Cultura Commestibile 90

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90 uesta settimana il menu è Q Stammer a pagina 5 L’ospedale dei bambini RIUNIONE DI FAMIGLIA a pagina 4 PICCOLE ARCHITETTURE Oei e Mazzi a pagina 2 DA NON SALTARE Indagine sui lapidar albanesi La favola di Alessandro e Giacomo Il romanzo della rivoluzione (quarta parte) Al Bano 4 settembre 2014 parlando dell’Ucraina Sto con Putin: è come l’Istria, tutti sanno che è italiana Cecchi a pagina 7 OCCHIO X OCCHIO Fra quadro e ready made Monaldi a pagina 6 ISTANTANEE AD ARTE Il corpo, la fatica, il dolore e la scultura Il cigno di Balaka

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Page 1: Cultura Commestibile 90

90 uesta settimanail menu èQ

VUOTI&PIENI

Stammer a pagina 5

L’ospedaledei bambini

RIUNIONEDI FAMIGLIA

a pagina 4

PICCOLE ARCHITETTURE

Oei e Mazzi a pagina 2

DA NON SALTARE

Indaginesui lapidar albanesi

La favoladi Alessandroe Giacomo

Il romanzodellarivoluzione(quarta parte)

Al Bano4 settembre 2014

parlando dell’Ucraina

Sto con Putin: è come l’Istria, tutti sanno che è italiana“

Cecchi a pagina 7

OCCHIO X OCCHIO

Fra quadroe ready made

Monaldi a pagina 6

ISTANTANEE AD ARTE

Il corpo, la fatica,il dolore e la scultura

Il cigno di Balaka

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CCUO

.com sabato 13 settembre 2014no90 PAG.2DA NON SALTARE

La Albanian Lapidar Survey, l’indaginesui lapidar albanesi, promossa dalprogetto di residenza per le arti e glistudi umanistici “Departamenti i

Shqiponjave” (Dipartimento delleAquile), Tirana, Albania, si prefigge comescopo quello di documentare e fotografaretutti i monumenti appartenenti alla tipo-logia nota come “lapidar”, costruiti princi-palmente durante il periodo comunista inAlbania, dal 1944 al 1991. Nel contestodella propaganda monumentale comuni-sta, i “lapidar” costituivano una delle prin-cipali forme monumentali, insieme adespressioni più familiari come, ad esempio,le targhe commemorative, i busti e le sta-tue.L’origine dell’impressionante produzionedi queste tipologie di monumenti (du-rante il nostro periodo di ricerca in locoabbiamo documentato oltre 650 siti intutta l’Albania) risale ad una circolare delMinistero della Cultura del 1946, che in-vita i comitati esecutivi di recente costitu-zione in tutte le regioni d’Albania amarcare tutti i luoghi che furono teatro diimportanti battaglie e in cui persero la vitai partigiani (inclusi i partigiani italiani cheaderirono alle forze albanesi), al fine di ri-cordare ad ogni viaggiatore di passaggioche “qui si è combattuto”. Durante il pe-riodo della Rivoluzione Culturale alba-nese, avvenuta alla fine degli anni ‘60 delNovecento, questi monumenti, inizial-mente semplici obelischi, sono stati svi-luppati in un unico stile monumentale cheritroviamo ancora in molte città e villaggialbanesi, nonché lungo la maggior partedelle strade già esistenti o costruite du-rante il periodo comunista.La categoria di lapidar non risponde, diper sé, ad una definizione rigida, limitatanel tempo, nella forma o nel contenuto, edogni tentativo di assegnargliene una sa-rebbe del tutto vano. La costruzione dellamaggior parte dei “lapidar” documentatidurante la nostra ricerca in loco risale al-l’incirca al periodo compreso tra il 1960 eil 1980. Tale tipologia è caratterizzata daun elemento enfaticamente orientato inverticale (talvolta realizzato sulla base diastrazioni di fucili, bandiere, o fiamme), eda un elemento orientato orizzontalmenteche riporta un’incisione, una targa o unbassorilievo. Oltre a questa tipologia, cheritroviamo in una notevole varietà regio-nale, abbiamo riscontrato sia “lapidar” dipiù antica costruzione - principalmente aforma di obelisco, e antecedenti alla ri-strutturazione generale dei monumentidegli anni ‘60 – sia esemplari più recenti,costruiti dopo l’introduzione dell’econo-mia di mercato nel 1990. Inoltre, non tuttii “lapidar” commemorano eventi dellaGuerra di Liberazione Nazionale (Se-conda Guerra Mondiale): alcuni si riferi-scono ad importanti eventi nazionaliprima della creazione del regime comuni-sta, mentre altri ricordano le conquiste delsocialismo. Durante il periodo comunista,il monumento in stile “lapidar” fu svilup-pato anche nella forma monumentale pre-definita, per commemorare le persone cheavevano perso la vita durante la costru-zione di strade o di altri progetti infrastrut-turali. Tale tipologia sopravvive ancora

oggi nei numerosi monumenti ai bordidelle strade eretti in memoria delle vittimedi incidenti stradali. Lungi dall’essere una categoria “chiusa” dipropaganda monumentale, il materialeraccolto durante l’indagine sui “lapidar” al-banesi (Albanian Lapidar Survey) mostrail “lapidar” piuttosto come una categoria“aperta” dallo stile monumentale dina-mico, e il cui sviluppo riflette l’evoluzionedella società albanese durante e dopo il pe-riodo comunista. Molto di più che sem-

plici busti o statue, forme stabili che ricor-dano persone chiaramente riconoscibili,o targhe commemorative meno vistose; i“lapidar”, sempre posizionati in modo daattirare l’attenzione dei passanti, sono di-ventati parte integrante della vita comunee riflettono quindi gli atteggiamenti dellecomunità locali nei confronti della propriastoria - la Guerra di Liberazione Nazio-nale, il periodo comunista, l’introduzionedella democrazia, e così via.Il progetto di indagine sui “lapidar” alba-

nesi (Albanian Lapidar Survey), insieme alcatalogo e al database online che ne deri-veranno, offre una testimonianza di questapeculiare forma monumentale, che si ma-nifesta con grande varietà espressiva mache resta tuttavia riconoscibile in manieraimmediata. Il progetto vuole essere inoltreun invito aperto ad antropologi, storici, ar-chitetti, artisti e politici, volto ad incorag-giare un’analisi più approfondita di questopatrimonio culturale unico nel suo generee delle storie da esso custodite.

AlbanianLapidarSurvey

sui lapidar albanesi

Indaginedi Vincent W.J. van Gerven Oei

Lapidar in Kalis

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.com sabato 13 settembre 2014no90 PAG.3C.com DA NON SALTARE

Sono partito per Tirana il 4 giugnoe sono tornato a Firenze il 3 Ago-sto. In quasi due mesi sono statescattate oltre cinquanta due mila

fotografie. Il team dell’Albanian LapidarSurveyera formato da Vincent Van GervenOei, ideatore e curatore del progetto,Xheni Alushi, responsabile della docu-mentazione, e da me, fotografo dei monu-menti. Le prime foto le abbiamo scattatea Tirana. Decidiamo di partire alle otto delmattino. Alle cinque, Vincent ed io siamogià svegli, verso le sei scattiamo le primeimmagini. Ci raggiunge Xheni, scattiamoaltre foto. Per me è un nuovo modo di la-vorare, è la prima volta che lavoro a unaserie così estesa. Dai sei agli otto minuti perogni monumento. Lavoriamo con unritmo serrato, cerchiamo di fotografare al-meno venti lapidar ogni giorno. Lavo-riamo fino a tredici ore al giorno, cercandodi sfruttare tutte le ore di luce. Partiamopoco dopo le sei e scattiamo le ultime fotoqualche ora prima del tramonto. Le strade,sopratutto nel Sud del paese, sono pes-sime. Fortunatamente abbiamo deciso dilavorare in estate, quando le piogge sonomolto rare, e le strade sono meno fangose.Tengo la macchina fotografica avvolta invecchio maglione, per assicurarmi che nonprenda scosse. Scendiamo dalla macchina,piazziamo il cavalletto. Dai due ai dieciscatti per ogni monumento. Dipende dallagrandezza, dalla complessità e dalla posi-zione. Trattiamo tutti i monumenti allostesso modo e con una stessa estetica. Im-magini semplici, spesso frontali, stando at-tenti a non inclinare mai l’apparecchio. Laprospettiva è sempre naturale, nessuna di-storsione, nessun grand’angolo. Prima discattare queste foto ho studiato a fondo eper un intero anno la fotografia concet-tuale. Autori “storici”, come Ed Ruscha,Stephen Shore, Lewis Baltz, Guido Guidi,Andrea Abati o Takashi Homma sono imiei riferimenti costanti durante tutte le“riprese”. Ma contano anche i fotografi piùgiovani. Ho spesso in mente il lavoro diValentina Lapolla e di Diego Cossentino,e di tanti altri artisti. I momenti difficili, etalvolta estremi, non sono mancati. Il se-dici giugno cerchiamo di raggiungere unodei lapidar più remoti. La coppa dell’oliosi rompe vicino alla località di Moglicë, unpaese di dieci case sperduto sui monti.Non ci sono soccorsi. Xheni scende al vil-laggio, chiede aiuto in un bar. Gli albanesisono estremamente gentili e pronti ad aiu-tare. Nel giro di un’ora arriva un carro at-trezzi. Portano la macchina in un’officinaimprovvisata. L’officina è dentro una cavacostruita per l’edificazione di una diga. “Seil foro nella coppa è abbastanza piccolo, ela coppa è di acciaio - e non di alluminio -vi possiamo aiutare”, ci dicono, “altrimentidobbiamo portare la macchina in un ga-rage a Korcha”. Il foro è in realtà uno squar-cio enorme, la coppa è di alluminio.Aspettiamo quattro ore. Arriva un altrocarro attrezzi che carica la macchina sullapedana. Sul veicolo non c’è spazio per tutti.Xheni ed io dobbiamo restare in mac-china. La macchina è agganciata a un cavodi acciaio e assicurata alle ruote con quat-tro corde. Ci aspettano tre ore di estremopericolo. Attaccati a un cavo, dobbiamo

