Cultura Commestibile 83

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83 uesta settimana il menu è Q PICCOLE ARCHITETTURE Stammer a pagina 5 Il modello invisibile RIUNIONE DI FAMIGLIA Gira la ruota a pagina 4 Binazzi a pagina 2 Cecchi a pagina 7 OCCHIO X OCCHIO Garry Winogrand, il poeta della strada Mazzanti a pagina 9 RI-FLESSIONI Italia, dove ci sono più carte che pietre DA NON SALTARE Questa è la musica. Secondo Ufo Bravo Dario 7+ A che serve il Classico Nicolas Sarkozy, attualmente sotto accusa per il reato di corruzione, figlio di un immigrato ungherese I minori nati in Francia da stranieri non dovreb- bero ottenere automaticamente la cittadinanza, compiuti i 18 anni, se hanno compiuto reati

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83 uesta settimanail menu èQ

PICCOLE ARCHITETTURE

Stammer a pagina 5

Il modelloinvisibile

RIUNIONEDI FAMIGLIA

Gira la ruota

a pagina 4

Binazzi a pagina 2

Cecchi a pagina 7

OCCHIO X OCCHIO

Garry Winogrand,il poeta della strada

Mazzanti a pagina 9

RI-FLESSIONI

Italia, dove ci sonopiù carte che pietre

DA NON SALTARE

Questa è la musica.Secondo Ufo

BravoDario 7+

A cheserveil Classico

Nicolas Sarkozy, attualmente sotto accusaper il reato di corruzione,

figlio di un immigrato ungherese

I minori nati in Francia da stranieri non dovreb-bero ottenere automaticamente la cittadinanza,compiuti i 18 anni, se hanno compiuto reati

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.com sabato 5 luglio 2014no83 PAG.2DA NON SALTARE

di Lapo [email protected]

La musica che mi interessa attual-mente, è come una discesa a balzilungo un torrente di montagna. Isalti da masso a masso sono pezzi

di equilibrio, il tempo che il piede restasui masso è indeterminato ma rigorosa-mente necessario se inquadrato nel mo-vimento generale. Questo movimento èregolato dal ritmo, la decisione su qualemasso saltare è aleatoria. Il ritmo nascedalla vitalità, dallo sforzo, dalla fisicità. Ilpiede non esita quanto la mente, io slan-cio risponde perfettamente allo staccoda compiere. Il tema melodico si svolgenella improvvisazione totale e l’armoniaincessante dell’acqua che scorre produceaccordi con i canti degli uccelli o io stor-mire delle fronde degli alberi. La luce e

l'ombra entrano nella musica insieme aicolori. Certe volte il piede, un piede, fi-nisce nell'acqua, e l'incidente avvalora lacorsa, costringe all'impossibile: in elu-derlo nella partitura. I balzi e l'acquacreano il contrappunto insieme agli altrirumori naturali. La questione non è 'na-turale o artificiale'. Il tutto potrebbe es-sere ambientato in un altro luogo anchemetropolitano. La tensione delle dita sui tasti, dei mo-vimenti delle articolazioni, valgono soloin quanto generano il suono, il rincor-rersi dei suoni, sono puro movimento li-berato e disinibito dalle regole. Ascoltatocon entrambe le orecchie separate , ilsuono genera musica per due emisfericerebrali diversi, ma per lo stesso cer-

vello per lo stesso corpo. Il piede in bilico sulla punta aguzza di unsasso, valuta nell'inconscio la resistenzaal peso del corpo, alla foga e alla dire-zione della corsa. A uno zig corrispondeuno zag. Il cambio di direzione versouna successione di salti previsti e valutatiprima di percorrere l'ignoto, prima di sa-pere la difficoltà. Le pause sono neces-sarie a riprendere equilibrio, da romperedi nuovo con l'avventura del salto se-guente. A perdifiato, a precipizio, dinuovo con calma. Aggirare l'ostacolo oprenderlo di petto e aiutarsi anche conle braccia, anche con le mani. Un sassotraballa sotto il piede, ma questo è già ri-partito non concedendo il tempo per lacaduta. Il movimento prosegue miraco-

loso a pelo d'acqua, sfiora svaporaschizza atterra e vola di nuovo. Tutte lemembra sono impegnate, ma è la menteche comanda, che prevede sia l'inizioche la fine, il grave e l'allegro, l'alto e ilbasso la piroetta e la giravolta. Quandoil piede finisce incastrato tutto l'esserereagisce in anticipo togliendo peso espostando il baricentro, i muscoli si ten-dono e la via di uscita si trova dove finoad un attimo prima era impensabile. Ad occhi chiusi, la musica entra diretta-mente in contatto chimico con i centrinervosi. La tastiera è a completa dispo-sizione. Suoni e ritmi vertiginosi scatu-riscono da un punto mediano traesterno e interno dove con tecnica zen èpossibile esercitare il controllo. Le mani

U

fo

Questa musica

è la

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.com sabato 5 luglio 2014no83 PAG.3C.com sabato 7 giugno 2014DA NON SALTARE

si lanciano, azzardano, ritornano affer-rano i tasti per lasciarli subito. Un se-gnale un gesto e l'expander genera unpattern che fa da sfondo. Un altro gestoed è tutto cambiato. All'infinito. L’inten-sità affiora. Cambia la voce dal GranPiano al Vibraphone. E torniamo sulfiume.La vertigine guardando in alto la vegeta-zione richiude il cielo. E per un attimoho volato e sono di nuovo in equilibrio.Ho saltato e non me ne sono accorto infelice incoscienza. Ma ce l'ho fatta! Nonguardavo dove mettevo i piedi ma sonogià di là. Mi esalto non considero il peri-colo, parto a pié pari e poi divarico - fine.Non è finita, è solo un punto di appog-gio. Salti e atterraggi dipendono dalla ve-

locità, dall'agilità.Un computer, un campionatore di suonipermettono di vedere in tempo reale sulpentagramma la musica del futuro chesi sta suonando e scrivendo allo stessoistante, completa di accordi e chiavi di-verse. Registrazione immediata dellapartitura, verrà stampata e sarà compo-sizione. Potrà essere eseguita di nuovoda un bravo performer che correrà sullostesso identico torrente di montagna eappoggerà il piede esattamente nellostesso punto e per lo stesso tempo sullostesso sasso su cui io sono passato. Pro-verà le stesse mie sensazioni e si appro-prierà della mia fisicità.Questa è la musica

Firenze 28 ottobre 1997

BASE / Progetti per l’arte presenta dal 1 al 22 luglio 2014 unciclo di eventi dedicato all’Architettura Radicale. E la primavolta che viene presentata una ricognizione attuale, in presa di-retta e a viva voce con i protagonisti del movimento radicale natoa Firenze alla fine degli anni sessanta.Da una Firenze riemersa dalle acque del novembre 1966, nellostesso dicembre a Pistoia, con la mostra della “Superarchitet-tura” emersero Archizoom e Superstudio. Con tutta l’insicu-rezza, lo scetticismo e un po’ di cinismo decisero di diventare“Super”. Liberati dai residui e dalle in- fatuazioni architettonichedella cultura rappresentata dall’eredita del razionalismo, inizia-rono una demolizione della disciplina attraverso azioni di guer-riglia, cavalli di Troia, trasgressioni che vedevano anche Pettenae Ufo gia operanti fuori e dentro l’Universita, e che miravano asovvertire le basi di una societamonotona, grigia e borghese. Unmodo di operare, mesco- lando e contaminando le arti, che portaall’antidesign con il suo brivido di novita che tanto irritava i desi-gners milanesi che lo definivano volgare.”Il nostro lavoro e statosi un lavoro critico ma soprattutto un lavoro in una specie diterra di nessuno, che era quella che si stendeva tra l’arte e il de-sign, tra la politica e l’utopia, tra la filosofia e l’antropologia, eraun tentativo di critica radicale e da qui forse il nome di architet-tura radicale, di critica radicale alla societa”.8 luglio, 19,00, Archizoom (Dario Bartolini, Gilberto Corretti);10 luglio, 19,00, Zziggurat (Alberto Breschi); 15 luglio, 19,00,Remo Buti, 17 luglio, 19,00, 9999 (Carlo Caldini); 22 luglio,19,00, Superstudio (Piero Frassinelli, Adolfo Natalini). Mostradocumenti Radical Tools dal 23 luglio al 15 settembre 2014.

Lapo Binazzi protagonistadel primo appuntamentodi una serie dedicata

all’Architettura Radicale

Divano Autostrada (1975)

Tutte le foto sono di Lorenzo Matteoli.Courtesy dell’artista e di BASE / progetti per l’arte.

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Se il Vernacoliere invitail PD di Livorno a ri-partire dai vecchi va-lori del Sacconci (potta, buhodiulo eponci) il sindaco Nogarin sembra ispi-rarsi alle migliori avanguardie artisti-che del novecento surrealismo e pop artsu tutte. Come altro definire la giuntaa rate, con due assessori presentati,altri due annunciati, uno licenziatodopo nemmeno 24 ore (tecnicamente èdurate meno di un gatto sull'Aurelia)se non una performance politica arti-stica degna di Dalì a spasso per Parigicol formichiere? Oppure la presenzadello sceriffo, noto personaggio dell'af-follato grullaio livornese, che non solosi è seduto accanto al sindaco durantela conferenza stampa, ma ha purepreso la parola, intervenendo e com-mentando, come se fosse la cosa più na-turale del mondo. Ecco si potevapensare che la vittoria pentastellataavrebbe portato elementi di novità eche, questi, inevitabilmente a Livorno,avrebbero avuto lati divertenti, ma traquesto e il gorillaio che va in scena inqueste ore, c'è una bella differenza.

