Cultura Commestibile 92

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92 uesta settimana il menu è Q Stammer a pagina 5 Monaldi a pagina 18 20 anni senza Leonardo Ricci Berlincioni, foto da prima pagina RIUNIONE DI FAMIGLIA a pagina 4 PICCOLE ARCHITETTURE ISTANTANEE AD ARTE Albani da pagina 2 DA NON SALTARE Libri da mangiare Istruzioni per l’uso Maramaldeggiare pallido e assorto Il romanzo della rivoluzione (the end) Carlo Giovanardi Sottosegretario alla Famiglia E’ evidente che siamo davanti a una grande campagna promozionale delle lobby che vogliono promuovere certi valori. Questo non avviene solo con i videogiochi come “The Sims”, ma anche con libri destinati ai bambini che invece di proporre una famiglia con papà e mamma, quando si parla di genitori ne propongono una di un papà con un papà Cecchi a pagina 7 OCCHIO X OCCHIO Il fotografo di Montmartre Realtà virtuale

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Page 1: Cultura Commestibile 92

92 uesta settimanail menu èQ

VUOTI&PIENI

Stammer a pagina 5

Monaldi a pagina 18

20 anni senzaLeonardo Ricci

Berlincioni, fotoda prima pagina

RIUNIONEDI FAMIGLIA

a pagina 4

PICCOLE ARCHITETTURE

ISTANTANEE AD ARTE

Albani da pagina 2

DA NON SALTARE

Libri da mangiareIstruzioni per l’uso

Maramaldeggiarepallido e assorto

Il romanzodellarivoluzione(the end)

Carlo GiovanardiSottosegretario alla Famiglia

E’ evidente che siamo davanti a una grande campagnapromozionale delle lobby che vogliono promuoverecerti valori. Questo non avviene solo con i videogiochicome “The Sims”, ma anche con libri destinati ai bambini che invece di proporre una famiglia conpapà e mamma, quando si parla di genitorine propongono una di un papà con un papà“

Cecchi a pagina 7

OCCHIO X OCCHIO

Il fotografodi Montmartre

Realtàvirtuale

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CCUO

.com sabato 27 settembre 2014no92 PAG.2DA NON SALTARE

Da tempo, a proposito delle varietecniche escogitate per assimi-lare il contenuto di un libro (co-munemente si pensa che la

migliore sia quella di leggerlo), sta pren-dendo campo l’idea che una delle più ef-ficaci e promettenti sia la tecnica cheprescrive di mangiarlo, il libro, copertinae sopraccoperta incluse. È un’idea nonnuova: il diplomatico fiammingo OgierGhislain de Busbecq (1522-1592) rac-conta, sulla base di notizie avute dai tur-chi, che i tartari mangiano i libri convintidi assorbirne la sapienza in essi rac-chiusa.Il ritorno sul mercato libraio della biblio-fagia− pratica che ha origini lontane, al-meno da quando Dio ordinò a Ezechieledi mangiare (anche se forse in senso me-taforico) un lungo rotolo denso di parole

che si sciolsero come miele nella boccadel profeta − è stato salutato un po’ datutti con grande entusiasmo: editori, li-brerie, edicole, supermercati hanno esul-tato vedendo aumentare le loro venditedi libri; perfino le biblioteche si ralle-grano, obbligate come sono per decretoministeriale a farsi ricomprare il librouna volta mangiato dall’utente cui è statodato in lettura o in prestito (gli unici di-spiaciuti − e c’è da capirli, poveretti −sono i collezionisti che i libri spessonemmeno li aprono per conservarli piùa lungo).Di fronte all’ampia e inarrestabile diffu-sione del fenomeno della bibliofagiapuòessere utile la consultazione di questopiccolo manuale di istruzioni, uscitoanonimo il mese scorso per le EdizioniBartleby, che affronta il tema di come in-gerire e gustare al meglio la prelibatezzadi un libro.

LibriIstruzioniper l’uso

di Paolo [email protected]

Una volta individuati il genere e l’autore è consigliabile orien-tarsi su volumi di media portata (non più di 150-200 pagine),preferibilmente rilegati a filo (la colla può essere pesante,senza contare coloro che sono allergici a tale sostanza) e concopertina non rigida. Naturalmente va da sé che per i buon-gustai e i lettori forti non si pone alcun limite al numero dipagine del libro da mangiare (un piatto speciale prediletto daquesta tipologia di persone sono le enciclopedie, i dizionarie gli atlanti geografici e storici in salmì). Per coloro che hannoproblemi di digestione si consigliano particolari libri d’artistacomposti di fogli di carta velina (sulla falsariga di quelli ela-borati da Bruno Munari).

Sceltadel libro1

Non appena effettuata la scelta del libro da mangiare, la primacosa da fare è “sfogliare” il libro stesso, ovvero staccarne tuttele pagine, una per una, e metterle a bagnomaria. Per appron-tare un bagnomaria, si prepara anzitutto il composto carta-ceo, cioè l’insieme dei fogli non accartocciati, all'interno diun recipiente. Quindi si riempie di liquido, in genere acqua,un altro recipiente di forma e dimensioni adatte a contenereil primo recipiente in modo agevole e sicuro. Si mette il primodentro il secondo e quest'ultimo sul fuoco o direttamente inforno. Tutto ciò rende più morbida la carta, liberandola allostesso tempo da varie impurità tipo tarme e altri insetti, pol-vere, macchie di unto, ecc. Si tenga presente che se un libro èintonso va da sé che più lungo dev’essere il tempo di cottura.

Primaoperazione2

da mangiare

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.com sabato 27 settembre 2014no92 PAG.3C.com DA NON SALTARE

5 passiper portare in tavolaun Joyce o un Célinecotto a puntino

Si prendono i fogli riscaldati, si separano l’uno dall’altro fa-cendo attenzione che non si rompano e si mettono a asciu-gare stendendoli a un filo, meglio se all’aria aperta, con unamolletta di legno o se preferite di plastica (evitare accurata-mente l’acciaio che può lasciare sui fogli ancora umidi dellepiccolissime tracce residuali non proprio gradevoli al palato).

Secondaoperazione3

Fate attenzione: ricordatevi che, così come nel campo dei miceti esistono alcune spe-cie di funghi che sono velenose, anche in quello libraio esistono volumi nocivi, perciòbisogna stare in guardia e considerare che non tutti i libri sono commestibili; ve nesono alcuni decisamente immangiabili, tossici e deleteri, altri che richiedono specialiprocedure per essere cucinati a dovere al fine di non rovinarli e renderli poco appe-tibili. Ad esempio per cucinare un Perec è necessario seguire rigorosamente deter-minate regole, altrimenti si rischia di fallire come avviene con l’impazzimento dellamaionese; lo stesso vale nella preparazione di un buon piatto a base di pagine di Cé-line: in questo caso conviene prima togliere tutti gli innumerevoli puntini di sospen-sione disseminati nel testo che, al pari dell’aglio o del cetriolo, possono risultareindigesti. Per cucinare bene l’Ulisse di Joyce (consiglio di farlo in fricassea farcito diparole-macedonia) si deve lasciarlo frollare almeno una giornata intera

Suggerimentifinali5

Una volta asciutti si cucinano i fogli del libro secondo la ri-cetta preferita. Ad esempio in un articolo apparso sulla rivistaLe Livre del 1880 Pierre Gustave Brunet ricorda come unoscrittore scandinavo, dopo aver pubblicato nel 1643 un li-bello politico intitolato Dania ad exteros de perfidia Suecorum,divora per punizione il suo scritto bollito nella zuppa. Le mi-nestre, e in genere ogni piatto a base liquida, si presta in modomeraviglioso alla cucina di ogni di tipo di libro, specie quellila cui trama, come il brodo, è allungata surrettiziamente. Unfamoso chef piemontese, Alberto Vettori, ha inventato il “ro-manzo alla Biron”, ispirandosi all’omonimo personaggio delleIllusions perdues di Honoré de Balzac, il giovane figlio di unorefice, segretario del barone di Goërtz, ministro di CarloXII, re di Svezia (Il giovane segretario trascorre le notti a scri-vere; e come tutti i grandi lavoratori contrae un’abitudine, simette a masticare la carta [...]. Il nostro bel giovane cominciacon della carta bianca, ma vi fa l’abitudine e passa ai fogliscritti, che trova più saporiti [...]. Infine il piccolo segretario,di sapore in sapore, finisce con il masticare delle pergamene[la masticazione lenta – altrimenti detta slow chewing− è unfattore importante per digerire bene la carta, ndr] e man-giarle!). La ricetta del romanzo cucinato alla Biron consistenel prendere un romanzo (quelli di Moravia vanno benis-simo), lessarlo bene a fuoco lento in una pentola stretta e altaaggiungendo circa 3 litri di acqua per ogni kg di carta e 12-15 grammi di sale, pepe, sedano, cipolla e chiodi di garofano;quando il bollito di carta romanzesca sarà cotto a puntino(con i romanzi di Moravia è facile raggiungere in breve tempoun ottimo stato di sfinimento), prendetelo con un mestoloforato, fatelo sgocciolare e poggiatelo su di un tagliere, taglia-telo a fette di circa 5 cm di spessore utilizzando un coltellodalla lama liscia e lunga; disponete le fette di carta su di unpiatto da portata e servite immediatamente

Terzaoperazione4

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.com sabato 27 settembre 2014no92 PAG.4RIUNIONE DI FAMIGLIA

porto diplomatico.”“Porca miseria, c’hai ragione Luca. In-tanto, sistemiamo quei due della VecchiaGuardia.”. Il Leader Maximo prende ilsuo cellulare preferito e digita lo 007:“Pronto, Squitieri? Senta, vorrei sapere ache punto sono quelle due indagini sulleassicurazioni per il trasporto di opered’arte. Sì, sì, quelle su Paolucci e l’Aci-dini. Come, in fase istruttoria? Ma laGiustizia è davvero lenta! Via, vediamodi darsi una mossa. Ché altrimenti nellariforma della Giustizia che sta prepa-rando Orlando, ci metto anche la Cortedei Conti e la trasformiamo nella Cortedi Conciliazione delle infrazioni al Co-dice della strada”.Riattacca e riprende a impartire ordinial fidato Lotti: “Ovvia, questa è siste-mata. Ora, Luchino vai al Collegio Ro-mano e abbassa la cresta aquell’invasato di Dario”.Lotti scatta sugli attenti e parte allavolta del Mibac. Dove, nel frattemposono giunte le dimissioni di Cristina Aci-dini, nonché le dichiarazioni di solida-rietà di Paolucci alla suddetta.Franceschini che, per quanto esaltato,proprio scemo non è, sente odor di bru-ciato e capisce che il gioco si sta facendopiù grande di lui. “Se crollano questi Gi-ganti, o alzo la posta oppure rischio dirimanere stritolato. Devo rilanciarel’azione rivoluzionaria. Devo passare al-

Riassunto delle puntate precedenti:la riformuccia del Ministero ha spo-destato i Guardiani dei beni culturalie il “Che” Franceschini ha volto ilsuo sguardo rivoluzionario verso ilturismo e la fotografia. Ormai nientesembra poterlo fermare sulla stradadella Rivoluzione.

