Cultura Commestibile 91

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91 uesta settimana il menu è Q Stammer a pagina 5 La cittadella della cultura RiUNiONe di FAMiGLiA a pagina 4 PiCCOLe ARChiTeTTURe Cavallari e Giomi da pagina 2 dA NON SALTARe Firenze e la musica contemporanea La cena di Caterina low cost il romanzo della rivoluzione (quinta parte) eugenio Giani Oggi sono al campo degli Assi Giglio Rosso. A 55 anni ancora riesco a saltare 1.50! dobbiamo guardare sempre avanti Cecchi a pagina 7 OCChiO X OCChiO il fotografo di Montmartre Semboloni VUOTi&PieNi A rullo di tamburo della Cupola Sempre più alto

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91 uesta settimanail menu èQ

vuoti&pieni

Stammer a pagina 5

La cittadelladella cultura

Riunionedi FAMiGLiA

a pagina 4

piCCoLe ARChitettuRe

Cavallari e Giomi da pagina 2

dA non SALtARe

Firenze e la musicacontemporanea

La cenadi Caterinalow cost

il romanzodellarivoluzione(quinta parte)

eugenio Giani

oggi sono al campo degli Assi Giglio Rosso. A 55 anni ancorariesco a saltare 1.50! dobbiamo guardare sempre avanti“

Cecchi a pagina 7

oCChio x oCChio

il fotografodi Montmartre

Semboloni

vuoti&pieniA rullo di tamburodella Cupola

Sempre più alto

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.com sabato 20 settembre 2014no91 PAG.2DA NON SALTARE

Andrea Cavallari è direttore arti-stico (insieme a Luisa ValeriaCarpignano) del Festival “FirenzeSuona Contemporanea”, 7a edi-

zione, in svolgimento a Firenze. Cavallariè un notevole compositore (diploma inpianoforte, studi di etnomusicologia com-parata e di direzione d’orchestra). Il suo la-voro risente dell’influenza di Berio, Cage,Ligeti, ma anche di artisti visivi come Pol-lock, Horn, Manzoni. Fondatore dell’Ac-cademia S.Felice. “Composer resident”presso la Kammeroper Frankfurt. Co-di-rettore del London Ear Festival. Lo ab-biamo incontrato a margine delle provedella Florence Art Music Experience (dalui fondata) che concluderà il festival il 21settembre.Vorrei iniziare chiedendoti di raccontarci ilfilo rosso di questo festival “Firenze SuonaContemporanea” che giunge alla sua settimaedizione e che si caratterizza per il connubiofra la musica e le arti visive.In effetti proseguiamo un’impostazionegià sperimentata. Lo scorso anno il titolofu “Angelus Novus”: una rassegna centratasu questa serie di dipinti di Paul Klee chehanno poi influenzato tutta la musica diBoulez, tutta la filosofia di Walter Benja-min, la musica dagli anni ‘50 ai ‘90. Cosìquest’anno ci siamo posti il problema og-gettivo non di andare a ripescare un con-cetto filosofico di un artista visivoscomparso, ma di includere nel progettoartisti viventi, creando un framework chepotesse far dialogare arti visive e musicacontemporanea. Sulla base di questascommessa abbiamo selezionato quei dueo tre artisti che già lavorano in questo am-bito (non avrebbe avuto senso, ad esem-pio, portarci Kounellis) e cherappresentano i maggiori artisti viventi:Bill Viola, William Kentridge e pochi altri.La scommessa era di convincere Ken-tridge a partecipare ad un festival di musicacontemporanea, perché è un artista moltopuntiglioso: è lui che sceglie dove essereinvitato; non fa mai progetti in gallerie;non vuole apparire in contesti legati almercato dell’arte. Si è innamorato imme-diatamente del progetto: musica contem-poranea al Museo del Bargello. Avevatrascorso alcuni anni da ragazzo a Firenzee non ci era più tornato. Così dopo unanno e mezzo è nato il progetto “Papermusic” che è una collezione di 17 film conle musiche originali di Philip Miller e 7film in prima esecuzione assoluta realizzatiper il festival: è un’opera in prima mon-diale che ha debuttato a Firenze e che poiè stata rappresentata alla Carnegie Hall diNew York e ne seguiranno molte altre.Kentridege, artista contemporaneo fra i piùnoti, viene invitato a Firenze, al Bargello, unbene culturale del Duecento (il più impor-tante museo di scultura del Rinascimento delmondo, peraltro meno visitato di quanto nonsi immaginerebbe), è stato attratto e convintoad accettare. Questo vostro festival è alla 7°edizione: se un festival di musica (e arte) con-temporanea esiste (o resiste) a Firenze da 7anni, forse questa città non è così refrattariaal contemporaneo.Cito Bonito Oliva che dice che tutta l’arteè stata contemporanea. Quindi la città insé non è refrattaria al contemporaneo; è

sica, o a Cantieri Goldonetta in quello dellearti del corpo, a Teatro Studio a Scandicci).Certo, meno di quello che ci si aspetterebbe,però questa persistenza trova una rispon-denza nel pubblico, soprattutto giovani?Sì, sicuramente. Anche se in Italia siamoun po’ arretrati rispetto ad altri paesi. Pen-siamo a Londra dove si trova la Tate Mo-dern è quotidianamente invasa da migliaiadi persone, insieme ad un weekend dedi-cato a Boulez in cui la gente assiste a con-certi alle 15,30 del pomeriggio. Quindi, aparagone di quello che succede nellegrandi capitali della cultura, siamo davveroindietro. Ma questo è dovuto al fatto cheveniamo ad un vuoto di 20 anni (dall’ul-timo grande concerto di John Cage del1992, diciamo). Questo vuoto non ha fa-cilitato la presenza di un pubblico oggi.Però la curiosità è tanta.Veniamo alla musica contemporanea: c’èstato un periodo in cui si pensava che la mu-sica fosse esaurita: dopo la dodecafonica, sipensava fossero chiuse le possibilità di inno-vazione. Invece, negli ultimi anni, il dibattitoe la produzione hanno riparto nuove possibi-lità. Da cosa sono caratterizzate?C’è una ricerca, che per me è la più affasci-nante, che è quella delle tecniche estesenella composizione di oggi. E’ una ricercache comincia con Beat Furrer, ma anchecon Salvatore Sciarrimo e ha preso piedecon un gruppo di compositori italiani,anche giovanissimi, che portano avantiuna linea veramente interessante di ricercadi nuovi suoni. Poi vi è tutta la ricerca sullacontaminazione fra le arti, quella visiva, lamusica, il video e, quindi, una produzioneimportante di spettacoli multimediali: unlinguaggio molto cross over che oggi me-scola l’elettronica con il jazz e la ricerca. Mail jazz stesso ha preso la direzione della mu-sica contemporanea, come le esperienzedel free jazz. Tanto che quando ascol-tiamo, ad esempio, lo studio di Ligeti del1986 ci sembra classicissimo, eppure èstato scritto appena 33 anni fa. Senza es-sere un neoclassicismo di ritorno, tantoche al tempo era visto come una provoca-zione. Quindi la musica non si ferma: la ri-cerca artistica dei compositori va avanti.C’è poi tanta improvvisazione nella nuovamusica: abbiamo qui la compositrice eperformer brasiliana Michelle Agnes cherealizza delle partiture estemporanee, conla ricerca di nuove tecnologie applicate astrumenti acustici.La musica non si ferma, ma forse si fermanole istituzioni musicali?Drammaticamente le istituzioni musicalisono troppo ossessionate dall’idea del bot-teghino (che poi sono l’8% degli introitigenerali). Per paradosso, se ci fosse un in-vestimento sulle produzioni nuove, conuna visione a lungo termine, si avrebberosicuramente risultati migliori. Faccio unesempio, da due anni collaboriamo con laLondon Sinfonietta, che è l’istituzione perla musica contemporanea in Inghilterra,nata per questa musica. A Londra ci sono9 orchestre sinfoniche e ognuna ha unproprio campo specifico di riferimento.Quando abbiamo contattato la LondonSinfonietta per una collaborazione, l rispo-sta è stata entusiastica perché, ci hannodetto, “noi abbiamo una sede ufficiale (laQueen Elisabeth Hall, una sala da 2.500posti) nella quale siamo costretti a fare un

contemporaneoil suonodi Firenze

di Simone [email protected]

l’uso che si fa del contemporaneo in que-sta città è sbagliatissimo. Questa è una cittàche dovrebbe vivere di contemporaneo.Non esiste osservare una programma-zione annuale degli Amici della Musica,del Maggio Musicale, dell’ORT e trovarcicosì poco contemporaneo. Le mostred’arte sono sparite. Ora si è riaperto unospiraglio con Penone a Forte Belvedere.Ma dove sono gli anni ‘70, ‘80. ‘90 in cuiveramente c’era una vitalità sul contempo-raneo incredibile. Io temo che questi 20anni di politica di consumo per turisti chearrivano in bus, si comprano la visita agliUffizi, un po’ di souvenir o articoli griffatie alle cinque sono già di nuovo sull’auto-bus per ripartire, ha distrutto le energie ele volontà. Si pensa che siccome c’è cosìtanto da vedere, non si ha bisogno del con-temporaneo; e invece è esattamente ilcontrario. Quando c’è stata la diatriba dipagare i 2 euro di tassa di soggiorno dei tu-risti (che oggi fa incassare 22 milionil’anno alla città), fu promesso al tavolodella contemporaneità che il 50% di que-

sta cifra sarebbe stata reinvestita nelle arti:scopriamo oggi che viene reinvestita neglistraordinari del personale museale, nellaconservazione, mentre non un euro vienedestinato alla produzione. Qui a Firenzemanca una politica di investimenti sullaproduzione dell’arte, sulla creazione diprogetti nuovi. Quello che kentridge è riu-scito a fare producendo quest’opera qui.Tutto lo staff (costumisti, cantanti, musi-cisti, ecc.) è arrivato 10 giorni prima delfestival, ha invaso lo spazio di 500 mq, la-vorando molte ore al giorno, ha prodottoquesta opera, nella quale sono coinvoltivideo (nuovi e vecchi), musica, scenogra-fie, la contaminazione delle esperienze et-niche (sudafricane) con lasperimentazione vocale d’avanguardia (dauna parte Ann Masina, mezzo soprano su-dafricano, e dall’altra Joanna Dudley, so-prano conosciutissima per la ricerca di unavocalità nuova).Però è vero che c’è un pubblico per il contem-poraneo. Ci sono esperienze che resistono(penso a Tempo Reale nell’ambito della mu-

intervista a Andrea Cavallari

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può la musica essere oggi un mo-tore di riflessione sociale oltreche di conoscenza ed emo-zione? Certamente in modo di-

