Cultura Commestibile 82

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82 uesta settimana il menu è Q POLVERE DI MUSEI Siliani a pagina 5 Il contemporaneo arriva a Firenze RIUNIONE DI FAMIGLIA a pagina 4 Stammer a pagina 2 Monaldi a pagina 6 ISTANTANEE AD ARTE Il Novecento e la poesia visiva Cecchi a pagina 7 OCCHIO X OCCHIO Fotografia e poesia DA NON SALTARE L’Aquila, la città dalle 99 vite Il presidente dell’Italia Futbal club La timida estate L’estrema sinistra mi odia. Perché non ho mai cantato Bandiera rossa la trionferà. Ma io non sono un militante, sono un artista libero e indipendente. Quando ho partecipato al concerto del 1° maggio nel 2009, venni a sapere che stavano organizzando una contestazione contro di me, contro Vasco venduto al potere, stronzate del genere. È finita che non li ha sentiti nessuno, perché erano solo quattro deficienti

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82 uesta settimanail menu èQ

POLVERE DI MUSEI

Siliani a pagina 5

Il contemporaneoarriva a Firenze

RIUNIONEDI FAMIGLIA

a pagina 4

Stammer a pagina 2

Monaldi a pagina 6

ISTANTANEE AD ARTE

Il Novecentoe la poesia visiva

Cecchi a pagina 7

OCCHIO X OCCHIO

Fotografia e poesia

“DA NON SALTARE

L’Aquila, la cittàdalle 99 vite

Il presidentedell’ItaliaFutbal club

La timidaestate

L’estrema sinistra mi odia. Perché non ho maicantato Bandiera rossa la trionferà. Ma io non sono un militante, sono un artistalibero e indipendente.Quando ho partecipato al concertodel 1° maggio nel 2009, venni a sapereche stavano organizzando una contestazionecontro di me, contro Vasco venduto al potere,stronzate del genere.È finita che non li ha sentiti nessuno, perchéerano solo quattro deficienti

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.com sabato 28 giugno 2014no82 PAG.2DA NON SALTARE

di John Stammer

Narra la leggenda che la città deL’Aquila fu fondata per espli-cita volontà dei cittadini dei 99castelli che popolavano la

conca dell’Aterno nel 1254. La città erala risposta alle difficoltà create dal cre-scente potere dei baronati normanni. IlRe Ruggero conquistò l’interoAbruzzo nella prima metà del XII se-colo fra il 1139 e il 1153. E proprio inquel periodo si verificò, come rispostaa questa occupazione, il fenomeno dell’“incastellamento” dei borghi sparsidella valle.Il numero 99 ricorre in molti dei riti edelle opere della città ancora oggi. I rin-tocchi della campana della Torre Ci-vica chiamata La Reatinella sono 99 esempre 99 sono le “cannelle” della suaprincipale fontana. L’Aquila è quindiuna “città di fondazione”, anzi una“grande città” di fondazione, una dellepoche grandi città che nascono con undisegno urbano definito fino dalla suaorigine. Una città pensata e volutacome tale, frutto di una scelta consape-vole. E una città dove gli edifici privatifanno a gara con quelli pubblici perrendere evidente la ricchezza e il poteredei suoi cittadini. Una bella grandecittà di fondazione.Oggi, dopo il terremoto del 6 aprile del2009, a 760 anni dalla fondazione, edopo almeno altre 3 distruzioni dovuteai terremoti nel corso di questi 8 secoli,la città storica inizia a riprendere vita,.Una vita ancora incerta e irta di diffi-coltà. Il centro storico fu la parte di cittàmaggiormente colpita dal terremoto.Efu immediatamente abbandonato dagliabitanti poichè quasi completamenteinagibile. La maggior parte dei cantieriper la ricostruzione degli edifici delcentro storico ha visto la luce all’iniziodel 2014, dopo quasi cinque anni daquell’aprile del 2009.Una ricostruzione che avrebbe biso-gno di una nuova decisione pubblica,e collettiva, per una “nuova fonda-zione”. Una ricostruzione come sceltaconsapevole che si ponga l’obbiettivodi riportare nella città storica gli abi-tanti dei moderni “castelli” costruiti,dopo il terremoto, tutto intorno al cen-tro storico, e cioè i complessi C.A.S.E.(Complessi Abitativi Sostenibili edEcocompatibili). Ma una ricostruzioneche pensi anche a coloro che sono an-dati lontano, in altri luoghi, e a coloroche hanno comprato casa fuori dallacittà (dopo il terremoto oltre 30.000persone sono state trasferite sulla costaadriatica). Una scelta che consenta aicittadini di riprendersi il territorio ur-bano della città.Oggi infatti L’Aquila assomiglia moltoalla città che non c’è. Quasi nessunoabita nella città vecchia e anche gli edi-fici non dichiarati inagibili sono vuoti.Una situazione frutto delle scelte fattenel periodo immediatamente succes-sivo al terremoto. La scelta di costruire i complessi abita-tivi come strutture permanenti, evi-tando le “baracche” provvisorie tipiche

dei precedenti eventi tellurici, era statauno degli elementi innovativi della ge-stione dell’emergenza post terremoto.Una scelta che suscitò polemiche econsensi, coraggiosa ma anche intrisadi un eccesso di protagonismo e cen-tralismo, che è stata oggetto di indaginie di processi, e che lascia sul campouna pesante eredità.Questi “complessi”, già in parte colpitidal degrado edilizio (frutto di moda-lità costruttive e di realizzazione quan-tomeno frettolose nonostante glialtissimi costi di costruzione), nonsono mai diventati parti organiche diuna “città”. Responsabilità delle sceltedi localizzazione (molto dirigistiche),ma soprattutto frutto della mancanzadi un “progetto” di lungo periodo, or-ganico e condiviso, di città. Progettoche è completamente mancato al mo-mento dell’emergenza, proprioquando sarebbe stato necessario.I cittadini trasferiti, anche lontano,oggi stentano, ma non disperano, di ri-vedere nella città da ricostruire, illuogo di un loro ritorno alla vita “nor-male”I lavori previsti dal piano di ricostru-

zione hanno finalmente preso il via eoggi il centro storico della città ha ini-ziato nuovamente ad essere frequen-tato, anche se quasi esclusivamentedagli operai delle ditte che lavorano.Ma un germe di vita è ripreso.In sordina, e quasi sotto silenzio, tuttele limitazioni alla circolazione, anchepedonale, che erano previste all’in-terno del perimetro della “zona rossa”sono saltate, dalla sera alla mattina,quando, circa due mesi fa i militari ,chela presidiavano, se ne sono andati.Ora la città è percorribile in tutte le suestrade, ed è così visibile a tutti il grandescempio compiuto dal terremoto, e ilgrande lavoro da fare.Un lavoro tecnico certamente, maanche politico e sociale, per ricostruirela “polis” e non solo l’”urbs”.Un lavoro complesso e difficile ma af-fascinante e stimolante, che ha indottoanche alcuni a “ritornare” e a metterele proprie competenze al servizio dellacittà.Lorenzo Nardis è un architetto. Si èlaureato a Firenze pochi anni fa e avevapensato che il mondo è grande e chegli architetti italiani hanno ancora un

99vite

città

L’Aquila

dalle

La

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.com sabato 28 giugno 2014no82 PAG.3C.com sabato 7 giugno 2014DA NON SALTARE

Viaggionel capoluogoabruzzesea 5 annidal terremoto

Ed è al tavolo, dove mangiamo, che ilcolloquio con l’architetto Nardis com-pleta la visita della mattina.Uno scenario con ombre e luci quellodella ricostruzione della città, spessocaratterizzato da difficoltà procedurali.A partire dalla complessità delle normeche è stato affrontato e risolto dal pre-zioso lavoro fatto dall’equipe del mini-stro Barca che, finalmente, haprovveduto a riordinare e rendere coe-renti le ordinanze emanate dalla Presi-denza del Consiglio dei Ministri, chespesso erano confuse e contradditorie,ma che costituivano la base giuridicadegli interventi da realizzare. E semprein quel periodo sono stati istituiti gli uf-fici speciali per la ricostruzione, chehanno messo allo stesso tavolo tutti isoggetti che dovevano esprimere parerie consensi. Un metodo che ha reso piùceleri le procedure ma che ha soprat-tutto impedito che le perizie ed i costifinali non fossero controllabili. Ora ilcontrollo dei costi, che lo Stato so-stiene per la ricostruzione, avviene subase parametrica e con alcuni costibase standardizzati, la cui somma co-stituisce il costo massimo erogabile perintervento.La ricostruzione appena iniziata avràcomunque tempi lunghi. Nella opi-nione comune ci vorranno dieci anniper ricostruire non solo gli edifici maanche il tessuto sociale e culturale dellacittà, a condizione che vi siano risorsecerte e erogate con continuità. E’ que-sta la grande scommessa, ma anche lagrande paura, di chi lavora e vive aL’Aquila e per L’Aquila.Oggi la città si presenta ancora comple-tamente sorretta da ponteggi, catene,supporti alle architravature più lesio-nate, sbatacchiature fra le case dei vi-coli, come se le strade fossero scavatein trincea.E quello dei ponteggi, e delle opereprovvisionali, è stato, ed è ancora oggi,uno degli aspetti più discusso e contro-verso del periodo post terremoto, conesempi paradossali come quello del-l’edificio della scuola E.De Amicis, li-mitrofa alla chiesa di San Bernardino,che “sfoggia” un gigantesco ponteggiosul fronte principale.E per vedere un nuovo edificio bisognarecarsi ai limiti del centro storico. Nelgrande parco pubblico limitrofo al Ca-stello si trova il nuovo teatro della città,progettato da Renzo Piano con una ti-pologia e materiali inconsueti per ilcontesto, ma che svolge un ruolo fon-damentale per garantire la continuitàdell’attività della Associazione musi-cale Barattelli, che prima si svolgevaall’interno del Castello, in locali oranon agibili.Un processo di ricostruzione che èstato comunque avviato e che ora habisogno di certezza e di continuità, masoprattutto della capacità, della co-stanza e della concretezza degli abitantide L’Aquila ed in particolare di coloroche hanno deciso di scommettere suquesta ricostruzione la loro vita, nonsolo professionale. Come ha fatto Lo-renzo, insieme a molti altri ragazzi e cit-tadini di questa città dalle 99 vite.

