Mensile Valori n. 111 2013

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car sharing co-working BABY SITTER in comune gruppi di acquisto condominio CONDIVISO GIORNALI PARTECIPATI prestiti uno a uno Cooperativa Editoriale Etica Anno 13 numero 111. Luglio/Agosto 2013. € 4,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento Contiene I.R. Futuro condiviso Parola d’ordine: sharing economy. Per risparmiare, ma non solo Finanza > Abenomics, il Giappone passa alle maniere forti: scatena una tempesta monetaria Economia solidale > Crisi immobiliare e sfratti. L’Andalusia sperimenta una soluzione Internazionale > Se responsabilità significa rispetto dei diritti umani. Lungo tutta la catena Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità PUBLISTAMPA / LARA LEONARDELLI

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Futuro condiviso Parola d’ordine: sharing economy. Per risparmiare, ma non solo Finanza > Abenomics, il Giappone passa alle maniere forti: scatena una tempesta monetaria Economia solidale > Crisi immobiliare e sfratti. L’Andalusia sperimenta una soluzione Internazionale > Se responsabilità significa rispetto dei diritti umani. Lungo tutta la catena

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carsharing

co-workingBABY SITTERin comune

gruppi diacquisto

condominioCONDIVISO

GIORNALIPARTECIPATI

prestiti

uno a uno

| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 || ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |

CooperativaEditoriale EticaAnno 13 numero 111. Luglio/Agosto 2013.€ 4,00

Poste Italiane S.p.A.Spedizione in abbonamento postaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB TrentoContiene I.R.

Futuro condivisoParola d’ordine: sharing economy. Per risparmiare, ma non solo

Finanza > Abenomics, il Giappone passa alle maniere forti: scatena una tempesta monetaria Economia solidale > Crisi immobiliare e sfratti. L’Andalusia sperimenta una soluzioneInternazionale > Se responsabilità significa rispetto dei diritti umani. Lungo tutta la catena

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

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isogna fondare una società che non soffra dell’egemonia dell’economia, ma abbia al centro i valori sociali e morali, al plurale, piuttosto che il valore economico, al singolare. Per me sharing significa che dobbiamo istruire processi in base ai quali le persone agiscano,direttamente o indirettamente, attraverso forme di empatia con quelli che chiamo gliartefatti, cioè gli oggetti: tutte le interazioni tra gli esseri umani sono mediate da artefatti e si svolgono attorno ad essi. Ma non dobbiamo adottare un atteggiamento esclusivamenteeconomico verso la loro produzione e il loro consumo. Empatia significa che dobbiamo averesempre in mente le interazioni sociali, i valori di tutte le persone coinvolte nei processi di produzione, transazione e uso degli artefatti. Ad esempio negli anni ’50 ci fu il grande boomdella plastica. Ma i proprietari delle imprese che hanno prodotto oggetti in plastica nonhanno pensato abbastanza alle relazioni sociali con i lavoratori (che subirono danni allasalute a causa degli agenti chimici utilizzati); né a come le applicazioni della plastica abbianocreato, non solo un tipo di consumo, ma anche un tipo di produzione fortemente inquinante;né ai costi ambientali degli odierni processi di riciclo, che oggi ricadono su tutti i cittadini. Questo ha a che fare con il modo in cui organizziamo i processi di innovazione, per cui coloro i quali innovano hanno tutti i diritti dei profitti che sono in grado di attrarre dai loro prodottiinnovativi, ma poche responsabilità sugli effetti sociali. È un problema di organizzazionesociale, e riguarda ovviamente gli addetti della sharing economy. C’è una tendenza in atto – con cui sono in disaccordo – a pensare che, grazie agli attuali mezzidi comunicazione, e alle reti sociali che si possono costruire con essi, si arriverànecessariamente alla creazione di un nuovo mondo, in cui l’interazione tra gli esseri umanisarà migliore e rifletterà i valori sociali di tutti i partecipanti a questo tipo di scambi (di opinioni, servizi e oggetti fisici). Eppure questa non è una conseguenza automatica. I mezzi di comunicazione possono essere usati in molti modi e il modo che probabilmenteprevarrà rifletterà i valori dominanti della società in cui si svilupperà. Secondo me la retecome nuovo artefatto di comunicazione va perlopiù nella direzione opposta, per rendere piùsolida l’egemonia economica. A ciò si aggiunge che la maggior parte di chi crede nell’economiae nell’innovazione sociale le concepisce come parti di questa economia egemonica, senzalanciare una sfida fondamentale a livello sistemico alla società attuale. Il problema è, invece,come può essere subordinata l’economia ai valori sociali morali e culturali, dal momento chele persone devono pur vivere, usufruire degli artefatti e avere cibo, vestiti, una casa. E la sharing economy non dà sempre la possibilità di far crescere la conoscenza dei valorisociali degli altri, i punti di vista degli altri e gli effetti che sugli altri hanno le nostre azioni.Bisogna perciò puntare sulla cultura e sui processi d’interazione sociale, in cui questi valoridiversi possono diventare espliciti, e su processi secondo cui le persone siano davvero in grado di capire chi sia l’altro con cui si interagisce. Non deve essere un’interazione socialeche strumentalizza gli altri solo per far crescere la nostra felicità.

| editoriale |

Innovazione sì, ma responsabilediDavid Avra Lane

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L’AUTOREDavid Avra LaneProfessore di Economiaall’Università di Modena eReggio Emilia, ha insegnatoanche all’Università delMinnesota ed è stato membrodella faculty esternadell’Istituto di Santa Fe, il primocentro di ricerca al mondo sulla teoria della complessità.Attualmente dirige due progettidella Commissione europeadedicati a “Innovazione,sostenibilità e Ict” ed“Emergence by design”, per costruire una teoria checolleghi progettazione ed emergenza nell’innovazionee usarla per evitare le conseguenze negative delprogresso tecnico. * L’editoriale è frutto di un’intervista condotta da Corrado Fontana a David Avra Lane

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Cari lettori, da questo numero Valori diventa piùleggero: 64 pagine, invece di 76, e una copertinapiù leggera. E a settembre si scende a 56 pagine.Una scelta che si è resa necessaria per continuarea fornirvi informazione di alta qualità. La crisi di cui Valori scrive su ogni numero, colpisce un po’anche noi.

Cooperativa Editoriale Etica

Cari lettori, Valori sta attraversando un momentodifficile. La riduzione della foliazione per i prossimi numeri è stata decisa dalla SocietàCooperativa Editoriale Etica, in accordo con la redazione, al fine di garantire ai lettori la continuità della pubblicazione e di scongiurarein parte il taglio delle risorse per la redazione. Da parte nostra continueremo a lavorare conl’impegno e l’entusiasmo di sempre, per darvi il migliore prodotto possibile, augurandoci che si tratti di una scelta temporanea e certi chel’editore farà di tutto per ridare ai lettori la rivistaa cui sono affezionati e per tutelare pienamente le condizioni lavorative dei giornalisti.

La Redazione

Per commenti, suggerimenti, partecipazione scriveteci: [email protected], [email protected], [email protected]

Avviso ai lettori: foliazione ridotta

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| sommario |

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Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altroche legno e derivati non provengano da foreste ad altovalore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da areedove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.Involucro in Mater-Bi®

fotonotizie 6

dossier Futuro condiviso 10Quello che è mio è (un po’) nostro 12Sei pronto a condividere il tagliaerba? 14Se la sharing economy ti entra in casa 16Spostarsi in comunità 18Di casa in casa. Affitto o scambio 20Condivisione 2.0 20

finanzaeticaBig in Japan. Così Tokyo ha scatenato la tempesta monetaria 22Liquidità e stagnazione. Il vicolo cieco delle banche centrali 26Abenomics e speculazione. Non è tutto euro quel che luccica 27Banca Etica: conti sotto esame 28Fiba-Cisl propone un tetto alle remunerazioni dei top manager 30

globalvision 31

numeridellaterra 32

lostintransaction 35

economiasolidaleAdiòs sfratti! Così l’Andalusia combatte la crisi immobiliare 36Il cantiere della crisi 40Le mani dei Big sull’eolico italiano 44

valorifiscali 47

internazionaleScava, scava 48Responsabili fin dal principio 52Land grabbing, la razzia continua 53

socialinnovation 55

altrevoci 56

bancor 61

resistenze 62

carsharing

co-workingBABY SITTERin comune

gruppi diacquisto

condominioCONDIVISO

GIORNALIPARTECIPATI

prestiti

uno a uno

Nella sharing economy si puòcondividere qualsiasi cosa: da unamacchina a un appartamento, da unabadante a una bicicletta. I benefici?Economici ma anche relazionali.

Lettere, contributi, informazioni, promozione,amministrazione e pubblicitàSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Napo Torriani, 29 - 20124 Milano - tel. 02.67199099 - fax 02.67479116e-mail [email protected] / [email protected] - www.valori.it

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ABBONAMENTI 2013Valori [10 numeri]

luglio/agosto 2013mensilewww.valori.itanno 13 numero 111Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005editoreSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Napo Torriani, 29 - 20124 Milanopromossa da Banca EticasociFondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale,Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza,Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa,Federazione Trentina della Cooperazione, Rodrigo Vergara,Circom soc. coop., Donato Dall’Avaconsiglio di amministrazioneAntonio Cossu, Donato Dall’Ava, Maurizio Gemelli,Emanuele Patti, Marco Piccolo, Sergio Slavazza, Fabio Silva([email protected]).direzione generaleGiancarlo Roncaglioni ([email protected])collegio dei sindaciMario Caizzone, Danilo Guberti, Giuseppe Chiacchio (presidente).direttore editorialeMariateresa Ruggiero([email protected])direttore responsabileAndrea Di Stefano ([email protected])caporedattoreElisabetta Tramonto ([email protected])redazione ([email protected])Via Napo Torriani, 29 - 20124 MilanoPaola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini, Francesco Carcano, Matteo Cavallito, Corrado Fontana,Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro,Andrea Montella, Valentina Neri grafica, impaginazione e stampaPublistampa Arti graficheVia Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento)fotografie e illustrazioniABColombia; A. Gandolfi (Parallelozero);Melissa Favaron; Tomaso Marcolla; Barcex, Lamiot, Henry Mühlpfordt (http://commons.wikimedia.org)

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite,non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.chiusurain stampa: 26 giugno 2013in posta: 1 luglio 2013

Annuali BiennaliOrdinario cartaceo- scuole, enti non profit, privati Euro 38 Euro 70- enti pubblici, aziende Euro 48 Euro 90Only Web Reader Euro 28 Euro 50Cartaceo+Web Reader Euro 48 Euro 85

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Oltre le chiome degli alberi

Piazza Taksim occupata e scontri trapolizia e giovani manifestanti. Le immagini da Istanbul, rimbalzatesulle tv di tutto il mondo, hannoraccontato non solo l’opposizione a un piano urbanistico controverso,ma la strenua difesa di Gezi Parkcome spazio pubblico di espressione,contro l’estendersi di un processo di islamizzazione strisciante. Così èper molti commentatori, per cui lalotta di strada alla politica del primoministro Tayyip Erdogan chiamerebbein causa visioni in competizione per il futuro del Paese: «Una ancorata allanascita della Turchia moderna,sbilanciata verso l’Occidente, cheidolatra il padre della patria Ataturk, el’altra proiettata verso la ricostituzionedello splendore ottomano», secondoDavide Piccardo, coordinatore delleassociazioni islamiche di Milano, su Huffington Post.Di certo si è trattato di una lottaamplificata dall’eccezionale potenzasimbolica degli alberi e dal coraggiodei ragazzi contro gli idranti urticantidella polizia. «In quei giorni in piazzaTaksim si percepivano emozioni moltocontrastanti tra loro. La ragazzaelegante sulla macchina distrutta, cheho fotografato, può rappresentare unabuona sintesi dell’atmosfera che sirespirava. Con la sua maschera rivoltaverso il cielo, sembra voler dimostrareche la piazza andrà avanti sempre atesta alta, a qualsiasi costo», raccontaMelissa Favaron, da poco rientrata da Istanbul, autrice dello scatto in queste pagine. E continua: «C’eraun fiume quasi continuo di personeche popolava la piazza in assolutalibertà. Ho iniziato a percepire un po’di tensione solo il giorno prima dellosgombero, prima era gioia pura. La situazione è sicuramente moltocomplessa e articolata. Ho visto unaparte di Istanbul in rivolta, scesa in piazza per gridare la sua libertà, ma anche una parte della città che ha continuato la sua vita come senulla stesse accadendo». In gioco nonc’erano “solo” alberi, ma l’idea di sviluppo economico e sociale di un Paese dove l’economia capitalistasta facendo ottimi affari, se è vero chein 8 anni le esportazioni turche sonopassate da 38 a 87 miliardi di euro.

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[Un’elegante ragazza turca è sdraiata su unamacchina rovesciata e distrutta. Ha partecipato alle manifestazioni di Istanbul].

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Un premio alla buona energia

«Si tratta di aree rurali dovel’accesso all’energia è praticamenteassente: il sud dell’Etiopia, ad esempio, una zona arida deditaalla pastorizia, dove non c’èinteresse, né dei privati né delloStato, a portare energia». Così LiciaCasamassima della Ong Coopi,recentemente premiata col GoodEnergy Award 2013, sui progetti di energy facility (infrastrutture perfornire energia) in Etiopia e Malawi.Parole chiare, le sue, perevidenziare come una Ong sappiaarrivare dove il mercato non ritenga(ancora?) conveniente investire.Una stortura cui in parte mettonoriparo i bandi Ue e l’impegno diretto(tramite fornitura di competenze,materiali e risorse) di alcuneimprese private, ma che nonpossono nascondere alcune cifre:1,3 miliardi di persone al mondo nonhanno accesso all’energia e 585milioni di queste vivono nell’AfricaSubsahariana; 1 milione e 450milapersone muoiono ogni anno a causadell’inquinamento domesticocausato da stufe inefficienti.Da qui l’enorme importanza di iniziative di coprogettazione,partecipate dalla popolazione e dalle istituzioni locali,accompagnate da formazioneimprenditoriale e allamanutenzione. Come quelle di Coopi, che portano in Etiopiaenergia pulita (tramite impiantisolari fotovoltaici) per 70milaindividui e 2mila famiglie,alimentando l’attività di 4 scuoleelementari, 4 ospedali di primosoccorso, 4 centri veterinari, 3 cooperative agricole, oltre a 25 microimprese commerciali (dalcinema collettivo al negozio perricaricare i cellulari) e 6 autoritàdistrettuali; e in Malawi puntano su impianti ibridi eolico-fotovoltaicie sulla coltivazione dell’erbaJatropha, per l’estrazione di biocarburante in zone non coltivate.In una lotta al disboscamentoselvaggio e alle numerosissime mortida affumicamento, condotta graziealla distribuzione di stufe miglioratein terracotta, realizzateda cooperative create localmente.

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[Un impianto fotovoltaico realizzato all’interno di unprogetto di Energy Facility di Coopi in Etiopia].

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dossier a cura diPaola Baiocchi, Corrado Fontana, Valentina Neri ed Elisabetta Tramonto

Quello che è mio è (un po’) nostro > 12

Sei pronto a condividere il tagliaerba? > 14

Se la sharing economy ti entra in casa > 16

Spostarsi in comunità > 18

Condivisione 2.0 > 20

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Il futuro è la sharing economy. Per risparmiare, ma non solo. E la tecnologia rende tutto possibile

Scambiarsi casa, oggetti, servizi.Condividere spazi comuni, la babysitter, la macchina, il lavoro

Futurocondiviso

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dossier | futuro condiviso |

Quello che è mioè (un po’) nostrodiCorrado Fontana

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Scambiare case o posti letto con un clicdel mouse grazie a una piattaforma webche organizza l’offerta, condividere l’u-so dell’auto (car-pooling, ride-sharing) oaffittarla a qualcuno che arriva dall’al-tra parte del mondo, prestarsi danaropeer-to-peer (cioè da persona a persona,senza l’intermediazione delle banche)grazie al social lending; ma anche acce-dere a servizi di trasporto pubblico co-munitari e ambientalmente sostenibili(car-sharing e bike-sharing), risparmia-re e socializzare condividendo l’uso dipiccoli oggetti (il trapano, la tavola dasurf) o l’utilità di alcuni servizi (la ba-dante, la tata, la spesa giornaliera), finoalla scelta di finanziare in comunitàun’inchiesta giornalistica o un docu-mentario, se non addirittura condivide-re la proprietà del giornale locale chenon interessa più mantenere ai grandieditori. Tutto ciò e molto altro rientra inuna generica etichetta di sharing eco-nomy. Ed è in piena esplosione.

Opportunità economica condivisaA marzo scorso il più famoso settimana-le economico del mondo, il britannicoThe Economist, ha dedicato all’argomen-to la copertina e numerosi articoli, masenza poter delineare cifre capaci di foto-grafarne le dimensioni finanziarie, i costie i fatturati. Tuttavia non può passareinosservato che GM Ventures, il braccio

operativo d’investimento del più grandecostruttore automobilistico americano,abbia investito 13 milioni di dollari nel2011 in RelayRides, portale che sostiene sipossano guadagnare 7mila dollari l’annodal noleggio peer-to-peer della propriaauto; o che l’anno seguente una societàdi noleggio auto convenzionale comeZipCar, acquisita da Avis per 491 milionidi dollari nel 2013, ne abbia investiti 14 inWheelz, compagnia specializzata nel no-leggio di vetture tra persone.

Il web brulica di siti dedicati allo sha-ring come Airbnb, TaskRabbit, Kitchit, Et-sy o Desk e si moltiplicano le buone prassidi economia condivisa. Secondo l’austra-liana Rachel Botsman, autrice di uno deiprimi bestseller sull’argomento (What’sMine Is Yours: The Rise of CollaborativeConsumption), solo il mercato degli affit-ti peer-to-peer varrebbe 26 miliardi di dol-lari. E se il tema piace a The Economist,che dire di Collaborative cities, ambiziosoprogetto a cavallo tra reportage e socialnetworking, in cui si assiste a un cortocir-cuito virtuoso tra oggetto del raccontogiornalistico e strumenti con cui questo sirealizza? Maxime Leroy, 23enne parigino,ha chiesto proprio a KissKissBankBank,una piattaforma di raccolta fondi condi-visa (il crowdfunding), le risorse necessa-rie a finanziare un documentario cheraccontasse le migliori esperienze mon-diali di sharing economy: la sua idea è dapoco diventata un sito ricco di intervistecompiute tra New York, Detroit, Toronto,Portland, San Francisco, Parigi, Londra eHelsinki (aspettando Berlino, Barcellona,Milano, Roma), condivise attraverso i so-cial media, ma soprattutto realizzate gra-zie alla fiducia di 149 internauti sconosciu-ti che gli hanno donato oltre 14mila euro(ne aveva chiesti 12.800).

Tra social e individualQualcosa sta succedendo, insomma. Machi saprà approfittare di questo proces-so di disintermediazione generalizzato èforse presto per saperlo. A detta di Filip-po Addarii – italiano che vive a Londra,giovane direttore esecutivo di EuclidNetwork – l’avanzata di questo “nuovomondo” accelererà, in un’ottica socio-eco-

Economia della condivisioneo sharing economy,weconomy o consumocollaborativo, tanteetichette per un fenomenoplanetario frammentato, a cavallo tra reale e digitale,dove il valore d’uso di beni e servizi viene prima di tutto

Risposta alla crisi o sottoprodotto dell’era digitale, l’offerta di beni eservizi da domani non sarà più la stessa. Di ciò sono convinti i gurudella sharing economy, ma il loro pensiero, creato dall’osservazione

di migliaia di esperienze nate perlopiù dal basso e amplificate a dismisuradalle nuove tecnologie, da internet e dai social media, ha già fatto breccianei posti di comando, anche grazie all’attenzione dei media internazionali.

Filippo Addarii, direttore esecutivodi Euclid Network

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nomica fortemente liberale, processi dimobilità sociale e conseguenti contrac-colpi, anche politici. E, soprattutto, saràinevitabile: «Non siamo più in grado di ri-spondere alle sfide contemporanee con imodelli che abbiamo ereditato: i feno-meni anomali – diciamo così – si molti-plicano, in tale quantità e diffusione cherisulta difficile considerarli ancora tali enon la rappresentazione di un modelloemergente. Bisogna però stare attenti –e mi rivolgo in particolare al terzo setto-re nazionale – che ciò non si traduce au-tomaticamente nella vittoria della eco-nomia sociale».

Un monito da ricordare, e che contra-sta, ad esempio, con l’idea di Claudio Bossi,

presidente dell’impresa sociale milaneseLa Cordata, che si augura «ci sia ancheuna dimensione sottotraccia – e in qual-che modo inespressa – della sharing eco-nomy, che non mira solo all’abbassamen-to del prezzo, ma riguarda l’opportunitàdi rispondere a un alto bisogno di rela-zioni significative tra le persone». E pro-prio nel delicato equilibrio tra dimensio-ne economica e individuale da un lato edimensione comunitaria dall’altro si gio-cherà infatti il potenziale progressivo erealmente redistributivo di queste espe-rienze: «Ovviamente – prosegue Addarii– uno degli ambiti di maggior prospetti-va è tutto quello che riguarda il capitale,come socializzare il capitale che l’econo-mia moderna ha invece concentrato: si-curamente attraverso queste nuove for-me di sharing economy il capitale sidisperde. Devi per forza mettere insiemetante persone, ognuna porta un contri-buto diverso e la grande capacità è sa-perle tenere unite. Tornerà quindi in au-ge il ruolo della politica nel senso nobile.Non una politica istituzionale, ma unapolitica di comunità».

SITI INTERNETcollaborative-cities.comconfabitare.itlacordata.iteuclidnetwork.eu arduino.ccmassimobanzi.comethicalconsumer.org

diCorrado Fontana

La sharing economy sarà volano di progresso in tema di diritti? Difficile imporre regole alla rete, ma gli spazid’illegalità potrebbero allargarsi

«Ciò che serve è educare le persone all’uso delle nuove tecnologie eal nuovo tipo di società che si sta creando. A mio parere perderannocapacità di controllo le politiche istituzionali dall’alto e diventeràmolto più forte l’approccio comunitario, acquisendo importanza la cosiddetta peer-to-peer view. Succederà come succede nell’albodei medici: quando un medico non rispetta le regole viene cacciatovia e non lavora più da nessun’altra parte»: così la pensa FilippoAddarii di Euclid Network, secondo cui le buone reti si autodisciplinano, mettendo l’accento sul tema delle norme internee di quelle imposte dalla società come competenza essenziale dellaweconomy. Il tema, al centro di accese discussioni, nasceinnanzitutto dalla necessità dei governi di intercettare risorseeconomiche che in molte transazioni peer-to-peer sfuggono al fisco o alle leggi vigenti, scavalcando il controllo di corpi intermedi come il sindacato o eludendo la concorrenza dell’economia convenzionale

(ad Amsterdam i funzionari pubblici vanno a caccia di alberghi senza licenza vagliando gli elenchi della piattaforma digitale Airbnb; in alcune città americane i servizi di taxi peer-to-peer sono statibanditi dopo pressioni dalle lobby dei tassisti convenzionali). Non solo. Alla polverizzazione in rete di un’offerta e richiestaindividuale di prestazioni d’opera – accade tramite siti comeTaskRabbit –, senza quindi intermediazioni e controlli di caratterepubblico, imprenditoriale e sindacale, il rispetto delle norme in temadi sicurezza e assicurazione, di salari minimi e discriminazioni di genere o razziali, rischia un decremento significativo. Come pure si può allargare ulteriormente lo spazio dell’economia al nero.Elementi di tale preoccupazione che i più critici accomunanol’avvento della sharing economy all’economia informale che si fa largo nelle situazioni di estrema povertà o in tempi di guerra,quando anche le sigarette si vendono singolarmente. La speranza è perciò che la rete sappia autoregolarsi meglio di quanto sappia fare il mercato, ma la discussione in merito è ancora al principio. Di ciò,ma anche del consumo collaborativo come via per risparmiarerisorse e contrastare l’idolatria consumista, si è parlato alla primaConferenza sull’economia della condivisione di Berlino, a maggioscorso. Per entrare, manco a dirlo, potevate condividere il biglietto.

Tra bon ton digitale e corsa al ribasso

Rachel BotsmanRoo Rogers

What’s Mine Is Yours:The Rise of Collaborative

Consumption

HarperCollins e-books

In basso alcune ripresedell’interno

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dossier | futuro condiviso |

Cohousing vuol dire abitare in con-testi in cui si condividono alcunispazi e servizi. Il termine è molto

più conosciuto nei Paesi scandinavi, dovenasce come modello abitativo negli anniSessanta, ma sta vivendo un piccolo boomanche in Italia. I numeri lo dimostrano:quando nel 2005 il dipartimento Indacodel Politecnico di Milano per l’innovazio-

ne e la sostenibilità ha effettuato uno stu-dio intervistando tremila persone sulla lo-ro disponibilità a questo tipo di abitare, il50% ha risposto di sì.

Cohousing.it, la communityche ha rac-colto i risultati del lavoro del Politecnico enel 2006 in due mesi ha aggregato con unquestionario internet i primi 3.500 inte-ressati, conta oggi 16mila adesioni e la suacrescita è costante, alimentata dal passa-parola di chi ha cominciato ad abitare que-sti condomini particolari, dove il rapportocon i vicini non si limita a imbarazzati in-contri in ascensore o a litigi in cui l’ammi-nistratore fa da mediatore.

Progettazione condivisaIl primo progetto realizzato è a Milano,nel quartiere Bovisa: Urban Village, unaex fabbrica di barattoli recuperata e abi-

tata dal 2009 da 32 nuclei famigliari, ognu-no con una sua residenza privata da 50 a140 mq e oltre 300 mq di spazi condivisi,organizzati in un giardino su cui si affac-ciano tutti gli appartamenti, un salone co-mune, una lavanderia con zona stiro, lastanza degli hobby, il rimessaggio delle bi-ciclette e perfino una piscina scoperta.

Ma come si diventa cohouser? «Il pri-mo passo è iscriversi alla community»,spiega Nadia Simionato, che segue ilmarketing e la comunicazione di New-Coh srl, la società che ha creato e gestiscecohousing.it. «Quando abbiamo un pro-getto abbastanza definito – continua Na-dia Simionato – lanciamo la sollecitazionein internet. Dalle moltissime risposte ini-ziali, si arriva alla fine al numero che ser-ve per far partire il cantiere. Abbiamonuovi progetti in preparazione in Lom-bardia, a Roma, Padova, Genova».