verso da come lo è stata in alcune fasidel Dopoguerra, quando tanto compo-sitori come Luigi Nono quanto cantau-tori come De Andrè affrontavano temie storie scomodi, legati alla quotidia-nità, ma senza però avere davanti a lorouna visione globale del mondo, polie-drica e complessissima come quella at-tuale. Così come è cambiatovelocemente tutto il resto è cambiatoanche il fare musica, proiettato in unalogica plurale e massivamente espres-siva che, grazie al digitale, raggiunge inmaniera facile e trasversale miriadi digiovani, incorporando suoni, gesti,espressioni e idee da ogni millimetrodel globo.In questa ottica il ruolo di un festivalsperimentale come quello che TempoReale (www.temporeale.it) organizza aFirenze da sette anni non può altro cheessere di proposta parziale, cercando diesprimere un’idea di ricerca che crei unponte tra la tradizione e le forme più ra-dicali. Questo avviene in maniera tema-tica, producendo e stimolando gliartisti, sfuggendo alle logiche inique eoggi immotivate del mercato musicale,seguendo anzi azioni di sostenibilità deiprocessi musicali e di stimolo all’inno-vazione linguistica. D’altro cantoTempo Reale ha raggiunto in questianni lo status di Ente di Rilevanza dellaRegione Toscana per lo Spettacolo dalVivo e questo non può che costituireuna assunzione di responsabilità versoun percorso di qualificazione delle pro-poste e di sensibilizzazione del pub-blico, soprattutto all’ascolto. Comequando si legge un libro o si guarda unfilm è spesso importante tornare piùvolte sulla percezione di un’opera e que-sto vale soprattutto per l’ascolto. Ria-scoltare quindi. Riascoltare in senso“geografico”, con la curiosità e l’aperturamentale che la musica tecnologica dioggi ci permette; ma riascoltare anchein senso “universale”, per aprirci adun’idea di accoglienza che parta propriodal medium acustico; che ci apra a ciòche è musicalmente e antropologica-mente diverso, a ciò che non si conoscema che vale davvero la pena di sentire,apprezzare e approfondire. Lo si dicevaprima: un piccolo festival con questipresupposti non può altro che essereparziale, focalizzato su alcuni degliormai vastissimi confini della musica di

ricerca, capace di indagare i soundsca-pes più remoti, i materiali di culture di-verse, le forme espressive che sicorrelano con i luoghi e i suoni delmondo. Intorno a questi elementi na-scono alcuni temi ulteriori, maggior-mente tipici della sperimentazionemusicale recente: il rapporto tra strut-tura e improvvisazione, l’importanzadel gesto musicale, la relazione tra im-magini e suoni, tra forme linguistiche

differenti come il rock e l’elettronica. Iltutto articolato in quasi dieci giorni diconcerti e workshop, tra cui un intensopomeriggio dedicato agli archivi sonori.Si comincia il 26 settembre con un nuo-vissimo spettacolo sui temi dell’emigra-zione/immigrazione, intersecando itesti di autori di tutte le epoche in unpercorso drammaturgico costellato dimusica totalmente improvvisata da unbellissimo gruppo di musicisti delTempo Reale Electroacoustic Ensem-ble: la voce principale è quella di Mas-simo Altomare, storico esponente dellascuola rock fiorentina mentre la dram-maturgia e i testi sono stati curati da Ca-terina Poggesi, già mente instancabiledel gruppo teatrale Fosca.Con tutto questo Tempo Reale testimo-nia ancora una volta una consolidatapresenza territoriale, sempre in bilicotra un’idea di laboratorio creativo e ve-trina internazionale.

Gli appuntamenti

Musichein tempo

realedi Francesco [email protected]

20 – 21 settembre, ore 20.00 e 21.00BREATHE, DISSOLVE, RETURN(2008)installazione di tre videovideo transfer 6 minuti (loop)William KENTRIDGE videoPhilip MILLER musicheassistenti alle animazioni

26 settembreLimonaia di Villa Strozzi, ore 21.30MASSIMO ALTOMARE + TEMPOREALE ELECTROACOUSTIC EN-SEMBLE / WELCOMEUn reading musicale27 settembre Limonaia di Villa Strozzi, ore 21.30PAOLO RAVAGLIA / CECCA-RELLI + JACOB TVConcerto per clarinetti, video edelettronica

tipo di programmazione, sempre nell’am-bito del moderno e contemporaneo, cheperò prevede grandi afflussi di pubblico;quindi festival come il vostro ci permettedi sperimentare una ricerca sulla program-mazione anche con ensemble cameristiciche non avremmo modo di fare nella no-stra sede”. E’ nata una collaborazione nellaquale loro allargano ambiti di sperimenta-zione e noi possiamo permetterci di ospi-tare artisti di questo livello. Ecco, se leistituzioni più classiche potessero intuireuna linea simile in cui, pur lasciando l’80%della programmazione a opere di cassetta,ma lasciando il 20% per sperimentare, perinvitare giovani, a lungo termine perdereb-bero quello strato di polvere che pur-troppo un po’ le ricopre.Il che fa pensare a quale sarà il destino delnuovo teatro dell’opera di Firenze.Un teatro che dovrebbe essere gestito dauna serie di operatori, anche internazio-nali, con un cartellone suddiviso fra loro econ una programmazione costante, diver-sificata, con l’unico punto di in comune diesprimere sempre il massimo della qualità.Questa è la chiave del successo di un tea-tro.Puoi farci un bilancio del Festival FirenzeSuona Contemporanea che volge al termine?E’ importante ricordare che Kentridge èpresente con due opere. La prima, “PaperMusic” è stata l’opera con installazione evideo, presentata anche in forma sceno-grafica e con la presenza di William Ken-tridge sul palco. Ma tutti i giorni, fra le 20e le 21, è possibile vedere “Breathe Dis-solve Return” che è il trittico che nel 2008Kentridge ha realizzato per la Fenice. Vor-rei anche segnalare il Mdi Ensemble, cheè una ensemble milanese di ricerca, abba-stanza giovane che sta realizzando concertidi altissimo livello e qui mette in scena unaprima italiana di Luigi Billone e lui saràpresente al Festival. E’ un compositore ita-liano molto importante che, ancora unavolta, non viene rappresentato in Italia,non vive in Italia.L’altro compositore di ri-ferimento per tutta la musica “spettrale”, laricerca dello spettro sonoro con degli ar-monici e dei calcoli matematici su comefunziona il suono, è Gérard Grisey (pur-troppo prematuramente scomparso) chela Mdi Ensemble pure rappresenterà conla sua maggiore opera, “Vortex Tempo-rum”.Infine chiudiamo con il FLAME, che è unensemble di giovani, con un concerto de-dicato ai giovani compositori, che ha com-missionato alla brasiliana Michelle Agnes,a Lorenzo Troiani (compositore italianodi ambito sciarriniano, che centra la sua ri-cerca sulle nuove tecnologie, sulle tecni-che estese di composizione), a StylianosDimou (compositore greco giovanissimoche vive in America, e che ha vinto diversecommissioni con l’IRCAM), a Luisa Va-leria Carpignano e al sottoscritto (unpezzo con un video realizzato da VeronicaCitti, un trittico per saxofono solista e en-semble, che verrà smembrato e diviso fra ivari schermi e fungerà da colonna sonoradei vari video). La prerogativa di questaensemble è di avere anche dei composi-tori-esecutori, rifacendosi alla vecchia tra-dizione di Beethoven che si organizzava ipropri concerti in cui era compositore edesecutore, oltre che produttore.

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Registrazione del tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone siliani

redazionesara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchi

progetto graficoemiliano bacci

editorenem nuovi eventi Musicali

viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

[email protected]

[email protected]/cultura.commestibile

“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

RIUNIONE DI FAMIGLIA

da Facebook! Grandissimo! Innovativo!Una associazione fra 45 startup del turismoe ha avuto la genialata di chiamarla niente-popodimenoche Startup! Ma po, è ungrande, dichiara di voler dialogare con leistituzioni: fantastico! Chiamatelo subito: lovoglio qui entro domani.”D'Andrea timidamente: “Veramente, Dario,è qui fuori della porta”“Visto, che vi dicevo: un genio! Ha antici-pato addirittura il mio desiderio! Fallo en-trare e voi andate tutti a prendervi uncaffè… Caro Ceci, che piacere incontrarla:come sta? Bene? Ok, mettiamoci subito allavoro: qui bisogna rivoluzionare il turismo,mica bruscolini! Si faccia venire un'idea!Il Ceci non si fa prendere alla sprovvista:“Ce l'ho, signor Ministro! Fantasmagorica!Facciamo il Laboratorio per la digitalizza-zione del turismo. Eh, che ne pensa? Figo,vero?Il “Che” è esaltato dalla proposta: “Affarefatto! Lo prendiamo! Ecco qua, lo scrivo sul-l'iPad e domani è già pronto. Poi, altreidee?”Il Ceci, subito: “Facciamo un bel tax credit:alle piccole e medie imprese del turismo [cioèle mie, pensa il Ceci] si fa un bello sconto fi-scale per gli investimenti sulla digitalizza-zione: forte, no?”Franceschini a questo punto scatta sullasedia e si mette a saltellare tutto intornonello studio in un evidente e irrefrenabile

Riassunto delle puntate precedenti: LaRivoluzione del Ministero dei BeniCulturali ha lanciato Dario “Che” Fran-ceschini nell'olimpo dei rivoluzionari ditutti i tempi (ma Renzi gli ha impeditodi proclamarlo). Mentre per i Gran Sa-cerdoti della conservazione è il tra-monto di un'epoca. Nuovi obiettivirivoluzionari sono alle viste.

Dario “Che” Franceschini si trova nel suostudio del Ministero, circondato da pile dicarte, libri, mappamondi e dal suo staff,indaffarato a compulsare testi, cartine geo-grafiche, siti internet di agenzie di viaggio.“Ragazzi, ora che abbiamo rivoluzionato(ops, riformato-ma-poco, scusa Matteo) ibeni culturali, passiamo a sistemare il turi-smo. Giuseppe, cosa sono queste scioc-chezze che mi hai portato?Pacchetti-vacanza con soggiorno in tendadentro Pompei? Campagna di comunica-zione sui piccoli borghi di montagna? Mache sei scemo? Qui bisogna rivoltare il tu-rismo come un calzino: perdiamo turisticome un colabrodo sfondato! Ci vuole unmago del turismo rivoluzionario! Qual-cuno con idee nuove, fresche, innovative!...Eureka, ci sono! Ci vuole Ceci. No, Giu-seppe, non fagioli; Ceci, Stefano Ceci!”Lo staff è smarrito. Giuseppe D'Andrea, ilfido Capo di Gabinetto, si guarda intorno,cercando negli astanti un sostegno, un sug-gerimento, un volto amico. Ma ormai il“Che” è un fiume in piena e ha rotto defi-nitivamente gli argini:“Ma sì, dai, Stefano Ceci. Un genio asso-luto. Ho letto una sua intervista: illumi-nante! Pensate che ha addiritturacostruito una Startup Turismo partendo

LE SORELLE MARX

Nell’attesa di compiere il mandato che lastoria le ha affidato, quello di chiudereun’epoca, la sovrintendente Acidi si ci-menta con la sfida del fundraising per rico-struire il banchetto di Caterina de Mediciin quel di Palazzo Pitti. Sfida ambiziosa,dai grandi costi, che, temiamo, lo spirito deltempo e i braccini corti dei magnati no-strani rendono molto difficile. A meno chequesto sia ampiamente previsto e volutodall’Acidini, per mostrare che i musei non

son cosa da manager, noi ci propo-niamo di organizzare l’evento lowcost. Intanto per abbattere i costila location andrà cambiata conuna più piccola e dotata di cu-cina. La SMS di Rifredi si è

resa disponibile e ci pare adattissima allabisogna. Il menù, anch’esso low cost, se-guirà la più classica tradizione delle cenefiorentine nelle case del popolo, immutatopiù o meno dai tempi di Caterina stessa.Dunque: antipasto con tre crostini di nu-mero (uno ai fegatini, uno al pomodoro,uno ai peperoni) ed una fetta di salame.Primi piatti penne al pomodoro o al sugo,per secondo arista o roastbeef tagliato pa-recchio fine, con patate. Caffè, acqua e vino.Per i vegetariani una cesta d’insalata la sitrova. Di sicuro effetto anche l’allestimentodella sala dove Silvano, maestro cerimo-niere del circolo, ha detto che un pavoneimbalsamato o comunque qualche galli-naccio da mettere a centro tavola lo trova.Un po’ più complessi i drappeggi dove icompagni di Rifredi, equivocando tra Ca-terina dei Medici e Caterina di Russia, pro-ponevano un allestimento di vecchiebandiere rosse risalenti alla rivoluzioned’ottobre. Particolari a parte la cena è pra-ticamente pronta, di sicura tradizione e acosti contenutissimi. Poi se la sovrinten-dente tratta un minino siamo che certi che,nella stessa cifra, i compagni un aperitivocon la spuma al ginger glielo mettono di si-curo.