alto gradimento in molte parti delmondo.Ma il 10 aprile del 2009, ha cambiatoidea e ha preso la strada che aveva per-corso, in senso inverso non più di ottoanni prima, ed è tornato a L’Aquila.Ora lavora per la ricostruzione dellasua città e ci accompagna in un viaggioall’interno dei cantieri, della storia ,delle complesse procedure, delle bel-lezze e delle difficoltà del mestiere diarchitetto in una città dove tutto è dafare.L’Aquila è oggi il più grande cantiere inItalia, dove lavorano circa 16.000 per-sone, e anche da questo cantiere po-trebbe partire la ripresa del paese. Soloche ancora non è chiaro se le autorità,in particolare quelle nazionali, sianoconsapevoli di questa possibilità. E’ uncantiere dove si sperimentano innova-tive tecniche di ricostruzione ma nes-suno, ad esempio, ha pensato a fare uncatalogo-censimento delle innumere-voli soluzioni tecniche che sono statepensate, progettate e realizzate per in-tervenire nel consolidamento e nellaricostruzione dei palazzi storici.E anche le fasi della ricostruzione ap-

paiono poco coordinate.Il Piano di ricostruzione prevedeva,saggiamente, che si procedesse perparti omogenee e limitrofe, in mododa costituire un insieme organico di in-terventi che, alla loro conclusione, re-stituivano un pezzo completo di cittàalla fruizione pubblica e privata. L’asseprioritario da ricostruire doveva esserel’asse centrale, dove sono localizzatianche gli edifici pubblici che hanno su-bito i minori danni. Invece si sta pro-cedendo, prevalentemente, per partiisolate, con la conseguenza che si pos-sono trovare interventi quasi comple-tati (per gli interventi di minor entità)ma in un deserto di ponteggi. Il rischioè quello di costruire una città surreale,quasi una quinta scenografica. Con la conseguenza che nessuno è ve-ramente interessato a riabitare gli edi-fici completati. A questo rischio, eall’abbandono, si oppone la costanzadi chi crede nella ricostruzione e lavorain città. Come il proprietario dellaCantina del Boss, primo locale pub-blico che ha riaperto, e ancora oggiluogo di ritrovo per chi lavora e vivenella città.

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Il vecchio leone ruggisce ancora e mette asegno due colpi da maestro. Ovviamentestiamo parlando di lui, il collezionista di pol-trone, l’onnipresente e immarcescibile, Euge-nio Giani. Che, lungi dal rassegnarsi al riposodel vecchio guerriero, si è fatto confermaremembro silente nel CdA della Fiorentina inrappresentanza di un’Amministrazione co-munale di cui non fa più parte. Non pago, èstato nominato fra i 4 saggi cui il sindacoNardella ha affidato l’arduo compito di rilan-ciare il Calcio Storico Fiorentino dopo le de-generazioni violente che hanno portato asospenderlo. E il nostro Eugenione non si èfatto cogliere impreparato e ha sfoderato undecalogo di norme per riportare la manifesta-zione “all’identità fiorentina e ai valori cultu-rali”. Eccolo qui, in anteprima mondiale: 1. Non offendere mamme e parenti fino alterzo grado.2. Ogni calciante dovrà seguire un corso distoria fiorentina (ovviamente tento dal prof.Giani Eugenio), su testo base ‘’Firenze giornoper giorno’’ di E.Giani, con esame finale.3. Ogni calciante regalerà all’avversario unfiore del colore dell’altra squadra.4. Ogni squadra dovrà intonare l’inno dellaFiorentina prima della partita: chi sbaglia ostona è eliminato.5. Esiste un solo Presidente del Consiglio e nonavrete altro presidente all’infuori di me.6. I colori cambiano: rosso giglio di Firenze,azzurro mare, verde ramarro e bianco sporco,cosi si abbassa la conflittualità.7. Prima di ogni partita i calcianti dovrannosottoporsi ad una visita guidata (indovinateda chi?) di Palazzo Vecchio (pregevole ini-ziativa!).8. Per poter giocare, ogni calciante dovrà averfatto il tuffo in Arno per Capodanno.9. nessun calciante potrà giocare se noniscritto ad una delle 374 associazioni di cuiGiani è o è stato presidente.10. Nessuno straniero potrà giocare, a menodi non provenire da una delle città che Gianiha gemellato con Firenze.Et voilà, le jeux sont fait.

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Il Presidentedell’ItaliaFutball Club

zionati, i selezionati potrebbero non sa-perlo e dunque non aprire un bel niente.Ma il Brighenti non ha fatto i conti conla timidezza e la riservatezza del nuovodirettore dell'Estate Fiorentina. Ma delresto, son dettagli, quisquiglie, pinzillac-chere. Le cose serie son le parole proffe-rite da Nardella in conferenza stampache ha definito l'Estate Fiorentina “unarisposta chiara e forte a certa politica

che considera lacultura come fri-volezza, comeun’appendicedella vita. Vorreiricordare cheogni euro inve-stito in culturasviluppa cinqueeuro di valore,alimentando lacatena di artisti,

creativi, aziende che si occupano di que-sto settore.”. Bella, chiara, originale.Magari si mettesse d'accordo con il Mi-nistro della Cultura Franceschini che, inuna intervista a “la Nazione” del 23giugno dice che “ogni euro investito incultura ne frutta 1,8 sotto forma di in-dotto”. Ma, si sa, son dettagli.

Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone silianiredazione

sara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchiprogetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

www.culturacommestibile.comredazione@[email protected]

www.facebook.com/cultura.commestibile

“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

No, non sono né scemi né cattivi al-l'Estate Fiorentina, solo timidi.Hanno fatto una bellissima confe-renza stampa spiegandoci quali me-raviglie Stefano Boeri ha in serbo pernoi, a partire da un entusiasmantetorneo di calcetto per strada, con unatrionfale elencazione dei luoghi dove idiversi gestori selezionati potrannoaprire locali e intrattenere il pubblicocon concerti ealtre attivitàculturali. Questoaccadeva il 22giugno e la pro-messa era quelladi trovare la set-timana succes-siva onlinel'intero pro-gramma al sitowww.estatefio-rentina.it. Purtroppo però il sito an-cora oggi è chiuso, ma ci informa diessere riservato (per carità, chi glielotocca!). Ma la cosa più originale èche i nomi dei selezionati non sonodisponibili. Qualcuno, Matteo Bri-ghenti su Twitter, ha fatto notare chese non li avvertono che sono stati sele-

RIUNIONE DI FAMIGLIA

LE SORELLE MARX

Il pallone spiovente in areacompie una traiettoria pre-cisa. Una parabola quasi

perfetta. Il giusto giro. E’ indirizzato sul se-condo palo dove l’uomo più temibile suicolpi di testa è lasciato, inspiegabilmente,solo. Si tratta di Godin. Ha segnato, colsuo club, nelle partite più determinantidella stagione contro il Barcelona e nella fi-nale di Champions. Un killer, oltre che unottimo difensore. Probabilmente di lui do-veva occuparsi Marchisio che però è statoespulso poco prima. Così, prima che DeSciglio si accorga della sua solitudine inarea di rigore, Godin, è già partito nel suoterzo tempo, persino più in alto del do-vuto: Infatti colpisce il pallone con laspalla indirizzandolo tuttavia nell’angolopiù lontano. Imparabile persino per l’ar-dito Buffon. Tutta Italia capisce che l’av-ventura azzurra è finita. Poche le speranzedi raddrizzare un mondiale nato storto.Infatti perderemo e, nemmeno un’oradopo la partita ci ritroveremo senza CT esenza presidente della Federazione. IlPaese è in ambasce, molti i tristi, qualcunodisperato. Solo uno, a Firenze, spera. Nem-meno un secondo dopo la parola “irrevo-cabili” pronunciata da Abete, compone unsms indirizzato a Renzi: “Caro Matteo,visto che l’incarico governativo ha cosìtanti problemi, perché non mi fai fare ilpresidente della Figc? Per l’incarico son di-sposto a dimettermi anche dalla presi-denza della pro loco del Sodo. TuoEugenio”. Noi da allora, come lui, siamoin trepidante attesa.

Timidezza estiva

LE NIPOTINE DI BAKUNIN

Basterebbe mettere accanto Angelo Bonelli eMick Jagger per capire, lombrosianamente, dache parte stare nella polemica che il co-porta-voce dei verdi ha provato a scatenare in occa-sione del concerto degli Stones al CircoMassimo. Tema della polemica il costo troppobasso fatto pagare agli Stones per il suolo pub-blico dell’area archeologica. Aldilà del datoeconomico, se tanti o pochi, se il ritorno econo-mico per la città sia o meno il metro per giudi-care, occorre fare una distinzione tra eventiculturali pubblici seppur a pagamento e gli af-fitti per cene e banchetti di beni storici, comenel caso del Ponte Vecchio affittato alla Ferrari.Perché il metro è completamente diverso, da unlato si offre un luogo alla creazione artistica (enon venite a dirmi che un concerto degli stonesnon sia arte) come nel tempo è stato offerto adaltre manifestazioni sociali, politiche o artisti-che; dall’altro lato si attua una privazione diun bene, in modalità spesso confuse sia perprocedure ed autorizzazioni. La differenza, èenorme come quella da chi amministra (conmolti limiti) a chi cerca visibilità per il propriopartito.

LO ZIO DI TROTSKY

Il decalogo

Antipathyfor Bonelli

“Falce e pennello” è un'opera inedita dei primi anni cinquanta, il tempo della grande disputafra Togliatti e Vittorini. Mentre per quest'ultimo la cultura era ricerca della verità e nonpredicazione della verità, per il Migliore la cultura era al servizio della politica, anche seGramsci non la pensava proprio così: vecchia e polverosa disputa. Oggi il dibattito poli-tica-cultura ha raggiunto ben altre vette: dopo le vertiginose avventure sui Monti, esperienzaLetta e gettata, ci siamo addentrati in misteriosi ed affascinanti Boschi. Scusata la digres-sione... Il saggio di Enrico Foglianti è di scarso interesse ripetendo le vecchie dispute fra “rea-lismo socialista” e tutto il resto, contiene però una bibliografia curiosa che elenca tutti (oquasi) i testi che usano come titolo la Falce accoppiata ad una perifrasi del martello. Come“Falce e carrello” di Bernardo Caprotti (patron di Esselunga). “Falce e fumetto” (storiadella stampa periodica socialista e comunista per l'infanzia in Italia 1893-1965 a cura diJudi Meda. “Falce e fratello” dei gemelli polacchi Kaczynski. “Falce e cammello”, scritto incarcere da un marxista degli Emirati Arabi. “Falce e macello” del dittatore cambogianoPol Pot. “Falce e cappello” di Ivan Borsalino (il nipote diseredato di Giuseppe) e tanti altrititoli ancora più curiosi.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

I CUGINI ENGELS

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di Simone [email protected]