La nostra comedia volge al termine.Ha assunto talvolta le tinte fosche dellatragedia; altre volte quelli più brillantidella commedia degli equivoci, o quelliaccesi del romanzo di avventura, oanche quelli tenui (quasi sbiaditi) delromanzo d’appendice. Grandi perso-naggi hanno incrociato la loro vicendacon persone minori, ordinarie. Macome in molte rappresentazioni lettera-rie o teatrali delle vicende umane, rove-sciamenti improvvisi della storiatrasformano lo straordinario in ordi-nario, elevano i bassi alle sfere alte,cambiano principi in rospi: si chia-mano, in genere, rivoluzioni. E così,giunti al termine della nostra storia,assistiamo a capovolgimenti e rivolgi-menti che potremmo definire rivoluzio-nari (sempre che il Leader Maximo ciconceda questa licenza), trasformandoRegine in Badesse e servi in eroi.Il “Che” Franceschini è esaltato daisuoi recenti successi; colto da freneticotremito rivoltoso non riesce a starefermo un secondo; è tutto un disegnarestrategie militari, piani d’attacco, co-spirazioni carbonare. Il suo QuartierGenerale (così ha ribattezzato il Colle-gio Romano) è un brulicare di consi-glieri, colonnelli, spie, soprintendentiche confabulano e chiedono ordini delcapo rivoluzionario. Ma questo fer-mento rivoluzionario non tarda agiungere alle orecchie di Matteo Renzia Palazzo Chigi: la sua rabbia crescein modo esponenziale, è incontenibile,esplode. Renzi chiama il più fidato deisuoi, Luca Lotti. E’ noto, il Lotti, peressere un esecutore spietato dei voleridel Capo; fedele fino alla morte, sa-rebbe disposto a buttarsi in un pozzo(ma soprattutto a buttarci altri) perLui.“Luca, quel bischerello di Dario si èmontato un po’ troppo la testa. Tuttequeste stronzate sulle riforme lo hannoun po’ troppo ringalluzzito: selfie li-bero, turismo popular, ministero delPoder Popular! Ma che cavolo pensadi fare! Ora basta, bisogna fermarlo efargli passare il ruzzo. Vai, e sistemalouna volta per tutte; senza pietà. Biso-gna schiacciargli il capino! Capito?”.“Sì, Matteo, ma se stronchiamo Da-rietto, quelli delle Soprintendenze rial-zano il capo; penseranno di aver vintoe quelli rimangono al loro posto per unaltro secolo e mezzo. Non vorrai micasacrificare Dario e poi tenerti l’Acidinifra le scatole? E poi te lo immaginiPaolucci? Quello convince Francesco amettere i tornelli per entrare in Cittàdel Vaticano e ci fa togliere il passa-

LE SORELLE MARX

Di Tomaso Montanari questa rivista hapubblicato diversi interventi, seguito moltebattaglie, condividendone alcune e critican-done altre (come è normale che sia) masempre stimandone la ricchezza del pen-siero e l’approfondimento degli argomenti.Ci è quindi spiaciuta molto l’intervista chequesti ha rilasciato a Repubblica Firenzedopo le dimissioni di Cristina Acidini. Nonper il merito delle cose che dice sulle qualimolto si potrebbe discutere, ma per la gene-

rale euforia ed esultanza che tra-spare dall’articolo. Insomma sì peruna questione di stile. Da buonimaterialisti pensiamo che laforma sia sempre sostanza eche di fronte ad un avversario

che lascia, col sovrappiù di due inchiestegiudiziarie seppur queste siano estraneealle dimissioni, sia più elegante, efficace egiusto, non mostrare trionfo ma umano di-stacco, non iattanza ma volgere lo sguardoad un futuro da costruire. Questo non soloperché così impongono le buone maniere diuna volta, ma perché nelle umane traversiea chiunque può capitare di passare mo-menti difficili a cui non giova la gogna sullapubblica piazza. E non trattasi neanche digarantismo, attitudine che la compagniache frequenta ultimamente il nostro caroMontanari aborre, ma di una magnani-mità che non pesticcia colui (o colei nelcaso) con la quale si diverge che eleva ilconfronto e chi lo agita. Insomma quelladifferenza che passa tra Maramaldo eCroce.

Il romanzo della rivoluzione (the end)

L'opera prima di Maria Luisa Ercoli è un noir, un giallo o magari un nuovo genere chepotremmo chiamare... un rosso pompeiano. Moradea, una nota collezionista di ventagli èil personaggio principale. Moradea ricerca da anni il calco di un ventaglio che una matronapompeiana teneva in mano al momento dell'eruzione del Vesuvio. Il calco in gesso delladonna, ricoperta dalle ceneri nel 79 d.C., eseguito da Giuseppe Fiorelli nel 1865 è conservatoal Museo Archeologico di Napoli. Una foto ingiallita del 1870 la raffigura con il flabellunstretto nella mano destra, forse in un estremo tentativo di salvarsi dal gran calore. In un'altrafoto del 1896 (dopo la morte del Fiorelli), il ventaglio è scomparso. Circola voce che ilreperto sia stato seppellito insieme al celebre archeologo, addirittura la tomba viene violatain una notte del 1919, molti sono convinti che il sacrilegio sia stato attuato proprio per re-cuperare il ventaglio. Due giorni dopo questa violazione il becchino e un ladruncolo di quar-tiere vengono trovati morti, ricoperti da uno strato di gesso. Il nonno di Moradea, notocamiciaio e soprattutto trafficante di antichità sguinzaglia molti dei suoi tombaroli allaricerca del flabellum, senza fortuna. Lasciamo che i lettori scoprano l'ultima parte del ro-manzo, anticipiamo solo che il calco del ventaglio giunge a Moradea in un pacco speditoper posta nel1895 dal Fiorelli e giunto a Firenze solo il 1 marzo del 2014.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

I CUGINI ENGELSMaramaldeggiarepallidoe assorto

l’incasso”. Chiama il suo addettostampa e detta in tutta fretta la seguentedichiarazione: “Vi mostrerò i dati: ilmancato incasso del giorno festivo vieneampiamente compensato dal fatto chegli over 65 ora pagano: e poi la dome-nica gratuita costituisce un volano perfar tornare la gente anche durante la set-timana. Credetemi, vale la pena.Firmato: Dario “Robin Hood” France-schini (colui che toglie ai vecchi per dareai poverini)”.Ha appena finito di vergare il comuni-cato, che viene avvertito dai suoi dell’ar-rivo dell’infuriato Luca Lotti. Salta sullasedia, urlando: “Maledetto Sceriffo diNottingham, non avrai la mia pelle! Mirifugerò nella pineta di Freggene e lì, conpochi fedeli seguaci, continuerò la miarivolta, fino a quando non reinsedieròsul trono, ora occupato dall’usurpatorere Matteo Senzaterra, l’unico suo legit-timo detentore: re Monti Cuor di Leone.Seguitemi, miei prodi. No, non tu Ro-mano! Prodi aggettivo, non nome pro-prio di persona”. Quello che fu unambizioso rivoluzionario istituzionale siè così trasformato in un ribelle rimbam-bito che si è preso un po’ troppo sul serio.Altre gesta eroiche, forse, lo attendono:caccia agli scoiattoli, disposizione degliombrelloni sulla spiaggia, espropri pro-letari ai distributori automatici di me-rendine, e così via.

Intanto a Firenze, la Regina di tutti ibeni culturali, ormai detronizzata, rosadal rancore e ansiosa di vendetta, mostraa tutti l’altezzosa maschera della nobiledecaduta eppure fiera leonessa indomita.“Lascio il Ministero, dichiara allastampa, perché non è prevista nel nuovodisegno una posizione paragonabile allamia. Io sono unica ed inimitabile: non cisarà mai nessuno degna di me, se non iostessa. Sono storica dell’arte e continueròa farlo 24 ore su 24, senza nemmeno ap-pisolarmi un’oretta”. Un epilogo tragico,si direbbe. Eppure già si sussurra a Fi-renze che la Regina detronizzata po-trebbe assurgere a nuovo incarico:diventare assessore alla cultura a Firenzee, con i musei comunali, riorganizzarsi esferrare l’attacco finale al Ministero chein modo sì ingrato l’ha abbandonata.Un’altra trasformazione da commediagoldoniana: il nobile che prende i pannidel popolano e trama la vendetta o laperfida burla ai danni della creatura cheha contribuito a crescere.La commedia è d’invenzione, s’intende.Fatti e persone appartengono al mondodella fantasia e l’artificio letterario è ilnucleo di questa storia. Ma, si sa, non v’èrealtà che non sia stata, un tempo, uto-pia fantastica.

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lizzazione di Sorgane, alla fabbrica Goti aCapalle.I suoi lavori hanno sempre suscitato oforti consensi o froti dissensi. Non era unuomo da “mezze misure”. “Ogni volta chericevo un incarico verifico se c’è spazioper inserirvi qualche elemento di innova-zione, di rivoluzione” erano le sue parole.E si comprende da qui anche il senso dialtre sue parole” se dovessi scegliere fraLeon Battista Alberti e Filippo Brunelle-schi, sceglierei Brunelleschi”. Leon Battista Alberti l’uomo della ra-gione e della “misura”, l’uomo del rinasci-mento maturo e Brunelleschi losperimentatore, l’uomo dell’innovazione.E Ricci ha sempre lavorato su una fortesperimentazione. anche, quasi in “com-petizione” con Brunelleschi, nella ricercadi una nuova centralità, non solo visiva,oltre la Cupola; di una nuova “forma”contemporanea che affiancasse l’iconadella città. E’ da qui, e anche dalla consapevolezzache questa nuova centralità non potevache essere data da una funzione pubblica,forte e centrale nella vita collettiva e so-ciale della città, che nasce l’idea del Pa-lazzo di Giustizia. Una giustizia forte etrasparente come “era” il suo palazzo.E nell’idea di nuove centralità (sulla stessascia di pensieri si inserisce il progetto perla “terza Porta” in piazza della Libertà)sta la sua idea di urbanistica, fatta di coseconcrete, di nuove centralità appunto. Edi innovazioni lessicali e progettuali.Ebbe a dire una volta: “ Trovo giusto chesi abbia cura del passato ma una cosa èconservare un’altra è mummificare. Spen-diamo molti soldi per conservare e re-staurare senza preoccuparci di dare unafunzione credibilee vera all’oggetto dellenostre cure. Penso alla basilica romanache, da luogo di scambio si è fatta, conl’era cristiana, luogo di culto, trovandocosì una ragione autentica per continuaread esistere. Questa è vera conservazione

perchè la vita continua a circolare. Parole non molto diverse dalle afferma-zioni di Ranuccio Bianchi Bandinelliquando, in relazione alla disputa sullaricostruzione delle parti della città di-strutte dalla guerra, affermo di avere il“ diritto di vivere entro città vive, entrocittà che seguono l’evolversi della nostrastoria” e di non voler essere “ custodi diun museo, i guardiani di una mummia”.E’ in questa ricerca continua, in questaconsapevolezza della necessità del mu-tamento che si ritrova la sua continua

giovinezza.Disse di lui Giovanni Michelucci ri-guardo al progressivo distacco dal suo al-lievo: “ Ho cercato di individuare inognuno, ed in te in particolare, quali fos-sero quegli elementi di diversità, rispettoai miei punti di vista, capaci di favorire losviluppo di una nuova identità. Di frontea questa tua perosnalità, a questa sua sor-prendente giovinezza, non avrei potutofare altrimenti”.Quella stessa giovinezza che metteva nelgiocare a pallone con gli studenti nel cor-tile di san Clemente o nell’affrontare itemi più complessi con la caparbietà el’entusiasmo di un ragazzo.Ha ragione Adolfo Natalini che lo definì“eroico e sanguigno”.

di John Stammer

Venezia era stata, negli ultimi annidella sua vita, la sua città, dopo ildistacco dall’insegnamento e lasua uscita da Firenze.

“E’ morto come un antico guerriero”disse allora la sua compagna Pucci.Era nato nel 1918 e si era laureato in ar-chitettura a Firenze nel 1942 con Gio-vanni Michelucci.Ricci era stato sempre un guerriero, fortee leale, ispido e a volte difficile, come chiha convinzioni e certezze, e continua-mente lo dimostra.La presenza di Leonardo Ricci, insiemea Ludovico Quaroni, Edoardo Detti emolti altri maestri dell’architettura e del-l’urbanistica italiana, segna il momento dimaggiore prestigio della Facoltà di Archi-tettura di Firenze. Ricci è parte fonda-mentale di quella esperienza, prima comeprofessore ordinario di Urbanistica e poicome preside dal 1971 al 1973Anni molto caldi e di grande fermentonei quali Ricci non si è mai risparmiatoné come persona, né come preside nécome docente. Poi dopo i primi anni settanta il suo di-stacco e il suo “ritiro in convento” comedirà. Un distacco non in sordina ma po-lemico tutto incentrato sulla incapacità,secondo lui, della Facoltà di Architetturadi una azione formativa adeguata alle esi-genze dei tempi.In una sua intervista dirà:“In questo momento l’Università nonpuò formare un architetto. La dimostra-zione è che che io ho lasciato la cattedra.Nella facoltà è praticamente impedita laricerca. La ricerca deve farsi in corporeviro ma la città, che è il vivente della ri-cerca architettonica non ha alcun rap-porto né con le amministrazioni, né conle istituzioni, né con la stessa popola-zione”.Sperimentare, intervenire e modificare.Era questo il modo che Ricci aveva di in-tendere il lavoro, la vita sociale e civile. Unimpegno continuo. Sta in questa sua con-vinzione, in questo modo di porsi davantiai progetti, la profonda eticità del suo la-voro. Ricci era un uomo e un architettoprofondamente etico. La sua caparbietàe il suo rigore sono le cifre del suo essereetico. Durante il periodo del suo “ritiro” Ricciriprende il lavoro e rinsalda i suoi rapporticon le facoltà americane. Insegna alla Flo-rida University e nel Kentucky alla facoltàdi Architettura di quello Stato.Riprende anche a dipingere recuperandoun suo vecchio amore che lo aveva por-tato ad esporre a Parigi insieme a Picasso,Matisse e Giacometti alla galleria Loeb eal Salon de Mai.Riprende anche i suoi rapporti con lacittà di Firenze, per la quale aveva semprelavorato, con il concorso per il Centro Di-rezionale del 1977.Ricci ha sempre avuto, nel suo lavoro, Fi-renze come un riferimento fisso. Dal con-corso per la ricostruzione del ponte allaCarraia, a quello per la ricostruzione dellearee, distrutte dalle bombe naziste, in-torno a Ponte Vecchio, e poi con i progettiper la ricostruzione del ponte San Nic-colò, al Villaggio di Monterinaldi, alla rea-

PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ

annisenza

LeonardoRicci

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Mezzo secolo di trame e di in-trecci. All’inizio erano lavorilenti e meticolosi, con de-cine di ricamatrici intente

per giorni su uno stesso pezzo di stoffa;oggi invece ci sono macchine velocis-sime che crepitano battendo più di millepunti al minuto e che sdipanano in un at-timo interi rocchetti di fili colorati. Ma lemacchine moderne, le addette in camicebianco con penna e righello nel taschino,l’ambiente asettico e luminoso non deb-bono trarre in inganno. Qui alla LadyPiega ancora si lavora con l’attenzione diun tempo. La ditta, che è oggi appenafuori del centro storico di Castelfioren-tino, situata al piano terra di una mo-derna e gradevole palazzina di cementoarmato circondata da un giardino concerti pini altissimi e vasi di fiori qua e là,gode infatti di un suo prestigio. È una diquelle aziende che testimoniano comel’antica e nobile arte del ricamo, puravendo dovuto pagare un tributo allameccanizzazione e alle nuove e più sofi-sticate tecnologie, non abbia per questocessato di essere una attività artigianale,almeno in questa azienda. Perché qui cisi ferma su ogni pezzo per valutarne qua-lità e compiutezza, per aggiungervi qual-cosa che manca o per togliervi ciò che ègiudicato in eccesso. D’altra parte ancheil clima che si respira in fabbrica è quellodi una impresa artigiana nella sua formapiù tipica: ogni rapporto è personale, di-retto, informale; anche se ciascuno tienemolto alla sua specializzazione, ed ha isuoi compiti da svolgere come il me-stiere richiede. D’altra parte è essenzialeche il lavoro sia fatto a regola d’arte, per-ché se così non fosse una ditta comequesta non sarebbe sopravvissuta; la suaforza, la sua capacità di resistere oggi allacrisi che attanaglia il paese, risiede so-prattutto nella qualità delle sue lavora-zioni, nella capacità di competere, peresempio, con i laboratori dei cinesi diPrato, o con i prodotti che arrivano dal-l’estero dalle ditte che hanno furbamentedelocalizzato. Ma la Lady Piega è solidae si accinge a tagliare con un certo orgo-glio il traguardo dei cinquant’anni di vita. In fabbrica oggi ci sono al lavoro unaquindicina di persone tra operai e addettiall’area della progettazione, più i due gio-vani proprietari, Salvatore e Carmela, ifigli di Sabino, il fondatore e per decenni,fino alla sua repentina scomparsa pocopiù di un anno fa, indiscusso patrondell’impresa. La Lady Piega – un nomeche oggi a molti può suonare singolare –nacque a metà degli anni Sessanta,quando Sabino Suppa allora quaran-tenne (pugliese d’origine, ma di cuore esentimenti fortemente legati alla To-scana dove era arrivato che era poco piùdi un bambino) acquistò una macchinaricamatrice tedesca, una Zangs, tra le mi-gliori che ci fossero allora, con la quale sipotevano fare alcune lavorazioni speciali.All’inizio non sapeva bene che cosa sa-rebbe accaduto mettendosi in questa im-presa, anche perché qualcuno tra i suoiamici che lui avrebbe voluto coinvolgerenella costituzione dell’azienda, si tirò in-

Mezzosecolointreccidi

tenimento della famiglia; poi, comespesso accadeva, insegnò il mestiere allafiglia Milena la quale, ad un certo punto,cominciò pure lei a darsi da fare, ma im-pegnandosi non solo nella piegaturadelle stoffe, quanto anche con la mac-china da cucire e diventando moltoesperta con il telaietto per il ricamo co-siddetto ‘a giornino’. Plissettare e rica-mare erano due attività remunerative ela moda degli anni Trenta richiedevaquel tipo di prodotti e in zona, nell’Em-polese, c’erano molte fabbriche che pro-ducevano abbigliamento e con le qualiera possibile avere rapporti di lavoro.Di “distretto industriale” ancora – ov-viamente - non si parlava; la definizionenon era stata ancora coniata, ma la co-siddetta fabbrica diffusa era già nellecose. D’altra parte la vita economica èsempre stata più poliedrica e elastica diquanto comunemente non si pensi, e levarianti che vi entrano in gioco sono in-finite, come capita nella vita delle per-sone. Tant’è che le storie aziendali, leprosopografie di fabbrica, somiglianograndemente a quelle degli uomini espesso quasi si identificano con quelledei loro fondatori. Certo non si può direche il principio di identificazione tral’imprenditore e la sua azienda sia sem-pre alla base del suo successo, ma allaLady Piega è stato sicuramente così. LìSabino è stato, al tempo stesso, il conti-nuatore di una tradizione e il suo inter-prete innovativo, e la storia della suafabbrica ha finito con il correre in pa-rallelo con quella della sua vita. Il mer-cato gli ha certo imposto di cambiare, latecnologia gli ha dettato del pari le sueregole, ha preteso spazi e localizzazioninuove, ma la Lady Piega è sempre statail prodotto del suo lavoro e di quello deisuoi operai (nel decennio 1980-90 sonoarrivati a una trentina), qui nessun tec-nocrate ha mai dettato regole o impostosoluzioni. Certo egli ha assistito all’ul-tima metamorfosi della sua ditta, al tra-monto delle vecchie macchine chefunzionavano con le schede perforate eal sopravanzare di quelle elettroniche.Sabino ha seguito e guidato fino all’ul-timo questa trasformazione, senza con-sentire tuttavia che essa sacrificassedegli uomini e comprimesse la creati-vità e l’artigianalità dei suoi operai e deisuoi tecnici, anzi. Dalla metà degli anniOttanta proprio la programmazioneelettronica ha snellito certi lavori e haconsentito alla ditta di non produrre piùsoltanto su commissione, ma di pro-porre soluzioni frutto dell’inventivitàdei suoi designer. Certo, guardando alladistribuzione odierna degli spazi nellafabbrica, si vede bene che l’anima del la-voro artigiano si è allontanata dallagrandissima sala dove crepitano le mac-chine e dove si accatastano le lavora-zioni, e si è trasferita nelle stanze dellaprogettazione che sono diventate ilcuore dell’azienda. Ma è stata una tra-sformazione che ha aumentato la di-mensione creativa della Lady Piegadove il tempo delle macchine si è com-binato - meglio sarebbe dire ricombi-nato - con quello dell’artigiano, e lasimbiosi ineliminabile tra l’artefice e isuoi strumenti si è mantenuta.

C’È VITA IN ITALIA

di Roberto [email protected]

dietro all’ultimo istante. Sabino però nondemorse anche perché, e forse a diffe-renza di tutti, aveva dalla sua una note-vole e soprattutto duplice esperienza. Dapiù di dieci anni faceva sia il tecnico cheil rappresentante di macchine da cucire– della ditta Necchi di Pavia - e grazie aquel lavoro egli sapeva bene non soloquali fossero le potenzialità dell’innova-zione tecnica che in quegli anni si pro-spettava, ma conosceva luoghi epersone; aveva tenuto rapporti diretti econtinui con quasi tutte le ditte dell’ab-bigliamento dell’empolese, e gli erachiaro nella mente che in quel settore erain atto un cambiamento formidabile. Mail network sociale non spiega mai tutto.Infatti le ragioni della scelta di mettersiin proprio nascevano anche da spinte di-verse e più profonde: dalla sua indole na-turalmente disposta alle novità e,soprattutto, dall’influenza ricevuta dallafamiglia di sua moglie Maria, una fami-

glia che da quasi un secolo basava la suaeconomia proprio sull’attività della plis-settatura e del ricamo. Fu da quell’entou-rage che con ogni probabilità gli vennerole suggestioni più profonde, quel sottilee evanescente bagaglio di suggestioni eoutillage, quella consapevolezza che la-vorare in proprio necessita di senso dellamisura e di concretezza, di capacità difare, non meno che di spirito di avven-tura. Era stata Isola Conforti, la bisnonnadella moglie che nel 1887, avendo biso-gno di lavorare, aveva decise di impe-gnare quasi tutto quel che avevarisparmiato - cinque lire, erano all’epocauna cifra ragguardevolissima - per andarea Roma nel laboratorio di un sarto ebreospecializzato nella piegatura delle stoffe,cioè nella plissettatura, che in queglianni era molto richiesta. Isola cominciòcosì a lavorare piegando le stoffe concerti pesantissimi ferri da stiro e cartonisagomati ad hoc, contribuendo al man-

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.com sabato 27 settembre 2014no92 PAG.7C.com OCCHIO X OCCHIO

LisetteModel

di Danilo [email protected]

Elisa Amelie Felicie Stern–Sey-bert (più nota come LisetteModel) nasce a Vienna nel1901, studia musica con Arnold

Schoenberg, si trasferisce a Parigi nel1924 per studiare canto, e qui incon-tra il pittore Evsa Model, che sposerànel 1937. Nel 1933 abbandona la mu-sica e comincia a studiare le arti visivecon André Lothe (lo stesso maestrodi Henri Cartier-Bresson) e pratica lafotografia con la sorella Olga. Nel1934 realizza le sue prime immaginiimportanti a Nizza, sulla Promenadedes Anglais, fotografando semplice-mente i passanti, ed entrando così inmaniera prepotente fra i maestri della“street photography”. Si tratta di ri-tratti potenti, scattati di nascosto, inmaniera discreta e senza la minimapartecipazione da parte dei perso-naggi fotografati. Queste sue primeimmagini le aprono la porta ad unacarriera che non conosce soste o esi-tazioni. Nel 1938 abbandona la Fran-cia per raggiungere la sorella a NewYork, dove si associa alla Photo Lea-gue, inizia la collaborazione con al-cune riviste di moda, e vende le sueprime immagini al Museum of Mo-dern Art nel 1940. Nel 1948 viespone le sue foto insieme ad HarryCallahan, Bill Brandt ed altri, e nel1951 viene chiamata ad insegnare allaNew School for Social Researchesdove già insegna Berenice Abbott. Damaestra della “street photography”,genere che continua a praticare inmaniera sempre più decisa nellestrade di New York, diventa una veramaestra di fotografia. Il suo insegna-mento si basa sulla convinzione cheniente in fotografia è più importantedel “soggetto”, ovvero del personaggiofotografato, e che non si deve maiscattare una foto se non si è realmenteed appassionatamente interessati adesso. Fra i suoi allievi vi saranno fo-tografe come Diane Arbus ed Eva Ru-binstein, alle quali riuscirà atrasmettere il proprio entusiasmo e lapropria filosofia. Le ampie prospet-tive e l’ambiente di New York stimo-lano in maniera ancora più pressantel’interesse visivo di Lisette, che aiprimi piani dei personaggi più carat-teristici comincia ad affiancare i ri-flessi delle scene di vita urbanacatturati nelle ampie vetrine, dove ilmondo esterno e quello intravisto intrasparenza si accavallano, si som-mano e si fondono in maniera unpoco surreale. Nello stesso tempo isuoi personaggi acquistano più spes-sore, non sono solamente delle figurecaratteristiche che incuriosiscono ofanno sorridere, come quelle che po-polavano la Promenade di Nizza, maassumono un carattere tragicomicoche dietro le smorfie o le deforma-zioni del volto o del corpo mostranoi segni di un disagio esistenziale e diun malessere interiore. Il suo modo difotografare istintivo, audace e diretto,genera delle immagini forti, impie-

tose, ma allo stesso tempo cariche di umanità. Le sue immagini non sonomai degli sguardi distaccati sulla realtà, non sono mai una elegante rap-presentazione del mondo, e soprattutto non sono delle composizioniequilibrate e piacevoli. Come non si stancava di ripetere ai suoi allievi,non si deve fotografare con gli occhi ma con le viscere. Altrettanto ap-passionata nell’insegnamento come nella constatazione del mondo edella gente che lo abita, Lisette Model continua ad insegnare fino allasua morte, nel 1983.

Photographyis the easiest art,

which perhapsmakes it the hardest

Fotografae maestra

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.com sabato 27 settembre 2014no92 PAG.8IN RICORDO

nonostante la messa a punto di guide-lines (schemi direttori e progetti -norma), a quel Piano mancò l’anima.E Prato perse l’occasione per diven-tare – soprattutto lungo l’area della“declassata” - quella città moderna acui era vocata, avendo tanto più po-tenziale coraggio di altre realtà ita-liane.

Se ne è andato Bernardo Secchi(1934), una delle figure piùapprezzate della cultura urba-nistica degli ultimi decenni.