il romanzo della rivoluzione (5)

Simpatica novella sulla nascita dell'Universo e della vita sulla Terra. Nella disputa, tuttaamericana, fra evoluzionisti e creazionisti si inserisce questa dolce fiaba, come una terzavia, che possiamo così riassumere: “All'origine di quello che ore vedete, cari ragazzi, il sole,le stelle, il mare, le nuvole, i sassi, le mosche, i pipistrelli, gli elefanti, i vostri balocchi, il gelatoe il gelataio, l'edicola dove comprate le figurine dei calciatori, lo smartphone insomma tuttociò che ci sta intorno, e si può osservare ad occhio nudo oppure con potenti telescopi o pro-digiosi microscopi, era tutto dentro un cavolo dove, contemporaneamente, conviveva ilmondo presente con quello dei tempi passati e dei tempi futuri”. Gli “scienziati cavolisti”dicono che spazio e tempo non si distinguevano e gli uomini di Neanderthal dipingevanole loro mani sulle pareti nella “Grotta di El Castillo” nello stesso momento, quando accantoa loro, i ragazzi giocavano con la play station: si può immaginare la confusione, una con-fusione che generò una energia potentissima che fece esplodere il cavolo in modo da dividereil passato dal presente e dal futuro e collocando, quella che noi chiamiamo storia dell'Uni-verso, della Terra e dell'Uomo, dentro dei nuovi infiniti cavoli senza nessuna comunicazionefra di loro. Quindi, non solo i bambini, come diceva la vecchia leggenda, nascono fra i cavolima anche tutto il resto che noi oggi conosciamo insieme a ciò che abbiamo dimenticato ea quello che non potremo conoscere perché avverrà nei prossimi millenni.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

I CUGINI ENGELS

La cenadi Caterinalow cost

moto di gioia: “Sì, sì, sì!!! Questa volta ilRenzi mi fa capo della Rivoluzione perma-nente!! Avanti con la tax revolution!!! Be-nissimo, Ceci. Siccome lei è così bravo esveglio, la prendo a lavorare qui da me ecaccio tutti quegli altri mangia pane a ufo!”Il Ceci è evidentemente lusingato ma ancheimbarazzato: “Ma signor Ministro, sarebbeun onore grandissimo, ma purtroppo nonposso: ho famiglia a Reggio Emilia, moltiimpegni con le Startup, non sarei all'altezzadel suo impeto rivoluzionario. Però, guardi,potrei farle da consulente saltuario. Natu-ralmente, pro bono, come si dice ora: senzaprendere un soldo”Franceschini è un po' deluso, ma siccome ènota la sua taccagneria, accetta. Il Ceci la-scia il Collegio Romano, mentre fuori dellaporta, il Capo di Gabinetto confabula conuna vecchio usciere del MibacT(urismo).“Scusi Giovanni, ma chi è questo Ceci? Loconosce lei?”L'altro: “Chi, il Bomba! Certo! E' una vec-chia conoscenza del Ministero: si è ripassatotutti i ministri degli ultimi venti anni: hafatto il consulente a tutti, ma l'apoteosi l'haraggiunta con Rutelli prima e poi con laBrambilla. Ah, lì ha fatto scatafasci; trovatedi genio, come quella del reggicalze dellaRossa stile Sharon Stone che ha inventatolui! Sa, lui era convinto che come il maschioromagnolo era di grande interesse per il tu-rismo d'Oltralpe, la rossa di Lecco avrebbe

attirato i ricchi turisti brasiliani e russi. Mapoi, guardi, lui è un fantasioso, direi un fan-tasista; ma è anche uomo concreto. Pensiche con la sua società Netbooking ha giàvinto una gara d'appalto per l'Expo banditaappena tre mesi fa: è così veloce che appenauna settimana dopo la costituzione del-l'azienda, aveva già trovato il progetto giu-sto per la richiesta del bando. E' proprioforte. Oh, è stato democristiano, ma micamoscio come quei vecchi pachidermi: lui nel1991 ha avuto la trovata di portare uncarro armato nel paesino di Cavriago perconvincere il sindaco a togliere il busto diLenin dalla piazza. Un rottamatore vero!”Il fido D'Andrea corre ad informare il Mini-stro delle strepitose doti del Ceci. France-schini esulta: “Lo nomino subito Generaledi Corpo d'Armata – reparto carristi delletruppe della rivoluzione!”

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arriva, è il grande vano che contiene iservizi, con una parete articolata chenasconde uno dei vani scale, ed unacopertura a vela di stampo “decostrut-tivista”. Ma insieme a questo si fannonotare sia il grande ingresso copertoda una struttura frangisole a doppia al-tezza, sia la grande parete vetrata cheospita la sala del bar e degli spazi di ri-

storo.Le parti destinate alla degenza sono ri-vestite con una parete ventilata dicotto in liste e listelli che fornisce unavisione “familiare” ai cittadini diquest’area posta ai confini con la zonadel cotto fiorentino. Infine nella parte più lontana dagli ac-cessi sono collocate le grandi auledelle palestre che sono come “rac-chiuse” all’interno di una cornice mu-raria rivestita in pietra chiara chemette in risalto le grandi pareti vetrate. Un edificio che non si offre immedia-tamente come un insieme ma chedeve essere percorso dallo sguardo inogni particolare per coglierne gli ele-menti qualificanti, e che costituisceuno dei poli della “qualità” del sistemasanitario toscano nel settore della ria-bilitazione.

di John Stammer

La signora parlò con calma ma de-cisa. Voleva sapere se la costru-zione del nuovo centro sanitarionelle vicinanze avrebbe potuto

compromettere la sua attività di floro-vivaista. E voleva sopratutto essere ras-sicurata che il suo lavoro potessecontinuare. L’assessore la rassicurò elei se ne andò tranquilla, ma con unapunta di scetticismo. Oggi chi passa davia di Scandicci può ancora vedere ilcancello di ingresso all’attività di flo-rovivaista e, sullo sfondo, il grandecomplesso del Don Gnocchi. Nelleimmediate vicinanze del piccolo vi-vaio è stato infatti costruito a partiredal 2007 (il 6 ottobre 2007 è stataposta la prima pietra), il nuovo centrofiorentino della Fondazione DonGnocchi. Due facce di una città spessoraccontata solo con i suoi “monu-menti” e che invece contiene moltoaltro. La convivenza fra il mondo dellafloricultura e quello della cura dellapersona e della riabilitazione, è da-vanti agli occhi di tutti.La Fondazione Don Gnocchi era in-sediata a Firenze dal 1951 quando aprìil suo centro in una grande villa sullecolline di Pozzolatico. Una villa che hasvolto la sua funzione fino al 24 otto-bre 2011 quando il nuovo centro èstato inaugurato.Il centro è contiguo all’ospedale di SanGiovanni di Dio in località Torre Galli,anch’esso oggetto recentemente di unampliamento e di un intervento di ri-strutturazione funzionale. L’area costi-tuisce uno dei poli socio-sanitari dellacittà che fornisce servizi alla popola-zione della zona sud ovest dell’area fio-rentina e, per quanto riguarda il centrodi riabilitazione del Don Gnocchi, agran parte della Toscana centrale. Il Centro, il cui vero nome è IRCCS(Istituto di Ricovero e Cura a Carat-tere Scientifico) è stato realizzato suprogetto di Salvatore Romano, conAndrea Santini e Francesco Martella,ed è adagiato sulle primissime pro-paggini del lato ovest della collina diMarignolle. L’Istituto si presenta allavista come un edificio complesso. Einfatti complesso lo è anche nella or-ganizzazione e nel numero dei serviziprestati.Le dimensioni sono quelle di ungrande centro di servizi con oltre24.000 mq di superficie, 1.800 mq dipalestre, 17 ambulatori per la riabilita-zione, un polo formativo con 9 aule,oltre a 175 posti letto, di cui 25 unitàdi riabilitazione intensiva ad alta spe-cializzazione.La parte che guarda la via di Scandicci,e il vivaio, contiene i servizi generali ele palestre, mentre la parte posteriore,verso la collina, contiene le stanze didegenza (anche in day hospital), orga-nizzate in tre stecche perpendicolarialla collina stessa, e in una condizionedi maggiore “riservatezza” rispetto aiparcheggi e agli accessi del pubblico.Il centro Don Gnocchi è un edificioche va osservato nei particolari.L’elemento di maggior spicco, per chi

PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ

la cittadelladella salute

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dal Dadaismo alla Mail Art – pas-sando per la Performance Art –Guglielmo Achille Cavellini èstato uno dei maggiori promo-

tori dell’Arte Contemporanea, sia comeartista che come collezionista e mece-nate. La sua intensa attività lo ha con-dotto, negli anni Settanta, ad“autostoricizzarsi”, creando una rete dicomunicazione internazionale attornoal Sistema dell’Arte ed esaltando la fi-gura dell’artista attraverso l’autopromo-zione. Le sue opere sono state un atto di co-municazione compiuta, originale e in-tenzionale: operazioni concettuali dalsapore provocatorio e ironico, capaci dievocare le immagini-simbolo della con-temporaneità in modo nuovo e inedito.Quello di GAC è un “nuovo realismo”in cui dissacrare l’arte e la poetica ridut-tiva della modernità, grazie a un giococontinuo di rimandi semantici che hacoinvolto a livello mondiale artisti e ten-denze in una divulgazione comparteci-pativa delle infinite possibilitàdell’espressione umana in campo arti-stico ed estetico. Gli Scritti, le Mostre adomicilio, i Francobolli, gli atti perfor-mativi, le operazioni autodirette e i Ma-nifesti di GAC incarnano pienamentel’ambizione a opporsi a un sistemachiuso, incapace di fornire opportunitàa un artista e a un intellettuale, consape-vole che le proprie potenzialità espres-sive venivano negate in nome di unamodernità ormai in declino. La speri-mentazione e l’innovazione non si riflet-teva sull’immagine, ma si poneva dentroe oltre l’immagine-simbolo del tempo,alla scoperta primigenia di una rivolu-zione comunicativa umana e di unanuova condizione dell’arti-sta, in quanto rivaluta-zione dell’identitàestetica, che dovevaimporsi con forzaagli occhi dei con-temporanei. Ilgesto estetico sicaricava di ognipossibile e imma-ginabile signifi-cato, divenendoelemento univer-sale di comunica-zione edecodificazione:l’idea di Arte venivaesibita in tutto il suopotenziale, nel con-tempo, contenuto seman-tico. Ne derivano audacicomposizioni che verbalizzavano e tea-tralizzavano i miti di un mondo in deca-denza che andava rinnovato alla luce diuna rivoluzione comunicativa fuoridagli schemi, operando nell’intimo delquotidiano. Primo fra tutti GuglielmoAchille Cavellini ha colto l’idea del pre-sente in quanto presente, della necessitàdi un rovesciamento dei mediumespressivi, unendo l’arte alla vita. Promossa e condotta da Progettoutopianello Spazio Contemporanea di Brescia

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

In alto a sinistra Tutti frutti, 1968, Carbone e carta adesiva sutavola cm 98x66, a destra Serie dei Cimeli, 1980 Assemblaggioin teca di legno cm. 101x71x10,5Sotto Personaggi della Storia. Cavellini 1914-2014, 1981Serie Storicizzazioni. Collage su tavola cm. 146x102A sinistra Corona, 1984, Collage di adesivi su cartone, elementoper la performance allaGalleria Nucleo di BolognaDiametro cm. 20 h. cm. 10Tutte Courtesy Collezione Carlo Palli, Prato

il mecenate

Guglielmo Achille Cavellini

(11-12-13 settembre), si è svolta la Ce-lebrazione Ufficiale del Centenario diGuglielmo Achille Cavellini. Introdottadell'Ambasciatore cavelliniano FaustoPaci e dello storico protagonista dellamail art Vittore Baroni la celebrazione èstata un momento di ricordo e di parte-cipazione, con performances e happe-nings collettivi, che non ha fatto altroche sottolineare l’attualità di un artistaancora inedito e insuperato.