Si apre, finalmente, presso leLeopoldine di piazza S.MariaNovella a Firenze il Museo No-vecento. Non siamo affatto si-

curi che il museo possa raggiungerel’obiettivo indicato dal sindaco Nardelladei 100.000 visitatori, ma indipenden-temente da ciò, posso dire per averneavviato10 anni fa la progettazione e rea-lizzazione nell’assessorato alla culturadi Firenze, che questa è una occasioneimportante per riprendere concreta-mente il discorso che Firenze ha inter-rotto con la cultura e l’arte delNovecento, con la modernità. Un se-colo grande eppure tragico, anche sottoil profilo artistico, a Firenze: non c’èproprio niente da rottamare di questosecolo, caso mai c’è da studiare, com-prendere e rappresentare, così forse ca-piremmo che Firenze ha svolto unruolo decisivo in tutte le espressioni ar-tistiche che hanno innovato la culturaitaliana di quel periodo. Dalle arti figu-rative alla musica, dall’architettura alteatro, qui a Firenze e in Toscana sisono svolte le vicende più significativedel rinnovamento delle arti nel Nove-cento. Invero, possiamo affermare chel’allestimento – curato da AntonellaNesi (curatrice delle collezioni civichedel Novecento) e da Valentina Gensini(curatore scientifico del progetto mu-seologico) – è riuscito a rappresentarein modo convincente, nei pur limitatispazi museali, questo articolato, com-plesso e prolifico passaggio di Firenzenelle arti figurative. Non solo nell’espo-sizione delle opere più rappresentativedelle collezioni comunali afferenti allaprima parte del secolo, ma anche neldare testimonianza dei movimenti ar-tistici della seconda metà del secolo, dalprogetto MIAC di Carlo LudovicoRagghianti alle esperienze della poesiavisiva e dell’architettura radicale, dallaricerca musicale fino alle esperienze piùinnovative troppo spesso marginaliz-zate come Base.Il nucleo delle opere che vengono pre-sentate nel Museo Novecento, derivantidalle collezioni “Alberto Della Ragione”e dalle donazioni Rosai e Palazzeschi,testimoniano di un tentativo dramma-tico di rinnovamento profondo e di di-fesa dell’autonomia dell’arte dallatotalizzante pervasività dell’ideologia fa-

POLVERE DI MUSEI

scista compiuto fra gli anni ‘30 e ‘40, daun gruppo di giovani artisti, di cui Ot-tone Rosai fu il punto di riferimento.Quello stesso Rosai di cui, mentre siinaugura il museo, la grande opera postanell’ex ristorante della stazione ferrovia-ria di S.Maria Novella giace, dimenti-cata e inaccessibile, vittima della resaalla dittatura del cibo globale dellaMcDonalds. Di quella lotta titanica fu-rono protagonisti artisti come De Pisis,Martini, Bartolini, Carrà, Carlo Levi,Campigli, Marino Marini, De Chirico,Conti; ma anche musicisti e composi-

tori, architetti, scrittori e poeti, scultori,registi, critici, riviste di cultura. Movi-menti artistici che nacquero e si svilup-parono a Firenze e che qui lasciaronotracce importanti, in opere e istituzioniculturali. Che però non vengono rico-nosciute dalla città, ubriaca di frivolezzecontemporanee e della vuota retoricasulle grandezze del passato, e quindinon rappresentate consapevolmentenella loro complessità. Questa lacunanon può essere colmata da un solomuseo (peraltro di dimensioni limi-tate), bensì da un sistema di musei, isti-

tuti culturali, studi e ricerche, monu-menti, mostre. Questa era l’idea origi-naria del Museo del Novecento: essodoveva essere uno dei nodi di una reteche tutta insieme avrebbe potuto dare ilsenso di ciò che Firenze ha davvero rap-presentato nella storia della cultura ita-liana nel Novecento. Di questa retedovevano far parte la Galleria d’ArteModerna di Palazzo Pitti (per collegarequesta stagione con l’arte che dalla finedel Settecento arriva fino ai primi de-cenni del Novecento), il museo “M.Ma-rini”, il Museo di Fotografia degliAlinari, il Gabinetto Vieusseux, le Fon-dazioni “P.Conti” e “Michelucci” (per-ché l’architettura fu almeno tantoimportante quanto l’arte visiva, comeappunto testimoniano la Stazione ferro-viaria, la Scuola di Guerra Aerea, lo sta-dio, ecc.), gli Archivi di Stato e lo Storicodel Comune, la Fondazione TempoReale, il Conservatorio Cherubini (conla sua importante biblioteca) e il Mag-gio Musicale Fiorentino. Oggi sem-brano perdute le tracce di questocomplesso ma necessario lavoro, cosic-ché la realizzazione del Museo del No-vecento rischia di essere una parziale,per quanto ben costruita, rappresenta-zione di una vicenda culturale che, dun-que, resta misconosciuta. Il rischiopotrebbe essere non solo quello di unmuseo poco attraente per il grande pub-blico che a Firenze cerca solo quello chegià sa di trovarvi (il Rinascimento) e peri fiorentini che potrebbero non accor-gersi di essere circondati dai segni di ungrande e tragico secolo che è spinto agettarsi alle spalle senza averlo cono-sciuto; ma soprattutto di smarrire lafunzione culturale più ampia che questomuseo potrebbe svolgere.Un amico scrittore ebbe modo di con-testare una mia affermazione circa ilfatto che Firenze avesse, a mio avviso,un conto aperto con la modernità:ecco, io penso invece che sia una que-stione seria che attiene al modo reto-rico con cui la città sente il suo gloriosopassato (l’età d’oro del Rinascimentonasce in una crisi profonda economica,politica e dei valori repubblicani; età,come tutte, densa di contrasti e che quiviene rappresentata tutta omogenea-mente alta), alla sua difficoltà a stabilireun rapporto continuo e produttivo conil contemporaneo; ma anche con lamodernità del Novecento.

Annuntio vobisgaudium magnumhabemusMuseo Novecento

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Il ‘900

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All’interno del percorso esposi-tivo del Museo del 900, che ri-costruisce a ritroso la scenaculturale di Firenze del XX se-

colo attraverso le collezioni civiche e lacollaborazione di artisti, enti e collezio-nisti, è possibile immergersi nell’irripe-tibile stagione artistica degli anniSessanta e Settanta, dettata dalle conta-minazioni tra musica, arti visive e co-municazione di massa. Offrendo unospaccato critico sul “secolo breve” e sullasua rappresentazione, la quarta sezionedel museo si propone come un labora-torio di riflessione sull’interazione fra learti, in quanto sguardo storicamente at-tento alla dimensione culturale fioren-tina nel vasto panorama nazionale einternazionale, grazie al comodatodell’Archivio Carlo Palli. La vitalità ar-tistica e culturale di quegli anni è rap-presentata dalla diffusione di nuovilinguaggi e nuovi lessici, più pragmaticie comunicativi, legati alla contestazionepolitica e alla critica militante contro laneo-società massmediatica. Ne sono unesempio le sperimentazioni verbo-vi-suali del Gruppo ‘70 – in esposizione leopere di Eugenio Miccini, Lamberto Pi-gnotti, Lucia Marcucci, Luciano Ori,Emilio Isgrò, Ketty La Rocca, RobertoMalquori, Michele Perfetti – tese a met-tere in luce il logoramento della parolapoetica e la caduta della Torre di Babele,attraverso collage e tele emulsionate dalforte sapore critico, ironico e dissacra-torio. Allo stesso modo si evidenzianole interazioni fra gesto, suono e visioneproprie delle sperimentazioni musicalidi Sylvano Bussotti, Giancarlo Cardini,Giuseppe Chiari, Pietro Grossi, DanieleLombardi e Albert Mayr, le cui compo-sizioni superano il conformismo sonoroe la tradizione, per riappropriarsi dellapercezione musicale contemporanea at-traverso performances, tecnologie, no-tazioni visive e modalità più vicine allavita quotidiana del fruitore. In questofervido tessuto estetico e culturale, è diparticolare rilievo la personale e anti-conformista opera artistica di RenatoRanaldi – in esposizione Nova Supervir-tusfreesinfonica – in un paradigmatico esignificativo contrasto con le sperimen-tazioni collettive dell’architettura radi-cale e le proposte internazionali dellagalleria Schema e del gruppo Zona. Ilcomodato dell’Archivio Carlo Pallicompleta il percorso museale e raffiguracon precisione e accuratezza l’energicaed eclettica stagione culturale fiorentinadegli anni Sessanta e Settanta, non soloper le sperimentazioni verbo-visuali e laneoavanguardia musicale, ma anche perla testimonianza delle attività dei gruppicitati che si trovano in esposizione. Lasua importanza infatti non risiede sol-tanto nella collezione delle opere,quanto piuttosto nella completa edesaustiva raccolta dei documenti affe-renti agli artisti e ai movimenti con cuiha collaborato e tutt’oggi collabora: nona caso fotografie, libri d’artista e impor-tanti riviste sono visibili nelle teche delmuseo.

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

In alto, sopra, Ketty La Rocca, Appendice per una supplica,1971, Tela emulsionata, cm 87,5x125. Sotto, Renato Ranaldi,Nova superavirtusfreesinfonica, 1971, Fotografia in b/n da col-lage, cm 100,5x128,5. A destra Lucia Marcucci, L’appetito vienmangiando, 1963, Collage su carta, cm 31x22. In basso EugenioMiccini, Piano regolatore insurrezionale della città di Firenze,1971, Collage su cartone, cm 39,5x47,5. Tuute in comodato Collezione Carlo Palli, Prato

poesiavisiva

e la

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.com sabato 28 giugno 2014no82 PAG.7C.com sabato 7 giugno 2014

Qualcuno una volta ha dettoche il cinema sta alla narrativacome la fotografia sta allapoesia. Il che è senza dubbio

una esagerazione ed un paragone unpoco ardito, non fosse altro perchénon è mai lecito fare dei parallelitroppo serrati fra i diversi generiespressivi. Tuttavia, il paragone nonè così peregrino come potrebbe sem-brare al primo impatto. Il cinema,come la narrativa, ha bisogno di unasuccessione di momenti, collegati daun filo più o meno logico, da unosvolgimento più o meno continuo, dauna struttura più o meno organica. Lafotografia, come la poesia, ha inveceuna maggiore libertà linguistica, puòbasarsi su dei momenti isolati, non ri-chiede nessun tipo di continuità, masviluppa il proprio discorso tutto al-l’interno della propria cornice. Il ci-nema, come la narrativa, è la sommadi momenti diversi e di emozioni di-verse, la fotografia, come la poesia, èla sottrazione di tutto ciò che non èessenziale, è riduzione ad un unicomomento e ad una unica emozione.Il cinema, come la narrativa, è sovrab-bondante, ridondante, eccessivo. Lafotografia, come la poesia, è sintetica,essenziale, diretta. Nel cinema comenella narrativa la descrizione è lenta,progressiva, insistente. Nella fotogra-fia come nella poesia la descrizione èsommaria, incisiva, fulminante. Il ci-nema, come la narrativa, ha le sue re-gole, che non sono immutabili, mache condizionano comunque la nar-razione. La fotografia, come la poesia,non segue e non cambia le proprie re-gole, ma le infrange sistematicamente.Nel cinema l’immagine e la parola sicompletano e si integrano. Nella fo-tografia e nella poesia l’immagine e laparola assumono dei significati di-versi ed autonomi, liberando associa-zioni e suggestioni in manieraindipendente. Nel cinema il gestodeve svolgersi per intero, dall’inizioalla fine. Nella fotografia il gesto vienebloccato nel suo momento culmi-nante. Il cinema è vincolato dal formato enon può in nessun modo liberarsidall’obbligo del riquadro orizzontale,più o meno allungato. La fotografiainvece può esprimersi dinamica-mente in orizzontale come in verti-cale, o perfino nel quadrato. Il cinemaè un’opera complessa, richiede l’im-pegno di molte persone e pretendemolte specializzazioni. La fotografiaè (quasi sempre) un’opera singola esemplice, sono sufficienti due piedi,un occhio ed un dito. Da un’opera ci-nematografica o narrativa si possonoestrarre le singole sequenze e le sin-gole frasi, assegnando loro un valoreautonomo. Da una fotografia o da unapoesia non si possono isolare partico-lari o singoli versi senza fargli cam-biare il significato. Cinema e narrativasono articolati per parti, fotografia epoesia sono a loro modo dei pezzi

