Mensile Valori n. 109 2013

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Cooperativa Editoriale Etica Anno 13 numero 109. Maggio 2013. € 4,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento Contiene I.R. Liberaci dal male Su Papa Bergoglio la speranza del cambiamento: dallo Ior alla finanza intera Finanza > Pronti a una nuova bolla. Questa volta tocca alle obbligazioni spazzatura Economia solidale > Superato il Pil, l’Istat sforna i nuovi indicatori del benessere Internazionale > La malavita italiana dietro il crollo del big cinese del fotovoltaico Suntech Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità REUTERS / MAX ROSSI

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Liberaci dal male Su Papa Bergoglio la speranza del cambiamento: dallo Ior alla finanza intera Finanza > Pronti a una nuova bolla. Questa volta tocca alle obbligazioni spazzatura Economia solidale > Superato il Pil, l’Istat sforna i nuovi indicatori del benessere Internazionale > La malavita italiana dietro il crollo del big cinese del fotovoltaico Suntech

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| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 || ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |

CooperativaEditoriale EticaAnno 13 numero 109. Maggio 2013.€ 4,00

Poste Italiane S.p.A.Spedizione in abbonamento postaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB TrentoContiene I.R.

Liberaci dal maleSu Papa Bergoglio la speranza del cambiamento: dallo Ior alla finanza intera

Finanza > Pronti a una nuova bolla. Questa volta tocca alle obbligazioni spazzaturaEconomia solidale > Superato il Pil, l’Istat sforna i nuovi indicatori del benessereInternazionale > La malavita italiana dietro il crollo del big cinese del fotovoltaico Suntech

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

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rancesco è un nome che da solo dice molte cose, anche all’economia e alla finanza. Il movimento francescano è all’origine di un’importante tradizione di banca e di finanza, i cosiddetti Monti di Pietà, i veri prodromi della finanza popolare e solidale. Francesco ci ricorda che nella nostra storia la finanza non è mai stata, né è, soltanto massimizzazione di rendite; è stata, ed è, anche strumento per il Bene comune, e quindi per i poveri. C’è unafinanza per includere i poveri e una per escluderli, due finanze che convivono nella stessastrada, spesso una di fronte all’altra, ma ben diverse per natura, cultura, e frutti civili. Di fronte alle usure del loro tempo i francescani non fecero solo prediche: diedero vita a banche diverse che curassero le ferite prodotte da quelle sbagliate. Oggi il nostrocapitalismo finanziario non sta piagando i poveri meno di quanto facessero gli usurai nel Medioevo, perché alle antiche usure degli strozzini si aggiunge oggi tutta un’usura semi-legalizzata che in questi tempi di crisi sta aumentando giorno dopo giorno, è sufficiente saltare un paio di rimborsi di un mutuo per accorgersene. Se oggi vogliamo ascoltare e raccogliere il messaggio di Francesco dovremmo non soloorganizzare conferenze e scrivere libri sulla finanza etica: dovremmo avere la forza civile e morale per dar vita a nuove istituzioni finanziarie e a banche diverse. Iniziando da unariforma dello Ior: se c’è un perché coerente il Vaticano debba avere una banca, questo è mostrare una eccellenza di trasparenza e di eticità, che usa i risparmi per l’inclusione dei piùpoveri, motore di una economia sociale e civile, esattamente quanto oggi lo Ior non è. Il secondo messaggio di Francesco si chiama povertà. Ma quale? Da Francesco sappiamo che la povertà è il dramma di chi la povertà-miseria la subisce, ma è anche la felicità di chi la povertàla sceglie liberamente, magari per liberare altri da povertà non scelte. Francesco ci ricorda che solo chi ama la buona povertà sa vedere, e quindi combattere, quella cattiva. Il capitalismofilantropico sta aumentando le fondazioni che si occupano di povertà, senza però che tra chiaiuta e chi è aiutato si crei nessun incontro autentico. La fraternità di Francesco inizia quandoabbraccia e bacia il lebbroso di Assisi. Francesco ci spinge allora a combattere la culturadell’immunità, la cultura dell’anti-abbraccio, che aumenta i contratti di cura dei ricchi, iprofessionisti della cura dei poveri tenuti ben lontani dalle città, e riduce gli abbracci con i poveri. Infine (ma dovremmo continuare ancora molto), dire Francesco è dire anche Chiara. La chiesa di Francesco sarà francescana se sarà anche la chiesa di Chiara, con un maggiorprotagonismo della donna, che oggi è troppo assente dal governo della chiesa cattolica,un’assenza da cui dipende anche quella malattia morale che tanto ha fatto soffrire papaRatzinger e tutti noi. Dove non c’è il femminile, o c’è male, non c’è tenerezza, o ci sonotenerezze sbagliate. Un primo segno potrebbe essere un maggior riconoscimento economicodelle suore che lavorano nelle strutture della chiesa, che ad oggi, a differenza dei colleghimaschi, spesso lavorano di fatto gratis e senza contributi. Quando esiste una oggettivaasimmetria di potere e di status, il riconoscimento monetario dice dignità. La cultura di Francesco ci insegna che gratuità non è il gratis (prezzo zero), ma un prezzo infinito, chericonosce il valore della charis, della grazia, e quindi anche della donna. Messaggi forti e carichi di speranza per i cattolici e per tutti: spetta a noi, e alle gerarchie ecclesiastiche,volerli accogliere e tradurre in vita e prassi istituzionali.

| editoriale |

I messaggidi FrancescodiLuigino Bruni

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L’AUTORELuigino BruniÈ nato ad Ascoli Piceno nel 1966.È professore associato diEconomia politica all’UniversitàMilano Bicocca e all’Istitutouniversitario Sophia di Loppiano(Firenze). È vicedirettore delcentro interuniversitario di ricerca sull’etica d’impresaEconometica; coordinatore del progetto Economia di Comunione e membro delcomitato etico di Banca Etica. Tra gli ultimi libri pubblicati:“L’ethos del mercato”, BrunoMondatori (2010); “Dizionario di economia civile”, con S. Zamagni, Città Nuova (2009);“Benedetta Economia”, con A. Smerilli, Città Nuova (2008);“Reciprocity, altruism and civilsociety”, Routledge (2008).

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Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altroche legno e derivati non provengano da foreste ad altovalore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da areedove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.Involucro in Mater-Bi®

fotonotizie 6

dossier Liberaci dal male 12Papa Bergoglio, scommessa sudamericana 14Crescita, rating ed equità. Il modello “latino” 16E se la Chiesa si affidasse alla finanza etica? 18Ior, il futuro (incerto) dei banchieri di Dio 20La finanza vaticana tra mafia, tangenti e riforme incompiute 22

valorifiscali 25

finanzaeticaJunk bonds. Se l’elefante si aggira nel mercato 26Se la finanza non serve all’economia reale 30Banca Etica, pronta a crescere ancora 32Dieci anni di Terra Futura: «Noi, l’alternativa alla crisi» 35

numeridellaterra 38

economiasolidaleStiamo meglio se condividiamo 40Misuriamoci sul benessere 43La riscossa del Sud 45Si fa presto a dire sviluppo 46Gas lombardi al microscopio 49Il legno tricolore s’è perso nel bosco 51Due diligence e certificazioni: per un legno legale 53

consumiditerritorio 55

internazionaleNuvole italiane sul sole made in China 56Tutti flessibili, anzi no 61Turchia. Alle porte dell’Europa 64

socialinnovation 67

altrevoci 68

bancor 73

resistenze 74

Papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio,nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936.Da vescovo della capitale argentina è diventato Pontefice il 13 marzo 2013. Su di lui si posano grandi speranze di rinnovamento per la Chiesa.

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maggio 2013mensilewww.valori.itanno 13 numero 109Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005editoreSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Napo Torriani, 29 - 20124 Milanopromossa da Banca EticasociFondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale,Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza,Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa,Federazione Trentina della Cooperazione, Rodrigo Vergara,Circom soc. coop., Donato Dall’Avaconsiglio di amministrazionePaolo Bellentani, Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Giuseppe Di Francesco, Marco Piccolo, Fabio Silva ([email protected]), Sergio Slavazzadirezione generaleGiancarlo Roncaglioni ([email protected])collegio dei sindaciGiuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzonedirettore editorialeMariateresa Ruggiero([email protected])direttore responsabileAndrea Di Stefano ([email protected])caporedattoreElisabetta Tramonto ([email protected])redazione ([email protected])Via Napo Torriani, 29 - 20124 MilanoPaola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini, Francesco Carcano, Matteo Cavallito, Corrado Fontana,Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro,Andrea Montella, Valentina Neri grafica, impaginazione e stampaPublistampa Arti graficheVia Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento)fotografie e illustrazioniAndre Schumacher (Contrasto); Osservatore Romano, Max Rossi, Yuya Shino, Stringer (Reuters); Andrea Calori; Beatrice De Blasi

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite,non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.chiusurain stampa: 24 aprile 2013in posta: 30 aprile 2013

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Il primo maggioin un nome

Un giovane volto di donna, unosguardo intenso e deciso. May WanPosa Dominado, chiamata così dasua madre dopo la secondaincarcerazione per motivi politici, epoi soprannominata May One, primomaggio, è un’avvocatessa che si batte per far luce sulla sequela dienforced disappearances (sparizioniforzate) e omicidi che nelle Filippinecolpiscono sindacalisti, attivisti deidiritti umani, ambientalisti, contadinie insegnanti impegnati nellarivendicazione di una riforma agrariae nella difesa dei diritti dei lavoratori.La madre di May Wan, membro delCda di Pftc Filippine, organizzazionedi commercio equo locale cheproduce per Altromercato lozucchero di canna Mascobado, fu rapita dall’esercito il 12 aprile2007 insieme a Nilo Arado, portavocedell’organizzazione contadina di Panay, ma la loro vicenda è solouno degli esempi di un fenomeno di violazione sistematica dei dirittiumani. Dal 2001 a oggi sono più di un migliaio le vittime di uccisioniarbitrarie e di sparizioni, in sostanziale continuità tra la precedente presidenza di CoryAquino e l’attuale presidenteBenigno Simeon “Noynoy” Cojuangco Aquino III, suo figlio. Una situazionedrammatica sostenuta da un legameforte tra Filippine e Stati Unitid’America, che formano le forzemilitari locali impiegate neglisfollamenti violenti dei contadini perfar posto soprattutto agli interessiminerari. Gli agricoltori,riconcettualizzati come ribelli da cherivendicano con forza una riformaagraria contro l’attuale sistemapseudo-feudale di gestione dellaterra, continuano intanto a morire e scomparire, come anche chi li sostiene: oggi May Wan, che lavoracon l’ong Desaparecidos, segue in particolare la sparizionedell’attivista Jonas Burgos (dal2008) e di Sheryl Cadapan e KarenEmpeno (dal 2006), studentiuniversitari in contatto coimovimenti degli agricoltori.

[C.F.]

www.karapatan.org www.hrw.org www.mandacaru.itwww.altromercato.it

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[May Wan, attivista della ong Desaparecidos].

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Il videogame che sfidale corporations

Le astronavi sorvolano la cittàportando miseria e distruzione. Gli edifici crollano e con essi vanno a picco i servizi sociali di un Paeseche sconta gli inevitabili tagli allaspesa pubblica. Ma forse c’è ancorasperanza, soprattutto se a muoversisono i cittadini informati pronti a dare battaglia. Sono i protagonistidi Tax Evaders, l’ultimo progettolanciato da Gan Golan, autore, artistae attivista statunitense, in collaborazione con un network di organizzazioni tra cui Occupy WallStreet. Basta collegarsi al sitowww.taxevaders.net per ritrovarsi di colpo in un videogame anni ’80. Gli attivisti schivano le bombe etentano di abbattere le navi spazialiBank of America, JP Morgan, Exxon o Microsoft prima che questeprendano il volo verso nuovedestinazioni (presumibilmente i paradisi fiscali). Ad ogni round il programma ci informa sull’esitodella battaglia: riusciranno i nostrieroi a fermare l’evasione legalizzatae a salvare il welfare? «Mentre il resto di noi paga la giusta quota di tasse, queste multinazionalidell’evasione rubano ogni annoqualcosa come 100 miliardi di dollarialla nostra economia» segnala il sito.In realtà, è bene specificarlo, non si tratta di vera e propria evasionequanto piuttosto di elusione fiscale.In pratica lo sfruttamento dei buchinormativi che consentono di sottrarre legalmente al fisco unaquota enorme dei profittipermettendo alle «corporation di creare una distorsione nel nostrosistema economico e politico» comeha dichiarato lo stesso Golan in un’intervista a Forbes lo scorsomese di aprile. Nel 2012, ricorda TaxEvaders, la Microsoft ha spostatoall’estero 16 miliardi portando così la sua liquidità offshore a quota60,8 miliardi. Risultato: purregistrando 23,2 miliardi di profittiha pagato tasse per poco più di 3 miliardi, un’aliquota effettiva del 13,4%.

[M.CAV.]

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[Un’immagine del videogame nel quale i cittadini si battono contro i grandi evasori fiscali].

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Antartico, in mille annimai così a rischio

I ghiacci dell’Antartico si stannosciogliendo ad una velocità 10 voltesuperiore rispetto a quella mediadell’ultimo millennio. A spiegarlo è uno studio franco-britannico, cheha raggiunto tale conclusione dopoaver studiato dei carotaggi prelevatia 364 metri di profondità sotto l’isolaJames Ross, non lontano dalla puntasettentrionale della calotta antartica.L’analisi conferma che nel corso dellastoria si sono succeduti periodi di fusione e di glaciazione: tra questi,molto interessante è quello risalente a circa 600 anni fa.All’epoca, si registrò un periodo piùfreddo di soli 1,6°C rispetto allamedia della fine del secolo scorso. E il livello di scioglimento era 10 voltemeno marcato. «Ciò conferma – hanno spiegato gli scienziati – cheanche una piccola variazione di temperatura può causare una forteaccelerazione della fusione». È sempre più urgente, dunque, agireper bloccare il cambiamentoclimatico. Eppure i risultati raggiuntia livello mondiale sono desolanti. Un recente studio dell’IEA ha spiegato che, per ciascuna unità di energia prodotta, oggi si emettequasi la stessa quantità di CO2

di 23 anni fa. Malgrado la crescitadelle fonti rinnovabili, infatti, il biossido di carbonio emesso in media è calato solamente dell’1%. Il principale responsabile di questasconfitta globale è il carbone, la fonteambientalmente più pericolosa e inquinante, che continua ad essereutilizzata in tutto il mondo. Ma ciò che appare più incredibile è il raffronto tra l’ultimo ventennio e quello precedente: tra il 1971 e il 1990, infatti, il calo dellacosiddetta “impronta ecologica”(sempre in termini di emissioni di CO2) era stato pari al 6%. Il chesignifica che erano stati raggiuntirisultati sei volte migliori rispetto agli ultimi due decenni (in barba allaconferenza di Rio del 1992 e al protocollo di Kyoto del 1997).

[A.BAR.]

[La calotta glaciale antartica rischia di subire conseguenze devastanti anche con un piccoloincremento della temperatura media globale]. A

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dossier a cura di Andrea Barolini, Matteo Cavallito,Emanuele Isonio, Valentina Neri

Papa Bergoglio, scommessa sudamericana > 14

Crescita ed equità, il modello “latino” > 16

E se la Chiesa si affidasse alla finanza etica? > 18

Ior, il futuro (incerto) dei banchieri di Dio > 20

Mafia, tangenti e riforme incompiute > 22

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Francesco I ha aperto il suopapato rompendo i protocolli,in notevole discontinuitàrispetto al suo predecessore.La sfida principale, ora, è la riforma della Chiesa. A partiredallo Ior e dalla finanza vaticana

Liberacidal male

La benedizione Urbi et Orbi impartita da papa Francesco I a piazza San Pietro, il 31 marzo scorso.

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Liberale, ma non troppoFrancesco I, come ha scelto di chiamarsicon un’allusione fin troppo ovvia, non ècerto un rivoluzionario, ma non disdegnanemmeno le prese di posizione extra dot-trinali. Con la “dinastia Kirchner” non èmai andato troppo d’accordo, ma le criti-che più forti le ha indirizzate ai governiprecedenti. Nell’agosto del 2001, con l’Ar-gentina prossima alla bancarotta, avevaattaccato la corruzione politica e l’assen-za di “un disegno razionale” nella campa-gna di privatizzazioni degli anni ’90. Nelsuo documento Queremos ser Nación

(“Vogliamo essere nazione”) non avevaespresso certo posizioni troppo radicali,ma non per questo aveva rinunciato apuntare il dito contro ciò che definiva “il liberismo più violento”. Nel corso deglianni seguenti Bergoglio ha rimarcato

una sostanziale fede nel mercato, ma an-che, particolare non da poco, una certaconvinzione nella necessità di redistri-buire gli effetti della crescita. Come a di-re «rispetto degli impegni macroecono-mici, ma lotta costante alla povertà»,spiega Alfredo Luis Somoza, giornalista epresidente dell’Icei (Istituto di coopera-zione economica internazionale), «unaposizione certamente diversa da quelladi Chávez, ma molto vicina a quelle di Lu-la e Dilma Rousseff in Brasile».