I tempi per arrivare alla casa dei so-gni non sono eterni: da uno a due anni,avvalendosi delle edificazioni in legnoche permettono di costruire una nuovacasa in sei mesi, e considerando il per-corso di formazione del gruppo che leabiterà e la progettazione partecipata.

Non solo acquistiSi può vivere in cohousing anche in affit-to: è il caso di Cosycoh, in zona Ripamon-ti a Milano, otto appartamenti nuovi da60 a 100 mq, con una terrazza, una sala co-mune polifunzionale e la lavanderia nel-l’interrato. Si tratta di appartamenti dovesi potrà anche esercitare un’opzione di ac-quisto, in cui al termine di 4/8 anni gli af-

Sei pronto a condividereil tagliaerba?diPaola Baiocchi

Per abitare insieme servono alcune regole condivise e degli spazi in cuisvolgere attività in comune. Semplice, no? Ma perché le case non si progettanosempre così? Un viaggio nel mondo del cohousing

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diValentina Neri

I Gas sono un tipico esempio di condivisione: di acquisti, di decisioni, di esperienze. In Italia spaziano da quelliinteressati solo agli acquisti a veri e propri movimenti

Condividere e collaborare negli acquisti di tutti i giorni. È lo scopo deiGruppi di acquisto solidale. Sulle pagine di Valori ne parliamo spesso,da anni, e in questo dossier sulla sharing economy non potevanomancare. Una realtà tutt’altro che marginale, se è vero che, come

dimostra la ricerca dell’osservatorio Cores dell’Università diBergamo, nella sola Lombardia se ne contano 450 (vedi Valori 109).Rinunciare alla comodità un po’ spersonalizzante del supermercatoper mettersi in rete e sostenere i piccoli produttori locali è una sceltaspinta da diversi obiettivi e che porta svariati vantaggi. «In Italia i Gasdi prima generazione, nati a partire dalla seconda metà degli anniNovanta, hanno fatto un grande lavoro sui principi e sull’ideologia:sono quindi diventati soggetti molto più aperti non solo all’acquistodel cibo, ma anche ad altre pratiche solidali», spiega Andrea Calori,specializzato in Pianificazione territoriale e ambientale, attivo

Gas: acquisti condivisi e non solo

IL CONDOMINIO CONDIVISO,PASSO DOPO PASSO1) Il gruppo si forma in internet2) Dopo qualche mese c’è il primo incontro

per conoscersi3) Seguono altre riunioni per decidere cosa

condividere4) Si prepara una “carta costituzionale” con

le attività negli spazi comuni5) Si versa la caparra e inizia la progettazione

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fitti versati verranno riconosciuti comeparte del prezzo finale.

Già, il prezzo finale com’è? Tenendoconto poi che si tratta di edifici costruiticon una scelta attenta dei materiali eusando le tecniche più avanzate per il ri-sparmio energetico? «Leggermente infe-riore ai prezzi di mercato – riprende NadiaSimionato – e poi, avendo degli spazi co-muni (che consegniamo già arredati), avròbisogno di una casa meno grande. E avròmeno spese, perché con una stanza per glihobby a disposizione non si dovrà com-prare un trapano o un tagliaerba a fami-glia, ma ci sarà quello della comunità».

Nelle città si moltiplicano gli striscioni attaccati alle finestre a segnare che lì c’è un’occupazione. Sono luoghi di resistenze di diverso tipo: i teatri occupati – il Valle e il Volturno a Roma, il Teatro Rossi riaperto a Pisa, il Teatro Pinelli a Messina solo percitarne alcuni – rivendicano che la cultura deve essere parteintegrante delle città, perché è un diritto costituzionale, è fonte di formazione allacritica e una grande risorsa economica, come dimostrano i fatturati delle grandiistituzioni culturali internazionali. Dentro i teatri occupati le lezioni e gli spettacoli si alternano ai dibattiti sui temi delle riforme istituzionali: al Teatro Valle ha preso il via la fase redigente della Costituente dei beni comuni, presieduta da StefanoRodotà, che ora sta facendo il giro d’Italia.Molte occupazioni, invece, nascono dalla richiesta di fermare la cementificazione dellecittà, come gli scontri a Istanbul hanno dimostrato non essere solo un problemaitaliano. Gruppi di cittadini o collettivi studenteschi si organizzano per difenderefazzoletti di terra tra un palazzo e l’altro, da conservare come spazi collettivi. A volte si oppongono a progetti di demolizione di edifici pubblici, che dovrebbero essereriempiti da migliaia di metri cubi di nuove edificazioni speculative. È il caso del Frontedel Porto, una ex caserma dell’aeronautica in via del Porto Fluviale nel quartiereOstiense di Roma, dismessa e occupata dal 2003 da circa 200 persone.Gli affitti ormai non proporzionali ai redditi, i prezzi esorbitanti per l’acquisto di questobene primario e il numero ridottissimo di abitazioni a canone sociale, sono i motivi per le occupazioni abitative nelle città. Lo scorso dicembre a Roma, dove ci sono almeno250mila immobili vuoti, tredici palazzi di proprietà della Provincia, del costruttoreCaltagirone o di banche, sono stati riempiti. Non solo da giovani o da stranieri,denunciano i Movimenti di lotta per la casa, ma da famiglie italiane toccate dalla crisi.Questi modelli di condivisione “fuori dagli schemi”, si oppongono a un modello di cittàche esclude, distruggendo allo stesso tempo la bellezza e la socialità. Dimostranol’inutilità delle nuove edificazioni in un Paese con la natalità tra le più basse d’Europae dove ogni bambino che nasce, dice lo storico dell’arte Salvatore Settis, ha già a suadisposizione 38 vani vuoti.

Pa.Bai.

Nel film Good buy Roma, di Gaetano Crivaro e Margherita Pisano, si raccontano le storie degli abitanti di Fronte del Porto, Via del porto Fluviale 2, quartiere Ostiense Roma -http://goodbuyroma.wordpress.com/about/

DIRITTO ALLA CASA, OCCUPAZIONI E UNA NUOVA IDEA DI CITTÀ

da anni nel mondo dell’altra economia. Si spiegano così iniziativecome il salvataggio del caseificio Tomasoni in provincia di Brescia,finanziato da Mag 2 Finance e dai Gas che hanno pagato i prodotti in anticipo. Un esempio – racconta Vincenzo Vasciaveo, coordinatoredel Distretto rurale di economia solidale del Parco agricolo sudMilano – replicato anche per aiutare Cascina Lassi di Cerro al Lambro. Si può citare anche il progetto “La casa dei pesci” della rete Intergas, che, oltre a comprare pesce, porta avantiun’azione di contrasto alla pesca illegale a strascico. «I Gas italiani su questo aspetto sono molto diversi dai loroomologhi francesi, tedeschi o inglesi, che – continua Calori –nascono e si sviluppano con un focus specifico sull’agricoltura,senza acquisire quella componente di “movimento” dei nostriGruppi di acquisto». Lo conferma Mauro Fumagalli, della rete

milanese Intergas: «Tutto nasce dalle relazioni, all’interno delgruppo e con i produttori, che danno vita a un’apertura culturaleche ci porta ad affrontare tematiche legate all’agricoltura,all’ambiente, alla cooperazione sociale, ai diritti. L’aspettoeconomico resta fondamentale, perché il piccolo produttorebiologico che lavora con i Gas deve essere in grado di sostenere la propria famiglia e la propria attività. Ma noivogliamo avere il giusto a un prezzo che rispetti chi lo producecon fatica. Purtroppo in questi anni si vedono nascere anche tantigruppi d’acquisto che hanno come scopo avere tanto e pagarepoco». Sono quei gruppi ai quali, spiega Andrea Calori, mancaquella “S” che sta per “Solidale” e che significa molto, ad esempiospendere tempo e risorse per incontrare di persona i produttori escegliere quelli che si impegnano a rispettare il proprio territorio.

In alto i ragazzi di Cosycoh e sopra uno spaziocomune di TerraCielo

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Se la crisi preme e la rivoluzionedigitale offre tante nuove oppor-tunità, il successo di un progetto

come quello messo in campo da Confabi-tare – associazione di proprietari d’im-mobili bolognese – dice che l’economiareale può trarre spunti positivi da que-sta situazione: nel 2012 è partita la propo-sta di un servizio condominiale di condivi-sione della badante e i gruppi di acquisto

condominiali per fare la spesa in comune.Poi sono arrivate l’infermiera e la tata dicondominio. E ora il successo di questeiniziative è, in certa misura, scoppiatotra le mani di Confabitare: «Solo a Bolo-gna – ci dice il presidente Alberto Zanni –la badante di condominio è attiva in 53condomini, ma da un paio di mesi stiamocercando di esportare tali iniziative nel-le altre città d’Italia, da Milano a ReggioCalabria a Messina. Abbiamo 55 sedioperative provinciali, con una media diuna decina di condomini interessati daquesti servizi per ognuna, il che significache siamo già ben oltre i 500 condominiin Italia».

Le finalità di questi progetti – passi in-termedi per arrivare alla Banca del Tempodi condominio, in cui ciascun inquilinoscambierà coi vicini strumenti, competen-

ze e disponibilità – sono favorire il rispar-mio e la coesione tra famiglie. Tant’è cheConfabitare dichiara che chi aderisce alGruppo d’acquisto condominiale puòspendere fino al 50% in meno sul costodella spesa, mentre per quanto riguarda labadante c’è una grande differenza traaverne una a disposizione in esclusiva tut-to il giorno (1.200-1.300 euro al mese piùcontributi) e usufruirne solo per le ore ne-

Se la sharing economyti entra in casadiCorrado Fontana

Non solo internet. L’economia dellacondivisione entra nella vita dellepersone, rispondendo a bisognidiversi e aiutando a risparmiare. Dal co-working a servizi in comunenel condominio come badanti, tate e infermiere

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Benefici economici e socialiBEN OLTRE IL RISPARMIO. VANTAGGIANCHE RELAZIONALI

«Se penso al fenomeno della badantecondivisa, il tema non è solo quello del risparmio, ma la badante diventa anche lo strumento che connette me con il miovicino di casa, il tramite attraverso il qualefaccio precipitare il mio bisogno di relazione»,commenta Claudio Bossi presidentedell’impresa sociale La Cordata. «È la rispostainattesa, ma ricercata, che la sharing economypuò dare. Il discorso vale anche per

il co-working : che non serve solo per abbattere il costo della locazione di un ufficio ma, rispetto ad esempio ad avere una scrivania a casa propriache funge da ufficio, permette di condividere uno spazio di lavoro con altriaccedendo a una socialità del lavoro, che diventa un elemento fondamentale.La relazione è il bene più prezioso che negli ultimi 20 anni abbiamo perso».

Claudio Bossi,presidente dell’impresasociale La Cordata

SINDACATO IN RITARDO SUI PROCESSI CONDIVISI, MA RESTANO ASPETTI CRITICI

«Devo fare obiettivamente autocritica, evidenziando un limite: negli ultimi anni, pressati dall’urgenza dellacrisi economica e anche per il fatto che il sindacato è stato formato sulla base di una cultura industrialista,abbiamo fatto fatica a metabolizzare questi nuovi processi che si stanno sviluppando», ammette MaurizioBeschi, responsabile economico della Cgil. «Dobbiamo uscire da una cultura ed entrare in un’altra. D’altraparte condividiamo con la sharing economy un punto di passaggio, che si inserisce nella nostra analisi dellacrisi, considerata di tipo strutturale. Va superata costruendo un nuovo modello di sviluppo, dove acquistaimportanza il valore d’uso rispetto al valore di scambio. In comune c’è anche l’obiettivo di ridare spazio e spinta alla partecipazione comunitaria a partire dal basso». E continua «D’altra parte, persistono i problemi di trasparenza e mancanza di controllo e quelli legatiall’evasione fiscale. Si tratta di prassi da accompagnare perciò con politiche pubbliche di incentivazione e di vigilanza, affinché si eviti il rischio che questi meccanismi diventino peggiorativi. Bisogna insomma capirequal è la finalità della sharing economy : se sia un nuovo business fine a se stesso oppure un elemento che puòfar crescere una diversa sensibilità sociale e una diversa modalità di affrontare i temi della crisi e dell’economia.Se vogliamo poi che vi sia un’efficace ricaduta in termini economici e sociali, non c’è dubbio che si debbaconsentire alla generalità della popolazione di avere le conoscenze e le competenze necessarie per interagirecon la rete, e anche una formazione specifica sulle condizioni e le regole che sovrintendono tali meccanismi».

Alberto Zanni,presidente di Confabitare

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cessarie (si può arrivare a pagare sui 300-350 euro al mese). La chiave del successodella badante di condominio, sottolineaperò Zanni – che vale in parte anche pergli altri progetti – è che «la persona inca-ricata rimane tutto il giorno all’internodello stesso stabile, senza tempi mortiper gli spostamenti: la badante è così ga-rantita da uno stipendio pieno. Il van-taggio per i condomini è che, al di là del-le ore di servizio presso una famiglia, labadante rimane sostanzialmente a di-sposizione per la giornata in caso di ne-cessità, emergenze o per piccole attivitàestemporanee». E se la badante è assun-ta dalle famiglie con un contratto rego-lare stipulato pro quota da ciascun uten-te, Confabitare, a titolo gratuito, avvia lapartenza del servizio, ne coordina le atti-vità giornaliere e svolge una funzione dicontrollo leggero, occupandosi delle pra-tiche amministrative.

diCorrado Fontana

Si può condividere anche il posto di lavoro. Luxottica lo propone a membridella stessa famiglia. E dall’Europa l’esempio di Euclid Network

Per l’economia della condivisione è job sharing, ma in Italia l’istituto del lavoro ripartitonasce ben prima del boom della weconomy e viene regolamentato addirittura nel 1998e poi nel 2003 (D.Lgs. 276/2003): la sostanza dice che laddove c’era un posto di lavorone vengono creati due mezzi, fortemente interconnessi (tanto che in caso di finerapporto anticipato per uno lo stop arriva anche per l’altro). Sebbene non moltopraticato in Italia, soprattutto per la rigidità che lo caratterizza, alla multinazionaleLuxottica, in accordo coi sindacati, ne hanno accolto l’impiego nella forma del job sharingfamiliare: un contratto triennale a disposizione degli ottomila dipendenti deglistabilimenti di Agordo, Cencenighe, Sedico, Pederobba, Rovereto e Lauriano.Un’opportunità per chi, già dipendente, vuole condividere oneri e introiti con un componente del nucleo familiare che sia disoccupato.Ma se il job sharing di casa nostra mostra segni di innovazione forse solo nell’etichetta,un bell’esempio di condivisione applicata al mondo del lavoro viene da Euclid Network,rete formata a Londra nel 2007 da 300 professionisti di 31 Paesi con base a Londra,finanziata dalla Commissione Europea e orientata a promuovere l’innovazionenell’imprenditoria sociale. In diverse edizioni dei suoi progetti Erasmus per giovaniimprenditori, infatti, i professionisti di Euclid Network hanno attuato scambiinternazionali condividendo lo stesso posto di lavoro in compresenza, alternandosi nel ruolo di ospiti nei rispettivi Paesi di provenienza, permettendo in tal modo un passaggio di esperienza e competenze apprese sul campo, che poi ciascunoavrebbe potuto mettere a frutto nella propria realtà lavorativa.

Lavoro diviso, lavoro condiviso

Si chiama Arduino ed è una creatura tutta italiana, nata a Ivrea nel 2005 e diffusa in decine di migliaia di esemplari nel mondo, presentata a maggio nella sua ultima versione.Una piattaforma open source: un piccolo computer di baseche ciascuno può acquistare e ha diritto di implementare ed elaborare, perché le informazioni sulla sua progettazionee sui componenti sono liberamente condivise. Massimo Banzi, nato a Monza e oggiresidente a Lugano, è uno dei suoi padri creatori, ma i membri della comunità di Arduino hanno già sviluppato programmi per connettere questo hardware più o meno a qualsiasi oggetto elettronico. Grazie ad Arduino, Banzi è chiamato in tutto il Pianeta per tenere lezioni e conferenze, e annoverato tra i guru della sharing economy,testimonial perfetto del cosiddetto movimento dei makers, che punta a rilanciare i mestieri artigianali attraverso il digitale. Arduino diffonde infatti, attraverso l’enormeplatea offerta dal web, un modello di business che parte dal lavoro fatto con le mani,magari assemblando in garage circuiti elettronici di risulta, per creare nuovi strumentile cui utilità sono messe a disposizione di tutti. Secondo The Economist i makersavrebbero sconfitto Marx, mettendo i mezzi di produzione nelle mani dei lavoratori.

FAI DA TE DIGITALE

GLOSSARIO

CO-WORKINGCondivisione di uno spazio di lavoro, generalmente tipoufficio o studio, in cui vengono affittate a orele postazioni, incluse di alcuni servizi (connessioneinternet, stampante, fax...), da professionisti chesvolgono differenti occupazioni.

CO-HOUSINGCondivisione di spazi abitativi comuni (cucina, salericreative, spazi per bambini...) da parte di diversinuclei familiari che vivono in alloggi indipendenti,generalmente non di grandi dimensioni, in una stessastruttura.

CAR-SHARING/BIKE-SHARINGServizi in abbonamento che consentono l’utilizzoa richiesta di auto o biciclette. Al costo di abbonamentosi aggiunge quello che dipende dall’utilizzo.

CAR-POOLINGPrassi di condivisione dell’automobile tra più persone.Spesso adottato da gruppi che percorrono lo stessotragitto giornaliero alternando l’uso della macchina dei partecipanti.

Dai Gruppi di acquisto allababy sitter, alla badante in comune tra le famiglie. I servizi in condivisioneall’interno dei condominiportano molti vantaggi,economici e non solo

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«Per fare un viaggio in trenosi compra il locomotore?Allora perché per andare

in auto bisogna per forza averne una?».La battuta è di Andrea Poggio, vicediret-

tore di Legambiente e autore di Le cittàsostenibili.

Il car sharing, soprattutto nelle grandicittà, non ha bisogno di presentazioni. So-no più di 26mila gli abbonati del nostro

Paese, per 603 auto che nel 2012 hanno per-corso poco meno di 8 milioni di km in cir-ca 2 milioni di ore. E queste cifre riguarda-no solo Iniziativa Car Sharing, la strutturapromossa dal ministero dell’Ambiente cheunisce undici operatori in diverse città,comprese Milano e Torino, i casi di eccel-lenza a livello nazionale. Nel capoluogolombardo a dare il via al car sharing è sta-ta proprio Legambiente. Dalle tre auto di12 anni fa, ora gli utenti ne hanno a dispo-sizione più di 130 e il servizio è gestito dal-la società di trasporto pubblico Atm.

Non solo car sharingIn confronto ai nostri vicini di casa delVecchio Continente, l’Italia si pone a metàclassifica: se, spiega il direttore di ICSMarco Mastretta, «rispetto a Francia eSpagna probabilmente siamo più avanti,a Zurigo o Berlino il tasso di penetrazionedel car sharing sulla popolazione urbanaè all’1,5%, il doppio di quello italiano». Ma ilcar sharing non può camminare da solo.Perché le persone abbandonino l’auto,usandola in condivisione solo quando ser-ve davvero, occorre che i mezzi pubblicicoprano in modo agevole, economico e ve-loce gli spostamenti quotidiani. Lo confer-ma Andrea Poggio: «Il problema non è so-lo quello di sostituire la proprietà con lacondivisione. Bisogna trovare nuove ri-sposte, sostenibili a livello ambientale e

Ventiseimila abbonati al car sharing. L’Italia a metà classifica in Europa. Ma non bastano le auto in condivisione, servono servizi pubblici efficientiper arrivare ovunque, in modo rapido, facile ed economico

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Spostarsi in comunità

diValentina Neri

La condivisione, soprattutto in tempo di crisi, non può non toccare anche il mondo della finanza. Così lo sviluppo del credito peer-to-peer, ovvero tra privati, senza piùl’intermediazione di una banca, continua a crescere e si candidaa diventare in futuro un concorrente importante per il sistemacreditizio tradizionale. In Italia opera ad esempio la società d’intermediazione Smartika,tornata nel 2011 all’operatività dopo aver superato alcunirilievi mossi da Bankitalia alla precedente esperienza chiamataZopa. La banca centrale ha infatti concesso l’introduzione nelnuovo albo degli istituti di pagamento, rilanciando cosìun’esperienza che era stata in grado, fino al 2009, di attirare 40 mila utenti e raccogliere più di 7,2 milioni di euro di prestiti. Il meccanismo è semplice: Smartika si impegna a verificare la storia creditizia delle parti (prestatore e beneficiario delfinanziamento), ma – a differenza della maggior parte degliistituti di credito – valuta anche le ragioni della richiesta

(ad esempio la bontà di un progetto). Gli utenti chiedonodenaro per acquistare un mezzo di trasporto, per sostenere le spese di un matrimonio, per ristrutturare una casa, perstudiare o per pagare cure mediche. Ma anche, non di rado, perconsolidare debiti pregressi. «I prestatori – spiega Carlo Vitali,responsabile marketing dell’azienda – possono offrire fino a un massimo di 50mila euro, mentre i richiedenti possonoottenere da mille a 15mila euro. In media vengono erogati 6mila euro (il che implica la presenza di circa 200 prestatori),che vengono restituiti in rate da 24 a 48 mesi, ad un tassomedio attorno al 9%, costruito in ragione dell’offerta di denaroin arrivo dai prestatori. La nostra società trattiene l’1% del tassointeresse e circa il 2% del finanziamento». Un dato, in particolare, sottolinea la bontà del sistema: a finemaggio Smartika avrebbe dovuto incassare 4.005 rate, e ne ha ricevute 3.987. Un livello ben più alto rispetto aglioperatori tradizionali. A.B.

SMARTIKA, IL CREDITO PEER-TO-PEER CHE SCAVALCA LE BANCHE

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sociale, ai nuovi bisogni di mobilità. L’at-tuale modello di trasporti è insostenibile,lo dimostra il fatto che negli ultimi anni èaumentata la popolazione immobile, le fa-sce più deboli: pensionati e disoccupati». Esi accentua il divario tra le aree urbane piùservite e quelle periferiche, in cui si usal’auto privata perché non c’è alternativa.

In una fase critica le nuove idee si mol-tiplicano. Il car sharing diventa aziendalegrazie a Micro Green Logistic, un progettodella Camera nazionale dell’artigianato diMacerata e dell’Università di Camerino.Le aziende indicano su una piattaformaon line il numero di colli da spedire, le tem-pistiche e la destinazione. Il software rag-gruppa gli ordini che devono fare lo stes-so viaggio e invia la richiesta a una dittaspecializzata in logistica. In tre mesi disperimentazione, le merci di quaranta pic-cole e medie imprese calzaturiere hannoviaggiato per 9mila km a fronte dei 20mi-la dello stesso periodo dell’anno prece-dente. Risultato: -42% di emissioni di CO2,562 litri di carburante in meno e un ri-sparmio fra i 9 e i 15mila euro per azienda.

Oltre l’autostop Nel frattempo si riscopre l’autostop tra-mite piattaforme di car pooling comeBlaBlaCar e Bring-Me, che permettono dicondividere il viaggio con chi ha a dispo-sizione un posto, partecipando alle spese.Un’opportunità che in Italia è ancora dascoprire, invece, è quella del car sharingpeer-to-peer: una sorta di noleggio tra pri-vati: si presta la propria auto per breviperiodi, a fronte di una tariffa oraria.Shelby Clark nell’estate 2010 ha lanciato

RelayRides, che da Boston si è diffusa aSan Francisco e, grazie all’investimento diGeneral Motors e Google Ventures, in tut-ti gli Usa. L’iniziativa nasceva sulla scia diZipcar, che permette agli abbonati di cer-care sul web l’auto disponibile più vicina.

Per il peer-to-peer in Italia però resta-no alcuni problemi, assicurativi e fiscali:

non è stato definito uno status normati-vo. E si rischia di far fronte a pesanti re-sistenze. Lo dimostra il caso di Uber,l’app per prenotare auto con conducen-te. Arrivata a marzo a Milano e a maggioa Roma, è stata accolta da un vespaio dipolemiche sollevate dalle associazioni dicategoria dei taxi e del noleggio.

Giornali locali di proprietà di lettori o dipendenti e informazione pagata da chi ne usufruisce. In queste dueformule – che in parte richiamanorealtà nostrane come quelle delquotidiano Il manifesto o della milaneseRadio Popolare – è la sintesi di nuoveesperienze di sharing economy realizzate dal basso, in cui

condivisione fa quasi rima con cooperazione. Perché se è opinione diffusa nel RegnoUnito che la stampa locale sia perlopiù condannata a cedere il passo, Co-operativesUK – l’associazione delle cooperative britanniche che riunisce 13,5 milioni di soci – e fondazione Carnegie Trust stanno organizzando una serie di incontri (Make YourLocal News Work) in tutto il Paese per dimostrare che la proprietà condivisa dei mezzid’informazione può essere la via giusta per salvarli. Col dito puntato su azionistiaffamati di dividendi che i media tradizionali non possono più garantire, in questiworkshop si esaltano i successi del West Highland Free Press di Skye e di EthicalConsumer. L’uno è il primo giornale locale britannico di proprietà dei dipendenti:fondato nel 1972 con la missione esplicita di raccontare la realtà della vita di Highland e le sue disuguaglianze sociali, venne messo in vendita nel 2009 e acquistato con faticadai suoi 13 dipendenti per salvare sia il posto di lavoro che la linea editoriale. L’aspettointeressante è che il giornale regge, accontentandosi di margini di profitto del 2%,inaccettabili per banche e grandi gruppi imprenditoriali. Diversa ma altrettantointeressante l’esperienza di Ethical Consumer: sito web e rivista analoga al nostroAltroconsumo ma più militante, realizza rapporti e inchieste suggerite dai lettori,sostiene campagne di promozione sociale e di boicottaggio. La sua proprietà è in mano a una comunità di lettori che hanno investito 200mila sterline nella testatae ricevono in cambio il 4% di tasso di interesse sulle somme versate. C.F.

QUARTO POTERE

GLOSSARIO

PEER-TO-PEERFormula abbreviata in P2P che significa “da pari a pari”ed è mutuata dal gergo informatico. Indicaconvenzionalmente gli scambi tra due individui.

SOCIAL LENDINGLetteralmente “prestito sociale”. È anche sinonimo di peer-to-peer lending e indica un prestito di danaroche intercorre tra due individui, senza intermediazionebancaria.