OCCHIO X OCCHIO

di Danilo [email protected]

Fotografiaepoesia

unici. Un film ed un romanzo si possono sfogliare, una fo-tografia ed una poesia devono essere presi tutti insiemenello stesso momento. Il cinema e la narrativa possono essere tradotti in altre lin-gue senza perdere troppo del loro senso, la fotografia e lapoesia non tollerano traduzioni, tutt’al più ammettonodelle interpretazioni. Il cinema e la narrativa possono es-sere tramutati l’uno nell’altra e viceversa, per fotografia epoesia questo non è possibile. Fotografia e poesia non sipossono sommare o integrare, sono due linguaggi com-pletamente diversi fra di loro. Eppure sono tanto simili.

Foto di Danilo Cecchi

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sione di ricominciare senza sentirmitroppo straniero. C’è stato qualcosa disospeso nel mio venire qui: nel mio met-termi educatamente ad osservare, sen-tire, ‘sopravvivere’. Occupato com’ero ariconoscere Firenze, ho finito col cono-scerla. I legami con le persone, poi, mihanno fermato qua per sempre.Cosa apprezza di più un artista come tenella città di Firenze?L’organicità che intercorre dal monu-mento alla città, al paesaggio, a tutto ilterritorio toscano. E mi emozionano leopere non finite (San Lorenzo ad esem-pio); come indicazione di un concetto

che si manifesta senza completarsi,aprendo una dialettica tra materia e idea.La cosa che ti piace di più dei fiorentini? La loro concretezza, che non ho mai im-parato. E poi una cosa che li avvicinamolto agli uruguayani: la riservatezza, ilmantenimento di un low profile. Sei venuto via dall’Uruguay anche per mo-tivi politici: come giudichi ora la situazionepolitica nei tuoi due Paesi?In Uruguay lo spirito democratico èmolto radicato: siamo una repubblicafin dalla nostra indipendenza, abbiamoavuto il divorzio nel 1907, il voto alledonne nel 1919 e ora abbiamo il matri-monio omosessuale, la liberalizzazionee regolamentazione della cannabis…Insomma, in un confronto con la poli-tica italiana, l’Uruguay risulta più vir-tuoso. Ma d’altronde anche la Toscana èpiù virtuosa se paragonata al resto d’Ita-lia, in particolare per l’attenzione al wel-fare. Ti dico Uruguay e Firenze. Tu cosa vedi?Due strade: una che va dalla mia cittànatale, Salto, verso Montevideo, a Sud;l’altra è il Vicolo del Cionfo che percorrodalla via Bolognese, dove abito, verso ilcentro. Sempre verso Sud. Il Nord dellabussola è una direzione verticale cheorienta verso un traguardo. Il Sud è unviaggio verso l’origine. Un volver…

di Franco [email protected]

HO SCELTO LA TOSCANA

L’Uruguay è lontanissimo dal-l’Italia. Per raggiungerlo ci vo-gliono quasi 24 ore di volo, cheal giorno d’oggi significa uno

dei viaggi in assoluto più lunghi nel no-stro pianeta. Eppure il legame di questoPaese con l’Italia è fortissimo: unagrande fetta della popolazione urugua-yana è di origine italiana, figli di un’emi-grazione avvenuta soprattutto nel secoloscorso.Di radici italiane è anche Miguel Fabruc-cini, artista visivo a tutto tondo, non solopittore, ma autore di installazioni, pitturemurali in ambienti privati e come cor-redi urbani, docente di pittura e creatoredi workshop di arte terapia. Le sue operesono esposte in Italia, Germania, Fran-cia, Sud America e Stati Uniti.Fabruccini parla volentieri di sé, mo-strando nel suo eloquio tutta la sua pas-sione per l’arte, la politica, la filosofia.Vive a Firenze dal 1975.Perché hai scelto la Toscana?Scelto? Non so se queste sono vera-mente scelte consapevoli o il risultato diuna serie di circostanze. Sono venuto viadall’Uruguay dopo il colpo di Stato del‘73. La morte di Allende in Cile e l’affer-mazione delle dittature militari in Ar-gentina e in Brasile, supportate dallaCIA, avevano scatenato una feroce per-secuzione alle opposizioni. Il Movi-mento dei Tupamaros era statoscardinato e l’occupazione militare eli-minò ogni libertà. Nel ’75 vinsi un Con-corso Nazionale di Arti Grafiche e unaborsa di studio per due anni in Italia.Venni a Firenze, che già amavo dai libri,forse proprio perché mi offriva un’occa-

di Annalena [email protected]

Leonora Leonori Cecina, nata a Romada genitori di origine toscana, alla pre-matura morte del padre si trasferiscecon la famiglia a Firenze dove si laureain Scienze Biologiche. I difficili annidella formazione sostanziano la sua vi-sione del mondo malinconica, maconcreta, che esprime con tempera-mento d’artista sia nella poesia chenella pittura. Risale all’infanzia l’iniziodella sua vasta produzione di liricheche offrirà al pubblico e alla critica so-lamente più tardi “poesia amabile edincisiva... elargizione della natura”(Mario Luzi, 1998). È del 1995 la pub-blicazione delle prime due raccoltegiovanili: Frammenti di poesie e Sensa-zioni di vita. Segue nel 1996 Valzer disensazioni; nel 1997 Cipressi a mezza-notte; nel 1998 Poesia & Management,fusione di contenuti diversi scritta in-sieme al marito; nel 2000 Folletti nel-l’Ombra, nel 2007 Nel segno della luna.Presenza singolare capace di mediaresulla pagina le minime magie del quo-tidiano in un gioco affabile di parole

ANIMALI IN POESIA

cangianti, Leonora Leonori Cecinaispira una naturale simpatia. Certa suaoscura, improvvisa inquietudine,quasi subito illuminata da una luce in-terrogativa, fra l’ironico e il ridente,sembra venire da lontano, da un lon-tano che è profondamente radicatonel cuore dell’uomo. L’aspetto preva-lente e immediato che emerge dallalettura di “Folletti nell’ombra” è unsimbolismo a fondamento naturali-stico che evidenzia, con immagini oni-riche e versi dalla suasiva musicalità, ilcontrappunto dell’esistere in un uni-verso lirico onirico. “Tanti folletti dun-

que – scrive l’Autrice nell’Introduzionealla raccolta – che saltano fuori daogni punto interrogativo del quoti-diano vivere e che non tralasciano dialimentare con magie misterioseanche momenti di riflessione e di at-tesa, di suscitare strane sensazionidell’anima che sfuggono alle normaliregole del sentimento o addirittura pi-lotano il pensiero verso infiniti silenzidi conquista interiore”.Questo suo mondo si potrebbe para-gonare a un universo di farfalle chenon abbia limiti né barriere.Proprio come scrive il grande JuanRamón Jiménez in una pagina del ca-polavoro universale Platero: Farfallebianche. “La notte cade, già nebbiosa e nera.Vaghe luci malva e verdi resistono die-tro la torre della chiesa. La strada sale,piena d'ombre, di campanelli, di fra-granze d'erba, di canzoni, di stan-chezza e d'ansia. Improvvisamente unuomo scuro con un berretto ed un ba-stone, s'illumina per un momento labrutta faccia con la luce del sigaro,scende da una povera casetta misera-bile, persa fra sacchi di carbone. Pla-

La farfalla di Leonori Cecina

Miguel FabrucciniFirenze, un amorenato sui libri

tero si spaventa. - Avete niente ? - Guardate... Farfalle bianche. L'uomo vuol piantare il suo bastone diferro nella cesta e io lo prevengo. Aprola bisaccia e lui non vede nulla. E l'ali-mento ideale passa, libero e candido,senza pagar dazio...”Anche Leonora Leonori Cecina faemergere, dalla sua gerla di “follettinell’ombra” “Una farfalla bianca enera”, farfalla come anima, la greca psi-che, che sembra venire dall’Oltre“senza pagare dazio”.

Una farfalla bianca e nera col corpo a strisce gialleogni sera mi si posa sul braccio mentre il tramonto indugia all'ombra dei cipressi.

So che un misterovive intorno al volo festosodi quest'umile creatura:dicono essere l'anima di qualcunoche un tempo ci voleva benequando la vita ci univain un abbraccio.

Sorrido a quella strana compagna,forse qualcuno torna a salutarmi?

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guerra ce l’ha raccontata come nes-suno con i volti, l’odore, la violenza el’eroismo povero di soldati abbando-nati accanto alla perfidia di coman-danti bastardi. Il tenente Marèchal(memorabile Jean Gabin) e il capi-tano von Rauffenstain (ancor piùmemorabile Erich von Stroheim) cheprovano a riconoscersi reciproca-mente nel grande inno alla pace diRenoir della Grande illusione; la ri-presa di Kubrik che gira dentro latrincea in mezzo ai volti di panico epaura dei soldati francesi in Orizzontidi gloria; e infine Sordi e Gasmann,straccioni e imboscati fanti italiani,che di fronte al disonore del tradi-mento dei propri compagni e alle bat-tute di un feroce ufficiale austriaco(“il fegato gli italiani ce lo hanno soloalla veneziana e fra un po’ lo mange-remo in quella città”) decidono difare l’Italia davvero, e col loro mila-nese e romanesco (“Sa che te disi? Mien te disi un bel nient, faccia dimerda”; “Ahoo, niente so io, niente,sapeva tutto lui, sapeva”) vanno in-contro alla fucilazione sommaria, di-menticati da tutti, ma salvando l’esitodell’assalto italiano. Nessuno comeloro due, Oreste Jacovacci e GiovanniBuasacca, ci ha raccontato così bene,un secolo di storia italiana.