Bergoglio «è sempre stato dalla partedei poveri e degli oppressi, come noi teo-logi della liberazione», ha dichiarato lostorico esponente del movimento politi-co/religioso (vedi ) Leonardo Boff inun’intervista concessa al quotidiano IlManifesto il giorno successivo all’elezione.Un endorsement carico di significato e, aconti fatti, nemmeno troppo sorprenden-te. Perché, «visto con gli occhi degli anni’70 e ’80 – spiega Alfredo Somoza – Bergo-glio, che non è mai stato vicino alla teolo-gia della liberazione, è indubbiamente unconservatore. Ma per le sue posizioni suitemi sociali, pur a fronte della sua rigiditàsulle questioni etiche, nel contesto dellaChiesa sudamericana di oggi può essere sicuramente definito un progressista».Insomma, a destra dei “preti rivoluziona-ri”, ma anche a sinistra dell’Opus Dei, i dueconfini di una Chiesa latinoamericanache, ricorda ancora Somoza, «a partire dal-la fine degli anni ’70 ha spostato in modoevidente il proprio asse ideologico».

Perdita di consensoLa storia è nota, almeno fin dai tempi del-lo storico “incidente” di Managua delmarzo 1983, culminato con la celebre re-

BOX

Per frenare la crisi di consenso in Sudamericala Chiesa ha una sola possibilestrategia: svoltare a sinistrae promuovere un modelloeconomico vincente

Amodo suo è già nella storia. E i meriti, per così dire, sono tutti nel suopassaporto. Gesuita, 75 anni, già considerato “papabile” nel conclavedel 2005, Jorge Mario Bergoglio è il primo latinoamericano a conqui-

stare il vertice della Chiesa cattolica. Per il Vaticano, colpito duramente dallacrisi di consenso nell’area, è stata di fatto una scelta obbligata. Per il Sub-continente, invece, si tratta soprattutto di un evento epocale e carico di con-seguenze. Sul fronte politico ed economico, ovviamente.

dossier | liberaci dal male |

Papa Bergoglioscommessa sudamericanadiMatteo Cavallito

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Concepita già nel 1971 in uno scritto del sacerdote e studioso peruviano GustavoGutiérrez, la Teologia della liberazione ha rappresentato tra gli anni ’70 e ’80 il tentativodi associare l’analisi e la critica sociale agli studi dottrinali. Sviluppata successivamentein Brasile dal francescano Leonardo Boff (“Cristo libertador”, 1972), la nuova teoria, che spinge la Chiesa a schierarsi con le vittime dell’oppressione alla ricerca di un drastico cambiamento sociale, trova presto molti adepti nel Continente,suscitando la diffidenza della gerarchia ecclesiastica e la repressione da parte dei regimi autoritari al potere (tristemente celebre l’assassinio dell’arcivescovo di SanSalvador, Óscar Romero nel 1980). La rivoluzione sandinista in Nicaragua (1979) portaper la prima volta i sacerdoti della Teologia a occupare parte delle cariche governative.Tra il 1984 e il 1986 due documenti della Congregazione della Dottrina della Fede – Libertatis Nuntius e Libertatis Conscientia – dichiarano di fatto l’incompatibilità della Teologia della liberazione con la dottrina tradizionale. Un’iniziativa che si traducenell’espulsione dalla Chiesa dei preti dissidenti e che comporta un progressivospostamento della Chiesa sudamericana su posizioni sempre più conservatrici. M.CAV.

ASCESA E CADUTA DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE

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primenda di Karol Wojtyła ai danni delministro della Cultura del governo san-dinista Ernesto Cardenal – sacerdote po-liticamente impegnato e in quanto talepoco gradito – e con la storica contesta-zione della folla nei confronti del ponte-fice polacco. È stato allora che il Vaticanoha spinto sull’acceleratore dell’opzione“purga”. Dai vescovi nicaraguensi ai dis-sidenti brasiliani (tra cui lo stesso Boff)le diocesi locali hanno fatto i conti conl’espulsione dei loro esponenti più “radi-cali”. Un’operazione decisa a Roma, ov-viamente, e promossa con convinzione,tanto da Giovanni Paolo II, quanto dal-l’allora prefetto per la Congregazionedella Dottrina della Fede Joseph Ratzin-ger. La Teologia della liberazione, inevi-tabilmente, è stata messa ai margini e laChiesa si è spostata sempre più a destra.Ma non senza conseguenze.

La verità è che il Vaticano ha pagatoil suo conservatorismo a caro prezzo

creando un clamoroso vuoto di consen-so nelle classi più povere. Un fenomenoche, per dirla in termini di mercato, haportato una legittima concorrenza lad-dove prima esisteva un assoluto mono-polio. «Nel 1920 in America Latina i cat-tolici rappresentavano il 100% dellapopolazione – ha ricordato il direttoredell’Ispi, Paolo Magri, nel corso del re-cente convegno “La geopolitica di PapaFrancesco” (Milano, 3 aprile 2013) – orasono circa il 72-73%». Le Chiese prote-stanti ed evangeliche, in compenso, «so-no ancora minoritarie in valore assolu-

to, ma anche in crescita costante negliultimi anni». In Guatemala e in Hondu-ras, precisa Somoza, i protestanti sareb-bero ormai maggioranza mentre in Bra-sile costituirebbero non meno del 40%della popolazione. Ma, se è vero – prose-gue – che «le chiese evangeliche, con lavicinanza ai più poveri, hanno finito peroccupare lo spazio lasciato libero dallapolitica di Wojtyła», è altrettanto veroche Bergoglio «ha saputo andare semprecontrocorrente» a partire dal giorno incui, dopo aver ereditato un’arcidiocesi ul-tra conservatrice come quella di BuenosAires, ha inviato i suoi preti nelle barac-copoli. «In definitiva – conclude Somoza –lo hanno scelto proprio per questo, per-ché la Chiesa ha assoluto bisogno di re-cuperare consenso altrimenti ha chiusodefinitivamente». Dio, insomma, potràpure perdonare. Le leggi della libera con-correnza certamente no.

[Ha collaborato Valentina Neri]

«C’è stato in questo tempo un vero terrorismo economico-finanziario. Che ha prodotto (…) l’aumento dei ricchi, l’aumentodei poveri e la drastica riduzione della classe media (…) e il disastro nel campo dell’educazione». Sono queste le parolecon cui nel 2002 Bergoglio, all’epoca arcivescovo di Buenos Aires,descriveva a Gianni Valente la sua Argentina nel pieno della crisi. E non sono le uniche critiche che Papa Francesco ha destinato al capitalismo e alle sue distorsioni. «L’attuale imperialismo deldenaro – continua nell’intervista, pubblicata sul mensile 30Giorni–mostra un inequivocabile volto idolatrico. E dove c’è idolatria, si cancellano Dio e la dignità dell’uomo. L’economia speculativanon ha più bisogno neppure del lavoro (…). Insegue l’idolo del denaro che si produce da se stesso. Per questo non si hannoremore nel trasformare in disoccupati milioni di lavoratori». E riguardo gli organismi internazionali che regolano la finanza?«Non mi sembra che pongano al centro della loro riflessionel’essere umano, nonostante le belle parole. Indicano sempre ai governi le loro rigide direttive, parlano sempre di etica,di trasparenza, ma mi appaiono come dei moralisti senza bontà».Tali osservazioni sono senza dubbio figlie delle vicende argentine,che già dieci anni fa avevano mostrato gli effetti di una crisifinanziaria sull’economia reale e sulla vita delle persone.Lo conferma il discorso tenuto da Bergoglio nel 2007 di fronte ai 162 vescovi riuniti per la Conferenza episcopale dell’Americalatina. L’allora cardinale – riporta il quotidiano La Nación –si è scagliato contro «la globalizzazione come ideologia economica e sociale» che «ha influito negativamente sui settori più poveri»,

soprattutto in America latina, «la regione più diseguale del mondo». L’ingiusta distribuzione dei beni «configura unasituazione di peccato sociale che grida al cielo ed esclude a moltifratelli la possibilità di una vita più piena», ha continuato. E «i poteri politici e i piani economici di diversi orientamenti nonmostrano di produrre cambiamenti significativi per eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale». La critica al capitalismo dunque è vista soprattutto in un’ottica di lotta a quelle diseguaglianze che caratterizzano fortementel’America Latina («In questa città la schiavitù è all’ordine delgiorno», dichiara nel 2011 a Buenos Aires). Diseguaglianze chesono diventate un elemento centrale nelle scelte dei governi chevi si sono avvicendati in questi anni. Ma, nei fatti, le sue posizionisono spesso alternative a quelle dei governi Kirchner, con cui nonmancano i punti d’attrito (vedi a pag. 17). Ne è un esempio il fatto che nel 2010 si sia fatto portavoce del Consenso per lo sviluppo, stilato dall’università del Salvador e dalla Escuela de Posgrado Ciudad Argentina. Un documento programmatico di stampo liberista sottoscritto da diversi esponentidell’opposizione, guidati da Roberto Dromi, ex ministro delgoverno di Carlos Menem. Nello stesso anno, nel libro Sopra il cielo e la terra, scritto col rabbino Abraham Sokrka, torna anominare il capitalismo: «Il cristianesimo condanna con la stessaforza il comunismo come il capitalismo selvaggio. (…) Il denaro ha una patria e chi prende la ricchezza che è prodotta in un Paeseper portarla altrove fa peccato, in quanto non onora il Paese cheproduce quella ricchezza e il popolo che lavora per generarla». V.N.

BOX

«DAL CAPITALISMO SELVAGGIO NASCE UN MONDO DISEGUALE»

LIBRI

Alfredo SomozaOltre la Crisi (appunti sugliscenari economici futuri)

Edizioni CentoAutori

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dossier | liberaci dal male |

«C’è stato un tempo in cuigli economisti europeiguardavano all’Ameri-

ca Latina con orrore. Schiacciata dal de-bito, afflitta dall’iperinflazione e deva-stata dalla disoccupazione, la regioneviveva un disastro finanziario. Queigiorni sono finiti da un pezzo». Nello scor-so mese di gennaio, a tre giorni dall’aper-tura del VII summit congiunto tra i leadereuropei e i loro colleghi del Subcontinen-te, il corrispondente da Santiago dellaBbc, Gideon Long, sintetizzava così il cli-ma della vigilia. Il cambio di prospettivaera ormai realtà e i numeri lo certifica-vano ampiamente. Nel corso del 2012 leeconomie latinoamericane e caraibicheerano cresciute del 3,1% contro una me-dia globale del 2,2%. Nello stesso periodola ricchezza prodotta nell’area euro eradiminuita dello 0,5%. Nel 2013, ha soste-nuto la Comisión Económica para Amé-rica Latina y el Caribe (CEPAL), i Paesidel Centro e Sudamerica (Caraibi com-presi) cresceranno del 4% contro unamedia dell’eurozona pari allo 0,3%. Perdirla con un’espressione familiare sono370 punti di spread.

Commodities e affidabilitàIl trend, come noto, è evidente da almenoun decennio. Tra il 2003 e il 2008, ha ricor-dato l’Ocse, il Subcontinente ha conosciu-to un tasso di crescita medio vicino al 5%,grazie soprattutto a un paio di fattori. Inprimis c’è la crescita della domanda ester-

na proveniente dalle economie emergen-ti, Cina su tutte, che ha permesso alla re-gione di sfruttare l’impennata dei prezzidelle sue materie prime (petrolio, gas,commodities alimentari) gonfiata tantodall’export verso Pechino quanto dalla

speculazione finanziaria (la crescita ab-norme dei volumi dei contratti futures).In secondo luogo c’è l’aumento della stes-sa domanda interna, trainata al rialzo dalcircolo virtuoso crescita/salari. Fin qui ifattori più ovvi, ma in realtà c’è dell’altro.

A caratterizzare il successo latinoa-mericano è stata anche un’inedita stabi-lità finanziaria e macroeconomica che, aldi là di qualche incidente di percorso(enorme nel caso dell’Argentina), ha con-tribuito al miglioramento del quadromacro. Tra il 2000 e il 2007, ha ricordatoancora l’Ocse, il rapporto debito/Pil dellaregione si è ridotto del 15%. Nel medesi-mo periodo, lo stato dei conti pubblici èpassato da un deficit medio pari al 2,4%del Pil a un avanzo dello 0,4%. Un trenddi lungo periodo che negli anni successi-vi ha coinciso con un concetto storica-mente inedito: l’affidabilità finanziaria.

Per capirlo basta guardare ai dati sulrating che, come noto, si esprime lungouna scala di valutazione. Secondo una re-

Crescita, rating ed equitàIl modello “latino”diMatteo Cavallito

L’America Latina attraversa un decennio di forte crescita. Merito dei boomregistrati nelle domande interna ed esterna. Ma anche grazie ad una maggioreredistribuzione della ricchezza operata in numerosi Paesi della macro-regione

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IL TASSO DI POVERTÀ IN AMERICA LATINA (%)

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cente indagine del Financial Times, tra il2007 e il 2013 tutti i Paesi latinoamericani,con l’eccezione di Argentina, Venezuela,El Salvador e Messico (quest’ultimo stabi-le), erano andati incontro a un migliora-mento del proprio rating sovrano. Nellaclassifica definitiva, calcolata sulla basedelle posizioni (notch) guadagnate lungola scala di valutazione (quella che va dallaD di default alla tripla A delle nazioni piùaffidabili, per intenderci), ben quattroPaesi latinoamericani si trovavano nellaTop Five globale (vedi ).

Redistribuzione della ricchezzaMaggiore affidabilità significa anche mag-giore facilità di attrazione degli investi-menti stranieri, ovvero un altro fattore dicrescita. Ma a rafforzare il modello lati-noamericano, in realtà, non è solo la sem-plice espansione economica certificatadall’aumento del Pil. La crescita dell’eco-nomia, infatti, ha permesso ai governi na-zionali di finanziare i programmi di ridu-zione di povertà ottenendo, dati allamano, un enorme successo. Nel 1990, haricordato ancora la Cepal, il tasso di po-

vertà della ragione superava il 70% conoltre un quinto della popolazione com-plessiva costretta a vivere nell’indigen-za. Oggi si è scesi a quota 40, mentre lapercentuale degli indigenti si è dimezza-ta. A sorprendere è però un altro feno-meno, quello della riduzione della disu-guaglianza. L’equità nella distribuzionedel reddito, come noto, si misura con unindicatore chiamato Indice di Gini lungouna scala da 0 (equità assoluta) a 100 (di-vario massimo). La Svezia, il Paese più

equo del mondo, registra per intenderciun 23 netto. Il Sudafrica, all’estremo op-posto della classifica, totalizza 63,1. Oggi,ha osservato di recente l’Economist, il va-lore medio dell’indice per i Paesi del Sub-continente si colloca a quota 50 (contro il54 di dieci anni fa), un livello che non si rag-giungeva da oltre 30 anni. Tradotto: dopola crescita della disuguaglianza sociale neidecenni della democratizzazione prima edel liberismo poi, l’area è tornata a livelli di equità che non si vedevano dal 1980.

TABELLA

L’EVOLUZIONE MEDIA DEL RATING FINANZIARIO 2007-2013

PAESE Variazione media (notch)

URUGUAY +3,67

BOLIVIA +3,00

BRASILE +3,00

PERÙ +2,67

PANAMA +2,33

CILE +1,67

COLOMBIA +1,33

SURINAME +1,33

PARAGUAY +1,00

ECUADOR +0,67

COSTA RICA +0,67

GUATEMALA +0,33

NICARAGUA +0,33

MESSICO 0,00

ARGENTINA -0,67

VENEZUELA -0,67

EL SALVADOR -2,00FONTE: FINANCIAL TIMES, DOWNGRADED PLANET, 26 MARZO 2013. LA CIFRAIDENTIFICA UN DATO MEDIO RISPETTO AI GIUDIZI DELLE TRE MAGGIORIAGENZIE DI RATING. COSÌ, AD ESEMPIO, IL +3,67 REGISTRATO DALL’URUGUAYÈ FRUTTO DELLA MEDIA DELLE POSIZIONI SCALATE TRA IL 2007 E IL 2013: 3 SULLA SCALA DI FITCH (DA B+ A BB+), 4 SULLA STANDARD & POOR’S (DA B+ A BBB-) E 4 SULLA MOODY’S (DA B1 A BAA3).

«A mio nome, del governo argentino e in rappresentanza del popolo argentino vogliosalutarlo e presentare i miei auguri». Si è espressa così la presidente argentina,Cristina Kirchner, all’elezione di Papa Bergoglio. Ma i rapporti fra il Pontefice e il governo argentino finora sono stati tutt’altro che distesi. Lo scontro più duro è stato nel 2010 con l’approvazione dei matrimoni gay, che Bergoglio ha definito “unapretesa distruttiva del piano di Dio”. La risposta non si è fatta attendere: «Mi preoccupail tono che ha preso il discorso, si considera come una questione di morale religiosa e di rischio per l’ordine naturale, quando in realtà si sta prendendo in considerazioneuna realtà che già esiste». Ma il dissidio era nato già con Néstor Kirchner, marito(scomparso nel 2010) dell’attuale presidente. La Nación ricorda un “messaggio in codice” lanciato nel 2004 dall’allora arcivescovo Bergoglio, che chiedeva un maggiordialogo politico criticando “l’esibizionismo e gli annunci stridenti”: il riferimentosarebbe stato proprio al presidente in carica. L’anno successivo Kirchner, checonsiderava Bergoglio “il vero rappresentante dell’opposizione”, è stato il primopresidente a non presenziare alla cerimonia del 25 maggio alla cattedralemetropolitana di Buenos Aires. Le tensioni con la moglie Cristina sono iniziate nel2008, quando Bergoglio si è schierato con gli agricoltori in sciopero contro un nuovosistema di tassazione. L’anno successivo è tornato a scagliarsi contro un sistemapolitico che a detta sua rischia di «omologare il pensiero» e non essere attento alleesigenze della popolazione. Si arriva così allo scontro in tema di diritti civili. E a quando,nel 2011, l’Arcivescovo ha criticato i «deliri di grandezza» dei governanti. Al di là del mondo politico, in Argentina l’entusiasmo per il nuovo Pontefice è statoforte ma non unanime. È il caso delle Nonne di Plaza de Mayo, l’associazione chelavora per restituire alle famiglie i bambini scomparsi durante la dittatura. La presidente Estela Bernes de Carlotto non è stata tenera nei confronti di Bergoglio,che a detta sua «appartiene alla Chiesa che oscurò il Paese». «Non ci ha mai parlatoné si è avvicinato a noi per aiutarci», ha dichiarato in un’intervista a Radio Milenium.Il periodo della dittatura è anche al centro delle polemiche lanciate dallo scrittore e intellettuale argentino Horacio Verbitsky, vicino al governo di Cristina Kirchner. Nel febbraio del 1976, poco prima del colpo di stato di Jorge Rafael Videla, Bergoglioestromise due sacerdoti dalle attività dei gesuiti nelle baraccopoli di Buenos Aires: così,a detta di Verbitsky, li avrebbe privati della protezione ecclesiastica. Dopo pochi mesivennero rapiti e torturati, per poi essere rilasciati dopo sei mesi grazie ancheall’intercessione del Vaticano. La questione è controversa: Bergoglio sostiene di averliallontanati solo per proteggerli, mentre Verbitsky ha pubblicato alcuni documenti per provare le proprie affermazioni. Il giornalista accusa il Papa anche di aver mentito al tribunale federale di Buenos Aires: Bergoglio avrebbe ammesso di avergli concessoun’intervista nel 1999, negando però di aver fornito determinate informazioni. V.N.