percorrere quasi quaranta chilometri sul-l’orlo di un precipizio. Strada sterrata.Niente asfalto per almeno trenta chilome-tri. L’autista è ubriaco, parla al cellulare. Ilviaggio è stato un incubo. Ad ogni scossail cavo tremava. Siamo arrivati a Korcha.Tutto bene. Scendiamo dal veicolo. Men-tre facciamo scendere la macchina dallapedana, il cavo si rompe. Se avessimo per-corso anche solo qualche chilometro inpiù saremmo morti. Le strade sono infernali. Niente asfalto,niente illuminazione. Abbiamo percorsoquasi ottomila chilometri fuoristrada. L’ultimo giorno stiamo guidando verso Li-brazhd, percorriamo una strada sperduta.L’auto è accerchiata da un branco di cani.Acceleriamo. Duecento metri più avanti,un pastore sui venticinque anni (robusto,ubriaco e con una scure in mano) spuntada un cespuglio. Ci ferma. “Avete ucciso ilmio cane. Scendete”. Xheni scende dal-l’auto, prova a spiegargli che non abbiamoucciso alcun cane. L’uomo agita la scure,Xheni prova inutilmente a calmarlo.L’uomo alza la voce, continua a minacciarecon la scure. Ha sicuramente bevuto. Vin-cent ordina a Xheni di tornare in auto.Xheni resta fuori, grida. “Sto provando acalmarlo. Se ora scappiamo, ci uccide”.Vincent alza la voce, insiste; “Sali in mac-china. Fai come ti ho detto”. Xheni correin auto. Vincent accelera, fuggiamo. Il pa-store è infuriato. Prende il cellulare, chiamaqualcuno. “Sta telefonando agli altri pa-stori. Accerchieranno l’auto, ci uccide-ranno”. Siamo nel panico. Buchiamo unagomma. Continuiamo a correre su unastrada sterrata con un pneumatico bucato.Fortunatamente, il buco non è molto pro-fondo. La camera d’aria regge per almenouna decina di chilometri. Chiamiamo lapolizia. La polizia non risponde. Chia-miamo di nuovo, nessuna risposta. Final-mente qualcuno risponde, ma è di un’altraregione. Arriva una pattuglia nel giro didieci minuti. Tutto torna improvvisa-mente alla normalità. Continuiamo a cor-rere con una gomma a terra.

i lapidar

Una storia

Fotografaredi Marco Mazzi

[email protected]

In alto lapidar in Bushtricë, sopra lapidar in Vig. Sotto Vincent Van Gerven Oeie Marco Mazzi documentando il Lapidar di Diellas (Foto di Xheni Alushi)

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Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone silianiredazione

sara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchiprogetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

www.culturacommestibile.comredazione@[email protected]

www.facebook.com/cultura.commestibile

“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

RIUNIONE DI FAMIGLIA

bergarono in via della Ninna dove ha sede ilPolo, lasciano il posto ad un tono da finisMillennium. Non rassegnato (non siamai!), perché Paolucci ha dato segretamenteordine alle Guardie Vaticane di prepararsiper difendere l'autonomia museale dello

Stato Vaticano; ma si respira un'atmosferaspengleriana da tramonto dell'Occidente.Così Cristina Acidini dorme sogni agitati,consapevole che con lei si inverano le profe-zie di Francis Fukuyama sulla fine della Sto-ria: “la storia mi ha assegnato il compito dichiudere un'epoca”. Cristina Acidini, acida-mente ma stoicamente, è la plastica rappre-

Riassunto delle puntate precedenti:Dopo immani e inani sforzi rivoluzio-nari, Dario “Che” Franceschini riesce afarsi approvare in Consiglio dei Ministrila sua riforma del Ministero, a patto chenon la qualifichi come rivoluzionaria.Lui si piega ai voleri del leader maximoRenzi, ma non si spezza.

Dopo una rocambolesca conferenzastampa di presentazione della “riformuc-cia” del Ministero, durante la quale Dario“Che” Franceschini si è morso la linguaquattro o cinque volte per evitare di pro-nunciare la parola “rivoluzione” che gli in-sorgeva naturalmente ad ogni pié sospinto,il Nostro si è rinchiuso nel suo ufficio in viadel Collegio Romano per studiare l'attua-zione del decreto di riforma. Impresa assaiardua, non essendo ancora stato material-mente firmato da Renzi. Ma la voce del-l'imminente riforma si è già diffusa nelpaese e sta facendo vacillare i sancta san-torum delle Soprintendenze. I mostri sacridella tutela sentono l'orma dei passi spie-tati e con la modestia che contraddistinguesolo chi è veramente grande, lancianoolimpici strali. Antonio Paolucci già a lu-glio aveva avvertito quali danni potevaprovocare l'intrepida azione di France-schini:“Prendiamo il caso di Firenze. C'è il PoloMuseale diretto da Cristina Acidini,l'unico che davvero funziona in Italia. Nonlo dico perché sono stato io a fondarlo e aorganizzarlo, da soprintendente, nei primianni di questo secolo. Lo dico perché è così…”.Dubbio e modestia che, in realtà, mai al-

LE SORELLE MARX

Non pago delle sue innumerevoli carichee della sua ormai leggendaria produ-zione editoriale sulla storia di Firenze, ilnostro Eugenione Giani ha intrapreso –con il titolo di ex Presidente del ConsiglioComunale di Firenze – una brillantecarriera di editorialista anglofono. CosìEugenio torna a stupirci (e a fornire anoi suoi inesausti estimatori materiale dilavoro) narrando la favola di Giacomo(Leopardi) e Alessandro (Manzoni) che

si incontrano, of course, a Firenze.Niente di straordinario nell'arti-colo, soprattutto per noi chesappiamo di quali mirabo-lanti imprese editoriali e ora-torie è capace: Leopardi e

Manzoni uniti dalla comune apparte-nenza linguistica, il detto italiano (sic!),“to wash their clothes in the Arno” e viacosì banalizzando. Ma le ultime righe ciriserbano una sorpresa che lanciano ilNostro nell'empireo dei grandi critici let-terari: “ci siamo innamorati dell'idea chei Promessi Sposi fossero in realtà Man-zoni e Leopardi e la loro passione per lalingua italiana. E il luogo, questo: la no-stra città”. Una sublime metafora lettera-ria, da far impallidire De Sanctis.

Il romanzo della rivoluzione (4)

Questo libro parla solo della sua copertina. Una bella opera ironico-concettuale di un artistache si firma Marcello Questaèlavita (chiaro riferimento a Duchamp). L'immagine, che fo-tografa un'opera del sedicente Marcello Q.E.L.V. , è un ardito triplo salto mortale di signi-ficanti. 1) La croce simbolo universale è rappresentata da una simil-croce ed è priva delCristo, ma certo ci riconduce all'archetipo Crocifisso. 2) La croce costituita da un cavallettoda pittore che “incrocia” arte e sacralità ma con un linguaggio dissacrante. Dis-sacrare èoperazione antica che in questo caso viene proposta senza finalità offensive o critiche perl'immagine cristiana ma, si pensa, per ridicolizzare i critici del Futurismo. Oppure sem-plicemente o dadaisticamente per un non-senso... che ha senso. 3) Crocifissa è una t-shirtcon una frase di Filippo Tommaso Marinetti riferibile, forse, alle arcaiche stroncature delfuturismo che aveva voluto far tabula rasa di tutta l'Accademia per diventare infine essostesso Accademia. Sì, si tratta di una ottima composizione originale e divertente atta a sti-molare ampi dibattiti sull'arte di ieri e quella di oggi. P.S. Dimenticavamo di dirvi che abbiamo riprodotto fedelmente il testo del volume, com-posto dalla copertina in cartone pesante e di solo quattro pagine, frontespizio compreso.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

I CUGINI ENGELS

La favoladi Giacomoe Alessandrosentazione della moderna caduta degli dèi:

finisce l'epoca d'oro che in una linea di conti-nuità lega il grande modello inaugurato nel1737 dall'Elettrice Palatina in cui “agliestinti granduchi Medici subentrarono i Lo-rena”, fino a lei incaricata dalla storia dichiudere quest'epoca. E' tutto concentrato inquesta donna il senso tragico della storiadell'arte moderna: cadono dal Walhalla ledivinità eterne per lasciare il posto a mana-ger postmoderni.Meno tragico e più prosaico, Antonio Nataliannuncia che è troppo vecchio per passaresotto le forche caudine della selezione pub-blica per diventare manager degli Uffizi.Ma la stessa triste aura millenaristica dafine dei tempi lo attanaglia: “Io procedocome ci hanno insegnato per educazione re-ligiosa, vado avanti come se dovessi restarefino al 3000 consapevole che ogni giornoposso anche non esserci più”.Tramonta il sole sull'impero dei soprinten-denti; pesanti e oscure ombre si addensanosul cielo italico... ma il “Che” Franceschini ègià avanti, verso nuovi orizzonti di gloria:Franceschini - “E noi faremo, come la Fran-cia!!! Porteremo la spesa per la culturadallo 0,10 allo 0,24 del Pil, come i nostri cu-gini d'Oltralpe. E poi apriamo Pompeianche di notte! Evvai verso una nuova Rivo-luzione!”

L’uso di prodotti di largo consumo, a dif-fusione globale, come indicatori econo-mici è storia antica. Ci provarono neglianni ’80 col Big Mac (panino classico diMcDonald) alcuni economisti, convintidi farlo diventare pietra di paragone per iprezzi nei vari paesi in cui si espandevala catena di fast food. Se poi l’oggettoscelto porta con sé un messaggio, ver-rebbe da dire, filosofico, l’utilizzo di talestrumento per misurare ricchezza e li-vello di “ganzitudine” di un Paese è inevi-tabile. L’oggetto in questione, forsequalcuno lo avrà immaginato, è il nuovosmartphone di Apple: l’iphone 6, oggettodel desiderio di milioni di persone nelmondo, feticcio per smanettoni, vip egente comune. Un prodotto che portacon sé anche tutto il contesto filosofico le-gato alla Apple e alla figura di Steve Jobs.Dunque un’immagine perfetta dei tempiattuali, in assoluta linea con il contestopolitico e sociale di un paese che si vuolesmart, hi-tech, e cool, probabilmente pernon dovere fare i conti e trovarsi “ingreen”; al verde. Ecco dunque che lascelta di Apple di non inserire l’Italia nei9 paesi in cui verrà commercializzato, dasubito, il nuovo telefonino, (per il qualedovremo aspettare babbo natale) è peg-gio di un downgrade diStandard&Poor’s.

