatesi nella gestione dell’ospitalitàe nell’incoming turistico favoriranno la comunicazio-ne delle bellezze naturali del territorio e delle qualitàdel vino che si produce, allo scopo di mettere inluce le risorse della Sicilia, raggiungendo l’obiettivodi destagionalizzare i flussi turistici e di favorire l’in-contro tra produttori e consumatori. Il corso che èstato presentato con una conferenza stampa nellasede della fondazione Whitaker a Villa Malfitano aPalermo, da Camillo Privitera, presidente Ais Sicilia, edai vertici dell’Istituto Vite e Vino, il presidenteLeonardo Agueci e il direttore Dario Cartabellotta,avrà sede nel capoluogo per poi, nel corso dellelezioni, spostarsi nelle sedi messe a disposizione daalcune cantine della provincia palermitana: Feudi diCorleone, Disisa, Abbazia Santa Anastasia, TascaD’Almerita e Feotto dello Jato. Strutturato in diversimoduli tematici per un totale di sessanta ore, vedràla partecipazione di relatori Ais Sicilia, funzionaridell’Istituto regionale Vite e Vino e di docenti nonsolo siciliani, altamente specializzati e legati almondo della produzione vinicola, olearia e gastro-nomica. I presidenti Camillo Privitera e LeonardoAgueci hanno sottolineato che la sinergia tral’Istituto Vite Vino e l’Ais Sicilia colmerà un’esigenzaforte, ovvero la richiesta di persone qualificate chepossano comunicare in modo appropriato il territo-

rio e i giacimenti gastronomici in esso presenti. Ilcorso vedrà coinvolte le aziende vitivinicole sparsenell’intera regione, proprio perché luoghi ideali doveapprofondire il vino e le tradizioni. Il direttore DarioCartabellotta ha evidenziato l’importanza del valoreculturale, organolettico ed emozionale del vino sici-liano, un prodotto unico, frutto di un vero e propriocontinente vinicolo, dalle condizioni climatiche dif-ferenti e dal territorio variegato. Basti ricordare chein Sicilia la vendemmia dura quattro mesi, dai primidi Agosto in cui si raccolgono le uve bianche nellezone più calde, fino a Novembre inoltrato per iNerelli delle zone più fredde dell’Etna. Il proficuoconnubio tra Ais Sicilia e Istituto regionale Vite Vinoha previsto altri due corsi: uno a Trapani e uno aCatania, per un totale di sessanta formati, chesaranno parte attiva di un processo di diffusionedella cultura enogastronomica siciliana, affinché leeccellenze tipiche delle aziende vitivinicole, oleico-le, agricole e i prodotti gastronomici locali sianosempre più considerati nel loro ruolo di componentifondamentali del sistema sociale ed economicodell’isola.

(Luigi Salvo)

L’Ais Sicilia forma gli esperti di enoturismo

� Una lezione di Camillo Privitera, Presidente Ais Sicilia

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Un evento a “tutta G”. La G è quella di Garanzia offerta dalla Docg, il massimo ricono-scimento qualitativo assegnato ai vini italiani. Un’eccellenza dimostrata dai numeri: inItalia vi sono oltre 300 vini Doc ma solo 44 Docg. La “numero 44” è il ConeglianoValdobbiadene Prosecco Superiore, cui sarà dedicato Vino in Villa, festival internazio-nale di questo spumante italiano inimitabile, dal 15 al 17 maggio al Castello di SanSalvatore di Susegana (TV). Per festeggiare la nuova identità, il Consorzio per la Tuteladel Conegliano Valdobbiadene ha deciso di chiamare i quarantatre colleghi, vinifamosi o rari, che saranno individuati grazie alla collaborazione con l’Ais Veneto. Inuna sola sede, i visitatori potranno immergersi in questo “Mondo G come Garantito”.Accanto alla degustazione delle 44 Docg d’Italia e alla presentazione della nuovaannata del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore con ben 300 vini, si svolge-ranno il convegno dedicato al valore delle Docg in Italia, ma anche gli incontri a tavo-la curati da Alma, Scuola Internazionale di Cucina Italiana che, per l’occasione, pre-senterà l’Atto Unico, ovvero il piatto unico. A fare da cornice a Vino in Villa sarà, comesempre, il castello di San Salvatore, borgo del XIII secolo immerso nell’area del Conegliano ValdobbiadeneProsecco Superiore, un nome difficile come faticoso è coltivare la vite in queste colline ripide quanto spettacola-ri. Una bellezza che, nei secoli, si è mantenuta intatta, come dimostra la pittura di un maestro del Cinquecento,Cima da Conegliano. Proprio a pochi passi da Vino in Villa si terrà la più grande mostra mai realizzata, organizza-ta da Artematica a Palazzo Sarcinelli a Conegliano e visitabile durante Vino in Villa. Ci sarà anche un quartomotivo per partecipare all’evento: i momenti culturali de I Simposi, in collaborazione con l’Università Ca’ Foscaridi Venezia, dedicati quest’anno a “Meraviglie” ovvero al legame fra il dialetto e il paesaggio.Per informazioni www.prosecco.it