DALL’ARGENTINA LE VOCI CRITICHE

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La proposta, nel mondo cattolicoancora sconvolto dalle dimissionidi Joseph Ratzinger ma con la Cu-

ria già in piena attività per immaginareun successore a lei non ostile, deve averprodotto più di un sobbalzo: abbandona-re lo Ior e gli investimenti tutt’altro chetrasparenti, per abbracciare la finanzaetica. L’idea (provocazione?), messa nerosu bianco, è apparsa fra le colonne delsettimanale Famiglia Cristiana, firmatadallo storico Giorgio Campanini: libera-re il Pontificato «da ogni legame (e ancorpiù da ogni compromissione) con la fi-nanza».

Questione di coerenzaL’editorialista parte da una constatazio-ne: «Oggi esistono, in Italia e in numero-

si Paesi, le banche etiche, nelle quali ilcredito è accordato con criteri di grandeseverità e finalizzato soprattutto a pro-getti di sviluppo, con la totale esclusionedi finalità speculative». Da qui il suggeri-mento per il nuovo pontefice: «Perchénon delegare ad esse ciò che ha a che fa-re con la finanza? La più totale traspa-renza sarebbe in tal modo assicurata e ifedeli saprebbero che il denaro dato allaChiesa è destinato prioritariamente aipoveri del mondo».

Roba da ridere per chi, come l’ex pre-sidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi,sostiene che «la banca etica e la finanzaetica non esistono». Una considerazionesu cui discutere molto seriamente permolti altri che, dentro e fuori la Chiesa,vivono con sempre maggiore sofferenzale speculazioni (e gli scandali) della Ban-ca vaticana. Di certo, una grande speran-za per quanti conoscono gli effetti bene-fici degli investimenti etici: «Se solo unaparte limitata delle gigantesche risorsedella finanza tradizionale fosse indiriz-zata verso istituti che promuovono la fi-nanza eticamente orientata, molto po-

trebbe cambiare», commenta Andrea Ba-ranes, presidente della Fondazione cul-turale responsabilità etica. «Consideria-mo, infatti, che un euro di capitale socialepuò trasformarsi in circa dodici euro difinanziamenti per il commercio equo, lacooperazione sociale, l’agricoltura biolo-gica e le moltissime altre esperienze di“altra-economia”, con ricadute positivesull’ambiente e la società».

Un percorso dinamicoMa quanto è percorribile una riforma insenso responsabile degli investimenti va-ticani? «Non dobbiamo essere ingenui»,commenta Leonardo Becchetti, ordinariodi Economia politica all’università TorVergata di Roma. «Ci sono rapporti pre-gressi con importanti istituzioni bancarieche sarà difficile rimuovere rapidamente.L’eventuale avvicinamento verso il mon-do della finanza etica va quindi visto co-me un processo dinamico e non immedia-to». Ma se la Chiesa di comportasse comeun consumatore responsabile i risultatipotrebbero essere dirompenti. «Si trat-terebbe di mettere in pratica quanto già

La proposta di Famiglia Cristianascatena il dibattito sulla possibilità di orientare in senso responsabile gli investimenti vaticani.Un’impresa possibile. Mai come ora

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E se la Chiesa si affidassealla finanza etica?diEmanuele Isonio

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espresso in molti documenti, primo fratutti la Caritas in Veritate di BenedettoXVI. La Chiesa, con il suo peso economi-co, ha il potere di mettere in concorrenzale istituzioni bancarie stimolandole auna maggiore trasparenza, responsabi-lità ed eticità». La via da percorrere sa-rebbe analoga a quella intrapresa già daalcune conferenze episcopali, come quel-la francese, che ha da tempo istituito unfondo d’investimento coerente con iprincipi cristiani.

Una cosa è certa: abbracciare la fi-nanza etica non vuol dire rinunciare aottenere adeguati rendimenti. «Al di làdella difficoltà di liberarsi del passato – spiega Becchetti – la storia empirica di-mostra ormai senza dubbio che non esi-

ste perdita di rendimento per chi decidedi puntare sugli investimenti responsa-bili. Al contrario, le Ong che hanno inve-stito in finanza speculativa hanno finitoper perderere metà del loro patrimonio».

Altrettanto certo è che il momentoper la rivoluzione non è mai stato cosìpropizio. «L’elezione di Bergoglio ha in-dubbiamente indebolito il tradizionale

assetto di potere della Curia», osservanodall’entourage di uno dei “Grandi eletto-ri” del papa argentino. «E la scelta diriformare il governo vaticano servendo-si di un organismo composto per setteottavi da cardinali estranei alla vita cu-riale ne è la dimostrazione». Una primaassoluta nella storia della Chiesa. L’en-nesima nel breve pontificato di JorgeBergoglio (prima volta di un papa suda-mericano, prima volta di un gesuita, pri-mo nella storia a scegliere di chiamarsiFrancesco). Aspetto da non sottovaluta-re: «I Gesuiti – conclude Becchetti – sono,insieme ai Comboniani, tra gli ordini ec-clesiastici più sensibili alle istanze dellafinanza etica». Premessa sufficiente perun’altra “prima volta”?

Un cambiamento è possibile,ma occorre non illudersi: il Vaticano ha intessutorapporti con grandi istitutifinanziari che non sipotranno cancellare con un semplice colpo di spugna

Cercare di fare un calcolo del valore dei beni del Vaticano,immobiliari e finanziari, significa necessariamente rassegnarsi a ottenere un puzzle pieno di lacune. Sono tanti i dati chemancano all’appello. E non è mai stato reso disponibile un quadro completo. Nel 2011 la Santa Sede ha chiuso il bilancio in rosso: il disavanzo è stato di quasi 15 milioni di euro. Leggendo la nota diffusa dal Vaticano si scopre che il costo principale è per il personale, pari a ben 2.800 persone.In controtendenza invece è il Governatorato, che ha registratoun attivo di 21 milioni 843 mila euro soprattutto grazie al boomdi ricavi dei Musei Vaticani (hanno raggiunto i 91 milioni di euro,con un balzo in avanti di 9 milioni in un anno). Anche le offertedei fedeli, nonostante la crisi, sono aumentate, arrivando a pocomeno di 53 milioni di euro. A esse vanno aggiunti i contributiversati dalle Chiese di tutto il mondo (24 milioni di euro) e quellidelle fondazioni. Lo Ior nel 2011 ha corrisposto 49 milioni di euro al pontificato.Ma questi dati non spiegano tutto, anzi. Lo Stato del Vaticano è il fulcro attorno al quale ruotano 4.649 diocesi: e ognuna si amministra in modo totalmente autonomo. Senza contare la complessa ragnatela di fondazioni e società di vario genere,sparse ai quattro angoli del Pianeta, che gestiscono un immensopatrimonio. Che è fatto non solo di chiese e parrocchie, che in quanto tali sono prettamente non profit, ma anche di scuoleprivate, alberghi, case, ospedali. Marzio Bartoloni su Il Sole 24 Orespiega che il Gruppo Re, che gestisce beni immobiliari per gli entiecclesiastici, ritiene che sia in mano alla Chiesa circa il 20% delpatrimonio immobiliare italiano. Quest’ultimo, stando all’Agenziadel territorio e al dipartimento delle Finanze, ha un valore di oltre6.400 miliardi di euro. Quindi – continua il quotidiano finanziario –anche con la stima più prudente i beni della Chiesa si aggiranointorno ai mille miliardi di euro. E questo soltanto entro i confini

della Penisola. Se si considera anche il resto del mondo, la cifra va almeno raddoppiata.Gli unici dati confermati sono quelli che il Vaticano pubblicaogni anno sull’Annuarium statisticum ecclesiae, una sorta di censimento che però si limita a elencare i beni gestiti dallaChiesa senza renderne noto il valore monetario. Un valore chepuò variare esponenzialmente di caso in caso: il giro d’affari del Policlinico Gemelli di Roma è incomparabile con quello di un lebbrosario in un villaggio africano. L’ultima edizionedell’Annuario, relativa al 2010, rivela che in tutto il mondo ci sono più di 455 mila chiese, parrocchie e centri religiosi. Le scuole cattoliche sono quasi 207 mila: 70.544 materne, 92.847elementari e 43.591 medie. Per fare un confronto, basti pensareche negli Stati Uniti le scuole elementari e secondarie (pubbliche,private e cattoliche) sono 132 mila. Ma la Chiesa gestisce anchescuole superiori (che seguono 2 milioni 300 mila studenti) e 6 mila seminari. Oltre a circa 200 università: una percentualeconsistente del totale, che ammonta a più di 9 mila atenei. Le strutture sanitarie e assistenziali cattoliche sono poco più di 120 mila in tutto il mondo: 5.305 ospedali (all’incirca l’equivalentedi tutti gli ospedali degli Usa), 18 mila ambulatori, 17 mila centriresidenziali per anziani e disabili. Ma in questa cifra sonocompresi anche poco meno di 10 mila orfanotrofi, 11 mila asili, 15 mila consultori, 34 mila centri di educazione e riabilitazione.È ancora più difficile stimare i beni finanziari del Vaticano. Nel 2002 ha provato a calcolarli il dipartimento del Tesoroamericano, basandosi sui dati della Fed che si riferiscono soltantoal territorio statunitense. All’epoca, il Vaticano deteneva 298milioni di dollari in titoli statunitensi: 195 milioni in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine (49 in bond societari, 36 in emissioni delle agenzie governative e 17 in titoli governativi) e un milione in obbligazioni a breve termine del Tesoro. V.N.

I NUMERI DI UN IMPERO

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La chiave di tutto si chiama Mo-neyval, sussidiario europeo delFATF (Financial Action Task For-

ce, l’authority internazionale antiriciclag-gio) e ad oggi controllore, esaminatore ecertificatore numero uno della finanzavaticana. Sul tavolo c’è l’agognato inseri-mento nella White list, l’elenco dei Paesi

affidabili sotto il profilo della trasparen-za finanziaria di cui la Santa Sede tutto-ra non fa parte. Un traguardo decisivo,insomma, che, necessariamente, passadalla riforma di quella che l’ex funziona-rio del Dipartimento del Tesoro statuni-tense Avi Jorisch ha definito “la bancapiù segreta del mondo”, ovvero quell’Isti-tuto delle opere religiose (Ior), fondatonel 1942 e coinvolto da decenni a vario ti-tolo in una serie infinita di vicende pocochiare quando non addirittura in vere eproprie epopee giudiziarie (vedi alla pagina seguente).

Tre fronti«Tutto è necessario, ma fino a un cer-

to punto», ha dichiarato lo stesso Bergo-glio durante un’omelia pronunciata loscorso 24 aprile alla presenza di alcunifunzionari dell’istituto. Un’affermazio-ne potenzialmente pesantissima per ilfuturo di una banca che qualcuno vor-rebbe trasferire un giorno sotto il con-trollo del Governatore vaticano Giusep-pe Bertello per far luce, magari, su quei33 mila conti di dubbia titolarità, 4.500dei quali, ha ricordato Linkiesta, inattivida almeno un quinquennio. Difficile ca-pire se tiri davvero aria di Perestrojka.Quel che è certo, tuttavia, è che nelle stan-ze vaticane sembrano convivere al mo-mento idee di Glasnost’ (trasparenza, fi-nanziaria in questo caso) molto diverse.Da un lato, ha ricordato una recente ana-lisi di Giacomo Galeazzi sulle colonne deLa Stampa, c’è l’ipotesi immobilista dellalinea Sodano (Angelo, Decano del SacroCollegio)/Sandri (Leonardo, Prefetto del-la Congregazione per le Chiese Orientali),che vorrebbe il sostanziale mantenimen-

INTERVISTA

Ior, il futuro (incerto)dei banchieri di DiodiMatteo Cavallito

Sotto la pressione delle autorità anti riciclaggio il Vaticano studia unariforma dello Ior. Tra suggestioni di banche “etiche” e difese dello status quo

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Nella Curia si fronteggianoposizioni diametralmenteopposte: da chi puntaall’immobilismo totale fino achi auspica la chiusura delloIor, e la sua trasformazionein una “banca etica”

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to dello status quo. Dall’altro, c’è addirittura la proposta “rivolu-zionaria” della chiusura dell’istituto e della sua sostituzione conuna non meglio specificata banca “etica”. È l’idea promossa in par-ticolare dai cardinali Christoph Schoenborn e John Onayekan,sostenitori di un’ipotesi, verrebbe da aggiungere, particolarmen-te invisa al decaduto Ettore Gotti Tedeschi, storico sostenitoredel dogma dell’inesistenza della finanza etica.

Nominato al vertice dello Ior nel 2009 e sfiduciato nel mag-gio 2012, Gotti Tedeschi – ha ricordato Avi Jorisch – sarebbestato poco presente tra le stanze della banca vaticana prefe-rendo occuparsi in prima persona degli affari del colosso spa-gnolo Banco Santander, di cui per un paio di decenni è statorappresentante per l’Italia. Un ruolo, quest’ultimo, tornatod’attualità negli ultimi mesi quando le inchieste sul “disastroderivati” del Monte dei Paschi di Siena ha riacceso i riflettorisulla contestata operazione Antonveneta (novembre 2007), lamadre di tutte le plusvalenze (per l’istituto iberico) e di tutti idissesti (per Mps).

Il precedente del 2011La questione riforme, per altro, non rappresenterebbe di per séuna novità vera e propria. Già nell’ottobre del 2011, il PontificioConsiglio Iustitia et Pax, una commissione di studio attiva dal1967 elaborò un testo di raccomandazioni e proposte con un ti-tolo emblematico: “Per una riforma del sistema finanziario emonetario internazionale nella prospettiva di un’autoritàpubblica a competenza universale”. A sorprendere, nell’occa-sione, era stato il tono piuttosto radicale e preciso delle propo-ste stesse. Come a dire nessun richiamo fumoso a principi dot-trinali o simili, bensì un elenco di possibili provvedimentiparticolarmente concreti e mirati. Tra questi la tassa sullatransazioni finanziarie, la separazione delle attività di invest-ment banking dal comparto retail (già approvata dai regolato-ri di UK, Germania, Francia e Stati Uniti), la proposta di ricapi-talizzazione pubblica delle banche in cambio di uno sblocco delcredito verso l’economia reale e, infine, una profonda riformadel sistema di governance globale dei mercati. Un’iniziativasorprendente, certo, ma con un limite decisivo: l’assenza di ri-ferimenti allo Ior, il cui nome non compariva nemmeno unavolta nelle pagine del documento. Ma forse, come si dice in que-sti casi, i tempi non erano ancora maturi.

Lo Stato di Città del Vaticano è da tempo oggetto di forticritiche per non aver ratificato numerose convenzioniinternazionali. Alcuni casi, in effetti, hanno dell’incredibile. La Chiesa, ad esempio, non ha firmato neppure la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottatadall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre1948. Essa è “colpevole”, infatti, di concedere ad ogniindividuo, all’art. 18, il “diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”; “tale diritto – si legge – include lalibertà di cambiare religione”.Anche il protocollo di Kyoto, inspiegabilmente, non è statoratificato, sebbene la Santa Sede sia il primo Paese delmondo a impatto-zero in termini di emissioni di gas a effettoserra. Proseguendo con gli esempi, perfino la Convenzionesull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donnanon ha ricevuto l’approvazione del Vaticano.L’ultima polemica, in ordine di tempo, riguarda la ConvenzioneOnu sui diritti dei disabili. Si tratta del primo trattato sui dirittiumani del terzo millennio, approvato dall’Assemblea generaledell’Onu nel 2006. Il Vaticano ha partecipato attivamente ai lavori per la stesura del testo, durati cinque anni. Ma, allaconclusione, si è rifiutata di firmarlo. Il motivo? Il documentonon ha inserito un divieto esplicito nei confronti dell’aborto.Sul sito ufficiale del Vaticano è pubblicato l’elenco delleConvenzioni internazionali alle quali ha aderito (talora con riserve), che riportiamo di seguito:• Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte

le forme di discriminazione razziale.• Convenzione internazionale sui diritti del bambino.• Convenzione unica sugli stupefacenti e Protocollo

di emendamento.• Convenzione sulle sostanze psicotrope.• Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari.• Convenzione sull’esplorazione e l’uso pacifico dello spazio

atmosferico.• Protocollo circa la proibizione dei gas tossici e mezzi

batteriologici.• Convenzioni di Ginevra (per migliorare, in tempo di guerra,

la condizione dei feriti e dei malati, sulla protezione dei civili, sul trattamento dei prigionieri, sullo statuto dei rifugiati) e protocolli addizionali.