PIATTAFORMA DIGITALEGeneralmente un sito internet che offre e organizzadeterminate funzioni per chi vi accede, come ad esempiodomanda e offerta di beni e servizi tra persone. 0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00 1,20 1,40 1,60 1,80

Brescia

Roma

Padova

Palermo

Firenze

Parma

Milano

Bologna

Genova

Torino

Venezia 1,63

1,39

1,28

1,10

0,99

0,91

0,59

0,550,47

0,38

0,31

CAR SHARING: RAPPORTO AUTO/POPOLAZIONE

FON

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dossier | futuro condiviso |

Un’enorme bacheca dove chiun-que può proporre la propria casain affitto o cercarne una per pas-

sare qualche giorno in vacanza, in tuttoil mondo. E, per scegliere, si hanno tuttigli strumenti: dalle foto della casa alla

mappa del quartiere, da un’attenta de-scrizione scritta dal proprietario a (mol-to più utile) le recensioni di chi ci è stato.È Air BnB, una piattaforma dove si pos-sono affittare camere o intere case traprivati, senza passare da un’agenzia. Na-ta nel 2007 a San Francisco dall’idea didue ragazzi, Brian Chesky e Joe Gebbia,che per recuperare le spese dell’affittodecidono di mettere a disposizione diospiti paganti una parte del loro loft. Insei anni è stato un vero boom: 10 milioni

di notti prenotate, 300mila annunci, in34mila città, in 192 Stati. The Economistdi marzo scorso era dedicato alla sharingeconomy e ha aperto il servizio descri-vendo proprio questa realtà. Un’alterna-tiva low-cost agli alberghi, ma anche unservizio che ha cambiato il modo di viag-giare per migliaia di persone: si vive inuna casa vera, si condividono storie e sientra in contatto con gli abitanti.

Se Airbnb è un servizio di affitti, cheprevede una tariffa giornaliera e unacommissione (dal 6 al 15%) per il servizio,la sharing economy offre anche soluzio-ni che permettono di viaggiare a costozero, o quasi. È il caso del CouchSurfing,letteralmente “saltare da un divano al-l’altro”, una community nata da dieci an-ni in cui gli iscritti mettono a disposizio-ne gratuitamente il divano di casa. Chi èin zona per visitare la città o seguire unevento invia una richiesta specificandola data di arrivo e raccontando qualcosadi sé. Il padrone di casa è libero di accet-tare o meno a seconda delle proprie pos-

Di casa in casaAffitto o scambiodiValentina Neri ed Elisabetta Tramonto

Una piattaforma on line percondividere annunci di affitto traprivati. O siti per offrire il divano di casa propria. Per viaggiare low-cost

In queste pagine raccontiamo tanteesperienze basate sul principio del-la condivisione. Ma come sarebbero

possibili senza Internet? La risposta diLuca Conti (blogger, giornalista freelan-ce e consulente in social media marke-ting) è netta: «Non potrebbero esistere

perché, senza il web, domanda e offertanon riuscirebbero a incontrarsi. Non perniente, Internet in alcuni casi ha aiutatoattività preesistenti, ma molto più spes-so le ha fatte nascere dal nulla».

Nel 2013 comunicare su scala globale,nell’immediato e a un costo prossimo allozero, è la quotidianità. Per diversi anni ilcosiddetto web 1.0 ci ha permesso solo diaccedere a pagine pubblicate da altri. Giàin quell’epoca nascono i primi servizi col-laborativi: risale al 1995 la fondazione dieBay e Craiglist, il sito di annunci più gran-

de al mondo. A lungo però restano casi iso-lati perché bisogna attendere la diffusio-ne dei social media che permettono achiunque di proporre i propri contenuti.

Ma – spiega Marta Mainieri, giornali-sta ed esperta in media digitali, nel suo li-bro Collaboriamo! – Facebook e Twittersono pensati per comunicare. Con le nuo-ve piattaforme di sharing si passa al fare:servono a lavorare, viaggiare, spostarsi. Iltutto nel mondo fisico: cosa che manda inpensione l’opposizione tra reale e virtua-le. Anzi – azzarda Marta Mainieri – il webpuò addirittura rendere queste esperien-ze molto più “umane”. Condividere unappartamento con degli sconosciuti, adesempio, non ha gli stessi confort di unweekend in hotel. Ma aiuta a ottimizzarele risorse e vivere il viaggio in modo menospersonalizzante. E a fornire i mezzi e lamentalità per questo cambiamento è ilweb: se abbiamo i mezzi per cercare auto-nomamente informazioni e opinioni suun prodotto, siamo sempre meno dispostia pagare un intermediario che lo facciaper noi. E passiamo allo scambio diretto.

Condivisione2.0diValentina Neri

Internet è uno strumentofondamentale per la condivisione. Per fare e non solo comunicare

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| dossier | futuro condiviso |

sibilità. A gennaio di quest’anno i parte-cipanti erano 5,5 milioni in 97mila città:circa il 20% degli utenti viene dagli Sta-ti Uniti e l’età media è di soli 28 anni.CouchSurfing è il servizio più famoso discambio gratuito di ospitalità, ma non èl’unico. L’Hospitality Club, ad esempio,si augura che «un giorno ognuno potràandare in un qualsiasi Paese straniero sa-pendo che ci sarà qualcuno ad accoglier-lo a braccia aperte». Da una sua costolanel 2007 è nata la piattaforma BeWelco-me, gestita unicamente da volontari, cheha da poco superato i 40mila membriche possono offrire un alloggio, ma an-che una cena o un tour guidato. E chivuole passare qualche settimana a con-tatto con la natura, al posto di una va-canza tradizionale, può rivolgersi alWWOOF (Opportunità globali nelle fat-torie biologiche) e stabilirsi in un’azien-da agricola bio o in un agriturismo of-frendo in cambio la propria manodoperaper lavorare nei campi, produrre il for-maggio o il vino.

Italia un po’ in ritardoPer ora i servizi collaborativi si basanosoprattutto sulla Rete. Ma già si speri-mentano soluzioni più avanzate, comele tecnologie wireless per aprire la por-tiera dell’auto noleggiata con RelayRi-des o i servizi come Uber, disponibilisolo su smartphone. Ma il Belpaese inmolti casi sconta un certo ritardo. Colpadi una sorta di resistenza culturale? Se-condo Luca Conti il motivo va cercatonel «ritardo nell’adozione delle nuovetecnologie e nella familiarità nel lorouso. Le piattaforme di sharing in alcunicasi in Italia non hanno ancora raggiun-to la massa critica che le renderebbeun’alternativa ai modelli tradizionali».Può aiutare lo sviluppo del mobile, vistoche il nostro è il Paese europeo con lapiù alta concentrazione di cellulari e unitaliano su tre, stando ai dati Audiweb,possiede uno smartphone. Ma – avverteConti – acquistare un dispositivo di ul-tima generazione non significa necessa-riamente saperne sfruttare tutte le po-tenzialità.

diValentina Neri

Lo spirito della sharing economy si basa sull’assenza di intermediari, di barriere e di controlli. Uno scenario che può aprirsi a possibili truffe. Ma nelle community la fiducia va conquistata, con controlli incrociati

Una donna di San Francisco, in viaggio d’affari, affitta la propria casa su Airbnb. Al ritorno la brutta sorpresa: l’ospite aveva bucato con un trapano l’anta dell’armadioper rubarle soldi, documenti, carta di credito, gioielli, computer portatile. L’episodio,che risale al 2011, trascina nella bufera la community. Airbnb copre le spese e decidedi fornire una copertura assicurativa sugli appartamenti, che grazie alla compagniaLloyd’s di Londra arriva a un milione di dollari. La scelta di assumere l’oneredell’assicurazione, adottata anche dai servizi di car sharing peer-to-peer, rassicura gli utenti. Ma la riflessione è più ampia. Quali sono i margini di controllo su servizi il cuisuccesso si basa sulla natura virale e sull’assenza, o quasi, di barriere all’accesso? Lo scoglio principale, per chi si avvicina all’economia della condivisione, è quello dellafiducia. Proprio per questo, diverse piattaforme di sharing assomigliano a piccolisocial network. Ne è un esempio CouchSurfing, in cui non ci si limita a offrire e chiedere ospitalità, ma si compila un profilo indicando età, provenienza, interessi. Praticamente tutte le piattaforme prevedono un meccanismo per “dare il voto”all’esperienza, in modo che gli utenti possano basarsi sulle recensioni altrui. La stragrande maggioranza di noi, soprattutto fra i più giovani, è già abituata a disseminare tracce di sé sul web tramite Facebook e Twitter. L’ideale, a cui mirano gli entusiasti dello sharing, è ricostruire tramite l’incrocio degli spazi social la rete di relazioni e interessi di una persona, in modo da sapere se potersi fidare. È il principio – spiega Marta Mainieri – di Klout, un aggregatore che, dato un nome, raggruppa tuttele occorrenze sul web e dà la misura della rilevanza di quella persona su Internet.Ma il fatto di doversi fidare di un estraneo prima di affidargli le chiavi di casa o dell’auto non è l’unico problema. Il settore dei taxi e quello alberghiero, ad esempio,sono regolati da norme specifiche per licenze, assicurazioni, imposizioni fiscali. E i servizi di sharing, se vogliono realmente porsi come un’alternativa al sistemaconvenzionale, dovranno riuscire a ritagliarsi un proprio spazio anche a livello legale.Altrimenti rischiano di porsi solo come concorrenti che hanno la possibilità di abbassare i prezzi perché non devono far fronte a determinati obblighi. Pochesettimane fa a New York un utente di Airbnb è stato multato per 2.400 dollari perchél’affitto di parte del suo appartamento per tre giorni è stato considerato come unaviolazione della legge locale che regola il settore alberghiero. Ma oltreoceano si discute anche di Sidecar e Lyft, che forniscono una sorta di serviziodi taxi rintracciando persone disposte a dare un passaggio. Non è prevista una tariffastandard, ma è usanza lasciare un’offerta che formalmente è volontaria, ma di fatto è indispensabile per ottenere un buon “voto” e quindi essere accreditati di fronte aglialtri membri. Fino a che punto dunque si può parlare di offerta? Non per niente,riporta l’Economist, lo scorso novembre Lyft, Sidecar e Uber sono stati multati dalleautorità californiane per aver operato come servizi di trasporto per passeggeri senzaprovvedere alle necessarie tutele. Tutte le società hanno sporto appello e per oracontinuano a operare, in attesa di evoluzioni, che dovranno essere rapide, ma anche in grado di capire la natura e la portata del cambiamento in atto. Altrimenti il rischio è quello di trovarsi imbrigliati in una serie di divieti e smentite che difficilmentepotranno fare del bene tanto alla sharing economy, quanto al sistema tradizionale.

Se qualcosa va storto

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Liquidità e stagnazione. Il vicolo cieco delle banche centrali > 26Banca Etica: conti sotto esame > 28Fiba: un tetto alle remunerazioni dei top manager > 30

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Un’illustrazione di Utagawa Kuniyoshi, “I lottatoridi sumo”, 1830-1840. Shiranui Dakuemon (a sinistra) e Tsurugizan Taniemon (a destra).

sì Tokyo ha scatenatola tempesta

monetaria

sì Tokyo ha scala tempesta

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Bigin Japan

Non bastassero le persistenti in-certezze sui debiti sovrani, i ri-schi della recessione europea e

la timidezza dei segnali di ripresa statu-nitensi, analisti e regolatori finanziari ditutto il mondo potrebbero aver trovatoda tempo un nuovo, insospettabile, mo-tivo di preoccupazione: la politica deiprezzi delle massaggiatrici giapponesi.La temuta notizia l’ha riferita nelle scor-se settimane il signor Akira Ikoma, l’edi-tore della rivista settoriale Ore no Tabi(“Il mio viaggio”), interpellato sul temadal prestigioso The Economist. Di recen-te, ha spiegato, il prezzo di un tratta-mento nel quartiere di Sopurando, unodei più noti red light districts di Tokyo, è

Il Giappone promuove il piùambizioso piano di alleggerimentoquantitativo del Pianeta. I primidati sono incoraggianti. Ma i timori non mancano di certo

di Matteo Cavallito

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aumentato improvvisamente trascinan-do al rialzo le tariffe, in alcuni casi, fino aquota 60mila yen, circa 600 dollari. Lanotizia passerebbe quasi inosservata senon fosse per un piccolo, clamoroso, par-ticolare: prima del recente adeguamen-to, i prezzi praticati nel distretto della ca-pitale erano rimasti invariati per 23 anni.A motivare l’ondata inflazionistica spe-rimentata dai clienti, ha quindi precisatoIkoma, sarebbe stato un unico e decisivofattore di mercato: la rinnovata vitalitàdel Nikkei, l’indice di riferimento dellaBorsa di Tokyo.

Tsunami monetarioIl 22 maggio scorso il principale indiceazionario nipponico ha raggiunto l’in-credibile picco di 15.627 punti, registran-do così un aumento del 46% dall’iniziodell’anno, cui ha fatto seguito una corre-zione negativa e una conseguente mani-festazione di volatilità (vedi ). Lafrenesia degli operatori, insomma, è or-mai palese e a conti fatti non potrebbeessere altrimenti. A gennaio il premierShinzo Abe aveva annunciato una primaoperazione di stimolo fiscale da 10.300miliardi di yen, circa 100 miliardi di dol-lari. Quattro mesi più tardi, in collabora-zione con Haruhiko Kuroda, governato-re della Bank of Japan, l’istituto centralenipponico, lo stesso Abe ha avviato unmaxi programma di iniezione di liquiditàcon l’obiettivo di raddoppiare la basemonetaria nazionale da qui al 2014. Se ipiani dovessero essere rispettati, il valo-re di quest’ultima dovrebbe raggiungerenei tempi previsti l’astronomica cifra di270 trilioni di yen (2,7 trilioni di dollari),pari al 60% del Pil.

Il piano è ormai conosciuto comeAbenomics (vedi ) e si pone un obiet-tivo a dir poco ambizioso: frenare la per-sistente deflazione economica che inGiappone dura ormai da almeno 15 anni.La deflazione, come noto, non altro è chela caduta generale dei prezzi, un fenome-no relativamente insolito, caratterizzatoda un pessimo vizio: quello di autoali-mentarsi. Il principio è semplice: quandouna recessione diviene prolungata, comeaccaduto in Giappone dopo lo scoppiodella bolla azionaria e immobiliare di fi-

ne anni ’80, i consumatori possono inizia-re a prevedere che i prezzi dei beni e ser-vizi tenderanno ad abbassarsi in futuro.Acquistare questi ultimi nell’immediatodiviene quindi apparentemente sconve-niente e così, invece di spendere, scelgo-no di risparmiare. La domanda smette dicrescere e l’economia si blocca.

Ma l’aspetto peggiore è legato al com-portamento della valuta. Prezzi in discesasignificano, infatti, aumento del potered’acquisto futuro, ovvero apprezzamentodella moneta. E una moneta forte, ovvia-mente, finisce per penalizzare progressi-vamente le esportazioni, alimentando larecessione (o nella migliore delle ipotesi lastagnazione) e danneggiando la bilanciacommerciale. Il ri medio, dice la teoria,consiste nell’abbassamento dei tassi di in-teresse, lo strumento standard per lacreazione di inflazione. Solo che nel caso

giapponese l’intervento monetario classi-co non ha funzionato e i tassi nominaliviaggiano da anni a livello zero senza riu-scire ad abbassare il valore dello yen. Nonstupisce, dunque, che di fronte al falli-mento dei metodi abituali, il governo diTokyo abbia scelto l’extrema ratio di unamaxi manovra senza precedenti inne-scando una pioggia di liquidità di propor-zioni apocalittiche.

I risultati non si sono fatti attendere.Quando, alla fine del 2012, si sono diffusele prime voci sulle reali intenzioni dellacoppia Abe-Kuroda l’economia giappone-se ha iniziato la sua inversione di tenden-za. Tra gennaio e marzo il Pil è cresciutodello 0,9% (+3,5% su base annuale) e leesportazioni hanno segnato il primo rial-zo da un anno (+3,8%). I numeri, insomma,certificano il successo. Ma le perplessitànon mancano.

Il fattore debitoIl primo problema si chiama spesa pub-blica, vero e proprio tallone d’Achille diTokyo. Lo scorso anno, ha ricordato l’a-nalista di Morgan Stanley Robert Feld-man, citato dall’Economist, il Giapponeha speso 124,5 trilioni di yen, ovvero oltreun quarto del proprio Pil, per garantirepensioni, sanità, assistenza neonatale esussidi familiari. Al tempo stesso i suoiricavi sono stati pari a poco meno di 60trilioni (mila miliardi). E a coprire la dif-ferenza, come capita ormai da 20 anni aquesta parte, ci ha pensato l’indebita-mento. Nel 1990 il debito pubblico giap-ponese valeva circa il 60% del Pil. Oggisiamo oltre quota 230%, il rapporto piùalto del Pianeta (vedi ). A scongiu-rare il rischio default sono stati essen-zialmente due fattori: la presenza pres-soché esclusiva di creditori giapponesi(quasi tutti i titoli di Stato sono in manoa banche e risparmiatori nipponici), cheimpedisce ogni velleità di speculazioneinternazionale, e la possibilità di offrirerendimenti minimi (garantita dalla de-flazione stessa). Solo che adesso le con-dizioni sono cambiate. E di fronte alleopportunità del rally borsistico gli inve-stitori iniziano a chiedere rendimentisempre più elevati. A metà maggio, i tas-si sui bond decennali di Tokyo hanno

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La copertinadi The Economistdedicata al Giappone

Dopo la prima maxi-iniezionedi liquidità di gennaio scorso il governo ha avviato unprogramma per raddoppiarela base monetaria nazionaleentro il prossimo anno

UN PENSIERO DIVERSO

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Periodici

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toccato quota 0,85%, il livello più alto danove mesi, con una crescita di quasi trevolte rispetto al minimo di aprile (0,31%).Secondo il ministro dell’Economia, AkiraAmari, un rialzo di appena due puntipercentuali sui rendimenti dei decenna-li imporrebbe il pagamento di interessiaggiuntivi pari a 8mila miliardi yen neiprossimi tre anni.

Il fattore cino-coreanoL’altro problema è essenzialmente geo-politico. Tra novembre e maggio, lo yenha perso circa il 30% sul dollaro, ma con lemonete dei concorrenti asiatici la svalu-tazione è stata ancora più evidente. Il de-prezzamento dello yen rispetto alla valu-ta cinese ha spinto al rialzo l’export diTokyo verso Pechino a spese ovviamentedella bilancia commerciale di quest’ulti-ma. A Seul il ministro delle finanze HyunOh-seok ha definito la svalutazione dellamoneta nipponica rispetto al won localeuna questione ancor più significativa diun ipotetico lancio di un missile nucleareda parte della Corea del Nord. «Una ri-presa giapponese basata sulla svaluta-zione non può durare e la principale ra-gione è geopolitica», ha scritto di recenteil Financial Times. «Reazioni forti in ter-mini di politica economica da parte deivicini del Giappone sono pressoché ine-vitabili». La guerra valutaria, insomma, èappena cominciata.

Una freccia, si sa, può essere spezzata facilmente. Ma trefrecce strette insieme, è altrettanto noto, resistono in pieno a ogni sollecitazione. Lo sanno bene i fans del compiantoregista Akira Kurosawa che ancora ricordano la scena inizialedel film Ran (1985), in cui l’anziano monarca Hidetora tenta(senza successo) di insegnare il valore dell’unità agli eredi del suo regno. Ma lo sa bene, ovviamente, anche il premiernipponico Abe, promotore di una strategia composta di tre elementi capaci di sostenersi a vicenda diventando così imprescindibili gli uni per gli altri. Nel dettaglio: la primafreccia si chiama “stimolo fiscale”, ovvero un aumento di spesa per infrastrutture pari a 10,3 trilioni di yen (circa 100 miliardi di dollari), successivamente compensatadall’innalzamento dell’Iva (dal 5 all’8% nel 2014 e dall’8 al 10% nel 2015) per stabilizzare il rapporto debito/Pil. Il secondo dardo è rappresentato dalla politica monetaria

espansiva, vale a dire un processo di iniezione di liquidità paria 270 trilioni di yen entro la fine del 2014 (obiettivo inflazioneal 2%). Terza e ultima strategia è lo stimolo alla crescitaattraverso incentivi fiscali per gli investimenti esteri e la riforma del mercato del lavoro. Obiettivo: un tasso di crescita nominale del 3% annuo.

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TOKYO: ESPLOSIONE E VOLATILITÀ DELL’INDICE AZIONARIO [aprile-giugno 2013]

FONTE: YAHOO FINANCE, NIKKEI DATI STORICI, HTTP://IT.FINANCE.YAHOO.COM

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GIAPPONE: L’IMPENNATA DEL DEBITO PUBBLICO [1990 - giugno]

FONTE: TRADING ECONOMICS, WWW.TRADINGECONOMICS.COM;

IL SOLE 24 ORE (15/1/2013), WWW.ILSOLE24ORE.COM

LE TRE FRECCE DELL’ABENOMICS

Una scena del film “Ran” di Akira Kurosawa Shinzo Abe

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| finanzaetica | quantitative easing |

Imercati finanziari sono “suggestio-nati dall’allentamento monetario”. Èquesto l’avvertimento ufficiale lan-

ciato a giugno dalla solitamente cautaBanca dei Regolamenti Internazionali(Bri) in occasione della sua consueta re-lazione trimestrale. Dallo scoppio della crisi a oggi le principa-li banche centrali hanno immesso nel si-stema migliaia di miliardi di dollari sottoforma di prestiti a tassi ridotti o di opera-zioni di acquisto dei titoli di Stato in ma-no alle banche. La liquidità si è riversatanelle Borse, dove i titoli, svalutati dalla re-cessione, erano particolarmente appetibi-li. All’inizio del 2009 Londra e Wall Streetavevano toccato il picco negativo. Nellaprimavera di quest’anno gli indici princi-pali sono tornati oltre i livelli pre crisi (ve-di ). La svolta monetaria giappone-se, dal canto suo, ha rivitalizzato il Nikkei

producendo nel corso dell’ultimo seme-stre rialzi mai visti (vedi ). È interessante notare che ad accompa-gnare l’ascesa delle Borse è stato, negli ul-timi mesi, un ridimensionamento delleprospettive di crescita globale. «C’è un di-vario crescente tra la crescita dei prezzidegli asset e quella dell’economia reale»,ha sostenuto il guru dei mercati NourielRoubini ipotizzando per le Borse un limi-te di crescita di due anni. Le politicheespansive, ha aggiunto, sono «oggi domi-nanti, ma non potranno prevalere a lungosui fondamentali dell’economia».

Banche in trappolaAd aprile, ha riferito l’Ocse, l’indice deiprezzi al consumo misurato in 34 Paesimembri è cresciuto su base annuale di ap-pena l’1,3%. Il tasso più esiguo dall’ottobredel 2009. In sintesi: la recessione genera

bassi consumi e i consumi ridotti frenanol’inflazione. Le banche centrali sono cosìchiamate ancora a stimolare la crescita.Ma la liquidità, come si è visto, finisce es-senzialmente in Borsa, la cui crescita ri-schia di generare una bolla.

I regolatori sembrano esserne consa-pevoli, ma sanno anche di aver imboccatoormai una strada senza uscita. «Diversigovernatori – ha ricordato il Financial Times – hanno espresso perplessità sul-l’ottimismo sperimentato nei mercati fi-nanziari dall’inizio dell’anno». In parti-colare, «sia il presidente della Fed, BenBernanke, sia il governatore di Bank ofEngland, Mervin King, hanno parlato pub-blicamente del rischio che le loro politichepossano gonfiare bolle speculative suiprezzi degli asset». Ma «al tempo stesso– prosegue il quotidiano della City – un gi-ro di vite prematuro potrebbe far ripiom-bare l’economia in recessione. È il dilem-ma dei banchieri centrali, impegnati da unlato a guidare la ripresa e, dall’altro, a evi-tare il ripetersi della crisi». Auguri.

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Liquidità e stagnazioneIl vicolo cieco delle banche centralidi Matteo Cavallito

Gli stimoli monetari finiscono tutti in Borsa. Gli indici salgono, ma il gap conl’economia reale cresce. Creando tutte le condizioni della bolla perfetta

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CONFRONTO LONDRA - WALL STREET (2007-2013)

FONTE: YAHOO FINANCE, HTTP://IT.FINANCE.YAHOO.COM

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| finanzaetica | guerre monetarie |

Il tracollo del prezzo dell’oro speri-mentato nel mese di aprile non sa-rebbe stato il semplice punto d’arrivo

dell’ennesima bolla di mercato, quanto,piuttosto, il calcolato danno collaterale di un’operazione speculativa sull’euro in-nescata, volente o nolente, dalla stessaBank of Japan e dalla sua maxi iniezionedi liquidità. Lo ha sostenuto MarcelloMinenna, docente di Finanza matemati-ca presso l’Università Bocconi, in occa-sione della presentazione del suo libro“La moneta incompiuta” lo scorso 11 giu-gno a Roma.

Partiamo dal metallo. Nella giornatadi lunedì 15 aprile, il prezzo dell’oro calain un colpo solo dell’8% registrando cosìil massimo ribasso giornaliero degli ulti-mi trent’anni. È il punto d’arrivo di una pa-rabola discendente in atto da un paio disettimane con il metallo giallo che, dopoaver perso 100 dollari di valore unitarionei tre mesi precedenti, brucia oltre 200dollari per oncia nella sola prima metà diaprile. I trader vanno nel panico, ma qual-cuno, forse, ha già visto un nesso eviden-te: il contemporaneo apprezzamento deititoli di Stato delle periferie europee, ov-vero il calo dei loro rendimenti (l’aumentodel valore di un’obbligazione corrispondeinfatti a un minor premio per il rischio).Alla fine di maggio, il prezzo dell’oncia au-rea è calato del 12,75%. Quello del Btp ita-liano a 10 anni, osservato speciale del-

l’eurocrisi, è aumentato (ovvero ha spe-rimentato un calo dei rendimenti) del12,72% (vedi ). Un trend speculare.