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Bravo Dario7+ accompagnato da Atena,

dea della saggezza, che haassunto l'aspetto di Mentore, suo aio, alquale Ulisse lo aveva affidato prima di par-tire per la guerra di Troia. Ora, ve lo imma-ginate Renzi che parte alla ricerca, che so,di D'Alema o di Ciriaco De Mita; poi,quando lo ritrova, torna a casa accompa-gnato da Rosi Bindi, magari sotto le men-tite spoglie di Veltroni. Mah...Si è detto che Renzi abbia fatto riferimentoal libro di Massimo Recalcati, “Il complessodi Telemaco. Genitori e figli dopo il tra-monto del padre”, ma sinceramente più chela domanda di padre che Recalcati attri-buisce alla figura del figlio-Telemaco, Renzici sembra impersonificare piuttosto la fi-gura del figlio-Narciso, quello dell'afferma-zione edonista di sé.Suggeriremmo al Renzi-Narciso piuttostoche maestri così leggeri di rivolgersi, se vuolequalcosa di moderno, al figlio-Dedalus del-l'Ulisse di Joyce: nel secondo episodio, “Ne-store”, “la faccia vuota del ragazzointerrogò la finestra vuota” e richiama al-cune idee di William Blake. Vi si ricono-scono alcuni proverbi dell'Inferno tratti da“The Marriage of Heaven and Hell”: “lastrada dell'eccesso porta al palazzo dellasaggezza”. Percorra questa strada, chissàche alla fine non ritrovi Rosi Bindi.

Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone silianiredazione

sara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchiprogetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

www.culturacommestibile.comredazione@[email protected]

www.facebook.com/cultura.commestibile

“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

Come è noto Renzi si innamora dellefrasi ad effetto, delle ardite metafore checi ammannisce affinché il giorno dopotutti ne parlino a prescindere dal conte-nuto dei suoi discorsi. Così a Strasburgo,inaugurando il semestre di presidenza diturno dell'UE, si è avventurato in un pa-rallelo colto fra lui e Telemaco: “Siamouna generazione Telemaco. Nessunoparla mai di Telemaco ma all’iniziodell’Odissea Atena lo chiama e gli dice:‘Non potrai mica pensare di restare quiad attendere’. Anche la nostra genera-zione, quelli che non avevano neanchediciott’anni quando c’era Maastricht, hail dovere di riscoprirsi Telemaco. Ha ildovere di meritare l’eredità”. Ora, la me-tafora appare davvero oscura. Ma Renzinon era quello che aveva rottamato ipadri? Telemaco, al contrario, il padre loadora, lo mitizza: non l'ha mai effettiva-mente conosciuto, ma anela il suo ri-torno affinché liberi la madre e il suoregno dal giogo dei Proci. Di più; neiprimi quattro libri dell'Odissea (la Tele-machia) Telemaco, già adulto, partealla ricerca del padre, su consiglio diAtena, presso le corti di Menelao aSparta e Nestore a Pilo. Scoperto cheUlisse si trova nell'isola di Ogigia, decidedi ritornare ad Itaca. Nel suo viaggio, è

RIUNIONE DI FAMIGLIA

LE SORELLE MARX

“Via, ragazzi, oggi fac-ciamo tema in classe. Scri-

vete: tema n.1 “Le mievacanze”. Tema n.2“Il mio miglioreamico”. Tema n.3“La mia città”. Avete

tempo due ore. Scrivete in bella calli-grafia e senza pastrocchi. Su, lavo-rate”Con questa eco ancora nella mentedei tempi in cui era diligente (c'è dascommetterci) scolaro di quarta ele-mentare, Dario Nardella mantiene ilpunto su Firenze, che ama con unsentimento che farebbe invidia aLiala. Ed ecco, ripescando un suotema che gli meritò un bel 7+ nellontano 1986, il suo post post-ro-mantico su Facebook: “Lascio Palazzo Vecchio dopo unalunga giornata di lavoro. Quandovedo gli affreschi di queste stanze,quanto mai silenziose e misteriosea quest'ora della notte, mi accorgodella travolgente bellezza e del fa-scino ineguagliabile di Firenze. Ecapisco che vivere in una cittàcosì, sia un privilegio assoluto emai una banalità, anche nei mo-menti più difficili. Per chi è chia-mato a governarla da sindaco, siauna missione impareggiabile e ap-passionante. Per questo arrivo allafine della giornata stanco mortoma con il cuore pieno di gioia.Buona notte e viva Firenze!”

A che serve il ClassicoLA STILISTA DI LENIN

Ricordati di me che son la spia:io ti adocchio alla manifestazionee facendoti la fotografiado’ una mano ai fascisti ed al padrone.

Se Maria vergine ebbe un figliocon lo spirito santo;a Geppetto bastò una sega(ed anche questo è tanto).

La lira fluttuantesvola oltre la finestrae si accumula su grandi palazzilaggiù A DESTRA.

Soddisfatta la vogliapercorsa la propria viadice: viva la nostra polizia.

Attenti, operai e studenti: è grave reatointralciare la traiettoriadi un candelotto sparatonon per fare una sparatoriama solo un’intimidatoria;è grave anche frapporre il cervellettoal cammino di un proietto:ma più grave è colpire con la nucaun calcio di moschetto!

Il prodigio divinodelle nozze di Cana,dare a bere per vinodell’acqua di fontana,non fu certo spettacolodi potenza sovrana,ma un comune miracoloalla democristiana.

Livornostate of mind

Nada R. Arditi è un’anziana fotografa livornese che ha fatto migliaia di foto senza maiusare macchine fotografiche, ad eccezione di un periodo quando usò la Polaroid senza flashritraendo oggetti e paesaggi nel buio più completo. Nel saggio ce ne presenta una quarantinacon descrizioni approfondite del soggetto ritratto, la data e l’ora. Naturalmente si tratta difogli tutti neri se pur incorniciati nel bianco tipico dei vecchi cartoncini Polaroid. Per il restodella vita ha usato solo carta sensibile per realizzare foto a contatto delle più incredibilicose. Molto interessante la serie di foto di fumo di sigaretta, realizzate soffiando il fumo sulfoglio e accendendo per un attimo la luce. Originali anche le foto di insetti fatti camminaresulla carta sensibile. Molto dadaisti i servizi fotografici di matrimoni eseguiti (al tempodelle pellicole) con macchine prive di rotolini. In questo caso, la Nada, non ci fornisce nes-suna opera, ma la descrizione minuziosa del comportamento degli sposi e dei parenti dopoaver detto loro di aver fotografato il nulla, i racconti sono spesso accompagnati dai refertimedici rilasciati dagli ospedali, dove nostra fotografa veniva ricoverata dopo la “discussionepost-matrimoniale”. Si comprende chiaramente il senso del sottotitolo: “Non amo che lefoto che non feci”.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

I CUGINI ENGELS

VINTAGE

MARZOAPRILE1973

Il Franco MiratoreGli epigrammi

di Franco Manescalchinelle pagine di Ca Balà

a cura di Paolo della Bella

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di John Stammer

Il jelutong è un legno di provenienzaasiatica. Ha venature omogenee, mi-nute e una buona lavorabilità, oltre aessere duttile e di grande compat-

tezza. Per questo lo studio di architetturae di modellazione Aleph di Firenze (locompogono gli architetti Sharad Poula-din, Nicola Malisardi e Vincenzo Giallo-renzi) lo scelse per realizzare il modellodi Firenze in scala 1:1000, insieme allegno di pero, più duro e leggerementepiù scuro con tonalità rosse. Con il jelu-tong furono realizzati tutti gli edifici dellacittà ad eccezione dei grandi complessimonumentali, che furono realizzati inpero. Un modello che Firenze non avevamai avuto.Un modello di grandi dimensioni (16pannelli di 120 cm x 240 cm) per una su-perficie complessiva di oltre 46 mq (480cm x 960 cm), che è il frutto della colla-borazione fra il Comune di Firenze e laCassa di Risparmio di Firenze. Nel 2004,a margine della realizzazione della nuovasede della banca a Novoli, fu stipulata laconvenzione con la quale la banca si im-pegnava a finanziare l’opera, affidata allostudio Aleph, come primo tassello delnuovo Urban Center, da realizzarsi nellaex centrale termica dello stabilimentoFiat di Novoli.Il modello ha comportato circa 4 anni dilavoro con soluzioni tecniche innovative(ogni isolato può essere rimosso e modi-ficato in modo da poter seguire lo svi-luppo urbanistico ed edilizio della città),un sistema di lavoro con macchine a con-trollo numerico e rilevamento dellequote del terreno e di quelle di grondadegli edifici dalla Carta Tecnica Regio-nale e, per i complessi monumentali, larappresentazione nel dettaglio delle fac-ciate (per le quali è stato svolto ancheuno specifico rilievo e una elaborazioneal pantografo). Il tutto per poter disporre di uno stru-mento di lettura e di lavoro per chi si oc-cupa della città. Ma anche di unformidabile strumento di conoscenza pertutti. Tutte le grandi città hanno un mo-dello del sistema urbano. Lo hanno adesempio Berlino (visibile nella sede delSegretario per la pianificazione nel Di-partimento del Senato per lo sviluppoUrbano), Zurigo (visibile nel sottosuolodell’Assessorato alla Pianificazione Ur-bana) e Shangai (visibile nell’Urban Cen-ter gestito dal Dipartimento per ilterritorio). Anche Firenze lo ha dal 2008, ma per oranon si vede.Perché il modello fu mostrato alla cittàsolo per un breve periodo, dall’ottobre alnovembre del 2008, nella sala d’Arme diPalazzo, e poi è scomparso.L’assessorato all’Urbanistica organizzòuna serie di convegni, proprio in occa-sione della presentazione alla città di unaparte del modello, che fu poi restituitoallo studio Aleph per il necessario com-pletamento (alla città furono mostrati iprimi 12 pannelli). I lavori di completa-mento si conclusero pochi mesi dopoma, da quel novembre del 2008, nessunolo ha risvegliato dal suo ormai lungooblio. Una mancanza per la città. Una

PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ

mancanza che dovrebbe essere colmata.Perché il modello, oltre a fare capire, me-glio di rappresentazioni virtuali o di sem-plici cartografie, la vera “struttura urbana”di Firenze, come ad esempio la irripetibilecomplessità della stratificazione ediliziadel suo centro storico, o la linearità degliinterventi progettati negli anni ‘60 (bastiper tutti la chiara lettura che il modelloconsente degli insediamenti di ediliziaeconomica e popolare di San Bartolo aCintoia, dove è perfettamente compren-sibile la trama urbana pensata dall’urbani-stica razionalista dei primi anni ‘60), èanche uno strumento di partecipazione edi discussione. Nel modello erano infattigià rappresentati, al momento della suapresentazione in sala d’Arme, sia il nuovoteatro dell’Opera, allora appena avviato,sia la loggia progettata da Arata Isozakiper l’uscita degli Uffizi, (ancora oggi og-getto di discussione, anche se non realiz-zata), sia la nuova sede della Cassa diRisparmio a Novoli, allora quasi comple-tata. Insomma uno strumento per la di-scussione pubblica. E come tutte lerappresentazioni anche uno strumento diconoscenza e di partecipazione democra-tica.