• Convenzione internazionale per protezione dei beniculturali in caso di conflitto armato.

• Convenzione dell’UNESCO relativa alla protezione delPatrimonio mondiale, culturale e naturale.

• Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche.• Convenzione culturale europea.• Convenzioni in materia di diritto marittimo.• Convenzioni sulla circolazione stradale. A.BAR.

DAI DIRITTI UMANI AI DISABILI. I “NO” DEL VATICANO ALLE CONVENZIONIINTERNAZIONALI

Da sinistra a destra,Ettore Gotti Tedeschi, l’arcivescovo Paul Casimir Marcinkus (entrambi exnumeri uno dello Ior) e il banchiere Roberto Calvi, trovato impiccato nel giugnodel 1982 a Londra (vedi intervista a pag. 22).

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«Il sistema finanziario del Vati-cano, oggi, è come se fosse inpurgatorio. Dopo decenni di

opacità ci si incammina sulla strada ob-bligata delle riforme». Gianluigi Nuzzi,autore di Vaticano S.p.A. e di Sua San-tità, ripercorre la storia passata e recen-te dell’Istituto per le Opere Religiose. Unintreccio che tocca la mafia, la politica, lamaxi-tangente Enimont e sfocia negli ul-timi faticosi tentativi di riforma, «controi quali c’è chi rema contro».

È corretto dire che lo Stato di Città del Vaticano è un paradiso fiscale?Lo è stato fino al 2010, quando non c’era-no norme a protezione della trasparenzadei flussi finanziari. Poi, anche dopo l’u-scita di Vaticano Spa, nel settembre del2009, le dimissioni del presidente Caloiae l’arrivo di Gotti Tedeschi hanno porta-to all’avvio di un programma di riformesulla finanza vaticana. A cominciare dal-l’introduzione del reato di riciclaggio nelcodice penale interno, che prima non esi-steva. Il processo è tuttavia ostacolatoda resistenze interne.

Da parte di chi?Gruppi di potere che non vogliono perde-re le loro aree di influenza. Lo Ior, d’altraparte, garantisce discrezionalità assoluta,è impermeabile a controlli e verifiche. Seun magistrato straniero chiede una roga-toria, il più delle volte non riceve alcunarisposta. E se la riceve, è assolutamente

generica. Come dice il Vangelo, la benefi-cenza copre molti peccati...

Anche Moneyval, la divisione del Consigliod’Europa che valuta i sistemi anti-riciclaggio,ha eccepito che, nonostante i passi avanti,il Vaticano soddisfa oggi solo 22 delle 45 raccomandazioni Gafi…Esatto, e in particolare due criticità emer-gono con forza. Primo, la mancanza di re-troattività nella riforma: non è dato sape-re cosa abbia fatto un correntista, adesempio, nel 2008. Così si introduce di fat-to una prescrizione ad bancam, mentrein Italia il reato di riciclaggio si estinguedopo molto tempo, proprio perché esso èspesso legato alle attività criminali. In se-condo luogo, viene imposta una discrezio-nalità totale della Segreteria di Stato sul-le richieste di rogatoria internazionale.

In pratica, un diritto di veto.Proprio così.

Torniamo alle falle dello Ior. Chi si sospettache abbia riciclato denaro tramite la bancavaticana negli ultimi decenni?Innanzitutto va detto che i sospetti sonoormai storicizzati. La vita dello Ior è rias-sumibile in quattro fasi. La prima è quelladi Marcinkus e della vicenda del banchie-re Calvi. Una sentenza della Corte d’Ap-pello di Roma spiegò che all’epoca la ban-ca vaticana riciclò ingenti quantità didenaro di Cosa Nostra. Lo affermò ancheil pentito Francesco Marino Mannoia.

Una seconda fase, quella della gestioneCaloia, dal 1989 al 2009, è legata alle tan-genti dei politici. È noto ad esempio ilruolo del faccendiere Luigi Bisignani neltransito dei capitali della maxi-tangenteEnimont. All’epoca il pool di Mani Pulitechiese una rogatoria, ma le risposte che fu-rono date non consentirono di acquisirealcun nuovo elemento. Nel frattempo fucambiato il sistema di vertice dello Ior: lafigura del presidente lasciò il posto ad unconsiglio di sovrintendenza di laici e ad uncollegio di controllo formato da cardinali.

Una struttura di maggiore garanzia, almeno sulla carta.Ma il collegamento tra i due organismi fuaffidato a un prelato, e lo sa chi fu scelto?Donato De Bonis, ovvero quello che era ilsegretario dello Ior ai tempi di Marcinkus!

La finanza vaticanatra mafia, tangentie riforme incompiutediAndrea Barolini

La storia dello Ior è strettamente intrecciata a quella del nostro Paese. Dai tempi del riciclaggio del denaro della criminalità organizzata, al periodo di Tangentopoli. Il racconto dello scrittore e giornalista Gianluigi Nuzzi

Gianluigi Nuzzi,scrittore, autore di Vaticano S.p.A. e Sua Santità

LIBRI

Gianluigi NuzziVaticano S.p.A.

Chiarelettere, 2009

Gianluigi NuzziSua Santità

Chiarelettere, 2012

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Con Gotti Tedeschi si tenta di ripulirel’immagine dell’istituto.Si sceglie lui per implementare le normeanti-riciclaggio: siamo alla terza fase.Emergono conti correnti intestati a sa-cerdoti o suore che effettuano operazio-ni per conto terzi. È noto che Gotti Tede-schi finì indagato per riciclaggio, insiemeal direttore della banca Paolo Cipriani, e23 milioni di euro che erano depositati inuna filiale del Credito Artigiano furonoposti sotto sequestro.

Gotti Tedeschi insomma paga in prima persona.Ha portato con sé numerosi uomini diarea-Bankitalia nello Ior. Questo non piac-que. Si diceva che si trattava dell’ingeren-za di uno Stato estero. E che il Vaticano la-menti l’ingerenza italiana, francamente, lotrovo strepitoso.

Torniamo al sequestro dei 23 milioni: chi fu a parlare?Ad effettuare la segnalazione anti-rici-claggio a Bankitalia, sulla cui base fu av-viata l’inchiesta della magistratura, fuGiovanni De Censi, presidente del CreditoValtellinese (che controllava il CreditoArtigiano, prima della fusione del 2012 inun’unica entità, ndr). Ciò che lascia stupe-fatti è il fatto che il banchiere fosse anchemembro del consiglio di sovrintendenzadello Ior. E dopo la segnalazione, guardacaso, perse il posto.

La quarta fase della vita dello Ior è quella attuale?Sì. Per ora si tratta di una fase interlocu-toria. Fatta anche di grandi sforzi diplo-matici con gli organi di controllo inter-nazionali. E poi occorrerà vedere qualesarà l’indirizzo del nuovo papa.

Sembrerebbe di indole poco affine alla storia dello Ior degli ultimi decenni.Non dimentichi che la Curia ha duemilaanni.

Per il futuro, quindi, è pessimista?Al contrario, sono ottimista. Perché lo Iorsecondo me non ha altra strada se nonquella del cambiamento. Tutto starà a ve-dere quanto tempo ci vorrà, però.

La decisione di papa Benedetto XVI di abbandonare il soglio pontificio garantirà al pontefice emerito sicurezza e privacy. E gli offrirà anche una protezione legale in caso di qualsivoglia azione collegata ai casi di abusi sessuali emersi in giro per il mondo. A spiegarlo è stato, lo scorso 15 febbraio, Philip Pullella, giornalista dellaprestigiosa agenzia di stampa Reuters, che in un dettagliato articolo cita fonti internealla Chiesa ed esperti di diritto canonico. «Il mantenimento della sua presenzaall’interno del Vaticano è assolutamente necessario. In caso contrario egli potrebberitrovarsi senza la sua immunità, la sua sicurezza, le sue prerogative», ha spiegatouna fonte ecclesiastica coperta dall’anonimato. Notizie provenienti ancora dallaSanta Sede spiegano inoltre che la decisione di mantenere Benedetto XVI all’internodelle mura vaticane, in seguito alla sua abdicazione nel febbraio scorso, discende§da tre ragionamenti. «Se il vecchio papa andasse all’estero per noi sarebbe moltodifficile garantire la sua sicurezza personale. Non possediamo un servizio segretodotato di risorse per proteggere gli ex pontefici», ha proseguito la fonte. In secondoluogo, se Joseph Ratzinger decidesse ad esempio di tornare in Germania, il conventonel quale si ritirerebbe diverrebbe meta di pellegrinaggi. Ma la principale ragione per la quale si è scelto di mantenere il vecchio papa inVaticano sarebbe legata al potenziale rischio che egli possa essere coinvolto in processilegati agli scandali sessuali che hanno scosso negli ultimi anni la Chiesa. Un’ipotesiforse remota, ma impossibile da escludere a priori. Nel 2010, ad esempio, il vecchiopapa fu nominato da un avvocato nell’ambito di un procedimento: secondo il legale, nel1995 (quando all’epoca Ratzinger era cardinale) non agì adeguatamente quando fu informato degli abusi perpetrati da un sacerdote ai danni di alcuni ragazzi. Il caso fu archiviato, con conseguente soddisfazione manifestata dalla Curia. E oggi Benedetto XVI, è bene ricordarlo, non risulta citato in alcun altro procedimentogiudiziario. «Ma in teoria qualche pazzo potrebbe avanzare denunce, e qualchemagistrato potrebbe perfino arrestarlo per atti commessi nel periodo in cui è statoCapo di Stato», spiega un’altra fonte. Il riferimento, forse, è a quanto accaduto nel 2010in Gran Bretagna: in occasione di una visita ufficiale del papa, l’autore e attivista ateoRichard Dawkins chiese alle autorità locali di fermare il pontefice in relazione proprioagli scandali legati alla pedofilia. Insieme ad alcuni avvocati vagliò possibili sbocchigiuridici per raggiungere tale obiettivo, che però si sarebbero scontrati proprio con l’immunità diplomatica di cui godeva il papa in quanto Capo di uno Stato straniero. Riferisce ancora Pullella che, nel 2011, una vittima di abusi sessuali chiese al Tribunale penale internazionale (Tpi) di investigare sulle presunte responsabilità di Ratzinger e di tre alti prelati. Il Center for Constitutional Rights di New York e la rete Survivors Network of those Abused by Priests depositarono un esposto al Tpi, accusando il Vaticano di crimini contro l’umanità, per aver “tollerato” i reati a sfondo sessuale (il tribunale, tuttavia, non ha avviato alcun procedimento). C’èinoltre quello che in qualche modo può essere considerato un precedente: di recentel’ex arcivescovo di Los Angeles, il cardinale Roger Mahony, è finito nell’occhio delciclone dopo la pubblicazione di documenti comprovanti abusi su minori commessinegli anni ’80 nella sua diocesi (da lui “governata” dal 1985 al 2011). La difesa di Mahony è stata quella ripetuta dal Vaticano rispetto alla posizione giuridica del papa:non si può essere ritenuti responsabili di atti commessi da singoli sacerdoti. Ma nel2007 l’arcidiocesi di Los Angeles fu citata in sede civile da oltre 500 vittime di molestie(con una richiesta di risarcimento da 660 milioni di dollari). In altre parole, la Curiaavrebbe deciso di evitare ogni rischio. Meglio, dunque, mantenere Ratzinger in Vaticano, per consentirgli di beneficiare dell’immunità prevista nell’ambito dei Patti Lateranensi, che regolano i rapporti con l’unico Paese confinante (l’Italia),secondo i quali la Santa Sede è «un territorio neutrale e inviolabile». A.BAR.

BENEDETTO XVI, LE DIMISSIONI E L’IMMUNITÀ

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| valorifiscali |

C’è da augurarsi che la Commis-sione europea abbia un atteggiamen-to elastico, perché sarebbe veramen-te suicida costringere il nostro Paesea effettuare una manovra aggiuntivanel corso di un anno ancora molto dif-ficile. Tuttavia le esigenze di inter-vento – dalla copertura della cassa in-tegrazione guadagni all’allentamentodel patto di stabilità interno – nonmancano di certo, così come è assolu-tamente necessario evitare l’aumen-to dell’aliquota ordinaria dell’Iva (do-vrebbe scattare a luglio, dal 21 al 22%).

In questo contesto ci si può chiede-re se una manovra “alla cipriota”, cioèun prelievo straordinario sui conticorrenti, potrebbe essere opportuno eutile. La risposta è tendenzialmentenegativa. In primo luogo quel prelievosi giustifica per la particolare naturadi Cipro, che ha costruito le sue fortu-ne sulla crescita del sistema bancarioe sulla capacità di attirare capitaliesteri (in particolare russi, ma non so-lo) grazie a una fiscalità molto favore-vole. In secondo luogo un prelievo suiconti correnti, seppure di dimensionimolto più modeste di quello cipriota, èdifficile da gestire senza provocare ilpanico ed è tendenzialmente iniquo,perché necessariamente proporziona-le e non progressivo. La possibilità che

l’Italia adotti misure simili, come av-venne nel 1993 con il governo Amato, èquindi da interpretare come una sortadi extrema ratio cui speriamo di nondover giungere.

Questo non significa che la stradadelle imposte sui patrimoni non vadaperseguita se si cerca di rendere il pre-lievo complessivamente più equo emeno sbilanciato a carico dei redditida lavoro e da profitti. Diverse ipotesisono state avanzate nei mesi prece-denti le elezioni e rimangono tutte va-lide. L’imposta sulle grandi fortunesul modello francese è quella di piùimmediata applicazione. Nella versio-ne italiana essa potrebbe declinarsi,

quantomeno in un primo tempo, inun’imposta sui grandi valori immobi-liari. Il nodo rimane quello del suo cal-colo. Non ha alcun senso basare un’im-posta che si vuole equa e redistributivasui valori catastali, che non riflettonoquelli di mercato. Bisognerebbe, invece,utilizzare i valori dell’Osservatorio delmercato immobiliare dell’Agenzia delterritorio e tarare su quelli questa for-ma di prelievo straordinario.

Trattandosi di un’imposta aggiunti-va rispetto all’Imu, essa andrebbe confi-gurata escludendo la prima casa e quel-le di residenza effettiva di parenti fino aun certo grado, e includendo, invece, ilpatrimonio non affittato di proprietàdelle società immobiliari. È difficile sti-mare l’effetto di gettito di una simile im-posta, che però potrebbe sicuramentecontribuire, anche su un piano mera-mente simbolico, alla percezione di unsistema fiscale più equo e credibile.

I conti dell’ItaliaTra Ciproe le tasse “sui ricchi”

diAlessandro Santoro

Il quadro della finanza pubblica italiana alla fine del 2012 è sostanzialmentestabile, ma le prospettive per il 2013 non sono particolarmente positive. Se-condo il governo l’indebitamento netto dovrebbe tornare vicino al 3%, piut-

tosto lontano dal pareggio di bilancio, seppure “strutturale” e, quindi, calcolatotenendo conto della congiuntura negativa, cui siamo (assurdamente) obbligati.

Nel nostro Paese un prelievosui conti correnti nonsarebbe opportuno.Ipotizzabile un’imposta suigrandi valori immobiliari

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finanzaeticaREUTERS / YUYA

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Banca Etica, pronta a crescere ancora > 32Dieci anni di Terra Futura. «Noi l’alternativa alla crisi» > 35

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| l’elefante nella stanza |

La Borsa di Tokyo. Un operatore guarda con preoccupazione l’andamento dei titoli.L’appetito per le obbligazioni spazzatura riguarda il mercato asiatico, ma non solo.

Se l’elefante si aggiranel mercato

Se l’elefante sinel mercato

Junk bonds

Gli americani lo definiscono dasempre “l’elefante nella stanza”.Un’immagine di forte impatto

per indicare quei problemi troppo gran-di per non essere notati, ma che pure, peruna qualche ragione, vengono voluta-mente ignorati. Il pachiderma barriscetra quattro mura, insomma, e gli inquili-ni fanno finta di niente. È paradossale,certo, eppure capita spesso. Anche neimercati finanziari, dove, ogni tanto, lebolle speculative sembrano apparire dalontano senza che nessuno, o quasi, siscomponga più di tanto. Esattamenteciò che accade oggi di fronte all’ultima,inquietante, minaccia finanziaria: quelladelle obbligazioni spazzatura.

Le obbligazioni spazzaturaattraggono investimenti record. È l’onda lunga delle politichemonetarie post crisi. Ma anche la miccia, più o meno corta, di unabolla speculativa pronta a scoppiare

diMatteo Cavallito

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| finanzaetica |

Fame di junk bondsL’avvertimento lo ha lanciato nelle scor-se settimane il britannico Daily Tele-graph snocciolando cifre da urlo. Nelsolo mese di gennaio, ha spiegato il quo-tidiano citando i dati della società diconsulenza Dealogic, le imprese privateasiatiche classificate al di sotto dell’inve-stment grade hanno piazzato sul mer-

cato oltre 9 miliardi di dollari di obbli-gazioni ad alto rendimento, ovvero, intermini tecnici, di bond spazzatura. Unexploit senza precedenti che, su baseannuale, costituisce un incremento dacapogiro: +6.000%.

Ma il rinnovato appetito per il rischionon è solo un fenomeno dei mercatiorientali. Nel corso del primo trimestre

del 2013, ha successivamente precisatoDealogic a Valori, le società europee han-no collocato obbligazioni junk per circa38,4 miliardi di biglietti verdi. E anchequi, manco a dirlo, siamo a livelli record.Allargando lo sguardo all’intero mercatomondiale si superano i 154,5 miliardi didollari nei primi tre mesi, con un incre-mento del 30,6% rispetto allo stesso pe-riodo dell’anno passato.