Una scommessa sicura«La verità – spiega Marcello Minenna amargine della presentazione – è che igrandi operatori, specialmente le bancheamericane, hanno puntato forte sul rial-zo dell’euro senza agire direttamente sulmercato valutario, ma giocando, indiret-tamente, sulla curva dei tassi euro/yenattraverso l’acquisto dei titoli governati-vi. Semplificando: hanno deciso di com-prare bonos e btp e, dato che per acqui-starli avevano bisogno di liquidità, hannofatto cassa vendendo oro». Per questo ilprezzo del metallo prezioso si è abbassa-to mentre l’Europa ha sperimentato uncalo degli spread. Ma il punto, purtrop-po, è che non si tratterebbe necessaria-mente di una buona notizia.

«La politica espansiva giapponese èun terreno di scontro tra banche centralidi tutto il mondo», prosegue Minenna,

«dal momento che queste ultime, ovvia-mente, puntano a stabilizzare i cambi edifendere le rispettive bilance commer-ciali». Se il Giappone si impegna a svalu-tare lo yen per sostenere il proprio export,in altre parole, ci si attende che gli altriistituti centrali prendano le opportunecontromisure. Ma il punto è che le proba-bili future iniziative condotte da Pechinoe Seul, dalla Fed e da Bank of England percontrastare l’eccessivo apprezzamento diyuan, won, dollari e sterline nei confrontidello yen non saranno imitate dalla Bce.Che, da statuto, non può agire da presta-tore di ultima istanza. «Sappiamo così inanticipo che l’euro si apprezzerà – conclu-de Minenna –. È una scommessa sicura».

Il rischio è duplice. Da un lato, l’Euro-pa potrebbe restare vittima di una guerravalutaria nella quale non può intervenire.Dall’altro, i suoi titoli di Stato potrebberodiventare oggetto di speculazione. Per-ché il trend oggi è al rialzo ma, in futuro,forse, cambierà di segno. Quando WallStreet deciderà di vendere.

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Abenomics e speculazioneNon è tutto euroquel che luccicadi Matteo Cavallito

Il crack dell’oro è il primo segnaledella guerra allo yen. Ma la veravittima potrebbe essere la moneta del Vecchio Continente

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OSCILLAZIONE ORO / DECENNALE ITALIANO: APRILE - GIUGNO 2013

FONTI: BLOOMBERG (HTTP://WWW.BLOOMBERG.COM/QUOTE/GBTPGR10:IND/CHART), WORLD GOLD COUNCIL (HTTP://WWW.GOLD.ORG/DOWNLOAD/VALUE/STATS/STATISTICS/XLS/GOLD_PRICES.XLS), NOSTRE ELABORAZIONI. DATI IN DOLLARI USA PER ONCIA D’ORO, RENDIMENTI % LORDI SUL BTP ITALIANO A 10 ANNI

Oro Rendimento Btp

Page 28: Mensile Valori n. 111 2013

| finanzaetica | nelle pagine dei giornali |

«Banca Etica prende sul serioil suo nome». Si leggeva co-sì sull’Economist a giugno.

Per la prima volta il settimanale economi-co britannico ha dedicato un articolo all’i-stituto italiano, raccontando la sua “diver-sità”: come si opponga «alla finanza casinò,ai paradisi fiscali e alla speculazione nellematerie prime»; come non investa in «por-nografia, petrolio e armi»; come i managerabbiano uno stipendio che non supera dioltre sei volte la paga più bassa erogata. Ilsettimanale definisce l’istituto piccolo, ma«tra le migliori banche italiane».

Solo un paio di settimane prima, inve-ce, erano stati alcuni giornali economiciitaliani a dedicare attenzione a Banca Eti-ca, con toni un po’ diversi. In particolareIl Sole 24 Ore ha pubblicato due articoli il17 e il 18 maggio (il giorno dell’assembleadegli azionisti della banca e il preceden-te), in cui avanzava una serie di critichesulla gestione dell’istituto. Critiche estrat-te da un esposto anonimo («quindi inat-tendibile», dichiara Banca Etica), inviatoalla Banca d’Italia e alla Consob, che ilquotidiano economico attribuiva (erro-neamente) ad alcuni soci (senza poi darealla banca possibilità di replica riguardoagli appunti sollevati). Critiche come:«una redditività sempre più bassa»; «il de-terioramento progressivo della qualitàdel credito»; «un disequilibrio tra la dura-ta media degli impieghi (alta: 9 anni) equella della raccolta (bassa: 2,8 anni)»;

«partecipazioni e controllate in preoccu-panti situazioni finanziarie». Critiche ana-loghe sono arrivate (ma con toni un po’meno “aggressivi”) anche da Milano Fi-nanza. Proviamo anche noi a entrare nelmerito delle questioni evidenziate, machiedendo spiegazioni, punto su punto, alpresidente della banca, Ugo Biggeri (ap-pena nominato per il secondo mandato).

Ricavi deboliPartiamo dalla redditività, descritta dalSole 24 Ore come «bassa e debole». Per Mi-lano Finanza «nel bilancio 2012 su 30,1 mi-lioni di interessi attivi, quasi 9 milioni so-no imputabili a investimenti finanziari edifferenziali di strumenti di copertura. Laredditività di Banca Etica si basa non pocosu elementi aleatori di natura finanziaria,che potrebbero venire a mancare nei pros-simi esercizi». «Sicuramente Banca Etica,

lo diciamo noi stessi, ha bisogno di porta-re la redditività a livelli più alti – spiegaUgo Biggeri – ma bisogna anche conside-rare cos’è successo negli ultimi mesi, anni,intorno a noi. Banche delle nostre dimen-sioni sono tutte in difficoltà. Banca Etica èsolida: ha sofferenze basse e una capitaliz-zazione buona». Per quanto riguarda inve-ce la struttura dei ricavi il presidente ag-giunge: «Credo che nessuna banca oggigeneri utili attraverso la sola intermedia-zione creditizia. È la nostra attività princi-pale, ma non possiamo tenere la liquiditàsotto il materasso, dobbiamo generare al-tri ricavi, per avere utili e concedere piùprestiti. Senza considerare che per BancaEtica “attività finanziaria” significa titolidi Stato e attività reali, non speculative».

Un’altra critica mossa all’istituto è diaver fatto ricorso ai prestiti della Bancacentrale europea. «Lo abbiamo sempre af-fermato, che vi avremmo fatto ricorso, diper sé non c’è nulla di male. Bisogna vede-re cosa si fa con quei soldi. Noi stessi criti-chiamo chi prende fondi dalla Bce e non liusa per concedere prestiti, ma per inve-stire magari in titoli di Stato. Nel nostro

Banca EticaConti sotto esamedi Elisabetta Tramonto

Da un lato gli elogi dell’Economist, dall’altro le critiche, contenute in un espostoanonimo e pubblicate da alcuni giornali italiani (senza concedere repliche alla banca). Valori entra nel merito delle questioni sollevate, chiedendorisposte direttamente a Banca Etica, al suo presidente Ugo Biggeri

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caso avevamo l’intento di mantenere unabuona situazione di liquidità e di cresceresugli impieghi del 14%».

Troppi prestiti e troppo lunghi«Nel 2012 gli impieghi sono cresciuti del12,05% contro il +8% della raccolta diretta,una dinamica che nel 2011 era stata ancorapiù accentuata con un +24,14% degli im-pieghi e un +11,3% della raccolta diretta».Così scriveva Milano Finanza, evidenzian-do l’eccessivo aumento dei crediti conces-si. «È una critica che proprio non capisco.L’obiettivo di una banca è raccogliere de-naro per fare prestiti. Le operazioni fi-nanziarie fanno parte dell’attività di unistituto di credito senza però esserne laprincipale. E bisogna anche considerareche abbiamo finito la fase di start up nel2012. L’anno scorso, per la prima volta, perogni euro di raccolta c’è stato un euro di fi-nanziamento accordato. Abbiamo rag-giunto un equilibrio nella crescita che na-turalmente cambierà nei prossimi anni».

Desta preoccupazione anche, per i me-dia italiani, lo sbilanciamento delle sca-denze: brevi per la raccolta, lunghe per gliimpieghi. «La raccolta di Banca Etica è perlo più a breve, mentre gli impieghi hannouna duration maggiore, trattandosi per lopiù di mutui e sovvenzioni». «Chiunqueabbia fatto un po’ di tecnica bancaria – re-plica Biggeri – sa che tipicamente i rispar-

miatori vorrebbero soldi a vista. Chi liprende in prestito invece chiede tempilunghi. Si chiama equilibrio finanziario, èun problema di tutti gli istituti di credito.Banca Etica ha uno sbilanciamento che sidiscosta solo del 10-15% dalla media del si-stema bancario. Dipende dalle peculiaritàdella banca: il terzo settore, con cui l’isti-tuto lavora, ha per sua natura necessità diimpieghi a lungo termine».

Credito di qualitàUn’altra critica avanzata è il “deteriora-mento della qualità del credito”. «Forsenon ci si è accorti – risponde Biggeri – di co-me stanno andando le cose in Italia. In-nanzitutto rimane il dato ottimo sulle sof-ferenze, che, se confrontate a quelle mediedel sistema bancario nazionale, sono mol-to più basse, sei volte in meno (1,4% controil 7,20% della media del sistema bancarioper le sofferenze lorde). Ma l’economia vapeggio, questo è un dato di fatto. E, quindi,le sofferenze sono aumentate per tutti. Fi-no a qualche anno fa avevamo sofferenzelorde sullo 0,9%, oggi sono all’1,1%. E intan-to Banca Etica continua a erogare prestiti.Sarebbe molto peggio se, per ridurre le sof-ferenze, non prestasse più».

Un’altra categoria di critiche riguardala partecipazione di Banca Etica in alcunesocietà con una situazione economica cri-tica, una fra tutte Etimos, il consorzio che

si occupa di microcredito nel Sud delmondo. «Innanzitutto, prendendo attodel piano industriale del consorzio e allaluce delle consuete valutazioni utilizzatenella concessione del credito, abbiamo ri-dotto l’esposizione, riducendo il rischio.Ma bisogna anche considerare che cosa faEtimos: microcredito nel Sud del mondo.Anche se a rischio, siamo orgogliosi diquesto investimento. Stiamo compiendoscelte per ampliare tale attività».

Criticato anche il finanziamento al Co-mune di Napoli che vanta seri problemi dibilancio. «Sicuramente – precisa il presi-dente di Banca Etica – se non si finanzianessuna cooperativa sociale, nessun anti-cipo di fattura di convenzioni da comuni,nessuna innovazione in campo energeti-co, non si prendono rischi, ma non si faneanche la banca. Perché il comune di Na-poli? Perché ha enormi bisogni sociali. Achi spetta finanziarli se non Banca Etica?Naturale poi che, una volta che si scopreche il comune ha problemi seri di bilancio,non si fanno più finanziamenti».

| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 29 |

| finanzaetica |

LA QUALITÀ DEL CREDITO MEGLIO DEL SISTEMA BANCARIO

31/12/2010 31/12/2011 Var. 31/12/2012 Var.Sistemabancario

(31/12/2012)

SofferenzeLorde/Impieghi 0,9% 0,9% 6% 1,4% 49% 7,2%

SofferenzeNette/Impieghi Netti 0,39% 0,44% 13% 0,43% -2%

Crediti Deteriorati/Impieghi 3,63% 3,22% -11% 4,89% 52% 13,4%

FONTE: BANCA D’ITALIA - RAPPORTO

SULLA STABILITÀ FINANZIARIA- N° 5 APRILE 2013

Il Bilancio Sociale di Banca Etica, per la prima voltasul web. Tra i pochi casi al mondo, l’istituto ha resodisponibili i dati di bilancio, interamente navigabilion line in modo accessibile e di facile comprensione.

Page 30: Mensile Valori n. 111 2013

| finanzaetica | salari e bonus |

La distanza tra gli stipendi degli im-piegati e dei dirigenti delle banchee delle compagnie d’assicurazione

italiane è enorme. Per raggiungere il sala-rio di un “normale” dipendente, direttorie amministratori delegati di Intesa San-paolo, Generali, Unicredit e Unipol – chepercepiscono cifre comprese tra i 2,1 e i 3,9milioni di euro – impiegano non più di cin-que giorni lavorativi all’anno (vedi ).I dirigenti hanno, infatti, intascato re-munerazioni 42 volte più alte rispetto aquanto previsto in media nei rispettivicontratti (con punte di 123 volte).

A denunciarlo è uno studio di Fiba-Cisl, che, per rendere note le cifre e mo-bilitare il settore, ha lanciato una raccol-ta di firme. L’obiettivo è presentare unaproposta di legge che imponga un tettomassimo alle retribuzioni e ai bonus del“top management” delle società quotatein Borsa. Ciò, spiega la sigla sindacale,«allo scopo di evitare che la finanza, che

ha generato la crisi mondiale, prenda ilsopravvento sull’economia reale».

«Finora abbiamo ricevuto reazioni de-cisamente favorevoli da parte dei lavora-tori. Sul fronte degli altri sindacati abbia-mo registrato l’appoggio pieno della Fabi,mentre non possiamo dire altrettanto perFisac e Uilca. Quanto ai manager, il dis-senso è netto, e basato su argomentazio-ni francamente incomprensibili. C’è chiha obiettato che con 600mila euro annuinon si troverebbero persone disposte afare gli amministratori delegati. Altri han-no paventato fughe dei business all’este-ro: mi domando perché un investitorestraniero dovrebbe rinunciare a investirein Italia in ragione dello stipendio dei di-rigenti bancari».

«Le remunerazioni in misura fissa e ibonus e incentivi dei top manager – si leg-ge nel testo del progetto legislativo – nonpossono essere così elevati da incoraggia-re l’assunzione di rischi eccessivi a dannodelle Società di capitali». Per questo il li-mite massimo ipotizzato per gli alti diri-genti è di 588mila euro all’anno, costituitida una quota fissa massima di 294 milaeuro – in linea con quelle dei pari ruolo nelpubblico impiego – e un’altra dello stesso

importo legata a premi e bonus (che peròandrebbero corrisposti «solo in presenzadi risultati estremamente positivi ed ècorrelata all’entità del patrimonio azien-dale sia in volume di affari gestiti che innumero di lavoratori dipendenti»).

La proposta di legge targata Fiba-Cisl,inoltre, impone un pronunciamento del- l’Assemblea generale dei soci sui piani an-nuali che determinano i bonus, compren-sivi di incentivi, stock option e compensiequity. La normativa, dunque, oltre a scon-giurare la concessione di remunerazionieccessive, modificherebbe anche i rappor-ti all’interno degli istituti di credito, impo-nendo per legge un controllo “dal basso”da parte dei soci. Una scelta che, d’altraparte, è in linea con lo spirito della stessaregolamentazione attuale di Bankitalia eConsob, nella quale si sottolinea come l’o-biettivo debba essere quello di «pervenire– nell’interesse di tutti gli stakeholders – asistemi di remunerazione, in linea con lestrategie e gli obiettivi aziendali di lungoperiodo, collegati con i risultati aziendali,opportunamente corretti per tener contodi tutti i rischi, coerenti con i livelli di capi-tale e di liquidità necessari a fronteggiarele attività intraprese».

TABELLA

Fiba-Cisl propone un tettoalle remunerazioni dei top managerdi Andrea Barolini

Il sindacato ha lanciato una propostadi legge per allineare stipendi e bonus dei banchieri a quantopercepito dai supermanager pubblici

| 30 | valori | ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 |

I SUPERMANAGER BANCARI, PER RAGGIUNGERE LO STIPENDIO MEDIO DI UN IMPIEGATO, IMPIEGANO

RETRIBUZIONI 2012 E 2011 3 giorni Amministratore delegato Intesa San Paolo: 3.937.000 € [2012]

Amministratore delegato Generali: 3.478.000 € [2012]

4 giorni Amministratore delegato Unicredit: 2.997.000 € [2012] e 4.093.000 € [2011]

5 giorni Amministratore delegato Unipol: 2.153.000 € [2012]Amministratore delegato Cattolica Assicurazioni: 2.148.000 € [2012]

8 giorni Amministratore delegato Banco Popolare: 1.709.000 € [2012] e 2.321.000 € [2011]

9 giorniAmministratore delegato MPS: 1.596.000 € [2012] e 1.752.000 € [2011]Amministratore delegato UBI Banca: 1.506.000 € [2012]Amministratore delegato Credito Valtellinese: 1.425.000 € [2012]

FONTE: FIBA-CISL

RETRIBUZIONE GIORNALIERA DI DIRETTORI E AMMINISTRATORI DELEGATIDELLE BANCHE ITALIANE IN RAPPORTO ALLA MEDIA CONTRATTUALE ABI

2012

Nome Banca Remunerazionegiornaliera

Rapportorispetto amedia Abi

CUCCHIANI Enrico Intesa Sanpaolo 10.786 108

GHIZZONI Federico Unicredit 8.211 82

CHIESA Enzo BPM 8.000 80

MESSINA Carlo Intesa Sanpaolo 5.907 59

MICCICHÈ Gaetano Intesa Sanpaolo 5.742 57

FONTE: FIBA-CISL

Page 31: Mensile Valori n. 111 2013

| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 31 |

del Country Report sulla Grecia pub-blicato il 6 giugno 2013 dall’Fmi. È la se-conda volta che tale organismo mettein discussione le politiche economichedi austerità europee o, quanto meno, lemodalità con cui sono state attuate. Sitratta ovviamente anche di un’auto-critica, poiché tali politiche sono ilfrutto di decisioni concordate con laCommissione Ue e la Bce (la cosiddet-ta “troika”).

Un primo errore era stato di valuta-zione. Ossia si erano notevolmente sot-tovalutati gli effetti recessivi delle mi-sure di austerità prescritte e dunqueabbinate al piano di salvataggio con-cesso alla Grecia nel 2010. Più precisa-mente le previsioni avevano sottosti-mato in modo significativo l’aumentodella disoccupazione e la flessione deiconsumi e degli investimenti associatial consolidamento fiscale.

Nel Report sopra citato è, invece,messa in discussione la decisione dinon aver tentato, fin dall’inizio dellacrisi greca, una ristrutturazione deldebito (si intende una procedura cheprevede un accordo con il quale le con-dizioni originarie di un prestito – in que-sto caso si tratta dei titoli emessi a fi-nanziamento del debito pubblico greco,dunque tassi di interesse e scadenza –vengono modificate per alleggerire l’o-

nere del debitore). Tale ristrutturazio-ne è stata attuata solo nel maggio 2012,dunque ben due anni dopo il primo “sal-vataggio” costato 110 miliardi di euro aicontribuenti europei. Tale decisione,voluta all’interno della “troika” soprat-tutto dalla Commissione europea, eradettata dalla paura di “un effetto conta-gio”. Ancora oggi, nonostante l’attualeripensamento, l’Fmi sostiene che il sal-vagente lanciato nel 2010 ad Atene «hadato più tempo all’area euro per co-struire una cortina di protezione a be-neficio di altri Paesi membri vulnerabi-li, evitando effetti potenziali gravi perl’economia globale».

In realtà dietro quella decisione,ancora una volta, come spesso è avve-nuto in molte politiche di risanamen-to, c’è la scelta di tutelare i creditori. Ilritardo nel default (maggio 2012) hapermesso, infatti, a gran parte dei cre-ditori privati di “scappare”, senza subi-re perdite. In questo modo “la troika”ha imposto tutto il peso dell’aggiusta-mento fiscale ai Paesi debitori, con idrammatici effetti sociali di cui siamostati spettatori e protagonisti in nega-tivo negli ultimi anni.

Al contrario la responsabilità del de-bito dovrebbe essere ripartita in modoparitario tra debitori e creditori. Il de-bito non è, infatti, stato imposto aicreditori, che piuttosto hanno spessoalimentato e in alcuni casi agevolatol’indebitamento per lucrare sui presti-ti. È paradossale oggi ricordare che nel1944, quando a Bretton Woods si pro-gettava l’istituzione dell’Fmi, Keynesproponeva un meccanismo finanzia-rio internazionale che stabiliva l’oneredel risanamento anche ai creditori. Maallora il peso politico ed economico diquesti ultimi era assai minore. Oggi lichiamiamo “mercati finanziari” e spes-so la politica è sottomessa alle loro re-gole. Non a caso sono stati i soggettieconomici che hanno provocato la cri-si e sono stati i primi a uscirne.

Scelte sbagliateLa critica (e autocritica)dell’Fmi

di Alberto Berrini

«Avremmo dovuto rinegoziare il debito della Grecia fin da subitoper concederle un po’ di respiro e farla uscire dalla crisi piùfacilmente». Così ha dichiarato Olivier Blanchard, capo eco-

nomista del Fondo monetario internazionale (Fmi), a una radio francese(France Inter) l’8 giugno scorso. In questa frase è ben sintetizzato il contenuto

L’organismo internazionaleha ammesso gli eccessi dellepolitiche di austerityche hanno aggravato la crisi

TOMASO MARCOLLA / WWW.MARCOLLA.IT

| globalvision |

Page 32: Mensile Valori n. 111 2013

La Fed immette ogni mese 85 miliar-di di dollari di liquidità con il terzoprogramma di quantitative easing.

I primi due (2009-12) valevano 2,7 trilionidi dollari, quasi quanto il nuovo program-ma giapponese (270 trilioni di yen entro il2014). La Bank of England ha iniettato 375miliardi di sterline (585 miliardi di dollari).Per capire dove sia finita questa massa didenaro basta guardare gli indici finanzia-ri. Le principali Borse occidentali viag-giano ai livelli pre crisi, quelle degli emer-genti fanno anche meglio. Il Nikkei restaindietro, ma negli ultimi mesi ha eviden-ziato clamorosi rialzi. Oro, gas e petroliosono lontani dai rispettivi picchi, ma simantengono su livelli elevati. Gli alimen-tari sono in prossimità dei due record sto-rici. La ripresa dell’economia reale tuttaviaappare lenta e non giustifica l’entusiasmodei mercati. Il rischio bolla, insomma, ap-pare sempre più concreto.

Maxi-bollamonetaria

diMatteo Cavallito

| numeridellaterra |

| 32 | valori | ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 |

20.00025.00030.00035.00040.00045.000

IPC / CITTÀ DEL MESSICO

30.000

40.000

50.000

60.000

70.000

80.000

6.0008.00010.00012.00014.00016.000

DOW JONES - WALL STREET

1.500

2.000

2.500

3.000

NASQAD - WALL STREET

1.0001.5002.0002.5003.0003.500

MERVAL / BUENOS AIRES

Borse nel mondo

Indici delle materie prime

[dati dal 2007 al 2013]

2

4

6

8

10

12

14

GAS / USA(Natural Gas spot price, US$ per Million Metric British Thermal Unit)

(US Dollars per Troy Ounce)

400600800

1.0001.2001.4001.6001.8002.000

ORO

IBOVESPA / SÃO PAULO

Page 33: Mensile Valori n. 111 2013

FONTI: INDICI DI BORSA: YAHOO FINANCE, HTTP://IT.FINANCE.YAHOO.COM; COMMODITIES ENERGETICHE (PETROLIO, GAS): FMI, HTTP://WWW.IMF.ORG/EXTERNAL/NP/RES/COMMOD/INDEX.ASPX;

ORO: WORLD GOLD COUNCIL, HTTP://WWW.GOLD.ORG/INVESTMENT/STATISTICS/GOLD_PRICE_CHART - ILLUSTRAZIONE BASE CARTINA: DAVIDE VIGANÒ

| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 33 |

| su e giù di borse e materie prime |

4.0005.0006.0007.0008.0009.000

DAX / FRANCOFORTE

8.00010.00012.00014.00016.00018.00020.000

3.000

4.000

5.000

6.000

7.000

FTSE 100 / LONDON

2.000

3.000

4.000

5.000

6.000

10.000

15.000

20.000

25.000

30.000

HANG SENG / HONG KONG

NIKKEI / TOKYO

SSE / SHANGAI

4681012141618

GAS / EUROPA(Natural Gas, Russian Natural Gas border price in Germany,US$ per Million Metric British Thermal Unit)

100

150

200

FOOD PRICE INDEX

20

40

60

80

100

120

140

160

PETROLIO UK BRENT

20

40

60

80

100

120

140

160

PETROLIO USA WEST TEXAS INTERMEDIATE

Page 34: Mensile Valori n. 111 2013
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| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 35 |

| lostintransaction |

0,46 e all’1,28%. Nel marzo di quest’anno,riferiscono invece da Menlo Park, Ca-lifornia, il numero degli utenti Face-book ha raggiunto quota 1,11 miliardicontro i 900 milioni registrati dodicimesi prima. Vale a dire un tasso di cre-scita del 23%. Se i trend dovessero man-tenersi costanti, la creatura di Zucker-berg si trasformerebbe nello spazio diun anno o poco più nella prima “nazio-ne”, seppur virtuale, del Pianeta. Ad im-pressionare particolarmente, tuttavia, èsoprattutto un altro dato. Nell’agostodel 2012 i contenuti condivisi ogni giornosulla piattaforma erano 2,45 miliardi.Oggi siamo saliti a 4,75, quasi il doppio.Nate Blecharczyk, uno dei fondatori diAirbnb (vedi pag. 22), sostiene che diecianni fa la sua società non avrebbe maipotuto esistere perché «prima di Face-book – ha spiegato all’Economist – lagente non era veramente inserita nellacondivisione». Come a dire che, senzaquella massa infinita di pensieri, parolee immagini che attraversa ogni giorno ilsocial network, non sarebbe possibilefondare le stesse basi culturali dellasharing economy. Ma tra potenzialità,valore immateriale e valore effettivopossono esserci in definitiva differenzeenormi. E il mercato, che ama concen-trarsi sugli indicatori oggettivi, se ne ac-corge spesso.

Il 18 maggio 2012, giorno del suo de-butto in Borsa, Facebook aveva un valo-re stimato pari a 103 miliardi di dollari,circa 100 volte il livello dei suoi profittinetti e 27 volte quello dei suoi ricavi.Google, per intenderci, era valutata al-l’epoca “appena” il doppio eppure fattu-rava già 10 volte tanto. Nel primo giornodi contrattazione, gli operatori movi-mentarono 573 milioni di azioni (unvolume mai più registrato) e il titolo,inizialmente offerto a 42, chiuse pocosopra i 38 dollari. Tre mesi e mezzo piùtardi Facebook aveva toccato il minimostorico di 17 dollari. A metà giugno 2013,

dopo una lenta risalita, siamo sotto i 24dollari, quasi il 40% in meno rispetto al-l’esordio. Nonostante la congiuntura fa-vorevole (nello stesso periodo il Nasdaqè salito del 23%) l’avventura borsisticadel social network è stata dunque unmezzo disastro.