LO ZIO DI TROTSKY

La melabacata

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tivo. All’inizio si era pensato di met-tere sul mercato immobiliare, per co-prire in parte le spese necessarie allanuova costruzione, i vecchi fabbricatidella struttura di via Luca Giordano.Ma le difficoltà amministrative peruna procedura complessa e la crisi delmercato immobiliare, che iniziava afarsi sentire alla fine del 2006, consi-gliarono diversamente. Fu così che laregione Toscana anticipò all’aziendaospedaliera Meyer la somma di circa18 milioni di euro, in cambio di un co-modato d’uso per i locali esistenti, peril completamento dell’intervento aCareggi. L’intervento del “nuovoMeyer”, iniziato nel 2000, fu così com-pletato nel 2007. Un progetto quellodi Paolo Felli e del CSPE che ha avutoun grande apprezzamento nella co-munità fiorentina e nazionale sia perla qualità dell’inserimento ambientalesia per la introduzione di elementi diinnovazione tecnologica. Il nuovoMeyer è al tempo stesso un edificiocoerente con un sistema ambientaledi grande delicatezza, dove il conteni-mento delle altezze al pari dei vecchiedifici dei padiglioni dei primi annidel secolo scorso favorisce l’integra-zione, ma anche con la presenza di in-novazioni tecnologiche come lagrande copertura fotovoltaica checontribuisce alle esigenze energetichedel complesso. Un edificio che utilizzail rame, di un bel colore verde brillnte,per le coperture e che è attento a rein-tegrare nella nuova struttura i due per-corsi coperti e semicircolari checostituivano l’accesso ai vecchi padi-glioni. Ma è nell’interno che il giocodei volumi, dei colori, e degli arredi lofa diventare un ambiente “non ospe-daliero”, dove, con l’architettura e conil design, si cerca di allievare la difficilecondizione dei piccoli degenti.L’ospedale pediatrico Anna Meyer èuno dei più qualificati ospedali pedia-trici italiani dove la qualità del perso-nale (sia medico sia paramedico) èriconosciuta dalla comunità scienti-fica internazionale. Ora questo perso-nale ha a disposizione una strutturainnovativa, e di grande suggestione ar-chitettonica, che può aiutare nel diffi-cile compito che svolgequotidianamente.

di John Stammer

Il padiglione Cocchi stava immo-bile come sempre, ma nella testadell’uomo girava e girava. La suapiccola bimba era li per un pre-

lievo, che era difficile e non riusciva.E la sua testa iniziò a girare e dovetteuscire per respirare a pieni polmonil’aria del mattino. Il Padiglione Coc-chi, intitolato a Cesare Cocchi cheaveva per primo trovato il modo disconfiggere la meningite tubercolare,era il padiglione centrale dell’ospedalepediatrico Anna Meyer. L’architettoDomenico Cardini lo aveva proget-tato alla fine degli anni ‘50 delloscorso secolo, ed era stato completatonel 1962. L’edificio è stato recente-mente oggetto di un attento inter-vento di manutenzione per destinarload uffici delle regione Toscana, e l’in-tervento ha consentito di apprezzarela qualità delle architetture delProf.Cardini. Il Meyer era nato nel1884 con il nome di “Ospedale Pedia-trico Anna Meyer” in ricordo dellamoglie del commendatore, e mar-chese russo, Giovanni Meyer. Nacquenella zona delimitata dalle “barriere”de Le Cure e de Il Pino, in una zonaallora periferica della città, limitrofaalla ferrovia.Ma ebbe subito la simpatia e l’atten-zione della città e dal 1995 è statoclassificato come ospedale di “altaspecializzazione”.Lo spazio iniziale, con palazzine otto-centesche e nuovi edifici del secondodopoguerra, si dimostrò, verso la finedel secolo scorso, insufficiente per lenuove necessità della sanità regionale.Fu così che, nell’ambito del più com-plesso intervento di sistemazionedell’ospedale policlinico di Careggi, fudeciso di trasferire il Meyer in unanuova struttura che utilizzasse anchei padiglioni di Pneumologia oramainon più necessari. Una scelta complessa non solo per leimplicazioni di carattere prettamente“sanitario” (il trasferimento dell’ospe-dale nella notte del 14 dicembre 2007è stato un evento cittadino con partedella città ferma in attesa del passag-gio del convoglio dei degenti) maanche su quello politico amministra-

PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ

L’ospedaledei bambini

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Un’infinita raccolta condensatain un volume, attraversandotutto ciò che è stato avanguar-dia nell’ultimo secolo. Lunedì

15 settembre alle 18 nell’Auditoriumdel Centro per l’Arte ContemporaneaLuigi Pecci di Prato verrà presentatoil volume Neoavanguardia. Arte da col-lezionare. La raccolta di Carlo Palli aPrato, edito da Polistampa con il con-tributo della Fondazione Cassa di Ri-sparmio di Prato e curato da LucillaSaccà, con un testo di Cecilia Bar-bieri. Dopo i saluti del direttore delCentro Pecci Fabio Cavallucci e diFabia Romagnoli, presidente dellaFondazione Cassa di Risparmio diPrato, interverranno la curatrice dellamonografia, il critico d’arte RenatoBarilli, il collezionista Giuliano Gori,lo scrittore Sandro Veronesi e il cura-tore del museo Stefano Pezzato. Il volume è frutto di un programmad’indagine e di ricerca sul territoriotoscano, effettuato dal DipartimentoSAGAS dell’Università degli Studi diFirenze, con l’intento di contestualiz-zare e valorizzare la raccolta di CarloPalli a Prato, il cui nucleo principale ècostituito da opere, documenti e te-stimonianze dei movimenti artisticidegli anni Sessanta e Settanta, fra cuiFluxus, Poesia Visiva, declinazionidella sperimentazione verbo-visualee Gruppo ‘70, Nouveau Realisme,Scuola di Pistoia, Architettura Radi-cale, Arte Povera e Poetiche dell’Og-getto, ma anche Transavanguardia,Azionismo Viennese, Graffitismo,musicisti d’avanguardia fiorentini, fo-tografi contemporanei, e non man-cano le opere e i lavori piùinteressanti della scena artistica con-temporanea toscana e nazionale.Fornendo una serie di punti di riferi-mento – storici, bibliografici e catalo-gici – la curatrice ripercorre i trattisalienti del panorama artistico to-scano e cittadino (ne sono un esem-pio il museo Pecci e la Fattoria diCelle), inserendolo in un più ampiocontesto internazionale e, al tempostesso, mettendo in evidenza l’impor-tanza della collezione che, con il suoarchivio, costituisce un “Tutt’Uno”indissolubile: testimonianza concretadel lavoro, dell’esperienza e della pas-sione che Carlo Palli ha sempre di-mostrato per il mondo dell’ArteContemporanea e che tutt’oggi per-segue con la stessa determinazione. Iltesto di Cecilia Barbieri ripercorre lavita del collezionista: da mercante agallerista, da battitore d’aste a cura-tore e, infine, da appassionato deditoa musealizzare la propria raccolta,come dimostrano le donazioni alCentro per l’Arte ContemporaneaLuigi Pecci (di cui è necessario ricor-dare la mostra del 2006 Primo Piano.Parole, azioni, suoni, immagini da unacollezione d’arte, a cura di Marco Baz-zini e Stefano Pezzato) e al MART diTrento e Rovereto, oltre alle mostre eagli eventi a cui ha partecipato e con-

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

Neoavanguardia

La collezionetinua a partecipare come prestatoree/o organizzatore, fra i quali si anno-vera: nel 1997 Dadaismo Dadaismi daDuchamp a Warhol, a cura di GiorgioCortenova, Verona, Museo di PalazzoForti; nel 2001 Leonardo in azione epoesia, a cura di Valerio Dehò e Ales-sandro Vezzosi, Vinci, Museo IdealeLeonardo Da Vinci; nel 2002 Conti-nuità: Arte in Toscana 1945-2000, neimusei: Palazzo Strozzi, a cura di Al-berto Boatto, Museo Pecci, a cura diJean-Christophe Ammann, PalazzoFabroni, a cura di Daniel Soutif, Fat-toria di Celle, a cura di Angela Vet-tese; nel 2006 Dadada, a cura diAchille Bonito Oliva, Pavia, CastelloVisconteo; nel 2008 La parola nel-

l’arte, coordinatore curatoriale Gior-gio Zanchetti, Rovereto MART; nel2009 Futurismo 1909-2009, a cura diGiovanni Lista e Ada Masoero, Mi-lano, Palazzo Reale; nel 2012 Pala-bras Imagenes y otros textos. ColleccionPalli, Museo de Arte Moderno deBuenos Aires; nel 2013 Corpi d’azionea cura di Angela Madesani e StefanoPezzato al Museo Pecci di Milano e larassegna Fluxus al Kaohsiung Mu-seum of Fine Arts di Taiwan, a cura diSpela Zidar e della direttrice delmuseo Beatrice Pei-ni Hsieh, nellaquale è stata esposta l’intera raccoltadi opere e documenti del collezioni-sta, in occasione del cinquantesimoanniversario del movimento.