Non stupisce, dunque, che qualcunoinizi a guardare al comparto obbligazio-nario con crescente sospetto. Per nondire con conclamato timore. «Una cre-scita così evidente (del mercato deibond, ndr) a così poco tempo di distanzada una crisi finanziaria causata in partedal disfacimento del credito – ha scrittoil Telegraph – fa temere che a meno dicinque anni dal fallimento della Leh-man Brothers e dalla quasi bancarottadi Royal Bank of Scotland e Hbos, ilmondo si stia preparando a un nuovocollasso». Proprio Rbs, ha ricordato an-cora il quotidiano britannico, starebberastrellando milioni collocando consuccesso bond rischiosi, tanto più che laclientela, dicono le cifre, sembra ormaipropensa a muoversi con disinvolturain questo genere di comparto.

Quando lo scorso mese di novembreBarclays ha piazzato 3 miliardi di bondconvertibili ad alto rendimento (7,625%) e,va da sé, a forte rischio, gli investitoriasiatici hanno fatto letteralmente a spor-tellate mandando in orbita il Bid-to-co-ver per un complessivo 5 a 1. Tradotto: ladomanda ha superato l’offerta di cinquevolte.

Rischio bollaLe cause della bolla, peraltro, sono noteda tempo e risiedono nella politicaespansiva post crisi fatta di liquidità abasso costo e poderose iniezioni di aiutifinanziari. Già nel dicembre 2012 l’agen-zia di rating Fitch aveva avvertito del

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GLOSSARIOINVESTMENT GRADEI livelli di rating più elevati che caratterizzano i titoli considerati più sicuri. Le obbligazioni classificate entro il livello“investment” possono essere di qualità variabile (come i bund tedeschi e i titoli di Stato italiani ad esempio) ma sonocomunque caratterizzate da un rischio default complessivamente basso. La riduzione del rischio fa diminuire il rendimento e, conseguentemente, aumentare il prezzo del titolo.

JUNK BONDOvvero “obbligazioni spazzatura”. Sono i bond caratterizzati da un elevato rischio default che si traduce in rendimenti piùelevati. L’alto interesse pagato da chi li emette (un’impresa privata o uno Stato sovrano) premia l’investitore per il rischio chequest’ultimo si assume. L’aumento del rischio fa aumentare il rendimento e, conseguentemente, diminuire il prezzo del titolo.

POLITICA ESPANSIVALe operazioni con le quali la banca centrale tenta di far aumentare l’offerta di moneta riducendo i tassi di interesse (il costo del denaro) sui prestiti alle banche private. In un contesto del genere l’inflazione tende ad aumentare ma la liquidità tende al tempo stesso ad essere investita nell’economia reale o, come accaduto in particolare negli ultimianni, nei mercati finanziari. Anche per questo una politica che tende a rilanciare la crescita può favorire, come effettocollaterale, la formazione di una bolla speculativa.

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FONTE: DEALOGIC

Solo a gennaio le impreseprivate asiatiche “scadenti”hanno piazzato sul mercato 9 miliardi di dollari di obbligazioni spazzatura

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pericolo sostenendo che il ridotto costodel denaro avrebbe creato una potenzia-le bolla sul mercato dei bond alimentan-do una domanda capace di apprezzarloin modo eccessivo. In sintesi: quando siha a disposizione denaro a basso costo(perché i tassi di interesse delle banchecentrali sono risibili) si cerca di inve-stirlo dove i rendimenti sono maggiori.Di fatto, in un contesto di crisi, si trattadi un effetto collaterale inevitabile, vi-sto che alla terapia – cioè alla politicaespansiva di Usa, Uk, Cina e Giapponeoltre che alle strategie easing della stes-sa Bce che ha innaffiato le banche pri-vate con 1 trilione di euro di prestitiall’1% – non si può rinunciare in alcunmodo. Come a dire che il problema esi-ste, ma tanto la sua grandezza e quantola sua ineluttabilità impongono ad ana-listi e operatori di ignorarlo sistematica-mente. Esattamente come l’elefante del-la metafora.

Propensione al rischioL’aspetto realmente paradossale è peròun altro. Prima che i junk bonds tornas-sero in auge, l’attenzione degli investito-ri si era concentrata per lungo temposulle obbligazioni a basso rendimento.In un contesto di clamorosa incertezza afronte della crisi europea, in altre parole,gli investitori erano corsi a comprarebund tedeschi e affini con l’obiettivo diminimizzare i rischi. Ma la mancata tem-pesta finanziaria estiva, preludio al calodegli spread e a una rinnovata sensazio-ne di stabilità in Europa (per lo menoprima della crisi cipriota), avrebbe impo-sto in seguito un cambio di strategia.Quando tra la fine di novembre e la pri-ma settimana di gennaio gli investitorihanno ritirato 5 miliardi e mezzo di dol-

lari dai fondi che operano sulle obbliga-zioni Usa ad elevato rating, iniettando-ne contemporaneamente 47,6 nel setto-re azionario (secondo i dati della societàdi ricerca EPFR Global di Cambridge,Massachusetts), in molti non hanno esi-tato a parlare di “grande rotazione”, ov-vero del massiccio spostamento dell’in-teresse degli operatori dal mercato deibond a quello delle azioni. Il sospetto, og-gi, è che quello cui si stava assistendo giàallora fosse in realtà un fenomeno di-verso. Non un cambio di comparto, per

intenderci, quanto piuttosto una rinno-vata propensione per il rischio. Lo stes-so rischio, va da sé, che accompagna gliinvestimenti nelle obbligazioni spazza-tura e la formazione della bolla. Perchéin fondo, come aveva già avvertito agennaio il presidente di Goldman SachsGary Cohn, «prima o poi i tassi di inte-resse saliranno di nuovo e, a quel punto,parte di tutto quel denaro che si è accu-mulato nel settore del rendimento fissodovrà uscire fuori». Con la grazia di unelefante, ovviamente.

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FONTE: DEALOGIC, DATI IN MILIONI DI DOLLARIUSA

La politica espansiva postcrisi (di Usa, Uk, Cina,Giappone, ma anche Bce)fatta di liquidità a bassocosto e poderosi aiutifinanziari potrebbe generareuna bolla speculativa di bond spazzatura

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| finanzaetica | la tassa all’opera |

Fino a qualche anno fa era molto ra-ro trovare tra gli economisti qual-cuno che non fosse convinto del

ruolo positivo della finanza sulla crescitaeconomica. La quantità di crisi che si sonosuccedute, con in testa ovviamente quel-la che dal 2008 sta sconvolgendo il mondointero, hanno tuttavia cominciato a scal-fire il monolitico pensiero dominante. E ildibattito tra gli esperti comincia a con-centrarsi sempre più sulle relazioni tra losviluppo finanziario e l’economia reale. Ilthink tank francese Cepii (Centre d’Etu-des Prospectives et d’Informations Inter-nationales) ha dimostrato nella pubblica-zione L’économie mondiale 2013 che lafinanza è sempre meno utile al migliora-mento dell’economia e, dunque, della vitadi ciascuno di noi.

L’ipertrofia del mercato dei cambi Il settore finanziario, ben inteso, restaindispensabile: assicura la gestione deimezzi di pagamento, facilita l’allocazio-ne dei capitali e la condivisione dei ri-schi. Il problema è che il suo sviluppoesponenziale degli ultimi anni ha traina-to il Pil globale solo marginalmente. Alprezzo di una crescente instabilità.

Gli autori del rapporto prendono inconsiderazione quello che definiscono “ilcaso più emblematico”: l’andamento delletransazioni sul mercato dei cambi. «Nel-

l’aprile 2010 – si legge nello studio – la Ban-ca dei regolamenti internazionali avevadimostrato come fossero scambiati ognigiorno oltre 4 mila miliardi di dollari». Unlivello «imparagonabile rispetto al Pilmondiale, così come rispetto al totale de-gli scambi internazionali di beni e servizi»(vedi ). A metà degli anni Settantai volumi sul mercato dei cambi rappre-sentavano circa il 20% del Pil globale; die-ci anni dopo il rapporto si era rovesciato eoggi le compravendite valgono 15 volte ilPil e 65 volte il commercio mondiale.

Nel generare una stortura del genereper i ricercatori del Cepii un ruolo pre-ponderante è stato giocato da fondi co-

muni, fondi pensione ed hedge funds (ol-tre la metà delle transazioni passano perle loro strutture): «Senza dimenticare iderivati che gonfiano artatamente i vo-lumi, né il trading ad alta frequenza, cheha fornito un importante contributo».

Mercati, un boom autoreferenzialeUna seconda prova della distanza tra fi-nanza ed economia reale arriva dalla cre-scita dei mercati azionari e obbligazionari.A livello mondiale la capitalizzazione delleBorse è passata da poco meno di 9 mila mi-liardi di dollari della fine del 1990 a 57 milamiliardi di fine del 2010. A metà 2011, inol-tre, il valore globale del mercato obbliga-

GRAFICO 1

Se la finanza non serveall’economia realediAndrea Barolini

Qual è il vero apporto dei servizifinanziari sulla crescita economica?Uno studio del centro di ricercafrancese Cepii dimostra come il legame sia tutt’altro che provato

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400.000

600.000

800.000

1.000.000

20102005200019951990198519801975

GRAFICO 1 L’EVOLUZIONE DELLE TRANSAZIONI SUL MERCATO DEI CAMBI

Volume mondialedi transazioni sulmercato dei cambi

Scambimondiali di merci

Pil mondiale

FONTE: MARCHÉS DECHANGES : ENQUÊTESTRIENNALES DE LA BRI ETEXTRAPOLATIONPOUR L’ANNÉE 1997 ÀPARTIR DES DONNÉES POURLES ÉTATS-UNIS ; PIB : FMI ;ÉCHANGES : BANQUEMONDIALE.DATI IN MILIARDI DI DOLLARI

0

20

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60

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201020001990

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63

57

95

GRAFICO 2 EVOLUZIONE DEI MERCATI AZIONARI E OBBLIGAZIONARI MONDIALI

PilCapitalizzazione di Borsa

Mercato obbligazionario

FONTE: WORLD FEDERATION OFEXCHANGE BIS QUARTERLY REVIEW,MARS 2012, TABLEAUX 11 ET 16.COMPILATION PAR LES AUTEURS. DATI IN TRILIONI DI DOLLARI.

Page 31: Mensile Valori n. 109 2013

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 31 |

| finanzaetica |

zionario ha sorpassato i 100 miliardi di dol-lari: nel 1990 valeva appena 18 mila miliar-di (vedi ). I mercati azionario e deibond, insieme, rappresentano circa 2,5 vol-te il Pil mondiale. Cifra che sale a 4 volte sesi considerano anche gli asset in possessodelle banche (in Germania tale rapporto èdi 1 a 3,5, in Francia di 1 a 6, nel Regno Uni-to di 1 a 9). «A generare tale crescita – spie-ga il rapporto – sono stati diversi fattori,dal calo del prezzo delle transazioni all’uti-lizzo delle nuove tecnologie. Ma anche l’in-vecchiamento della popolazione, l’aumen-to del tenore di vita nei Paesi emergenti ela liquidità immessa nei mercati dai Paesiesportatori di petrolio e materie prime».

La finanza, dunque, è cresciuta a di-smisura. Senza essere in grado di fornirealcun argine alle fasi di recessione. Per-ché? Il Cepii individua tre cause principali.La prima va ricercata nella natura stessadel settore finanziario fondamentalmente«pro-ciclico: quando l’economia attraversauna crescita prolungata, accompagnatada bassi tassi di interesse, l’aumento delvalore degli asset diminuisce la possibilitàdi default da parte delle imprese. Il chefavorisce sia la domanda che l’offerta diservizi finanziari». La politica monetariaespansiva delle banche centrali, quindi, in-voglia le banche ad assumersi più rischi: iprestiti diventano più facili e si può inne-scare il circolo virtuoso credito-investi-menti-crescita-occupazione. Ma in tempidi crisi accade l’esatto contrario.

Una seconda ragione che spiega il di-stacco tra finanza ed economia reale ri-siede invece nella condizione super-fa-vorevole di cui godono le banche. Latassazione della finanza è spesso netta-mente inferiore. È noto inoltre che gli isti-tuti più grandi sono considerati “troppograndi per fallire”, e pertanto possonocontare su un sostegno pubblico di ulti-ma istanza. «L’ammontare stimato dellesovvenzioni – osserva il Cepii – è dieci vol-te più grande rispetto al quantitativo ditasse pagate dalle banche ogni anno».

Infine il comparto bancario è stato alungo disciplinato da regole consideratesufficienti in termini di accantonamentodi capitali a fronte dei rischi assunti nelleproprie attività. Norme che si sono rivela-te inadeguate. I banchieri centrali hanno

approvato la cosiddetta Basilea III, chevuole incrementare le “riserve anti-crisi”delle banche. Col risultato che queste ulti-me si dichiarano pronte a chiudere ancordi più i rubinetti del credito, per compen-sare il capitale da accantonare.

Più utile, conclude il think tank fran-cese, sarebbe «ristabilire una proporzio-nalità ragionevole tra attività finanziarie

e attività economiche». In altre parole, ri-durre la taglia dei colossi del settore. L’as-sociazione Finance Watch ha propostoun tetto massimo tra 100 e 200 miliardi didollari agli asset che può possedere unsingolo soggetto. Ma, prosegue il Cepii,sarebbe utile anche ampliare il numerodi Paesi che adottano una tassa sulletransazioni finanziarie.

GRAFICO 2

Qual è la dimensione della finanza oltrela quale non si dovrebbe andare? Jean-Louis Arcand, professore di Economiaa Ginevra, ha provato a indicare una soglia.Si basa sul volume dei crediti concessi al settore privato, che non dovrebberosuperare il 110% del Pil. Oltre tale livellol’effetto marginale dello sviluppofinanziario sulla crescita diventa negativo. Proviamo allora a verificare, oggi, a qualelivello è arrivata tale percentuale.Scopriamo che è cresciuta ovunque neglianni, fino a superare la “soglia d’allarme” in quasi tutte le grandi economiedell’Ocse (vedi ). Non a caso,durante la crisi, anche alcuni regolatori – come il presidente della Fsa ingleseAdair Turner – avevano manifestatopreoccupazione per le dimensioni del settore finanziario: «Siamo al di là di un livello socialmente ragionevole»,dichiarò nel 2009.

Altri studi indicano un aumento della volatilità macroeconomica in caso di creditisuperiori anche solo al 100% del Pil. Mentre già nel 1984 James Tobin suggerì che i “rendimenti sociali” del settore finanziario potevano essere più deboli rispetto a quelli privati. Il che apriva le porte a un altro problema: l’incetta di giovani talenti da parte dei colossi del settore. Dei diplomati di Harvard del 1990, quindici anni dopoil 15% era impiegato in banche, fondi e compagnie d’assicurazione, mentre negli anniSettanta la quota era pari solo al 5%. Se qualcuno si domandasse come mai, basta dare un’occhiata all’andamento delle remunerazioni nel mondo della finanzaper capire come faccia il settore a risultare così “attraente” (vedi ). A.BAR.

TABELLA

GRAFICI 4 E 5

TOO BIG TO WORK, LA FINANZA IPERTROFICA DIVENTA INUTILE

-0,1

0,0

0,1

0,2

0,3

0,4

20102000199019801970196019501940193019201910

GRAFICO 4 IL PREMIO SALARIALENEL SETTORE DELLA FINANZA NEGLI USA

FONTE: FMI, GLOBAL FINANCIAL STABILITY REPORT, AVRIL 2012. COMPILATION PAR LES AUTEURS (RAPPORTÉS AU PIB).

0510152025303540

2011200820052002199919961993199019871984

GRAFICO 5 I BONUS A WALL STREET

FONTE: OFFICE OF THE NEW YORK STATE COMPTROLLER.DATI IN MILIARDI DI DOLLARI

CREDITO AL SETTORE PRIVATO NELLE PRINCIPALI ECONOMIE AVANZATE

1980 2011 1980 2011

Spagna 75 204 Svizzera 74 136

Paesi Bassi 89 198 Canada 72 128

Usa 97 193 Italia 55 122

Uk 27 188 Francia 101 116

Svizzera 106 176 Germania 76 105

Giappone 129 170 Belgio 29 93FONTE: BANQUE MONDIALE DATABANK. (EN % DU PIB, PAYS CLASSÉS SELON LE NIVEAU EN 2011)

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«Banca Etica ha portato acompimento il sogno origi-nario di 18 anni fa. Nel 2012,

per la prima volta, per ogni euro di rispar-mio raccolto abbiamo avuto un euro dicredito accordato», descrive così il punto acui è arrivata oggi Banca Etica, Ugo Bigge-ri, attuale presidente dell’istituto di credi-to. Lo sarà fino al 18 maggio, quando, a Fi-renze in occasione di Terra Futura, si terrà

l’assemblea dei soci della banca e l’elezio-ne del nuovo Consiglio di Amministrazio-ne (e del nuovo presidente, ruolo per cuiBiggeri si ricandida). «Ora Banca Etica puòdire di fare veramente finanza etica al100%, non solo nella modalità con cui por-ta avanti il modo di fare banca, ma anchenel tipo di progetti finanziati. Certo, poi,tra accordato e utilizzato esiste una diffe-renza e, per fortuna, la banca si trova ad

Il 18 maggio Banca Etica rinnova il suo Consiglio di Amministrazione.Per Ugo Biggeri, presidente in carica, è tempo di bilanci. Molto è stato fatto e molto resta ancora da fare. E in un momento di crisi la finanza etica è un faro all’orizzonte

Banca Eticapronta a crescere ancoradiElisabetta Tramonto

| finanzaetica | elezioni |

| 32 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Chi guiderà Banca Etica?I 20 candidati alle elezioni per il prossimo Consiglio di Amministrazione di Banca Popolare Etica (in ordine alfabetico). Appuntamento il 18 maggio a Firenze per l’assemblea dei soci. I curriculum completi su: www.bancaetica.it/assemblea

Marco CARLIZZI

Candidato dai soci dell’area Centro. 43 anni. Una laurea in giurisprudenza. Lavora come avvocato per grandi aziende, ma collabora anche con cooperative sociali e associazioni di volontariato e ha costituito realtà come Legale nel Sociale,Obiettivocomune e la Fondazione Liberi Tutti.