Vino in villa… garantito!

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Secondo le previsioni degli analisti, neiprossimi decenni il comparto economi-co dalla crescita più intensa sarà il turi-smo culturale. Risulta perciò indispensa-bile una rivisitazione critica del patrimo-nio materiale e immateriale che hamodulato nel tempo l’identità dei luo-ghi al fine di pianificare un originalesistema di offerte.Il valore del “nuovo” turismo si concretiz-za infatti con la possibilità di immergersiin un’atmosfera culturale in cui concorrono, conefficace complicità, il paesaggio, la storia, l’ar-cheologia, le tradizioni, la cultura materiale, i modidi vivere, gli stili e i piaceri.L’International Summer School “Mediterraneo”dell’Università di Bologna che si svolge a Cattolicadal 12 al 17 maggio può rivelarsi un’ottima opportu-nità di lavoro in questo senso, dando modo di speri-mentare l’efficacia di una sinergica rete culturaleche coinvolge le comunità di quest’area frontalieradefinita dalle vallate del Conca, del Ventena e delTavollo.L’edizione 2010 della Summer School“Mediterraneo” punta sulla civiltà del vino e con-sente di coniugare la didattica, demandata adocenti provenienti da università italiane e stranieree da istituti di cultura enogastronomica, con escur-sioni sul territorio (visite guidate a luoghi notabili edecomusei, aziende vitivinicole, etc.). Intrattenimenticonviviali e di spettacolo realizzati durante la setti-mana potranno contribuire ad arricchire l’interesseturistico per un soggiorno di conoscenza dei luoghie delle proposte culturali espresse nei vari contesticittadini in cui si svolgeranno le lezioni. Il corso è

aperto a studenti, studiosi o altre perso-ne interessate. Le attività della scuolarestano comunque aperte a tutti indi-pendentemente dall’iscrizione, che dàdiritto a tutto il pacchetto di offerta. Laquota d’iscrizione di euro 250,00 com-prende il soggiorno (vitto e alloggio) perl’intera settimana presso gli alberghiconvenzionati, l’acquisizione del mate-riale didattico predisposto comedispensa delle lezioni, partecipazione

alle escursioni sul territorio e alle iniziative culturali.Escludendo vitto e alloggio la quota d’iscrizione èdi euro 50,00. La frequenza al corso comporterà pergli studenti universitari dei crediti formativi.

Direzione della ScuolaMaria Lucia De Nicolò, Università degli Studi diBolognaFacoltà di Conservazione dei Beni Culturalitel. +39 0544 936766 / 0541 960079email: [email protected]

Direzione organizzativaGigliola Casadei, Comune di Cattolica tel. +39 0541 966607/603email: [email protected]

SegreteriaMatteo Fuzzi tel. +39 0541 966607/603 www.cattolica.netMaura Silvagni, Nicoletta Biondi, Michela Silvagni Museo della Marineria W. Patrignani di Pesarotel. +39 0721 35588, +39 335 7633367email: [email protected]

La civiltà del vino dall’età romana ad oggi

� Il vino, da sempre nella storia dell'uomo

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È il critico e giornalista enogastronomicoDavide Oltolini l’ambasciatore dei formaggidi Francia in Italia nell’anno 2010. La nominaha avuto luogo nell’ambito della campa-gna Evviva les fromages, protagonista con-temporaneamente in ben sette Paesi euro-pei, quali il Regno Unito, la Svizzera, laGermania, il Belgio, l’Olanda, la Spagna el’Italia. La scelta di Oltolini si deve al CentreNational Interprofessionnel de l’ÉconomieLaitière (CNIEL), nonché al FranceAgriMer,ente nazionale dell’agricoltura e dei prodot-ti ittici, supervisionato dal ministerodell’Agricoltura e della Pesca. La Francia èuno dei Paesi con il più ricco patrimoniocaseario del mondo e, a questo proposito,è famosa la frase del generale De Gaulleche, riferendosi alla Francia diceva: “Comesi può governare un Paese che ha più for-maggi che giorni nel calendario?”.