CarloPalli

di

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e

OCCHIO X OCCHIO

Fra quadro

ready made

di Danilo [email protected]

Nel tentativo di definire sintetica-mente e schematicamente leopere fotografiche, qualcuno hadetto che esse “sembrano dei

quadri ma funzionano come dei ready-made”. Che un’opera fotografica abbiamolti punti in comune con un quadro èpacifico. Come il quadro, l’opera fotogra-fica si realizza su di una superficie bidi-mensionale limitata da una cornice, sisviluppa lungo i tre assi: verticale, orizzon-tale e prospettico, e viene organizzata permasse, luci, ombre e chiaroscuri. Questoavviene sempre, indipendentementedall’oggetto riprodotto o raffigurato, siaesso di tipo figurativo o meno. Come ilquadro, l’opera fotografica offre molteplicilivelli di lettura e di interpretazione, ecome il quadro può veicolare uno o più si-gnificati. Ma a differenza del quadro, cheanche nel caso del realismo più estremodipende in maniera determinante da fat-tori soggettivi (fra cui la capacità di osser-vazione, l’abilità manuale e la periziatecnica), l’opera fotografica è il frutto diuna “presa” istantanea, definita in manieraunivoca nel tempo e nello spazio, “presa”che si vuole automatica, ma che in effettidipende anch’essa (anche se in manierameno pesante) da fattori soggettivi, comela stessa capacità di osservazione, ed un di-verso tipo di perizia tecnica e di abilità ma-nuale. In quanto “presa” diretta di unevento definito e circoscritto nello spazioe nel tempo, l’opera fotografica viene assi-milata ad un “ready-made” prelevato di-rettamente dal flusso della realtà ed isolatoa fini che possono essere estetici, maanche più concretamente utilitaristici oconoscitivi. Nel primo caso, fra il “ready-made” tridimensionale prelevato dalmondo concreto e la “presa fotografica”prelevata dalla realtà visiva vi sono delledifferenze profonde, di forma come di si-gnificato. L’oggetto (naturale o indu-striale) che viene prelevato ed elevato alrango di “ready-made”, con o senza inter-venti “modificativi” da parte dell’autore-scopritore, assume un senso proprioperché decontestualizzato ed investito divalenze estetiche e comunicative che glivengono attribuite “a posteriori”. Al con-trario, l’opera fotografica, viene “prelevata”dal continuum visivo e spazio-temporalee viene selezionata proprio in virtù di ca-ratteristiche che le vengono riconosciute“a priori”. Inoltre, l’immagine fotograficanon “è” un pezzo di realtà fisica, mentre il“ready-made” lo è a tutti gli effetti. Fra unoscolabottiglie di duchampiana memoria ela foto di uno scolabottiglie vi è una diffe-renza non secondaria, senza tener contodel fatto che la foto rappresenta sempre esolo uno dei punti di vista “possibili” men-tre l’oggetto tridimensionale si presta adessere osservato secondo “tutti” i punti divista possibili. Che poi ogni immagine fo-tografica sia “presa” in quanto “trovata”,esattamente come viene “trovato” (inten-zionalmente o casualmente) ogni “objecttrouvé” esibito nelle gallerie e nei musei,è un fatto secondario, e sottolinea casomail’identità del “vedere” del fotografo con il“vedere” dell’artista. Quindi, ferme re-stando le profonde differenze fra le imma-

gini fotografiche ed i quadri, esistono al-trettanto profonde differenze fra le imma-gini fotografiche ed i “ready-made”. Ameno che l’artista non scatti egli stesso (ofaccia scattare su commissione) la foto-grafia, indipendentemente dall’oggetto odalla situazione fotografata, ed esibiscanelle gallerie la stessa immagine, stam-pata, incorniciata e magari didascalizzata,numerata e firmata, in quanto “oggetto-immagine”, facendo così della “stampa fo-tografica”, ma non dell’immaginefotografica, un vero e proprio “ready-made”.

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.com sabato 13 settembre 2014no90 PAG.8ODORE DI LIBRI

1804) che nella sua opera princi-pale La Critica della Ragion puradopo aver analizzato le possibi-lità e i limiti della ragione con-cluse affermando che laRagione può fare scienza, puòcioè conoscere il mondo realee naturalistico, ma non puòspingersi aldilà di esso se nonvuole cadere in un giudizio ciecoossia infondato. Perciò la metafisicanon è conoscibile, tuttavia è pensa-bile: conclusione da non sottovalu-tare poichè su tale possibilità Kantappoggia la validità del giudizio etico.La morale è dunque per Kant possi-bile in quanto fondata sul pensiero,perciò sulla Ragione che è elementoUniversale, valido per tutti gli uo-mini. E’ come dire – non conosco ilfunzionamento della radio, tuttaviacapisco ciò che la radio trasmette eposso scegliere se accettarlo o no.Ora, a distanza di tre secoli, emerge il

p r o -blema opposto cioè LaMacchina uomo, la macchina chepensa, la macchina che può avere au-tocoscienza e problematiche etiche.La scienziata Paola Grandi, appassio-nata studiosa di filosofia e realizza-trice di progetti tecnici riguardanti lacostruzione delle cosiddette “mac-chine pensanti”, in un affascinanteviaggio scientifico-filosofico analizzale questioni cui abbiamo appena ac-cennato in precedenza e con un lin-guaggio scientificamente

appropriato, ma non astruso, ci intro-duce nelle prospettive che

riguardano il futurodel mondo umano.Ci sono domande cuibisogna rispondere eche i progressi scienti-fici rendono semprepiù urgenti. PaolaGrandi non ha scollatola res extensa dalla rescogitans, anzi ci presentala sua fiducia in una vi-sione aristotelica del-l’uomo. Uomo che nondeve essere diviso per nonessere in contrasto con sestesso, che non è fatto disola carne o di solo spirito,ma presenta un sinolo inse-parabile entro il quale ven-gono rielaborati in manieraautonoma e responsabile idati sensibili provenienti dal-l’esterno. Lo stesso processopotrà essere raggiunto conti-nuando a perfezionare una mac-china fatta dall’uomo con ferro,fili, elettricità o altre energie? Op-pure questo tentativo, questa ipo-tesi si configurano come latentazione diabolica più inquie-

tante e imperdonabile? La scienzapuò essere del tutto neutra o devetener conto di implicanze metafisi-che? Sono gli itinerari più moderni etuttavia più storici che l’Autrice diquesto splendido libro sottopone aquelle persone che, ancora, hanno ladisponibilità a pensare. Chiudo conun pensiero di Heidegger “L’essenzapiù profonda della tecnica non ènulla di tecnico”.

di Burchiello 2000

Nel 1747 il filosofo illuministafrancese Julien de La Mettrie,prendendo parte al dibattitosulle teorie cartesiane della res

extensa (la materia) e della res cogitans(la spiritualità) e sul possibile colle-gamento tra di esse nella costituzionedell’essere umano, dette alle stampeun libro – L’uomo macchina - che fubruciato sul rogo pubblicamente poi-ché sosteneva la tesi che non vi fossedistinzione tra res extensa e res cogi-tans (altrimenti l’una non avrebbepotuto influire sull’altra) e perciòl’anima doveva appartenere alla resextensa, unica materia esistente e se-guirne il destino mortale. In effetti ladifficoltà di ammettere relazioni tradue tipi di res di natura tanto diversaaveva molto travagliato anche lostesso Cartesio che aveva finito per ri-solvere il problema inventando unpunto in cui le due nature avrebberopotuto incontrarsi: all’interno del cer-vello umano, nella ghiandola pineale.Per il filosofo-medico La Mettrie ilcomportamento umano era stabilitomeccanicisticamente dagli impulsiche il mondo esterno provocava sullamateria costituente l’uomo il qualeprivo di ogni libero arbitrio era co-stretto a rispondere in un modo piut-tosto che nell’altro, con le evidentiimplicazioni etiche della deresponsa-bilizzazione e della caduta del pro-blema morale. Le discussioniportarono all’indagine sulla mente incorrelazione con la realtà naturalisticae in tale ordine di studi emerse ilgenio di Immanuel Kant (1724-

di Elettra Bianchi

Domenico di Giovanni, detto il Bur-chiello, fu animatore di burle e di pun-genti critiche con gli amici artisti delXVI secolo e artista anch’egli. Restòprofondamente apprezzato nell’amici-zia

Nei numerosi mutamenti che hannocaratterizzato la società italiana e ilsuo modo di esprimersi e rappresen-tarsi, non c'è dubbio che la “scapi-gliatura” propria al neo-istrionismoe al becerismo artificialmente sboc-cato, trovi in Vittorio Sgarbi, la fi-gura leader. La ricerca dellaprogrammata rissa telematica, l'of-fesa cogente che postula risposte im-mediate, la provocazione spesso finea se stessa, costituiscono la miscelaanimatrice dei nostri talk-show, im-mediatamente adeguatisi e tempe-stivi nel rimodulare programmi eimpostazioni a questo nuovo stile divita. La rissa, anzi l'incazzatura(ormai sdoganata nel linguaggiocorrente), fanno audience e dunquetanto vale adeguarsi. Ciò sembraandar bene anche ai politici profes-sionisti, già transitati dall'incapacitàdi dialogo alla sistematica iterazione

PASQUINATE

Vittorio Sgarbi e l’autoscapigliatura

delle frasi per coprire (acustica-mente) le repliche o i commenti del-l'interlocutore; ed ora registratisi sulessici scautistici, sempre accompa-gnati da irresponsabile ottimismo eda sorrisi che sfiorano l'ebetismo. La commedia – tale è ormai ciò cheva in onda nella lottizzazione dei so-liti conduttori/conduttrici – è ormaipefettamente prevedibile: parte condiscrezione, fino alla domanda pro-vocatoria che fa scattare il turpilo-quio che tanto piace: soprattutto seciò si propina nelle ore in cui siamoa tavola in famiglia. E' l'ultimo stiledi vita “all'italiana” , ufficializzato,appunto, da un giornalismo televi-sivo senza più speranze e perfetta-mente organico al potere. Anzi,potere esso stesso. Fino a quando?

dell’ultimoventennio

La macchinaintelligenteche sapensare

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.com sabato 13 settembre 2014no90 PAG.9C.com ICON

Venezia è sempreVenezia

di Simonetta [email protected]