Il modelloinvisibile

Shanghai

Zurigo

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Con affetto, stima e profonda am-mirazione, il mondo dell’Arte sa-luta Luigi Tola: artista,intellettuale e poeta visivo de-

dito, fin dalla fine degli anni Cinquanta,a fare dell’Arte Contemporanea un’at-tenta ricerca sul mondo e sull’esistenzaquotidiana, lasciando una traccia inde-lebile sul senso poetico che tutto avvolgee tutto rappresenta. Primo fra tutti ha avvertito il propriotempo come un secolo frastagliato emulticentrico, di difficile definizione einquadramento poetico; come secolodell’affermazione di linee alternative inrisposta alla crisi ideologica e al muta-mento dei paradigmi, a cui è conseguitauna dilatazione delle esperienze artisti-che in risposta alla crisi endemica del-l’arte contemporanea; il secolo in cui lastoria della critica e degli scrittori coin-cide e si compenetra con le poetiche, inun momento di pura riflessione sulla na-tura dell’Arte che passa adesso dal pianosimbolico al piano materiale del linguag-gio artistico. In un tale eclettismo culturale Luigi Tolaha preso coscienza dello stato di crisiculturale e ideologico del contempora-neo, rifiutando indiscriminatamente lecorrenti moderne del pensiero intellet-tuale e superando i dettami del realismo,grazie alla volontà di fare della parola edell’immagine uno sguardo allegorico esimbolico, capace di penetrare profon-damente nella vita. Nelle sue tele i fram-menti della scrittura e le immaginiesistenziali si intrecciano e si sovrappon-gono, concretizzandosi in teatrini dalforte sapore comunicativo e rappresen-tativo, in cui la rete diviene simbolo dirimandi e associazioni a esperienze econcettualizzazioni, che si collocano aldi là del tempo e dello spazio: un giocoartistico che afferma, rappresenta e di-mostra le infinite possibilità di lettura einterpretazione del moderno; un luduspoetico che impone il proprio Ego attra-verso la parola ed ermetici motti di spi-rito. Da qui lungo parole io mi sono è laconcretizzazione di una poetica artisticache si traduce in un’intima fiducia nel ca-rattere conoscitivo dell’Arte e del suo va-lore di esperienza totale e di segnocomunicativo essenziale al rapporto del-l’Io con il mondo. La poetica e la prassiartistica di Luigi Tola diviene in questadirezione oggetto di ricerca, di cono-scenza e invenzione, in cui prassi poeticae riflessione teorica coincidono in ununico momento nel fare artistico e le in-tenzioni programmatiche vertono sullacreazione di nuove modalità e di nuovilinguaggi artistici che si muovono nelladirezione del mutamento sociale e delrinnovamento culturale.

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

Sopra Alfabeto infinito, 1993, Fili di refe + tecnica mista e collage su masonite e legno, cm 112,5x160,5. Sotto a destraLa nuova poesia, 1964, Collage su cartone e su tavola dipinta, cm 50x40. A sinistra Mal di Tola, 1990, Teatrino, collagesu cartone, cm 103x78 Tutte courtesy Collezione Carlo Palli

Addio Luigi Tola

Da qui lungo paroleio mi sono

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verrà presto fermato da un tumore alla cistifellea. Scattaresenza avere il tempo di sviluppare le immagini e di rivederlesignifica un rovesciamento della filosofia fotografica, significaconcentrare l’atto fotografico nel momento della visione, pri-vilegiare la funzione dell’occhio, registrare ogni accadimentocome se fosse unico, ubriacarsi di immagini senza porsi dei li-miti, senza curarsi se la registrazione è andata a buon fine, se èleggermente mossa o fuori fuoco, leggermente troppo scura otroppo bruciata. Significa vivere l’immagine in prima persona,lasciando agli altri la preoccupazione di rivedere, vagliare, se-lezionare, giudicare ed eventualmente pubblicare. A trent’annidalla sua uscita di scena, molti fotografi faticano ancora a com-prendere il messaggio che Garry ci ha lasciato.

CCUO

.com sabato 5 luglio 2014no83 PAG.7C.com sabato 7 giugno 2014

Se i fotografi, come ogni altro ge-nere di artista, devono esseregiudicati per le proprie opere,cioè per la “somma” delle pro-

prie opere, dare un giudizio su GarryWinogrand (1928-1984) potrebbe ri-sultare problematico. Alla sua morteGarry ha lasciato qualcosa come due-mila e cinquecento rullini impressionatima non ancora sviluppati, seimila e cin-quecento rullini sviluppati ma non an-cora tagliati e provinati, e circa tremilarullini provinati, ma ancora del tutto ine-diti. Vale a dire qualcosa come quattro-centomila immagini praticamentesconosciute. Garry Winogrand è statoun autore prolifico, attivo soprattutto fragli anni Sessanta e la fine degli anni Set-tanta, ma iperattivo negli ultimi annidella sua vita, come se l’importanza discattare sopravanzasse qualsiasi altrotipo di impegno. Curioso dell’umanitàprima che di qualsiasi altro oggetto, na-tivo di New York, luogo di incontro pereccellenza dei diversi tipi di umanità,Garry ha percorso in lungo ed in largogli States, visitando ogni tipo di am-biente sociale, dalle feste mondane allespiagge popolari, dalle manifestazioni dipiazza alla vita dei vicoli, dalle fermatedegli autobus ai giardini zoologici, dovegli uomini incontrano gli animali e si ri-specchiano nei loro gesti e nei loro com-portamenti. Poco incline ai lavoriprofessionali, Garry appartiene a quellagenerazione di fotografi inquieti, comeLee Friedlander, Diane Arbus, Joel Me-yerowitz, George Krause, Jerome Lie-bling o Bruce Davidson, che osservanoliberamente il mondo e la gente che lopopola, di giorno o di notte, cercandonei loro simili lo specchio del proprio es-sere, indagando con la fotocamera i rap-porti ed i mutamenti sociali, ma ancoradi più i comportamenti individuali e leprofonde motivazioni dell’essereumano. Come molti fotografi dellastessa generazione e formazione cultu-rale, Garry predilige la strada come pal-coscenico, dedicandosi forse con unrespiro maggiore rispetto ai suoi con-temporanei alla registrazione di eventiminimi, che la fotocamera trasforma inmomenti significanti. Con Garry Wino-grand la “street photography” assumeuna dignità ed una dimensione artisticadi rilievo, ogni passante diventa un “per-sonaggio” ed un “protagonista”, perde lapropria anonimità per acquisire unruolo determinante. Garry frequenta lastrada, la fa diventare sua, la promuovea scenario in cui tutto può accadere etutto accade. Solo un senso distorto delconcetto di “privacy” ed una applica-zione infelice del concetto di “politicallycorrect” impediscono oggi di svilupparetutte le potenzialità della “street photo-graphy” in campo espressivo ed artistico.Gli ultimi anni di vita di Garry vedonoun intensificarsi del suo lavoro, un ac-centuarsi della sua frenesia di scattare,come se scattare significasse sottolinearela sua vitalità e prolungare in qualchemodo la sua esistenza, una dilatazionedel tempo a sua disposizione, tempo che

OCCHIO X OCCHIO

di Danilo [email protected]

la strada di Garry

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rasso è anche curatore di mostre diarti visive contemporanee.Hai vissuto in Congo, in Francia, inBelgio e da molti anni qui a Firenze.Ti senti apolide?No. Mi sento a seconda delle circo-stanze: spesso francese in Italia o ita-liano in Francia. Ebreo sempre. Come sei arrivato qua e soprattuttoperché vi sei restato?Sono arrivato nel ‘79 per motivi perso-nali; diciamo che ho seguito qual-cuno… Poi quel qualcuno se n’è andatoe io sono rimasto. Ho sempre avuto unospirito di contraddizione molto svilup-

pato!La cosa che ti piace di più di Firenzee dei fiorentini.Dei fiorentini senza dubbio il loro ta-lento per la dissacrazione. Di Firenze,la cupola del Cestello al tramonto, inprimavera. Sembra fatta d’oro.Cosa hai portato dentro di te dal tuopaese d’origine?La pelle bianca ma l’anima nera. Intesacome africana, ovviamente!Quanto ti ha ispirato Firenze nella di-rezione presa dalla tua professione?Direi che Firenze mi ha spinto a non di-ventare uno dei tanti - e bravi - cuochifiorentini, chiedendomi invece di farlaviaggiare, a tavola, nel mondo.Se ti dico Firenze tu pensi a…Pico della Mirandola. E’ morto qui.Strana scelta ma posso dire che inqualcosa ti somiglia: Pico della Mi-randola era famoso anche per essereun poliglotta, come te.In effetti parlo 6 lingue, ma è normale,considerando le mie vicissitudini di vita.Firenze ti sembra una città acco-gliente per uno straniero che vi si sta-bilisce?Con me lo è stata. Ma io sono francese,bianco, istruito e borghese. Non so serendo l’idea.Vuoi dire che non consiglieresti a untuo giovane amico non italiano di ve-nire a vivere qui?Se è francese, bianco, istruito e borghese,sicuramente sì. Se è extracomunitariocon origini modeste…beh, glielo scon-siglierei vivamente.Questo non parla troppo a favoredella nostra città. Vuoi aggiungerequalcosa su di essa?Sogno di vedere finalmente a Firenze unbel grattacielo. E una moschea.