C.com sabato 7 giugno 2014

Quel 28 Giugno di un secolo fa,Gavrilo uscì da un negozio dialimentari di Sarajevo intornoalle 11. La macchina scoperta

dell’Arciduca e della moglie Sofia glipassò accanto mentre svoltava neipressi del Ponte Latino. Una semiau-tomatica, una Browning FN 1910 ca-libro 7,65×17 mm di fabbricazionebelga; due colpi, prima alla signora epoi al collo dell’erede al trono d’Au-stria d’Ungheria, e il mondo cambiòper sempre. Come in un domino, la potenza deglistati sovrani e l’economia del mondosi scatenarono in un circuito perverso,dissolvendo gli imperi millenari,strutturando nuovi poteri, dise-gnando nuovi stati, aprendo il tempodella catastrofe e del secolo breve. Cosa ci resta di allora e quali imma-gini ci portiamo dietro di quellaguerra dimenticata eppure così strut-turata dentro l’identità nostra? Ormaida molti anni la memoria per noi èl’altra guerra e la resistenza; e sono ipochi partigiani che ancora ce la rac-contano, sono il nuovo mondo dipace e contraddizioni che l’occidenteseppe costruire dopo. Fu invece in-torno a quel doppio colpo di pistolache nacquero un’altra economia e leimplicazioni ideologiche su cui siamocresciuti.Dobbiamo intorno a questo centena-rio sforzaci di recuperare immagini,di riprendere racconti, di ripartiredalla memoria di quel disastro per ca-pire meglio quanto ci ha coinvolti. Lo possiamo fare leggendo le moltecose che stanno uscendo, la ripubbli-cazione dei diari di guerra, dellenuove interpretazioni, degli appro-fondimenti storici che la ricorrenza cioffre. Ne leggiamo finalmente unosquarcio d’Europa che ci mancava eche ci è utile per capire il futuro. Mapoi ci sono altre immagini e ricercarlein questi giorni ci avvicina al tempodella grande guerra, della sua poveragente e dei suoi massacri.Lo si può fare intorno ai paesi, i piùpiccoli, intorno ai campanili di qual-siasi regione italiana. In ogni piazzacon un monumento, su ogni murocon una lapide,sui nomi di ognistrada; i nomi dei centinaia di migliaiadi morti che videro tutto e finirono lì:Mario, Ovidio, Franco, Primo, Setti-mio, Carlo, Libero, Umberto; nomiantichi e nomi attuali, quasi tutti con-tadini, provenienti da ogni parte dellapenisola, che parlavano lingue diversee che scoprirono di essere italiani difronte a generali ottusi che ne ordina-rono il massacro.E ancora lo si può fare sui sentieridella memoria che nel Carso, nel Ca-dore, nel Comelico, sulle vette dellamontagna più bella ci raccontano an-cora le trincee, le gallerie scavate acolpi di piccone dagli alpini, gli an-fratti delle mitraglie, le casematte e lefortezze oltre i duemila.E in ultimo il cinema, che quella

di Fabio [email protected]

MEMORIE

La grandeguerraa cura di Cristina Pucci

[email protected]

Chi non se la ricorda? Grande lavagnaper la scuola con cornice in legno, ini-zio Novecento. Inconfondibile il ru-more del gessetto bianco a forma diparallelepipedo con cui si scrivevasulla sua bellissima e liscia superficenera, davanti uno spazio orizzontale,sempre in legno, per i gessi e la ci-mosa, oggetto ottenuto arrotolandodelle strisce di feltro, che cancellaval'etereo scritto; quest'ultima potevastarsene anche appesa alla cornicecon una cordicella . La maestra Vez-zosi, alla scuola di Caldine, disegnavasulla lavagna fiori dal vero con i ges-setti colorati, terza elementare pen-sate, poichè mi piaceva ricopiarli miprocurò carta nera e gessetti da dise-gno! 1958, scuole di altri tempi. Ilgesso in realtà è carbonato di calcio.Il nome lavagna, termine che indical'oggetto nel suo essere di qualsiasimateriale sia fatto, deriva dal paese diLavagna il cui territorio era ricco diardesia, la pietra di cui è fatto il pianodove si scrive. Fino alla fine del secoloscorso Lavagna era un produttore edesportatore di ardesia di tutto ri-spetto; con questa pietra, solida e fria-bile ad un tempo, si facevano anche letegole, ecco che si scopre che questaparola deriva da Tigullio, zona ligureda cui gli antichi Romani estraevanol'ardesia per i loro tetti. Pare cheadesso nelle scuole si usino lavagne dimateriali plastici, più funzionali,forse, di sicuro meno belle. Ci sarà lospazio per mandare il cattivo di turno

a riflettere sulla sua turpitudine “die-tro la lavagna”? Magari se un “prof”osasse oggi vedrebbe arrivare l'avvo-cato a difendere l'infante, qualunquene sia l'età, ormai trattato, sempre ecomunque, come fenomeno eccezio-nale e non come ignorante che do-vrebbe imparare educazione,grammatica e il far di conto. Lavagnaper cinefili nella foto altra, la bravis-sima Annie Girardot in un filmetto inrealtà “Morir d'amore” di Andrè Ca-yatte ( e qui Truffaut si rigirerà nellatomba perchè non lo sopportava), in-terpreta però una insegnante e scrivesu una bellissima lavagna.

LavagnaBIZZARRIA DEGLI OGGETTI

Dalla collezione di Rossano

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.com sabato 28 giugno 2014no82 PAG.10LUCE CATTURATA

di Paolo [email protected]

VUOTI&PIENI

Fu fondata, stando ad un'antica iscri-zione sulla facciata della chiesa, nel780 d.C.: un tale Ursone eresse l'Ab-bazia di S. Maria di Rosano assiemealla moglie, di nome Rosana, pro re-medio animae suae - secondo l'usodi allora, affinché (oltre al resto, evi-dentemente) vi si potesse invocarela misericordia divina sulla sua fami-glia. Una storia di fede, tenacissima.Mi dice una delle 50 monache diclausura - da dietro un girevole dilegno che la nasconde alla mia vista -che esse non hanno mai lasciato deltutto il monastero, neppure ai tempidi Napoleone e di Cavour: nel 1810ne fu decretata la soppressione, ibeni messi all'asta e le monache co-strette a rientrare in famiglia; senon-ché, alcune si nascosero nellaforesteria (entravano in chiesa, perpregare, solo di notte) sino al 1814,quando l'astro dell'imperatore còrsodeclinò, irrimediabilmente. Nel1866 sopraggiunse una nuova sop-pressione, stavolta per mano dello

Stato italiano, con la messa all'astadel monastero e delle terre. Il pro-cesso di riacquisizione dei beni si èchiuso solo poco più di 40 anni fa,con il riscatto degli edifici monastici

- tra cui la chiesa - ancora di pro-prietà statale. Riprese le terre conti-gue, il monastero ha potutori-organizzare la propria aziendaagricola e garantirsi la sussistenza.Non solo di res agricolae, tuttavia, èfatta l'operosità delle monache be-nedettine, fedelissime all''ora (lege)et labora': restaurano libri antichi,dipingono delicatissime miniature,producono liquori e ceramiche,sono tipografe, fanno ricami e ma-glieria. Un vero e proprio opificioagricolo-artigianale. La struttura dell'edificio, per come simostra scendendo dalle colline chene proteggono le spalle, è impo-nente ma equilibrata; la sua vista,purtroppo, è guastata dal panoramaimmediatamente retrostante di Pon-tassieve. Colpa degli architetti, degliurbanisti, dei sindaci che si sonosucceduti negli ultimi decenni ocolpa nostra – che ci siamo, per cosìdire, permessi di scendere da qui,quando – come ci si rende conto –le migliori immagini dell'edificiosono riprese dalla parte opposta, apartire dalla riva dell'Arno, evitando

così il capoluogo della Valdisieve? Trovo che sia bellissima la chiesa ro-manica, con il campanile e la cripta,costruita parzialmente su un doppiolivello come, mutatis mutandis, SanMiniato a Firenze e la splendidaCattedrale di Fiesole. Il chiostro èvisitabile in pochi momenti del-l'anno, tra cui la Festa del CorpusDomini, a giugno. Da nove secoli la “Madonna dei mi-racoli”, raffigurata su una tavola delXII° secolo secondo lo schema clas-sico delle icone bizantine (il Figliodivino è posto sulle ginocchia comesu di un trono regale), con losguardo dolce, eccezionalmente vi-vido e penetrante, sembra avvolgereil complesso religioso di una premu-rosa, sollecita protezione. Mi piacepensare che vi cospirino, altresì, lasolida 'paternità' di Benedetto daNorcia, santo-fondatore dell'omo-nimo ordine, nonché il lavoro di fi-nissimo scavo teologico diBenedetto XVI che, soggiornandoper alcuni periodi a Rosano, po-trebbe avervi tratto un ponderosonutrimento - mistico e spirituale.

Tenace e laboriosa nei secoli

di Stefano [email protected] confine dei luoghi

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.com sabato 28 giugno 2014no82 PAG.11C.com sabato 7 giugno 2014

Nel cuore di Parigi, nel IX ar-rondissement in rue SainteCécile 6, c'è una chiesa, quasisconosciuta, ma che è rite-

nuta una delle più belle della cittàtanto da essere considerata Monu-mento Storico. E' la chiesa di SaintEugéne-Sainte Cécile. Il doppionome fu dato in omaggio a Eugenia,moglie di Napoleone III, che fu al-l'origine della sua edificazione, e aSainte Cécile, protettrice dei musici-sti in genere e di quelli, in particolare,del vicino Conservatorio Nazionale.La chiesa non ha campanile proprioperché il suono delle campane nondisturbasse quello degli strumentimusicali. Costruita nel 1855 dagli ar-chitetti Lusson e Boileau, nono-stante le immancabili critiche, furitenuta uno degli esempi più inno-vativi di architettura religiosa inFrancia per la sua struttura intera-

mente in ferro e ghisa, anziché la tra-dizionale pietra, secondo le teorierazionaliste in auge verso la metà delXIX. Precursore dell'architetturamoderna razionalista, che intendevaridurre tempi e costi di costruzionesfruttando le nascenti tecnologie e lapotenzialità espressiva di pezzi inmetallo fatti in serie, fu Eugene Vio-let-le-duc, noto per alcuni edificiclassificati oggi come MonumentiStorici e per la sua influenza sul mo-vimento Art Nouveau e su architetticome Victor Horta, Guimard eGaudì. Anche nel restauro di impor-tanti chiese medievali Eugene Violet-le-duc intervenne in manierainnovativa con teorie che miravanopiù a “reinterpretare” in chiave mo-derna attraverso un abbondante usodel colore e del decoro che a “conser-vare”. La facciata della chiesa in rue SainteCécile, anonima e piuttosto brutta,non lascia trasparire nulla delle no-vità e della bellezza del suo internoma passando il portone d'ingresso ilvisitatore viene avvolto, e un po' stra-volto, da un' incredibile abbondanzadi colori e luce. Nello spazio ariososcandito da stretti pilastri in uno stileGothic Revival di moda verso lametà dell'800, tutto è dipinto e deco-rato: le nervature delle volte a striscerosse e blu, le volte stesse, gialle, dis-seminate di stelle, le verdi colonne dighisa con l' alta base di un colorcontrastante, i lampadari in stile Se-condo Impero, le magnifiche vetrate,opera di Eugene Oudinot, che fil-trando i raggi di luce esaltano al mas-simo questo effetto caleidoscopico.Da visitare in una domenica di sole,verso le 11, quando tra le sue navatein ferro riecheggia la musica polifo-nica di un canto gregoriano.