Accanto alla Venezia ormai som-mersa quasi interamente dal-l'onda incessante dei turisti edalla migliaia di negozietti tutti

uguali e tutti stipati di maschere e vetri,c'è la Venezia degli eventi culturali e ar-tistici di grande qualità, una delle pochecittà italiane capaci di competere con lepiù grandi capitali europee. Per la 14Biennale dell'Architettura, presentata aiGiardini e all'Arsenale fino al 23 no-vembre, musei e fondazioni ospitanomostre ed eventi in un percorso espo-sitivo che difficilmente può essere igno-rato dagli amanti dell'artecontemporanea. Alcuni suggerimentiper chi progettasse di passare qualchegiorno circondato dal bello antico emoderno.Nella grande navata cinquecentesca delMagazzino del Sale alle Zattere fino al2 novembre viene riproposta la mostraVedova in tondo, già presentata consuccesso qualche anno fa. Protagonistialcune grandi tele dell'artista venezianoe una straordinaria macchina espositivaprogettata da Renzo Piano che spostae installa le opere di Vedova allestendolo spazio davanti ai visitatori.La vicina Punta della Dogana, magnifi-camente restaurata dall'architetto giap-ponese Tadao Ando, che dal 2009ospita il Centro di Arte Contempora-nea voluto dall'imprenditore e collezio-nista Pinault, presenta fino al 31dicembre una mostra intitolata PrimaMateria, circa 80 opere realizzate dal1960 ai giorni nostri da artisti della suacollezione. Alcune opere e installazionisono state commissionate apposita-mente per l'esposizione. Un'altra partedell'immensa e importante collezione

è esposta a palazzo Grassi di cuiPinaut è proprietario del 80%. Anchequi il restauro degli ambienti interniche era stato fatto da Gae Aulenti nel1984 è stato completamente sostituitoda quello del suo architetto preferitoTadao Ando che ha realizzato anchel'auditorium del Teatrino del palazzocon 225 posti. La mostra dal titolo L'il-lusione della Luce e dal sottotitoloLuce come chiarore capace di trasfor-mare l'invisibile in visibile (anche senella prima, fantastica installazione, av-viene esattamente il contrario) resteràaperta fino al 31 dicembre.Il museo di Arte Moderna di Ca' Pesaroespone fino al 4 gennaio 20015 la col-lezione già presentata al MoMA di NewYork di Ileana Sonnanbend, la più im-portante scopritrice di nuovi talenti ar-tistici della seconda metà delnovecento insieme a Peggy Guggen-heim.Ed infine, ma la lista potrebbe esseremolto più lunga, fino al 28 settembrel'università Cà Foscari presenta Oltre laPorta Rossa, la prima mostra italiana diMikhail Roginsky (1931 - 2004) con-siderato il fondatore della pop art russa.Le opere presentate in questa affasci-nante esposizione con inspiegabil-mente pochissimi visitatori furonoeseguite nel periodo parigino dell'arti-

sta dal 1978 al 2003. La mostra si aprecon una delle sue opere più famose, LaPorta Rossa del 1965 quando Roginskyviveva ancora in Russia e insegnava allaScuola di Arte di Mosca. La Porta rap-presenta l'apertura dell'artista versonuovi orizzonti estetici lasciando allespalle il linguaggio convenzionale del-l'ortodossia socialista. Una volta supe-rata quella Porta, inizia un percorsoespositivo fatto di opere che ormaiprive di costrizioni estetiche ritraggonouna quotidianità di oggetti semplici eambienti fatti di colori privi di ogni bril-lantezza, slavati, gocciolanti, e di poesia.La mostra si conclude con un simbo-lico rientro da quella Porta, quandoormai libero da ogni schema Roginskyritorna nella sua Russia da spettatore invisita e ne ritrae, con affetto ma anchecon distacco, i suoi aspetti più intimi.

SCAVEZZACOLLO

di Massimo [email protected]

PlatonicoE’ quando, non avendo la minima idea di come lo facessePlatone, ci si astiene dal farlo per non sbagliare.

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.com sabato 13 settembre 2014no90 PAG.10LUCE CATTURATA

Florence Night M

ovida Itinerari notturniFirenze 2008-2013

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di Sandro Biniwww.deaphoto.it

di Alessandro [email protected]

MUSICA MAESTRO

Il compositore australiano Peter Scul-thorpe è deceduto l’8 agosto a Sydneydopo una lunga malattia. Aveva 85anni. A molti il suo nome suoneràignoto, ma si tratta di uno dei piùgrandi musicisti che il lontano paeseabbia espresso durante il ventesimo se-colo. Non solo, ma è uno di quelli gra-zie ai quali l’Australia ha acquisitoun’identità musicale autonoma. Peter Sculthorpe nasce il 29 aprile1929 a Launceston, una cittadina dellaTasmania, l’isola situata a sud dell’Au-stralia continentale. A nove anni inizia a comporre. La mu-sica lo attrae in modo irresistibile: ba-stano pochi anni perché decida didedicarsi interamente alla composi-zione. I genitori lo sconsigliano e cer-cano di fargli scegliere un’altra strada,ma invano.Compie i primi studi al Conservatoriodell’Università di Melbourne.Nel 1958 vince una borsa di studio chegli permette di frequentare lo WadhamCollege di Oxford, dove si perfezionasotto la guida di Edmund Rubbra edEgon Wellesz. L’Australia e la NuovaZelanda, ex colonie britanniche dapoco indipendenti, conservano strettilegami con la madrepatria. Questospiega perché la maggior parte dei mu-sicisti australiani e neozelandesi studiain Gran Bretagna. Uno di questi è Dou-glas Lilburn, che negli anni Trenta ha

studiato a Londra con Ralph VaughanWilliams prima di diventare la figuracentrale della musica neozelandesecontemporanea. Ma torniamo a Sculthorpe. A Oxford ilgiovane musicista sviluppa una solidaamicizia con Wilfrid Mellers, composi-tore e musicologo, che lo stimola asvincolarsi dalle influenze europee perconcepire uno stile autonomo.Sculthorpe torna in Australia nel 1960.Nei lavori degli anni successivi si av-verte l’influenza della musica balinese egiapponese. Lo attestano fra gli altri Tabuh Tabuhan(1968), Night Pieces (1971) e KotoMusic (1973). Il legame con l’Asia ca-

ratterizza anche altri compositori au-straliani, come Anne Boyd, Helen Gif-ford e Richard Meale.Questa influenza diventa presto untratto distintivo della musica austra-liana: del resto, Tokyo è più vicina diVienna.Quello che più caratterizza la scritturadi Sculthorpe, comunque, è l’amoreper il paesaggio, presente negli stessi ti-toli: da brani pianistici come FallingLeaves (1945) e Landscape (1971) acomposizioni orchestrali come SunMusic I-IV (1965-1969) e Kakadu(1988). La particolarità del paesaggioaustraliano, unico al mondo, trovanelle note di Sculthorpe la sua proie-

zione musicale. Negli anni Settanta le culture abori-gene cominciano a influenzare le suecomposizioni, fra le quali Rites of Pas-sage (1972-1973), un balletto teatraleche segna una tappa decisiva della suacreatività. Il testo è scritto in latino e inaranda, la lingua del popolo arrernte.L’interesse per il mondo aborigenonon rimane legato unicamente alla mu-sica, ma include una sincera adesionealle lotte politiche della minoranza in-digena. Questo impegno viene apprezzato: nel1977, quando la sua composizione ca-meristica Port Essington viene ese-guita al Teatro dell’Opera di Sydney,alcune associazioni indigene gli scri-vono per ringraziarlo.La familiarità con le culture aborigeneviene ulteriormente rafforzata dal-l’amicizia con William Barton, un gio-vane musicista aborigeno che suona il didgeridoo. Ne nasceun’intensa collaborazione: in Requiem(2004) lo strumento viene utilizzatoper la prima volta insieme a un’orche-stra.Sculthorpe scrive anche tre colonnesonore. Una di queste accompagna ilfilm Manganinnie (1980), che rievocail genocidio degli aborigeni della Ta-smania. Autore trattato da numerosilibri, il musicista ci ha lasciato ancheun’autobiografia, Sun Music: Journeysand Reflections from a Composer’s Life(ABC, 1999).

L’aborigeno bianco

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.com sabato 13 settembre 2014no90 PAG.11C.com

La mostra, che chiuderà il 2 novem-bre prossimo, nasce da un progettodel 2012 che portò alla verificadello stato di conservazione dei

resti mortali dell’Elettrice Palatina, l’ul-tima discendente del ramo granducalemediceo ed al risanamento della sepol-tura, oltre al restauro di parte dell’im-portante corredo funebre, Il nucleo centrale dell’esposizione illu-stra in particolare gli anni immediata-mente successivi al ritorno a Firenzedell’Elettrice, dopo la morte del marito,avvenuta nel 1716, che toccano da vi-cino il complesso di San Lorenzo concommissioni importanti quali ad esem-pio, la costruzione del campanile e la di-pintura della cupola della basilica.Si deve ad Anna Maria Luisa dei Medici,con il Patto di Famiglia, la donazioneperpetua allo Stato di Toscana del patri-monio artistico mediceo.Esistono ancora le condizioni generali eparticolari per ripetere questo esempioa favore della Comunità?Per rispondere è sufficiente rileggerel’articolo terzo della Convenzione checosì dispone: “La Serenissima Elettrice cede, dà, e tra-sferisce al presente, a S.A.R. per Lui, e iSuoi Successori Gran Duchi, tutti i Mo-bili, Effetti e Rarità della successione delSerenissimo Gran Duca suo fratello,come Gallerie, Quadri, Statue, Bibliote-che, Gioie ed altre cose preziose, sic-come le Sante Reliquie e Reliquiari, eloro ornamenti della Cappella del Pa-lazzo Reale, che S.A.R. si impegna aconservare, a condizione espressa che diquello (che) è per ornamento delloStato, per utilità del Pubblico e per atti-rare la curiosità dei Forestieri, non nesarà nulla trasportato, o levato fuori dellaCapitale, e dello Stato del Gran Ducato”.Un aspetto di particolare rilievo è chequesto Patto è stato in qualche modo ilprimo vincolo in loco sul patrimonio ar-tistico dei privati, che è, forse, l’unicomodo per mantenere unito un patrimo-nio e soprattutto per mantenere unitauna collezione nel tempo.Una raccolta organica ha un significa-tivo valore aggiunto rispetto ai singolioggetti; una volta dispersa, cessa di es-sere tale e diventa una serie di oggetti damercato collezionistico, ciascuno deiquali ha però solo un pallido riflesso del-l'importanza che veniva loro dall'essereinseriti in un contesto.La stessa memoria del collezionista, unavolta dissoltasi la sua collezione, si perdenel tempo diventando, quando va bene,un nome noto solo agli specialisti.Rendere pubblica una collezione è ilsolo modo per non smembrarla ed èanche il modo per passare alla storiacome è avvenuto anche al collezionistaStibbert ed alla donazione effettuata allaSua morte, alla città di Firenze. In effetti il Museo privato "nasce" in vita,e possono essere precostituite azioni pergarantirne la continuazione.Il Patto può essere ripetuto da chi vogliadisporre per il futuro, a favore di una co-munità, il beneficio che collezioni im-portanti gli hanno dato in vita.