Gianpietro CAVAZZA

Candidato con la raccolta firme, su iniziativa del Git di Modena. 55 anni. Laureato in scienze agrarie. Da 15 anni lavora per Aretés,società di Ricerca, Progettazione e Comunicazione per la QualitàSociale, occupandosi di attività diverse: responsabilità socialed’impresa, marketing sociale, programmazione delle politiche socialie dell’innovazione del welfare negli enti locali. E molto altro.

Ugo BIGGERI (attuale presidente e unico candidato presidente)

47 anni. Laureato in fisica, un dottorato in ingegneria elettronica.Attuale presidente di Banca Etica e di Etica Sgr; ex presidente dellaFondazione Culturale Responsabilità Etica (2003-2010) e di ManiTese (1997-1999). È stato tra i soci fondatori di Banca Etica e ha unalunga esperienza in ambito sociale e ambientale.

Alberto BORIN

Candidato con la raccolta firme, 49 anni. Da 15 anni consulente perorganizzazioni non profit, cooperative e anche per Banca Etica in ambito giuridico, fiscale, progettuale, finanziario. Vanta un’ampiaconoscenza della banca, fin dal progetto di avvio. È responsabilenazionale per il terzo settore del partito “Italia dei valori”.

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| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 33 |

| finanzaetica |

avere una liquidità maggiore. Ma da punto di vista ideale il ri-sparmio coincide con il concordato: quasi 800 milioni di euro».

Perché è così significativo aver raggiunto la paritàtra raccolta e impieghi concordati?Perché significa che d’ora in poi la modalità con cui Banca Eti-ca crescerà deve essere diversa. Abbiamo sempre “rincorso” lacapacità di fare credito rispetto alla capacità di raccogliere. Og-gi abbiamo dimostrato che riusciamo a fare impieghi pari allaraccolta. E d’ora in avanti la vera sfida sarà imparare a far cre-scere in modo equilibrato capitale sociale, risparmio e impie-ghi. Insieme alla quarta gamba: la partecipazione. La crescitadella banca non deve farci dimenticare la partecipazione.

Entrando nel merito del lavoro del CdA, in questi tre anni che cosa le ha dato più soddisfazione?La sensazione di essere riusciti a tenere insieme l’attenzione al-l’efficienza e ai costi con l’attenzione al senso di quello che face-vamo. Abbiamo i conti in ordine e, rispetto a quanto sta acca-dendo oggi a banche della nostra dimensione, siamo messi bene.Ma non abbiamo mai dimenticato il senso del nostro agire.

Un progetto di cui vado fiero è l’internazionalizzazione, con laspagnola Fiare. Chiudiamo il mandato con una domanda in cor-so a Banca d’Italia per aprire un’unità operativa in Spagna. Saràuna grande opportunità per Banca Etica, per ripensarsi e cresce-re. Per rinnovare anche a livello europeo la finanza etica. È unprogetto che non è nato per motivazioni commerciali o di espan-sione della banca, ma su iniziativa della realtà spagnola che hacoinvolto Banca Etica. Ed è stato portato avanti un vero proces-so cooperativo.

Quali sono le prime questioni che affronterebbe se fosse rieletto?C’è ancora tanto da fare nella riorganizzazione di Banca Eticaperché sia più efficiente. Un nodo importante è quello della par-tecipazione, dei soci e di tutti i portatori di interesse. Più cresce labanca e più è importante regolare la partecipazione e l’interazio-

Giuseppe (Pino) DI FRANCESCO

Candidato dei soci fondatori di Banca Etica: in particolare dall’Arci.54 anni. Una lunga esperienza nel mondo del terzo settore. Dal 1991responsabile dell’Ufficio Amministrazione della Direzione NazionaleArci. Ha seguito la storia di Banca Etica sin dalla nascita, prima con Arci, poi come socio individuale, come cliente e dal 2000 anchecome Consigliere di Amministrazione (2000-2010).

Anna FASANO (consigliere uscente)

Candidata dell’Area Nord-Est. 38 anni. Una laurea in Economiabancaria e un master come “Responsabile formazione e gestionedelle organizzazioni del terzo settore”. Da oltre dieci anni collaboracon associazioni e realtà non profit del Friuli Venezia Giulia e si è focalizzata sul tema dell’housing sociale, contribuendoall’attivazione di nuovi percorsi “dal basso”.

Dario GUERINI

Candidato tramite la raccolta firme. 68 anni. Per quarant’anni si è occupato di economia (auditing, strategia, finanza e bilancio) e di organizzazione aziendale. Oltre che dell’insegnamentouniversitario: insegna Bilancio, Finanza e Gestione aziendaleall’Università di Bergamo e alla Bocconi di Milano. È stato ancheassessore al Comune di Bergamo dal 2004 al 2009.

Gianfranco MARZOCCHI (consigliere uscente)

60 anni. Da oltre 35 attivo nella cooperazione sociale comeimprenditore sociale e dirigente del movimento cooperativo. Ha partecipato alla fase costituente di Banca Etica come sociofondatore e componente del primo CdA. Da oltre dieci anni collaboracon il mondo accademico attraverso Aiccon (Associazione Italianaper la promozione della Cultura della Cooperazione e del Nonprofit).

Paolo MASCELLANI

Candidato con la raccolta firme. 55 anni. Laureato in ingegneria.Quasi quarant’anni di lavoro e consulenza nel settore Ict. Ha accumulato esperienza su tutti gli aspetti (contabilità al bilancio,gestione dei rapporti produttivi e personali, ecc.) di gestione di una cooperativa ad alta motivazione ideale. Ha una conoscenzaapprofondita del terzo settore.

Sergio MORELLI (consigliere uscente)

72 anni. 30 passati a lavorare in banca (Banca Popolare di Milano e Banca Agricola Milanese), in vari settori. Esperienza che puòpermettere di dare un contributo nel comparto fidi di Banca Etica. In una delle banche dove ha lavorato coordinava l’attività delle filialiestere, esperienza utile in vista dell’apertura di una filiale di BancaEtica in Spagna.

Roberto MUSEO (consigliere uscente)

44 anni. Laureato in economia e commercio. È il direttore delCoordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato. 15 anni di lavoro al servizio del non profit. Socio attivo del Git de L’Aquila e da 3 anni membro del CdA di Banca Etica, all’interno del quale ha partecipato anche al gruppo di lavoro creato per la revisione del documento sulla governance della Banca.

Rita DE PADOVA (consigliere uscente)

Candidata dei soci dell’area Sud. 58 anni. Insegnante di matematicaalle scuole medie e superiori con distacco dal 1999 presso la Comunità sulla strada di Emmaus. Un’ampia conoscenza del mondo delle associazioni e delle cooperative sociali nel SudItalia. Conoscenza della realtà di Banca Etica approfondita nei 6 annicome Consigliere di Amministrazione.

Nicoletta DENTICO

Candidata tramite la raccolta firme. 51 anni. Giornalista, una storiaprofessionale dedicata al mondo del non profit e alla cooperazioneinternazionale. È stata direttore generale di Medici senza frontiere e ha ricoperto ruoli direttivi in Amref e Mani Tese. Ha partecipato alla Campagna Banche Armate e alla campagna Zerozerocinque per conto dell’Osservatorio Italiano sulla Salute Globale.

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ne tra i soci e i vertici. Servono regole precise e serve un percorsodi maturazione. Paradossalmente perché la partecipazione si svi-luppi pienamente bisogna limitarla. Può sembrare una contrad-dizione, ma non è così. Finché i numeri di Banca Etica erano pic-coli, un socio poteva chiamare il presidente e riferirgli la sua idea.Ma nel momento in cui la banca diventa una realtà con 5 aree ter-ritoriali, una all’estero, con 220 dipendenti, quasi 800 milioni dieuro di crediti deliberati, non è più possibile. Bisogna trovare lamodalità per far funzionare la partecipazione. Deve essere benregolamentata. Probabilmente bisogna mettere in piedi percorsidecentrati per cui livelli di partecipazione si intrecciano con li-velli di struttura adeguati. Per esempio ci sarà un livello in cui igruppi locali interagiscono con la filiale e altri in cui i gruppi lo-cali fanno arrivare le proprie istanze al Cda. Non è per ostacola-re la partecipazione, anzi. È per farla funzionare bene.

Che ruolo può avere oggi Banca Etica nel contestoeconomico italiano?Non bisogna dimenticare che Banca Etica ha dimensioni limita-te. Detto questo, può indicare delle piste, delle idee, essere unmodello da seguire, anche in base a quello che è riuscita a speri-mentare in questi anni. Dobbiamo trasmettere la consapevolez-za che se tratti i risparmi in modo intelligente, diventano benecomune, partecipano come te alla creazione di un mondo mi-gliore. La finanza non è un servizio, è uno degli elementi che go-vernano il mondo. Se indirizziamo il risparmio verso cooperati-ve sociali, Mag, investimenti sul territorio, Banca Etica, allorastiamo partecipando. E i nostri soldi diventano un acceleratoredi economia civile.

| finanzaetica |

| 34 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

IL CDA SI AUTO-ESAMINAAlla fine del suo mandato il Consiglio di Amministrazione di BancaEtica ha fatto un bilancio del suo operato. Eccone un estratto (la versione integrale sul sito www.valori.it).

Sostenibilità di Banca Etica in un contesto di crisi• il capitale sociale è incrementato da 28.152 a 42.790 (*)• la raccolta diretta è incrementata da 640.609 a 777.152 (*)• gli impieghi accordati sono incrementati da 577.879 a 812.714 (*)• il rapporto cost/income è passato da 85,3% a 67,3%* (periodo maggio 2010 - dicembre 2012, importi in migliaia di euro)

Organizzazione Interna• è stato definito il nuovo contratto per i banchieri ambulanti• sono stati assunti dal maggio 2010 a dicembre 2012 7 dipendenti• sono state aperte le filiali di Ancona, Perugia, Trieste e Bergamo• è stata incrementata la presenza su web e lanciato il conto online.

Il Governo di Banca Etica• il CdA è stato impostato con una particolare attenzione allacollegialità, garantendo che i dibattiti consiliari fossero aperti e liberi

La partecipazione in Banca Etica• si sono gettate le basi verso Banca Etica spagnola, coinvolgimentola base sociale di Banca Etica e quella di Fiare.

La Banca Trasparente• sono stati inviati a tutti i soci i rendiconti delle sedute del CdA• sono stati resi pubblici gli emolumenti di presidente e consiglieri.

Giacinto PALLADINO

Candidato dei soci fondatori di Banca Etica, per la Fiba-Cisl. 49 anni.Ha partecipato alla stesura dell’Appello per la riforma dei mercatifinanziari e per un’economia civile e solidale. Fa parte dei gruppi di lavoro della campagna ZeroZeroCinque. È presidente di Fiba SocialLife per cui organizza iniziative per il contrasto alle mafie, la diffusione delle rinnovabili, l’economia solidale, la finanza etica.

Cristina PULVIRENTI

Candidata dei soci dell’area Nord-Ovest. 47 anni. Ha un’ampiaconoscenza del mercato del credito, della struttura e dei processibancari, grazie all’attività sulle segnalazioni di vigilanza (audit dellaBanca d’Italia). Ottima padronanza degli aspetti di corporategovernance e analisi del rischio (in particolare Basilea 2). Conoscebene le cooperative mutualistiche (Confidi) e il terzo settore.

Francesca RISPOLI

Candidata dei soci fondatori di Banca Etica, per conto del Gruppo Abele.33 anni (la più giovane). Dieci anni di esperienza nel terzo settore. A 23 anni esordisce nell’associazione Acmos, lavorando sull’educazionealla cittadinanza e alla legalità democratica. Dal 2007 responsabilenazionale di Libera Formazione. Dal 2008 membro del CdA del GruppoAbele Onlus. Oggi è anche direttrice nazionale di Libera.

Mariateresa RUGGIERO

Candidata tramite la raccolta firme. 45 anni. Dal 2008 direttricedella Fondazione Culturale Responsabilità Etica e dal 2012 direttoreeditoriale del mensile Valori. Ha partecipato al progetto Banca Etica,contribuendo a definire il percorso istituzionale e operativo che haportato alla sua nascita e all’avvio dell’operatività bancaria. Un lungoimpegno nel volontariato e nella cooperazione internazionale.

Pedro Manuel SASIA SANTOS

Candidato dell’area Spagna. 51 anni, spagnolo. Laureato in chimica.Lavora per Fiare, la fondazione nata nei Paesi Baschi che si occupa di finanza etica, grazie a cui Banca Etica sta aprendo una filiale in Spagna. Ha collaborato attivamente al progetto di integrazione tra Banca Etica e Fiare (nel 2012 è iniziato il processo di integrazionetra le basi sociali delle 2 realtà).

Sabina SINISCALCHI (consigliere uscente)

60 anni. Una laurea in Economia e diritto internazionale. Una lungaesperienza nel terzo settore, nella finanza etica e nella cooperazioneinternazionale maturata in Italia e in Europa. È stata Segretarionazionale di Mani Tese; dal 2003 al 2006 direttrice della FondazioneCulturale Responsabilità Etica; dal 2006 al 2008 parlamentare; dal 2010 membro del CdA di Banca Etica.

Giulio TAGLIAVINI (consigliere uscente)

53 anni. Professore ordinario di Economia degli intermediarifinanziari all’Università di Parma, ex direttore del Master in finanzaper lo sviluppo. Dal 2000 componente del Comitato Etico e del CdAdi Etica Sgr. Dal 2010 membro del CdA di Banca Etica, grazie alla suastoria professionale è considerato un consigliere “tecnico”.

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| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 35 |

| finanzaetica | terrafutura |

Non provare a nascondere la crisi,ma, al contrario, metterla al cen-tro della propria riflessione. Pre-

sentare l’altra economia con come unaminoranza, bensì come un’alternativareale, capace di affrontare le distorsionidel sistema e costruire dal basso qualcosadi nuovo. È questo l’ambizioso obiettivodei promotori di Terra Futura, che per ladecima edizione (auguri!) hanno scelto iltema: “Dieci anni dopo: oltre la crisi, peruna nuova Europa”. Con un programmaculturale frutto di un gioco di squadrache coinvolge la Fondazione culturale re-sponsabilità etica, Arci, Acli, Legambien-te, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Cari-tas. Attori profondamente diversi fra diloro per storia e natura, che si incontranoper scambiarsi esperienze e competenze.

Una crisi annunciata da tempo...da cui è ora di uscirePer circa metà delle sue edizioni TerraFutura ha “vissuto” la crisi. Anzi, meglio

dire le crisi: finanziaria, ma anche econo-mica, sociale, ambientale e di democra-zia, descritte bene dal position paper diquest’edizione della fiera. I promotoridella manifestazione lanciavano l’allar-me già da molto prima. «Dieci anni faparlavamo di Tobin Tax, delle distorsio-ni del sistema finanziario, della neces-sità di un nuovo modello europeo», spie-ga Andrea Baranes, presidente dellaFondazione culturale responsabilità eti-ca. «All’epoca eravamo inascoltati, ma ifatti ci hanno dato ragione».

Quali sono le risposte dell’associazio-nismo, dell’attivismo e del terzo settore?Bisogna ripartire dall’ambiente, innanzi-tutto. In primo luogo perché le conse-guenze del cambiamento climatico si fan-no sentire: lo dimostra il dossier che verràpresentato da Legambiente e Caritas suiprofughi ambientali, quei sei milioni dipersone che ogni anno sono costrette adabbandonare i propri luoghi d’origine, re-si invivibili dal climate change. E poi per-

ché la tutela del territorio offre reali op-portunità di crescita: «La green economy– spiega Maurizio Gubbiotti, coordinato-re della segreteria nazionale di Legam-biente – è costituita da tantissime realtàlegate, ad esempio, alle energie alternati-ve, al risparmio energetico e all’ediliziaecosostenibile. Realtà che forniscono unarisposta concreta in termini di lavoro e ri-lancio dell’economia».

Dieci anni di Terra Futura:«Noi, l’alternativa alla crisi»diValentina Neri

Terra Futura compie dieci anni. Quasi la metà trascorse in tempi di crisi. La ricetta per risollevarsi? Altra economia, ambiente e una riforma dellafinanza. Se ne discute alla Fortezza da Basso a Firenze, dal 17 al 19 maggio

APPUNTAMENTO ALLA FORTEZZATerra Futura torna anche quest’anno, dal 17 al 19 maggio, alla Fortezza da Basso a Firenze. E festeggia il suo decimocompleanno. L’anno scorso la mostra-convegno internazionale sulle buonepratiche e gli stili di vita sostenibili avevatagliato il traguardo degli 80 mila visitatori.Dodici le sezioni espositive, che spazianodalla mobilità sostenibile al commercioequo, dai viaggi all’edilizia a basso impattoambientale, senza trascurare l’agricolturabiologica a km zero, i diritti umani e la salute.