Oltolini, l’ambasciatore deiformaggi di Francia in Italia

� Davide Oltolini, ambasciatore dei formaggi di Francia 2010

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Il tema della crisi ricorre puntuale nella XVII edizio-ne della guida Touring. Una crisi che, con ogni evi-denza, non ha risparmiato nessuno e alcun settore.Anche se un dato curioso attesta quanto i sociologiaffermano da tempo: nonostante la crisi, abbiamospeso per mangiare poco più di quello che spendia-mo per dimagrire (le spese destinate a palestre ebenessere non sono diminuite). Come a dire che leristrettezze forzate amplificano il desiderio di cocco-larsi, di prendersi cura di sé, di gratificarsi per affron-tare con lo spirito migliore la ripresa. Altro dato: intempi di crisi, la nuance di rossetto che incontra ilmaggior favore è il rosso fuoco. Il rosso della sfidaottimistica e dell’auto-gratificazione. Ciononostante,la guida Alberghi e Ristoranti d’Italia ha inteso veni-re incontro al più recente trend “risparmioso” inclu-dendo ben 1.311 tra alberghi e ristoranti a costo con-tenuto sui 6.786 recensiti. Altri punti forti della guidasono la copertura capillare del territorio, che ne fauno strumento indispensabile per il viaggiatore (ilvolume è disponibile anche su navigatore Garmin);la presenza di 840 tra alberghi e ristoranti che non

comparivano dell’edizione 2009, ariprova dell’attenzione per il conti-nuo evolversi del territorio; la tota-le trasparenza e autonomia nei giu-dizi. Infine, l’assegnazione di 12premi collegati alla guida, denomi-nati Premi Ruota d’Oro Touring: ottoassegnati ai quattro albergatori e aiquattro ristoratori che nei rispetti-vi territori meglio coniugano quali-tà e prezzo e quattro vinti da altret-tanti giovani chef emergenti.Dalla guida emergono alcune criti-cità dell’offerta nazionale. Se, infat-ti, le tariffe alberghiere sono scesein tutto il mondo, l’Italia ha conser-

vato un quarto posto nella graduatoria degli hotelpiù cari, pur mantenendo un vistoso ritardo nell’ade-guamento a livello nazionale degli standard quali-tativi internazionali e una scarsa integrazione conil territorio che soddisfi la richiesta di un turismoculturale e gastronomico, motivazione del viaggio peralmeno il 50 per cento del turismo nazionale ed euro-peo. Ma non mancano i punti di forza. In Italia esi-ste molta buona ristorazione, capace di riscoprire eaggiornare antiche ricette, adeguandole ai mutatitempi e modi di vivere, conservando il tradizionalepaniere degli ingredienti.

Lungo le strade del gusto e dell’ospitalità.