Lontano dalla retorica e dall’astrat-tezza che caratterizzava non pochi“pianificatori”, Secchi, come il bravoindimenticabile De Carlo, si ricondu-ceva a quella tipologia di “tecnici-umanisti”, come furono ancheLudovico Quaroni e Edoardo Dettiche hanno fatto apprezzare la disci-plina nel nostro Paese. Bernardo Sec-chi incarnò al meglio la transizionetra la vecchia urbanistica, alla Chiodi(l’urbanistica tecnica) e le nuove pro-spettive della “pianificazione territo-riale”. Ma a differenza di altri, percultura e per particolare personalità,ebbe sempre presente il rapporto conl’architettura . Ai primi anni ‘80 fu talvolta presenteanche nelle aule di San Clemente, allaFacoltà di Architettura di Firenze,assai seguito da studenti e colleghi.Fra il 1993 e il 1996 ebbe l’incaricodel Piano Regolatore di Prato, in unastagione di riassetto normativo delleleggi regionali. In quella occasione in-staurò un metodo di lavoro “sulcampo”, che raccolse nel volume “Unprogetto per Prato” (senza riuscire aresistere dal chiamarlo “laboratorio”).Pur riconoscendo la correttezza dimetodo e la lealtà di approccio con lacomplessa realtà pratese, non possonon riprendere ciò che ebbi ad espri-mere allora: che all’articolazione per“sistemi” (ambiente, mobilità, resi-denza, produzione, luoghi centrali), e

di Francesco Gurrieri

Bernardo Secchi

di Franco [email protected]

Questo è un compianto, per lascomparsa di Gennaro Oriolo, ra-pido, in punta di penna.Quando Gennaro cominciò a pub-blicare i suoi versi decise di rivol-gersi a me per l’introduzione al libro.Volentieri accettai per l’antica amici-zia per avermi ospitato a insegnarepoesia nelle sue Scuole, dove appresil’alto valore morale e culturaledell’Uomo, con la U Maiuscola, cheora ci ha lasciato e del quale, perquanto concerne la sua presenzaoperosa nella società, al di fuoridella scuola, lascio la parola ad altri.Dal momento che affidò a me ilcompito di parlare di lui poeta, ri-porto qui un mio stralcio critico:“Gennaro Oriolo è un ulisside dellapoesia, un “archivista” che molto haletto e molto ha navigato anche neiflutti della vita prima di intrapren-dere l’altro viaggio fatto, come ilprimo, di “meditate fughe e taciti ab-bandoni”, come recita il titolo del-l’opera. Non a caso, in exergo, riporta quat-

PIANETA POESIA

tro versi di Mario Luzi, (Un raggios’affatica, le catene/ si smagliano; lelacrime discese/per le rughe ripor-tano le pene/dei tormenti lontani,delle offese) in cui si conferma la vo-cazione dell’ulisside per quel “rag-gio” (faro) nella tenebra, per quello“smagliarsi di catene” di chi segue“virtude e conoscenza”, per quelle“lacrime” che discendono lungo “lerughe” dell’uomo e del tempo.In sintesi, le parole, le cose, il segretointridersi di sentimenti e ragioni inun discorso urgente e proprio per

questo sottoposto al fluido ma sa-gace divenire delle forme, l’ascoltodella storia in un farsi individualeche a questa si apre. Questi e moltialtri possono essere i percorsi di let-tura di un’opera prima, frutto diamore per la poesia, maturato neglianni e infine rivelatosi in tutta la suapienezza .Per questo amore, Oriolo sa chescrivere significa innanzitutto leg-gere, conoscere il mondo della poe-sia attraverso l’uomo e l’uomoattraverso lo strumento della poe-

sia.”Rivedo ora come quelle “la-crime” che discendono lungo“le rughe” dell’uomo e deltempo, che Gennaro avevaposto a epigrafe del libro,esprimano appieno il senti-mento profondo, vorrei direcelato, che ha accompagnato lasua presenza civile nella polis.Ed è con questa ferita pro-fonda, che è/ha spesso la vita,che Gennaro, fra le righe dipoeta versatile, ci ha salutato.Dedico a lui questa mia testi-monianza.

Addio, grande uomo e poeta certo

Un grande cuore

Ognuno di Gennaro avrà un ricordodiversoperché Gennaro era un grande cuoreed ora che è tornato nella pulvisdell’universoda cui si nasce ed anche vi si muore

dentro ognuno Gennaro non siaperso.A me rimane l’amico Professoreche nella scuola dava spazio ai versi,ai versi fatti da universo amore.

È ancora lì, al tavolo della Presidenzacon le tabelle delle classi doveandavamo a far vivere la Poesia

come umana, dolcissima Presenza.Poi fu Poeta e visse di altre provema fu sempre Maestro lungo la Via,

altri può dire, altri dovrà narraredi un grande cuore e cosa seppe dare.

Ingegnereumanista

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.com sabato 27 settembre 2014no92 PAG.9C.com GALLERIE&PLATEE

di Claudio [email protected]

Il cosiddetto “mondo dell’arte”, la cuiconsistenza si dilata e si restringe conaffiliazioni e tradimenti dell’ultimaora, sembra vivere su di un binario

parallelo a quello della vita ordinaria dellamaggioranza, ma, proprio per questo suorimanere come sospeso, questo mondoosserva l’altro, al quale sempre tende epur non incontrandolo mai, le personeche ne fanno parte lanciano continui eimpalpabili segni, simili a quelli delle apiche tornando al proprio alveare lascianocadere piccole particelle del polline rac-colto che non sempre va sprecato. I motivi delle appartenenze ai due mondipossono essere molteplici, oltre a quellievidenti nelle rispettive falangi e compa-gini ovvero l’amore per l’uno e l’indiffe-renza per l’altro. Naturalmenteesistono e convivono diverse gradazionie intermittenze in conseguenza dell’ini-zio dell’amore o del perdurare dell’indif-ferenza. Molte persone trovano la vita “vera” consuo bagno di realtà, ineludibile e la con-tingenza o più semplicemente la routinenon permettono evasioni centrifughe. Inquesto caso il centro di gravità occupatodal quotidiano non lascia molto spazio adinteressi diversi, per esempio una inaugu-razione ad una vernice alla quale si è statiinvitati, può essere occasionalmente pre-ferita ad una sessione di Pilates, ma lacosa non lascia, poi, segni se non di vagaironia. La parte propriamente mondana dell’arteè limitata ad eventi ristretti nelle occa-sioni cosiddette che contano, o allargatis-sima e pertanto popolare come la recenteinaugurazione a Firenze del Museo delNovecento dove gli invitati erano mi-gliaia e comunque ciascuno convinto delfatto suo. L’atteggiamento supponentedei non addetti ai lavori è un ostacolouguale e contrario all’ubbidienza ai ritualidegli appassionati. Andare ad una perfor-mance, in periferia, magari in un campodismesso dove alla musica registrata disuoni propagati da un alveare morente,un giovane artista, come segno incontro-vertibile di una prossima apocalisse,passa una lucidatrice sul prato, è assolu-tamente da evitare, se possibile, come lasuccessiva replica in un locale tempora-neo (Temporary Gallery), come di modaoggidì, con la lucidatrice, però, riprodottain bronzo, il resto invariato, anche l’erba.Parimenti un pomeriggio domenicale aiGigli o a Montecatini, dove mi dicono es-serci i negozi aperti, è forse addiritturapeggio. Per il popolo risulta difficile immaginaredi non trascorrere il tempo libero in unasituazione ormai codificata (e rassicu-rante) dove tutto ruota intorno al cibo eal comprare qualcosa, fosse anche unafettuccia di grosgrain in una merceria dipiazza Dalmazia. Le strade cittadine sonooramai attrezzate come un supermercato,con le vetrine dei negozi al posto degliscaffali, quindi le azioni eroiche sono li-mitate e sottolineate dal non fare, nondalla vera azione, per esempio, si può noncomprare una marca di pomodori e cer-care l’affermazione in non stessi com-

prandone un’altra, io personalmente inquesto mi sono realizzato comprandoPomodori Pomilia. E’ difficile lo scambio tra i due mondi, ra-dicati come sono nelle loro reciprocheabitudini, direi, per imparzialità, egual-mente autoreferenziali, in un consumo si-mile di oggetti diversi. Sicuramente fra imiliardi di persone al mondo ci sarannosicuramente quelli che si divertono inbarba alle due categorie. Ai fans incerti di entrambi gli schiera-menti cosa consigliare? Da una parte dinon sfornare lavori che per essere capitidebbano essere spiegati attraverso la nar-razione di episodi della vita dell’artista(quando avevo 12 anni, narra l’artista,mia madre mi mandò a comprare le uovaal negozio sotto casa, ma nonostante leraccomandazioni sulla fragilità dell’acqui-sto e della concentrazione da mantenere,troppo sicuro considerando il compitofacilissimo, e con l’aggravamento del cre-puscolo imminente che mi impediva divedere correttamente, caddi, facendomi

male e rompendo il fagotto con le uova.Il dolore non fu niente a paragone dellaprofonda delusione nel constatare il fal-limento della commissione, ecc ecc ….Conseguentemente su questa avventurarealizzai, successivamente una volta di-ventato artista,  una installazione congrosse palle di vetro trasparente e cilindridi acciaio cromato alti due metri con ioche mi aggiravo nello spazio con unamazza di legno fracassando le sfere e pic-chiando invano sugli indistruttibili cilin-dri). Gli artisti si seccano moltissimo se glispettatori (comunque rari) non capi-scono subito come stanno le cose e allorademandano ai critici di spiegarli. Quindi se avete fortuna, si fa per dire, ead una mostra vi mostrate interessati, vipotrà capitare che un critico d’arte vispieghi come stanno le cose ed allora ini-zierà cosi: “deve sapere, caro signore, chequando l’artista aveva 12 anni, una serasul fare della sera…” Agli altri di andare (velocemente, chiudeil 12 di ottobre, prossimo) a vedere unamostra in un luogo sperduto, in provinciadi Lucca sulle colline di Vorno dove c’èuna fattoria che si chiama “dello Scompi-glio”, con un fabbricato dedicato alleesposizioni di arte contemporanea, doveadesso espone un’artista giapponese,Chiharu Shiota, che con un filo di lananera ha costruito un enorme bozzolo,tendendolo come un baco da seta o piùpropriamente come un delicato uccel-lino, in modo rettilineo e geometrico aformare uno spazio veramente gigante-sco per farlo divenire un luogo magicodove il nostro corpo perde consistenzaper assumere quella della complessastruttura, che risulta la casa dove, senzapiù materialità, desidereremmo vivere.La mostra di Chiharu Shiota si intitola “ALong Day (2)” ed è curata da FranziskaNori, presso Tenuta dello Scompiglio, v.di Vorno 67/b Vorno, Capannori (LU).Immagini della mostra di Chiharu Shiota, A Long Day (foto di Claudio Cosma)

Il filo di lana neradi ChiharuShiota

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LUCE CATTURATA

di Alessandro [email protected]

MUSICA MAESTRO

Non sono molti gli strumenti che por-tano il nome del proprio inventore. Generalmente sono stati ideati nel se-colo scorso: pensiamo al theremin, unodei primi strumenti elettronici, ideatonel 1919 dal russo Lev SergeyevichTermen (poi anglicizzato in There-min). Ma il più diffuso è sicuramente ilsassofono, inventato da Antoine-Joseph(meglio noto come Adolphe) Sax.Quest'anno ricorre il secondo centena-rio della sua nascita.Figlio di un fabbricante di strumenti,Sax nasce a Dinant (Belgio) il 6 novem-bre 1814, primo di 11 fratelli. La citta-dina sulla Mosa fa ancora parte dellaFrancia: il Belgio nascerà soltanto nel1830. Pochi mesi dopo l'intera famiglia si tra-sferisce a Bruxelles. Il ragazzo lavoranella bottega del padre, dove costruisceclarinetti, flauti e altri strumenti. Inquesto modo sviluppa un forte inte-resse per la musica: a 14 anni si iscriveall'École royale de musique, dove seguecorsi di solfeggio e di flauto. Quindi ini-zia a studiare il clarinetto sotto la guidadi Valentin Bender. Nel 1835, all'Esposizione nazionale diBruxelles, presenta per la prima voltauna propria creazione: si tratta di unclarinetto a 24 chiavi.

È questo lo strumento che lo interessapiù di ogni altro. Negli anni successivicontinua a studiarlo. In questo modonota che il suono degli ottoni tende acoprire quello dei legni, che a loro voltafanno lo stesso con gli archi. Quindi ca-pisce che è necessario creare uno stru-mento capace di realizzare unequilibrio fra le tre sezioni. Il suo suonodeve situarsi a metà fra il clarinetto e latromba: è così che nel 1841 nasce ilsassofono. La sua struttura deriva daquella del clarinetto basso, mentre ilmateriale usato per costruirlo è l'ot-

tone.Un anno più tardi Saxsi stabilisce a Parigi,dove conosce HectorBerlioz. Il composi-tore, interessato a so-norità insolite, descriveentusiasticamente ilnuovo strumento sulJournal des Debats.Non solo, ma è ilprimo a utilizzarlo inuna composizione(Chant Sacré, 1843).Nel 1846 Adolphe Saxriesce a tutelare la pro-

pria invenzione con un brevetto di 15anni. Nel frattempo altri costruttori distrumenti, mossi dall'invidia, cercanodi contrastarlo costruendo strumentianaloghi. In questo modo Sax è co-stretto a lunghe battaglie legali per riaf-fermare la paternità dell'invenzione. Lespese che deve sostenere lo costrin-gono al fallimento. Innovatore instan-cabile, non si dà comunque per vinto.Negli anni successivi modifica varievolte il sassofono e crea altri strumenti.La sua invenzione si impone nelle or-chestre da camera, ma è nelle bande

militari che trova larga diffusione. Nel 1873 l'inventore fallisce nuova-mente, dopodiché le sue condizionieconomiche si fanno sempre più preca-rie. Muore a Parigi nel 1894.Nel Novecento, e in particolare dopo lafine della Seconda Guerra Mondiale, lasua creazione si diffonde a livello mon-diale grazie al jazz. Si affermano igrandi solisti che oggi associamo allostrumento: da Archie Shepp a JohnColtrane, da Anthony Braxton a Ste-fano Cantini. In questo panorama tro-viamo anche molte donne, fra le qualiYolanDa Brown, Trisha Clowes e Bar-bara Thompson. Lo strumento si dif-fonde anche nel rock: basti pensare agruppi come Colosseum, King Crim-son e Roxy Music. Nel 2014 il bicentenario della nascitadi Sax viene celebrato con numeroseiniziative, prime fra tutte la bella mo-stra Sax 200 in corso al Musée des in-struments de musique di Bruxelles.L'esposizione, alla quale ha contribuitoil Musée de la musique di Parigi, resteràaperta fino all'11 febbraio 2015. Chinon può visitarla dovrebbe almenoprocurarsi il catalogo, pubblicato daPerron (www.perron.be).