CI SARÀ ANCHE VALORI, ALLO STAND DI BANCA ETICA

Page 36: Mensile Valori n. 109 2013

«Dobbiamo smettere di dire che nonc’è lavoro», gli fa eco Stefano Biondi, se-gretario regionale di Fiba Cisl Toscana.«Bisogna mettere in sicurezza il Paesedal punto di vista idrogeologico, siste-mare le scuole, tutelare il patrimonioartistico. Liberiamo il lavoro dai ricattidella corruzione e puntiamo alla veracrescita, che è quella dei beni comuni».È lo stesso obiettivo delle Acli, che que-st’anno puntano i riflettori sul serviziocivile.

Buone pratiche: dalla teoria alla praticaIl metodo di Terra Futura, ormai collau-dato, è quello di affiancare teoria e prati-ca: «Si può seguire il convegno sui cam-biamenti climatici e, all’uscita, incontrarel’addetto che spiega come installare ipannelli solari sul tetto di casa», raccon-ta Andrea Baranes. Un modello preso aprestito dalla “sorella maggiore” della mo-stra-convegno toscana, la Fiera delle Uto-pie concrete che si tiene a Città di Castel-lo ogni autunno da venticinque anni, eche partecipa attivamente al gruppo deipartner. «Noi proponiamo soluzioni cali-brate sull’Alto Tevere, nella prospettivache siano paradigmatiche per altre realtàitaliane», spiega il coordinatore KarlLudwig Schiebel. A Terra Futura si farà lo

stesso, ma su un contesto più ampio. Econ un’eco internazionale: le conferenzeospitano Claus Offe come Vandana Shivae il pubblico arriva anche da lontano.

Difficile etichettare tutte questerealtà come nicchie marginali. Eppure,a guardare i media mainstream o l’a-genda politica (non solo italiana), il ri-schio c’è. Lo ribadisce Baranes: «Le buo-ne pratiche sono percorsi obbligati. Adesempio, quello che normalmente chia-miamo finanza è un gigantesco casinò ela finanza etica non è un’alternativa pereccentrici, ma fa quello che le banchedovrebbero fare: sostiene l’economia, illavoro, l’ambiente». Ma l’altra econo-mia, facendosi strada dal basso, deve fa-re i conti con «trent’anni di pensierounico». E con una politica che, continua,«spende ancora soldi per le grandi ope-re e i cacciabombardieri», invece di ren-dersi conto che bisogna puntare su unmodello opposto.

«Chi mira al bene comune – concludeStefano Biondi – dovrebbe essere avvan-taggiato, a livello normativo, ammini-strativo e fiscale, rispetto a chi si ponecome obiettivo solo il profitto. Terra Fu-tura per noi è un laboratorio: dimostrache una medicina funziona e che dunquevale la pena di costruirla e promuoverlasu larga scala».

| finanzaetica |

| 36 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

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4 5 6

1 3

| numeridellaterra |

| 38 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Il Paese delladiseguaglianzadiPaola Baiocchi

Minore di 49,3149,31 - 49,8549,85 - 50,3850,38 - 50,9250,92 - 51,11Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

INDICE DI STATO FISICO

(PCS) [2005]

Minore di 50,350,3 - 56,4256,42 - 62,5362,53 - 66,31Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

Minore di 52,2252,22 - 61,9261,92 - 71,6271,62 - 76,01Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

Minore di 8,318,31 - 18,818,8 - 29,2929,29 - 39,7939,79 - 44,31Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

Minore di 30,4530,45 - 36,736,7 - 42,9542,95 - 49,01Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

Minore di 3,153,15 - 3,373,37 - 3,63,6 - 3,823,82 - 4,01Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

1SaluteIstruzionee formazione

Lavoro econciliazionetempi di vita

Benessereeconomico

Relazionisociali

Politicae istituzioni

2

3

4

5

6

2PERSONE CON ALMENO

IL DIPLOMA SUPERIORE

[2011]TASSO DI OCCUPAZIONE

20-64 ANNI [2011]

INDICE DI RISCHIO

DI POVERTÀ RELATIVA

[2011]

MOLTO SODDISFATTI

PER LE RELAZIONI

FAMILIARI [2012]

FIDUCIA NEL PARLAMENTO

ITALIANO [2012]

Page 39: Mensile Valori n. 109 2013

J

7 8 9

FON

TE

: WW

W.M

ISU

RE

DE

LBE

NE

SS

ER

E.IT

| indice di benessere equo e sostenibile |

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 39 |

Con il Bes, il sistema di valutazione del Benessere equo e sostenibile, possiamo guardare da vicino la nostra società(vedi pag. 40). Messo a punto da Istat e Cnel per segnare dove intervenire più rapidamente, il Bes fotografa un’Italiaprofondamente diseguale: tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri, tra partecipazione e disimpegno, tra abusivismo e legalità.Un Paese dove la formazione non è ai livelli europei, anche se è migliorata, ma non serve da ascensore sociale: semprepiù chi proviene da famiglie che “possono” continuerà gli studi, mentre si fermerà prima chi parte da più in basso. Nelle mappe è stato scelto un solo indicatore per ognuna delle 12 dimensioni che formano il benessere: uno dei dati che ci accomuna di più, anche se non è un segnale positivo, è la sfiducia nei rappresentanti delle istituzioni.

Minore di 1,631,63 - 4,64,6 - 7,587,58 - 10,51Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

Minore di 22,0222,02 - 29,529,5 - 36,9836,98 - 44,4644,46 - 51,9451,94 - 61,91Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

Minore di 20,7920,79 - 41,7141,71 - 62,6262,62 - 68,31Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

Minore di 2,782,78 - 7,827,82 - 12,8612,86 - 17,917,9 - 19,41Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

Minore di 40,2440,24 - 46,9446,94 - 53,6553,65 - 58,81Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

Minore di 0,880,88 - 1,741,74 - 2,41Dato mancante

VALLED’AOSTA

PIEMONTE

BolzanoTrento

LIGURIA

UMBRIA

MOLISE

TOSCANA

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

SicurezzaBenesseresoggettivo

Paesaggioe patrimonioculturale

AmbienteRicercae innovazione

Qualit�dei servizi

7

8

9

J

Q

TASSO DI BORSEGGI

[2011]

SODDISFAZIONE

PER LA PROPRIA VITA

[2012]

AREE CON PROBLEMI

IDROGEOLOGICI [2007]TASSO DI INNOVAZIONE

DEL SISTEMAPRODUTTIVO [2010]

LISTE D’ATTESA[2010]

TASSO DI ABUSIVISMO

EDILIZIO [2011]

Page 40: Mensile Valori n. 109 2013

| 40 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Indice di sviluppo umano. La riscossa del Sud > 45Gas lombardi al microscopio > 49Il legno tricolore s’è perso nel bosco > 51

economiasolidaleFO

NTE : BES 2013 - IL BENESSERE EQUO E SOSTENIBILE IN

ITALIA - SINTESI

Page 41: Mensile Valori n. 109 2013

Un’immagine tratta dal rapporto dell’Istat sul Bes2013, il benessere equo e sostenibile in Italia.

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 41 |

| nuovi indicatori del benessere |

Ci sono voluti due anni di lavoroper mettere a punto il Bes, il siste-ma di analisi del Benessere equo e

sostenibile, ma ora questo strumento divalutazione della società italiana, che af-fiancherà e aggiungerà molte informa-zioni a quelle fornite dal Pil, è pronto ed èa disposizione per chi voglia conoscerlo ecominciare ad utilizzarlo.

Il percorso intrapreso dall’Istat (Isti-tuto nazionale di statistica) e dal Cnel(Consiglio nazionale dell’economia e delLavoro) per arrivare al Bes in realtà è sta-to molto più lungo e inserito in un dibat-tito internazionale avviato almeno dal

Il Bes, il misuratore del Benessereequo sostenibile è nato, attraverso un percorso partecipato, conl’esigenza di avere un’analisi piùcompleta della società rispetto al Pil. Tra i suoi indicatori, il “tempodi gioco dei genitori con i bambini” e “paesaggio e patrimonio culturale”

se condividiamo

Stiamomeglio

di Paola Baiocchi

Page 42: Mensile Valori n. 109 2013

| economiasolidale |

2004, come la cronologia che pubblichia-mo racconta. Nei suoi contenuti ha mol-te analogie con le rivendicazioni avanza-te negli anni ’70 e ’80 dalle lotte operaiesulla qualità del lavoro e della vita, comese ci fosse stato un ideale passaggio di te-stimone dalla fabbrica ai luoghi dellaproduzione intellettuale.

A differenza del Pil, che fotografa unasocietà attraverso la produzione di beni eservizi e la rappresenta con un numero,qui la società è vista da molte sfaccetta-ture e la valutazione non è solo quantita-

tiva, ma anche qualitativa. «Lo abbiamochiamato benessere equo e sostenibile,perché pensiamo non basti che migliori inmedia il benessere, ma è necessario che siriducano le disuguaglianze», spiega LindaLaura Sabbadini, coordinatrice del pro-getto per l’Istat. «Non basta star bene og-gi, ma è fondamentale non intaccare il ca-pitale economico, sociale e naturale chetramanderemo alle altre generazioni».

«Il Bes viene determinato – precisaTommaso Rondinella, ricercatore dell’I-stat che ha lavorato al progetto – a par-tire da 12 aree, definite “dimensioni delbenessere”. Ognuna di queste aree, poi, èdescritta da indicatori (in tutto 134) pervalutare il progresso di una società nonsolo dal punto di vista economico, maanche sociale e ambientale, includendola valutazione della diseguaglianza e del-la sostenibilità».

Non solo tecniciLa scelta di avere un set di indicatori cheandasse oltre la dimensione produttivi-

stica, che ha dimostrato di essere danno-sa sia per la salute che per l’ambiente,non è partita dalla politica, a differenzadi quanto è successo in altre nazioni. Esono stati molto originali anche lo sche-ma seguito per condurre lo studio e lascelta dei settori, eseguita non solo inmodo tecnico, ma anche consultando lasocietà per capire che cosa questa pensasia il benessere per la collettività.

Il Cnel ha al suo interno rappresen-tanti delle parti sociali come sindacati, or-ganizzazioni di categoria, il terzo settore,l’associazionismo femminile. «Tutte que-ste componenti e altre organizzazionidella società civile come Sbilanciamoci! oItaliaNostra – continua Tommaso Rondi-nella – hanno formato presso il Cnel uncomitato d’indirizzo con il compito di de-finire che cosa è il benessere, perché perpoterlo misurare bisogna prima capire diche cosa si tratta. Il tavolo di consultazio-ne ha portato alla definizione di 12 domi-ni di analisi, sui quali è intervenuta unacommissione scientifica formata da 80

| 42 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

LE 12 DIMENSIONI DEL BENESSERE

1. Salute

2. Istruzione e formazione

3. Lavoro e conciliazione tempi di vita

4. Benessere economico

5. Relazioni sociali

6. Politica e istituzioni

7. Sicurezza

8. Benessere soggettivo

9. Paesaggio e patrimonio culturale

10. Ambiente

11. Ricerca e innovazione

12. Qualità dei servizi

GLI INDICATORI CONTENUTI NELLA DIMENSIONE 9:PAESAGGIO E PATRIMONIO CULTURALE

1. Dotazione di risorse del patrimonio culturale

2. Spesa pubblica comunale corrente pro-capite ineuro destinata alla gestione del patrimonio culturale(musei, biblioteche e pinacoteche)

3. Indice di abusivismo edilizio: numero di costruzionirealizzate illegalmente per 100 costruzioniautorizzate dai Comuni

4. Indice di urbanizzazione delle aree sottoposte a vincolo paesaggistico

5. Erosione dello spazio rurale da dispersione urbana(urban sprawl )

6. Erosione dello spazio rurale da abbandono:Percentuale delle aree interessate da abbandono [7]sul totale della superficie regionale

7. Presenza di paesaggi rurali storici8. Valutazione della qualità della programmazione dello

sviluppo rurale (Psr regionali) in relazione alla tuteladel paesaggi

9. Densità di Verde storico e Parchi urbani di notevoleinteresse pubblico

10. Consistenza del tessuto urbano storico

11. Insoddisfazione della qualità del paesaggio del luogodi vita

12. Preoccupazione per il deterioramento delle valenzepaesaggistiche

COSÌ NEGLI ALTRI PAESI• Canadian Index of Well Being (Canada)Un “superindice” basato su otto domini, ciascuno con otto indicatori.•Measuring Australia’s Progress (Australia)Pubblicazione on line periodica dell’Australian Bureau of Statistics, basata su un “cruscotto”di diversi indicatori. Anche in Australia un blog raccoglie il dibattito nazionale.• L’Office for National Statistics (Gran Bretagna)Ha lanciato l’iniziativa “Measuring national well-being” che nel novembre 2012 ha pubblicato il suo rapporto Life in the UK 2012.• Centre for Bhutan Studies (Butan)Ha reso disponibili on line i dati relativi alla ricerca “Gross National Happiness” 2010. L’indagine, svolta da aprile a dicembre 2010, è basata su un campione di 8.700 individuirappresentativo di tutto il territorio nazionale e le interviste sono state realizzata faccia a faccia da rilevatori. I nove domini oggetto di rilevazione sono stati: il benessere psicologico,la salute, l’uso del tempo, l’educazione, la cultura, il buon governo, l’ecologia, la vitalità della comunità e gli standard di vita.• La Nef, New Economics Foundation (Gran Bretagna)Il think tank londinese ha pubblicato il report 2012 sull’Happy Planet Index, un indice di benesseresostenibile che integra dati sulla felicità, la speranza di vita e l’impronta ecologica per 151 paesi.L’Happy Planet Index ci dice quanto le nazioni stiano facendo per sostenere la qualità della vitadei propri cittadini, garantendo le stesse condizioni in futuro anche al resto del mondo.• Quars, Indice di qualità regionale dello sviluppo (Italia)Nel 2003 Sbilanciamoci! pubblica il Rapporto Quars annuale. Basato su sette dimensioni – Ambiente, Economia e lavoro, Salute, Diritti e cittadinanza, Istruzione e cultura, Pariopportunità, Partecipazione – al cui interno sono distribuiti 41 indicatori statistici. I datisintetizzano classifiche sui comportamenti più o meno virtuosi delle regioni italiane nellesette dimensioni considerate.

FONTE: W

WW.M

ISUREDELB

ENESSERE.IT; W

WW.SBILANCIAMOCI.O

RG

Page 43: Mensile Valori n. 109 2013

tecnici sia dell’Istat che delle università, con il compito di indi-viduare gli indicatori statistici in grado di descrivere quei feno-meni. Il confronto finale tra i due tavoli ha completato la defi-nizione del set di indicatori».

Decisori fatevi avanti!Sono stati attivati anche altri strumenti di consultazione moltoampia con i cittadini: un quesito su quanta importanza si dà auna serie di elementi del benessere è stato inserito nell’indagine“Multiscopo” dell’Istat che coinvolge 24 mila famiglie. È statoquindi eseguito un questionario on line sul sito dell’Istat e ancheun blog. A partire da un post di Slow Food, per esempio, è stataaggiunta tra gli indicatori di benessere la qualità del cibo. E, gra-zie a questi contributi partecipativi, è stata considerata parte delbenessere di una società la fiducia nelle istituzioni e negli altri.Dove questa fiducia viene meno, la qualità della vita è peggiore.

Il Bes può dare una valutazione anche su questi aspetti: de-vono accorgersene i decisori. In che modo metterlo alla prova?«Il nostro Paese presenta ancora profonde diseguaglianze», ri-sponde Maria Teresa Salvemini, che ha coordinato il progettoper il Cnel. «Il Bes – aggiunge – dovrebbe essere utilizzato pervalutare gli effetti delle politiche settoriali. E anche per misu-rare qualcosa che non viene mai valutato: l’efficacia dell’usodelle risorse pubbliche, per arrivare a un utilizzo più miratoquando si prendono le decisioni».

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 43 |

| economiasolidale |

Misuriamoci sul benessere

diPaola Baiocchi

«Il percorso del Bes è iniziato con una novità assolu-ta: abbiamo capito che lo studio scientifico sotto-stante avrebbe avuto più senso se combinato con

l’individuazione delle esigenze attraverso l’ascolto della so-cietà civile e dei cittadini». Linda Laura Sabbadini, direttoredel Dipartimento per le Statistiche sociali e ambientali dell’Istate coordinatore del progetto Bes per l’Istituto nazionale di sta-tistica, ha spiegato a Valori i molti punti originali nella ricercacompiuta da Istat e Cnel per il Bes. «Con Maria Teresa Salve-mini del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro)– continua Linda Laura Sabbadini – abbiamo coordinato il pro-getto, consultando l’associazionismo femminile, il volontaria-to, gli ecologisti, tutti i sindacati, Sbilanciamoci!, tutte le asso-ciazioni di categoria, Confindustria, Confcommercio e cosìvia. All’unanimità siamo arrivati a definire le dimensioni e gliindicatori. Il valore aggiunto di questo tipo di ricerca è enor-me. A questo punto è la politica che deve fare proprio questoprocesso condiviso».

Anche questa è una novità: in altre situazioni è stata la politica a dare il via a studi simili…Non c’è stato l’imprimatur politico, come con l’incarico con-ferito da David Cameron in Inghilterra all’ONS (l’Office forNational Statistics). Non è stato come in Francia con la Com-missione Stiglitz istituita da Sarkozy: non c’è stato un inve-stimento da parte della politica, il processo è stato all’inver-so. Proprio per questo motivo abbiamo scelto un percorsocondiviso con la società civile e con i cittadini, perché più lemisure sono condivise più potranno essere usate ai fini dellepolitiche. Il Bes non ci serve per descrivere, vorremmo fosseusato come punto di riferimento degli obiettivi della politica,per riscoprire punti di forza e di debolezza e a agire conse-guentemente.