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.com sabato 20 settembre 2014no91 PAG.7C.com OCCHIO X OCCHIO

emileSavitry

di danilo [email protected]

Fra i molti nomi che affollano la scenadella fotografia francese fra gli anniTrenta e gli anni Sessanta, accanto aDoisneau, Izis, Brassai, Cartier-Bres-

son, Willy Ronis ed Edouard Boubat, tro-viamo i nomi di molti altri autori, forsemeno noti, anche se non meno dotati deicolleghi più famosi. Fra questi fotografi,interpreti autentici della vita quotidianacosì come della vita culturale ed artisticaparigina, troviamo ad esempio Emile Sa-vitry (1903-1967), nome d’arte di EmileDupont, che spende la sua vita fra pittura,fotografia, musica e poesia, senza nessunavoglia di affermarsi veramente in nessunodi questi o di altri campi, troppo impe-gnato a vivere la propria esistenza e le pro-prie esperienze per dedicarsi interamentea nessuna delle arti che pratica. Amico delpittore André Derain e di alcuni surrealisticome il poeta Robert Desnos ed il pittoreGeorges Malkine, Savitry espone alcunisuoi quadri nel 1929 con la prefazione diLouis Aragon, ma davanti al successo divendite fugge verso le isole del Pacifico,dove incontra il regista Murnau mentresta girando il suo ultimo film “Tabù” edove decide di diventare fotografo. Al suoritorno nel 1930 incontra a Toulon il mu-sicista jazz Django Reinhart e lo porta consé a Parigi, va ad abitare in rue Boulard, vi-cino al cimitero di Montparnasse, e co-mincia a passare da un locale notturnoall’altro, da quelli più infimi di Pigalle finoalla prestigiosa Cupole, dove conosce per-sonaggi come Anais Nin, Pablo Neruda,Alberto Giacometti ed altri dello stesso li-vello, legandosi in una profonda amiciziacon Jacques Prèvert. Lavora professional-mente per l’agenzia fotografica Raphodove conosce Brassai, Ylla ed Ergy Lan-dau, e dove nel dopoguerra confluisconoanche Robert Doisneau, Izis e WillyRonis, lavora per qualche tempo nell’am-biente del cinema con Marcel Carné edaltri registi, dove fotografa gli allora giova-nissimi Serge Reggiani ed Anouk Aimée,pubblica le sue foto su molte riviste illu-strate come Point de vue, Picture Post eRéalités e collabora con riviste di modacome Vogue ed Harper’s Bazaar. Allastessa epoca incontra e fotografa perso-naggi come Charles Chaplin, Colette,Edith Piaf e la allora diciottenne BrigitteBardot, ma la lista delle sue amicizie e deipersonaggi da lui fotografati sarebbetroppo lunga. Negli anni Sessanta torna dinuovo alla pittura, forse considerandoesaurita la sua lunga parentesi fotografica.Nel corso di una intensa attività Savitry fo-tografa molto e si occupa di temi molto di-versi, ma le sue immagini migliori, accantoai ritratti di artisti, intellettuali, poeti ed at-tori, ed accanto ai suoi delicati studi dinudo femminile, sono quelle legate allavita vera, come quelle scattate all’arrivo inFrancia degli esuli spagnoli dopo la cadutadi Barcellona, o quelle scattate nellestrade, nei locali ed ai personaggi della suaParigi. Grande interprete della vita pari-gina, da quella popolare a quella delleclassi colte, partecipe della grande vivacitàintellettuale e culturale dell’epoca, vicinoai personaggi noti o sconosciuti che foto-grafa, esponente di primo piano di quella

che sarà indicata come la “photographiehumaniste”, Savitry, al contrario degli altrifotografi della sua stessa generazione edel suo stesso milieu culturale, non godein vita di quella fama che in realtà non hamai cercato, non avendo mai pubblicatodei fotolibri e non avendo mai esposto lesue opere in mostre personali. Per lui il ri-conoscimento arriva molto più tardi, condelle grandi retrospettive organizzate aquarantacinque anni dalla sua scomparsa,a cura di Sophie Malexis.

unfotografo

di Montparnasse

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.com sabato 20 settembre 2014no91 PAG.8HO SCELTO LA TOSCANA

atteggiamento decisamente molto giap-ponese e poco italiano (purtroppo) e leiribadisce: “Vivo con la convinzione didovere essere utile alla società. Me l’hatrasmessa mio nonno, fondatore di unafabbrica a Yokohama. Così, dopo molteriflessioni, ho scelto di venire in Italiafondando una nuova società commer-ciale a Pisa. Qual è la tua professione adesso? La società che ho fondato si chiamaDesk Point e si occupa di vendita di pro-dotti informatici. Ma mantengo anchegli interessi che avevo in precedenza: nel2009 ho fondato, sempre a Pisa, l’Asso-ciazione Culturale Italo GiapponeseMIRAI (“futuro” in giapponese), di cuisono Presidente, organizzo convegni esono promotrice del progetto HealingArt all’Ospedale di Pisa.Che cos’è esattamente?E’ un progetto in collaborazione conuna università privata femminile diBelle Arti a Tokyo (Joshibi University),

basato su uno studio scientifico praticosull’effetto rilassante dell’ambiente, par-tendo dalla struttura architettonica, l’ar-redamento degli interni, l’uso dei colori.E’ un progetto di “umanizzazione” del-l’ospedale, volto a rendere migliore,meno traumatico, il ricovero ospeda-liero.Hai un’attività davvero composita. E’ fa-cile lavorare in Italia e in Toscana partico-larmente?Proprio no! La mentalità è chiusa, cisono continui inceppi burocratici, pernon parlare, in questa mia ultima espe-rienza, della scarsa consulenza ricevutadall’ente pubblico, che ci ha bloccato illavoro per alcuni mesi, naturalmentecon un danno economico. Un caso delgenere in Giappone sarebbe stato con-siderato gravissimo. Qui invece…Molti italiani si limitano a dire “Questaè l’Italia”, pensando di sdrammatizzaree come a dire che la colpa è sempre

degli altri. Ma “gli altri” non esistono:l’Italia è fatta dal suo popolo. La rasse-gnazione, l’attesa che le cose cambinosenza agire sono difetti italiani a cui nonmi abituo.E allora perché scegliere Pisa per vivere? La Toscana, l’Italia tutta, è meravigliosa.Qui la gente è creativa e riesce a trovareil tempo per i propri interessi di vita. InGiappone si lavora troppo, non vi èdubbio. Però i Giapponesi lo fanno per-ché credono nel loro contributo versola società. Si potessero mescolare i duecaratteri avremmo una società fanta-stica. E’ con questa speranza che portoavanti i miei progetti di scambio!Ti dico Toscana e pensi?Al suo paesaggio collinare, al climadolce. E a giorni di vacanza trascorsi“all’italiana”…E se dico Giappone? La risposta di Yukako arriva immedia-tamente: Penso a un grande lavoratore.

di Burchiello 2000

ha scelto la Toscana, ma non le ri-sparmia, giustamente, le criti-che. Quando è venuta in Italiada Tokyo, per la prima volta, Yu-

kako Yoshida aveva 8 anni: suo padre,appassionato di civiltà antiche la gui-dava per Roma raccontando a lei e a suasorella la storia dell’impero romano.Non ricorda molto altro di quel viaggio:lei e sua sorella in albergo mentre lamamma faceva shopping e poi la clas-sica truffa a Napoli: un uomo in divisache le spinge a prendere un taxi soste-nendo che quel giorno non c’erano treniper Roma perché era sciopero.La vera bellezza dell’Italia, da nord asud, fino in Sicilia, l’ha scoperta dopo, a21 anni, quando, in viaggio conun’amica, è rimasta così colpita dall’ar-chitettura italiana da decidere di stu-diare Storia dell’Urbanistica Italianaall’Università.Da quel momento in poi, l’Italia è statasempre presente nella vita di Yukako,che, nel frattempo, si è laureata in Inge-gneria (ramo architettura) e ha iniziatouna brillante carriera accademica. APisa, dove si reca nel 1999 con unaborsa di studio, trova alloggio pressouna signora, maestra di scuola materna,che le insegna l’italiano e con cui stabi-lisce un legame profondo di amicizia;continua poi a soggiornare a Pisa in pe-riodi alterni finché non sviluppa la de-terminazione di voler contribuire almiglioramento della società italiana,“come ringraziamento per la borsa distudio e l’affetto degli amici italiani in-contrati”.Mi viene da osservare che questo è un

di Annalena [email protected]

Domenico di Giovanni, detto il Bur-chiello, fu animatore di burle e di pun-genti critiche con gli amici artisti delXVI secolo e artista anch’egli. Restòprofondamente apprezzato nell’amici-zia

La prima obiezione è subito immagi-nabile: “la cifra raccolta a livello nazio-nale per la Sla (Associazione SclerosiLaterale Amiotrofica) è in Italia di216.000 euro (a Firenze inferiore amille euro) !”. E’ mai possibile che sin-daci, assessori e primi ministri, ab-biano avallato questo gestodell’autogavettone ghiacciato per rac-cogliere un po’ di euri ? Ma il dannod’immagine, in stupidità assoluta, èstato calcolato?Una volta il “gavettone” era definitogesto da caserma e messo all’indice;ora sopravvive e diventa simbolo di“appartenenza”, di condivisione peruna buona causa. Avremmo dato ildoppio, in silenzio, pur di evitare que-sta pagliacciata che ha connotatol’estate toscana, ma il processo diomologazione è stato inarrestabile e ilservilismo opportunistico ha ancorauna volta trionfato. Fino a quando?

PASQUINATE

di emiliano [email protected]

“Stamattina ho messo le tue scarpe”per partire in un percorso nei luoghidella malattia mentale, toccando eguardando in prima persona la realtàdei “matti”. Sabato 20 e in replicadomenica 21 settembre Pesaro acco-glie la seconda edizione di questoviaggio, ideato e diretto da ElenaMattioli e Flavio Perazzini del collet-tivo LeleMarcojanni e prodotto daCooperativa sociale Alpha: un invitoa scoprire una realtà che, se noncoinvolge direttamente familiari oprofessionisti del settore, è som-mersa dalla routine quotidiana.Molti aspetti del nostro vivere in-sieme sono sconosciuti e a volte, perquesta ragione, temuti o stigmatiz-zati; avere la possibilità di avvici-narsi al mondo della malattiamentale attraverso una narrazionemediata è un modo per conoscere,approfondire, capire. Una mezzagiornata scandita da tre movimenti:l’assenza (un’immersione in solitu-dine nell’ex Struttura Residenziale eRiabilitativa di Bevano, la scoperta(un documentario proiettato suimuri di Pesaro che racconta le storiedegli ex pazienti) e il ritorno (un

L’APPUNTAMENTO

La secchiata Stamattinaho messole tuescarpe

moltiplicatricee certificatricedella stupiditàin cuiè precipitatala politicaitaliana

“un po’di Giappone

un po’d’italia

Che bellosarebbe”

momento di confronto collettivo).Alcune storie raccolte nella Strut-tura Residenziale e Riabilitativa diBevano sono state riscritte da Lele-Marcojanni e trasposte in immaginidall'illustratore lombardo GiordanoPoloni. Le illustrazioni rappresen-tano elementi di un percorso narra-tivo che accompagna fino allegiornate del 20 e 21 settembre esono pubblicate online sul sito ho-messoletuescarpe.it a cadenza setti-manale.