I critici alla Ernst Malmsten o allaMichael Birch, reduci della Dotcom bub-ble poco inclini all’entusiasmo di fronteal binomio Facebook/Wall Street, hannovisto confermate molte delle loro per-plessità. Le stesse di cui aveva riferitoall’epoca Valori dedicando la sua co-pertina (maggio 2012) alle numerosezone d’ombra che circondavano il gran-de evento, ovvero quella “offerta pub-blica iniziale del decennio” (Ipo) tra-sformatasi nel solito affare per pochiintimi. Quote azionarie alla mano, MarkZuckerberg ha ottenuto dall’Ipo quasi25 miliardi di dollari, il cofondatoreDustin Moscowitz più di 6 e mezzo, l’a-zionista di minoranza (0,19% delle quo-te) ed ex guru di Netscape Marc An-dreessen 166 milioni. Morgan Stanley,principale collocatore, ha intascatouna commissione dell’1,1%, ma nelleprime due settimane di contrattazioniha fatto fuori oltre un terzo dei titoliacquistati all’esordio. Gli investitori re-tail, nel frattempo, hanno “condiviso”soltanto una cosa: le perdite.

Una bolla annunciataFacebook e Wall Street:un’amicizia mai condivisa

diMatteo Cavallito

Nell’estate del 2013, affermano gli analisti della Cia, la Libia dovrebberegistrare il tasso di crescita demografica annuale più elevato delmondo, +4,85%, superando così la soglia dei 6 milioni di abitanti. Nel-

lo stesso periodo, Cina e India, i due Paesi più popolosi del globo, toccherannoquota 1,35 e 1,22 miliardi, evidenziando un’espansione pari rispettivamente allo

L’avventura in Borsa dellacreatura di Zuckerberg è stata disastrosa. Valorilo aveva previsto un anno fa,alla vigilia della quotazione

| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 || ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |

CooperativaEditoriale EticaAnno 12 numero 99. Maggio 2012.€ 4,00

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

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Social businessAmicizie a peso d’oro. Facebook in Borsa varrà 100 volte i suoi profitti

Finanza > Gli scandali dei fornitori cinesi non scalfiscono Apple. La corsa continuaEconomia solidale > La Tav come un bancomat. E nella montagna spunta l’uranioInternazionale > La partita delle elezioni Usa si gioca sul campo della finanza

Page 36: Mensile Valori n. 111 2013

| 36 | valori | ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 |

Bankia, la speculazione senza fine > 39Il cantiere della crisi > 40Le mani dei Big sull’eolico italiano > 44

economiasolidaleBARCEX / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

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Page 37: Mensile Valori n. 111 2013

Una manifestazione contro gli sfratti a Madrid, lo scorso 16 febbraio.

| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 37 |

| immobiliare |

Stop temporaneo ai pignoramenti e usufrutto (a pagamento) per tre anni. Dall’Andalusia via libera a un provvedimento storico per un Paese tuttora in preda agli effettidella bolla immobiliare

Così l’Andalusiambatte la crisi

immobiliarembatte la crisi

immobiliare

iós sfratti!di Matteo Cavallito

«Sono felice, sono soddisfat-ta, ma soprattutto sonopiena di speranza». Maria

del Carmen Andujar, raccontano le cro-nache, non riesce a smettere di sorridere.In tutta la sua vita, con ogni probabilità,non aveva mai parlato con i giornalisti.Ma ormai, di questi tempi, inizia a farcil’abitudine. Nel 2004, in un’epoca di forteespansione economica, lei e suo maritoavevano contratto un mutuo da 78milaeuro per acquistare un appartamento da86 metri quadri in calle Alonso de Ercillapresso Huelva, Andalusia, una cittadinada 150mila anime nel Sud Ovest dellaSpagna. Nove anni più tardi la crisi sem-brava aver distrutto il sogno. Suo marito,cuoco di professione, ha perso il lavoro,al pari di uno spagnolo su quattro. Marialavora come “donna delle pulizie” e portaa casa un salario mensile di 400 euro che,sommato al sostentamento di un asse-gno familiare più o meno equivalente,serve a mantenere ben quattro figli. L’im-possibilità di versare i 500 euro mensilidelle rate del mutuo richieste dalla fi-nanziaria Credifimo aveva dato origineal provvedimento di sfratto che avrebbedovuto diventare esecutivo lo scorso 14maggio. E invece, all’ultimo momento, la

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| economiasolidale |

famiglia Andujar ha ricevuto la notiziapiù bella: il provvedimento è stato an-nullato e da qui ai prossimi tre anni i seicomponenti potranno continuare a oc-cupare l’appartamento.

Emergenza locale…L’attenzione dei media spagnoli (tra cuiLa Voz Digital e Inversión & Finanzas, cuidobbiamo queste informazioni) è più checomprensibile. Maria e la sua famiglia so-no, infatti, i primi beneficiari in ordine ditempo dello storico provvedimento as-sunto a maggio dalla giunta regionaledell’Andalusia che concede al governo lo-

cale il potere di esproprio temporaneodelle abitazioni soggette a sfratto e laconcessione per tre anni del loro usufrut-to ai proprietari che hanno subito il de-creto di sfratto di fronte all’impossibilitàdi continuare a pagare il mutuo.

Per accedere al programma le fami-glie dovranno dimostrare di avere unreddito complessivo inferiore a una so-glia minima. La possibilità di restare nel-le proprie case sarà garantita per unmassimo di tre anni durante i quali gli in-quilini dovranno versare il 25% dei lororedditi al governo andaluso. Il piano pre-vede inoltre la creazione di un registrodelle abitazioni sfitte in mano a banchee società private con la conseguente in-troduzione di un sistema di incentivi esanzioni allo scopo di favorire l’ingressodegli appartamenti sul mercato degli af-fitti non diversamente da quanto an-nunciato dal governo della Catalogna.

L’amministrazione regionale, che in-tende promuovere il progetto di legge alivello nazionale (l’unico provvedimen-

to di questo genere per il momento è sta-to annunciato dal governo locale delleisole Canarie), stima che il numero di ap-partamenti vuoti in Andalusia oscilli trale 700mila e il milione di unità. Banche esocietà immobiliari ne controllerebberoal momento fino a 500mila.

…e nazionaleNumeri impressionanti che si accompa-gnano alle altre cifre dell’emergenza. Se-condo l’assessore allo Sviluppo e alleAbitazioni Elena Cortés Jiménez, ognigiorno in Andalusia si eseguirebbero 45sfratti, un ritmo che, dal 2007 ad oggi, haportato il numero complessivo attorno aquota 86mila. Nel 2012, secondo i dati dif-fusi dalla Banca di Spagna a marzo, la ca-pitale Madrid ha registrato in media unosfratto ogni quarto d’ora per un totale di40mila pignoramenti. Tra il 2008 e il 2012,gli sfratti per morosità hanno interessa-to 400mila famiglie spagnole.

La rabbia, manco a dirlo, si concentrasulle banche. Protagonisti dei mutui “fa-cili” e responsabili del rigonfiamento del-la bolla grazie alla loro intensa attività dicartolarizzazione (vedi Valori n. 110, giu-gno 2013), gli istituti di credito sono oggiattivi nell’operazione di recupero degliimmobili.

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IL DOCUMENTO IN RETE

Decreto-Ley 6/2013, de 9 de abril, de medidas para asegurar el cumplimiento de la Función Social de la Viviendahttp://ep00.epimg.net/descargables/2013/04/11/8b2ed3747caf5b93f9d5a1590f3a54a4.pdf

In alto: la manifestazione del 16 febbraio a Madrid.

A sinistra: L’ingresso del Banco di Spagna“decorato” da simboliche chiavi di casa.

BARCEX / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

BARCEX / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

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| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 39 |

Nella classifica stilata lo scorso annodall’associazione Plataforma de Afecta-dos por la Hipoteca (Piattaforma dellevittime dell’ipoteca, PAH), il 12% deglisfratti sarebbe stato ordinato da Bbva,contro il 10% di Banco Santander e l’8%di Caixa Bank. In testa alla classifica, sti-lata su un campione di seimila ordini diesecuzione, svetterebbe con il 16% deltotale la contestatissima Bankia, l’isti-tuto simbolo del maxi piano di salva-taggio bancario (cui la Bce contribuiscea livello nazionale con un esborso da100 miliardi di euro). Nata dalla fusionedi sette istituti particolarmente espo-sti sul fronte dei titoli tossici, Bankia siè quotata in Borsa nel 2011 con l’obietti-vo di reperire finanziamenti sul merca-to. Il 23 maggio scorso, il suo titolo haperso in una sola seduta il 50% del va-lore in circostanze ancora tutte da chia-rire (vedi ).

Ma, per quanto oggetto di critiche anon finire, le banche scontano comun-que i loro problemi. Secondo l’Istitutonazionale di statistica, il prezzo mediodelle abitazioni spagnole è calato del30% dal 2007 a oggi, costringendo le ban-che a disfarsi dei loro asset immobiliaria prezzi di saldo (fino al 50% del prezzooriginale secondo l’analisi del quotidia-no economico francese Les Echos). Unvero affare per gli acquirenti stranieri.L’11,5% degli immobili svenduti dalle ban-che sarebbe attualmente in mano ai soliinvestitori russi.

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| economiasolidale |

La finanza speculativa ha dimostrato di non averescrupoli, mettendo in ginocchio economie epopolazioni intere, incurante delle conseguenze socialidei propri comportamenti. Partendo dall’esperienzanefasta degli ultimi anni, perciò, non può stupire più

di tanto ciò che è accaduto recentemente all’istituto di credito spagnolo Bankia. L’autorità di controllo sulla Borsa di Madrid, la CNMV, ha deciso di aprire un’inchiestasulla seduta dello scorso 23 maggio, durante la quale il titolo dell’istituto bancario ha perso oltre il 50%. Un crollo anomalo non soltanto per la sua ampiezza, ma ancheper la modalità con la quale si è manifestato. Che valga la pena di far lucesull’accaduto è risultato evidente infatti anche solo osservando i giganteschi volumidi scambio: qualcosa come 49,39 milioni di pezzi, a fronte di un capitale di soli 19,93milioni. Un crollo arrivato inoltre in un momento particolarmente delicato, dalmomento che la banca si apprestava a lanciare due aumenti di capitale per un totaledi 15,54 miliardi di euro.Sembra chiara dunque l’operazione speculativa al ribasso sulla banca. Ma guardandoagli ultimi anni si può parlare di un vero e proprio accanimento, visto che Bankia è natarelativamente di recente dall’unione di sette casse di risparmio fortemente esposte neiconfronti di titoli tossici legati al settore immobiliare. Una fusione dettata dal perversointreccio fatto di crisi, trame speculative, pressione sul settore bancario ecomportamenti scellerati dei big della finanza. Successivamente, la situazione –nonostante l’unione delle sette cajas – è progressivamente peggiorata, costringendo il governo di Madrid ad annunciare (nel giugno del 2012) un piano di salvataggiostraordinario, che ha portato alla nazionalizzazione dell’istituto. A pagare le conseguenze di tutto ciò, come di consueto, sono stati soprattutto i piccoli risparmiatori. In particolare 300mila persone che avevano investito in titolipreferenziali di Caja Madrid (una delle casse diventate poi Bankia). In occasione delsalvataggio della banca, infatti, il loro valore è stato svalutato drasticamente, e in unanno e mezzo il prezzo unitario di introduzione in Borsa (3,75 euro) ha perso l’80%.Anche per questo l’istituto è al centro di inchieste giudiziarie da parte dei magistratispagnoli, che indagano proprio in merito alla quotazione del luglio del 2011: si sospettano attività illecite da parte di ben 33 responsabili della banca. A.B.

BANKIA, LA SPECULAZIONE SENZA FINE

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IL COLLASSO DI BANKIA ALLA BORSA DI MADRID

FONTE: YAHOO FINANCE,

HTTP://IT.FINANCE.YAHOO.COM/Q?S=BKIA.MC

Volumi scambiati [dati a sinistra]La quotazione del titolo in Borsa [dati a destra]

Page 40: Mensile Valori n. 111 2013

| economiasolidale | edilizia |

«Di dove viene che comune-mente si dice che “l’Italiaaffina i cervelli?”, si chie-

deva nei Dialoghi historici del 1665 Gre-gorio Leti [...]. La domanda contiene in séla risposta: a quella data si era già diffu-sa tra gli europei più colti l’idea che lamescolanza di bellezze naturali e d’arteofferta dall’Italia non abbia pari; perciònessuna educazione del cuore e dellamente era completa se non comprende-va anche il Grand Tour, specialmente in

Italia». Il brano riportato è tratto da Pae-saggio, Costituzione, cementodi Salvato-re Settis, archeologo e storico dell’arte,impegnato nella difesa del paesaggio ita-liano dal degrado che lo sta devastandoe che, per l’autore, è la rappresentazio-ne del declino complessivo della nostrasocietà, determinato dal cambiamentoin senso antidemocratico della Costitu-zione.

Di quella spettacolare bellezza – chefaceva dire nel 1776 al letterato britanni-co Samuel Johnson: «Chi non è stato inItalia è sempre consapevole della pro-pria inferiorità: non ha visto quello chetutti devono vedere» – resta un patrimo-nio storico-artistico sterminato da con-servare e valorizzare amorevolmente,perché parte della nostra identità e dellanostra ricchezza, considerando ancheche la parte conosciuta della nostra “ere-dità storica” emerge in piccolissima par-te – come la punta di un iceberg – mentrerestano sommersi “giacimenti” culturaliimmensi, quasi sempre considerati unpeso rispetto all’avanzata della cementi-ficazione e alle esigenze effimere dellaproduzione capitalista.

Gli Etruschi in camperA titolo di esempio ricordiamo che, pernon bloccare l’allargamento della fabbri-ca di camper Laika, a San Casciano Val diPesa (Fi) si sono trapiantati un po’ più inlà dei reperti di epoca etrusco-romana(«spostati di un centinaio di metri e ri-collocati nella posizione originaria», hascritto Il Sole 24 Ore, senza fare dell’umo-rismo. Mentre gli archeologi hanno eti-chettato più incisivamente l’operazionecome “archeopatacca”).

Il cantieredella crisidiPaola Baiocchi

L’edilizia deve compiere una grande trasformazione passando dalla quantitàalla qualità. I materiali innovativi esistono e uniscono semplicità d’uso ad alte prestazioni. Mancano, invece, regole certe, l’unificazione dellecertificazioni, gli stimoli a “fare sistema”

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LO STOCK EDILIZIO ITALIANONel nostro Paese le unità immobiliari censite al Catasto sono 59,1 milioni: una dimensioneingente, costituita per la massima parte da abitazioni (56%) e dalle loro pertinenze (36% tracantine, locali uso deposito, box e posti auto). Gli immobili rappresentano inoltre la principalecomponente della ricchezza familiare: secondo Bankitalia la ricchezza in abitazioni è pari a circa4.800 milioni di euro, ossia 200 mila euro in media per famiglia. Una ricchezza che rischiatuttavia di perdere valore nel tempo: la maggior parte del patrimonio è stato realizzato infattinegli anni della ricostruzione e poi del boom edilizio, con disegni urbanistici poveri ecaratteristiche architettoniche e costruttive di scarsa qualità. Un patrimonio vecchio che sprecaenergia. In particolare sono 10 milioni le abitazioni realizzate tra il 1946 e il 1971: il 36,8% deltotale, che arriva a oltre il 50% nelle principali città. La quota di edifici con più di 40 anni, sogliatemporale entro la quale si rendono indispensabili interventi di manutenzione, sta crescendoprogressivamente. Il 65% degli edifici, inoltre, è stato realizzato prima del 1976, data che ha vistol’entrata in vigore dei primi provvedimenti sull’efficienza energetica. Per questo il patrimonioedilizio italiano risulta particolarmente “energivoro”: basti pensare che nel 2009 oltre il 35%dell’energia impiegata in Italia è stata consumata dagli edifici (riscaldamento, luce, acqua calda,ecc.), un volume equivalente a 46,9 milioni di tonnellate di petrolio. Ma non solo: oggiun’abitazione con trent’anni di età consuma in media 180-200 Kwh/mq/anno mentre un edificionuovo realizzato in classe C (che oggi è lo standard minimo nelle nuove costruzioni) consuma in media tra 30 e 50 Kwh/mq/anno.

FONTE: L’INDUSTRIA IM

MOBILIARE ITALIANA 2013, FEDERIMMOBILIARE

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| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 41 |

Accanto a quanto abbiamo di antico edi pregiato, c’è un costruito “vecchio” cheha urgente bisogno di essere riqualifica-to dal punto di vista energetico, antisi-smico e, dove possibile, anche estetico.Nei casi in cui, invece, non fosse possibi-le nessun tipo di trasformazione, si do-vrebbe trovare il coraggio di abbattere,investendo in progetti di vera utilitàpubblica. Il 60% del residenziale nazio-nale è stato costruito tra il 1946 e il 1981,congiungendo in uno skyline continuo digru le necessità impellenti della ricostru-zione del dopoguerra, al boom economi-co italiano, che ha segnato la fortuna dei“palazzinari” e l’esplosione delle periferie(vedi “Lo stock edilizio italiano”).

Qualità contro quantitàIl boom ora è fermo e la crisi nell’edilizia èprepotente: l’Ires, istituto di ricerca dellaCgil, nello studio L’innovazione nelle co-struzioni come driver di trasformazionedel lavoro, del cantiere e della contratta-zione (maggio 2012) riporta che dal 2008 al2012 il settore delle costruzioni ha vistouna riduzione degli investimenti di oltre24 punti percentuali, tornando ai livelli di15 anni fa. Lo stesso rapporto stima inquasi 400mila i posti persi a partire dal2008. Mentre sottolinea che resiste e cre-sce chi fa innovazione spostando più ri-sorse sulla fase della progettazione cherende più brevi, sicuri ed economici i can-tieri. Una riqualificazione necessaria inun settore costituito per la maggior partedi piccolissime imprese, con tanto lavoronero e poca specializzazione, dove le mor-ti bianche restano all’ordine del giorno.

Il costruito invenduto nel 2012 è di 120mila appartamenti, secondo l’Indagine co-noscitiva condotta dall’VIII CommissioneAmbiente, territorio e lavori pubblici dellaCamera dei deputati. Per la maggior partecomplessi costruiti nelle fasce più perife-riche delle grandi città, dove nessuno vuo-le andare perché sono zone senza urba-nizzazioni, né servizi. Quartieri edificatinel deserto che consumano campagna, re-stituendo scarsa qualità della vita.

La qualità nelle costruzioni è diventa-ta, a questo punto, la chiave di volta peruscire da questa crisi di sovrapproduzio-ne. Federcostruzioni, la più grande tra le

federazioni confindustriali, che riuniscetutte le associazioni della filiera e da solarappresenta il 10% del Pil italiano, chiederegole certe, un piano nazionale indu-striale delle costruzioni e l’unificazionedelle procedure di certificazione, per farripartire il settore. «La competizione finoa poco tempo fa, soprattutto nelle operepubbliche, che sono molto rappresentati-ve sia per i volumi percentuali sia come in-dirizzo, è stata giocata sui ribassi. Questomeccanismo non premia la qualità e nonspinge gli imprenditori a puntare sull’in-novazione», spiega Gian Marco Revel, cu-ratore del Primo rapporto sullo stato del-l’innovazione nel settore delle costruzioni,pubblicato da Federcostruzioni nel 2011,e docente all’Università Politecnica del-le Marche. «Sul fronte degli appalti c’èmoltissimo da fare – riprende Revel –per superare la logica gestione clientela-re, rimettendo al centro questioni comel’onestà. La Pubblica amministrazione sta

prendendo coscienza di questo, sulla spin-ta di sollecitazioni che arrivano in moltaparte dall’Unione europea. Si sta passan-do a una gestione complessiva dell’edifi-cio, con contratti che ne garantiscono leprestazioni, la sua gestione e il suo man-tenimento per un certo numeri di anni.Questo approccio – conclude Revel – puòpermettere di arrivare a “fare sistema”».

«Il decreto legge del 31 maggio, che in-nalza lo sgravio fiscale al 65% (vedi ),con l’estensione dell’agevolazione ai con-domini fino al 30 giugno 2014 e la previ-sione di standard energetici che impon-gono interventi più strutturali, sono tuttiaspetti positivi, ma si tratta solo di un pri-mo passo», secondo l’Ance, l’Associazionenazionale costruttori edili, che sottolineacome «per ottenere effetti solidi su cresci-ta e occupazione sarebbe importante sta-bilizzare nel tempo questi incentivi alme-no per gli interventi più strutturali, cherichiedono costi più alti e tempi lunghi. Ilgoverno ha annunciato la volontà di sta-bilizzarne a fine anno almeno una parte, equesto ci fa ben sperare, ma per rilanciareun settore ormai allo stremo come quelloedile è necessario più coraggio sul frontedelle coperture».

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| economiasolidale |

Il Consiglio dei ministri ha approvato lo scorso 31 maggio un provvedimento cherecepisce la direttiva 2010/31 dell’Unione europea, che mira a favorire la riqualificazionee l’efficienza energetica del patrimonio immobiliare italiano. Le finalità del decretolegge sono di promuovere il miglioramento della prestazione energetica degli edifici;favorire lo sviluppo, la valorizzazione e l’integrazione delle fonti rinnovabili negliedifici; sostenere la diversificazione energetica; promuovere la competitivitàdell’industria nazionale attraverso lo sviluppo tecnologico; conseguire gli obiettivinazionali in materia energetica e ambientale. Per il cittadino nell’immediato vuol direche l’attuale regime di detrazioni fiscali del 55%, scaduto il 30 giugno, si innalza al 65% e si rinnova a partire dal 1° luglio 2013 fino al 31 dicembre 2013, oppure fino al 31 dicembre 2014 in caso di spese sostenute per le ristrutturazioni importantidell’intero edificio. La detrazione dell’imposta lorda pari al 65%, verrà ripartita in 10 quote annuali di pari importo.Un’altra novità del decreto è la definizione di “edifici a energia quasi zero”, per i quali si stabilisce un Piano nazionale con l’obiettivo intermedio del 2015 per il miglioramento della prestazione energetica degli edifici di nuova costruzione.Mentre gli edifici di nuova costruzione occupati dalle Amministrazioni pubbliche e di loro proprietà dovranno rispettare gli stessi criteri a partire dal 31 dicembre2018. Entro il 31 dicembre 2020, invece, tutti gli edifici di nuova costruzionedovranno essere a “energia quasi zero”. Pa.Bai.

ECO-BONUS AL 65% ED EDIFICI A ENERGIA “QUASI ZERO”.LE NOVITÀ DEL DECRETO LEGGE DEL 31 MAGGIO

Dal 2008 al 2012 il settoredelle costruzioni ha subitoun calo degli investimentidel 24%: ai livelli di 15 anni fa

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CasaClima è una modalità di certificazione energetica degliedifici, nata nel 2002 da un’idea di Norbert Lantschner,dirigente del dipartimento di Urbanistica della Provincia di Bolzano. L’obiettivo di costruire case che sommino bellezza,solidità e risparmio energetico è stato codificato in unacertificazione molto chiara e con modalità burocratiche da seguire tanto semplici quanto rigorose. Alle case costruite conquesti standard, l’Agenzia CasaClima, nata nel maggio 2006 e oggi al 100% di proprietà della Provincia autonoma di Bolzano,assegna una classe di consumo energetico, con un’etichetta chericorda quella per i consumi degli elettrodomestici.La novità di quest’anno è la certificazione CasaClima R – dove R sta per risanamento – e rappresenta un protocollo piùflessibile rispetto a quello per il nuovo, ma che in grado di rispondere all’esigenza di rispetto della qualità architettonicadel manufatto, ma migliorandone il comfort indoor e garantendo l’elevata qualità delle opere realizzate. Il protocollo CasaClima R è stato pensato per la certificazione di interi edifici e anche di singole unità abitative, per chi vuoleriqualificare la propria unità immobiliare senza poter interveniresull’intero involucro dell’edificio per gli ostacoli posti dagli altricondomini. Novità rispetto agli altri protocolli CasaClima è l’introduzione dell’obbligatorietà di un Consulente energeticoCasaClima come referente per la pratica, nel caso

di richiesta di certificazione CasaClima Rper appartamenti.CasaClima R avrà un banco di provaimportante nella zona Sud-Ovest delComune di Bolzano, dove verrannorisanati otto isolati, circa 36.500 mq

di edifici pubblici, grazie anche a un contributo di 8 milioni di euro della Commissione europea. Gli edifici avranno infissi di ultima generazione per minimizzare le dispersioni termiche,impianti fotovoltaici integrati in facciata per la produzione di energia elettrica e saranno teleriscaldati tramite una reteintelligente che regolerà il carico di energia da erogare a seconda delle esigenze. Nel quartiere, inoltre, verrannoinstallati sensori per il rilevamento della qualità dell’aria e isoledi ricarica per le auto elettriche.www.agenziacasaclima.it

CASACLIMA R: RISANARE CON QUALITÀ

| economiasolidale |

| 42 | valori | ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 |

di Lucia Corti ed Elena RiganoCasaClima R. Edificistorici ad alta efficienzaenergetica

Overview editore, 2013

L’Olanda è un’antesignana nella bioarchitettura e nellariqualificazione integrata di aree cittadine, in Europa. Ci sonoprogetti, poi, considerati molto avanzati anche rispetto aglistandard olandesi del costruire sostenibile: come il quartiereEVA-Lanxmeer realizzato tra il 1994 e il 2007, nella zona Sud-Ovest di Culemborg, cittadina olandese di 27mila abitanti. La progettazione del lotto che occupa 24 ettari è stata findall’inizio condivisa con gli abitanti che hanno potutointervenire durante tutto il percorso progettuale delle case,aggregate a corte. Il percorso partecipativo adottato è diventato

il punto di riferimento in tutto il mondo di pianificazioneurbanistica sostenibile, coniugata con sviluppo sociale. I 250 edifici di EVA-Lanxmeer sono costruiti utilizzandomateriali ecologici e, grazie a tecniche costruttive a risparmioenergetico e pannelli fotovoltaici, producono tutti più energia di quanta ne consumano. Il quartiere integra diverse funzioni:abitazioni, uffici, scuole, una fattoria urbana che assicura cibobiologico, una centrale a biogas, un centro informazioni, un centro benessere, bar, ristoranti e un albergo. È statadedicata un’attenzione particolare al ciclo dell’acqua, perché il quartiere sorge su un terreno agricolo che circonda un bacinodi acqua potabile, e normalmente non viene permesso di costruire attorno a tali zone. Le acque grigie delle vie trafficatedavanti ai palazzi amministrativi e l’acqua piovana vengonoincanalate e purificate in ampi bacini di raccolta. L’acqua piovanaè utilizzata per i Wc e le lavatrici: questi reflui, assieme a quellidelle cucine, sono raccolti in un altro sistema di fognatura;i liquami sono trasformati in energia nella centrale a biogas. www.eva-lanxmeer.nl

SVILUPPO SOCIALE E RISPETTO AMBIENTALE: IL QUARTIERE EVA-LANXMEER IN OLANDA

LAMIOT / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

Costruire sostenibile è possibile a cura di Paola Baiocchi

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| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 43 |

| economiasolidale |

La città sull’Elba, importante porto fluviale completamentedistrutto durante la seconda guerra mondiale, sta completandola trasformazione urbana più importante d’Europa all’insegnadell’innovazione. Un nuovo quartiere sta sorgendo ora nell’areadi Hafen, tra il centro storico, il quartiere di Speicherstadt e il fiume Elba. Il progetto di Hafencity è articolato in 13 quartieri, alcuni iniziati nel 2007 e già ultimati, con lavori che si prevede dureranno fino al 2020/2025, aumentando di 10 chilometri il water front sull’Elba e del 40% i volumi della città.La diversità è il cardine del progetto, che prevede abitazioni,scuole, uffici, negozi (non centri commerciali), spazi per la cultura – la sede della nuova Filarmonica – tutti di un’altezzacontenuta tra i sette e gli otto piani, come la parte più antica di Amburgo, con ampie zone verdi e ricreative che servirannotutta la città e interesseranno anche il turismo. Si presume che il solo Überseequartier attirerà 10 milioni di visitatori l’annodalla Germania e dall’estero. Per evitare lo spopolamento tipicodelle aree solo commerciali o destinate solo al terziario,Hafencity sarà così ripartita: 52% sarà servizi, il 30%residenziale, 10% aree per il tempo libero, 4% per le imprese,4% per commercio e ristorazione.