L’uomo che fece suonare il vento

di Ilaria [email protected] Città d’acqua Lucca San Martino

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dosi in una azione scenica, una per-formance artistica. Sei giorni di aper-tura del varco montaliano della Casadei doganieri operata da poeti, scrit-tori musicisti, architetti, attori hannoreso viva la memoria di questo luogoantico realizzato alla fine del XIV se-

colo, eppure negletto al resto dellacittà per tanti anni. E così si è co-struito un luogo nuovo-antico, ilChiostro delle Geometrie, un pezzodi città metropolitana incastonata nelcuore antico della città storica. Cittàmetropolitana che si racconta, o me-

glio si cerca, nel testo di Enzo FilenoCarabba, “La signorina Metrò” lettoda Patrizia Schiavo. Le geometrie delchiostro sono state dalla luce che hascolpito elementi naturali e architet-tonici nell'installazione di Cauteruc-cio, “Trees and places”. Rimettere incomunicazione parti di città, centralie metropolitani (noi e gli altri, an-cora), aprire varchi nei muri di solitu-dine di cui sono costruite le nostrecittà contemporanee è già un vastoprogramma a cui, sempre più, sem-brano essere preposti gli artisti; inuna inedita alleanza con gli architettioggi, forse, chiamati tanto a deco-struire quanto a (ri)costruire.

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L’ultimo demolito fu nell'Ot-tantanove, a Berlino. “La finedella Storia” disse uno; “unnuovo ordine mondiale”

proclamava un altro. Ma poi, da al-lora, si è ripreso ad erigerli, i Muri;quelli che separano “noi” dagli “altri”,i “buoni” dai “cattivi”. Muri per “pro-teggere” noi da voi: così quello cheper chilometri attraversa la Cisgior-dania, ma anche quello lungo il con-fine degli Stati Uniti dal Messico oquello fra Spagna e Marocco. Muriche interrompono una comunica-zione, una possibilità di mescolarsi,che sarebbe destabilizzante perché cirivelerebbe uguali gli uni agli altri, ep-pure meravigliosamente diversi. Così,dopo la demolizione dell'Ottanta-nove, sono tornati ad innalzarsi Muri:demolirli sarebbe la pre-condizioneper tentare un dialogo, costruire unaconvivenza fra parti diverse, la nuovapiazza Annigoni e il complesso diSanta VerdianaDal 20 settembre scorso, Teatro Stu-dio Krypton e Facoltà di Architetturadi Firenze hanno iniziato un'opera di“Demolizione” di un muro per ricu-cire, rimettere in comunicazione duepezzi di città a Firenze separate da de-cenni, la nuova piazza Annigoni dalcomplesso di Santa Vediana. E, comea Berlino, insieme alla gente del quar-tiere sono gli artisti ad accompagnaree a produrre questa demolizione rico-struttiva. L'abbattimento fisico el'apertura di un varco è avvenuta sottola sovrintendenza di Giancarlo Cau-teruccio, il prof. Carlo Terpolilli e aglistudenti di architettura trasforman-

SCENA&RETROSCENA

di Simone [email protected]

Igna

zio

Fres

u

Un altro muroè caduto

a cura di Aldo [email protected]

ICON

La GAMC di Viareggio (Palazzodelle Muse - Piazza Mazzini) in colla-borazione con BAU associazione cul-turale presenta il nuovo numero dellarivista/laboratorio BAU Contenitoredi Cultura Contemporanea, una dellepiù originali e significative pubblica-zioni d’artista attive oggi in Italia.Dopo le prime dieci “scatole” in tira-tura di 150 copie, prodotte nel for-mato UniA4 con lavori in prevalenzabidimensionali e su carta, BAU Un-dici A3D è uno speciale numero cheraccoglie, in un cofanetto formatoUniA3 su progetto grafico di Gumde-sign, ben cinquantatre opere originaliin tre dimensioni (micro-sculture, og-getti poetici, tracce d’affezione) di al-trettanti autori internazionali, più unopuscolo redazionale con testi di noticritici d’arte e direttori di musei qualiValerio Dehò, Duccio Dogheria, Pa-trizio Peterlini, Marco Pierini, Mauri-zio Vanni, Alessandro Vezzosi. BAUha coinvolto, in undici anni di attività,oltre seicento partecipanti da trentanazioni operanti nelle più diverse di-scipline. Alcuni autori di BAU A3D

saranno presenti alla GAMC di Via-reggio sabato 27 settembre (dalle ore17.00 alle 19.00) con performance,azioni poetiche, proiezioni e installa-zioni temporanee. L’incontro, a curadella redazione BAU, sarà introdotto

dalla dott.ssa Alessandra BelluominiPucci e presentato da Vittore Baroni,Antonino Bove e Luca Brocchini.Intervengono: Paolo Albani - Poesiain formato nuovo, azione poetica,Vittore Baroni - 3Diorama, installa-

Bau in 3D

zione, Alessandra Borsetti Venier -Libri improbabili, performance, An-tonino Bove - Dialogo in punta dispilli, installazione, Jakob De Chiricoe Sieglinde Holzknecht Gufler - LesChamps Magnetiques - André Bre-ton, performance, Beatrice Gallori -Human Crisis, performance, ManuelaMancioppi - Abiti relazionali, perfor-mance, Emanuele Magri - MiniMini-mal, video, Massimo Mori - Philovox:il  tridimensionale riportato dalla lucee dalla voce alla planimetria d’unascrittura mobile, performance, Anto-nio Noia - Libro Balla, installazione,Angelo Pretolani - Infondere o per-dere vita, installazione, Stefania Scro-glieri - BAU A3D, foto-reportage,Danilo Sergiampietri - Chiodi, instal-lazione, Vittorio Simonini - MaurizioMarco Tozzi - Daniele Trengia -Luogo dell’essere, video, GiacomoVerde - 150 Knots, video-installa-zione.

Foto di Stefano Ridolfi

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italiana del Novecento. Agli interes-sati può giovare un'occhiata al sitowww.goticatoscana.eu/it – e non sol-tanto per scaricare il programma diquesto fine settimana.

CCUO

.com sabato 27 settembre 2014no92 PAG.12

Il 16 settembre scorso il nostro Premierha detto in Senato che "se il Parlamentonon riesce a fare le riforme, si va a vo-tare". A parte i tagli "a macchia di leo-pardo" fatti finora nella PubblicaAmmnistrazione senza un piano orga-nico di riordino dello Stato, ora MatteoRenzi si trova costretto a cominciaredall’ormai famoso Art. 18 dello Statutodei Lavoratori. Infatti, il 15 luglio 2014,l’Europarlamento aveva votato con unabuona maggioranza ‒ a scrutinio segretoe in Assemblea plenaria ‒ la fiducia albelga Jean-Claude Juncker per Presi-dente della Commissione. Nel suo di-scorso d’insediamento Juncker avevaelencato azioni di governo chiare e inci-sive, che egli aveva definito senza mezzitermini "les dix devoirs de l’Europe"con in primo piano il “... "nous devons"[che non è un "noi, plurale maiestatis",ma un "noi collettivo"] rafforzare la com-petitività e stimolare gli investimenti"concordando con gli altri Paesi dell’Eu-rozona un "pacchetto lavoro e crescita"...”. In Senato, però, Matteo Renzi – sottole specie di Segretario del PD ‒ non rie-

sce a controllare le nomine per la Con-sulta e per il CSM, e questa potrebbe es-sere un’avvisaglia di tempesta perché se aun certo punto si dovesse andare a vo-tare, come il Premier minaccia semprequando si sente in difficoltà, bisogne-rebbe sapere con quale legge si vote-rebbe. Con quella in vigore – per dire –no di certo, perché è stata definita inco-stituzionale. Il Porcellum nemmeno, e al-lora il Mattarellum, magari conl’aggiunta dei "listini bloccati"? O l’attua-zione del "patto del Nazareno" fra Renzie Berlusconi? Tutta roba superata cheMatteo Renzi ha assicurato più volte divoler riscrivere da zero, anche se nessunoriesce ancora a vedere con quale maggio-ranza poiché la sinistra italiana ‒ e il PDin particolare ‒ proprio su questo punto èspezzettata, più che divisa. Non sap-piamo se il Premier sarà in grado di for-mulare altre proposte, ma l’approvazioneparlamentare della modifica dell’Art. 18sarà una gara dura, anche se si arroccheràsui voti della sua riserva trasversale (sti-mata del 40%). Per l’Italia ecco dunque ilmomento del famoso Art. 18 la cui ri-forma è diventata con Juncker una pre-cisa richiesta della Commisione Europeail cui punto focale di programma è che

“... nella priorità a lavoro e crescita, al-l’Europa occorreranno 300 miliardi dieuro in tre anni”. Frase-chiave, che il no-stro Premier parrebbe non avere bencompreso quando ha reclamato con ar-roganza: “... ma dove sono i 300 miliardidi euro promessi da Juncker ...? del tipovernacolare "ma ‘n do’ sono e’ sòrdi ...”.Una frase becera, oltre che inappro-priata, perché Jean-Claude Juncker – dastatista di livello ‒ ben consapevole delmomento cruciale che sta attraversandol’Europa, chiama a raccolta tutti gli Statimembri e chiede chiarezza, efficienza,unione, sinergia, risorse da porre sul Ta-volo Comune ["nous devons"] per supe-rare tutti insieme le debolezze di alcuniStati-membro disordinati e cialtronicome l’Italia. E invece Matteo Renzi fafinta di non capire, perché parrebbe col-tivare già un suo potenziale elettorato in-terno [non si sa mai ...] cominciando colcercare in Europa alibi alle sue evidentiincapacità di governo nazionale. 

di Paolo [email protected]

TEMPO PERSO

Una volta di più torniamo alladrammatica e intensa estatedel '44, quando la Toscana equi, segnatamente, Firenze e

la sua provincia furono attraversatedalla linea del fronte. Ne sono occa-sione due eventi di sicuro interesse: ilprimo, la recentissima pubblicazionedell'inventario dell'Archivio del Co-mitato di Liberazione Nazionale diFiesole (a cura di Marta Bonsanti,edizioni Polistampa) concernente ilcospicuo carteggio tenuto appuntodal CLN locale nel periodo succes-sivo alla liberazione della città, avve-nuta il 1 settembre 1944 - mentre sistavano spegnendo le ultime battaglienei dintorni, a Montesenario, MonteGiovi, Monte Morello e sulla Cal-vana. Come commenta nella presen-tazione il Sindaco di Fiesole, AnnaRavoni, è “sorprendente la macchinaorganizzativa che vediamo in azionenelle carte di questo seppur piccolofondo archivistico”; vi si rappresentadettagliatamente l'attività del Comi-tato dal settembre del ’44 all’estate del’46, “un organismo articolato e strut-turato nel quale tutti i partiti sono pa-riteticamente rappresentati e nelquale tutte le decisioni vengono preseall’unanimità”. La lettura di questotesto potrà, come ben osservato, risul-tare appassionante per ogni fiesolano,che avrà l'opportunità di (ri)scoprirenomi ed eventi, comunque almeno inparte familiari, di una storia ancoraprossima e ancora toccante. Costitui-tosi in clandestinità nell'ottobre del'43, il Comitato fiesolano prese subitoe risolutamente le redini della comu-nità, insediando a due giorni dalla li-berazione la Giunta comunale e, di lìa pochi giorni, Luigi Casini, il sindaco'spodestato' dai fascisti nel '22. DelComitato locale, caso raro nella pro-vincia, fecero parte - anche se non pertutto il periodo - tutti e cinque i par-titi (DC, PCI, PDA, PLI e PSIUP). Il secondo è un evento davvero spe-ciale, promosso dalla AssociazioneGotica Toscana per sabato 20 e do-menica 21 settembre: la ricostruzionedal vivo, nel suo 70° anniversario,della battaglia di Monte Altuzzo chesi combatté tra Alleati e Truppe Tede-sche per lo sfondamento del Passo delGiogo (Mugello). Ad esso sono asso-ciate manifestazioni come la colonnadi veicoli storici e la marcia comme-morativa, sicuramente una serie danon perdere da parte di tutti i curiosie dagli appassionati. Ed appassionatisono, evidentemente, i soci di GoticaToscana Onlus, che da anni effettuaattività di ricerca sia sul campo (conil censimento e talvolta il restaurodelle postazioni ed installazioni tut-tora individuabili, per es., nell'areacircostante il Giogo), sia di tipo archi-vistico e memoriale (con interviste aisempre meno numerosi testimoni diquei fatti); e che organizza mostre, ri-cerche e quant'altro si presti a riesu-mare/mantenere la memoria diquesto pezzo significativo di storia

di Alessandro [email protected]

TRASH TOWN

Estate ‘44Da Fiesoleal Giogo

Van via le riforme si apron le urne

Attraversol’arte...del costruire

L’APPUNTAMENTOCosa c’e dietro l’immagine del progetto? Come se ne concepisce la forma e con qualitecniche si materializza l’architettura? A quali ingegnose tecniche e tecnologie ricorrel’architetto per risolvere i problemi di realizzazione che emergono in corso d’opera?Le risposte di Andrea Noferi (3 ottobre), Valerio Barberis e Marcello MarchesiniMDU (10 ottobre), Elio Di Franco (17 ottobre), Adolfo Natalini (24 ottobre) eMaurizio De Vita (31 ottobre) allo Spazio A di Lungarno Cellini a Firenze

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CC

UO

.com sabato 27 settembre 2014no92 PAG.13C.com HORROR VACUI

I pappagallihanno la carnebluastra ed unaspro odore dimuschio.Questo scriveGarcia Mar-quez inCent’annidi solitudine.Quando appareun’immagine dipaesi esoticisono terroriz-zato dall’idea didovermi nu-trire di pappa-galli per nonmorire di fame.