di Franco [email protected]

HO SCELTO LA TOSCANA

Scegliere la Toscana per JeanMichel Carasso, poliedricopersonaggio sulla ribalta dellascena fiorentina da più di 30

anni, non ha significato tanto tagliarele sue radici, che si ramificano in duecontinenti, quanto piuttosto aggiun-gere un tassello fondamentale a unavita che è frutto di una somma di cul-ture diverse e tutte straordinaria-mente ricche.Nato nel Congo Belga, subito dopola fine della seconda guerra mon-diale, da genitori ebrei, padre greco emadre francese, una famiglia dura-mente segnata dall’orrore dellaShoah, Carasso arriva a Firenze daParigi, dove si è laureato in LettereModerne, armato di una passione perla grande cucina creativa, che recu-pera i sapori delle sue origini e le me-scola sapientemente con effettistraordinari. Dopo il successo che, per suo merito,ebbero locali storici come La Sta-zione di Zima, il Caffè Voltaire, il ri-storante Gauguin, assoluti punti diriferimento per un nutrito (nel verosenso della parola!) gruppo di gour-met e di intellettuali, si specializza neltempo in cucina del Mediterraneo,tiene corsi universitari sulle speziedel mondo, è autore di libri di cucinaetnica, blogger seguitissimo, consu-lente e collaboratore delle più impor-tanti compagnie di banquetingfiorentine per la cucina etnica ed èanche chef kosher sotto la supervi-sione del Rabbino Capo di Firenze.Non pago di tanta arte culinaria, Ca-

di Annalena [email protected]

Annalisa Macchia, nata a Lucca, vive damolti anni a Firenze. Laureata in Linguee Letterature Straniere presso l’Univer-sità di Pisa, ha insegnato Lingua e Lette-ratura Francese presso alcuni istitutifiorentini. Tra le sue pubblicazioni: il sag-gio Pinocchio in Francia, Quaderni dellaFondazione-Nazionale “Carlo Collodi”,1978; alcuni piccoli libri per l’infanzia, Lagattina dalla coda blu, La formica gira-mondo, Il fantasmino, Il pesce palla e lanave pirata, Ed. Chegai, Firenze 2002, eMondopiccino, piccole storie in rima, Flo-rence Art Edizioni, Firenze 2004; la rac-colta di poesie IM stanza segreta, ETS,Pisa 2004; la raccolta di racconti I sognidel mattino, ETS, Pisa 2005; la raccoltapoetica La luna di Cézanne, Kairos, Na-poli 2008; il libro A scuola di poesia, percapirla, per spiegarla, per scriverla, peramarla, nella collana “Saggi e ricerche”,Florence Art Edizioni, Firenze 2009; ilportone di via Ghibellina, puntoacapoEditrice, Novi Ligure (AL) 2011. Colla-bora con l’associazione culturale fioren-tina Pianeti Poesia; con recensioni eracconti alla rivista Erba d’Arno; è nella

ANIMALI IN POESIA

redazione fiorentina della rivista interna-zionale di poesia Gradiva; cura inoltre lacollana per l’infanzia della casa editriceCFR Poiein.l’ultimo libro di poesia, Interporto est,edito da Moretti & Vitali, Bergamo,2014, è dedicato alla scomparsa dellamadre e alla dolorosa rivisitazione dellacasa dell’infanzia che la poetessa così de-scrive: “Vi sono momenti nella vita incui, guardando la nostra esistenza, si av-verte un’accensione particolare e più chemai ci si interroga sul senso dell’accadere.Intuizioni scaturite dalle occasioni piùvarie, talvolta improvvise, apparse inmodo epifanico, essenziale, direi perfinosacro, perché, oltrepassando leggi etempi umani, sembrano rivelarci quantoinestricabili e presenti siano nella realtàtracce divine. Una sorta di chiamata a cui

si è invitati a rispondere, un’occasioneper dire ciò che abbiamo visto”.Nel libro sono evocati anche gli animalidomestici, fra cui un gatto che, appena lafamiglia si trasferiva per un periodoestivo nella casa avita, inizialmente an-dava a rifugiarsi nel solaio dove gli venivafatto trovare una manciata di croccantini.E questo ultimo ritorno, in occasionedella perdita della madre, crea nella poe-tessa lo stesso smarrimento che subiva ilgattino e la stessa necessità di trovare ri-fugio.

Appena liberato il gatto schizza su per la scala al quieto interregnotra casa e soffitta. Da lìsegue il trambustodell’estivo trasloco. Riappare alla sera. Ogni estatequesta scala di ferroè per lui la salvezza.

Come incantata,ora mi perdonel crescentesparire del buio.

Il ritorno alla casa avita di Macchia

Dei fiorentini amo il talentoper la dissacrazione

Deve esserci ancora lassùun cencio un cartonedove acquattarsisognando croccantini, carezze.E non può essere altro che così perl’amore che la poetessa esprime per glianimali:”Nell’amore e nella vicinanzache ho sempre spontaneamente sentitoper la natura e, soprattutto per gli ani-mali, ho trovato un perché nello spiritoche anima la poesia di S. Francesco. Vi sicoglie un afflato mistico e religioso conquanto ci circonda, di rara intensità e diuna profondità tale da trasportare istinti-vamente il lettore nel suo perfetto spiritodi gioia e ringraziamento verso Chi hadonato tanto. Alla luce della sua poesia cisi rende conto della “fratellanza” che esi-ste tra tutte le cose e gli esseri della terra,accomunati in un solo destino e confi-nati in un unico ambiente naturale.Corre spontaneo, allora, il pensiero all’or-rore che suscita ogni atto umano controquesto bene comune.In ogni animale, nostro compagno diquesta avventura terrestre, si manifestacon immediatezza e semplicità l’inno-cenza non solo di una natura da difen-dere e da salvare, ma anche di unaautenticità di vita, un tempo appartenutaanche a noi e, col passare degli anni, di-menticata, perduta. Ritrovare questo filospezzato è la grande sfida della parolapoetica.”

Jean Michel Carasso

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pri studi, nella maggior parte dei casitrattenendosi per periodi lunghi,spesso necessari per portare a ter-mine le ricerche.Una migliore gestione, sponsorizza-zione e relativa organizzazione di ser-vizi delle strutture archivistichecontribuirebbe ad attrarre una piùvasta fascia di visitatori, introducendoanche in Italia il concetto di turismodi studio che, in paesi come la Germa-nia e l’Inghilterra, è una voce econo-mica importante. Se opportunamentefinanziati, gli Archivi svolgerebberonon solo attività di conservazione, maanche attività di promozione e valo-rizzazione del patrimonio culturale dinatura archivistica, anche attraversol’allestimento di mostre. Ma perchétutto questo sia reso possibile, è ne-cessario che gli interventi siano rivoltia raggiungere determinate priorità,tra cui l’uso innovativo e nuovi mo-delli di gestione, capaci di far cresceree maturare idee e competenze; inizia-tive di formazione avanzata destinatea riqualificare il personale che giàopera nelle strutture di tutela, ele-mento fondamentale in quanto moltospesso il personale non risulta aggior-nato e in grado di interagire con i con-tinui processi di trasformazione deimodelli; infine servizi duraturi diconsultazione online, perché non sipuò pretendere che un visitatore pro-veniente da fuori sia motivato a soste-nere il costo del viaggio, solo peraccertarsi che l’archivio contenga do-cumenti di suo interesse.Unire le bellezze paesaggistiche aquelle monumentali, passando per lestorico-culturali non è una utopia.Sarebbe possibile se solo vi fosse unmaggior impegno nel promuovere uniter di viaggio che avrebbe poca con-correnza nel panorama internazio-nale. E se il profitto non deve essereil solo a smuovere energie creative,bisogna anche considerare chestiamo perdendo un patrimonio diinestimabile valore. Ogni singola in-curia a cui viene sottoposto un archi-vio è un pezzo di storia perduto, cheforse riusciremo a recuperare o forseno. Utilizzare fino all’ultimo cente-simo le risorse previste non è solosaggezza, ma oggi più che mai è dive-nuto un imperativo civico.