Tutti gli edifici hanno alti standard di ecosostenibilità, garantita al 90%, tanto che è stato istituito un Ecolabel. La circolazioneall’interno di Hafencity è pensata per pedoni e ciclisti; mentre è utilizzato il teleriscaldamento che permette risparmidi scala. Il punto debole del progetto è ora la centrale per il teleriscaldamento alimentata a carbone, ma che si prevede di integrare, a breve, con il calore di scarto delle industrie, con fonti geotermiche e solari.www.hafencity.com/en/home.html

AD AMBURGO PASSATO E FUTURO SI GUARDANO SULL’ELBA

HENRY MÜHLPFORDT / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

Le costruzioni in legno stanno avendo successo anche in Italiaperché dalla loro hanno una serie di pregi: riescono a unirecaratteristiche antisismiche con quelle del risparmio, oltre ad essere edificabili più rapidamente, contenendo quindi il lorocosto finale. Caratteristiche ancora più importanti in un settorecome quello dell’edilizia sociale, dove si devono dare risposte in tempi rapidi a esigenze abitative e, allo stesso tempo, fare i conti con casse sempre più esangui. È stato così che

a Montaione, un piccolo Comune in provincia di Firenze, è statocostruito il primo condominio della Toscana a canone sociale,in legno e in classe energetica CasaClima A+. I dieciappartamenti sono stati assegnati e le prime famiglie sonoentrate a giugno nell’edificio realizzato da Publicasa SpA, il gestore dell’edilizia sociale del Circondario empolese-Valdelsa,con i Comuni di Catelfiorentino e Montaione, con il contributofinanziario della Regione Toscana.

Il condominio è stato realizzato in poco più di anno e darà una rispostaall’esigenza di una fascia di soggetti che non ha redditi così bassi perentrare nelle graduatorie per le casepopolari. Ma nemmeno redditisufficienti per gli affitti a canonelibero. Con le case di Montaione nonsi taglia solo il canone, ma anche le spese di gestione, grazie alla combinazione di un edificio bencoibentato per contenere il dispendioenergetico, con la generazione di elettricità grazie all’impiantofotovoltaico sul tetto.

EDILIZIA SOCIALE IN LEGNO IN TOSCANA

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Page 44: Mensile Valori n. 111 2013

Igrafici di crescita del settore mostra-no una curva più ripida di molte miti-che salite del Giro d’Italia. Un’immagi-

ne che fa apparire folli le preoccupazionidegli operatori dell’eolico in Italia. Eppureanche molti analisti indipendenti lancianol’allarme: nei prossimi anni le nuove instal-lazioni torneranno ai livelli di dieci anni fa.

Sul banco degli imputati, le aste al ri-basso, il nuovo meccanismo di incenti-vazione per gli impianti sopra i 5 MW(partito nel 2012 in sostituzione dei certi-ficati verdi), che rischia di far felici solo igrandi gruppi. E il settore, eccezion fattaper il minieolico, potrebbe ben presto es-sere concentrato in poche mani.

Troppi ostacoli per partecipareQuando era stato approvato nel 2011 (go-verno Berlusconi, ministro Romani), il de-creto legislativo aveva già sollevato dub-bi. Sia tra i piccoli e medi produttori, siatra le forze politiche: «Ricordo perfetta-mente che in commissione Ambiente tut-ti i membri, compresi quelli Pdl, si sono di-

A sei mesi dal loro avvio e dopo due tentativi, il nuovo meccanismo di incentivazione divide sempre più favorevoli e contrari. Due le certezze: i criteri d’accesso favoriscono i grandi gruppi industriali. E nei prossimi anni la potenzainstallata tornerà ai livelli di un decennio fa

| economiasolidale | energie rinnovabili |

Il vento all’astaLe mani dei Big sull’eolico italianodi Emanuele Isonio e Mauro Meggiolaro

| 44 | valori | ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 |

A gennaio, una sola offerta da 30 MW sui 650 disponibili.Probabile un nuovo flop nella seconda asta. Alti costi efondali inadatti rendono antieconomici gli investimenti

All’asta per l’eolico offshore dello scorso dicembre erano in palio650 MW di potenza incentivabile. Si è presentata solo la Belenergia Srl di Taranto (che è controllata da quattroinvestitori francesi) con un progetto per 30 MW. All’asta del

10 giugno 2013, secondo gli operatori del settore, è molto probabileche non si sia presentato nessuno. Troppi gli ostacoli burocratici e troppo alti i costi per realizzare impianti eolici con le palepiantate nel mare in Italia. «In Italia le condizioni per l’eolico offshore sono proibitive», spiega Leonardo Perini, managingdirector di WPD Italia Offshore. «Dati gli elevati costi fissi, peressere redditizio un progetto deve comprendere in media circa 50 turbine, con una capacità totale di 200 MW.

Eolico offshore: in Italia è ancora un miraggio

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| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 45 |

chiarati contrari al nuovo sistema», rivelaFrancesco Ferrante, senatore Pd nellapassata legislatura. A destare preoccupa-zione c’era, non solo il fatto di voler fissa-re un tetto annuo ai nuovi impianti in-centivabili (il cosiddetto “contingente”),ma anche i criteri da soddisfare per pren-der parte alle aste.

«Siamo passati dai certificati verdi,che garantivano una remunerazione cer-ta e generosa dell’energia prodotta, allapartecipazione ad aste competitive, nellequali gli operatori offrono uno scontominimo del 2% rispetto al prezzo fissatoin asta e, nel caso riescano ad aggiudicar-si gli incentivi, si vincolano allo stessoprezzo per vent’anni», spiega Carlo Du-rante, managing partner di eLeMeNS,società di consulenza sui mercati dellerinnovabili.

Il decreto ministeriale (varato nel 2012dal governo Monti) fissa in 500 MW il con-tingente annuo incentivabile e richiede achi presenta offerte in asta garanzie ban-carie di 122.500 euro per ogni MW che si in-tende installare. Un ostacolo insormonta-bile per la maggior parte delle piccole emedie imprese dell’eolico. Se poi si verifi-

cano ritardi nella realizzazione dei pro-getti – eventualità molto frequente inItalia a causa di ricorsi e intoppi burocra-tici – c’è il rischio che la tariffa incenti-vante venga progressivamente abbassa-ta, rendendo molti progetti insostenibilidal punto di vista finanziario.

Asta flopIl sonoro flop ottenuto nella prima usci-ta del nuovo sistema, a dicembre scorso,ha confermato la fondatezza delle criti-che: 18 domande per 442 MW di energia,inferiori anche al contingente tutt’altroche generoso di 500 MW, meno dellametà della potenza installata nel 2012(pari a 1.273 MW). Risultato negativo, manulla a confronto dell’eolico offshore, do-ve a fronte di un contingente di 650 MWè stata presentata una sola richiesta da

30 MW (vedi in basso). Probabil-mente l’effetto “prima volta” ha spintomolti operatori a una scelta attendista.Non è un caso che tutte le richieste perl’asta di dicembre (tranne una) siano sta-te presentate negli ultimi tre giorni di-sponibili. E, infatti, tutti gli addetti ai lavo-ri si aspettano un incremento del numerodi domande nell’asta che si è chiusa il 10giugno scorso (i risultati, al momento incui questo numero di Valori è andato instampa, non sono ancora stati ufficia-lizzati). Ma rimane la sensazione che ilsistema, per funzionare, imponga modi-fiche. «Se uno fissa un contingente mas-simo, è ridicolo porre barriere d’accessocosì rigide. La logica di mercato vorrebbeinfatti che il sistema incentivasse gli ope-ratori a partecipare, per rendere più effi-cienti i progetti», commenta Simone To-

ARTICOLO

| economiasolidale |

I costi di investimento per l’eolico offshore sono di almeno 2,5 milioni di euro al MW, il doppio rispetto all’eolico a terra». Sul totale dei costi preventivati il Decreto del 2012 richiede il deposito di una cauzione del 10%. Per un impianto da 200 MWsi tratta di 25 milioni di euro. «Una cifra troppo elevata, che scoraggia chiunque», continua Perini. «Una vera e propriabarriera all’entrata che viene applicata solo in Italia». A far lievitare i costi dell’eolico in mare aperto ci sono sicuramentele spese per affittare le navi speciali che servono per il sondaggiodei fondali marini e l’installazione delle turbine. «Una nave da installazione eolica costa 150mila euro al giorno. La maggior

parte di queste navi sono nel Mare del Nord, per farle arrivare nel Mediterraneo servono anche due settimane di viaggio. Più di due milioni di euro solo per il viaggio», spiega Leonardo Perini. A rendere il quadro ancora più cupo ci sono anche le caratteristiche dei fondali mediterranei: acque molto profondegià a pochi metri dalla costa, che rendono molto difficili e costosele installazioni e le connessioni. E poi il vento, che ha una velocitàmedia di 7 m/s contro i 9 m/s dei mari tedeschi e inglesi.Condizioni naturali poco favorevoli, alle quali si sono aggiunteprocedure burocratiche e richieste di garanzie insostenibili. Per l’offshore italiano le aste sono già adesso sinonimo di fallimento.

Fonte rinnovabile TipologiaRichieste (numero)

Potenza (MW)Percentualecontingente

Contingente(MW)

Eolico onshore

Registro 461 191,7 319,5% 60

Asta 18 442,0 88,4% 500

Registro Rifacimenti - - - 150

Eolico offshore Asta 1 30,0 4,6% 650** contingente riferito a 3 anni

0

1.000

2.000

3.000

4.000

5.000

6.000

7.000

8.000

9.000

20122011201020092008200720062005200420032002

UN DECENNIO DI CRESCITA IMPETUOSA L’ITALIA ORA È TERZA IN EUROPA

MW di potenza installata

0

200

400

600

800

1.000

1.200

1.400

201520142013201220112010200920082007200620052004

MA CON IL NUOVO SISTEMA DELLE ASTE IL FUTURO È INCERTO

Nuova potenza installata annua e previsioni al 2015 in MW

FONTE: POLITECNICO DI M

ILANO - RAPPORTO RINNOVABILI

ELETTRICHE NON FOTOVOLTAICHE, MARZO 2013

Page 46: Mensile Valori n. 111 2013

gni, presidente di Anev, associazione na-zionale energia dal vento.

Analisi condivisa anche dai ricerca-tori del Politecnico di Milano, che, nel re-cente Rapporto sulle Rinnovabili elettri-che non fotovoltaiche, ammettono: «Leingenti garanzie hanno senz’altro pre-cluso la possibilità di iscriversi a nume-rosissimi soggetti». Tanto da prevedere,per i prossimi tre anni, una contrazionedel settore: il valore dell’installato annuotornerà ai livelli del 2005 (vedi ).«Sono necessari – si legge nel rapporto –meccanismi a correzione dello squilibriotra domande ricevute e contingenti di-sponibili per riallocare, per le futureaste/registri, i contingenti non richiesti(eolico offshore e grande idroelettrico)verso le tecnologie con maggior disponi-bilità di progetti (eolico onshore e picco-lo idroelettrico)».

Ma non tutto è da buttareL’operazione di modifica dovrà però esse-re chirurgica per non perdere i vantaggiche le aste hanno comunque apportato alsistema: lo Stato ha, infatti, risparmiatosugli incentivi e gli operatori sono staticostretti a una maggiore efficienza, vistoche hanno dovuto concentrarsi sui pro-getti a più alta redditività, calcolando inmodo più accurato i costi e i benefici diogni futuro impianto.

Lo conferma anche il rapporto delPolitecnico di Milano: negli ultimi annila remunerazione minima per considera-re un investimento eolico è sempre statanon inferiore ai 150 €/MWh, il meccani-

smo delle aste ha invece mostrato comeci siano operatori pronti a investire conremunerazioni di 100 €/MWh.

«Alla fine vince chi è organizzato me-glio, chi sa giocarsi i progetti migliori la-vorando di fino», spiega Carlo Durantedi eLeMeNS. «Nella prima asta il timoredi non accedere agli incentivi ha spintogli operatori a dichiarare in molti casi iloro reali costi e le aspettative minime diremunerazione, procurando un rispar-mio per il sistema vicino ai 200 milioni di

euro in 20 anni rispetto a quanto si sa-rebbe speso con una tariffa fissa pari alvalore base d’asta».

Se il nuovo sistema – magari con op-portune correzioni nei requisiti di ingres-so – potrà stare in piedi lo scopriremoquando il GSE renderà pubblici i risultatidell’asta che si è chiusa il 10 giugno (il GSEha tempo 60 giorni dalla chiusura dell’a-sta). Se, contrariamente alle attese, si ve-rificherà un nuovo flop, per le aste po-trebbe essere l’inizio della fine. GRAFICO

| economiasolidale |

| 46 | valori | ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 |

I RISULTATI DELLA PRIMA ASTA (GENNAIO 2013)GRADUATORIA DEGLI IMPIANTI ISCRITTI IN POSIZIONE TALE DA RIENTRARE NEL CONTINGENTE DI POTENZA PREVISTO PER IMPIANTI EOLICI ONSHORE DI CUI AL BANDO DELL’8 SETTEMBRE 2012

Numeroposizione Ragione sociale Provincia Potenza

impianto (MW)

Offerta di riduzione percentuale rispetto al valore

posto a base d’asta

1 EDP RENEWABLES ITALIA SRL TARANTO 14,000 24,41%

2 EDP RENEWABLES ITALIA SRL TARANTO 16,000 23,67%

3 GAMESA ENERGIA ITALIA SPA COSENZA 16,000 14,81%

4 ELETTRO SANNIO WIND 2 SRL CATANZARO 10,000 13,52%

5 EDP RENEWABLES ITALIA SRL POTENZA 10,000 12,42%

6 C&C OPPIDO LUCANO SRL POTENZA 20,000 9,54%

7 LATERZA WIND 2 SRL TARANTO 12,300 9,51%

8 PONTE ALBANITO SRL FOGGIA 27,200 8,50%

9 BREATHE ENERGIA IN MOVIMENTO S.R.L. POTENZA 21,000 8,31%

10 E-VENTO CIRÒ SRL CROTONE 30,000 7,55%

11 ALFA WIND SRL POTENZA 30,000 6,46%

12 ANDALI ENERGIA CATANZARO 36,000 5,80%

13 EOLSIPONTO SRL FOGGIA 17,500 5,12%

14 FRI-EL SAN CANIO SRL MATERA 24,000 4,30%

15 NUOVA ENERGIA SRL BARI 72,000 4,20%

16 ENEL GREEN POWER SPA BRINDISI 12,000 3,34%

17 SAVA ENERGIA SRL TARANTO 10,000 2,51%

18 ERG EOLICA BASILICATA S.R.L. POTENZA 34,000 2,50%Totale 442,000

FONTE: GESTORE DEI SERVIZI ENERGETICI ‐GSE S.P.A.

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| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 47 |

| valorifiscali |

finanziamento della spesa pubblicache le imposte consentono non doves-se, proprio per la crisi, essere conside-rato di primaria importanza, visto cheserve a pagare salari e pensioni e a for-nire servizi. E, soprattutto, come setutte le imposte fossero ugualmenteodiose e dannose. Niente di più falso.

L’Imu è un’imposta potenzialmen-te efficiente ed equa, ma che è stata di-segnata in modo rozzo. Può essere ef-ficiente perché incide sulla proprietàimmobiliare, e quindi risparmia il la-voro e il reddito, e può essere equa per-ché la proprietà immobiliare tende aessere concentrata tra le famiglie piùricche. Ovviamente, perché queste ca-ratteristiche emergano, l’imposta de-ve basarsi sui valori di mercato, e nonsulle antiche rendite catastali. L’aboli-zione dell’Imu sulla prima casa è privadi alcun senso economico. Se si vuoleridurre il peso dell’imposta, e impedireche vi siano dei reali problemi nel pa-garla per alcuni, basterebbe ridurre l’a-liquota al 3 per mille e, contempora-neamente, parametrarla ai valori dimercato. Ciò consentirebbe comun-que di aumentare le esenzioni.

L’Iva, invece, è un’imposta la cui ef-ficienza è solo teorica, ma che si scon-tra con il fatto di essere molto evasa emal gestita. È molto evasa sia perché la

struttura produttiva estremamenteframmentata la rende difficilmentecontrollabile, sia perché quello che co-munque si potrebbe fare per control-larne i flussi in Italia non viene fatto.Siamo l’unico Paese che consente aglievasori di inventarsi dei crediti Iva e diutilizzarli quasi senza vincoli, salvi i li-miti alle compensazioni introdotti ne-gli ultimi anni. Inoltre, siamo l’unicoPaese, tra quelli di grande dimensione,che ha abolito del tutto le dichiarazio-ni periodiche infra-annuali, privando-si così di uno strumento di controllo digrande importanza.

Un’altra ragione della grande eva-sione dell’Iva sta nella sua permeabi-lità alle frodi, prime fra tutte le cosid-dette frodi carosello, che si realizzano

quando un bene viene venduto da unPaese Ue a un altro senza imposta e ilsoggetto “importatore” rivende inter-namente il bene senza versare l’Iva ot-tenuta, ma creando un credito a favo-re dell’acquirente. Si tratta di unafrode che nasce dall’esistenza, da oltre30 anni, di un regime provvisorio (!) incui, pure in assenza di dogane, si con-tinua a cercare di tassare i beni secon-do le regole (e le aliquote) del Paese didestinazione. Sconcerta che l’Ue in 30anni non sia riuscita a ideare un siste-ma migliore. Nell’attesa che ciò accada,e che l’amministrazione finanziariaprenda esempio dall’estero (ad esem-pio dalla Francia) per capire come ge-stire l’Iva, l’ultima cosa da fare è au-mentare l’aliquota ordinaria, come giàavvenuto, con effetti disastrosi, nel2012. L’aumento di un punto, dal 20 al21%, ha infatti generato una riduzionedella base imponibile dichiarata mol-to superiore rispetto alla riduzione deiconsumi, un sintomo chiaro di incre-mento dell’evasione.

Dunque il buon senso consigliereb-be di fare interventi di ricalibraturadell’Imu, quasi a parità di gettito, e dievitare l’incremento dell’Iva. Accadrà,invece, con ogni probabilità, il contra-rio: un paradosso fiscale per un gover-no paradossale.

Tasse utiliImu e Iva, paradossi fiscalie governi paradossali

diAlessandro Santoro

La discussione sull’Imu e sull’Iva di queste settimane ha qualcosa diparadossale. Nel vociare scomposto e disarticolato della pubblicadiscussione, queste due imposte, tra loro diversissime per caratte-

ristiche e per effetti, sono accomunate dal fatto di essere, appunto, delle tas-se, e, in quanto tali, da biasimare come moltiplicatori della crisi. Come se il

L’abolizione dell’Imu sullaprima casa è priva di alcunsenso economico

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| 48 | valori | ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 |

internazionaleABCOLOMBIA

Responsabili fin dal principio > 52Land grabbing. La razzia continua > 53

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| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 49 |

| imprese irresponsabili |

Scava,scava

L’attività di estrazione in una miniera in Colombia.

«Nel 2011 l’80% delle viola-zioni dei diritti umani inColombia si è verificato

nei comuni coinvolti dal settore estratti-vo. Secondo un rapporto governativo viè una relazione tra attività estrattive sularga scala, sfollamenti e povertà». CosìLaura Ousley, responsabile comunica-zione della Ong britannica ABColombia,che testimonia come la caccia sfrenataalle risorse del sottosuolo stia provocan-do enormi danni sociali e ambientali nelPaese latinoamericano, già martoriatoda 50 anni di guerra civile. Una situazio-ne documentata nel rapporto Giving ItAway: The Consequences of an Unsustai-nable Mining Policy in Colombia, in cuiABColombia evidenzia appunto il con-flitto – con un grave rischio reputazio-

Mentre il tema delle multinazionaliche eludono il fisco infiamma il Regno Unito, un rapporto dellaOng britannica ABColombiadenuncia che le compagnieminerarie inglesi nel Paesesudamericano non si comportanomeglio. E sulla Csr rischiano grosso

diCorrado Fontana

Page 50: Mensile Valori n. 111 2013

nale – tra il rispetto dei dettami della Re-sponsabilità sociale d’impresa (Rsi o, ininglese, Corporate social responsability -Csr) preteso in Occidente e la condotta(fiscale e operativa) delle compagnie mi-nerarie britanniche in Colombia. Non so-lo. A maggio scorso la Contraloría Generalde la República colombiana ha analizzato

i termini del problema in uno studio uf-ficiale (Minería en Colombia - Funda-mentos para superar el modelo extracti-vista); e proprio mentre scriviamo, allesoglie del G8 d’Irlanda, lo stesso premierDavid Cameron entra nella polemica cheaccende il Regno Unito sui comporta-menti fiscali delle multinazionali (Goo-

gle, Starbucks e Amazon), accusate dieludere il fisco di Sua Maestà.

Chi guadagna...Che dire allora delle grandi compagnie mi-nerarie britanniche quotate in Borsa, co-me la AngloGold Ashanti? In Colombiapagano la stessa aliquota fiscale di chi ge-stisce miniere su piccola scala, sfruttandola legge (685/2001) che tassa l’attività in ba-se alla superficie sottoposta a licenza e ac-quistando concessioni di sfruttamentoper terreni sistematicamente frazionati inappezzamenti da meno di 2mila ettari.Una prassi quanto meno moralmente di-scutibile, sottolinea ABColombia. Tantopiù in un Paese in difficoltà (la Colombiaha uno dei tassi di disuguaglianza più ele-

| internazionale |

| 50 | valori | ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 |

Dalla pubblicazione del rapporto di ABColombia – che contiene raccomandazioniper le istituzioni europee e del Regno Unito, oltreché per le compagnie – qualcosa si è mosso. L’ambasciatore britannico ha firmato un accordo con la ContraloríaGeneral de la República per aumentare i finanziamenti e rafforzare la capacità di questa istituzione, e lo stesso governo britannico si è fatto forte sostenitore in Europa di un miglioramento della legge (in discussione a giugno 2013) sullatrasparenza dei pagamenti da parte delle compagnie petrolifere e del gas.Rappresentanti del governo inglese e delle compagnie hanno poi partecipato alle due conferenze sul tema organizzate da ABColombia a Londra e a Cartagena.Intanto, anche a seguito delle numerose proteste di piazza, degli scioperi e dellacrescente contestazione organizzata da parte delle popolazioni colombiane delle aree interessate alle attività minerarie, l’agenzia mineraria nazionale (ANM)della Colombia ha revocato 32 contratti minerari in varie parti del Paese e ha chiestol’immediata cessazione delle attività di estrazione in quei siti. Motivo? Il mancatopagamento di tasse, canoni e multe. Inoltre, proprio la Contraloría General de la República ha annunciato di aver trovato 12 irregolarità fiscali nei conti dellasocietà mineraria AngloGold Ashanti, per 3,8 milioni di dollari, ma la multinazionaleha per ora respinto le richieste di pagamento.

NESSI DI CAUSALITÀ

LE COMPAGNIE CON SEDI NEL REGNO UNITO TITOLARI DI CONCESSIONIMINERARIE IN COLOMBIA

Zone di interesse

FONTE: RAPPORTO “GIVING IT AWAY: THE CONSEQUENCES OF AN UNSUSTAINABLE MINING POLICY IN COLOMBIA”- ABCOLOMBIA - NOVEMBRE 2012Emerald Energy PLC

Gulf ol International Group

Amerisur Resources PLC

AngloGold Ashanti

Emerald Energy PLC

AngloGold Ashanti

AngloGold Ashanti

AngloGold Ashanti

AngloGold Ashanti

AngloGold Ashanti

Rio Tinto PLC

Yamana Gold Inc.

AngloAmerican PLC

Red Rock Resources PLC

AngloGold Ashanti AngloAmerican PLCBHP Billiton PLC

Glencore International PLC

Greystar Resources Ltd

Greystar Resources Ltd

Greystar Resources Ltd

Emerald Energy PLCGlencore International PLC

Petrolatina PLCGlencore International PLC

Xstrata PLCCambridge Mineral Resources

Touchstone Gold Ltd.

Glencore International PLC

ABCOLOMBIA

Page 51: Mensile Valori n. 111 2013

| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 51 |

vati nella regione e il terzo nel mondo), do-ve il settore estrattivo risulta una risorsaessenziale anche per la riscossione delletasse sui diritti di concessione della terra,sui profitti societari e le royalties (diritti diestrazione), oltre al canone annuale di li-cenza per l’esplorazione e lo sfruttamento.