VISIONARIA

di Simonetta [email protected]

Una chiesa di ghisa ma senza campane

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.com sabato 28 giugno 2014no82 PAG.12C.com sabato 7 giugno 2014KINO&VIDEO

di Francesco [email protected]

Oltra bellissima pagina di ci-nema regalataci dal cineastaamericano. E' la storia di"Frankye Valli e dei Four Sea-

sons", gruppo icona degli anni Ses-santa negli States della giovinezza diEastwood. Siamo di fronte a quellache sembrerebbe essere una comme-dia musicale incentrata sulle vicendedella storica band americana. Ma ilnostro Clint riesce sempre a sorpren-dere. In "Jersey Boys" i toni sono cer-tamente smorzati; le storie digangster e malavita - quella italianadel New Jersey di quegli anni - ven-gono edulcorate nel miele delle can-zoni del quartetto. Eppure una sottilee tesa corda, esile come un filo di ca-pello, pare vibrare senza sosta pertutta la durata del film. E' una inquie-tudine che sovrintende ai fatti. E' lamalinconia, lo spleen di Clint, ed è ilsuo cuore a palpitare. E' la sua rappre-sentazione del momento storico dei"Four Seasons", delle loro canzoni edell'immaginario collettivo di unpaese oramai distante. Lo straordina-rio finale, meraviglioso affresco co-rale, musical nel musical, ha i coloristruggenti delle melodie che si rifran-gono sugli zigomi duri del cowboy,del duro che abbiamo imparato a co-noscere, dapprima come attore poicome regista. C'è una scena stu-penda, in cui Frankye spegne la tv,mentre danno un film con Clint Ea-stwood. E' la cesura, la fine diun'epoca, del mito che va consuman-

dosi mediaticamente, nel suo farsi eliquefarsi. C'è molto di Sergio Leonein questo omaggio alla band, nellapoesia intima che anima il film piut-tosto che nello script o nelle tecnichedi ripresa. La musica dei Four Seasonè l'ideale colonna sonora che lavora

in contrasto:musica così di-stante dal no-s t r ocontempora-

neo da risultare sublime e struggente.I balletti del gruppo sono la danza te-nera di un benessere puerile, primor-diale, di un mondo che si affaccia allasocietà dei consumi, che muove iprimi incerti passi verso una crisi ge-nerazionale che si consumerà in undecennio. Ed in fin dei conti è ancheun po' la nostra storia, dell'immagi-nario di noi italiani e della nostra mi-tologia americana. Quanta distanzaperò tra i nostrani "Teddy Boys", rim-proverati da Tognazzi negli anni Ses-santa e questi piccoli gangsters daicapelli impomatati e dalle voci nasalie da castrati. In questo contrasto, tramalavita e melodia, misuriamo lo iatovolgare che caratterizza la nostra re-altà italiana, nella prossimità del con-cetto di "neomelodico" e nellacontiguità di questo contrappuntotra orrore e melòs che spacca in due(soprattutto al Sud) la nostra società.I Four Seasons sono invece il canto diun'epoca, di una enorme nazione chetributa la poetica dei bassifondi conla celebrazione della leggenda. Pro-fondo, magico, poetico Clint.

di Michele [email protected]

MENÙ

Sarà che sono freschi e leggeri operché sono proposti spesso neimenù dei ristoranti delle località divilleggiatura, fatto sta che i frutti dimare sono consumati in quantità digran lunga maggiore rispetto aglianni passati. Le cozze sono proprio,tra i molluschi, i più graditi, ancheperché sono facili da preparareanche a casa; possono essere usateper preparare tanti piatti gustosi, inpiù contengono poche calorie epochi grassi.Grazie alla migliorata fiducia neiloro confronti, le cozze sono attual-mente tra le dieci specie di frescopiù acquistante in Italia (datiISMEA). Negli ultimi anni hannoconquistato molto terreno special-mente nel nord Italia, dove il loroconsumo era molto limitato almenoin rapporto alle regioni del Sud.Tanto che le saporite cozze sonooggi gradite e consumate sempre dipiù in tutto il territorio nazionale.Dal punto di vista nutrizionale, 100grammi di parte edibile contengono2 grammi di grassi, 3,4 g di carboi-drati, 7 g di proteine, sali minerali(88 mg. di calcio, 236 mg. di fosforoe 5,8 mg. di ferro) e vitamina Bl

(0,12 mg.) e B2 (0,16 mg.). Sinte-tizzando possiamo affermare che lecozze costituiscono una notevolefonte di antiossidanti, di vitamine edi proteine nobili a basso conte-nuto di grassi e lipidi. Riconosciutesono inoltre le loro proprietà dige-stive e stimolanti soprattutto per laquantità di sali alcalini che conten-

gono. La ricetta che vi propongopotrà sembrare curiosa, ma vi assi-curo che è una vera è propria lec-cornia, molto gustosa. Inoltre, èfacile da preparare e, soprattutto,economica, e di questi tempi non època cosa.Tubetti con cozze e fagioliIngredienti per quattro persone: 2 kg

di cozze, 200 gr di fagioli cannellini,300 gr di tubetti, 10 pomodorini, 1spicchio d’aglio, olio extra vergined’oliva, sale (q.b.), pepe (q.b.), prez-zemolo (q.b.).Procedimento:Tenete a bagno i fa-gioli per una notte intera e li cuci-nate come fate abitualmente con ilegumi secchi.A cottura ultimata mettete i fagioliin una ciotola, e tenete da parteanche il fondo di cottura.Pulite le cozze e fatele aprire in unapadella a fiamma vivace, una voltaaperte, sgusciatele, lasciatene al-cune con il guscio per decorare ilpiatto.In un’altra padella fate soffriggerel’aglio con l’olio e quando sarà im-biondito, aggiungete i pomodorinitagliati in quattro. Dopo una decinadi minuti unite i fagioli con il fondotenuto da parte e continuate con lacottura. Cuocete anche la pasta.Scolatela molto al dente e unitela aipomodori, i fagioli e alle cozze sgu-sciate. Mescolate il tutto, quindicompletate la cottura. Aggiungeteun pizzico di pepe, un filo di olio ele restanti cozze e servite.

Il riscatto delle cozze

Musicalnel musicaldel vecchio Eastwood

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tura che se ne fa in epoche diverse,dovuta non solo ai restauri, come èaccaduto, ad es. per la Cappella Si-stina, ma anche al contesto diverso incui si trova a vivere. Per cui si decide,magari, un ricovero all’interno, disculture sempre state all’aperto. Oall’uso sacro o profano che se ne fa.

Speriamo che i nostri governanti ab-biano la sensibilità e le conoscenzenecessarie per salvaguardare questaessenziale parte del nostro patrimo-nio, i cui responsabili non possonoessere ridotti a piccoli - e mal pagati -burocrati da tagliar via.Questo discorso vale, naturalmente,

per l’esperienza tutta toscana di chiscrive. Può darsi che ci siano situa-zioni meno fortunate e ‘illuminate’.Ma siccome tutta l’Italia è pienad’arte e di archeologie di ogni specie,sarebbe piuttosto il caso di miglioraree rafforzare i punti deboli, secondo levarie opportunità.

PECUNIA&CULTURA

di Anna Maria Manetti [email protected]

di Roberto [email protected]

Tutte le grandi mostre in corso aFirenze (e scusate l’elenco maha un suo perché), da Pon-tormo e Rosso a Palazzo

Strozzi; Iacopo Ligozzi a Pitti; BaccioBandinelli al Bargello; Sacri Splen-dori al Museo degli Argenti; Puro,Semplice, Naturale, agli Uffizi; ma lalista è incompleta: ci sono anche gliabiti favolosi di donna Florio alMuseo del Costume, per non parlaredi ‘piccoli eventi’ come un ritratto diSebastiano del Piombo alla Palatina.Tutte queste mostre sono il frutto diricerca, studio e curatela - di funzio-nari della Soprintendenza fiorentinala quale, al massimo fra 1-2 anni, saràsmantellata deisuoi più espertidirigenti - So-p r i n te n d e n teAcidini com-presa - alcuni dei quali già ora inuscita per raggiunti limiti d’età (65anni), cinque prima degli universitari. Il problema non è che non ci sareb-bero giovani e bravi laureati da poterrimpiazzare tali funzionari, facendosivia via le ossa sul campo, ma che ilMinistero non indice concorsi e que-sto non permette loro di avere i titolinecessari. Anzi, non solo i concorsinon sono indetti; sembra che non cisia nessunissima intenzione di farlo.E’ probabile che il Ministero tenda adassociare questa rete di funzionari deiBeni culturali a qualsiasi tipo di buro-crati di Stato che, certo, devono averele loro competenze, ma non hannol’onere di preservare e valorizzare ilnostro patrimonio artistico nazionaleche, come tutti sanno e si va ripe-tendo in tutte le salse e con svariateintenzioni, è uno dei più importantidel mondo. La burocrazia va snellita,si sente ripetere continuamente, egiustamente, ma attenzione a nonbuttar via l’acqua sporca col bambinodentro .La rete delle soprintendenze che esi-ste in Italia da decenni, ed è stimata intutta Europa, permette la tutela e la ri-cerca, cioè la valorizzazione - legataalla ricerca e non in senso econo-mico! - dei Beni culturali stessi . Ciòè possibile fare se il funzionario è a di-retto contatto, quotidiano, con le rac-colte museali, i loro depositi e ilterritorio; tanto più quanto i funzio-nari sono locali, come ovviamente ac-cade che siano. Quante scoperte sonostate fatte nel corso di ispezioni dipiccole chiese, sagrestie, magariormai poco frequentate . Ma se larete, così capillare, delle Soprinten-denze fosse sostituita, come si staventilando, da managers regionali olocali, che valorizzassero, in tutt’altrosenso, i Beni culturali, la ricerca sa-rebbe finita e con essa la storia del-l’arte si fermerebbe. Giacché ‘storia’ èmovimento e non stasi; anzi in que-sto caso storiografia. Un’opera di Mi-chelangelo è sempre uguale a sestessa, ma anche differente in seguitoalla percezione che se ne ha e alla let-