C.com sabato 7 giugno 2014

“In questo paese vi sonocertamente più carte chepietre”. Nessun riferi-mento alla carta straccia,

alla carta che ingombra, quella chepotrebbe sposarsi benissimo con i bi-sogni dei bambini di arrotolare un fo-glio per farci un pallone e giocarvi perun intero pomeriggio nel cortile dicasa. Al contrario, stiamo parlando diun immenso patrimonio di cui di-spone il nostro Paese, costituito da101 Archivi di Stato, 8101 archivi sto-rici di Comuni, 1292 archivi di Tribu-nali, 110 archivi storici di province,94 archivi notarili distrettuali e 80 ar-chivi diocesani. E in cosa ci dilettiamo noi? Nell’orga-nizzazione di festival ed eventi dispettacolo che, seppur importanti,hanno un enorme difetto: non infra-strutturano servizi. La stessa Com-missione Europea ha più volteribadito che le attività di spettacolonon hanno avuto rilevanza strategica,– considerando anche le ingenti spesesostenute per organizzarli – definen-dole addirittura attività a basso valoreaggiunto.Nessuno si farà promotore di unacampagna contro l’organizzazione dieventi, perché in ogni caso rappre-senta una parte importante del set-tore culturale e come tale non deveessere trascurata. Il problema nasceladdove si sceglie di incentrare molte– forse troppe – risorse verso ununico settore, dimenticando invece diconsiderare in quali degradanti con-dizioni versino spesso gli archivi.L’Associazione Archivisti in Movi-mento ha più volte chiesto alla Com-missione Cultura della ConferenzaStato-Regioni che il settore archivi-stico, insieme al settore Biblioteche,torni finalmente ad essere al centrodegli interventi previsti dalla Pro-grammazione Strategica delle Re-gioni.Mancanza di risorse, assenza di per-sonale specializzato, costante stato diincuria e di degrado sono infatti dive-nuti fattori costanti e purtroppo ca-ratterizzanti di molti Archivi, sia essicomunali che pubblici. Tale condi-

di Laura [email protected]

RI-FLESSIONI

In Italiaci sonopiù carteche pietre

zione interessa anche e soprattuttoantiche e prestigiose istituzioni cultu-rali presenti sul territorio che, a causadella mancanza di una politica nazio-nale e regionale, si trovano costrettea chiudere o, nei casi più fortunati,impossibilitati ad esprimere una veraattività culturale, scientifica e didat-tica.

Come si può non accorgersi che ga-rantire servizi nel settore archivisticosignifica assicurare in modo perma-nente benefici alla intera collettività.Basti pensare al turismo culturale.Storici, ricercatori, amatori, semplicicuriosi, eruditi, studenti, ecc…, po-trebbero infatti scegliere l’Italia comemeta proprio per approfondire i pro-

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Floren

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ovida Itinerari notturniFirenze 2008-2013

LUCE CATTURATA

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di Sandro Biniwww.deaphoto.it

di Alessandro [email protected]

MUSICA MAESTRO

Buona parte dei termini che usiamoper definire la musica nasconde unapluralità di significati che li rende am-bigui. Il termine rock progressivo, peresempio, indica tre filoni musicali bendiversi nati negli anni Settanta del se-colo scorso. Uno è quello dei gruppiinfluenzati in vario modo dalla musicaclassica, come Genesis, Gentle Giant,King Crimson e Yes. Un altro è il cosid-detto Canterbury rock, espresso da SoftMachine e gruppi collegati (Caravan,Hatfield and the North, etc.). Il terzo,infine, coincide con la meravigliosaesperienza nota come Rock in Opposi-tion (spesso citato con la sigla RIO).Quest’ultimo, in origine politicamenteimpegnato al contrario degli altri due, èun fenomeno europeo che spazia dallaGran Bretagna alla Svezia, toccandoanche altri paesi del continente, fra iquali l’Italia. Seguendo questo schema, la registastatunitense Adele Schmidt e il bloggermessicano José Zegarra Holder hannorealizzato Romantic Warriors, una serie

di DVD che merita la massima atten-zione (www.zeitgeistmedia.tv).Il primo, A Progressive Music Saga(2010), si concentra sui gruppi legati almondo classico. In altre parole, quelliche gli appassionati definiscono prog. IlDVD non si limita a ripercorrere la sto-ria dei vecchi gruppi, ma parla anchedei loro eredi odierni. Viene datoampio spazio alle interviste, forse

anche troppo, mentre la musica rimaneun po’ sacrificata. Il secondo DVD, A Progressive MusicSaga about Rock in Opposition (2012),si concentra sul RIO. Questo movi-mento musicale ebbe inizio a Londranel 1978, quando gli inglesi HenryCow organizzarono un concerto alquale parteciparono anche altri quattrocomplessi: Etron Fou Leloublan(Francia), Samla Mammas Manna(Svezia), Stormy Six (Italia) e UniversZero (Belgio). Anche in questo caso lastoria dell’epoca si intreccia con quellapiù recente. Il terzo documentario, CanterburyTales, è in fase di lavorazione. L’uscita èprevista per l’inizio del 2015.Nonostante le differenze, i tre filoni delrock progressivo presentano diversitratti comuni. Uno dei più evidenti è laferma intenzione di costruire un’alter-nativa europea al rock angloamericano.Oggi i più giovani faticheranno a cre-derlo, ma negli anni Settanta i gruppibelgi, francesi o svedesi si contavano supoche dita. Inoltre, cantare in ingleseera un dogma. I fondi necessari per realizzare i DVD

sono stati raccolti con una sottoscri-zione che ha ottenuto una risposta en-tusiastica. Non soltanto dagliappassionati, ma anche da due eti-chette statunitensi, Cuneiform e Mo-onjune, entrambe nate con il precisoscopo di dare spazio alle musiche inquestione. Le intuizioni di questi gruppi hannorappresentato un momento centraledella musica europea. Se oggi esistonogruppi che continuano a esplorarequeste strade, come Aranis, Syd Arthure Yugen, se musicisti come RobertWyatt e Christian Vander vengonoconsiderati modelli da molti gruppiodierni, lo dobbiamo a questi fermentiepocali che sono riusciti a superare iconfini del rock indicando stradenuove.In tempi recenti l’interesse per questesonorità diverse ha toccato anche il no-stro paese: nel 2005 è nata l’etichettaAltrOck, fondata da Marcello Mari-none e Francesco Zago. Con un cata-logo che spazia dalle Fiandre allaSiberia, dall’Argentina all’Italia, questaetichetta è un raggio di sole nell’asfit-tico panorama musicale italiano.

La saga dei guerrieri romantici

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Salendo le scale dell’immobileMolitor in rue Nungesser etColi 24, costruito nel 1931 daLe Corbusier per raggiungere

agli ultimi due piani l’atelier e l’abita-zione del grande architetto svizzero,ho provato un certo disagio. Strettis-sime, tanto da permettere il passag-gio di una sola persona per volta, lescale sono chiuse tra le pareti lateralie le vetrate opache dei pianerottoli,larghi appena come la porta d’in-gresso degli appartamenti, che nonpermettano la vista all’esterno e im-pregnano l’ambiente di una luce lat-tiginosa e immobile. L’appartamento-atelier è di circa 240mq distribuiti su due livelli uniti dauna semplice ma pittoricamente bel-lissima, breve scala a chiocciola. En-trambi i piani hanno grandi spaziliberi ritmati da quinte che creanogeometrie di colori, da linee di muritagliati e da grandi porte ruotanti chediventano esse stesse importanti ele-menti di decoro. Eppure il disagiocontinua. L’atelier è una grande salacaratterizzata da una luminositàsenza ombre, filtrata da una lungastriscia di mattoni di vetro postimolto in alto, elemento questo un po’claustrofobico che si ritrova in altrezone della parte adibita ad abita-zione, come nel minuscolo cucinottodove, di nuovo, la luminosità (e nonla luce) passa attraverso i vetri opachie scende a fiotto da un piccolo buconel soffitto, nella camera da letto, conil bagno scomposto in due ambientidistanti molto angusti e senza portae un letto altissimo, e nella terrazzaalla quale si accede da una specie digabbia in vetro e muratura. L’ im-provviso, netto contrasto a questaprospettiva fatta di aria e luminositàma comunque “soffocata” dalla man-canza di esterno, è dato dall’unica pa-rete in vetro trasparente della sala dapranzo che si apre su un lungo ter-razzo panoramico. Mi sono chiesta seil disagio provato è forse dovuto allasensazione di trovarsi di fronte a unconcetto di abitazione che sembranascere da un’interiorità individualedifficilmente afferrabile e mai come

VISIONARIA

di Simonetta [email protected]

Un Le Corbusiernon adattoai claustrofobici

in questo contesto, mi sono sembrateadeguate le parole di Sigfried Gie-dion quando scrive che “ le case di LeCorbusier non si definiscono tramitelo spazio e le forme... ma sulle rela-zioni e l’interpretazione.” L’apparta-mento, che conserva l’arredamentooriginale, è classificato MonumentoStorico ed è aperto al pubblico suprenotazione.

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dove finì per tornare quando il re-gime fascista impose le leggi razziali.Finita la guerra si trasferì a Parigi,quindi tornò in Italia - prima stabilen-dosi a Firenze e, dal 1962, a Viareggio,dove morì nel 1968. Viareggio fu la sua prediletta e, nonper un caso, da qui è partito l'impulsoad una iniziativa utile a far conosceread un pubblico più ampio - non limi-tato agli studiosi, agli appassionati eagli addetti ai lavori - questo singolareartista che arricchì, con il proprio ta-lento e la propria opera, il clima giàfertile della Versilia di allora.