POLVERE DI MUSEI

di Roberto [email protected]

L’Elettrice Palatinatorna a casaCome progettare un nuovo museo a San Lorenzo

Una collezione non deve necessaria-mente essere donata potendo invece es-sere concessa in comodato d'uso e con3questa destinazione vincolata alla frui-zione pubblica stabilendone modalità epresenza territoriale preferibilmente aduna fondazione che risulta oggi l’orga-nismo più adatto.

di Francesco [email protected]

KINO&VIDEO

Cronache dall'inferno. Va in scenala mise en abyme di un puzzle, di ciòche rimane dell'originario progettonaufragato: quello di fare un film atesi sui rapporti tra Berlusconi e lamafia siciliana. Maresco mette ingioco l'assurdo partendo dalla cro-naca di un fallimento - non importaquanto vero o inscenato,- per poi ri-velare un mosaico di variazioni sutema, di microstorie. L'apparente de-riva degli intenti finisce col restituireal film un quadro ancora più sur-reale, non fosse lo spaccato impie-toso del nostro tempo, la descrizionemostruosa del nostro presente. In-tendiamoci, “Belluscone” è un filmfarraginoso e incompleto (voluta-mente?), a metà tra l'inchiesta e iltragicomico degli ultimi lavori cine-matografici della coppia Ciprì e Ma-resco. La scomparsa del regista è attoal contempo geniale e stucchevole,funzionale all'introduzione del nar-ratore - un sontuoso Tati Sangui-neti,- che in qualità di Caronte ha ilcompito di condurci per queste in-fernali acque del Lete. La ricostruzione impossibile deiframmenti raccolti dal regista, di-venta paradossale viaggio nei mean-dri dell'universo dei cantantineomelodici palermitani, humusideale ove prospera la bassa manova-lanza delle mafie. Questa necessariavirata, a quanto pare imposta da ra-gioni di produzione e problemi divario genere, restituisce corpo allatesi iniziale. Gli artigli affondano nelterritorio più che sulla mappa.

Emerge la sublime figura di unvinto, Ciccio Mira, personaggiochiave che salva il film dal “falli-mento”. Mira, impresario musicalelocale, è maschera da commediadell'arte che incarna l'anelito delnon espresso, la dolcezza deldogma, il sigillo muto della tradi-zione. Altro enorme tributo di Ma-resco al disvelamento di personaggie macchine attoriali, patrimonio delteatro del quotidiano (in questosenso Maresco prosegue una mis-sione smaccatamente pasoliniana).In lui, in Ciccio Mira, si tiene latrama - fattasi ormai parvenza efumo,- il senso dell'opera che parecoagularsi in un nuovo soggetto, inuna trasposizione neutra del mo-

struoso. Un apparenteripiegamento, dopo lascomparsa del Deus

Ex Machina, che fini-sce col restituire in-nocenza alle ragionidei vinti, sublima-zione all'orrore. Unfilm nel film che ri-manda a certe opera-zioni di Keaton, unsusseguirsi folle di vi-cende e personaggiche ordiscono unatrama “aliena”, tan-genziale, che bypassail cortocircuito, e sot-trae il film-natante alnaufragio. Dall'in-chiesta surreale e ati-pica alla catarsiimplosa che acca-rezza il pelo al mito.

La cornice si sfalda per poi polveriz-zarsi in una costellazione di signifi-cati, spesso antitetici, ma daicontenuti altamente poetici. Questinostri lustri, il nostro tempo attuale,divengono allora scenografie deglispettri, realtà farlocche ove si agi-tano le grottesche marionette deiprotagonisti della nostra vita poli-tica e criminale. E' un film che di-vora se stesso, il suo regista e noispettatori inesistenti, che si rigeneranella deiezione, nello scarto su-blime, nello iato tra logica ed entro-pia, tra reale manifesto eimmanifesto. “Kirtimukha”, iltempo che divora il tempo. Da pro-iettare in ogni scuola dell'obbligo si-ciliana.

Belluscone

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gliore, fa impressione: i due chiacchie-roni antagonisti si rivolgono agli "as-sassini assassinati" chiedendo loroconto della obbedienza, della mancata

ribellione e della non attuata fuga daun destino di morte da dare e ricevere.Si rivolgono alle lapidi, camminano inmezzo ad esse, a un tratto nella mia

mente appare l'incipit di una poesiaimparata a scuola , come una fantasia,un desiderio del suo avverarsi "si sco-pron le tombe, si levano i morti...." e ipoveri soldati tedeschi risorti possonofinalmente rispondere, arrabbiarsi.Profondissima pena per le vite gioioseinutilmente ed ingiustamente sacrifi-cate a sogni di gloria e di potere noncerto appartenenti a loro. Chiude lavoce registrata di Ronconi che parladella ormai inellutabile fine dell'Uma-nità. Karl Kraus, ebreo, ripudiò la suaappartenenza a questa religione, si fececattolico e infine ripudiò anche il Cat-tolicesimo.

CCUO

.com sabato 13 settembre 2014no90 PAG.12

MENÙ

Timballo proustianoQuesto è un piatto che mi riporta indie-tro nel tempo quando avevo più o meno7/8 anni in piena estate, a ferragosto contutta la mia famiglia, al mare. Il lido sichiamava Santa Apollinare. Un postomagnifico, sabbia bianchissima e, ri-cordo, un lungo pontile in legno dovenoi ragazzini ci tuffavamo in un limpi-dissimo mare turchese. Oggi quellaspiaggia non esiste più, al posto del lidoè sorto un quartiere residenziale. A mezzogiorno sentivo la bella voce dimamma che mi chiamava a riva per ilpranzo che a ferragosto era davveromolto speciale. All’ombra di un grossopino marino, sulla tavola apparecchiatadi tutto punto ( niente piatti di plastica,ma veri di porcellana ) c’era lei: la pastaalla parmigiana, sognata dalla sera primamentre mamma Lucia la preparava per ilgiorno dopo. E poi c’erano gli involtini alsugo e una grande insalata mista con icucumbrazzi, che altri non erano che gliultimi frutti nati sulla pianta del coco-mero rosso che ricordano per sapore icetrioli ma molto più buoni e succosi.Basta malinconici ricordi e passiamo allaricetta di questo magnifico primo piatto. Ingredienti per 6 persone: 6 melanzanenere belle sode, 3 chili di pomodori dasugo, 2 carote, una costa di sedano, unafoglia di alloro, una grossa cipolla, 1 bic-chiere di vino bianco, farina, 4 uova, oliodi soia per friggere, 1 chilo di mozza-rella, 200 g di parmigiano, 1 chilo dimezze ziti.

Preparazione: pulite le melanzane conun canovaccio e tagliatele a fette sottili.Posatele in uno scolapasta versandocisopra del sale grosso e lasciate riposareper 20 minuti in modo che sudi tuttal’acqua amarognola di vegetazione. Nelfrattempo preparate il sugo: tritate la ci-polla, la carota e la costa di sedano, ver-sate il trito in una capace pentola condell’olio extra vergine d’oliva, la foglia dialloro, e mettete a cuocere su fuoco mo-derato; a metà cottura versate il vinobianco e fate evaporare. Passate nel pas-saverdura i pomodori che avrete fattobollire per 5 minuti, e, una volta evapo-rato il vino, versate il succo nella pen-tola. Fate cuocere per 1 ora circa. Adessotogliete le melanzane dallo scolapasta,lavatele con acqua fresca  e tamponatelecon carta assorbente, infarinatele e pas-satele nelle uova sbattute. In una grossa

padella fate scaldare abbondante olioe  immergete le melanzane. Quando sa-ranno dorate toglietele e posatele in unpiatto grande con della carta assorbenteper eliminare l’olio superfluo. A questopunto preparatevi tutti gli ingredienti sultavolo: il parmigiano, la mozzarella tri-tata, il sugo e le melanzane. Mettete abollire abbondante acqua, spezzate lemezze ziti in 4/5 parti e fate cuocere pernon più di 2 minuti, scolate e conditecon il pomodoro, fate attenzione a con-servare più della metà del sugo che uti-lizzerete dopo. Finalmente siamo giuntial momento magico della confezionedel piatto: in una teglia versate sul fondoun po’ di salsa e fate un primo stratodi melanzane, aggiungete uno strato dipasta e condite con la mozzarella, il for-maggio e altro sugo. Ripetete l’opera-zione fino ad esaurimento degliingredienti con l’ultimo strato di solemelanzane e infornate a 220 gradi per  1ora circa di cottura . Portate a tavola eper una volta fregatevene della linea,buon appetito a tutti voi.

di Cristina [email protected]