Eppure tali introiti sicuri per lo Statocolombiano si sono progressivamente ri-dotti dopo l’avvio – su incoraggiamentodella Banca Mondiale – di alcune riformeper abbassare dal 35,5 al 33% le impostesugli utili delle corporations, cui si è com-binato il sistema di esenzioni fiscali con-cesse al settore estrattivo. Risultato? Nel2009 l’amministrazione del presidenteJuan Manuel Santos Calderón avrebbeperso ben il 51% (comprese le esenzionisugli idrocarburi) della sua possibilità direddito su queste attività a causa delleesenzioni, circa 3,82 miliardi di pesos co-lombiani (2 mln $). Un importo che, sotto-linea Laura Ousley, «supera di gran lungaciò che il governo ha preventivato di spen-dere nel 2012 per le vittime del conflitto in-terno: 2,9 miliardi di pesos (1,5 mln $)».

Escluse le riscossioni da idrocarburi(gas e petrolio), la decurtazione sarebbepassata addirittura dal 53% del 2007 al90% del 2009, con una situazione quasiparadossale relativa al carbone: secondol’economista Guillermo Rudas, consu-lente nel 2010 per il Colombian NationalPlanning Council, il governo avrebbe pa-gato di fatto le aziende per arricchirsi, re-gistrando un saldo negativo sfavorevoleper lo Stato tra profitti societari e tassepagate: -0,3 per il 2007 e -0,7 nel 2009.

...e chi pagaMa siccome per gli inglesi la Csr è una co-sa seria (come dimostrano le proteste digruppi quali il London Mining Network),ABColombia invita le multinazionali diSua Maestà a cambiare rotta, paventandoper loro un grave rischio reputazionale.

Ricordando come la pluridecennaleguerra civile in corso è strettamente in-trecciata col tema della terra (vedi Valo-ri settembre 2011) e che le mire del setto-re estrattivo e il suo intenso sviluppoesasperano ulteriormente lo scenario, inprimo piano balzano le minacce verso gliecosistemi naturali, non contrastate dal-

le norme vigenti: l’articolo 34 del codiceminerario prevede che le autorità possa-no rimuovere la protezione ambientaleassegnata alle riserve forestali nazionalia scopo di estrazione, mentre l’articolo37 inibisce l’opposizione dei municipi sutali decisioni.

Inoltre i rischi umanitari per un con-testo sociale di estrema povertà appaio-no in continuo aumento. Sono cresciutele condizioni di insicurezza per le popo-lazioni indigene (omicidi e arresti arbi-trari di attivisti, spesso in connessionecon una elevata presenza di uomini ar-

mati a guardia dei siti minerari), e spe-cialmente i pericoli per la popolazionefemminile nelle regioni estrattive (conuna escalation di violenze sessuali, pro-stituzione e gravidanze giovanili), e laconseguente rottura del tessuto socialedi molte comunità. A ciò si aggiunge laperdita di molte aree destinate alle tra-dizionali pratiche agricole di sussistenzae una sempre maggiore contaminazionedelle acque dei fiumi, con particolare im-patto ancora sulla salute delle donne,spesso immerse a lungo nelle acque per leattività quotidiane.

| internazionale |

DOLOROSA CRESCITAPopolazione complessiva (stima 2013): 45,7 milioniCapitale: Santa Fe de Bogotà (10 milioni di abitanti)Moneta: Peso colombiano (COP); 1 COP=0,0005 USDPil pro capite (stima 2012): 11000 USD (erano 9800 USD 2010)

Da 50 anni in Colombia si consuma una guerra civile violenta tra Farc (FuerzasArmadas Revolucionarias de Colombia - Ejército del Pueblo, organizzazioneguerrigliera comunista clandestina fondata nel 1964) ed esercito governativo.

A ottobre 2012 il governo ha iniziato negoziati formali di pace finalizzati a un cessate il fuoco bilateraledefinitivo. Il Paese registra anche circa 30mila casi (sottostimati) di sparizioni forzate negli ultimiquattro decenni, tra attivisti dei diritti umani, sindacalisti, afro-colombiani, indigeni e agricoltori in zonedi conflitto rurali; 3,6 milioni sono gli sfollati interni dal 2000, secondo il governo, e circa 400mila i rifugiati colombiani nei Paesi dell’America Latina.Nonostante un +4% di Pil l’anno negli ultimi tre, la Colombia dipende fortemente dalle esportazioni di petrolio. È il terzo esportatore latinoamericano di petrolio verso gli Usa e il loro primo fornitore di carbone; ha attivato accordi di libero scambio con vari Paesi del mondo e gli investimenti direttiesteri – soprattutto in petrolio e gas – hanno toccato il record di quasi 16 miliardi di dollari nel 2012. Il tasso di natalità oggi supera appena il livello di sostituzione, grazie a maggiore alfabetizzazione,servizi di pianificazione familiare e urbanizzazione, ma il Paese sconta infrastrutture inadeguate(indebolite dalle recenti inondazioni), una disoccupazione al 10,3% nel 2012, grave disuguaglianzasocioeconomica (almeno 1/3 della popolazione sotto la soglia di povertà) e la morsa del narcotraffico.

LE IMPRESE RAGIONANO SULLE LORO RESPONSABILITÀResponsabilità sociale d’impresa (abbreviato Csr, dall’inglese Corporate Social Responsibility).Un concetto ampio e sfaccettato, spesso una bella etichetta che permette a molte imprese di“lavare” la propria immagine, uno dei tanti strumenti di marketing. Ma non è necessariamentecosì. Valori è molto critico a riguardo (proprio perché pensiamo che troppo spesso vengausato nel modo appena descritto), ma crediamo anche che ci possa essere un modo peressere davvero responsabili e che alcune aziende (poche) lo stiano già mettendo in pratica. Con Koinetica (che da oltre 10 anni si occupa di Csr) e Agema (che si dedica allacomunicazione a 360 gradi) abbiamo organizzato un ciclo di incontri rivolti alle impreseproprio per approfondire le varie declinazioni del tema “responsabilità d’impresa”. Hannopartecipato aziende come Holcim, Magneti Marelli, Pirelli, Eni, 3M, Sea Aeroporti, Ricoh Italia,Otsuka, Autogrill, Acco, Coop Lombardia, Unipol, Banca Etica, Fondazione Cariplo. Si è parlatodi Csr e finanza, con Roberto Mazzotta (presidente di Mediocredito Italiano) e AlessandraViscovi (Direttore generale Etica Sgr); di Csr e legalità, con Nando Dalla Chiesa e Don VirginioColmegna; di Csr e competitività, con Francesco Perrini (dell’Università Bocconi) e PaoloD’Anselmi (esperto di Csr), e di Csr e comunicazione, con Toni Muzi Falconi (esperto in tema di comunicazione) e Dario Di Vico del Corriere della Sera.

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| internazionale |

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Il 24 aprile a Dhaka, in Bangladesh, ilcrollo di un complesso di laboratoritessili ha provocato 1.127 vittime, lavo-

ratori sottopagati e privati dei diritti piùelementari che lavoravano per fornitori digrandi marchi occidentali. Immediato il ri-torno di immagine (pessimo) per le azien-de committenti, tra cui anche l’italianaBenetton, benché non si trattasse di fab-briche di proprietà di quelle aziende, ma difornitori o sub-sub-fornitori. Quasi im-mediata la reazione: le principali multina-zionali del tessile (non tutte) hanno sot-toscritto un accordo per la sicurezza inBangladesh (vedi Valori di marzo e giu-gno 2013). Sono moltissimi i casi di grandiaziende che subiscono danni (d’immagi-ne, che si traducono in perdite economi-che e in crolli del titolo in Borsa) per casidi violazione dei diritti umani in stabili-menti fuori dal loro Paese e spesso anchein fabbriche di fornitori o sub fornitori.

Di responsabilità delle imprese per ilrispetto dei diritti umani lungo tutta lacatena di fornitura si è parlato in due con-vegni, organizzati da Etica Sgr (la societàdi gestione del risparmio del gruppo Ban-ca Etica) a Milano e a Modena il 12 e 13 giu-gno scorsi, intitolati “Investire nel rispet-to dei diritti umani”. Ospite d’onore SuorRuth Rosenbaum, fondatrice ed Executi-ve director di Crea, un’organizzazione re-ligiosa statunitense, che si occupa di dia-logo e azionariato attivo con le grandiimprese americane sul tema dei dirittiumani e della catena di fornitura. L’ab-

biamo incontrata a latere del convegnoper cercare di capire come si possa “con-vincere” un’impresa a essere “socialmenteresponsabile” e a pretendere lo stessocomportamento da parte di tutti i forni-tori e subfornitori.

Come convincete le imprese a “comportarsibene”? Perché dovrebbero ascoltarvi?Abbiamo sviluppato per anni relazionicon le aziende, all’inizio come azionisti cri-tici, avanzando mozioni in assemblea. Maabbiamo capito che è meglio dialogarecon l’azienda, regolarmente. Se c’è una re-lazione non c’è bisogno di una mozione. Ciascoltano perché gli conviene. Una catti-va pubblicità allontana clienti e rovinal’immagine di un’azienda anche irrimedia-bilmente. La reputazione è una questionedelicata. Sui giornali alcune imprese ap-paiono terribili per quello che fanno, manon sempre corrisponde alla realtà. Spes-so compaiono perché si sono rese respon-sabili e stanno ascoltando gli stakeholdere cercando di risolvere i problemi. Ci sono

aziende che non fanno niente, ma non siparla di loro.

Come potete monitorare il comportamentodelle imprese lungo la catena di fornitura?Non possiamo. Ma una multinazionaledeve conoscere ogni singola fabbricadove produce e ogni singolo fornitoredella supply chain; e renderne conto aipropri azionisti. Ma li conoscono ecco-me: per verificare la qualità dei prodot-ti, che sia giusto il colore del prodotto eil materiale usato. Devono conoscerlianche dal punto di vista del rispetto deidiritti dei lavoratori. Di solito sono i re-sponsabili acquisti che selezionano etengono i rapporti con i fornitori. Unbuon programma di responsabilità so-ciale d’impresa lungo la catena di forni-tura necessita di responsabili acquistiche siano esperti di diritti dei lavoratori.Devono essere i primi responsabili perquello che succede nelle fabbriche epresso i fornitori. E l’azienda deve orga-nizzare dei social audit per verificareche tutto questo accada.

Come vi comportate con le aziende i cui fornitori violano i diritti umani? Innanzitutto le spingiamo a migliorarela situazione, a pretendere dai fornitoriun cambiamento. La prima scelta non èinterrompere il rapporto perché cosìper il lavoratore non ci sarebbe alcunmiglioramento. Solo se non ci dovesseessere alcuna volontà di cambiamentoallora chiediamo di interrompere il rap-porto con il fornitore.

Avete ottenuto buoni risultati? Sì, ma richiede tempo. Aziende che all’i-nizio non conoscevano neanche i lorofornitori dopo qualche anno hanno unreport di ogni singola fabbrica dove pro-ducono. Due casi esemplari sono Gap eTarget. Oggi le loro fabbriche e quelle deifornitori sono valutate non solo in basealla qualità dei prodotti che realizzano,ma anche in base alla rispetto dei dirittidei lavoratori. Entrambe oggi hanno ec-cellenti programmi di Csr. Sono perfette?Niente è perfetto, ma riguardo queste emolte altre aziende posso dire che fannodel loro meglio.

Responsabilifin dal principiodiElisabetta Tramonto

«Non basta la qualità della produzione, i fornitori devono essere selezionatianche in base al rispetto dei diritti dei lavoratori». Per suor Ruth, che da annidialoga con le imprese, la Csr deve esistere lungo tutta la catena di fornitura

Suor Ruth Rosenbaum, direttore esecutivo di Crea(Center for Reflection, Education and Action)

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Nonostante il clamore internazio-nale e le numerose iniziative diOng, associazioni e di alcune isti-

tuzioni, il land grabbing– l’accaparramen-to di terre a prezzi stracciati da parte dellemultinazionali dei Paesi ricchi – continuaa costituire una minaccia per le popolazio-ni del Terzo mondo. Come raccontato inpiù occasioni da Valori, il fenomeno ha re-gistrato negli ultimi anni una vera e pro-pria impennata. In un recente studio Bru-no Hellendorf, ricercatore del Gruppo diricerca e di informazione sulla Pace e sul-la Sicurezza (GRIP) di Bruxelles, citandodati della Banca Mondiale ha sottolineatocome, nel solo 2010, non meno di 56 milio-ni di ettari sono stati oggetto di compra-vendite internazionali. Mentre soltanto

due anni prima, nel 2008, la cifra non su-perava i 4 milioni. Nel 70% dei casi le ac-quisizioni riguardano l’Africa. E il totale,tra il 2000 e il 2010, tocca i 203 milioni di et-tari. Qualcosa come otto volte la superfi-cie del Regno Unito. Ma, è bene sottoli-nearlo, risulta molto difficile reperireinformazioni e statistiche certe sulle di-mensioni del fenomeno, dal momento chespesso le compravendite non vengono re-se pubbliche. I dati potrebbero perciò es-sere perfino sottostimati.

Rubare l’identità di un territorioCiò che è chiaro è che siamo di fronte auna vera e propria rincorsa da parte dimultinazionali, banche e fondi di investi-mento, che presenta importanti implica-

zioni non solo economiche, ma anche am-bientali, politiche ed etiche (oggi, infatti, ilPianeta è giunto al paradosso che nume-rosi Paesi che presentano gravi problemidi malnutrizione sono esportatori netti diprodotti alimentari!). Dal punto di vistaecologico, ad esempio, la ricerca di mas-simizzazione dei profitti porta spesso ascegliere monocolture che esacerbano losfruttamento del suolo. L’agricoltura in-tensiva, poi, presenta enormi problemi diinquinamento ambientale e di sovra-con-sumo di risorse idriche. Senza considerareche l’acquisizione di terre da parte di gran-di gruppi stranieri costituisce una minac-cia – più o meno diretta – non soltanto perla sicurezza alimentare delle popolazionilocali, ma anche per la stabilità socio-eco-nomica e politica degli Stati. Secondo l’In-ternational Land Coalition, infatti, «prati-camente nessuna attribuzione di terre sularga scala si può fare senza che le popola-zioni locali siano costrette a spostarsi osiano comunque penalizzate». Basti pen-sare al problema dei popoli transumantidel Sahel: «Gli spazi dedicati alla transu-manza attualmente non appartengono anessuno. Possono essere perciò oggetto diacquisizioni da parte di investitori senzache gli allevatori abbiano alcuna voce incapitolo. Laddove un agricoltore può al-meno tentare di far valere qualche dirittoconsuetudinario all’uso, un pastore nonpuò nulla», ha spiegato Alhousseini Bre-taudeau, segretario generale del Comita-to permanente inter-Stati per la lotta allasiccità, in un documento dell’Ocse.

Terra in svenditaHenk-Jan Brinkman e Cullen Hendrix,nel World Development Report 2011 del-

Land grabbingLa razzia continuadiAndrea Barolini

Le multinazionali dei Paesi ricchi del Pianeta continuano ad accaparrarsienormi quantità di terreni nel Terzo mondo. Anche a meno di 1 euro per ettaro.In dieci anni, è stato acquisito un territorio vasto come otto volte il RegnoUnito. Mentre mancano ancora le tutele per i coltivatori e le comunità locali

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SUPERFICI OGGETTO DI ACQUISIZIONI INTERNAZIONALI TRA IL 2000 E IL 2010

Compravendite concluse Compravendite in negoziazione/sospese

FONTE: ACQUISITIONS DE TERRES EN AFRIQUE DE L’OUEST ÉTAT DES LIEUX,

MOTEURS ET ENJEUX POUR LA SÉCURITE, GRIP, 2012

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| internazionale |

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la Banca Mondiale, spiegano che «il golpein Madagascar del 2009 è risultato lega-to alle implicazioni del vecchio presiden-te nei negoziati per la concessione di lea-sing su larghe superfici di terre arabili auna grande impresa sud-coreana». Il tut-to è poi “condito” da questioni economi-che e finanziarie: la fiammata dei prezzialimentari legata alla Primavera arabanel 2010-2011 ha costituito un effetto ca-

talizzatore, che ha indotto ancor di più igrandi gruppi a gettarsi sul business. Manon è tutto: il trimestrale AlternativesInternationales racconta che per ingolo-sire gli investitori, i governi propongonouna vasta serie di agevolazioni: da quellefiscali, ai contratti di affitto da 99 anni,insieme a notevoli semplificazioni am-ministrative. Così, nel 2009 in Camerunun ettaro si affittava alla cifra ridicola di

un dollaro all’anno (0,76 euro). Come senon bastasse, esentasse per 10 anni. Men-tre nel 2012 in Sierra Leone il prezzo eradi 2 dollari, e 6,75 in Etiopia. Contro, peravere un termine di paragone, i 5-6 miladel Brasile o dell’Argentina.

Obiettivo biocarburantiNe discendono impressionanti prospetti-ve di ritorno sugli investimenti: un ettarocoltivato a zucchero può apportare 18.500dollari all’anno nello Zambia e 8mila in Ke-nia, contro i 3.750 del Brasile! Non a caso,sono da sempre i privati a fare la parte delleone: tra il 2004 e il 2009 sono loro ad averaffittato o comprato il 90% delle terre og-getto di land grabbing. E hanno scelto ilbusiness più vantaggioso: le colture perbiocarburanti. Esse rappresentano il 40%del totale, contro il 25% delle aree destina-te alla coltivazione di prodotti alimentari.D’altra parte, per comprendere quali sianole priorità delle grandi aziende basta consi-derare che anche negli Usa, ormai, il 40%delle colture di mais e il 14% di quelle di oliodi soia sono destinate ai biofuels. Ancheper questo, «il prezzo delle terre coltivabiliha registrato un boom che fa impallidire lebolle speculative delle Borse, dell’oro o deibeni immobiliari: +748% tra il 1991 e il 2011»,osserva il ricercatore francese GérardChouquer nel rapporto Knowing to mana-ge the territory, protect the environment,evaluate the cultural heritage. Non a caso,uno studio dell’Istituto internazionale perl’Ambiente e lo Sviluppo di Londra ha spie-gato che «su scala mondiale sono già statiinvestiti 14 miliardi di dollari per l’acquisi-zione di terre». Una cifra che potrebbe rad-doppiare, se non triplicare di qui al 2015.

Sul piano internazionale, poco più di un anno fa è stato siglatoun accordo che si propone di disciplinare l’acquisizione di terre.A maggio 2012, infatti, i 124 Stati membri del Comitato per la Sicurezza alimentare mondiale hanno siglato un documentoche prevede, tra le altre cose, consultazioni permanenti. Il problema è che tale testo non ha alcun valore vincolante: ciò significa che la sua applicazione dipende dalla sensibilità di ciascun governo. Finora, riferisce il trimestrale francese Alternatives Internationales,solamente alcuni Paesi hanno adottato riforme volte a tutelare

i diritti degli agricoltori. È il caso, ad esempio, di Angola, Benin e Burkina Faso. Ancora, in Togo e Madagascar è stata introdottala possibilità di registrare titoli di proprietà individuale, mentre il Ruanda è andato oltre, imponendo procedure vincolanti per le acquisizioni. Ma la questione è immensa, e lungi dall’essere risolta:occorrerebbe delimitare i territori e tutelare i diritticonsuetudinari e quelli delle collettività locali. Nonché istituirearbitrati e procedure indipendenti e garantiste di risoluzione dei conflitti. A.B.

LA DISCIPLINA INTERNAZIONALE C’È. MA NON SEMPRE È APPLICATA

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Altri prodotti agricoli non alimentari

Bestiame

Estrazione mineraria

Impianti industriali

Turismo

COME VENGONO USATE LE TERRE OGGETTO DI ACQUISIZIONIINTERNAZIONALI

FONTE: ALTERNATIVES INTERNATIONALES

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| socialinnovation |

gie e modelli finanziari delle impresesociali sudafricane. Reel Gardening èuna start-up che ha concepito nuoviprodotti agronomici, di facile utilizzoed economici, che rendono più accessi-bile l’autoproduzione di cibo. Lanciatanel 2010, la società di Johannesburgproduce strisce di carta biodegradabi-le contenente semi, sostanze nutrientie fertilizzanti organici. Le bobine se-minate, vendute a un dollaro al metro,possono essere piantate nel terreno ocollocate in un giornale o in uno shop-per con un po’ di terriccio in mancanzadi terreno coltivabile. Servono solo lu-ce del sole e acqua.

Le strisce di carta usano l’80% diacqua in meno rispetto ai mezzi con-venzionali, in quanto trattengono lamaggior parte dell’acqua. Sono indica-te in zone di difficile irrigazione. Sem-plici istruzioni, anche per chi non saleggere, sono stampate sulla carta coninchiostri naturali. Ogni nastro ha undiverso colore: indica la profondità disemina, eliminando la necessità dicomprendere aspetti più tecnici comela rotazione delle colture. Le bobinecontengono diverse selezioni di semia seconda della stagione e alternanoortaggi biologici e piante con fiori spe-cifici per attirare gli impollinatori oscoraggiare i parassiti. Composizioni

di nastri possono essere utilizzate perattrezzare parcelle di 100 metri qua-dri, abbassando il rischio di non ger-minazione per cause naturali (vento ouccelli granivori).

Reel Gardening e l’Università diCape Town stanno lavorando a nume-rosi progetti comunitari nelle zonepovere, con carenza di acqua e bassi li-velli di istruzione. Oltre a coltivare ilproprio cibo, le comunità possono au-mentare il reddito con la vendita deiprodotti in eccesso. Un fenomeno so-ciale associato alla diffusione dellebobine di semi è il rapido sviluppo di

community gardens nelle township,gli ex distretti suburbani creati du-rante il periodo della segregazionerazziale a Cape Town e Johannesburg,e di orti scolastici per invogliare le gio-vani generazioni a occuparsi della so-vranità alimentare in zone in cui l’ac-qua scarseggia.

Anche in Italia il terreno è fertileper l’innovazione sociale: le businessschool nostrane hanno coinvolto glistudenti sul tema dell’innovazione so-ciale concentrandosi sulle necessità dipolicy making, mentre l’iniziativa So-cial Innovation Agenda dell’ex mini-stro Profumo promuove l’innovazionesociale dal basso, tra i più giovani.

Maggiori approfondimenti sul blogSocial Innovation di Valori.it

diAndrea Vecci

L’imprenditorialità sociale e l’impatto positivo che può avere sulla so-cietà attirano l’attenzione di giovani studenti delle scuole di Econo-mia. E le università li assecondano creando programmi di social bu-

siness applicati a problemi sociali globali. L’ateneo di Cape Town propone aglistudenti MBA un impegno sul campo per lavorare su piani industriali, strate-

Giovani, start-up e università:le sfide sociali creano nuovefiliere e sviluppocomunitario. In Sudafrica

Idee creativeUna strisciadi terra nuova

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VODAFONE METTE LE MANI SULLA STORIA

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altrevoci

DISABILI AL LAVORO? NO GRAZIE

Già sapere che solo il 16% (circa 300mila individui) degliitaliani con disabilità tra 15 i 74 anni ha un’occupazione,contro il 49% della media totale della popolazione, non è una buona notizia. Ma leggendo che invece, secondo il World Report on Disability, gli occupati tra i disabili in Malawi sarebbero il 42,3% e in Zambia il 45,5%, ci parelecito essere preoccupati. Le cifre – diffuse in occasionedella presentazione di una ricerca realizzata da G.I.D.P.(Associazione Direttori Risorse Umane) e Reatech Italia,la rassegna italiana in programma dal 10 al 12 ottobre2013 al Mico in Fieramilanocity dedicata al mondo delladisabilità – fotografano la realtà dell’inserimentolavorativo delle cosiddette “categorie protette”. Dei quasi4mila direttori di personale associati a G.I.D.P., il 66,7%ritiene che la normativa non sia completa e adeguata,sostenendo perciò la tendenza, per ragioni economiche,ad avvalersi dell’esonero parziale dall’assunzioneobbligatoria, ovvero pagando 11.184 euro all’anno al Fondo Regionale per ogni lavoratore disabile “nonassunto”. Una via preferita dalle imprese sotto i 250dipendenti, per un mercato del lavoro arretrato in cui soloil 4,8% dei direttori del personale sfrutta il telelavoro perl’impiego dei disabili. Eppure l’offerta c’è eccome (oltre750mila persone), e i vantaggi economici non mancano:secondo l’ILO, inserendo pienamente queste risorse sipotrebbe recuperare dall’1% al 7% di Pil a livello globale.

[C.F.]

LA CRISI NON TOCCA LE ECOMAFIE

Famiglie e imprese italiane pagano in prima persona il prezzo della crisi. Le ecomafie, nel frattempo,continuano a prosperare. È questo il quadro che emergedal rapporto di Legambiente Ecomafia 2013, presentatoa Roma il 17 giugno. Le cifre, riferite al 2012, sonoeloquenti. 34.120 reati, 28.132 persone denunciate,161 ordinanze di custodia cautelare, 8.206 sequestri.Poco meno della metà degli illeciti ambientali è concentrato in Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, ma non mancano le regioni del Nord: anzi, aumentano i reati in Veneto, Lazio, Liguria, Toscana e Umbria. Per un giro d’affari, in mano a 302 clan, che vale 16,7 miliardi di euro. Gli illeciti contro animali e faunaselvatica sono quasi 22 al giorno e non si fermano gli incendi boschivi, in crescita addirittura rispettoall’anno-record 2011. Per non parlare dell’abusivismo,che nel 2006 rappresentava il 9% del valore del mercatodelle costruzioni, e nel 2013 sfiorerà il 17%. D’altronde,spiega il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza,l’economia delle ecomafie «conviene e, tutto sommato, si corrono pochi rischi. Le pene per i reati ambientali,infatti, sono quasi solo di tipo contravvenzionale e l’abbattimento degli edifici è un’eventualità remota». Tra il 2000 e il 2011 sono state emesse 46.760 ordinanzedi demolizione, ma ne è stata eseguita solo una su dieci.

[V.N.]

IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALEITALIANO CRESCE ANCORA

In questi anni di crisi gli italiani si sono abituati allerinunce – anche difficili – sui consumi e all’attenzioneminuziosa ai prezzi e alle offerte, ma non dimenticano il valore del commercio equo e solidale. Lo dimostrano i dati del report annuale di Fairtrade, presentato a Milanoil 19 giugno. La crescita è a due cifre, con un +13,7%rispetto all’anno precedente, e il fatturato nel nostroPaese ha superato i 65 milioni di euro, triplicandonell’arco di dieci anni. Sono 5mila i punti vendita su tutto il territorio nazionale che forniscono i 720prodotti a marchio Fairtrade: è un settore che coinvolge130 aziende di produzione e trasformazione. Ma senzadubbio per il commercio equo e solidale resta ancora un ampio margine di crescita. Potremmo ad esempioseguire la strada dei nostri “vicini di casa” svizzeri, che ogni anno in media spendono 35 euro a testa in prodotti certificati, contro i 3 euro italiani.