ALBERGHI E RISTORANTI D’ITALIA

A cura di: Luigi CremonaEditore: Touring EditorePrezzo: 22,00 euro

SULLO SCAFFALE di Natalia Franchi

Bere dolce favorisce la convivialità, la conversazionee la meditazione. A stimolare neuroni e sinapsi nonè infatti tanto l’alcol etilico, ma piuttosto lo zuccheronaturale indecomposto, che nel nostro organismo sca-tena endorfine.Bere dolce è indice di romanti-cismo e perciò pratica resa supe-rata dall’individualismo esaspe-rato e dall’opportunismo oggiimperanti. Produrre buon vinodolce è costoso, perché occorreuna materia prima molto selezio-nata, con oneri di produzione edi immobilizzazione del capitalealtissimi, indirizzati peraltro a unsegmento di nicchia del merca-to, inaccessibile alla produzionedi massa. Ma produrre vini dolciconferisce lustro all’immagineaziendale e impulso all’interagamma vinicola. Occorre dunque far uscire il consu-mo del dolce dalla sola occasione del dessert, in cui èstato relegato da tempo. Ne è convinto GiuseppeBaldassarre, autore del volume, medico perfezionatoin bioetica e sommelier dal 2001. Il vino dolce rappre-senta in qualche modo l’archetipo di tale nobile bevan-da: è assai probabile infatti che molti dei vini delle ori-gini appartenessero a questa categoria in primo luogoper la difficoltà di fermentare in modo completo mostia elevato contenuto zuccherino, in secondo luogo perla maggiore stabilità dei vini dolci. Così come è notal’usanza, a partire dal II millennio prima di Cristo, diintrodurre miele nel mosto a soddisfare nel tempo ipalati di egizi, ebrei, fenici, greci e romani. Il panora-ma pugliese dei vini dolci ha radici antiche: dall’an-no Mille in poi guadagnano prestigio vini come ilMoscato di Trani e la Verdeca di Gravina, oltre a diver-si moscatelli e malvasie. Una fortuna senza battuted’arresto fino agli anni ‘60 del secolo scorso, quandoprende piede una sorta di ostracismo nei confronti deivini dolci in parallelo alla moda di accostare ai dessertChampagne o spumanti brut e distillati dal gusto secco.Una caduta che riduce i vini dolci pugliesi quasi esclu-sivamente all’autoconsumo di agricoltori e vignaioli.Lento e graduale il riscatto operato a partire dagli anni‘90, anche se il vino dolce pugliese non sembra averancora interamente espresso il proprio potenziale. Lostesso potenziale che il volume porta all’evidenza dellettore, con orgoglio e dovizia di particolari ed etichet-te.

La dolcezza che viene dal cuore.

IL FASCINO ANTICO E NUOVO DEI VINI DOLCI DI PUGLIA

Autore: Giuseppe BaldassarreEditore: GraficomPrezzo: 15,00 euro

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Anche per il 2010 appuntamento in libreria conl’irrinunciabile Guida del sociologo del piacereRoberto Piccinelli, giunta alla XIII edizione.L’azzardato colore della giacca tartan che l’auto-re sfoggia in copertina, non sia motivo di perples-sità nell’acquisto: l’edizione 2010 è infatti colmadi novità in merito alle rapide evoluzioni del mondodel loisir, fotografate in un’istantanea ironica emolto fruibile.2.600 gli indirizzi inseriti, 90 i locali che si aggiu-dicano un Oscar del Piacere e 50 annoverati nellaTop Ten Emotion, la classifica delle location chesanno emozionare.L’attenta disamina dei locali non può prescinde-re dalla identificazione delle località più cool dis-seminate sul territorio nazionale. Fra le città altop svettano Roma, Lecce, Salerno, Siracusa (quan-ti hanno visitato l’incantata Ortigia, confermeran-no) e Venezia, dove tornano alla ribalta le “vasche”old style e regna il rito della movida open-air.

Tra le località turistichemontane, vincono e convin-cono Courmayeur, Livignoe Selva di Val Gardena. Pergli amanti del mare e dellasalsedine le classicheSanta Margherita Ligure,Forte dei Marmi e MilanoMarittima e, a scalzare deltutto quest’ultima, la soli-ta Riccione.Tra le tipologie di locale,censito per la prima voltail “ristorante a peso”.Entrano in scena il “cock-tail antinfluenzale” e la“cena con le bolle di sapo-ne” per tornare bambini.Perfino l’ospitalità cambiale sue regole, in funzione

delle nuove mode e abitudini sociali: se una voltasi parlava di mezza pensione o di pensione com-pleta, ora gli alberghi più trendy puntano sullapensione tre quarti.

Programmati per il piacere.

GUIDA AL PIACERE E AL DIVERTIMENTO 2010 Tutti gli indirizzi più nuovi e alla moda d’Italia