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.com sabato 20 settembre 2014no91 PAG.9C.com VISIONARIA

di Simonetta [email protected]

proprio dietro a quel tratto delcanale Saint Martin che con lesue chiuse, l'acqua che scorrequasi all'altezza della strada

sotto i piccoli ponti in ferro e legno,gli alberi, i bistrot e i colorati nego-zietti è uno dei luoghi più romanticidi Parigi, sorge il gigantesco ospedaleSaint Louis, il più antico della città,oggi monumento storico perché rite-nuto uno dei più begli esempi archi-tettonici in stile Luigi XIII. La suastoria vale la pena di essere raccon-tata.Gli abitanti di Parigi dal 1482 al 1660furono decimati da ben sei epidemiedi peste. Gli appestati venivano am-massati e lasciati morire nell'unico“ospedale” a disposizione, l'Hotel-Dieu, nelle capanne di paglia e fangoche venivano costruite per l'occa-sione alla periferia e nelle case requi-site alle persone malate o morte, ma,non essendo sufficientemente isolati,il contagio si univa alle pessime con-dizioni igieniche della città diffon-dendosi sempre di più. L'ambiziosoEnrico IV, che si stava impegnando atrasformare Parigi in una città mo-derna, decise di far costruire un ospe-dale, unico nel suo genere in Europa,interamente dedicato alla peste in au-silio all'Hotel-Dieu nei periodi di epi-demia. L'opera cominciò nel 1607(non si sa esattamente chi fu l'archi-tetto che lo progettò, se Claude Velle-faux o Claude Chastillon) e finì nel1612, due anni dopo la morte di En-rico IV che però ebbe il tempo di de-dicare l'ospedale al suo antenato LuigiIX che la leggenda voleva fosse mortodi peste in Tunisia nel 1270 durante

una crociata. L'idea, nuova peril tempo, era quella, non tanto di cu-rare, cosa ritenuta impossibile, ma diisolare completamente gli infetti dalresto dei cittadini. Il luogo presceltoper la costruzione era fuori le antichefortificazioni, ai piedi della collina diBelleville, in una zona adibita a disca-rica dell'immondizia per gli abitantidella zona nord di Parigi. L'anticoospedale Saint Louis ha la struttura diuna fortezza con un alto muro di cintache racchiude uno spazio aperto qua-drato dai lati di 120 metri circondatoda belle costruzioni di mattoni e pie-tra che erano adibite ad uffici e caseper il personale. Questo impianto ar-chitettonico ricorda quello di Placedes Vosges e le facciate quella della bi-blioteca Nazionale in Rue Vivienne,entrambi costruiti nello stesso pe-riodo. Al primo seguiva un altromuro che racchiudeva la zona doveerano tenuti chiusi i malati. Il muroesterno, come una vera fortificazioneaveva un largo cammino di ronda perle guardie armate. Essendo l'accessoproibito al pubblico esse dovevanoimpedire qualsiasi incursione o con-tatto tra interno ed esterno. DentroSaint Louis c'erano il frutteto, l'orto,le stalle, i magazzini ma anche la far-macia, la cappella e il cimitero che fa-

cevano sì che questo piccolo mondoinfetto fosse autosufficiente. I malati,isolati da questi due alti muri di recin-zione, stavano in 4 grandi stanzoni dalsoffitto di circa 8 metri al terzo pianodella costruzione più interna dellafortezza-ospedale. Gli stanzoni nonerano collegati tra loro ed a ognuno siaccedeva da una scala esterna. Le fi-nestre erano poste molto in alto perevitare che gli infetti si potessero af-facciare, le latrine, pochissime per ilnumero delle persone, erano sempremaleodoranti per la scarsità d'acqua adisposizione, le fogne erano a cieloaperto.Saint Louis che tra un'epidemia e l'al-tra serviva ad altre funzioni, quali ac-cogliere mendicanti o mettere i suoigrandi ambienti a disposizione dellostoccaggio di grano, ma, finita la mi-naccia della peste, rischiò di essereabbattuto in seguito alla nascita dialtri ospedali ma poi la Rivoluzioneprima e il dilagare delle malattie ve-neree dopo scrissero nuovi capitolinella sua storia. Oggi l'ospedale SaintLouis, con l'antica struttura bella e in-contaminata (da visitare perché

ormai il pubblico puòentrare) affiancata dauna moderna con piùdi 1500 posti letto, èun centro d'impor-tanza mondiale nel

campo della dermatologia. Annessoc'è il museo des Moulages, anch'essodichiarato monumento storico, con lapiù grande collezione al mondo dicere anatomiche (4700 pezzi) e nellevetrine, in ordine alfabetico, docu-mentazione ed esempi di tutte le ma-lattie della pelle. La visita, daconsigliare solo se si è altamente mo-tivati, è su appuntamento.

Nel chiostro delle geometrie è uncomposito progetto/laboratorio diteatro-architettura realizzato da Tea-tro Studio Krypton e Dipartimentodi Architettura dell'università di Fi-renze (DIDA), diretto dal Prof. Save-rio Mecca, un evento sostenuto daEstate Fiorentina del Comune di Fi-renze e sponsorizzato da Firenze Par-cheggi, che ha come fulcro ilChiostro di Santa Verdiana, nel cuoredella città e nel quartiere di Sant'Am-brogio. Si intitola Demolizione la per-formance inaugurale di Teatro StudioKrypton che sabato 20 settembre alleore 21,30 avrà luogo in piazza Anni-goni. Durante la performance operaie macchine edili apriranno un varconel muro che separa la piazza dalcomplesso di Santa Verdiana, mentreCauteruccio e gli studenti del labora-torio “presidieranno” il luogo del-l'azione urbana.

L’APPUNTAMENTO

nel chiostrodelle geometrieSCAVEZZACOLLO

di Massimo [email protected]

Circ

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Se il circolo è vi-zioso, il rombocom’è?

un Lazzarettoall’avanguardia

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.com sabato 20 settembre 2014no91 PAG.10LUCE CATTURATA

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di Sandro Biniwww.deaphoto.it

di Alessandro [email protected]

MUSICA MAESTRO

Cenedl heb iaith, cenedl heb galon(un popolo senza lingua è un po-polo senz’anima) recita un prover-bio gallese. Questa lingua, la piùparlata fra quelle celtiche, vieneutilizzata da 1/5 della popolazioneregionale (600.000 persone). Come è accaduto a tante altre lin-gue minoritarie, il gallese ha tro-vato nella musica uno strumentofondamentale per sopravvivere. Uno degli esempi più recenti èTincian (Real World, 2014), il se-condo CD dei 9bach, un gruppogallese che sembra destinato a rag-giungere la celebrità in tempibrevi. Non a caso Froots, una dellepiù autorevoli riviste di worldmusic, gli ha dedicato la copertinadi maggio. 9bach, che deriva da un gioco diparole, significa “piccola nonna” ingallese. Il gruppo è stato fondatonel 2005 da Lisa Jên (voce, piano eharmonium) e Martin Hoyland(chitarre e percussioni). Nel 2009ha debuttato con il CD omonimo(Gwymon, 2009).In Tincian il duo è affiancato da AliByworth (batteria), Esyllt GlinJones (arpa gallese, voce), MirainHaf Roberts (voce) e Dan Swain(basso).Composte da Lisa Jên, le diecicanzoni sono tutte cantate in gal-

lese, eccetto una in greco, la con-clusiva “Asteri Mou”. Non si tratta di folk in sensostretto: il disco contiene un solo

brano tradizionale, “Pa Le”. Sitratta invece di una musica che at-tinge alla tradizione gallese perproiettarla nel ventunesimo secolo.

Lo denota fra l’altro la ritmica di“Lliwiau”. Ad ogni modo, volti eluoghi legati alla storia galleseemergono in molti brani: “Ffar-wel” e “LLwybrau”, per esempio,sono tratte da poesie locali. In “Pe-byll” spicca lo struggente intrecciodi voci che chiude il brano. “Plen-tyn” è dedicata alla tragedia dei co-siddetti stolen children (bambinirubati), i piccoli aborigeni austra-liani che furono strappati alle pro-prie famiglie nel secolo scorso. Èl’omaggio inconsueto e sincero cheuna minoranza offre a un’altra, tra-scendendo le evidenti differenzestoriche, culturali e geografiche. Il legame con l’Australia - dove ilCD è stato registrato - non è ca-suale. Negli anni scorsi, infatti,Lisa e Martin hanno collaboratocon il collettivo aborigeno BlackArm Band nel progetto Mamiaith(Madrelingua). Oltre 17000 km separano da Car-diff da Canberra, ma la comunebattaglia per la difesa dell’identitàculturale ha annullato questa di-stanza. Il gruppo sottolinea ulteriormenteil proprio impegno culturale conun sito bilingue (www.9bach.com)

Folk gallese del xxi secolo

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.com sabato 20 settembre 2014no91 PAG.11C.com

un pezzo di città negata, ne-gletta, segregata direi. San-t’Orsola è un enormequadrilatero infilato nel cen-

tro storico di Firenze, inaccessibile ein rovina da decenni. Lo ricordo cosìfin da quando ero adolescente e conl’organizzazione dei giovani comuni-sti italiani (che aveva la propria sedelì di fronte, in via Guelfa) organiz-zammo una occupazione simbolicaper denunciare lo stato di abban-dono e la previsione di un utilizzo anostro avviso poco sociale da partedella Guardia di Finanza e comun-que stravolgente della sua valenzastorico-architettonica. Le cose poisono andate anche peggio di comenoi temevamo; abbandono totale,degrado, decadenza. Molti sono statii tentativi di recupero della strutturaoperati dalla Provincia di Firenzeche, attraverso varie vicissitudini bu-rocratiche, ne è venuta in possesso,ma senza esiti perché, evidente-mente, l’investimento di soggetti pri-vati richiesto per recuperare ilcompendio si è rivelato troppo in-gente rispetto alle possibilità di am-mortizzamento e recupero.