[V.N.]

A Roma si racconta di un turista americano che, sbucando dalla fermata della metropolitana Colosseo, e trovandosi davanti l’Anfiteatro Flavio, ha esclamato stupito: «Ma come hanno fatto a costruire il Coliseumcosì vicino alla metrò?!». La confusione storica d’ora in avanti è destinata ad aumentare, causa sponsor: a Madrid da giugno la fermata della metrò di Puerta del Sol è diventata Vodafone Sol e sarà così per tre anni, perché il gigante inglese della telefonia mobile ha acquistato il diritto allo sfruttamento del nome per tre milioni di euro.Ma la scusa economica non è bastata a soddisfare il disappunto nella capitale, anche se sui giornalispagnoli l’accaduto non ha avuto grande rilevanza e la notizia è stata lanciata dal quotidiano tedescoSüddeutsche Zeitung. Perché per i madrileni (e per il resto del mondo) Puerta del Sol non è solo una fermata centralissima di Madrid, incrocio di tre linee della sotterranea e nodo importante per il trafficoferroviario. Ma soprattutto è il luogo simbolo della contestazione del movimento degli “indignados” del 2011.Vodafone ora sta conducendo le trattative a Roma, per mettere il suo nome prima di quello di alcuni nodicentralissimi come la fermata della stazione Termini, di piazza di Spagna e di via Barberini. Insomma il furto storico continua: dai Barberini, che si dice abbiano spogliato Roma più dei Barbari, alla Vodafone.

[PA.BAI.]

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| ANNO 13 N. 111 | LUGLIO/AGOSTO 2013 | valori | 57 |

| LASTNEWS |

UE, IL NORD EUROPA DICHIARA GUERRA AGLI SMARTPHONE

PORSCHE-VW, LA SENTENZA CHE FA SPERARE GLI HEDGE

L’ex direttore finanziario della casa automobilisticaPorsche Holger Haerter dovrà pagare una multa da 630 mila euro per aver fornito informazioni fuorviantialla banca francese Bnp in occasione di una richiesta di prestito all’inizio del 2009. Lo ha riferito la Reuters.Haerter – ha stabilito la corte di Stoccarda – avrebbenascosto nell’occasione il valore reale dei derivati sulleazioni Volkswagen detenute dalla sua società all’epocadel tentativo di scalata alla casa di Wolfsburg. La sentenza potrebbe avere conseguenze sulle causeintentate dai fondi hedge “beffati” nell’occasione dallastessa Porsche (vedi Valori n. 107, marzo 2013). I fondiavevano tentato a partire dal 2008 di speculare al ribassosul titolo VW ignorando l’accumulo di opzioni azionarie da parte di Porsche. Alla scoperta della reale posizione di quest’ultima (che controllava tra azioni e opzionid’acquisto il 74% delle quote VW), i fondi, che perchiudere le proprie operazioni speculative dovevanoriacquistare le azioni che avevano preso di mira, avevanodovuto adeguarsi alla penuria di titoli disponibili sulmercato trovandosi quindi costretti ad acquistarli a pesod’oro proprio da Haerter e soci.

[M.CAV.]

LE VALUTE ESTERE INVADONO LA COREA DEL NORD

La presenza di dollari, yuan e valute straniere in generalein Corea del Nord avrebbe ormai raggiunto livelli recordrimarcando implicitamente la sostanziale incapacità del regime di mantenere il controllo del proprio fragilesistema economico. Lo ha sostenuto la Reuters citandouna pluralità di fonti raccolte tra esperti stranieri, rifugiatipolitici e commercianti cinesi attivi lungo il confine. Nel 2009, il governo impose la rivalutazione della monetalocale, il won, stampando nuove banconote e limitandol’ammontare del denaro fuori corso che poteva essereconvertito nel nuovo conio. Da allora, ricorda la Reuters, il won ha perso il 99% del suo valore nei confronti deldollaro scambiato sul mercato nero. Il crescente utilizzo di valuta estera, un reato punibile con la morte,rafforzerebbe così l’ipotesi avanzata qualche tempo fadall’Economist circa il crescente peso di un’economiaprivata formalmente illegale eppure tollerata se nonaddirittura incoraggiata dallo stesso regime di Pyongyang(vediValori n. 107, marzo 2013, pag. 68). Il SamsungEconomic Research Institute stima che il controvalore di valuta straniera circolante possa essere pari a 2 miliardidi dollari. Quasi il 10% del Pil nordcoreano.

[M.CAV.]

NICARAGUA COAST TO COAST: I SANDINISTI SFIDANO PANAMA

Un lungo canale artificiale capace di collegare le due costedel Nicaragua consentendo così al Paese di rivaleggiarecon Panama nel mercato delle rotte commerciali via mare.È il progetto approvato a giugno dal parlamento di Managua e fortemente sostenuto dal presidente DanielOrtega. L’operazione, con un costo stimato di 40 miliardi di dollari, sarebbe stata affidata a una compagnia di Hong Kong, la HK Nicaragua Canal DevelopmentInvestment, anche se i dettagli dell’appalto non sono statiresi noti. Il progetto, riferisce l’Associated press, trova al momento l’opposizione dei gruppi ambientalisti,preoccupati dell’impatto che la maxi opera potrebbe averesul Lago Nicaragua, principale riserva d’acqua dolce delPaese. Altri ancora temono che l’opera potrebbe rivelarsieconomicamente non conveniente tanto per l’impietosoconfronto con il celebre Canale di Panama (lungo appena50 miglia, ovvero un terzo del futuro omologonicaraguense) quanto per le variabili congiunturali (la riduzione del traffico navale) e concorrenziali (la progressiva riduzione dei costi di tratte alternative piùlunghe). Dubbi per nulla condivisi dal deputato sandinistaJacinto Suárez che ha definito “antipatriottica”l’opposizione al progetto.

[M.CAV.]

Chiamate impossibili, conversazioni a singhiozzo, connessioni interrotte. Colpa dei telefonicellulari di ultima generazione che, sempre più spesso, irrompono sul mercato prima di avercompletato i test necessari. Lo sostengono otto diverse autorità nazionali delletelecomunicazioni (quelle di Danimarca, Estonia, Finlandia, Islanda, Lettonia, Lituania,Norvegia e Svezia), che, in una lettera fatta recapitare al direttore generale del dipartimentoper l’impresa e l’industria della Commissione Ue Daniel Calleja Crespo, chiedono a Bruxellesl’introduzione di un sistema di certificazione sulle performance di ricezione dei vari modelli.Un sistema che, si legge nella lettera, «sulla scorta di quanto già sperimentato in altri settori,a cominciare dal consumo energetico, potrebbe garantire trasparenza dando ai consumatoril’opportunità di comparare i singoli modelli di telefono» e facendo diventare gli stessistandard di qualità “un parametro per la concorrenza”. «Al crescere della competizione – sostiene la società di ricerca danese Strand Consult – molti telefoni approdano sul mercato prima di essere stati completati e testati e i produttori correggono gli erroriattraverso gli aggiornamenti del software soltanto dopo che il cliente li ha acquistati».

[M.CAV.]

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| ECONOMIAEFINANZA |

SPORCARSI LE MANI PER CAPIRE LA CRISI

a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a [email protected]

Ci si può sporcare le mani, anzi ci si deve sporcare le mani per capire la realtà. Il documentario“PUNTOaCAPO”, scaricabile da internet gratuitamente (http://sporcarsilemani.com), è statorealizzato grazie alla disponibilità di professori, attivisti, professionisti e cittadini intervistati(Marica Frangakis, Ada Colau, Albert Sales Campos, Luciano Gallino, Aris Chatzistefanou, PavlosTsimas, Mario Pianta, Miren Etxezarreta, Manuel Estapé, Carla Peracchi, Matìas Gonzàlz, Xavi Teis),che hanno messo a disposizione il loro sapere e le loro esperienze per fare chiarezza e riordinare un po’ la storia, piuttosto confusa quando si parla di crisi economica. Le voci provenienti dalla periferia europea tracciano un identikit molto dettagliato dei responsabili della situazione in cui versa una parte del Vecchio Continente. Ci sono i media che hanno diffuso panico e paura, c’è la famigerata volontà dei mercati, ci sono le politiche economiche necessarie. Tutto per giustificare l’amara medicina, ovvero l’austerità, che ha impoverito ancor di più Stati come Grecia e Italia, troppo spendaccioni secondo Bruxelles, ma che è stata paradossalmenteapplicata anche a chi non aveva un problema di debito pubblico, come la Spagna. «Con la scusa della crisi si sta facendo la guerra ai poveri e non alla povertà. Questa non è una crisi, è una truffa».

Alessandro Rizzi,Anita Reboldi“PUNTOaCAPO”

I LIMITI DELL’EURO E UNA VIA D’USCITA DALLA CRISI

Quali sono le relazioni tra finanza ed economia reale?Come funziona l’eurosistema? Qual è stato il suo impattosull’economia italiana? Come ha influito la crisi suimeccanismi di trasferimento della ricchezza tra i diversiPaesi? Di questo e altro si occupa “La monetaincompiuta”, un viaggio attraverso le problematiche piùattuali della valuta continentale, i suoi meccanismi e le possibili soluzioni al problema. Dalla definizione deiconcetti chiave fino all’analisi dello scenario “estremo”(quali i costi della discussa uscita dall’euro?), MarcelloMinenna, docente di Finanza quantitativa alla Bocconi di Milano, arriva così alla proposta concreta: unamutualizzazione parziale del debito a sostegno dei titolia breve scadenza capace di calmierare gli spread erivitalizzare i portafogli bancari. Ma è solo il primo passodi un cambio di rotta regolamentare (a partire dal ruolochiave dell’analisi degli scenari di probabilità) e politiconel processo di integrazione europea. Una nuova idea di Europa, insomma, attraverso un rinnovato governodell’economia e un più efficace controllo della finanza.

Marcello MinennaLa moneta incompiuta. Il futuro dell’euro e le soluzioni per uscire dalla grande crisi.Introduzione di Nicoletta Rocchi, prefazione di SusannaCamusso, postfazione di Agostino Megale

Ediesse, 2013

CREDITO E INNOVAZIONE: LE SFIDE DELLA MICROFINANZA

Approfondire le molteplici questioni sociali, economiche e culturali che la microfinanza e il microcredito affrontanonella difficile lotta alla povertà e alla riduzionepermanente dell’esclusione sociale e finanziaria. È l’obiettivo del volume “Dizionario di microfinanza. Le voci del microcredito”, un lavoro di oltre 800 paginefrutto del lavoro di 96 autori tra cui esperti, studiosi e operatori del settore italiani e internazionali. Inserita a pieno titolo tra le grandi innovazioni sociali della nostraepoca, la microfinanza si è rivelata una risposta efficace e sostenibile nell’azione di contrasto alla povertà e all’esclusione pur operando, a livello internazionale, in contesti sociali e culturali molto diversi. Alla fine del 2011 le istituzioni microfinanziarie nel mondo erano3.703 con circa 195 milioni di clienti, molti dei quali sotto la soglia di povertà assoluta. In Europa il settore ècresciuto del 25% tra il 2010 e il 2011. In Italia, nonostantegli ostacoli tuttora esistenti, si è assistito a importantipassi in avanti anche se si attendono ancora i decretiattuativi che consentano alle istituzioni specializzate di ricevere un’autorizzazione a operare.

Giampietro Pizzo, Giulio Tagliavini (a cura di)Dizionario di microfinanza. Le voci del microcredito

Carocci editore, 2013

LA CREATIVITÀ È NEL DNA DEGLI ARTIGIANI

Le idee sono la vera linfa delle imprese. E dietro le idee ci sono le persone con i loro sogni, le aspirazioni e le paure. Questo libro non è solo un viaggio nel mondodelle imprese artigiane, durato ben otto anni, ma è la chiave per entrare nella testa della moltitudine di micro e piccoli imprenditori che rendono ricco, in tuttii sensi, il Paese. Fotografare la miriade di capannoni,officine e laboratori che compongono come tessere di un puzzle la Città infinita che corre sull’assepedemontano, non basta. Se vuoi raccontare il cuorepulsante di un sistema manifatturiero, straordinario per qualità e capacità di reazione alle richieste delmercato, devi partire dai pensieri degli artigiani, dai loropercorsi creativi e dalle loro soluzioni. Da queste 80interviste, realizzate tra il 2005 e il 2013, scaturisce unaforza reattiva che ben giustifica l’appellativo di “spinadorsale” dell’economia del Paese. Uno spirito che si coniuga alla capacità di generare bellezza e cambiamento.

Davide Ielmini (a cura di)L’impresa delle meraviglie. Un viaggio nei luoghi del fare

Confartigianato Imprese Varese, 2013

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| TERRAFUTURA |

LA VACANZA È GREEN GRAZIE A LEGAMBIENTE E AIAB

L’ESTATE CINEFILA DI SAN VITO LO CAPO

Dopo una giornata sulla spiaggia di San Vito Lo Capo,una serata al cinema è l’ideale. Dal 9 al 14 luglio a offrirlaè la quinta edizione di Siciliambiente Film Festival, la kermesse nata nel 2009 e che quest’anno prevede tresezioni: animazioni e cortometraggi d’autore,documentari e mobilità sostenibile, quest’ultima in collaborazione con la Federazione italiana amici dellabicicletta. Ma ci sarà spazio anche per gli eventi conAmnesty International e Greenpeace e per la partnershipcon le Acli. «È una vera e propria festa dedicataall’ambiente», spiega il direttore artistico Antonio Bellia,regista e membro del comitato scientifico per lo svilupposostenibile della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO. Una festa a cui, vista la consistentepercentuale di turisti, sono chiamate a confrontarsipersone di provenienza molto diversa a livello geograficoe culturale. La location, d’altronde, non è scelta a caso.Perché il comune di San Vito Lo Capo è stato premiato da tempo da Legambiente con le Cinque Vele, dedicate ai paesi balneari che si distinguono in termini di tuteladel territorio. E perché, continua Bellia, «la scuolasiciliana del documentario è una fucina di talenti:il territorio è una fonte di ispirazione immensa e nonmancano le strutture che supportino i giovani autori,come la Sicilia Film Commission».www.festivalsiciliambiente.it

MIELE E COOPERAZIONE NEL VERDE DELLA MAREMMA

«Non siamo una realtà ricca e ci basiamo soprattutto sul volontariato». Lo chiarisce da subito Bruno Pasini,presidente della cooperativa sociale Aristotele. Ma, pursenza grossi capitali, i risultati si vedono. Nella sua sedeimmersa nel verde di Campagnatico, in provincia di Grosseto, la cooperativa si occupa ormai dal 2004 di apicoltura e produzione di pappa reale. A dare il viaall’iniziativa è stato il Copait (Associazione deiproduttori italiani di Pappa reale), in collaborazione con Inail e Anmil. Ora i soci sono 23, nove dei quali sonopersone con disabilità. «Il mestiere di apicoltore non è molto conosciuto – spiega Bruno Pasini – quindi puòdare un’opportunità in più alle persone disabili, che si trovano a insegnarlo agli altri». Ma a mettersi allaprova con gli alveari sono anche una ventina di ragazzidella comunità Mondo Nuovo di Tarquinia, in via di recupero dalla tossicodipendenza, che hannoin cantiere il progetto di mettersi in proprio. E i corsi di formazione della Cooperativa Aristotele continuano,perché, afferma Bruno, c’è ampio spazio per l’ingresso di nuovi produttori: «La produzione della pappa realesembra un settore marginale ma non lo è assolutamente.Basti pensare che in Italia si produce solo il 6-7% di ciò che si consuma: il resto viene importato,soprattutto dalla Cina».www.cooparistotele.com

MODA E INTEGRAZIONE, GOMITO A GOMITO

I nomi, spesso, dicono molte cose. Un nome come“Gomito a gomito” nasce perché in Via del Gomito, a Bologna, ha sede la casa circondariale Dozza, e si è scelto di ribattezzare così il laboratorio di sartoriagestito nella sezione femminile dalla cooperativa SiamoQua. E all’inizio, racconta Francesca Soverini, la sociache segue l’attività passo dopo passo, «lo spazio eratalmente piccolo che bisognava sgomitare!». I prodotti di punta sono le borse (che, non a caso, si appoggianoproprio al gomito), che in molti casi sono pezzi unicielaborati a partire dai campionari di tappezzeria cheSiamo Qua si fa donare da aziende e negozi, in modo da tagliare i costi e destinare la somma più consistentepossibile agli stipendi delle detenute. Le borseattualmente sono vendute soltanto nei mercati rionali,ma la cooperativa è alla ricerca di negozi e Gasinteressati a distribuirle. Anche perché sembranopiacere: sia a chi le compra («A volte torniamo a casa a mani vuote perché abbiamo venduto tutto, finoall’ultimo pezzo», spiega Francesca), sia alle detenute,che «si trovano di fronte una possibilità creativa e vi si buttano anima e corpo».www.gomitoagomito.com

a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a [email protected]

Fare una vacanza a impatto zero, o quasi, non è sempre facile. Siamo bombardati da messaggi pubblicitari che puntano sul low cost più che sulla sostenibilità e in certi casi è difficile capire quali siano le strutture ricettive davvero attente al territorio. Da quest’annoa fornire una bussola sono Aiab (l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica) e Legambiente, che hanno unito le forze, integrando i loro protocolli già esistenti: quello di Aiab è dedicato agli agriturismi mentre quello di Legambiente si estende anche a campeggie ristoranti. Ristorazione con prodotti biologici, di filiera corta o presidi Slowfood, efficienzaenergetica, risparmio idrico: sono questi alcuni dei criteri che devono rispettare le struttureper essere segnalate nella white list delle due associazioni, che si sono impegnate a condurrecontrolli annuali. A quel punto la strada per il turismo consapevole è in discesa. Tanto piùperché, spiega il presidente di Aiab Alessandro Triantaphyllidis, gli agriturismi biologici ad esempio «non vanno più cercati col lumicino ma sono diffusi in tutt’Italia. E spesso non si fermano all’agriturismo ma avviano anche attività di fattoria didattica, agricoltura sociale,vendita diretta: e quindi sono aziende che riescono meglio di altre a sostenere la crisi».www.bioagriturismi.it - www.legambienteturismo.it

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| bancor |

Unione europea, dal concordato di Ro-ma appunto fino a quello di Lisbona,passando per i trattati di Merger, Schen-gen, Maastricht, Amsterdam e Nizza. Lenegoziazioni durarono quasi una quin-dicina d’anni, fino all’adesione ufficialedel gennaio 1973: c’era da superare anti-chi rancori ed erano forti i timori peruna possibile eccessiva influenza daparte degli Stati Uniti (vedasi il veto ini-ziale del generale De Gaulle), nonché lediffidenze di molti tra i Paesi del Com-monwealth. Per di più erano anni duriper tutti, ma in particolare per i sudditidella regina Elisabetta: il loro tenore divita era di molto inferiore a quello del-la media europea e la crisi petrolifera,un’inflazione galoppante e le rivoltecontinue dei minatori di carbone ave-vano indotto l’allora governo conserva-tore alla misura estrema della settima-na lavorativa di sole tre giornate.

Entrare nel Mec, pur tra mille diffi-coltà, era inevitabile e i trattati venneroratificati in parlamento: tuttavia pro-prio in quelle settimane i laburisti an-nunciavano a larga maggioranza un vo-to referendario in caso di successo allevicine elezioni nazionali. E quel primostorico referendum venne, in effetti, in-detto subito dopo il voto, anche se la vit-toria dei laburisti fu risicata. Il quesitoera diretto: “Pensate che il Regno Unito

debba restare nella Comunità e nel Mer-cato europeo comune?”. I principali so-stenitori del “sì’”, che prevalse con il 67%dei voti, furono il premier Wilson, soste-nuto dalla minoranza interna del suopartito, e la giovane leader dell’opposi-zione, Margaret Thatcher. Tra i sosteni-tori del “no” il più combattivo fu inveceTony Benn, forse il politico laburistapiù amato della storia parlamentare in-glese del dopoguerra. «L’Europa di oggiè puro centralismo burocratico soggio-gato agli interessi della Germania», di-ceva. «Se perdessimo, perderemmo lasovranità dei nostri parlamentari e delpopolo che li elegge: il nostro status didemocrazia rappresentativa servirà a

un fittizio cambio di gestione utile soloalla supervisione di un sistema di pote-re, dominato da industriali e banchieri,che resterà immutato nel tempo purnell’alternarsi di vari governi».

Oggi, in un contesto socio-economi-co per certi versi simile, il piano politicopare ribaltato rispetto a quarant’anni fa,con i laburisti su posizioni più europei-ste e i conservatori, alle prese con unadiaspora interna, acuita dalle clamoro-se sconfitte elettorali a vantaggio degliindipendentisti di destra, su posizionimolto più scettiche. E il referendumpromesso entro il 2017 dal premier Ca-meron, inizialmente scettico all’idea diun voto popolare su una materia cosìdelicata per gli equilibri internazionalidel Paese, sarà uno spartiacque decisi-vo: un autorevole istituto di sondaggiha recentemente rilevato che il 51% deipotenziali elettori è contrario alla per-manenza nell’Unione europea e che duecittadini su tre non sembrano propensia cambiare opinione di qui ai prossimiquattro anni. Tra questi certamente ilvecchio Benn, se riuscirà a superare i 90anni ovviamente, impresa che non èriuscita alla sua coetanea Margaret, an-che lei antieuropeista convinta nono-stante quel “sì” di quando non era anco-ra la Lady di ferro.

[email protected]

Europei o non europeiL’eterno dilemmadi un Paese diviso

dal cuore della City Luca Martino

Non è certo un caso se il primo (dei pochissimi) referendum tenutosinel Regno Unito – eravamo nel 1975 – riguardasse l’Europa. L’ade-sione di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ai trattati di Roma, che

istituivano la Comunità economica europea (Cee) e il Mercato europeo co-mune (Mec), fu tanto travagliata quanto il compimento stesso dell’odierna

Il premier inglese Cameronha annunciato, entro il 2017,un referendum sull’Ue. I cui esiti sono molto incerti

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WW.FRIENDSREUNITED.COM

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Frontiere hi-techLa nuova rivoluzioneè quella dei produttori

diMauro Meggiolaro

| resistenze | Donne e uomini, imprese che si indignano, protestano, resistono alla crisi

Ormai viviamo on line. Se non chattiamo scriviamo una mail. Se non aggiorniamo il nostro profilo Facebook controlliamo inuovi tweet delle persone che seguiamo, leggiamo un articolo o

guardiamo un film in streaming. Controlliamo su Google per vedere se èvero che Richard Strauss è parente di Johann Strauss (non lo è, e Richardcon il valzer ha ben poco a che fare). Siamo figli o nipoti della rivoluzionetecnologica, dell’avanzata dei bit, che hanno cambiato il nostro modo dipensare, vedere, leggere, muoverci, occupare gli spazi della nostra casa.

In realtà, come scrive Chris Anderson – storico direttore di Wired –nel suo libro “Makers”, l’economia degli atomi, dei prodotti che si tocca-no con mano, è ancora molto più grande di quella dei bit. Per 5 dollari pro-dotti con l’economia degli atomi solo 1 viene prodotto dal mondo della re-te. E difficilmente le proporzioni si invertiranno, perché per vivereabbiamo bisogno di prodotti fatti di materia e le nazioni vere continue-ranno a produrre cose vere.

Ora però siamo alla soglia di una nuova era. Con le nuove stampan-ti 3D si possono concepire prodotti su un computer, condividerne le ca-ratteristiche in rete, migliorarli con l’apporto di tutte le conoscenze de-gli utenti della rete in tutto il mondo e produrli semplicemente inviandoil progetto a una stampante 3D. Il numero di pezzi prodotti dipende so-lo da quanto siamo disponibili a strisciare la nostra carta di credito. Larivoluzione digitale si prepara a sposarsi con la produzione per diven-tare manifattura digitale diffusa, artigianato digitale. È il meraviglio-so mondo dei makers, pionieri di un sistema di produzione decentratoche, nei prossimi venti anni, potrebbe cambiare per sempre il modo incui sono fatte le cose, rendendole meno costose e annullando la di-stanza tra produttori e consumatori. Un po’ come sta succedendo nelcampo dell’energia, dove con i pannelli solari posso produrre l’energiache serve la mia casa e rivendere l’elettricità in eccesso alla rete.

Nel mondo esistono già un migliaio di makerspace, impianti di pro-duzione condivisi. Etsy, un mercato on line per i makers, ha superato i22 milioni di utenti con un volume di vendite di quasi 900 milioni di dol-lari (www.etsy.com). I numeri stanno crescendo a ritmo esponenziale,ma siamo ancora poco oltre i garage e le cantine. Il mondo digitale haperò il potere di accelerare i fenomeni e le tendenze e tra pochi anni po-tremmo trovarci nel mezzo di una nuova rivoluzione industriale. Dellaquale, in qualche modo, potremmo essere tutti protagonisti.

Per inviare commenti e proposte: http://zoes.it/meggiomaurotwitter: @meggio_mFacebook: https://www.facebook.com/pages/Mauro-Meggiolaro/115383048506446

L’idea Dal 3 al 6 ottobre si terrà a Roma la fiera europea dedicataall’inventiva e all’intraprendenza dei maker e dei creativi tecnologici. A Milano, dal 9 all’11 novembre si terrà la nuova fiera dei maker italiani(www.makersitaly.it).

L’angolo italiano Il contributo essenziale dell’Italia al movimento dei maker è costituito da Arduino. È un framework open sourceche permette la prototipazione rapida e l’apprendimento veloce dei principi fondamentali dell’elettronica e della programmazione, composto da una piattaforma hardware per il physical computingsviluppata presso l’Interaction Design Institute, un istituto di formazionepost-dottorale con sede a Ivrea, fondato da Olivetti e Telecom Italia. Il nome della scheda deriva da quello di un bar di Ivrea (che richiama a sua volta il nome di Arduino d’Ivrea, Re d’Italia nel 1002) frequentato da alcuni dei fondatori del progetto. www.arduino.cc

Makers • www.makerfairerome.eu

Il framework open source Arduino

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