Autore: Roberto PiccinelliEditore: OutlinePrezzo: 15,00 euro

Più che eloquente il nome della collana di cui il volu-me fa parte: i Semi - i protagonisti delle culture mate-riali. Donne e uomini che nella loro terra di originehanno trovato spunto di miglioramento e valorizza-zione per sé e le genti che vi abitano.Giuliano Bortolomiol di Valdobbiadene è uno di que-sti uomini: nel 1945, qualche mese dopo la fine dellaguerra, con la fondazione della Confraternita delProsecco, Bortolomiol divenne il principale promo-tore della rinascita del Prosecco. Cinque anni di con-flitto e vent’anni di dittatura fascista avevano stre-mato contadini e vignaioli, che preferivano andarein pianura alla ricerca di lavoro remunerativo.All’oggettivo disagio, che condivideva con i suoi com-paesani, Bortolomiol oppose il coraggio e la forza diun sogno da realizzare.L’autore del tributo aBortolomiol, Ettore Gob -bato, giornalista e scritto-re da tempo attento all’am-biente e alla cooperazioneinternazionale, vede incar-narsi nel valdobbiadenesel’essenza di una generazio-ne di uomini che, nel dopo-guerra, lontani dall’italicaarte di arrangiarsi con ilpoco che si trovava, riusci-rono a emanciparsi dallapovertà con una voglia diriscatto insieme individua-le e collettiva. Persone, fieree cocciute, cui va il meritodi quanto è poi passato alla storia come il miraco-lo italiano.Giuliano Bortolomiol, tra gli altri, ha contribuito inmodo decisivo a trasformare un territorio disastra-to in un modello di agricoltura industriale che ha nelProsecco di Valdobbiadene il suo protagonista. Unprodotto da vitigno poco considerato, definito untempo “pissariol” (di facile digestione, beva), poi spu-mantizzato e divenuto un prodotto moderno e ricer-cato in ogni parte del pianeta.La narrazione del lavoro di Gobbato si snoda condelicatezza lungo tracce segnate dai ricordi, fami-gliari e di quanti hanno conosciuto e amato Giuliano.Degna di nota anche la ricerca iconografica, capacedi far immergere il lettore nell’atmosfera e nelle atte-se del tempo.

Bollicine con l’anima.

GIULIANO BORTOLOMIOL Il sogno del Prosecco

Autore: Ettore GobbatoEditore: Veronelli EditorePrezzo: 17,00 euro

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Alta ristorazione: proporrevini è sempre più difficile

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Tempi difficili per la ristorazione italiana, soprattutto quel-la che potremmo definire di alta qualità e di conseguen-ti prezzi elevati. Difficili non solo per la crisi economica

che riducendo la disponibilità di spesa delle persone porta aconsiderare l’uscita al ristorante come una voce di spesa datagliare, un qualcosa, seppur piacevole, cui si deve rinuncia-re, oppure, nel migliore dei casi, di cui si deve ridurre la fre-quenza. Difficili i tempi, oltre che per la “criminalizzazione” inatto dei consumi di vino, con lo spettro dei severissimi control-li con l’etilometro che induce giocoforza anche chi continua adandare al ristorante a ordinare e consumare molto meno vinoche in passato, e ricorrere al vino al bicchiere, ma un bicchie-re che diventa unico per tutto il pasto, con un calo delle ven-dite di vino calcolato nell’ordine del trenta per cento e più, ancheperché impongono scelte molto difficili. Non sto parlando solodelle materie prima utilizzate per la preparazione dei piatti,sulla scelta delle quali, in tempi di difficoltà e di minori incas-si, si potrebbe avere la tentazione di essere meno rigorosi, pun-tando non su prime ma seconde scelte che costano meno, oppu-re della necessità, che molti hanno avvertito, e lo si è visto per-sino in occasione dei cenoni di fine anno, di abbassare decisa-mente i prezzi. Le scelte difficili, per i ristoratori stellati e di livello più eleva-to e di maggiori ambizioni, soprattutto per quelli che a questoimportante elemento hanno tradizionalmente dato ampio rilie-vo, si pongono in relazione al discorso sul vino, al tipo di pro-posta vini da fare. Sappiamo benissimo, fa ormai parte dellapiccola storia della ristorazione e del mondo del vino negli ulti-mi 15-20 anni, come si sia svolto in molti casi il discorso sulvino e quali siano stati i criteri adottati da molti ristoratori nelleloro scelte. Da un lato la soluzione comoda, non faticosa, dellascelta dei vini fatta in base al portafoglio aziende proposto dalrappresentante amico di turno. Ci sono in giro per l’Italia moltecarte dei vini che rivelano subito, sin dal primo sguardo, diessere conseguenza del fatto che in quella zona operasse e fossepiù attivo degli altri il rappresentante X o Y, tanto abile da riu-scire a piazzare tutte le aziende della propria “scuderia”. Dall’altrolato, ancora più diffusa, la soluzione politicamente ed enologi-camente corretta di una scelta dei vini come riflesso fedeledei punteggi e dei premi decisi da alcune delle guide più influen-ti (soprattutto una), perché, soprattutto a certi livelli, e quan-do si arriva “in odore” di stella, o si punta a riceverla o man-tenerla, si diceva fosse impossibile non avere in carta certi vini,non dotarsi almeno delle sei bottiglie che magari non vengo-no tanto richieste ma facevano fare bella figura e rassicura-vano, quando il giornalista, l’ispettore della guida, l’espertoinfluente, facevano una visita in cantina… Dall’altro lato, in sintonia con questa opzione, la scelta dei vini,di determinati vini, fatta non tanto ragionando sul tipo di cuci-na proposta, sull’armonia tra i piatti ed i vini da abbinare, esu una sorta di continuità e coerenza tra la voce spesa per ilcibo e quella per i vini, bensì in ossequio ai rapporti diretti,spesso di amicizia, instaurati con taluni produttori, i cui vini,anche se costosi, anche se talvolta del tutto eterogenei e fuorilinea rispetto al tipo di cucina proposta e spesso ben più costo-si rispetto a quanto normalmente si spendeva in quel ristoran-