ICON

di Paolo [email protected]

Una Viareggio d'altri tempi, lu-minosa, mondana, spensie-rata (anche se quei tempi'girano' tra la fine del primo

conflitto mondiale e il periodo dellagrande depressione e oltre) è quellaritratta dal pittore Moses Levy, con lesue spiagge, gli ombrelloni, le vele, ilmare, i bagnanti, in una festa di luce edi colori. Non a caso la mostra cheaprirà nella città versiliese dal 4 luglioal 19 ottobre, presso il Centro Mat-teucci per l'Arte Moderna, e che siporterà a Firenze, grazie alla Fonda-zione Parchi Monumentali Bardini ePeyron, dal 30 ottobre al 1 febbraio,si intitola Moses Levy Luce Marina -Una vicenda dell'arte italiana 1915-1935 ed intende proporre, con circa40 dipinti, un compendio omogeneotanto per cronologia che per linguag-gio pittorico.Nato a Tunisi nel 1885 da padre in-glese e madre livornese, si trasferì inItalia con la famiglia all'età di diecianni e, già adolescente, strinse amici-zia con Lorenzo Viani, con il qualefrequentò il corso della Scuola dinudo tenuto da Giovanni Fattori al-l'Accademia di Belle Arti di Firenze. Iniziata l'attività espositiva nei primianni del Novecento, allacciò signifi-cativi rapporti con artisti come FeliceCarena, Plinio Nomellini, ElizabethChaplin, Primo Conti e Giorgio DeChirico - solo per dirne alcuni. Nei decenni che seguirono orga-nizzò/partecipò ad importanti mani-festazioni, anche all'estero, senza maiperdere i legami con la città natale,

MosesLevye la suaViareggio

SCAVEZZACOLLO

Mi piace andare al mare la mattina pre-sto quando si sta ancora sistemando.Prima di tutto, mette in ordine le ondespettinate dalla notte, poi porta la spaz-zatura sulla spiaggia, poi guarda il cieloe sceglie il colore da indossare quelgiorno. I pesci arrivano dopo, timbranoil cartellino e vanno a fare colazione, cheper loro significa mangiarsi l’un con l’al-tro. Molti pesci al tramonto non timbre-ranno mai più il cartellino. Verrannosostituiti da altri. Il lavoro non manca.

di Massimo [email protected] cura di Cristina Pucci

[email protected]

Targhetta, circa 35 cm di diametro inverità, di latta, pubblicitaria, destinatain tutta evidenza al mercato di linguainglese, propone il nostralissimo, “ele-fante dei formaggi” il Parmigiano, dettoin quei luoghi “Parmesan” e inutil-mente contraffatto e copiatissimo, anni‘20 del ‘900.“… Et eravi una montagna di formag-gio Parmigiano grattugiato, sopra laquale stavan genti che niuna altra cosafecevan, che fare maccheroni, e raviuoli,e cuocergli in brodo di capponi, e poigli gittavan quindi giù, e chi più ne pi-gliava, più se n’aveva… “(1349-1353).Giovanni Boccaccio, Decamerone,Giornata VIII, Novella terza, “...Una sera Andrea del Sarto presentòun tempietto a otto facce simile a quellodi San Giovanni, ma posto sopra co-lonne. Il pavimento era un grandissimopiatto pieno di gelatina con spartimentidi vari colori di mosaico. Le colonneche parevano di porfido erano grandi egrossi salsicciotti, le basi e i capitellierano di formaggio Parmigiano....”Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellentiarchitetti, scultori e pittori, Firenze,1550.Come possono in America rifare il Par-

BIZZARRIA DEGLI OGGETTI

Dalla collezione di Rossano

migiano che si “faceva” prima che essafosse scoperta?Oltre a queste citazioni deliziose e nonfacilmente immaginabili vi spiego soloperchè la forma che si vede nel gadgetd’epoca è nera e untuosamente un pòlucida come nella mia memoria dibambina il parmigiano. “Innanzitutto imagazzini erano tutti interrati, e nel pe-riodo invernale si passava il nero, unapolvere, chiamata sara d’ombra”, ci rac-conta Giovanni Morini. “Si trattavanole forme con questo composto prima

da una parte e si lasciava ammuffire,poi si giravano e si dava il trattamentodall’altra parte: più la superficie am-muffiva e più era bella. Poi, per finire, sipassava l’olio di lino”. Questa pratica èstata vietata negli anni Settanta. Esisteun Museo del Parmigiano ovviamenteove si possono vedere strumenti anti-chi bellissimi e conoscere storie e carat-teristici percorsi di fabbricazione edinvecchiamento. Che altro volete sa-pere? Tutti conosciamo il suo sapore, ilsuo aspetto, la sua granulosa corposità.

Parmesan cheese

Mare al mattino

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come è naturale, nel procedere della sto-ria secondo il principio di causa ed ef-fetto. Non si può non sentire comepropri, per chi fa parte delle mie genera-zioni, questi racconti che sono un in-sieme di prosa e poesia, o meglio, prosapoetica. C’è un forte senso georgico eanche bucolico infuso in tutte le righe. Itraslochi da podere a podere, di cascinain cascina,vengono vissute con la stessaintensità del virgiliano Melibeo, maanche con tanto Pascoli che trasuda dopoogni punto, dentro ogni riga. La malinco-nia profonda nel lasciare amicizie, ani-mali, paesaggi, profumi, è sempre la stessanel corso dei millenni, per chi con la terrastabilisce un legame profondissimo,come di radice di quelle piante, come disemente tra quelle zolle. Ma anche l’alle-gria e la speranza di chi aveva nulla o

poco. La spensieratezza, le passeggiate, lecorse, i sacrifici (quelli dei mietitori che acinquant’anni erano tutti gobbi, o dellemadri che portavano i bimbi in collo perquelle vie sterrate anche per dieci chilo-metri). Poi le veglie in cascina, i teatrantidi strada, i militari di passaggio, e Firenze,sempre lì a due passi, ad esercitare il suofascino, il suo richiamo, ineludibile, peri-coloso, vincente richiamo. Le terre de-scritte sono quelle della zona diSettignano, terre di pianura, di ordinegeografico e colturale. Anche le terre dicollina (Compiobbi, Romena) arricchi-scono la scena. Non sono solamente luo-

ODORI DI LIBRI

di Evaristo Seghetta Andreoli

Di solito acquisto libri incuriositodal titolo, dalle descrizioni diquarta di copertina, o perché l’au-tore noto offre garanzie. In que-

sto caso ho acquistato questo libro diFranco Manescalchi per tutti i motivisopra citati, ma soprattutto perché cono-sco personalmente Franco in quanto eglipuò essere definito il poeta punto di rife-rimento della cultura fiorentina attuale esicuramente anche italiana. Incuriositodal fatto di scoprire come egli se la cavassecon la prosa ho letto “I giorni dell’esodo”.Consiglio la lettura a tutti coloro che sen-tono ancora profondo il richiamo dellacampagna, di quella civiltà contadina incui, senza tema di smentita la stragrandemaggioranza degli italiani si riconosce.L’autore fa parlare tre personaggi dellastessa famiglia: il padre Guido, la madreBruna e lui stesso. Ciascuno di essi è por-tatore delle proprie esperienze vissute nelcontado di Firenze tra inizio novecentofino agli anni cinquanta. A dire il vero, essirichiamano anche fatti e personaggi legatia quei luoghi, accaduti e vissuti, anchenegli ultimi decenni dell’ottocento. I rac-conti, infatti, si imperniano sulla storiadella famiglia contadina allargata ai pa-renti, amici, vicini, fittavoli, mezzadri, pa-droni, nobili, fascisti, nazisti, americaniecc. il tutto senza soluzione di continuità,

Scultura da indossare, oggetto che in-teragisce con il corpo e con lo spaziocircostante, nella mostra “Touch.Graduation Show 2014” (conclusa loscorso 26 giugno) il gioiello è statoun’occasione di sperimentazione conmateriali, forme e stili narrativi di-versi. La mostra - a cura di Doris Ma-niger, Lucia Massei, Ruudt Peters –ha presentato le collezioni di gioiellicontemporanei di dodici studenti diAlchimia, Scuola Internazionale diGioielleria Contemporanea a Fi-renze.Al termine del percorso di studidell’European Master of Fine Arts ijewellery designers, provenienti danove paesi diversi, hanno messo aconfronto le loro storie personali, do-dici progetti che hanno rappresentatoil risultato di una riflessione intima eallo stesso tempo collettiva sul lororuolo professionale e artistico. Molte-plici materiali sono stati combinatitra loro ed esplorati in modi originalie talvolta inaspettati, dai più umili -semplici patate essiccate e trasfor-mate in collane leggere e colorate - aipiù pregiati, come l’alabastro, in al-cuni casi levigato al punto di simularel’aspetto di sottile membrana. Legno,rame, ferro, plastica riciclata, pelle divitello e metalli sono stati sapiente-mente lavorati fino a camuffare laloro reale consistenza e originaria ap-parenza. Ciò che sembrava fragile si èrivelato solido e resistente, ciò cheappariva pesante era invece reso leg-gero, impalpabile. La percezione na-

ICONdi Caterina Romaniello

[email protected]

Mondocontadinodellacampagnafiorentina

turale delle cose è stata sovvertita,così gli artisti ci hanno invitato ausare il tatto per esplorare e capire

fino in fondo le loro storie, i loro gio-ielli. Alcuni lavori richiamavano ri-tuali antichi, altri si sono fattimetafore per riflettere sul senso deltempo e dei suoi segni, ma tutti gli

oggetti in esposizione erano accomu-nati dall’approccio estremamentemoderno e sperimentale che caratte-rizza Alchimia.Fondata a Firenze nel 1998 da LuciaMassei e Doris Maninger, la scuola èun luogo dedicato al confronto inter-nazionale tra studenti con back-ground culturali e progetti diversi e alloro percorso professionale e creativodi jewellery designers. La filosofia diAlchimia è nel suo nome: come l'an-tica disciplina, a metà strada frascienza e metafisica, la scuola amal-gama sostanze diverse tra loro e letrasforma in materia preziosa. L’ener-gia creativa che circola nella scuolaispira e influenza i gioielli tantoquanto gli studenti che li realizzano.Nei corsi, caratterizzati da un’attitu-dine profondamente moderna, all’ap-prendimento delle tecnichetradizionali è coniugata una costantesperimentazione di materiali e tecni-che contemporanee. Alla pratica inlaboratorio viene alternata un appro-fondimento critico della disciplina,con l’obiettivo di rendere gli studentiindipendenti e altamente preparatirispetto al dibattito artistico contem-poraneo e rispetto alle fasi successivealla produzione vera e propria deigioielli, quali esibizioni, presenta-zioni e networking.La mostra – realizzata dagli stessi stu-denti come momento conclusivo delloro percorso formativo - ha avutoluogo presso la sede della scuola (19– 26 Giugno 2014) ed era inclusa tragli eventi della manifestazione PittiUomo.

ghi della geografia rurale fiorentina, masono possessori di un’anima anch’essi. Vi-vono come vivono quei contadini. Traessi c’è un vincolo profondo, simbiotico eimprescindibile. Solo un poeta comeFranco poteva, riga dopo riga, enume-rando nomi di arnesi, di piante, di alberie di animali, elevare le storie riportate, conla leggerezza sublime dell’amore pro-fondo per quel mondo scomparso sottola torre della Fiat. Leggendo quei capitoli,pian piano è come se si sentisse il sotto-fondo del vento che porta musiche puc-ciniane e se dovessi dare unarappresentazione pittorica alle descri-zioni, sicuramente opterei per le opere diGiovanni Segantini, Gaetano Bellei e so-prattutto del fiorentino Carlo Facchinetti(1870-1935) in una sorta di visione arti-stica comparata. Superfluo dire che sitratta di un bel libro. Una saga familiareche ha fondamento su personaggi antie-roi, su gente dignitosa,laboriosa, etica-mente esemplare. In questo libro horitrovato molto del mondo della mia in-fanzia, dei miei vecchi, delle abitudini deicontadini del centro Italia; tra i tanti ri-cordi che mi sono riemersi, uno in parti-colare: come a Firenze la pietra perarrotare la falce veniva inserita nel cornovuoto di bue e appesa alla cintura dei mie-titori, così anche in Umbria, nelle miecampagne, negli anni cinquanta. Tuttosommato, Firenze, non è poi così lontana.