L’estinzione delle Soprintendenze

Riflessioniper unnuovowelfare

PECUNIA&CULTURA

Il crescente disagio economico e so-ciale che investe le persone bisognosedi una crescente domanda di inter-vento dello Stato, nel nostro Paese, hasuggerito al Governo di riscrivere conurgenza tutta la normativa sul Wel-fare, per ridurre la vulnerabilità dellapopolazione a rischio di povertà,marginalità o esclusione sociale, maanche per raccogliere una sfida cultu-rale non più rinviabile.Nell’attesa riforma del Terzo Settorec’è veramente di tutto, persino il rior-dino del servizio militare volontario edi quello civile! Tutto sarà rivolto allavalorizzazione dell’unico compartoche negli anni della crisi ha conti-nuato a crescere e che può generaremolte nuove opportunità di lavoro.Le linee fondamentali che dovrannodare vita ad un Testo Unico del TerzoSettore si baseranno sulla volontà dicostruire un nuovo welfare partecipa-tivo, fondato su una governance so-ciale allargata alla partecipazione deisingoli, dei corpi intermedi e delTerzo settore al processo decisionalee attuativo delle politiche sociali, alfine di rimuovere le sperequazioniesistenti ricostruendo tra Stato e cit-tadini un rapporto basato sui principidi equità, efficienza e solidarietà so-ciale, premiando, con strumenti disostegno a regime, le erogazioni libe-rali dei cittadini e delle imprese.Per attuare questi obiettivi occorrerà:Riformare il Libro I, Titolo II, delCodice Civile; la l. 266/91 sul Volon-tariato; la l. 383/2000, sulle Associa-

zioni di promozione sociale; la l.328/2000 sul Sistema integrato degliinterventi e servizi sociali, riveden-done la programmazione, l’accredita-mento e l’autorizzazione dellestrutture e dei servizi sociali da partedegli enti locali.Rendere obbligatoria l’assunzionedello status di impresa sociale pertutte le organizzazioni che ne ab-biano le caratteristiche, prevedendoforme limitate di remunerazione delcapitale sociale al fine di attirarenuovi investitori estendendo a questeimprese il regime fiscale delle Onlus.Promuovere il Fondo per le impresesociali, come fa l’UE che sostiene at-tivamente la creazione di imprese so-ciali, oltre che con i fondi strutturali,con il nuovo programma per l’Occu-pazione e l’Innovazione Sociale(EaSI), e con Horizon 2020.Sostenere la finanza etica definendoun trattamento fiscale di favore; allar-gare la platea dei beneficiari del-l’equity crow-funding ad oggilimitato alle sole start up.Ampliare le categorie di lavoratorisvantaggiati da favorire nell’inseri-

mento lavorativo.Armonizzare le agevolazioni ed i be-nefici di legge riconosciuti alle di-verse forme del non profit sia per leimposte dirette che indirette, poten-ziando anche il meccanismo del 5 permille.Facilitare l’assegnazione in conven-zione d’uso degli immobili pubbliciinutilizzati al Terzo Settore.Ripristinare la vecchia Authority delTerzo Settore.

La consultazione dei cittadini sulleLinee guida di Riforma del Terzo set-tore è terminata il 13 giugno. Il Go-verno predisporrà il disegno di leggedelega che dovrebbe essere appro-vato dal Consiglio dei Ministri il 27giugno 2014.Auguriamoci che il riordino costitui-sca un contributo determinante nonsolo in termini normativi e ammini-strativi, ma soprattutto in terminieducativi coinvolgendo le persone alrispetto sociale ed alla costruzione diforti e sinceri legami sociali, al fine direalizzare una vera e propria welfarecommunity.

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.com sabato 28 giugno 2014no82 PAG.14

di Laura [email protected]

RI-FLESSIONI

Un interessante articolo uscito su “IlSole 24 ore” lascia poco margine aldubbio: è la ricerca a fare la differenzafra gli atenei. Basandosi infatti su treparametri, il rapporto Anvur ha stilatola classifica dei venti atenei miglioriper quanto riguarda la ricerca univer-sitaria. Verona risulta essere al primoposto, seguita da Trento e Bologna,Firenze si ferma al quattordicesimoposto. Tra gli atenei non statali, occu-pano le prime tre posizioni MilanoSan Raffaele, Roma Luiss e MilanoBocconi.I parametri presi in considerazione aifini del punteggio sono stati i “pro-dotti della ricerca”, ossia monografie,articoli, brevetti e altre realizzazioniche i vari dipartimenti hanno sottopo-sto al giudizio dell’Anvur (Agenzia na-zionale di Valutazione del sistemaUniversitario e della Ricerca), la capa-cità degli atenei di attrarre risorseesterne per finanziare i propri pro-getti, infine la qualità dell’alta forma-zione, ottenuta attraverso giudizi sullaalta formazione e sui dottorati se-condo le valutazioni Anvur. Ancorauna volta è il CentroNord a primeg-giare in fatto di qualità universitaria, adiscapito del Sud. Infatti soltanto Sa-

lerno e la Napoli Orientale sono riu-scite a piazzarsi tra i primi venti, ri-spettivamente al sedicesimo e alventesimo posto, con un importantedistacco di Salerno su alcuni degli ate-

nei più importanti del Nord, comePavia, Ferrara e Udine.Sulla situazione del meridione conti-nua a pesare fortemente l’emigrazionestudentesca verso altre università. Ap-pare evidente quanto questo incidanegativamente sui rendimenti degliatenei del Sud, i quali vengono privatidi studenti motivati, senza venirecompensati da nessun flusso inverso.Credo che sia necessario riflettere sulfatto che università quali quelle di Ur-bino, Trento e Ferrara possano van-tare più del 50% di immatricolazioniprovenienti da regioni diverse daquelle della sede dell’ateneo, mentrein città quali Palermo, Catania, Ca-gliari e Sassari la stessa situazione siincontra in meno dell’1% dei casi. Nel Mezzogiorno si è tentato di cor-rere ai ripari con un basso livello dicontributi chiesti agli studenti, ma ciòrischia di innescare un pericoloso cir-colo vizioso in cui a fronte di bassepretese economiche vengono a corri-spondere altrettanti livelli bassi di ser-vizi offerti. Senza considerare che inmolte regioni del Sud il diritto allostudio fa fatica ad essere garantito, conil risultato che in tante università dellaCampania o della Calabria la borsa di

studio arriva a meno della metà deglistudenti che la dovrebbero avere inbase ai parametri di reddito e patri-monio famigliare. Situazione completamente opposta alNord, dove molti atenei (Bicocca tragli statali, Bocconi e Cattolica tra inon statali, ad esempio) hanno decisodi integrare gli stanziamenti per allar-gare quanto più possibile la platea deibeneficiari. È bene comunque non lasciarsi fuor-viare troppo dai dati emersi dal rap-porto Anvur. Le classifiche offronoindicazioni semplificate di una realtàmolto più articolata, considerandoche quantificare la qualità in numerispesso può risultare approssimativo.Andando oltre il semplice punteggioacquisito si scopre infatti ad esempioche a Salerno l’alta formazione rag-giunge il top in matematica e informa-tica, mentre Firenze è baluardodell’ingegneria industriale. Quello del rapporto Anvur non èstato solo un viaggio tra le eccellenze,ma ha voluto mostrare quanto la ri-cerca debba necessariamente rappre-sentare la base fondante di ogniateneo, qualunque sia l’indirizzo distudio. Solo allora gli atenei torne-ranno finalmente ad essere istituti diistruzione superiore, il nostro Tempiodi Minerva.

La classifica delle lauree

di Ilaria [email protected] Città d’acqua Lucca Porto a Borgo

LUCE CATTURATA

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.com sabato 28 giugno 2014no82 PAG.15C.com sabato 7 giugno 2014HORROR VACUI

Dise

gni di Pam

Testi di Aldo Fran

gion

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Avendo adisposi-zione duepossibilitàho scelto diimmagi-narmi ungruppo didonne cheuna allavoltaescono dauna vasca ecammi-nando al-l'indietrorisalgonouna scala achiocciolapirane-siana.

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.com sabato 28 giugno 2014no82 PAG.16LUCE CATTURATA

di Chiara Novelli

Al Dadarté di Sesto Fiorentinosi è inaugurato il 19 giugnoscorso il terzo appuntamentocon la pittura delle donne: “ I

colori delle donne III”. La mostranasce da un’idea e da un incontro,quello fra Chiara Novelli, scrittrice,poeta, pittrice, responsabile lettera-tura AICS-Cultura Firenze e la pit-trice, poetessa e arredatrice AntonellaPancani. Le due artiste, hanno volutofare una provocazione, cominciare adindagare se esistesse una pittura delledonne portatrice di messaggio arti-stico proprio, creando un format stili-stico che ha visto invitate ogni voltasei pittrici con ciascuna due operescelte dalle organizzatrici in base aduna loro “vocazione” : quanto faces-sero nascere in loro l’ispirazione discriverci sopra dei versi. È nato quindiun dialogo a distanza tra immagine,anima e parola, in un’esposizione glo-bale dove anche i versi, creazioni diChiara Novelli e Antonella Pancani,sono stati incorniciati come quadri.Molta strada è stata fatta dal tempo incui la donna poteva dedicarsi solo adarti minori, ricamo, tessitura e minia-tura, non potendo intraprendere ap-prendistato nelle botteghe d’arte nelMedio Evo e venendo ignorata in ogniaspirazione artistica fino al ‘500. E' apartire dal XVI secolo che alcune pit-trici riescono a farsi conoscere e, ad-dirittura imporsi, in ambito europeo.La primogenita di Tintoretto, Ma-rietta Robusti, lavorerà per quindicianni nella bottega del padre dimo-strando una tale abilità da essere invi-tata dal re di Spagna Filippo II, ma ilpadre non le permise di andare. Sofo-nisba Anguissola, cremonese, ritratti-sta della corte spagnola alla fine del‘500, riuscì ad esercitare solo perchéil padre, uomo illuminato, glielo con-cesse. Contemporanea ad essa, la mi-niaturista fiamminga Levina Teerline,ritrattista dei sovrani inglesi, com-presa Elisabetta I, talmente talentuosada essere pagata più dei suoi colleghiuomini. A Firenze nasce, nel 1562,l’Accademia europea del Disegno, masarà solo nel 1616 che vi verrà am-messa una donna: Artemisia Gentile-schi, artirsta tra i massimi dell’epocache, dopo soli tre anni dipinge il suocapolavoro: “Giuditta e Oloferne”. Maè col primo Novecento che la pitturae l’arte si rinnovano in modo radicaleattraverso l'imporsi delle avanguardiestoriche cui  vedremo parteciparemolte artiste di talento, anche se, an-cora troppo spesso nel marginaleruolo di compagne o muse ispiratricidi grandi maestri come accade a Ga-briele Munter (Kandinskji), MarieLaurencin (Apollinaire), LeonoraCarrington (Ernst), Frida Kahlo (Ri-vera), Jeanne Hébuterne (Modi-gliani). In Russia, viceversa, laRivoluzione d'ottobre riconosce alleartiste delle avanguardie un ruolo diprimo piano e nella pittura e nel de-sign: Nataljia Goncarova, Liubov Po-

pova, Alexandra Exter, Varvara Stepa-nova divengono le più importantifirme della nuova frontiera dell’arte inUnione Sovietica. Fra le due guerre ledonne riusciranno ad avventurarsi ingeneri e settori artistici da cui eranostate, fino ad allora, escluse: SoniaDelaunay per l’astrattismo, la friulanaTina Modotti per la fotografia ,perl'art Deco di Tamara de Lempicka chediventa famosa per i ritratti femmi-nili nei quali raffigura donne chehanno i tratti della modernità e del-l’emancipazione. Le sue opere, trascu-rate per decenni , sono oggiintrovabili e valgono milioni di euro. Molta la strada da fare: sia nelle galle-rie che in sede d’asta, le opere delledonne hanno quotazioni inferiori, aparità di valore, di quelle degli uo-mini, ma soprattutto l’arte delledonne deve cominciare ad indagarsicome portatrice, e questo molte mo-stre lo hanno evidenziato, di una so-stanza creativa specifica che, scalate levette della spiritualità riesce a scen-dere a patti con la terra, a incarnarsi indinamiche materiche e coloristicheche muovono poi verso quell’assolutoche il messaggio totale del creare devesaper cogliere e trasmettere.