Disegni di Pam

Testi di Aldo Frangioni

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enorme scultura dell'artista che simboleg-gia un uccello di luce ed è parte integrantedell'opera. All'interno il tema della vita èsviluppato attraverso un decoro sinuosofatto con diversi strati di legno, segni, di-segni e parole che ricopre tutte le pareti.Dalle piccole finestre i vetri, coloratissimi,creati dall'artista spezzano la penombracon fiotti di luce. L'effetto è di uno scrignoantico che racchiude una preziosa operamoderna. A pochi passi dalla cappella chetrasmette gioia di vivere c'è il grande af-fresco di Raymond Peynet Le mur desamoureux che ricopre interamente unadelle facciate di una casa antica. L'operadel 1990, fatta dal famoso illustratore conla collaborazione di Guy Ceppa, uno deipiù bravi artisti murali francesi, è una me-tafora dell'Amore simboleggiato da unacoppia di sposi che vola sul Giardino del-l'Eden, ispirato, naturalmente, a Le Can-net del quale Peynet era cittadinoonorario. La passeggiata continua. Dopo

una piazzetta panoramica comincia iltratto di strada dedicato agli artisti e agliartigiani. Gli ateliers dove lavorano e pre-sentano le loro opere sono quasi tutti diproprietà del Comune che affitta loro aun prezzo molto basso dopo averli atten-tamente selezionati affinchè sia preser-vato un alto livello di qualità e di creatività.Il ceramista, il doratore, il liutaio, il crea-tore di gioielli, quello di occhiali unici, ilpittore, lo scultore, il designer, il restaura-tore di tessuti antichi...sono tutti maestririconosciuti nel loro mestiere. Le Cannetha conquistato così nel 2004 l'etichetta diCittà e Mestieri, titolo creato nel 1992dall'associazione omonima proprio perpromuovere questa sinergia e valorizzareal massimo soprattutto i piccoli centri. Laselezione è molto severa e al momentosolo 69 città francesi hanno potuto otte-nere questo ambito riconoscimento. Ilpercorso termina al museo Bonnard.Pierre Bonnard visse a Le Cannet , dove

realizzò le sue opere migliori, dal 1939fino alla sua morte nel 1947. Il Municipio,deciso a rendergli omaggio con unmuseo, ha acquistato un palazzo con l'ap-provazione del Ministro della Culturache nel 2006 gli accorda lo status diMuseo di Francia e contemporanea-mente classifica Monumento Storico LeBosquet, la casa di Bonnard, non (an-cora) visitabile, preservandola così nellostato originario di quando l'artista ci avevavissuto. Lo Stato ha contribuito anche al-l'acquisto di alcuni quadri, altri sono arri-vati da fondazioni, musei e donazioni diprivati mecenati fino a formare una colle-zione di 300 opere tra oli e guaches. Dallasua apertura nel 2011 il museo e le mostreche lì vengono ospitate hanno avuto oltre120.000 visitatori. In questo periodo finoal 2 novembre è in corso una mostramolto particolare dal titolo Le Belle Ad-dormentate, ispirata al romanzo omo-nimo del 1968 dello scrittore giapponesepremio Nobel Yasunari Kawabata. Oltre50 opere su belle addormentate, seduttivee seducenti, spiate e ritratte da artisticome Renoir, Matisse, Valloton, Bonnard,Picasso, Brancusi...E' tempo di ritornare in Italia. Nel grandeatrio della stazione di Cannes appena rin-novato aleggia la melodia di un piano-forte. E' quello messo a disposizione dalleFerrovie ai viaggiatori musicisti che se vo-gliono possono suonarlo alleviando cosìil tempo di attesa del treno loro e quellodegli altri (e magari vincere un pianoforteper la migliore performance). Troppa ammirazione per i nostri “cugini”francesi? Io direi solo molta invidia.

Un racconto bellissimo, terribile, tragi-camente vero anche se il suo autore nedichiara la genesi fantastica, nessunoriferimento a persone o sigle reali.Siamo in Pakistan, nel bellissimo eodoroso giardino di una scuola ideatae diretta da Rohan, uomo saggio e “fe-dele” ad Allah, che ha pensato di darevita a un luogo ove chiunque possastudiare oltre l’appartenenza religiosa.Due scuole, di fronte, su opposte rivedi un fiume, ma.... nel tempo recente,siamo dopo l’11 settembre, una ha as-sunto connotazioni integraliste sem-pre più irrigidite e di tale intolleranzada costringerlo a lasciarla. Ha due figlisuoi e due adottivi, due maschi e duefemmine, i maschi senza dire nulla, siavviano ad aiutare gli Afghani, ingiu-stamente aggrediti da Stati Uniti emondo “infedele”, uno studia medi-cina, vorrebbero curare feriti, ma....en-trano nella distruttività assoluta,intrinseca ad ogni guerra, che per loroinizia nella scuola di fronte, signoridella guerra integralisti, nemici delloro padre Rohan fedele moderato, liavviano con deliberata volontà di farlimorire ad un “fronte” e ve li abbando-nano, uno muore subito, l’altro vieneimprigionato, torturato dai “fedeli”che gli tagliano due dita perchè nonpossa più sparare e poi venduto come

scuola oltre ogni fede e che pare rap-presentare con il suo fiorente giardinola atavica terra pakistana. Anche luitormenta la moglie laureata che, nelsegreto della casa, critica l’Islam e isuoi improbabili diktat. Terrorizzatodal suo sicuro bruciare fra le fiammedell’inferno, per convincerla a riab-bracciare la fede la tortura, letteral-mente, fino al suo ultimo respiro, poi,dopo la sua morte, per anni prega ecostringe i figli piccoli a pregare per leifino allo sfinimento. Colpisce l’attaccoad una scuola cristiana, il maltratta-mento e la morte di centinaia di bam-bini. Colpisce la consapevole ecrudelmente fiera organizzazionedegli americani, superaccessoriati, su-perarmati, supercellularizzati, super-vestiti...colpisce il tatuaggio sulla pelledi uno di essi che, provocatoria-

mente, dice “infedele”. Ledonne del racconto fannoun cammino di interiore

autonomia, di presa di di-stanza. Almeno un secolo

penso io occorrerà a coloroper scoprire l’umanesimo, al-

meno un secolo per trovare laragionevolezza e il reciproco ri-

spetto. Nadeem Aslam, pakistanodi nascita che vive in Inghilterra

dall’età di 14 anni, ci regala questo“Note a margine di una sconfitta”.

Feltrinelli

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ODORE DI LIBRI

di Simonetta [email protected] La ville

estunefête

Note a marginedi una sconfitta

VISIONARIA

Per la Francia la cultura è qualcosadi “commestibile” che fa bene siaall'esprit che all'economia comedimostra questo piccolo esempio.

Il villaggio di origine romanica Le Cannetposto a 110 metri di altitudine tra olivi,mandorli e pini, sia pure grazioso e conuna parte antica ben tenuta, rischiava didivenire un quartiere elegante e decen-trato della molto più famosa e animataCannes, dalla quale dista solo 4 chilome-tri, la cui stagione turistica è praticamenteprolungata tutto l'anno con congressi,eventi e festivals di livello mondiale. Mal'arte e soprattutto gli artisti che hannoreso famosa questa parte di costa francesesono stati la soluzione di una giunta co-munale agguerrita e senz'altro lungimi-rante per rendere Le Cannet uno deiluoghi di attrazione culturale da visitaredurante un soggiorno in Costa Azzurra.L'idea è stata quella di creare un lungopercorso pedonale che collega, attraversole stradine fiorite della zona vecchia esquarci di panorama, la cappella di SaintSauveur al museo Bonnard. La piccolacappella di Saint Sauveur del XV secolo,destituita dal culto durante la Rivoluzione,dopo un attento restauro, nel 1989 è statainteramente decorata dall'artista israelianoThéo Tobias, che ha trascorso gli ultimianni della sua vita nella vicina Saint Paul,con un coloratissimo affresco monumen-tale dal titolo La vie est une fete. Di frontealla facciata, ricoperta da un suo mosaicoin pietra, marmo e smalto con un solecome elemento centrale, troneggia una

terrorista agli americani. Mikal sichiama, resiste, uccide due americani,scappa, torna alla casa del padre, dallamoglie del fratello che anche lui eprima ha amato ed ama. Una storiad’amore bellissima in questo agghiac-ciante scenario che grondasangue.Tante le cose che colpiscono,prima di tutto il clima di intollerantefollia, paura ed orrore, come unacappa di piombo da cui è impossibileevadere. Colpiscono....le donne. In unmondo in cui l’essere umano non haalcun valore nè merita alcun rispetto,se possibile, le donne ne hanno an-cora meno. Colpisce che ogni vedovasia alla mercè di tutti e nessuno la vo-glia, se si illude che uno possa volerla esbaglia viene incarcerata per compor-tamento immorale. Colpisce che seuna ragazza non torna a casa e il fra-tello va alla Polizia questa ipotizzicome unico movente la fuga “immo-rale”, non sarà cercata, ma, dice il poli-ziotto, se torna vuole essere informatoper valutare la moralità della scusa cheadduce. Colpisce che il poliziotto vadaa casa della ragazza dopo i suo ritornoe voglia arrestarla, colpisce che non lo

di Cristina [email protected]

faccia perchè la madre della po-veretta, la vedova imprigionatadi cui sopra, si toglie le buc-cole e gliene fa dono. Colpi-sce che al momento deldono costui annunci chetornerà ogni mese a ve-dere come stanno...Col-pisce il fanatismosedicente religioso, allimite del delirio, di tanti,ma soprattutto quello del perso-naggio migliore del libro, quel Rohanuomo di cultura che ha pensato una

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Cos’è il berretto del monello artista?È lo strumento,il mezzo,cheNietzsche nella Gaia Scienza in-dica come l’unico vero percorso

poetico che consenta all’artista di guardarecon sovrana libertà sopra le cose delmondo. E’ la distanza giocosa e ironicadello sguardo trasfigurante dell’artista, unademitizzante e ludica angolatura interpre-tativa, una irriverente fenomenologia figu-rativa che permea di se anche l’interopaesaggio visivo rappresentato nelle operepittoriche di Alessandro Goggioli, opereprotagoniste di una ‘mostra con vista’ del-l’artista Alessandro Goggioli, inauguratasigiovedi 11 settembre presso la PensioneBencistà di Fiesole. Vi sono esposte le re-gole del gioco di un’iconologia dissacrante,perfetta e innocente nella propria regola-rità e circolarità, una galleria di specchi dipanofskyana memoria, dove si fondonoarchetipi pittorici del Bronzino o del Gior-gione con giocattoli di latta, miti pop e na-ture morte seicentesche, le bottiglie diMorandi e i prodotti seducenti dell’indu-stria alimentare. Un sincretismo esteticofatto di tramandi e allusioni, intriso di to-nalità ironiche e affettive, reminiscenze,memorie sempre sorvegliate e sarcastiche,aliene da indulgenti nostalgie oleografiche,anche i titoli delle opere nella loro ambi-valente causticità cooperano allo smasche-ramento della grottesca e insondabileassurdità e terribilità della vita degli uo-mini. Piccoli teatrini dove inscenare la ta-gliente demistificazione delle ipocrisie edegenerazioni di una storia collettivapreda di miserevoli paradossi, come nel-l’opera ‘Piccoli italiani’, balilla aviatori dilatta, ludica autobiografia di una nazione,o l’opera ‘Made in China’, una bambina dilatta cuce alla propria macchina da cuciree da dietro sopraggiungono colorati e mi-nacciosi carri armati, il dolce svelamentodi un drammatico e opaco modello di svi-luppo, o i due cowboy di ‘C’èra una voltail Nord-Est’, due giocattoli di latta immersiin un bucolico e misterioso paesaggio, ci-tazione di canoni storici della pittura ve-neta come il vedutismo e il tonalismo, idue protagonisti rincorrono qualcosa,forse un mito che svanisce, il mito dellafrontiera e delle grandi opportunità per-dute. L’intera produzione di AlessandroGoggioli è legata alla tecnica del puntini-smo, un puntinismo mimetico e realistaanche nella restituzione dei colori lucci-canti dei giocattoli di latta, una tecnica pit-torica capace di produrre una dolcesospensione, una delicata astrazione, l’in-tera scena è circonfusa da una luce mor-bida, creante una sorta di mite epremurosa atemporalità interna, dovel’azione si svolge. Siamo in presenza di unacostante costruzione narrativa strategica-mente aperta, rimbalzante, una messa inscena dove si manifestano una pluralità dipunti d’osservazione della realtà, riverbe-rante allegorie legate a raffinati calembour,molteplici prospettive semantiche oscil-lanti tra una languida grazia fanciullesca eil mistero, l’enigma fiabesco e incantato delgioco, legato alla ricerca della conoscenza.Forse davvero non c’è niente di più seriodel gioco.