Gli ultimi giornidell’umanità

SCENA&RETROSCENA

Il luogo è bellissimo nella sua deso-lata essenza, un enorme spazio ci-miteriale degrada dal punto piùalto del Passo della Futa, ordinato

da vialetti definiti da muri di pietrache separano prati, verdi di sottile erbaben rasata, disseminati di grigie lapidi,allineate in buon ordine, che portanoincisi i nomi dei 30.000 e più soldatitedeschi morti nel corso dell'ultimaguerra. Un panorama superbo, illumi-nato dal sole e battuto dai venti, alberie arbusti qua e là, il luogo può apparireuna tardiva ed inutile riparazione perquei giovani cui la vita fu scippata, disicuro troppo prima di averne abba-stanza vissuta, da una delle tanteguerre dell'Umanità. Qui l'ultima, lapiù sanguinosa. Ogni estate questoluogo si trasforma in un infinito edenso palcoscenico, assistere a unodegli spettacoli teatrali che vi si rappre-sentano è una esperienza unica, emo-zionante comunque. Archivio Zeta èuna associazione teatrale autogestitaed autopromossa, fondata da EnricaSangiovanni e Gianluca Guidotti, che,dal 2005, propone Teatro con la T ma-iuscola, nel corso dei mesi estivi, suquesto straordinario palco, al tramon-tar del sole, altra meraviglia da nonperdere. Eschilo e Sofocle con i lorosempiterni temi etici, psicologici e so-ciali negli anni passati, quest'anno, cen-tenario superfesteggiato, e qui qualcheperplessità è d'obbligo, della primaguerra mondiale, un testo da sempreritenuto non rappresentabile, messo inscena unicamente dal coraggioso Ron-coni, loro faro, maestro e guida, al Lin-gotto nel 1999. Gli Ultimi Giornidell'Umanità, opera mastodontica, 5atti, un prologo ed un epilogo, di KarlKraus. A me, freqentatrice assidua,sono piaciute molto di più le tragediegreche, capolavori che non son certoio a scoprire. Questa opera, inevitabil-mente sparpagliata in mille rivoli di pa-role, risulta un pò frammentaria vistol'onnipotente obbiettivo di riferire levoci di un pò tutti i coinvolti dallaguerra. Si parte dall'attentato di Sara-jevo e dalle "edizioni straordinarie" chene danno la notizia, si ascoltano previ-sioni di rapida vittoria fatte da Nobilisdegnosi nei salotti Viennesi, progettidi Generali e chiacchiere di due Perso-naggi in antitesi, maestre fanatiche, an-ticipanti il nazismo di là da venire,insegnano cose assurde ad una impro-babile scolaresca. Più coerenti e forsetoccanti, le lettere dei soldati alle moglio fidanzate e quelle di queste ad essi.Come un pò a cotè per la attualitàviene distribuito al pubblico un volan-tino con le foto della esecuzione di Ce-sare Battisti da una parte e dall'altra il"selfie" del Boia che si gongola dietroil pover'uomo oramai impiccato emorto, intorno uomini felici di essercistati, (l'attualità è in questo termine or-rendo che indica un narcisistico desi-derio di immortalare se stessi in unaqualsiasi o eccezionale situazione). Nelfreddo della sera di un agosto bagnatoe gelido l'ultima parte, di sicuro la mi-

di Michele [email protected]

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.com sabato 13 settembre 2014no90 PAG.13C.com HORROR VACUI

Far from the madding crowd!! Far from the madding crowd!!Far from the crowd!!Far from!! Inutile, nessuno parla più l'inglese e nessuno mi farò sopravvivere da questo ultimo attacco di claustrofobia.

Disegni di Pam

Testi di Aldo Frangioni

Disegni di PamTesti di Aldo Frangioni

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Firenze sarà una delle 77 località italianein cui si svolgerà domenica prossima laXV Giornata europea della culturaebraica con un denso programma di con-ferenze dedicate alla figura femminiledell’ebraismo, di degustazioni culinarie,di musica, di apertura gratuita della Sina-goga e del Museo ebraico di via Farini, 6con l’allestimento di un bookshop tema-tico a cura di Coopculture e due visiteguidate a tema alle ore 11.30 e alle ore15. Durante la giornata ci saranno moltiinterventi e approfondimenti dedicatialla figura femminile su vari temi: dallapreghiera alla Torà, dalla storia alla tradi-zione. A portare il proprio contributo sutemi diversi saranno il Rabbino capo diFirenze Joseph Levi, la professoressadell’Università di Firenze, Ida Zatelli, laprofessoressa Milka Ventura Avanzinelli,Diana Matut, docente presso il Seminaryfor Jewish Studies dell’Università diHalle-Wittenberg e molti altri. Alle ore 16,30 ci sarà uno spazio dedicato

interforze che per oltre sessant’anni havisto gli eserciti di tutto il mondo speri-mentare armi avvelenando l’aria, i terrenie le falde acquifere. Una questione chefatica ad entrare nell’agenda politica emediatica italiana, ma che nonostantequesto dev’essere affrontata e messa alcorrente dell’opinione pubblica.Antefatto. Sardegna, seconda metà del’400. Violante Carroz trova, sotterratinelle campagne di Carbonara, una Ma-donna di marmo e un telaio d’oro. Car-bonara, 1847. Stefanina con la passioneper i rimedi curativi a base di erbe offi-cinali, si oppone all’assenza di alternativealle consuetudini di una piccola comu-nità contadina. Cagliari, 1999. Eleonora,indaga sull’uso di proiettili all’uranio im-poverito nel poligono militare di Quirra,impigliandosi in una rete creata incon-sapevolmente da lei stessa. Villasimius,2032. In una Sardegna travolta daglisconvolgimenti climatici, Emiliano cercadi scoprire perché suo padre sia mortodi leucemia sotto lo sguardo indifferente

dei militari. Stefanina, Eleonora e Emi-liano, una casa diroccata nelle campagnedi Quirra e un pettine senza denti: pas-sato e futuro si rincorrono, si sovrappon-gono e si risolvono in un crescendo diinquietanti rivelazioni, fatte di intrighi,equivoci e soprusi che si sviluppano e siconfondono lasciando al lettore il com-pito di districarli. Eugenio Campus in-crocia i destini dei protagonistiattraverso la descrizione di duecentoanni di storia, dall’abolizione del feuda-lesimo al crollo delle Torri Gemelle, an-ticipando scenari sorprendenti in cui laSardegna offre piccoli dettagli dell’avve-nire che ci attende.Dal 5 settembre, fino alla metà di otto-bre, il Museo archeologico Nazionale diFirenze ospiterà, presso gli spazi dellaSala del Nicchio, la mostra curata daFranco Campus “Miti e simboli di unaciviltà mediterranea: la Sardegna nura-gica”.Dopo gli importanti successi riscossi inaltre prestigiose sedi della penisola, tra

cui il Museo Etrusco di Villa Giulia aRoma e il Teatro del Falcone presso ilpalazzo Reale di Genova, l’evento ap-proda anche nel capoluogo toscano, gra-zie alla fattiva collaborazione fra diverseistituzioni: in primis l’Associazione Cul-turale Sardi in Toscana, le Soprinten-denze archeologiche della Toscana e perle province di Sassari e Nuoro e i Co-muni sardi di Ittireddu, Teti e Torralbache hanno finanziato interamentel’evento.Da sottolineare che l’esposizione fioren-tina costituisce solo in parte una ripro-posizione di quella romana e genovese,poiché l’allestimento è stato interamenterivisto in funzione degli spazi espositivimessi a disposizione dalla Soprinten-denza toscana.Suggestive ricostruzioni quasi in scalareale (tra cui quella del celebre tempiodi Su Tempiesu di Orune), gigantografiedi interni di nuraghi (su tutte merita diessere ricordata quella del cortile del nu-raghe Santu Antine di Torralba) e copiedelle celebri statue di Monte Prama, ac-compagneranno il visitatore in un per-corso in cui verranno approfonditi gliaspetti dell’agricoltura e della metallur-gia.Accanto agli eccezionali reperti, soprat-tutto bronzei, provenienti dalle più im-portanti sedi museali della Sardegna(bronzetti figurati, navicelle, armi, mo-delli di nuraghe e numerosi bronzid’uso), verranno esposti anche i mate-riali nuragici custoditi presso il MuseoArcheologico di Firenze. Si tratta di og-getti rinvenuti in ricche tombe villano-viane ed etrusche specie dell’Etruriamineraria (Populonia e Vetulonia), chetestimoniano gli intensi rapporti fra Nu-ragici e popolazioni tirreniche tra il X el’VIII sec. a.C.Per l’occasione si sono esibiti il coro po-lifonico Monte Ruju di Ittireddu direttodal maestro Silvio Bossi e il gruppo folkdi danza tradizionale di Teti.Al termine della manifestazione è statoofferto un buffet con prodotti tipici dellaSardegna presso il giardino storico delMuseo Archeologico.

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.com sabato 13 settembre 2014no90 PAG.14

L’APPUNTAMENTO L’APPUNTAMENTO

di Chiara Novelli

Parlaredi Sardegnain Toscana

Galleria continua Giornatadella culturaebraica

ODORE DI LIBRI

Parlare di Sardegna in Toscana, aFirenze, è parlare di noi, dell’Ita-lia, del nostro rapporto conl’identità storica e culturale che

ci rende molteplicità e paese, che per-mette di confrontarci per capire quanto,tutti, abbiamo radici lontane nel tempo,il loro valore nella pelle, e un prezzo alto,pagato ogni giorno, di una politica comeviolenta gestione del potere, abuso sul-l’uomo e quindi responsabilità, comepremessa alla lotta. Cuore della diffusione di questa culturae il suo senso è l’ACSIT-AssociazioneCulturale Sardi in Toscana con sede a Fi-renze piazza Santa Croce,19 grazie all’at-tività della sua presidente FiorellaMaìsto, della sua vice presidente Pasqua-lina Musina e dei responsabili MarilìaFresu e Mattia Lilliu, per capirne la por-tata, basta soffermarsi sui due ultimieventi che hanno promosso: uno nelgiugno scorso a Palazzo Bastogi, sededella Regione Toscana, dove l’istituzioneaccoglie la presentazione del libro di Eu-genio Campus “Il pettine senza denti”che pone all’attenzione di tutti, tramite ilmezzo letterario, della realtà delle servitùmilitari in Sardegna e uno recente che èla grande mostra al museo Archeologicodi Firenze “Miti e simboli di una civiltàMediterranea- la Sardegna Nuragica”, vi-sibile fino al 15 ottobre 2014.Alla presentazione, moderata dall’ex vi-cesindaco di Firenze Gianni Conti, in-terverranno, dopo i rituali saluti delSegretario dell’Ufficio di Presidenza delConsiglio Regionale Marco Carraresi edel Presidente ACSIT Fiorella Maisto,l’autore del libro Eugenio Campus, lescrittrici Anna Maria Falchi e Chiara No-velli e Domenico Leggiero, responsabiledell’Osservatorio Militare che da anni sibatte per raccogliere le testimonianze dimilitari colpiti da presunte contamina-zioni da uranio impoverito.Con la presentazione de “Il pettine senzadenti”, l’ACSIT continua a tenere accesii riflettori sul delicato tema che riguardail Salto di Quirra dove ha base il poligono

(Avery Gosfield – flauti, Francis Biggi -cetra e colascione, Anna Pia Capurso -voce, Gloria Moretti – canto). L’altroconcerto alle ore 18 con la KlezmerataFiorentina, ovvero quattro solisti dell’Or-chestra del Maggio Musicale Fiorentinoper un ensemble sorprendente e affasci-nante fra ricerca e innovazione, virtuosi-smo e anima. Igor Polesitsky al violino,Riccardo Crocilla al clarinetto, FrancescoFurlanich alla fisarmonica, Riccardo Do-nati al contrabbasso presentano il nuovodisco “18 tales of a hidden zaddik” (Co-lumna Musica, 2014). Alle 19 ci si spo-sta allo Spazio Alfieri, dove verràinaugurato il primo Florence Israeli FilmFestival, un ciclo di tre serate (fino al 16)dedicato al cinema d’Israele. In pro-gramma cinque film in versione originalecon sottotitoli in italiano, che sono unaselezione delle migliori pellicole del ci-nema d’autore israeliano presentate al Pi-tigliani Kolno’a Festival di Roma.