te per mangiare, venivano comunque, magari in piccoli quan-titativi, acquistati. Questo in uno spirito, nel migliore deicasi, di amicizia e collaborazione, oppure, nel peggiore dei casi,in ossequio a quella che un mio carissimo ex direttore, l’indi-menticabile Germano Pellizzoni, definiva senza mezzi termini“una cupola”, ovvero un intreccio d’interessi dove ristoratori dihaute gamme, un certo mondo del vino, e una parte della stam-pa specializzata e delle guide si sostenevano reciprocamente,avendo interessi comuni, rappresentando le diverse facce diun identico universo. Poco è contato, finché le cose giravano, finché Pantalone, ossiail cliente consumatore, accettava di pagare, che molti di que-sti vini, usati come specchietto per le allodole, scelti per segna-lare che di un certo sistema si faceva o si aspirava a fare parte,finissero per prendere polvere in cantina, per non essere maistappati e ordinati, sino a costituire un malinconico cimiterodegli elefanti enologico. Ma con l’arrivo, l’intensificarsi ed ilristagnare della crisi, con la chiara e sempre più diffusa ten-denza dei clienti a non farsi abbacinare come in passato dalcanto delle sirene delle griffe enologiche, e con la loro risolutavolontà di scegliere soluzioni più risparmiose e ragionevoli, vinimeno mediatici e glamour, ma soprattutto meno cari e più pia-cevoli da bere, oggi il ristoratore responsabile si trova costret-to a rivedere molte delle proprie posizioni. Costretto a sceglie-re in prima persona, senza relegare la responsabilità a nes-suno, e senza farsi condizionare che dal proprio gusto e dal-l’elemento che deve essere il punto di riferimento basilare diogni carta dei vini degna di questo nome, ovvero il rapportoprezzo-qualità, in altre parole la corrispondenza fedele tra ilvalore del vino ed un prezzo corretto che consenta di lavoraresu quel vino, proporlo con soddisfazione al cliente, e andareincontro alla sua richiesta di vini buoni ma che non richieda-no l’accensione di un mutuo per poterli stappare. Lo so beneche, così facendo, molti ristoratori rischiano non solo di incri-nare antiche amicizie, di vedersi tacciare di “ingrati” perchéin un momento di difficoltà come l’attuale scelgono, giocofor-za, di non aiutare determinate aziende (anche quelle che, nelfrattempo, sono “miracolosamente” riuscite a ribassare i prez-zi, a praticare condizioni di pagamento quasi… “a babbo morto”)che negli anni sono state loro naturali partner, ma sono anchepersuaso che questo ritorno alla realtà non potrà fare che delbene sia a loro, sia alle aziende che hanno prodotto e provatoa vendere vini lontani anni luce dal sentire, dal gusto e dalpotere d’acquisto del normale consumatore. Qualcuno potràanche obiettare che “gli amici si vedono nel momento del biso-gno” e che non acquistare più vini, molto cari, che si sono sino-ra acquistati, magari a cuor leggero, in questo particolaremomento equivale ad una sorta di “tradimento”. Ma se darprova di amicizia significa continuare a scegliere, a prescinde-re, la griffe, invece di vini altrettanto buoni ma decisamentemeno cari e più “food friendly”, come non dire che questa nonè più amicizia, ma incoscienza e irresponsabilità nei confron-ti del cliente? Una forma di complicità, che ci ha portati a moltesituazione difficili, di fronte alla quale non ho dubbi a direche “io non ci sto”… Proprio come mi auguro non debbano star-ci, per il futuro delle loro imprese, molti ristoratori…

di Franco Ziliani

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