Il colore delle donne

Ora di cena,l’infinito tornaa casa affamato

SCAVEZZACOLLO

Quando si avvicina l’ora di cena,l’Eternità perde sempre un po’ latesta. Perché suo marito, l’Infinito,torna a casa la sera, sempre moltoaffamato. E’ stato fuori tutto ilgiorno. Un lavoraccio. C’è da con-trollare se la stella polare ha tim-brato il cartellino, se i punti diriferimento delle costellazioni sonoa norma, se c’è da ripulire il fondodell’abisso, se è sempre della profon-dità giusta il mare, se il buio e la lucesono sempre separati o si sono rap-pacificati e quante sono le cose cam-pate in aria, e quanti santi delparadiso se ne vanno in giro, vaga-bondi, camminando sulle piste ci-clabili del cielo. Quando torna acasa, verso le 8, l’Infinito ha fame.“Che c’è da mangiare?” chiede bur-bero. “Ti ho cucinato il tempo,amore!”. L’Eternità sa cucinare soloquello. Non che il tempo non siabuono, è nutriente, contiene tutto.Però: una sera tempo in brodo, unasera alla griglia, una sera alla brace,una sera inzimino, una sera alla par-migiana...le ricette sono tante ma se-colo dopo secolo, l’Eternità non sapiù che ricetta inventarsi. “Tempocome?” domanda l’Infinito anno-dandosi il tovagliolo. “Tempo in pa-della!”. L’Infinito sospira. L’avevamangiato anche lunedì. E quandosospira l’Infinito, tutto l’Universo si

di Massimo [email protected]

ferma per un momento. “Gli ha ri-fatto il tempo in padella!” bisbigliala luna alle stelle. E le stelle fanno

delle risatine. Per questo certe nottile vediamo brillare un pochino dipiù.

Page 17: Cultura Commestibile 82

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.com sabato 28 giugno 2014no82 PAG.17C.com sabato 7 giugno 2014EX-POSIZIONI

di Fabrizio [email protected]

All’ippodromo del Visarno si correormai da oltre 150 anni. A Firenze,come abbiamo visto altrove, le corsedei cavalli vantano una storia antica,ma la nascita dell’ippica nell’accezionemoderna del termine si può far risalireal 1827, quando, per iniziativa delprincipe Demidoff, si iniziarono a or-ganizzare delle corse al galoppo nelPrato del Quercione: la prima corsa, il“Premio dell’Arno”, destinato a diven-tare la corsa più antica d’Italia, sisvolse il 2 novembre 1827.Nel 1836 i numerosi membri della co-lonia inglese fiorentina regolamenta-rono le corse adottando le regole delleggendario ippodromo di Epsom,dove addirittura nel ‘600 era nata l’ip-pica e dove nel 1779 si era disputato ilprimo Derby. Alle corse del Prato delQuercione assistevano migliaia di fio-rentini e, benché ovviamente non cifossero bookmakers o totalizzatori, siscommetteva anche in maniera pe-sante: Ugo Pesci, in “Firenze capitale”

afferma che il volume totale di scom-messe, in alcuni giorni, poteva arrivarea un milione di lire toscane, che do-veva essere una bella somma.Nel 1847, considerato il crescente af-flusso di pubblico, le corse si sposta-rono nel pratone che si trovava fra ilViale del Re (Viale degli Olmi) e il Vi-sarno, così chiamato perché costeg-giava il Fosso Macinante che correvaparallelo all’Arno e del quale costi-tuiva una sorta di “raddoppio”; in que-sto luogo fu poi costruitol’ippodromo vero e proprio, iniziatonel 1880, completato fra il 1915 e il1927, completamente devastato dal-l’alluvione del 1966 e ricostruito nel1967..Nel 1852 un gruppo di nobili fioren-tini e stranieri (Antinori, Della Ghe-rardesca, Poniatowski, Demidoff,

Capponi e altri) costituirono la “So-cietà dell’Unione” che si proponeva dimigliorare l’organizzazione delle corsee di favorire l’allevamento di purosan-gue italiani. La sede sociale, che si tro-vava nel Palazzo Corsi di ViaTornabuoni (meglio conosciuto, nona caso, come “Palazzo del Circolodell’Unione”, denominazione che as-sunse ufficialmente nel 1920), di-venne in breve il luogo abituale diritrovo di tutta la nobiltà e l’alta bor-ghesia fiorentina; vale la pena di leg-gere le pagine che Ugo Pesci, nel libro

citato, dedica a descri-vere l’animata frequen-tazione della sale delclub, il cui nome, peral-tro, non andò troppo agenio all’occhiuta poli-zia granducale: quel-l’Unione, sospettaronoi gendarmi, faceva sicu-ramente riferimento al-l’Unità d’Italia. Igentiluomini non bat-terono ciglio e ribattez-zarono il loro circolo

“Jockey Club”, per riprendere l’anticadenominazione dopo la cacciata deiLorena.Tanto per dire quanto grande era, inquegli anni, il successo e la popolaritàdelle corse al galoppo, ai tempi di Fi-renze capitale il re, grande appassio-nato, non mancava mai di assistere allecorse del Visarno; addirittura, a par-tire dal 1867, dotò il Derby Reale diun premio di £ 40.000, somma astro-nomica per l’epoca, equivalente, se-condo le tabella di rivalutazionemonetaria ISTAT, a € 197.000 di oggi!

Viale del Visarno

Stephen Nova

Si detteroall’ippica

di Danilo [email protected]

L’associazione Culturale Sincresisdi Empoli ha ospitato per quasidue mesi l’artista australiano dilontane origini italiane Stephen

Nova, esponendo alla fine del soggiornoalcune delle opere realizzate in questaoccasione. Quasi nel centro di Empoliesiste (ma forse ancora per poco) un in-tero isolato occupato da una delle più an-tiche vetrerie della città, ormai ridotta aduna sorta di rudere monumentale, con lasua struttura muraria esile, formata daenormi arcate, collegate da sottili travimetalliche e caratterizzata da una coper-tura leggera in lamiera e dalla alta cimi-niera in mattoni, una delle ultimerimaste, delle numerose che fino a pochidecenni fa caratterizzavano il panorama(e la skyline) empolese. L’artista è rima-sto affascinato da questa struttura, desti-nata da anni alla demolizione, ma ancoraprecariamente in piedi, tanto da fotogra-farla da più punti di vista allo scopo dielaborare le immagini integrandole in unprocesso di trasformazione estetica esimbolica per mezzo del disegno. Profe-ticamente, pochi giorni dopo i suoi scatti,una ampia porzione della copertura haceduta nottetempo, trasportando nelcrollo una altrettanto ampia porzionedelle murature perimetrali. L’artista, for-temente colpito anche da questo ina-spettato “evento” ha mobilitato la suafantasia e le sue capacità espressive rivi-sitando mentalmente il luogo, modifi-candone le sezioni e trasportandolo inuno spazio assoluto, collocato al di làdella realtà apparente, integrando lemasse murarie con gli oggetti tipici dellaproduzione dell’industria vetraria locale,fino a confondere il luogo della produ-zione con il prodotto. Il grande conteni-tore vuoto, caratterizzato dalle ampieaperture perimetrali e dagli squarci nelle

pareti, un poco ambiguo ed inquietante,diventa l’ambientazione perfetta per l’in-serimento di oggetti estranei ed impro-babili, come uno dei navicelli cheservivano un tempo per il trasporto deimateriali di lavorazione e dei prodotti fi-niti. Lo spazio ed il tempo si integrano esi accavallano, generando delle visionimetafisiche in cui la figura umana è vi-stosamente assente, come se la vecchiafabbrica generasse i prodotti in vetrodalle sue stesse viscere. Da un confrontoindiretto con l’artista pistoiese FilippoBasetti sono nate inoltre nuove elabora-zioni, con l’inserimento delle opere di-

segnate in dei contesti naturalistici,forzatamente piegati alle nuove forme,ridotti a degli sfondi in cui l’oggetto ur-bano, benché stravolto nelle sue forme enelle sue funzioni, viene ambientato ren-dendolo ancora più avulso dalla realtàquotidiana, ancora più ricco di simbolo-gie e di possibili significati. Quella cheper gli abitanti della città era una pre-senza scontata, ma non indifferente,nella visione di Stephen Nova diventauno stimolo per nuove interpretazionifantastiche e per nuove forme di perce-zione estetica.

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

Dall’Australiaa Empoli

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.com sabato 28 giugno 2014no82 PAG.18L’ULTIMA IMMAGINE

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San jose, California, 1972

Adesso torniamo agli abitanti di questa benedettaSilicon Valley. Siamo nella zona di Willow Glen,uno dei quartieri residenziali della zona. Per laprecisione siamo sotto il portico del “back yard”della casa dei miei suoceri. La signora seduta a ta-vola è Norma, un’amica della casa accanto cheaspetta che gli altri commensali la raggiungano

per il pranzo. Anche lei è di origine italiana, maera nata in California e al momento stava già go-dendosi una meritata pensione dopo anni di la-voro in un ufficio del downtown. La fotoall’interno, scattata in occasione di una “weddingshower” - una riunione per raccogliere i regali perun prossimo matrimonio in una famiglia di amici

- mostra un altro angolo della casa di famiglia dimia moglie. Mia suocera Carmelina, di origine ca-labrese ed immigrata negli States all’età di 8 anni,è la seconda da destra. In questa immaginel’unico personaggio fuori dal coro sembra esserela giovane ragazzina dallo sguardo decisamenteun po’ assente.

Dall’archivio di M

aurizio Be

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