PECUNIA&CULTURA

di Simone [email protected]

S.orsola

Pablo Picasso (Malaga 1881-Mougins 1973) Figura 1928,olio su tela, cm 73 x 60. Collezione del Museo Nacional Cen-tro de Arte Reina Sofia, Madrid

(ri)vivrà

Buonenuoveper laStrozzina

Ma la cosa davvero notevole è che intorno a questoparallelepipedo storico sfregiato da interventi in ce-mento armato successivi e abbandonato all’incuria, ilquartiere, le associazioni dei cittadini, gli operatorieconomici si sono mobilitati e hanno avanzato pro-poste, hanno stimolato (anche criticato, come deveavvenire in democrazia) e, infine, provocato aperturedi Sant’Orsola per far comprendere di cosa stiamoparlando. Così avverrà nella tre giorni de “La cittàdentro San Lorenzo” fra il 25 e il 27 settembre pros-simi. Musica, teatro, letture, installazioni artistiche,mostre, incontri organizzati da Fondazione StudioMarangoni e i cittadini organizzati nel Sant’OrsolaProject, per sollevare il velo di silenzio e indifferenzache si è ormai depositato da anni sopra questa feritaaperta nel cuore di Firenze. Noi di Cultura Comme-stibile ci saremo e sosteniamo questa impresa non di-sperata ma carica di speranza degli abitanti delquartiere.

di Michele Morrocchitwitter @michemorr

ICON ICON

Ritornano le mostre a Palazzo Strozzie ritornano col nome forse più uni-versalmente noto dell’arte ormai mo-derna e non più contemporanea:Picasso. Un nome, come dice il cura-tore della mostra Eugenio Carmona,che “si trova dappertutto, come lo spi-rito santo”; dunque un sicuro suc-cesso di pubblico, un grande rischioscientifico. Rischio che il curatore in-sieme al Museo Nacional Centro deArte Reina Sofia di Madrid, presta-tore pressoché esclusivo delle operedi questa mostra originale, rendono alminimo attraverso un percorso che sisnoda tra le varie sale, in cui si avverteil tentativo di trattare Picasso, dicen-done la verità. Dunque un Picassonon irreggimentato in stili, scuole ecorrenti artistiche, né voluto spiegarefino in fondo, ma mostrato, divulgatonelle sue ossessive mutazioni, esem-plificate dalle tre opere “pittore e lamodella” che aprono, inframezzano echiudono la mostra. Quello cheemerge con forza è “l’artista che cam-mina verso il nuovo – è sempre Car-mona a parlare – ricordando sempreil passato” il suo ma anche quello ditutta l’arte che lo ha preceduto. E’ quiche Cristina Acidini, sempre durantela conferenza stampa, disvela il le-game possibile tra questa mostra e Fi-renze: il Picasso rinnovatore, che nonimprovvisa, ma rilegge e raffigura iclassici dell’arte e del mito. Come ap-pare evidente in Guernica, a cui è de-dicata un’intera sala di bozzetti, studi,opere che la precedono e la seguono.La rilettura del mostro mitologico, il

Buone notizie per l’arte contemporanea.Nella conferenza stampa di presenta-zione della mostra di Picasso il direttoredi Palazzo Strozzi, James Bradburne,ha assicurato che l’arte contemporanearimane un elemento imprescindibile perla fondazione e che già nel prossimomarzo tornerà una mostra alla stroz-zina. “la strozzina vivrà”, assicura il di-rettore e noi, seppur preoccupati per lalunga attesa di qui a marzo, confidiamonelle sue parole. (m.m.)

minotauro, delle figure classichecome i cavalli, che l’artista utilizza perdescrivere una barbarie mai vista.Una sala in cui si percepisce l’ango-scia di Picasso ma anche il grandetormento di voler trovare la chiaveuniversale per raffigurare quell’orroreche accadeva accanto a lui. E poi oltrePicasso innumerevoli artisti spagnoli,dai ben noti Mirò e Dalì ad artistinon noti al pubblico italiano che af-fiancano il percorso “picassiano”, lo

inseriscono in un contesto, ne mo-strano le influenze comuni e quelleche da Picasso derivano. Accanto allamostra, come sempre, molte inizia-tive per questo lungo percorso cheinaugura il 20 settembre e termina il25 gennaio prossimo, tra letture,eventi e laboratori per bambini checoinvolgeranno oltre palazzo strozzitante realtà fiorentine, per pro-gramma ed informazioni www.palaz-zostrozzi.org

un viaggio dentro picasso

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suo elemento creatore e vista nel suoversante ammaliante. Le 16 fotografieche costituiscono la serie sono statescattate nell’autunno-inverno 2013nell’atelier Idem di Parigi, dove daoltre un secolo sono prodotte litogra-fie dei più grandi maestri dell’arte delXX secolo, da Picasso a Braque, daMatisse a Chagall. Sarà presentatoanche un documentario, Idem Paris,realizzato dallo stesso Lynch e dedi-cato al famoso atelier. E’ in questoluogo divenuto leggendario che l’arti-sta scopre nel 2007 la tecnica litogra-fica, da allora ha realizzato di suopugno oltre 200 grafiche, un’ampia se-lezione delle quali possiamo vederequi a Lucca, una tecnica “intimista”che gli ha permesso di declinare le suevisioni in inedite dimensioni poetiche,pur mantenendo uno stile graffiantecon tematiche spesso noir. L’orrore e il dramma celato nel quoti-diano lasciano trasparire nelle imma-gini litografiche, e spesso nei titoli,barlumi di speranza nella possibilitàd’individuare frammenti poetici ingrado di riscattare la tragedia umana.Temi sulfurei ma anche romantici,dalle aberrazioni fisiche all’incomuni-cabilità della coppia, dall’inesaustaambizione all’amore alla passionemortifera, dalla casa come rifugio maanche ricettacolo di atti perversi edesecrabili, sino alle macchine. Il percorso espositivo sarà integratodalle proiezioni di cortometraggi eproduzioni audiovisive meno note diDavid Lynch, come videoclip e spotpubblicitari.

CCUO

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Medaglia del palio

Fa visita a uno fra le decine di amici vec-chietti, collezionisti, trovarobe, artigianidalle infinite abilità manuali, questo glimostra le sue monete e, per ringraziarlodella visita, gli propone di prenderequella che più gli piace...Rossano, mipare di averlo già detto, genio dell'og-getto d'epoca sceglie questa che è per luidel tutto ignota e incomprensibile. Stu-dia e cerca per darle un senso e poi chefa? scrive alla "nobilecontradadelbruco".Contrada... Palio...Siena. Ecco qua lacortese risposta: "Buongiorno Sig. Rossanosono Francesco Tiravelli, Archivistadella Nobil Contrada del Bruco.L'oggetto che lei possiede risale alle festeche furono fatte nei vari rioni a Siena nel1896 in occasione dell'inaugurazionedel monumento a Giuseppe Garibaldi.In quell'occasione la Società delle FestePopolari (una Società di Mutuo Soc-corso formata dagli appertenenti e abita-tori del rione del Bruco), si adoperò perilluminare al meglio tutto il territoriodella nostra Contrada, e, nella parte infe-riore della via principale, venne postauna statua in gesso bronzato raffigurante

Anita Garibaldi.La medaglia commemora quell'evento.In molte parti della toscana il nome"Anita" veniva spesso scritto e registratoall'anagrafe appunto come "Annita".La statua è purtroppo andata perduta.Il nostro archivio conserva pochi docu-menti di quell'evento e non eravamo aconoscenza dell'esistenza di questa me-daglia commemorativa, che rappresentauna lieta scoperta.Venga a trovarci a Siena quando vuole,saremo lieti di farle visitare i nostri localie il nostro Museo.Cordiali saluti".Come tutti sanno "il Palio non è unamanifestazione riesumata ed organiz-zata a scopo turistico, il Palio è la vita delpopolo senese nel tempo e nei suoi di-versi aspetti e sentimenti...."Esiste da tempo immemore, citato daDante "Molti corrono il Palio, ma uno èquello che 'l prende"e da Caterina, la Santa, "Orsù figliolidolcissimi, correte questo palio e fate,che solo sia uno, quello che l'abbia, cioèche 'l cuore vostro non sia diviso"...Nel1644 fu corso il primo simile a quellodei nostri giorni, le 17 Contrade furonedefinite nel 1729 da un Bando di Vio-lante di Baviera, Governatrice della città,e tuttora resistono....Arrivo a Siena un

sabato per vedere il restaurato pavi-mento del Duomo e incappo in unaFesta di Battesimo di nuovi contradaioli,tantissima gente, bambini e grandi, gio-vani e vecchi, bandiere, tamburi, abiticolorati, al ritorno tavole imbandite perpiù di 300 persone, senesi, tutti senesi,nemmeno un turista invitato.

a cura di Aldo [email protected]

ICON

david Lynch sarà l’ospited’onore della decima edizionedel Lucca Film Festival, direttada Nicola Borrelli, evento so-

stenuto dalla Fondazione Cassa di Ri-sparmio di Lucca.Oltre a una retrospettiva completa deisuoi film, il Festival presenterà in ante-prima nazionale, nei nuovi spazi del-l’Archivio di Stato, la grande mostraDavid Lynch. Lost Images. L’indiscretofascino dello sguardo, a cura di Ales-sandro Romanini, sarà dedicata all’ine-dita attività di fotografo e litografo delregista americano, Lost Images sonoimmagini perdute, ritrovate e qui cri-stallizzate su carta, visioni surreali, in-quietanti, oniriche, superstradedimenticate sulle quali lo sguardo ri-percorre i sentieri perturbanti prodottidall’universo creativo di Lynch. Visionie temi ricorrenti che hanno caratteriz-zato i suoi film più famosi, da Eraser-head a The Elephant Man, da VellutoBlu a Cuore Selvaggio, Lost Highway,Mulholland Drive, per citarne solo al-cuni.La mostra raccoglie oltre 60 operedell’artista: le due serie fotografiche inbianco e nero di grande emedio formato, Small Storiese Women and Machines, euna suite di litografie realiz-zate a partire dal 2007, lavoriin gran parte esposti per laprima volta in Italia.David Lynch, sin dagli esordidella sua carriera cinemato-grafica negli anni 60’, ha accompagnatoil suo lavoro alla macchina da presacon la pittura, la fotografia, il disegnoe la scrittura. Tra i suoi libri ricordiamola graphic novel “The Angriest Dog inThe World” pubblicata sul settimanaleThe Los Angeles Reader nel 1973.L’attività di Lynch si estende anche allamusica. Come cantante e musicista hafatto un primo album nel 2011, “CrazyClown Time” e nel 2013 il secondo,“The Big Dream”, dove compare unacover di “The Ballad of Hollis Brown”di Bob Dylan e tra le collaborazionispicca quella con la cantante svedeseLykke Li. Ma la sua poliedrica attivitànon si ferma qui, ha voluto anche spe-rimentare installazioni, regie per videomusicali, spot pubblicitari (dalla Play-station ad Armani passando per fa-mose marche di caffè e profumi),performance teatrali (come “IndustrialSymphony n°1: The Dream of BrokenHearted”). Si è dedicato al design pro-gettando e realizzando gli arredamentidei suoi vari film, in particolare di LostHighway, ma anche del club “Silencio”di Parigi, passione quest’ultima dovutaall’attività del padre che aveva un labo-ratorio di falegnameria. Importantianche le collaborazioni con il mondodella moda, in particolare quella con lostilista Christian Louboutin, con ilquale ha creato nel 2007 la mostra Fe-tish.La serie Women and Machines pre-senta invece la figura femminile nelsuo potere evocativo, valorizzata nel

a cura di Cristina [email protected]

BIZZARRIA DEGLI OGGETTI

dalla collezione di Rossano

Le immagini perdutedi david Lynch

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.com sabato 20 settembre 2014no91 PAG.13C.com HORROR VACUI

Nella Broc-chetta di Gur-nià, ceramicaminoica del1700 a.C., raf-figurante unpolipo, non sisa se sia l'ani-male intrap-polato sullasuperficie delvaso o non siaquesto, con lesue belleforme femmi-nili, prigio-niero dei“molti piedi”tentacolaridell'animale.