Incredibili gioielli

Amani Bou Dargham

Maria Walker

Sana Khalil

Carla Movia

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di Michele [email protected]

MENÙ

Ingredienti per 8 persone:150 g di mandorle pelate150 g di zucchero3 uovaMezzo cucchiaino di cannella in pol-vere1 limone non trattatoSalePer la glassa: 50 g di cioccolato fondente -100 g di zuccheroPer la pasta frolla: 200 g di farina bianca - 80 g dizucchero - 150 g di burro - 3tuorli d’uovo - salePreparate la frolla: versate 200 gdi farina in una terrina, miscela-tela con lo zucchero e un pizzicodi sale, poi unite 140 g di burrofreddo a pezzetti e lavorate iltutto con la punta delle dita ot-tenendo un composto granuloso.Formate la fontana, ponete al centroi tuorli e sbatteteli con una forchettaincorporandoli alla farina. Dopo ro-vesciate il tutto sulla spianatoia e im-pastate velocemente perchél’impasto non deve scaldarsi (seavete le mani troppo calde, raffredda-tele nell’acqua fredda prima di impa-stare).

Formate una palla, infarinatela, av-volgetela in un foglio di pellicola tra-sparente e tenete in frigorifero fino almomento dell’utilizzo. Intanto pre-parate la farcia: fate tostare le man-dorle in un tegame antiaderente e

quando appaiono dorate, lasciateleraffreddare e trasferitele nel bic-chiere del mixer, poi macinatele fine-mente. Dividete i tuorli dagli albumi,mettete questi ultimi in una terrina eponeteli in frigo. In una ciotola sbat-tete i tuorli con lo zucchero, fino adavere un composto chiaro e spu-moso, incorporatevi le mandorle ri-dotte in polvere, la cannella, un

pizzico di sale e la scorza del limonegrattugiata e infine gli albumi mon-tati a neve ben ferma, amalgaman-doli con una forchetta girando dalbasso verso l’alto e viceversa, affin-ché non si smontino. Prendete la

pasta, eliminate la pellicola e ap-piattite la palla ottenendo undisco grassoccio. Imburrate e in-farinate una tortiera di 26 cm didiametro, appoggiatevi il discodi pasta e schiacciatelo con ledita in modo da stenderlo uni-formemente fino a ricoprire ilfondo della tortiera; fate inmodo di formare un bordo piùalto, sempre aiutandovi con ipolpastrelli delle dita.Bucherellate la superficie con irebbi della forchetta, distribui-tevi il composto di mandorle e

uova, passate in forno caldo a 170°Cper 25-30 minuti. Sfornate, lasciateraffreddare. Intanto preparate laglassa: fate sciogliere lo zucchero inun pentolino insieme a 5 cucchiai diacqua, unite il cioccolato a scaglie elasciatelo sciogliere su fuoco bassis-simo mescolando velocemente. Ver-sate la glassa sul dolce e lasciate chesi rapprenda. Servite la torta fredda.

Le mandorle vogliono il freddo Tutto Capaa Lucca

di Ilaria [email protected] Città d’acqua Lucca San Michele

LUCE CATTURATA

L’APPUNTAMENTO

La mostra “Robert Capa. Retrospec-tive”, a cura di Maurizio Vanni, che siterrà al Lu.C.C.A. - Lucca Center ofContemporary Art dal 5 luglio al 2 no-vembre 2014, vuole essere un omaggioal “migliore fotografo di guerra delmondo”, come lo ha definito la rivistainglese “Picture Post” nel 1938. Inesposizione una selezione di 97 foto-grafie in bianco e nero che documen-tano la guerra civile spagnola(1936-1939), i sei mesi trascorsi inCina nel 1938 per fotografare la resi-stenza all’invasione giapponese, la Se-conda guerra mondiale (1941-1945), ilprimo conflitto arabo-israeliano(1948) e la guerra francese in Indocina(1954), a cui si aggiunge una serie di ri-tratti di amici e artisti tra cui Ernest He-mingway, Truman Capote, WilliamFaulkner, Henri Matisse e Pablo Pi-casso.

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CCUO

.com sabato 5 luglio 2014no83 PAG.15C.com sabato 7 giugno 2014HORROR VACUI

Disegni di Pam

Testi di Aldo Frangioni

Molti anni fa nascondevo i miei

numerosi inconsci in un pro-

fondo buco di silenzio: speravo

di non ritrovarli mai. Col tempo

sono riaffiorati tutti conflig-gendo fra di loro.

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CCUO

.com sabato 5 luglio 2014no83 PAG.16

Balletto Civile di Michela Lucenti(mercoledì 23), all’Happy Hour deiWooshing Machine, danzatori e co-reografi belgi, ma con una radicevolterrana (22 luglio). Lo stessogiorno ci saranno anche i Sacchi diSabbia con i loro “Piccoli Suicidi inottava rima) e la Compagnia Rodi-sio con “Ma Mère L’Oye”, mentrelunedì 21 tornano le Ariette che mi-schiano il couscous a Camus, Bolo-gna e la Francia e il Mediterraneo

nel calderone del Teatro Naturale.Ma il compito di riannodare la feritacon la città e la sua memoria sarà af-fidato all’Archivio Zeta che il 25 lu-glio metterà in scena un’azionecollettiva che legherà fisicamenteun nastro rosso lungo 20 km alcorpo ferito di Volterra. Per partecipare agli spettacoli inCarcere è necessario prenotareentro il 13 luglio su www.volterra-teatro.it tutte le informazioni.

LUCE CATTURATA

di Danilo [email protected]

Una ferita che sanguina. Una feritasu un mondo che non può cam-biare, ma che vorrebbe cambiare.Una ferita alla memoria che si puòsolo ricucire riannodando i fili. Vol-terrateatro 2014 sale sulle mura fra-nate di Volterra che tanto hannoalzato l’attenzione sulla città etruscae dà lì volge lo sguardo alla Fortezzache proprio della solidità delle suemura fa un vanto(in fondo è pursempre un carcere) e alla città ferita,tentando con il teatro di ricostruireil senso della città-comunità. Ma non c’è solo la ferita del crollo,ci sono le ferite che lascia il carceresulla pelle dei detenuti-attori, feritidal lavoro di Armando Punzo chepunzecchia le loro carni con Genete si autoferisce sbattendo continua-mente nei no e i forse con la richie-sta di un teatro-stabile all’internodella Fortezza. Dal 21 al 27 luglio si riparte dal“Santo Genet”, commediante e mar-tire, scrittore di eroi vuoti alla ri-cerca di altre possibilità di realtà. Edopo aver vagato per le stanze-celleadesso i “devoti” vanno verso unarappresentazione classica, nello spa-zio di un teatro all’italiana. Ma ilpalcoscenico-carcere ospiterà altrecompagnie che cercheranno di sa-nare la ferita con lavori pensati perlo spazio prigioniero della Fortezza:dal Teatro dell’argine che presenta“Pitur”, secondo movimento delprogetto Ligabue (giovedì 24), al

AWetzlar si festeggiano i centoanni del prototipo della foto-camera Leica, realizzata nel1914 da Oskar Barnack

(1879-1936), “meccanico” dipen-dente della società Leitz, ma messa inproduzione ed in commercio nel1925. Come è noto la Leica è unadelle prime fotocamere (non certa-mente la prima) ad utilizzare la pelli-cola cinematografica 35mm con ladoppia perforazione, ed è una delleprime fotocamere (non certamente laprima) di dimensioni contenute, maè forse la prima a coniugare le piccoledimensioni della fotocamera e del ne-gativo ad una alta precisione ottica emeccanica, ed è certamente la primafotocamera 35mm ad offrire la garan-zia di un funzionamento meccanicoineccepibile. Sicuramente la Leica èla prima fotocamera 35mm ad usciredall’impiego amatoriale e ad essereproposta per gli impieghi professio-nali più diversi, dal fotoreportage alladocumentazione scientifica. La na-scita della Leica coincide con la na-scita del fotogiornalismo moderno inGermania ed in Francia, diffuso pocopiù tardi anche in Inghilterra e negliUSA, ed i destini della piccola foto-camera tascabile Leica si incrocianocon quelli dei primi fotogiornalistieuropei, da Paul Wolff ad Otto Um-berher, da Ilse Bing a Giséle Freund,fino a Robert Capa e ad Henri Car-tier-Bresson, per non citare che i piùnoti.Con il 1930 le Leica iniziano a mon-tare gli obiettivi intercambiabili conl’innesto a vite, con il 1932 montanoun telemetro incorporato accoppiatoal movimento della messa a fuoco, enel corso degli anni Trenta si dotanodi un numero impressionante diobiettivi ed accessori. Fotografarecon la Leica diventa un modo parti-colare di osservare e registrare la re-altà, basato sull’immediatezza, laspontaneità ed il rapporto diretto. Lafama delle Leica cresce così tanto dafar nascere una folta schiera di con-correnti, e se in Europa i brevetti de-positati impongono alle industriefotografiche vere e proprie acrobazieprogettuali, in URSS ed in Giapponesi copiano invece fedelmente le Leica,senza troppe preoccupazioni. La se-conda guerra mondiale vede moltadella produzione Leica dirottataverso gli impieghi militari, fra Wer-macht Heer e Luftwaffe, ed alla finedel conflitto, con la sconfitta dellaGermania, i brevetti tedeschi ven-gono considerati universalmente de-caduti. La produzione, mai del tuttointerrotta neppure nei peggiori annidel conflitto, riprende in grande stilea Wetzlar nel 1946.Nel 1954, come controffensiva neiconfronti delle copie Leica a vite,nasce il nuovo modello Leica M3 conun inedito innesto a baionetta per gliobiettivi, un telemetro a base moltoampia, ed una meccanica ancora mi-