Sabato 20 settembre alle 18 Shilpa Gupiaalla Galleria Continua a San Gimignano

ai più piccoli in collaborazione con lanuova collana Giuntina per bambinidove CoopCulture propone letture ani-mate e merenda con i due nuovi testiper bambini La Torre di Babele e la Fisar-monica di Mendel. La Comunità ebraica di Firenze nonmancherà di stupire gli ospiti con il Bala-gan Bistrot, un’area dedicata ad assaggi,degustazioni kasher, bevande delle milletradizioni ebraiche. Spazio anche allamusica con due concerti: alle 14 si esibi-sce Ensemble Lucidarium in “Dize laNuestra Novia – voci di donne nella Dia-spora”, un viaggio nel tempo e nello spa-zio con una delle formazioni di musicarinascimentale più acclamate d’Europa

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.com sabato 13 settembre 2014no90 PAG.15C.com TRASH TOWN

di Fabrizio [email protected]

Per ignoti motivi, i fiorentini hannosempre avuto un grande rispetto per ifiori e le piante, come è testimoniatodalla toponomastica cittadina. Anchesenza addentrarsi nel quartiere del-l’Isolotto, dove la grande maggio-ranza delle strade sono dedicate adalberi e fiori, basterà ricordare che frale più antiche tracce toponomastichesopravvissute ci sono quelle di epocamedioevale, quando i tratti di stradavenivano individuati “da cantonata acantonata”: ebbene, fra gli 81 Cantifiorentini censiti si devono registrareil Canto degli Aranci (Via Ghibellinaangolo Via Verdi), il Canto al Gelso-mino (Via Senese angolo Via Accur-sio), il Canto del Giglio (Via degliSpeziali angolo Via Calzaioli), ilCanto alla Mela (Via Ghibellina an-golo Via dei Macci), il Canto al Mela-rancio (confluenza Via del Giglio, Viadel Melarancio e Via dell’Amorino), ilCanto al Pino (Via dei Pepi angoloVia di Mezzo), il Canto del Ramerino

(Borgo Allegri angolo Via de’ Mal-contenti) e il Canto del Rosaio (Viadella Pergola angolo Via della Co-lonna).Se gli esemplari botanici dai quali de-rivarono il nome gli antichi cantisono ormai scomparsi da secoli, dialtri si conserva ben vivo il ricordo,se non, in alcuni casi, la sia pur surro-gata presenza.Cominciamo dalle querce: cen’erano almeno due. Una, abbattutanon moltissimi anni fa, era un esem-plare gigantesco, il Quercione, chediede (e dà) il nome al prato princi-pale del parco delle Cascine. Comeabbiamo accennato altrove, è alQuercione, secondo molti studiosidell’opera di Collodi, che viene im-piccato Pinocchio.Un’altra querce si trovava nell’attuale

zona delle Cure; vuole la leggendache a quell’albero fosse appesa l’im-magine di una Madonna alla quale siera appellato un infermo nel 1520,ottenendo la guarigione. A seguito diquel miracolo si costituì la Confra-ternita della Madonna della Querce,che commissionò a Michelangelo ilprogetto di una chiesa, poi realizzatafra il 1525 e il 1550 nell’attuale Viadella Piazzola; sconsacrata qualchesecolo dopo, fu trasformata in villaed oggi è difficile trovarne una qual-che traccia. La quercia miracolosadiede il nome anche a un’altra bella

villa di Via della Piaz-zola, diventata poi pertanti anni sede del “Col-legio alla Querce”, e adaltri edifici notevolidella zona dal serbatoiodell’acquedotto dellaQuerce alla Barriera deldazio della Querce.Ma, probabilmente, l’al-bero fiorentino per an-tonomasia è il pino chedà il nome a un cavalca-

via della ferrovia e a tutta la zona. Ilpino originale (che vedete nella foto)fu abbattuto nel 1935 e una nuovapianta fu collocata al suo posto il 18aprile 1953, per iniziativa dell’Asses-sore alla Cultura della prima giuntaLa Pira. Lo stesso assessore fecereimpiantare, in memoria dellaquerce miracolosa, una nuova piantaall’incrocio fra Via della Madonnadella Querce e Via Brunetto Latini:questo difensore del verde e delletradizioni cittadine altri non era chePiero Bargellini, futuro “sindacodell’alluvione”.

Ponte al Pino

Antichepiante

di Alessandro [email protected]

Siamo andati a cercare sul Sole24ore (archivio web) notiziesulla "gente di Brescia che sirompe la schiena" che il no-

stro Premier ha visitato glissandoCernobbio, e abbiamo trovato chenon si tratta proprio di una "bottegadi idraulici", ma nientemeno che delbresciano Gruppo Bonomi, fatturatodi oltre 100 milioni con ricavi per il46% in Italia e per il 54% fuori. Dal2012 questa ‘rubinetteria’ ha acqui-sito un’unità produttiva in Brasile,una commerciale in Russia e control-late in Inghilterra, Germania e India.Nella Relazione di Bilancio 2012 silegge che ‒ dopo ammortamenti per4,8 milioni e imposte per 4,1 ‒ ilGruppo Bonomi ha riportato unmargine lordo di 17,39 milioni (18,1nel 2011) e un utile netto di 8,14 mi-lioni (8,37 nel 2011). ‘Rubinetteria’che anche per avere sempre reinve-stito gran parte dell’utile, oggi è unvero gioiello industriale. Quest’annoil Gruppo Bonomi ha ricevuto daFincantieri una commessa da 1,5 mi-lioni ma, dicono i due partners, ‘pre-sto si andrà oltre’. Nella Relazione diBilancio 2013 di Fincantieri, infatti,si legge che: “... Fincantieri rientra apieno titolo nel gruppo di quelleaziende che fanno dell’export e del‘replacing worldwide’ [‘delocalizza-zione’, ndr] i propri punti di forza.Oltre all’attività tradizionale nel set-tore navale, gli obiettivi che ci propo-niamo dopo l’acquisizione delcontrollo della norvegese vard [dal2013 Fincantieri Oil&Gas ha il55,63% di  vard] formano una retemondiale che produce ‘chiavi inmano’ piattaforme marine ‘of shore’per l’estrazione di petrolio e gas natu-

rali con oltre 20.000 dipendenti in 21cantieri  navali dislocati in 7 Paesioltre l’Italia, dal Brasile agli StatiUniti, al Vietnam. Dopo questa ope-razione Fincantieri vale non meno di1,5 miliardi di euro, con una forte di-versificazione del ‘core business’ siadi prodotto sia geografica ...”. Scena-rio nel quale il Gruppo Bonomi è ingrado di partecipare al meglio alla‘operazione vard’ intrapresa da Fin-cantieri offrendo robuste garanziequalitative e autonomia finanziariaper le proprie forniture. Tutto questo,però, avverrà per la maggior partefuori dell’Italia e qualora la visita delPremier al Gruppo Bonomi fosse daintendere quale plauso a una dellemassime ‘delocalizzazioni’ produttivedei prossimi anni, niente altro diMatteo Renzi potrebbe sorprendere,nemmeno quando lascia supporreche alcune strutture statali sindacal-mente rappresentate, molto impor-tanti e delicate per istituto e perfunzioni, avrebbero dovuto presen-tarsi al suo cospetto ‘col berretto inmano’. Oppure quando annuncia ‘ri-forme rivoluzionarie’ che però richie-dono anni per l’attuazione senzapoter produrre effetti immediatisull’ormai disastroso livello econo-mico della gente, guardandosi benedal ‘disturbare’ poteri burocratici edeconomici forti per realizzare subitomodifiche strutturali dello Stato e ri-solvere con urgenza problemi già al-l’orizzonte come  disoccupazionecrescente, conseguente calo dei con-tributi previdenziali e riduzione del‘monte pensioni’ (cfr inps, Bil. Cons.2012). Un futuro oscuro, inaccetta-bile per ‘’chi si è già rotto la schienaavendo lavorato una vita in Italia’’.

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

Rompersi

la schiena

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berlincion

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Santa Clara, California, 1972

Siamo sempre nel Campus dell’Università diSanta Clara. La cerimonia delle Lauree è appenafinita e siamo arrivati al fatidico “rompete lerighe”.Questo simpatico giovane che saluta con il pugnochiuso si chiamava Tony Estremera ed era ovvia-

mente un ispanico, come ce ne sono tanti in que-sta terra baciata dal sole e da un clima davverospettacoloso. Si era appena laureato in legge e, perquanto mi è dato sapere, ha continuato con il suoimpegno politico a lavorare nel settore della difesalegale degli immigrati messicani. L’altra immagine

mostra invece mia moglie Anna Marie il giornoprima della cerimonia, quando è andata a pren-dere il tocco e la toga. I cartelli alle sue spalle di-cono chiaramente che il vero diploma di laureanon verrà rilasciato se prima non verranno ricon-segnati questi due “capi di abbigliamento”!

Dall’archivio di M

aurizio Be

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