di Tommaso [email protected]

Ziveri ci trovammo in una grande sala il-luminata a giorno da due lampadari diMurano, al centro un enorme tavolo co-perto da una immacolata tovaglia di lino ,apparecchiato con gran gusto e con acentrotavola un recipiente color terra diSiena pieno di acqua, sassi e petali dirosa il cui profumo si diffondeva per lasala. In ogni dove sculture di artisti con-temporanei, alle pareti quadri di De Chi-rico, Campigli, Sironi, Carra', de Pisis,Guttuso, Cesetti, Rosai, Tomea, Tosi.Sotto un quadro di Campigli, due donnecon le mani sulla tastiera di un piano, se-duti su due poltrone, discutevano, Fellinie Za. Fui piacevolmente sorpreso dellapresenza del Maestro e soprattutto delfatto che si ricordasse di me! Zanini poi,che mi ringraziò per aver accettato l’in-vito, era meraviglioso, elegantissimo, conil suo viso magro con poche rughe e gliocchi neri quasi come la notte, i sottilibaffetti ben curati gli conferivano un’ariaantica e solenne. Dalla cucina uscirono lamoglie di Zanini e la Masina. Germanaera bellissima, i suoi occhi azzurri ave-vano affascinato oltre a de Chirico, Caso-rati, Guidi, e Campigli, che l’hannoimmortalata sulla tela. Giulietta Masina,minuta e affascinante con il suo visotondo come una piccola Luna piena e gliocchi grandi, intelligenti e buoni. La fi-gura fragile contrastava con la sua vocequasi rauca e dal tono forte e deciso. A

tavola, Fellini, con quella sua particolaris-sima voce da ragazzo sognatore, raccontòdella sua antica ammirazione per Zanini,negli anni ’30, ragazzetto, si recava alGrand Hotel di Rimini per vederlo men-tre, vestito di bianco, ne usciva e salivasulla sua Isotta Fraschini. Era un narra-tore formidabile, aveva la rara capacità, difarti “vedere” quello che raccontava... econ quanta tenerezza Giulietta, lo guar-dava mentre parlava. Si percepiva pro-fumo d’amore, incondizionato ecomplice. Nino Za, a capotavola, solleci-tato da tutti noi, raccontò dei suoi viaggiin Europa, dei grandi teatri in cui si esi-biva, realizzando alla velocità della luce lesue famose caricature, delle copertineper una famosa rivista di satira politica edi costume in Germania. Quella sera ap-presi che Fellini detestava Moravia “ Tri-ste e noioso”, ammirava Simenon,Flaiano, suo amico, e il regista giappo-nese Kurosawa: “Penso che Kurosawa siail più grande esempio di tutto ciò che unautore di cinema dovrebbe essere”. Parlòdei sogni: “I nostri sogni sono la nostravita reale. Le mie fantasie e ossessioninon sono solo la mia realtà, ma la materiadi cui sono fatti i miei film”. ..della vita:“Non perdete mai il vostro entusiasmoinfantile ”. Esibì la sua proverbiale ironia:“E’ più facile essere fedeli a un ristoranteche a una donna”; “La felicità è una con-dizione temporanea che precede l’infeli-cità. Fortunatamente per noi, funzionaanche il contrario”. Quella sera capii che i grandi artisti, peressere anche uomini grandi, devono es-sere semplici e possedere una dote rara:la modestia.Non fui amico di Fellini, dopo quellacena, non lo incontrai più. Divenni buonamico di Za, lo andavo a trovare alla gal-leria di via del Babuino e, circondato daopere d’arte di grande valore, m’intratte-nevo con la sua sapienza. Ricordo con te-nerezza, le lunghe passeggiate, le soste alcaffè Canova, in Piazza del Popolo, gliaperitivi all’Antico Caffè Greco, in viaCondotti...Giuseppe Zanini, è morto a Romal’11marzo del 1996, aveva 90 anni. A memanca molto.

di Michele [email protected]

“Io sono solo un narratore, e il cinemasembra essere il mio mezzo. Mi piaceperché ricrea la vita in movimento, la al-larga, la esalta, la distilla. Per me è moltopiù vicino alla creazione miracolosa dellavita che, per esempio, un dipinto o la mu-sica. Non è solo una forma d’arte, in re-altà è una nuova forma di vita, con i suoiritmi, cadenze, prospettive e trasparenze.E’ il mio modo di raccontare una storia”. Questa fu la risposta di Federico Fellini auna mia domanda sul suo cinema, nel belmezzo di una indimenticabile cena a casadi Giuseppe Zanini, più noto come NiniZa.Nell’inverno del 1984 avevo accompa-gnato Edolo all’inaugurazione di una re-trospettiva delle opere di Zanini, pittorecaricaturista, scrittore, gallerista e mer-cante d’arte di successo , fra gli ospitimolti pittori noti, Vespignani, Calabria,Schifano, ma gli sguardi erano tutti perFederico Fellini e Giulietta Masina, in-timi amici della famiglia Zanini. Quella sera fui protagonista di una piace-vole ed inaspettata vicenda. Mentre com-mentavo una caricatura di Totò con “Za”,mi afferrò per un braccio e mi portò nelsuo studio, prese carta e penna e inpochi secondi, disegnò la mia caricatura.Inespressivo per l'emozione che avevaimpietrito i miei muscoli facciali vidi , efu stupefacente, la faccia di Nino Za mi-mare la smorfia che voleva io avessi. Sulfoglio apparve sì la mia faccia ma conl'espressione che gli era piaciuto inven-tarsi per me. . Mentre sventolavo il mioprezioso trofeo sotto i baffi di EdoloMasci mi arrivò vicino Fellini : “ Giova-notto lei è molto fortunato, io ho dovutoaspettare anni prima che Giuseppe mi fa-cesse un ritratto… “. Ancora più emozio-nato non spiccicai parola, gli strinsi lamano con espressione cretina, e mental-mente, ringraziavo la mia buona stella....Mentre mi rimproveravo per aver persol’occasione di scambiare qualche parolacon il Maestro del cinema italiano, un sa-bato pomeriggio, mi telefonò EdoloMasci e..”mettiti in ghingheri siamo invi-tati a cena a casa di Ziveri..”. Di ghinghe-roso avevo ben poco, il solito, Jeans,camicia di velluto verde scuro, pulloverpanna, .. Arrivati in via Margutta a casa

AMARCORD

Una sera con Fellini

Il berrettoda monelloartistafanciullo

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Tamara Donati "Arabesque" acrilico efoglia d'oro su tela cm 50x70v

Vanessa Thyes "Fiori in fuga" tecnicamista su acetato cm 50x70

OmaggioSèraphine

di Angela [email protected]

Un sottile filo colorato e folle legal’arte contemporanea a Sèra-phine de Senlis, ogni artista l’hari-trovato nel suo intimo, esplo-

rato e reso visibile con la sua opera.Nella mostra L’arte della follia le artisteci invitano a scoprire quel pizzico di fol-lia e colore dentro di noi che ci permet-tono di entrare in sintonia con l’arte diSèraphine senza paura e con curiositàNel singolare ognuno di noi è folle di My-riam Cappelletti. La pittura di Sèra-phine ha ispirato tele piene di colore edi richiami ai materiali naturali che leiusava per dipingere, essa ebbe un rap-porto fisico con la natura e allo stessotempo varcò la soglia dello spirituale,Antologia di Sèraphine di Angela Cicca-rello, stampe su legno per rilevare mag-giormente la simbiosi tra Sèraphine e lepiante. Le opere sono Corpo impassibile,anima sfuggentedi Medià Azad, ogni telaè un invito alla luminosità Lucedi Euro-sia Bertoletti, alla fuga Fiori in fugadi Va-nessa Thyes o al movimento Arabesquedi Tamara Donati. Il moto è verso l’alto,verso il cielo, verso l’infinito, dove le fo-glie diventano farfalle e i fiori uccelli Uc-celli di Caroline Gallois. La pitturadiviene atto di trasformazione comeFiorenza Mariotti ha delicatamente rac-contato nella sua opera e, anche, memo-ria. L’arte di Sèraphine è ossessioneSogno ossessivo di Catiuscia Villani, è ri-petizione e serialità Fractusdi SimonettaFratini. Sèraphine trasfigura i suoi lavori

neri che diventano colorati di notte, essisono mantra per ritrovare la parte di secelata che si manifesta poi nelle sueopere, le artiste hanno colto tutto que-sto oltre alla capacità interiore di trasfor-mazione. Esse hanno liberato il colore ele forme donando al quotidiano e allanatura una valenza spirituale e creativa,la natura possiede un’anima che le pit-trici, guidate da Sèraphine, hanno indi-viduato. Vi si trova un richiamo alladecorazione orientale e nell’opera diEliana Sevillano c’è la raffinatezza dellapittura giapponese. L’arte di Sèraphineè anche gioco, pienamente esplorato daGianna Cavaciocchi in Sèraphine SocialTree un’opera briosa e interattiva chevuole provocarci rendendo pubblico ilnostro pensiero. Queste opere ci par-lano di mondi lontani e diversi, ci por-tano nei recessi della nostra mente,angoli di sofferenze, luoghi bui che si ri-schiarano alla luce del colore Dispera-zione di Cristina Corradi e possiedonola libertà di Sèraphine che tramuta la fol-lia in percorso artistico. L’arte della follia,omaggio a Sèraphine de Senlis per i 150anni dalla nascita, si inaugura sabato 27settembre 2014 ore 18,00 - Atelier Giar-dino Colgante a Prato Viale Monte-grappa 20 - con le artiste M. Azad, M.Barletta, E. Bertoletti, M. Cappelletti, G.Cavaciocchi, A. Ciccarello, C. Corradi,T. Donati, L. Facchini, S. Fratini, C. Gal-lois, Hamaranta, S. Massellucci, F. Mor-ganti, F. Mariotti, D. Palotti, B. Pieroni,R. Pinero, L. Pinzauti, D. Schilirò, E. Se-villano, V. Thyes,

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SCAVEZZACOLLO IL LIBRO

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Il mitodiProust

AkikoChibaa Livornodal 26settembre

Che a Manzoni piacesse molto la Monacadi Monza è palese. Una donna belloccia,soggetta a peccare e oggetto di peccati.Forse anche complemento oggetto di pec-cati. E che non voleva far la Monaca. E ne-anche la Monza. Ma come si fa a spedireuna così belloccia in convento! Ma comesi fa! Ma resosi conto di essersi esposto unpo’ troppo, di avere scritto quel che erameglio non scrivere, temendo rappresagliefamigliari, Manzoni, terrorizzato, pensò dinascondersi dentro l’armadio e buttare viala chiave, poi, non sembrandogli un postotanto sicuro, scelse il depistaggio epocale.E cacciò nel romanzo di tutto: il rapi-mento di Lucia, la rivolta del pane, Renzoche vaga fra Gorgonzola e l’Adda, l’Inno-

minato, la conversione, la plebe affamata,quando rilesse, sbiancò: “Troppo poco!Non basta!”. Preso dal panico sparò le car-tucce rimaste. I topi e la peste! E impestòtutti. “Viva la peste”. Si fregò le mani. E lifece fuori tutti nel Lazzaretto, esclusoquelli che gli servivano, ovviamente. Poisciolse il voto, eliminò il frate, e dopo avereaccennato molto ma molto vagamente, adun ipotetico processo alla Monaca, chiuseil romanzo con una quarantena depura-tiva. Tutti a Bergamo. Via dai coglioni. Ri-lesse tutto. Le prove della sua trescamentale con la Monaca di Monza, eranostate occultate. Scrisse la parola fine allibro. Si appoggiò allo schienale. Poi tiròun sospiro di sollievo: “Ce l’ho fatta!”