gliorata. Gli anni Cinquanta e Ses-santa vedono la massima diffusionedella stampa illustrata, e la diffusionedei corredi Leica presso gli staff dellemaggiori testate internazionali. Laproduzione delle Leica prosegue, fraalti e bassi, ma sostanzialmente im-mutata, nonostante i progressi dellatecnologia, fino al 1984, con la LeicaM6 che incorpora un esposimetroma conserva l’otturatore meccanicoe la messa a fuoco telemetrica. Nono-stante la diffusione delle reflex35mm, degli otturatori elettronici edella messa a fuoco automatica (au-tofocus), e nonostante la crisi dellacarta stampata di fronte alla diffu-sione della informazione televisiva,moltissimi fotogiornalisti conti-nuano a conservare una o più Leicameccaniche nel loro corredo. Solonel 2002 la Leica M6 viene sostituitadalla Leica M7 con l’otturatore elet-tronico e l’esposizione automatica,ma accanto a questa viene rimessaimmediatamente in produzione laLeica MP meccanica, che vive ac-canto alle Leica digitali, e viene riedi-tata nel 2014 in una versionecommemorativa in edizione limitataper il centenario.

di Emiliano [email protected]

SCENA&RETROSCENA

100 anniLeicadi

La ferita di Volterrasi cura con il teatro

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CCUO

.com sabato 5 luglio 2014no83 PAG.17C.com sabato 7 giugno 2014CATTIVISSIMO

di Fabrizio [email protected]

Molto tempo fa l’ultimo tratto di Viadella Scala si chiamava “Via del Pan-tano”, nome che rispecchiava perfetta-mente la natura del luogo, a ridossodella cinta muraria, che correva lungol’attuale allineamento del Viale Fra-telli Rosselli e che impediva il natu-rale defluire dell’acqua piovana.Intono al 1200, quasi a onorare il loronome, vi edificarono un convento iFrati della Penitenza, che cedetteropoi i loro locali, nel 1295, alle suoreterziarie domenicane del Monasterodi San Iacopo e San Domenico di Ri-poli (detto del “Santo Nuovo”, con ri-ferimento a San Domenico) e a SanIacopo di Ripoli è tuttora intitolata lachiesa che si trova all’altezza di ViaRucellai.Qui intervenne, come al solito, lagrande capacità di sintetizzazione deifiorentini; quella strada, da sempre, siera chiamata Via del Pantano e ilnome andava tutelato, ma d’altraparte bisognava anche segnalare la

presenza delle nuove monache: eccocosì che, con piena soddisfazione deifiorentini e con sconcerto dei “fore-stieri” che ignoravano l’antefatto, l’at-tuale Via della Scala diventò Via delPantano di Ripoli.Le suore (fra le quali erano rappre-sentate le più importanti famiglie fio-rentine, dai Donati agli Uberti, dagliSpini ai Pitti) si dedicarono con suc-cesso alla copiatura e alla miniaturadei codici, sotto però la supervisionedei loro confratelli domenicani diSanta Maria Novella.Arriviamo al 1476 e a Bernardo Cen-nini, valente orafo fiorentino cheaveva fra l’altro collaborato con Ghi-berti per la Porta del Paradiso. Si vedeche la professione orafa andava di paripasso con quella di stampatore: os-

servando il lavoro del suo collega(orafo) Gutenburg, Cennini si impa-dronì della tecnica della stampa a ca-ratteri mobili e impiantò una delleprime tipografie d’Italia: dove, se nonnel monastero del Pantano di Ripoli?Le suore furono rapidamente conver-tite da miniatrici a compositrici e, giànel 1476, usciva la prima opera stam-pata Apud Sanctum Iacobum de Ri-poli, un’edizione commentatadell’”Ars Grammatica” di Elio Do-nato; se questo libro è andato perduto(o almeno non se ne trova traccia inrete), ne sono rimasti diversi dei suc-cessivi, fra i quali una monumentale

edizione completadelle opere di Pla-tone, uscita nel1484, e “La congiuradi Catilina” di Sallu-stio, stampato nel1478 e del quale ri-portiamo la chiosa.E’ curioso che solonel mondo anglo-sassone, e non in Ita-lia, sia stata rilevata

una palese discriminazione: in nes-suna delle opere stampate Apud San-ctum Iacobum de Ripoli, c’è tracciadel fondamentale contributo dellesuore; forse perché, scrive ad esempioil sito http:// derwombat.net/2013/12/21/women-in-print-3/, “theirprinting works was supervised by twomale friars”. Frati maschilisti?Passarono i secoli e, finalmente, l’ac-qua cessò di stagnare nel Pantano diRipoli: la bonifica fu resa possibiledall’apertura di una nuova porta nellacinta muraria proprio in corrispon-denza dello sbocco di via del Pan-tano; ma questa è un’altra storia

Via della Scala

Suoretipografe

di Francesco [email protected]

Tutto il mio disprezzo vada al giudi-zio barbaro di chi vuol fare la storiaa colpi di cronaca, i fatti relativi agliorrori perpetrati nel resto del pia-

neta - l'obsoleta classificazione di Terzo eQuarto mondo,- passati al vaglio del giu-dizio piccino, miserabile, gretto di chi haancora uno spazietto nell'animo da desti-nare all'indignazione. Nel cortile martiriz-zato dalla fibrillante canicola del lugliopadano, s'ode il coretto indignato dei con-domini, il tiggì sparato a palla, mentre ilmaccheronazzo al sugo sta lì, squadernatosul piatto come in una tela di Guttusocommestibile. Si “argomenta”, si discutedell'ennesimo stupro nelle Indie, dellabomba pakistana, mentre cala la Peroni esi gonfia l'epa dopolavoristica. Non c'è dif-ferenza tra un “Basso” e un “Alto”: la qua-lità dei commenti è solo diversamenteammantata. I nostri maître à penser espri-mono la medesima quintessenza del pen-siero dominante, omologato, a destracome a sinistra. Poche le voci fuori dalcoro, e pure stonate. Il commento razzistarampolla, malcelato, nel nodo scorsoiodelle cravatte colorate dei bellimbusti-mezzibusti. La necessità spiccia di dire-qualcosa,  di riempire un vuoto nelpalinsesto, genera lo stratificarsi del mo-struoso sotto le vuote forme, i concettipost-prandiali di etica, diritto, civiltà. Ven-gono attribuiti tempi storici omogenei arealtà eterogenee, dinamiche, multilivel-lari, in questa nevrotica corsa dei sacchialla semplificazione, alla “normalizza-zione”, all'analisi cinica operata dalla pol-troncina Ikea: il massacro della diacroniae della sincronia, il tempo storico imploso.Muniti di calosce ad attraversare lo stagno(la paura dell'orrore, quello vero, del di-verso, dell'irrazionale, ed in definitiva dellaMorte, quella con la M maiuscola): eccoloil piccolo esercito di paffuti privilegiati, ec-

coli lì a stuprare i fatti, ad isolarli dai con-testi, dai processi storici, dalla vita pul-sante che è a sua volta figlia del gioco dellamaree, degli stramaledetti corsi e ricorsi.Osservare i fenomeni, inferire, dedurre apartire da presupposti che sono frutto distratificazioni infinite, di storie edificatesulle scorie di altre storie (al plurale) è attosommamente violento. La si impiccano lepovere figlie della bestialità fanatica, qui sicontinuano a sterminare le famiglie, nelraptus standardizzato del capo-famigliapasciuto ed oramai esautorato dalla pos-sibilità di sperperare moneta spicciolanelle sale Bingo. Possa calare sulle testedegli empi la scure del Giusto.

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

Cali sulle testedegli empila scuredel Giusto

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CCUO

.com sabato 5 luglio 2014no83 PAG.18L’ULTIMA IMMAGINE

berlincion

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San Jose, California, 1973

Siamo di nuovo in Willow Glen, e questa coppia disignore sedute sul divano assieme ai loro due canisono madre figlia. Barbara, la figlia, era un’altra vi-cina di casa dei miei suoceri e mi ha sempre scon-volto con questi due piccoli e simpatici animali checorrevano felici sul’erbetta del solito impeccabile

“front lawn” sempre rasato alla perfezione. L’altraimmagine è stata invece scattata qualche isolato piùin la ed è una rappresentazione plastica della middleclass di queste contrade. Doppio garage completa-mente attrezzato alla bisogna e due ampie camere daletto al piano superiore. Il landscaping con le palme

è una vera sciccheria. All’interno si sviluppa natural-mente la zona giorno con un gran salotto e una bel-lissima cucina che danno direttamente sul solito eben curato giardinetto con l’erba sempre ben rasatae qualche albero da frutto: un vero paradiso, si di-rebbe.

Dall’archivio di M

aurizio Be

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