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Ryan Adams, cantautore ameri-cano in attività da qualche anno, èuno di quei personaggi perfetti peri programmi radiofonici in cui oltrealla musica devi trovare anchequalche storiella da raccontare pernon annoiare i tuoi ascoltatori. Inquesto Ryan Adams è una mecca apartire dal nome che condivide,salvo una lettera, col più famosocantautore canadese Bryan Adams.La cosa pare non piaccia troppo aRyan che durante un concerto inun club newyorkese fece una mezzascenata quando un avventore glichiese di eseguire Heaven, notopezzo del quasi omonimo. Raccon-tano che Ryan non tornò in scenafino a quando l’avventore mattac-chione non lasciò il club col costodel biglietto rimborsato. Come nonbastasse l’omonimia, Ryan è fa-moso anche per un altro episodio.Nel 2001 uscì infatti il suo secondoalbum, Gold, e la produzione decisedi estrarre come singolo un pezzodal nome non proprio originale,New York New York. Ancora menooriginale la scelta, probabilmentedettata da un budget davvero mo-desto, di girare un video conAdams che suona e canta con allespalle Manhattan e le torri delWorld Trade Center proprio dietrodi lui. Se a questo aggiungete che ilvideo fu girato il 4 settembre di

Narra la leggenda che il colore viola pertingere i vestiti sia stato scoperto casual-mente da una nobile casata fiorentina.Una storia particolare della città di Fi-renze che riprende vita questo sabato, 20settembre, nella centralissima via del Pa-rione dove l’associazione fund4art e icommercianti della via hanno dedicatoal colore viola gli allestimenti delle ve-trine e opere d’arte e performance arti-stice. Il culmine della manifestazionesarà proprio alle 19 di sabato quantoBearice Bartolozzi e Meri Iachi ricree-ranno la nascita del viola in una perfor-mance artistica con la partecipazione delpubblico. Una serata particolare per vi-vere uno dei luoghi più centrali di Fi-renze con un tocco di viola, colore con ilquale è invitato a vestirsi anche il pub-blico per vivere più intensamente l’esibi-zione.

EVOLUZIONE.Lo Stato è lì, a presiedere luoghi scono-sciuti ed ancora da conquistare, le infini-tesime sinapsi del nostro cervello ancorastoicamente proteso a non abbandonarela speranza che qualcosa di diverso possaancora accadere, la fede nel sogno, nel-l’immaginazione, nell’energia primariache ci ha spinto a diventare ciò chesiamo e che non si può imbrigliare comele estensioni che non sono più animali,incanalare come corrente o dati nei lun-ghi fili ad unirci ed incatenarci, imma-gazzinare come contabilità del potereormai determinato a schiacciarci!

Ciò che è stato appurato è che i poetinon sono (e non possono essere) deltutto di questo mondo ma, come amba-sciatori di un regno pulsante in altre di-mensioni, conducono doppie vite supiani diversi, in tutti un po’ stranieri main ognuno essenziali, come fulcro natu-rale in cui catalizzarsi forze altrimenti di-sperse: indispensabili, quindi, i poeti, manon isolati! Non più, perché in grado dilasciarsi unire ormai in un complesso re-ticolato, una stretta maglia compostacon materiali diversi - anche diversissimitra loro - alla quale però resteranno im-pigliati i sospiri che i tanti nostri simili

emetteranno all’ennesima stretta di vite.Ci sarà bisogno di poeti ad allargare lebraccia come pompieri in missione,ognuno sotto un palazzo in fiamme,ognuno con i propri mezzi di soccorso:ci sarà bisogno di chi userà la musica,fionda a lanciare le note come scialuppein mezzo ad un torbido mare e lo Statosi farà SONORO; ci sarà bisogno di chiriuscirà a persuaderne uno ad uno acambiare strada e lo Stato si farà IN-TIMO; ci sarà bisogno di raccontare

storie di paesi lontani per farceli vicini escoprire che, come italiano, può esserelo Stato INDIANO; ci sarà bisogno diandare a svelare aspetti che troppi di noirimuovono per non dover ammettere lacaducità e per questo lo Stato si farà SA-NITARIO.Crescerà, lo Stato, tanto quanto i luoghiarresi che visiterà, ciò che è stato maanche ciò che sarà, cercando, come ilpoeta la parola in punta di penna, il lin-guaggio giusto per ogni persona, perogni scenario, per trasmettere il semplicemessaggio che è il messaggio ciò che vatrasmesso.

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.com sabato 20 settembre 2014no91 PAG.14

SU DI TONOSU DI TONO

di Matteo [email protected]

L’evoluzione

Qualcosadi buonoda Ryan Adams

il colore violadi via del parione

LO STATO DELLA POESIA

Adesso che è libero lo Stato sarà,da participio a futuro, in tutti glispazi lasciati orfani da noi, uo-mini e donne impegnati a per-

dere il nostro tempo. Appurato, graziealla viva voce di tante amiche ed amiciincontrati nell’ultimo anno, ognuno ine-vitabilmente diverso dagli altri ma co-munque ricco di una umanità che lapoesia acutizza ed amplifica (e quindiesempio per chi ancora non crede!), chela poesia è in buono – buonissimo –Stato, adesso si può andare avanti.Non più stato in luogo, lo Stato ha cam-biato definitivamente complemento, di-ventando movimento verso qualcosa dicostruttivo, di concreto, un dire che si fafare, risalendo alle origini stesse dellapoesia perdute nella notte dei tempi trale parole primigenie che si volevano pie-tra, finalmente a tornare dove eraquando era più che scrittura – chiusura -ma atto creativo, educativo, positivo.Testimonianza e possibilità di osservarecon occhio attento, sveglio e sensibile ilvero cambiamento, lontano da quellociecamente pompato con caratteri iride-scenti, invisibile ai più perché troppolento, naturale e forse anche agli antipodirispetto a ciò che ci aspetteremmo, lapoesia si evolve a sua volta, arricchendosidi musica, colori, gesti, connessioni, con-notazioni e di sostenitori mai lontana-mente prevedibili, facendosi essa stessa

quell’anno, capite che questo ra-gazzo, oltre al lutto per l’attacco alletorri gemelle, passò delle bruttegiornate. Poi come spesso accade ilcaso o la fortuna ci mettono lozampino e, grazie ad MTV, il sin-golo di Adams cominciò a passarein radio e tv e diventò una specie diinno alla rinascita newyorkese. Daallora Ryan Adams è molto cre-sciuto musicalmente, è diventatopiù cupo, ha registrato una cover diWonderwall degli Oasis da brividied ha assunto un look alla Tim Bur-ton. Il 3 settembre ha pubblicatoun nuovo disco intitolato, per nonsfuggire alla regola universale cheogni artista pubblicherà prima opoi un disco col proprio nome,Ryan Adams. Disco molto asciuttodove la chitarra di Adams, sempredistorta, sempre con accordaturemolto aperte, la fa da padrona e incui spicca la prima canzone GimmeSomething Good, potente song dalriff ossessivo e molto orecchiabile.L’atomsfera gothic che apre carat-terizzare questo periodo dell’arti-sta, più che nelle note dellacanzone la si ritrova nel video delpezzo con la presenza di Elvira(Cassandra Peterson) la sexy strega

di Michele Morrocchitwitter @michemorr

della televisione americana anni’70. Il resto del disco invece fatica aspiccare e farsi notare, salvo forseWrecking Ball, dove Adams dimo-stra ancora una volta di non te-mere titoli non originali, vistol’omonimia con il brano MileyCirus e l’album di Springsteen. Unalbum comunque gradevole, tratesti ragionati e sonorità alla TomPetty.

L’APPUNTAMENTO

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.com sabato 20 settembre 2014no91 PAG.15C.com IN RICORDO

di Fabrizio [email protected]

C’è una remota possibilità, che, pas-sando da Via di Santa Lucia, abbiatelanciato un’occhiata distratta alla la-pide murata sulla facciata dellachiesa, che, in traduzione letterale,recita: “Io, l’Imperatore, vinsi com-battendo con i sassi nell’anno del Si-gnore 1594”. Chi era questoImperatore e quale razza di battagliaaveva vinto a sassate?Dobbiamo risalire addirittura al1283, quando la famiglia Rossi, chepossedeva case e castelli nella zonadel monastero del San Gaggio, costi-tuì la "Compagnia dell'Amore", unabrigata di mille giovani in divisabianca che percorrevano senza sostale strade della città organizzandoovunque giochi, banchetti e tornei.Nel 1342-1343, ai tempi del “Ducad’Atene”, al quale era stata affidata lacittà stremata dalla contesa fra guelfie ghibellini (di questo singolare per-sonaggio avrò modo di parlare a pro-posito di Via della Ninna), simili

Compagnie che si erano formate invari quartieri della città, istituziona-lizzate e riorganizzate con una strut-tura quasi militare, furono affidate aun comandante che assunse, a se-conda della zona, svariati titoli; vistoche al vertice delle compagniec’erano “imperatori”, “monarchi”,“conti” e via dicendo, le compagniestesse presero il nome di “Potenze” e,essendo il loro compito precipuo or-ganizzare feste e divertimenti per levarie ricorrenze cittadine (nonchè“armeggiare a’ sassi” con le Potenzeconfinanti), divennero note come“Potenze Festeggianti”.L’argomento non può esaurirsi nellatirannica dittatura delle 3.000 bat-

tute, dato che le Potenze furono oltre70: in questa sede semplicemente lointroduco, accennando, per diritto dipreminenza, all’Imperatore.L’”Imperatore del Prato da SantaLucia sul Prato”, che aveva sede inBorgo Ognissanti, fu l’unico capo-Potenza ad essere insignito del titolodi Imperatore e, al contrario di tuttigli altri “sovrani”, ad avere il diritto dilibero transito (sancito nel 1588 daun decreto degli Otto di Guardia e diBalia, occhiuta Magistratura fioren-tina della quale avrò occasione di ri-parlare) davanti alla sede delle altrePotenze, e questo fa capire quale

fosse la sua importanza;gli uomini al suo co-mando erano quasi tuttitessitori di lana.Dell’Imperatore restanomolte testimonianze, frale quali quella sopra ci-tata. Non si sa quale fula Potenza sconfitta inquell’epica sassaiola(combattuta nel tradi-zionale campo di batta-

glia delle Potenze, Il Prato, primoluogo ad essere destinato a “verdepubblico” dal Comune di Firenze),ma dovette veramente essere una bat-taglia memorabile, visto che gli scon-tri “a’ sassi” erano all’ordine delgiorno e si concludevano regolar-mente con morti e feriti, tanto che isoliti “Otto” finirono per proibirli.Dell’Imperatore si ricorda anche unalunga controversia giudiziaria conl’”Imperatore di Campi”, che preten-deva l’unicità del titolo: salomonica-mente la giustizia stabilì che cisarebbero stati due Imperatori, unoper la città, l’altro per il contado.