L’APPUNTAMENTO

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Moana

che poi momentaneamente cercherà dirinnegare, tentando di appagare il suo bi-sogno di apparire (quindi di “esistere”nella filosofia mediatica che nasce e si af-ferma proprio nel decennio di cui par-liamo) attraverso i canali ortodossi, macon scarso successo. Fino al 1987,quando l’ingresso nel porno è definitivoe annunciato con la fanfara. Prima di que-sto secondo esordio Moana interpretapiccoli (spesso piccolissimi) ruoli in unadozzina di pellicole tra cui si segnalanoBorotalco di Verdone (1982) e Ginger eFreddi Fellini (1985). Quando esce “Fan-tastica Moana” l’hard italiano è già entratonella sua seconda fase storica. Il cui iniziosi può far coincidere con un altro esordiodi spicco, quello di Ilona Staller. Ilona eMoana, di lì a poco, daranno vita ad unsodalizio che le vedrà coinvolte assiemein parecchi film, anche oltre oceano.Ormai il porno non è più il solo palcosce-nico di Moana. C’è ora la televisione, che

già l’ha cominciata a cercare proprio nel1987, con la trasmissione Jeans condottada un giovane Fabio Fazio, e poi l’annosuccessivo, nella persona, nientemeno, diAntonio Ricci che vuole lanciarla (com-pletamente nuda) nel suo nuovo pro-gramma contenitore Matrjoska. Da allorala sua presenza sul piccolo schermo saràsempre più assidua, richiestissima ospitedi tutte le trasmissioni generaliste, dalGioco dei Nove a Buona Domenica, daLinea Rovente a (addirittura) L’appello delMartedì. Nel 1992 tenterà, come prima dilei la Staller, la carta delle elezioni politi-che con il Partito dell’Amore. Non avrà lastessa fortuna dell’amica ungherese.L’anno prima aveva pubblicato un librodal titolo roboante, La filosofia di Moana,nel quale, in ordine alfabetico (amanti,amore, ambizione…ecc.), racconta il suopensiero, la sua filosofia appunto. E fa inomi degli uomini celebri con cui haavuto storie d’amore o soltanto di sesso.Con tanto di voto. Fra i tanti troviamo Be-nigni, Tardelli, Pozzetto, Troisi, Grillo. In-vece che una dedica, sulla terza pagina,Moana inserisce una frase, un aforisma,che col senno di poi acquista il senso diuna triste premonizione: “Vivi come sedovessi morire domani e pensa come senon dovessi morire mai.” Il domani per leiarriva presto. Molto presto, purtroppo.Dei suoi ultimi giorni trascorsi nell’ospe-dale di Lione, assistita fino alla fine dallamadre, se ne trova un commovente ri-cordo nel libro-intervista “Moana tutta la

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.com sabato 27 settembre 2014no92 PAG.17C.com IN RICORDO

di Fabrizio [email protected]

Giovanni Antonelli, al quale è dedi-cata una Piazza in zona San Gervasio,fu un padre scolopio nato a Pistoianel 1818 e vissuto a Firenze dovemorì nel 1872. Per tutta la vita, incollaborazione con padre Felice Cec-chi, a lungo direttore dell’Osservato-rio Ximeniano, si dedicò a studiscientifici, lavorando anche al pro-getto del motore a combustione in-terna con Barsanti e Matteucci.Per quanto probabilmente scono-sciuto al grande pubblico, tutti a Fi-renze hanno sicuramente visto, anchese altrettanto sicuramente non toc-cato, un suo inconfondibile ricordo:basta guardare la sommità del cam-panile di Giotto e il parafulmine di 5metri che lo sormonta. Fu infatti An-tonelli, insieme a Cecchi, a proget-tarlo e farlo installare nel 1858; sepensate che sia stato un intervento dipoco conto, cercate di individuare sulselciato di Piazza Duomo, lato Via delProconsolo, un cerchio di marmo

bianco.Fu esattamente in quel punto che il17 gennaio 1600, durante una furiosatempesta, si abbatté frantumandosi lapalla dorata della cupola del Brunel-leschi, staccata di netto da un ful-mine. Nel 1472 la collocazione dellapalla, opera di Andrea del Verroc-chio, aveva praticamente segnato lafine dei lavori di costruzione delDuomo.Ricostruita, fu ricollocata al suoposto il 15 dicembre 1602: in quel-l’occasione fu il cardinale Alessandrodei Medici (futuro papa Leone XI) inpersona a salire in processione finoalla sommità della cupola per lasciarenella lanterna due reliquie con ilcompito di respingere i fulmini (“adrepellendos fulminum impetum”),

reliquie che, bisogna dire, fecero inpieno il loro dovere perché, fino alladefinitiva protezione offerta dal para-fulmine, non si registrarono altri inci-denti.Peraltro padre Antonelli, come uomodi chiesa, si era giustamente preoccu-pato di difendere e proteggere dallafuria della natura il principale edifi-cio cittadino della cristianità. Non sa-rebbe stato male, però, se, comeuomo di scienza, si fosse interessato

anche ai palazzi del potere secolare:nel pomeriggio del 9 giugno 1936 untemporale di eccezionale intensità in-vestì Firenze con una scarica di ful-mini. Due di questi colpirono inpieno Palazzo Vecchio, scaricandosisull’asta della bandiera della torred’Arnolfo. L’asta di legno d’abete delleforeste di Vallombrosa era lunga 24metri, aveva un diametro alla base di30 centimetri e si trovava lì dal 1928,quando aveva sostituito la prece-dente stroncata da una tempesta divento: come scrissero i cronisti del-l’epoca, “aveva avuto l’onore di spie-gare al sole la bandiera annunciatricedell’Impero”. La povera asta annun-ciatrice, al contrario della palla delDuomo, resistette all’urto pur semi-nando una pioggia di schegge dilegno, ma dovette essere sostituita,come testimonia l’immagine di unoperaio intento a rimuoverla. Osservando l’abbigliamento e la posi-zione dell’operaio, non si può fare ameno di notare come nel 1936 lalegge 626 sulla sicurezza sul lavorofosse di là da venire.

Piazza Antonelli

Tuonie fulmini

di Giacomo [email protected]

C’era lei, Moana. Poi dietro, inordine sparso, tutte le altre.Mito pagano lo era già in vita,ancor più lo è diventata nel

1994, dopo la sua prematura morte, av-venuta all’età di trentatré anni in un ospe-dale di Lione, il 15 settembre. Aportar(ce)la via un tumore che da mesine stava impietosamente corrodendoquella bellezza statuaria di cui lei aveva ilculto. Moana non era un nome d’arte ema il suo vero nome di battesimo, AnnaMoana Rosa Pozzi, per esteso. E quellaparola, “moana,” significa in dialetto ha-waiano “là dove il mare è più profondo”.Moana non era solo la regina del porno.Non era, banalmente, la sacerdotessa dieros che celebrava i suoi sabba perversidavanti alla telecamera per la gioia di mi-lioni di voyeur. Moana era una diva. Forsel’ultima che abbiamo avuto. Elegante, po-sata, intelligente, colta, mai volgare nep-pure nelle scene più bollenti. C’era in leiun ché di aristocratico che le impediva dirisultare sgradevole o davvero oscena. Lasua era una bellezza tanto evidentequanto rassicurante. Non c’era aggressi-vità o rapacità nel suo modo di appariree di porsi. Il fatto è che al di là de film edelle dichiarazioni di circostanza cheun’attrice hard non può esimersi dal rila-sciare (“sono un’esibizionista, lo faccioperché vivo di sesso” ed altri stereotipi delgenere) Moana sembrava tutt’altro cheuna donna accessibile o di facile conqui-sta. Quell’aristocratico darsi, cui prima hofatto cenno, creava, d’impatto, un incon-scio steccato tra lei e il maschio, sempreinevitabilmente un gradino sotto di lei,sempre in fase di adorazione di tanta bel-lezza, sempre nell’imbarazzo di non es-sere adeguato. Moana, appena ventenne,diventa Valentina ragazza in calorenel suoesordio nell’hard (1981). E’ una scelta

verità”, un lungo colloquio tra FrancescaParravicini e Simone Pozzi, il figlio cheper tutta la vita Moana ha chiamato fra-tello. Simone chiarisce anche il destinodel corpo della madre. E’ stato cremato ele ceneri, che lei avrebbe voluto dispersein montagna, sono state messe in un’urnachiusa in un loculo. Simone non dice inquale cimitero. Forse in quello di Ovada,in Piemonte. Per l’esattezza i resti diMoana si troverebbero in una tombasenza lapide e senza alcuna iscrizione.Moana, come dicevo all’inizio, ha lasciatoun vuoto che nessuna ha saputo riem-pire. Non so se avrebbe un giorno rinne-gato quel mondo del quale è stata laregina indiscussa per molti anni. Non locredo. Prima o poi lo avrebbe abbando-nato, non c’è dubbio. Probabilmente lostava già facendo quando la malattia l’haingoiata. Ma anche se avesse lasciato ilbusiness del porno sono convinto chenon avrebbe cercato, come molte altresue colleghe, di far credere che ci era fi-nita per caso, che in realtà non avrebbevoluto fare quello ma ben altro, che qual-cuno si era approfittato della sua giova-nile ingenuità. No. Non era da Moana. Ilporno non le piaceva, questo lo sapevanotutti nell’ambiente. Un lavoro, nonun’arte. L’hardcore per lei era un tramite,il mezzo attraverso il quale imporre sestessa all’attenzione generale, per arrivarein cima, per essere la più desiderata. No,Moana non avrebbe rinnegato quel pas-sato. Perché il farlo avrebbe significatorinnegare se stessa, cosa che lei non con-cepiva. Forse sarebbe sparita, piuttosto.Avrebbe mollato tutto per iniziare unnuovo percorso completamente diverso,forse anche più complesso, difficile.Moana per ora resta. Non sappiamo perquanto ancora. Se ne parla. Ne parliamo.Passerà. Anche lei. Anche il suo ricordo.Ma con maggiore lentezza e con più di-screzione.

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

Là dove il mareè più profondo

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CCUO

.com sabato 27 settembre 2014no92 PAG.18

Fin dai suoi albori, la fotografia haricoperto un ruolo importante nelSistema artistico, qualificandosicome un mezzo attraverso il quale

sviluppare idee e opere d’arte, come unanuova forma di libertà espressiva, chedà modo all’artista di dar voce alla pro-pria sensibilità personale. Nel panoramadelle possibilità e del dialogo continuofra le varie specificità che caratterizzanola cultura contemporanea – ossia quellacomplessa situazione esistenziale e quo-tidiana in cui si muovono il fatto el’azione artistica – la fotografia fa emer-gere il proprio statuto creativo: l’esserepredatrice di immagini e puro atto este-tico, in quanto realizza un vero e proprioevento attraverso il semplice scatto e ildispositivo ottico, poiché nell’atto di fo-tografare si stabilisce una particolare re-lazione con il mondo, si interpreta unaminiatura, elaborandola attraverso pro-cedimenti che concretizzano un fram-mento di realtà. Attento al sociale e ai panorami dellacultura internazionale, Maurizio Berlin-cioni opera – dalla metà degli anni Ses-santa a oggi – un’analisi precisa estrutturale del mondo contemporaneo.I suoi reportages fotografici affascinanoper la freschezza e la lucidità delloscatto, solo apparentemente banale, ingrado di fissare con esattezza e accura-tezza il soggetto d’interesse. Quello delfotografo è uno sguardo laterale, inda-gatore, curioso, capace di sviscerare laquotidianità e gli spazi della quotidia-nità, attraverso un taglio comunicativoinedito, quasi ingenuo e innocente tut-tavia puntuale, poiché mira a cogliere ri-gorosamente il punto di vista piùsfuggente. Impadronendosi dell’imma-

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

daprima(ultima)pagina

Foto

gine, attraverso lo scatto e il disposi-tivo ottico, Maurizio Berlincioniesprime con soggettività la propriaforza concettuale e interpretativa, su-perando le alterità spaziali e tempo-rali, in una contingenza che apparesensibilmente pura allo spettatore,ignaro di condividere la medesima vi-suale dell’artista al momento delloscatto. Penetrante, analitico e a trattiironico (si pensi alle Foto-coppie del1982: capolavoro d’ironia in cui è le-cito fare e disfare le coppie di artisti/ee consorti, ritratti rigorosamente innudo), l’artista riflette in modo siste-matico l’immagine dell’attualità, in unequilibrio armonioso e critico traforma e sostanza delle strutture e deimodelli visivi: un invito a ripartire daiparticolarismi dei panorami cittadinie dell’individualità umana, senza pre-concetti, con l’oggettività disarmantedi una semplice fotografia.

Al centro Gruppo di bambini. Lexington Ave., SpanishHarlem, NYC, 1969. In basso da sinistra Tenementbuilding. Spanish Harlem, Manhattan, 1969; You’vegot a great future behind you, NYC, 1969 e Ragazzi aduno spettacolo di Street Theater, “Block party” nelBronx, 1969. Courtesy Collezione Carlo Palli, Prato