via Santa Lucia

Le antichepotenzefesteggianti

di ugo Bardi

Si è spento nell’estate del 2014Giuliano Bardi, architetto re-sidente nella Valle del Mu-gnone. Quelli che lo hanno

conosciuto, se lo ricordano nei suoiultimi anni. Ma nell’arco di una lungavita – 92 anni – Giuliano Bardi havisto e fatto molte cose. Nella sua gio-ventù, ha visto la guerra e poi è statoparte del momento politico burra-scoso del dopoguerra che vide la De-mocrazia Cristiana esprimere leaderfiorentini come Nicola Pistelli e Gior-gio La Pira, dei quali Giuliano Bardiera amico e collega. Con gli anni,Giuliano Bardi ha abbandonato la po-litica attiva, per dedicarsi a un sinda-cato degli insegnanti e, allo stessotempo, esercitare la professione di ar-chitetto insieme alla moglie, Ada(1921-2008), anche lei laureata in ar-chitettura, che aveva sposato nel1950. Molta della sua attività di archi-tetto è stata nel comune di Fiesole,dove si era trasferito nel 1965, la-sciando il suo quartiere di origine,Monticelli, a Firenze. Negli ann ‘60, lo sviluppo ediliziodella Valle del Mugnone è stato cao-tico e rapido a riempire un vuoto cheera stato lasciato dalle servitù militariche avevano impedito le costruzionifino al dopoguerra. La storia dellavalle vede case popolari sorgere quae là, accompagnate da lottizzazioniche generano villette sparpagliatenella campagna. Negli anni ‘80, vedràsviluppi edilizi molto più ambiziosi,con la “quasi-città” che è divenutaMimmole. Le case progettate e costruite da Giu-liano Bardi erano ispirate dai temi ar-chitettonici degli anni ‘50 e ‘60. Se aFirenze si ispirava all’architettura ul-

volte da modifiche e espansioni, alpunto da essere difficili da identifi-care oggi. Ci rimane del suo lavoro,soltanto qualche scorcio che mostrache era parte dello stesso movimentodi idee che aveva generato le case diMonterinaldi. Ampie superfici ve-trate, vani interni ampi e comuni-canti, e attenzione ai materiali con un

particolare inte-resse verso la pie-tra lasciata allostato grezzo.U n ’ i m m a g i n edella sala interna

della sua casa di Pian del Mugnone cida un’idea della prospettiva di questotipo di architettura che GiulianoBardi e sua moglie Ada predilige-

vano.Ma forse le pietre e imattoni non sono ilmiglior ricordo cheabbiamo di lui, epreferiamo ricordar-celo per le sue bat-tute e i suoi giochidi parole, un uomoche, quasi fino all’ul-timo momento nonha rinunciato al suosenso dell’umori-smo e al piacere discherzare con l’in-fermiera che lo ac-cudiva. E’ mortonella casa di Piandel Mugnone chelui stesso ha co-struito.

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

un Architettoche guardavaa Leonardo Riccitramoderna di Michelucci, a Fiesole,lo stile di Bardi era simile a quello diLeonardo Ricci (1919-1994), suocontemporaneo che conosceva bene,le cui opere possiamo ancora oggi ve-

dere sulla collina di Monterinaldi,dalla parte destra del Mugnone. Mamentre le case di Ricci sono rimastein gran parte nella forma originaria,quelle di Bardi sono state spesso stra-

Giuliano Bardi conla nipote nel 2011

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.com sabato 20 settembre 2014no91 PAG.16C.com VUOTI&PIENI

ICONIl Comune di Campi Bisenzio in colla-borazione con Fund4art presenta alParco Iqbal una tre giorni completa-mente dedicata alla Street Art. Tre gli ar-tisti presenti, appartenenti alla scuolaromana della Street Art: Solo,nome giàmolto noto, grazie alle sue collabora-zioni illustri, a Londra presso lo studiodei videomaker The Butchers, al Vien-nart e al MACRO (Museo d’ArteCon-temporanea di Roma), Diamond tts,attivo dal ’93 nel panorama del Writingcon un segno stilistico elegante e provo-catorio al contempo, e il collettivo"Tutto Bene", dallo stile incisivo epulito. I tre giovani artisti si cimenteranno inuna performance a sei mani “live” total-mente nuova nel suo genere, lavorandosu una superficie di oltre 80 metri li-neari, più di 180 mq, colorando e rein-terpretando grazie alla loro arte uno deimuri perimetrali del Parco Iqbal aCampi Bisenzio. I visitatori, i curiosi e gliinteressati potranno vedere fin dalgiorno 25 gli artisti all’opera, seguendotutte le fasi di realizzazione di questa gi-gantesca opera d’arte urbana.Evento clou della tre giorni CAMPID’ARTISTA. STREET ART LAB sarà laserata di sabato 27, i tre artisti termine-

ranno la loro opera d’arte in un eventoche vedrà il Parco Iqbal aperto per un djset con Zazza dj, musica house al parco,aperitivo e bar aperto per tutti coloroche volessero partecipare alla serataevento, completamente gratuita, cono-scere gli artisti e festeggiare la nuovaopera d’arte donata alla città. Un live incui performance di arte contemporaneae musica house si integreranno per unaserata speciale. CAMPI D'ARTISTA èun evento inserito all'interno della rasse-gna “La Meglio Genìa”, appuntamentoche ogni anno racchiude i “talenti” mi-gliori che il nostro territorio possiede eche su di esso si esprimono.

Inoltre, dato che il Comune di CampiBisenzio aderirà in questo stesso fine set-timana alla XXI edizione italiana di “Pu-liamo il Mondo”, i writers realizzeranno“pezzi” dalle note “green”, consci che laloro attività ben si inserisce nel clima diquesta manifestazione, di una “ri-puli-tura” dell'ambiente urbano che con loropassa attraverso la la rivalutazione dispazi condivisi. Appuntamento al Parco IqbalIngressi: Via Vittorio Veneto 68 e ViaMascagni Dal 25 al 28 settembre tutto ilgiorno Evento del 27 settembre a partiredalle ore 18.30/ Dj set a partire dalle20.30

Dall’alto in senso orario Il ballatoio diFrancesco d'Antonio, il ballatoio diBaccio d'Agnolo, il tamburo rullante e ilprogetto di Michelangelo

La street art sbarca a Campi

Al rullodel tamburodella Cupola

di Ferdinando [email protected]

una muraglia di macigno spessaquattro metri e grezza. Così ap-pare ancora una parte del tam-buro su cui poggia, la Cupola di S.

Maria del Fiore. Un amico in visita a Fi-renze se ne uscì fuori con: «Ma voi a Fi-renze non terminate nulla!». Francese,dirigeva grandi cantieri edili a Parigi, erarimasto meravigliato della facciata incom-piuta di S. Lorenzo. Se non fosse stato pergli interventi ottocenteschi avrebbe vistoanche S. Croce e il Duomo nel medesimostato. In quel periodo c'era più libertà di in-tervento, ma forse si facevano anche deidisastri, dato che Cesare Brandi non avevaancora formulato la sua teoria del restauro.Viollet Le Duc ricostruiva la guglia diNotre Dame e le mura di Carcassonne. Sischerza col fuoco, certamente, perché civuol nulla a distruggere un monumentocon aggiunte improprie, ma sia S. Croceche il Duomo ci hanno tutto sommatoguadagnato. Il tamburo della Cupola ha una storia tra-vagliata. L'ingegnere ed architetto RodolfoSabatini è stato l'ultimo in ordine ditempo, nel 1943, a cimentarsi, con periziae modestia nell'arduo compito della sua“completazione”. L'idea originaria di Brunelleschi era quelladi costruire un “andito di fuori, sopra gliocchi, che sia di sotto imbeccatellato, conparapetti straforati” alla base della cupola.Francesco d'Antonio, pittore fiorentino, inuna tavola datata 1425/1430, “Cristo cheguarisce l'epilettico indemoniato e il tradi-mento di Giuda” (Filadelfia, Museum ofart) dipinge una cupola che rappresente-rebbe il progetto di quella fiorentina, conun ballatoio rispondente all'idea di Bru-nelleschi: una fascia interrotta da aperturee sorretta da mensoloni.Brunelleschi risolse genialmente il pro-blema architettonico della lanterna dove siraggruppano simbolicamente tutte leforze verticali della Cupola, ma non quellodella base. La Cupola è pensata come il Pa-radiso: distaccata dalle cose terrene, su diesse poggiata, ma tendente più verso l'altoche ancorata al basso. Una specie di navi-cella spaziale che il ballatoio, oltre a dareun punto di vista panoramico su tutta lacittà, serviva a dividere dal mondo terreno.Baccio d'Agnolo, dopo il concorso del1507, inizia a realizzare l'idea di Brunelle-schi, della Cupola poggiata, con un bel log-giato forse troppo “straforato”. Ma siscontra con Michelangelo che ha una ideacompletamente differente da quella diBrunelleschi: “quella macchina si granderichiedeva maggior cosa e fatta con altrodisegno, arte e grazia”. Invece di poggiare la Cupola, Michelan-gelo nel suo progetto, l'ancora profonda-mente al tamburo rinserrato dalle colonnebinate poste ai lati dell'ottagono, sulle qualipoggia un'imponente trabeazione. Daquesta sorgono i costoloni, decorati constatue. Semplifica le specchiature del tam-buro e lega la Cupola saldamente a terra.Conseguenza inevitabile: l'eliminazionedel ballatoio. Il progetto michelangiolesco,ricostruito sulla base del disegno di Ho-ward Saalman, era forse impraticabile macoglieva il problema di radicare la Cupolanella fabbrica del Duomo.

I muri grezzi, come quello del tamburo,non possono dirsi né belli né brutti, masolo grezzi appunto, cioè in attesa di qual-cosa, e far attendere un muro cosi impor-tante per cosi tanto tempo non è cosacarina né civile. Uno a questo punto ciprova anche perché il problema andrà ri-solto prima o poi: perché non tentare sem-pre con una tecnica virtuale che non puòprodurre danni, di ricostruire una tra letante possibilità, con un occhio a quellaproposta da Michelangelo?Le colonne binate del progetto di Miche-langelo rompono la continuità tra i costo-loni della Cupola e i pilastri policromi chesorreggono il tamburo. Come fare? La ri-cetta potrebbe essere semplice. Conti-nuare le paraste angolari del tamburoimpostate dal Manetti, e lasciate a metà.Estenderle per tutta l'altezza del tamburomodificando però la loro decorazione chediviene continua. Così le paraste ripren-dono il motivo di quelle utilizzate da Bru-nelleschi per la lanterna ottagonale, e laCupola, coi suoi costoloni bianchi, po-trebbe apparire come un raccordo tra tam-buro e lanterna. Poggiare poi latrabeazione michelangiolesca semplifi-cata, all'imposta della Cupola, sulle para-ste. Completare il raccordo tra gli occhi deltamburo e la trabeazione con una decora-zione a riquadri che ricorda quella dellafacciata di S. Maria Novella dell'Alberti,che lì funziona da raccordo stilistico e quiserve anche a sottolineare una sorta di le-gatura orizzontale continua alla base dellaCupola. Dopo di che la frittata è fatta e il tamburopotrebbe tornare a rullare. Altri più com-petenti sapranno prendere il testimone eproporre soluzioni, di modo che uno chevenga da via dei Servi ed alzi gli occhi allaCupola non abbia più a vedere un murogrezzo in mezzo a tanta bellezza.

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.com sabato 20 settembre 2014no91 PAG.17L’ULTIMA IMMAGINE

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Presentato nel lon-tano 1961 Futu-rama eraconsiderato il mi-glior "BowlingAlley" di San Joseed era situato sulloStevens CreekBoulevard. Con isuoi 42 "automaticlanes" , un risto-rante con annessaCocktail Loungedal nome esoticodi "Magic CarpetRoom" ed unagrande area "fit-ness" era un verocentro di attra-zione per gli aficio-nados del bowlinge della cura delproprio corpo.Dopo più di 30anni di onoratacarriera vennechiuso ed al suoposto fu inaugu-rato un grande me-gastore dellacatena SafewayGrocery Store. At-tualmente il fa-moso landmarkrestaurato è natu-ralmente rimastoal solito posto conla sola variazionedelle insegne cheadesso recitano"Safeway" al postodel vecchio e glo-rioso "FuturamaBowl".

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Futurama, Bowling Alley, San Jose, California, 1972