Tavoli di confronto con le associazioni femminili, con i sindacati, con gli ambientalisti, con Sbilanciamoci!, con le associazioni di categoria, con il volontariato.Il lungo lavoro di ricerca, coordinato da Istat e Cnel, è orauno strumento a disposizione della politica

PIL E BESCOS’È IL PILIl Prodotto interno lordo (in inglese Gdp, Gross domestic product)esprime il valore totale dei beni e dei servizi prodotti in un Paese daglioperatori economici residenti e non residenti nel corso di un anno. Il Pil considera incorporata nel valore dei beni finali la produzione di beni intermedi destinati ai consumi industriali, ossia quei prodottiscambiati tra le imprese.Le critiche al Pil nascono principalmente dal fatto che tiene conto solo delle transazioni legali avvenute in denaro, escludendo quindiquelle a titolo gratuito (non profit e intra-familiari) e quelle illecite, e che come indicatore non misura il miglioramento della qualitàdella vita. La criminalità, l'inquinamento e gli incidenti stradali, ad esempio, tendono ad incrementare il Pil, pur essendochiaramente eventi di carattere negativo che penalizzano il progresso di una nazione.

COS’È IL BESÈ un sistema di analisi del benessere in Italia, costituito da un insiemedi indicatori messi a punto da Istat e Cnel, attraverso un lungo lavorodi selezione dei 134 indicatori, coinvolgendo sia i tecnici che i rappresentanti delle parti sociali e della società civile. Il Bes vienedeterminato a partire da 12 aree, definite le dimensioni del benessere,che contengono in tutto 134 indicatori, per valutare il progresso di una società non solo dal punto di vista economico, ma anchesociale e ambientale, includendo la valutazione della diseguaglianzae della sostenibilità.

Page 44: Mensile Valori n. 109 2013

C’è un interesse anche locale, per cuidal Bes siamo passati all’UrBes: alcunegrandi città si sono messe insieme e sista cercando di combinare quegli indica-tori a livello comunale.

Un dominio come quello del paesaggio e delpatrimonio culturale è molto innovativo.È una novità assoluta: quando SalvatoreSettis, come rappresentante di ItaliaNo-

stra ha proposto di inserirlo riferendosiall’articolo 9 della Costituzione, all’inizioha sconcertato, perché nessun Paese haun dominio “paesaggio e patrimonio cul-turale”. Eppure siamo il Paese con ilmaggior numero di siti Unesco, ma non

siamo il primo Paese come presenze tu-ristiche straniere. Per le politiche que-sto deve voler dire che è un punto diforza da valorizzare.

I lavori sono terminati?Sono in corso: per esempio abbiamo 15indicatori per il lavoro. Vorremmo arri-vare a una misura che li sintetizzi.

Perché ora questo studio sugli indicatori di benessere? Per non disabituarci a considerarli dei diritti?Se andiamo a vedere il complesso delledimensioni che misuriamo, ritroviamoche fanno riferimento a tanti articolidella nostra Costituzione.

È un invito per l’Italia a tirare su la testa?Assolutamente.

| economiasolidale |

Non c’è stato l’imprimaturdella politica, ma il Bes dovràorientarne le azioni

CRONOLOGIA• Novembre 2004, Palermo: Primo forum mondialedell’Ocse “Statistics, Knowledge and Policy”

• Giugno 2007 Istanbul: Secondo forum mondialedell’Ocse

• 2007: nasce il Global Project on Measuring theProgress of Societies

• Novembre 2007: l’Unione europea lancia Beyond Gdp• Luglio 2009, L’Aquila: Riunione del G20• Settembre 2009: pubblicate le raccomandazionidella Commissione Stiglitz

• Ottobre 2009: l’Unione europea pubblica la comunicazione della Commissione europea “Non solo Pil”

• 2009: Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unioneeuropea, lancia il gruppo di lavoro Sponsorship Group

• Ottobre 2009, Busan (Corea): terzo forummondiale dell’Ocse

• Ottobre 2012, Delhi (India): quarto Forum mondialedell’Ocse

• Marzo 2013: Cnel e Istat presentano il primorapporto sul Benessere Equo e sostenibile

INSERZIONE PUBBLICITARIA

La copertinadel supplemento“Social Watch” al n. 75 dicembre 2009/gennaio 2010 di Valori

Page 45: Mensile Valori n. 109 2013

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 45 |

| economiasolidale | sviluppo umano |

C’è una rivoluzione in corso. I(rassicuranti) modelli che divi-devano il Pianeta tra Paesi ric-

chi e poveri, sempre gli stessi, associandolialla distinzione Nord-Sud, sono messi indiscussione ogni giorno. Tanto più per chiavesse letto il Rapporto sullo sviluppoumano 2013, pubblicato dalle Nazioni Uni-

te con un sottotitolo che dice molto, L’a-scesa del Sud: il progresso umano in unmondo in evoluzione. A New York, peresempio, hanno così chiaro il concetto chei responsabili del Centro per le opportu-nità economiche, ente deputato a identifi-care strategie educative, sanitarie e lavo-rative contro la diffusione della povertà,prima di lanciare il proprio programma diaiuto economico Opportunity NYC: Fa-mily Rewards hanno visitato Toluca, inMessico, per verificare come funzionassel’analogo programma federale messicanoOportunidades. Non solo. I newyorkesihanno aderito a una sessione di studio in-ternazionale su esperienze simili in Ameri-ca Latina, Indonesia, Sud Africa e Turchia.Nulla è più unidirezionale, insomma, come

ci ricorda Antonio Vigilante, direttore delProgramma per lo Sviluppo delle NazioniUnite (Undp) a Bruxelles, sottolineandoche l’Angola (148° posto nella classificadell’Indice di sviluppo umano-Isu, vedi

a pag. 48), in tempo di crisi internazio-nale «trasferisce grandi risorse in Porto-gallo (43° posto), mentre i portoghesi emi-grano in Angola».

BOX

La riscossadel SuddiCorrado Fontana

Il Sud del mondo cresce molto piùrapidamente del Nord, ma perchiudere il gap ci vorranno decenni.Lo decreta l’Indice di sviluppo umanodelle Nazioni Unite, che fotografa un progresso mai visto prima, conmolti nuovi protagonisti

Pillola 1 Le Nazioni Unite stimano che nel 2025 salirà a 30 miliardi didollari il consumo annuo nelle economie dei mercati emergenti:erano 12 miliardi nel 2010. A Sud abiteranno i tre quinti dellefamiglie che guadagnano più di 20 mila dollari l’anno.

Pillola 2 Tra il 2000 e 2010, la media di crescita annuale dell’uso diInternet ha superato il 30% in circa 60 Paesi in via di sviluppo. A settembre 2012 il social network Facebook ha registrato 1miliardo di utenti attivi al mese: quattro dei cinque Paesi con il maggior numero di utenti di Facebook sono al Sud (Brasile,India, Indonesia e Messico).

Pillola 3 La quota di popolazione mondiale di età superiore a 15 anni chenon ha un’istruzione formale (cioè impartita attraverso istituzioniscolastiche e segnata da diplomi o qualifiche riconosciute) èprevista ridursi dal 12% del 2010 al 3% nel 2050.

Pillola 4 Le percentuali più elevate di spese militari sul Pil si trovano neiPaesi con un maggior Isu. Ma non è una regola. A spendere meno dell’1% di Pil in questomodo sono Austria, Islanda, Irlanda e Lussemburgo. Costa Rica, che non ha un esercito dal 1948, nel 2009 ha investito il 6,3% del Pil in istruzione e il 7% in ambitosanitario: il suo Isu è cresciuto da 0,621 del 1980 a 773 nel 2012.

Pillola 5 Otto dei venti Paesi con gli incrementi maggiori in numeromedio di anni di scuola tra 1980 e 2010 sono arabi. Non appare perciò casuale che la maggior parte dei Paesiprotagonisti delle recenti “primavere arabe” (Tunisia, Algeria,Egitto e Libia) compaiano in basso nel quadrante destro delgrafico che raffronta proprio grandi guadagni nel livello di istruzione con un’occupazione sotto la media in rapportoalla popolazione.

IL RAPPORTO IN PILLOLE

Antonio Vigilante,direttore del Programmaper lo Sviluppo delleNazioni Unite (UNDP)Ufficio di Bruxelles

Page 46: Mensile Valori n. 109 2013

Nuovo cast, finale da riscrivereL’Angola si trova al quinto posto nellaclassifica dei Paesi a maggiore crescita(+2,56% nel biennio 2010-2012) nell’IndiceIsu 2013, insieme a una nutrita schiera dinazioni in rapida e straordinaria risalita.Basti pensare che, mentre durante la ri-voluzione industriale dell’Ottocento civollero 150 anni per raddoppiare il reddi-to pro capite di una decina di milioni diabitanti, Cina e India da sole l’hanno fat-to per una popolazione 100 volte supe-riore in soli 20 anni. E tra il 1990 e il 2010,secondo i calcoli dell’Undp, anche la po-vertà estrema è stata dimezzata, dal43,1% della popolazione mondiale del1990 al 22,4% del 2008: oltre a mezzo mi-liardo di cinesi, sono usciti da questacondizione milioni di persone in diversiPaesi (Indonesia, Messico, Turchia, Ban-gladesh, Cile, Ghana, Uganda, Corea,Vietnam, Mauritius, Tunisia), senza con-tare gli altri Brics (ovvero Brasile, Rus-sia, India, Sud Africa).

«Ci siamo chiesti – spiega Vigilante –quale sia la base comune tra Paesi così di-versi nella crescita dello sviluppo umanoe abbiamo individuato tre elementi: pri-mo, avere uno Stato impegnato nello svi-luppo a lungo termine, creando servizipubblici e istituzioni funzionali a questoscopo; secondo, la capacità di catturaremercati globali, intercettando possibilitàdi sviluppo industriale e di commerciosul piano internazionale. Terzo elementocomune, gli investimenti a lungo terminesulle persone, sperimentando politichesociali innovative che hanno permessocoperture sanitarie e nel campo dell’i-struzione, o programmi sociali differentiper combattere la povertà, come in Brasi-le e Messico».

La chiave economicaD’altra parte nella composizione multidi-mensionale dell’Isu la voce del reddito ri-mane determinante, soprattutto rispet-to alle diseguaglianze interne ai singoliStati. Sul piano globale, infatti, il divarioeconomico Nord-Sud si riduce in fretta, oaddirittura inverte le sue proporzioni. Ilpeso della bilancia commerciale degliscambi tra le nazioni del Sud del mondo èormai equiparabile alla quota del com-mercio mondiale Nord-Nord. Manco adirlo la Cina è protagonista assoluta e ilrapporto le attribuisce nel 2050 il 40%

della produzione mondiale insieme aBrasile e India (più di quanto faccia oggiil G7 di Francia, Germania, Giappone, Ita-lia, Regno Unito, Stati Uniti e Canada).Non solo. Negli ultimi 10 anni si è inverti-ta la proporzione di accumulo delle riser-ve mondiali di valuta straniera tra Norde Sud: prima erano due terzi nel Nord eun terzo del Sud, oggi è praticamente ilcontrario, andando a creare, specie tra-mite la costituzione dei Fondi sovrani(vedi Valori 108, aprile 2013) una sorta diauto-assicurazione contro future even-tuali recessioni o crisi finanziarie. Infine,la somma del Pil di otto tra i principaliPaesi in via di sviluppo (Argentina, Brasi-le, Cina, India, Indonesia, Messico, SudAfrica e Turchia) è già uguale al Pil dellamaggiore economia nazionale del mon-do, gli Stati Uniti.

Cambio della guardiaUna crescita economica in grande scala,quindi, che però non sempre segue lo svi-

| economiasolidale |

| 46 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Si fa presto a dire sviluppo

diCorrado Fontana

«La Cina, anche se mantenesse questi tassi di crescita straordinari, nel2050 avrà ancora un Pil pro capite circa la metà di quello attuale degliStati Uniti. Il mondo come lo conosciamo, con questa enorme distanza

tra Paesi ricchi e poveri, rimarrà tale per molti anni, nonostante in questa fase i se-condi stiano crescendo assai di più di quelli avanzati». Il tema è quello della disegua-glianza tra Paesi emergenti e Paesi sviluppati e la sintesi è nelle parole di Emilio Co-lombo, docente di Economia politica all’università Bicocca di Milano. Ma il professorColombo va oltre, sottolineando che «la diseguaglianza rimane profonda all’interno

Cresce la necessità delle istituzioni internazionali di adottare valutazioni“flessibili” dello sviluppo territoriale. Ma il miracolo cinese emerge da ogni angolazione: e dopo la democrazia barattata con la crescitaeconomica arriva la sfida della middle class

Tra il 1990 e il 2010 la povertà estrema è statadimezzata. Fondamentali perlo sviluppo umano: uno Statoche investe nel futuro;catturare mercati globali;politiche sociali innovative

GLOSSARIOWASHINGTON CONSENSUSL’espressione nasce nel 1989 grazie all’economistaJohn Williamson per descrivere un insieme di 10 direttive di politica economica specifiche che egli considerava il pacchetto standard da destinarea Paesi in via di sviluppo in crisi economica. Questedirettive erano promosse da organizzazioniinternazionali con sede a Washington D.C., come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale eil Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America.

Page 47: Mensile Valori n. 109 2013

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 47 |

| economiasolidale |

luppo complessivo della società. Se è veroche quasi la metà delle rimesse inviate acasa dagli emigrati del Sud provengonooggi da lavoratori che vivono in altri Pae-si in via di sviluppo, l’Isu corretto, tenen-do conto della diseguaglianza (economicae di genere) e calcolato su 132 Paesi, nel

2012 perderebbe ben il 23% medio del pro-prio valore: cioè il declino dei divari nellasalute e nell’istruzione viene compensatoin peggio dall’aumento delle disegua-glianze di reddito.

Nella sostanza, traduce efficacemen-te Vigilante: «Un bambino che nasce og-

gi in Giappone e uno che nasce nellaSierra Leone hanno un’aspettativa divita che differisce di ben 35 anni, 82 in-vece di 48. Un bambino del Mozambicova a scuola per circa un anno e mezzo dimedia contro i 13 del bambino statuni-tense. Se guardiamo il reddito annuo

dei singoli Paesi. Il problema è alloraquale significato dare a questa disegua-glianza: l’Indice di sviluppo umano svol-ge una valutazione multidimensionaleche considera tre aspetti principali, sa-nità e aspettativa di vita, educazione esviluppo economico/reddituale, ma, a se-conda dell’importanza che vogliamo da-re a ciascuna dimensione, cambierà ilranking dei singoli Paesi. Così ad esem-pio si comporta il Better Life Indexdell’Ocse (vedi a pag. 48), che permet-te una valutazione dinamica dello svi-luppo, a seconda del peso che conferia-mo a ciascun elemento. Un criterio divalutazione che mi sembra più efficace».

Non c’è un rischio di relativizzazioneeccessiva del concetto di sviluppo?Il rischio è semmai che da un indice comequello dello sviluppo umano derivino del-le policy implications (degli indirizzi poli-tici, ndr) o iniziative vere e proprie che loconsiderino come l’unico modo per rap-presentare la realtà. Questa considerazio-ne potrebbe essere la base di partenza perattuare politiche di sviluppo che non sia-

no basate semplicemente sul cosiddettoWashington Consensus (vedi ):non ci può essere un approccio unico e giàoggi la Banca Mondiale sta adottando po-litiche che coinvolgono in maniera moltopiù partecipata le comunità locali e la so-cietà civile, per creare i programmi di svi-luppo, sostituendo al consueto approcciotop-down un altro di tipo bottom-up, cioèdal basso verso l’alto.

E la crescita della middle class nelle areepovere del Sud potrà sostenere questavisione...La sfida è quella di creare uno sviluppoche non sia tanto trainato dalle esporta-zioni quanto dalla creazione di una do-manda interna: da questo punto di vista

la Cina sta facendo grandissimi progres-si. Questo processo, d’altra parte, necessi-ta non solo del consolidamento economi-co ma anche del traino del ceto medio e diun consolidamento sociale e politico e inquesto la Cina è molto diversa dal Brasileo dall’india. In Cina c’è un equilibrio poli-tico molto molto instabile e dubito chequesta classe media possa affermarsi sen-za chiedere maggiore democrazia. La Ci-na è il solo dei Paesi socialisti che sta adot-tando una transizione che potremmoappunto definire “alla cinese”, cioè estre-mamente graduale: tuttora ci sono moltisettori dell’economia sotto il controllodello Stato e prezzi regolati dalle istitu-zioni, e molti diritti non sono ancora sta-ti concessi alla popolazione. Le autoritàhanno scommesso che questa situazionepossa essere tollerata nella misura in cuivenga garantito un miglioramento dellecondizioni di vita dei cittadini attraver-so lo sviluppo economico, attuando unasorta di baratto implicito tra democraziae sviluppo. Prima o poi ciò dovrà cam-biare e l’azzardo è che ciò possa avveniresenza grossi scossoni.

BOX

GLOSSARIO

Emilio Colombo,docente di Economiapolitica all’UniversitaBicocca di Milano

-0,4

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0.100.080.060.040.020-0.02-0.04

Cile

Brasile TurchiaIndonesia

Malaysia

Mauritius

Bangladesh

IndiaVietnam

Cina

TunisiaUganda

Thailandia

GhanaCorea, Rep.Messico

DEVIAZIONE DALLA PERFORMANCE ATTESA PER LE DIMENSIONI NON REDDITUALI DELL’ISU, 1990-2012**

FONTE: R

APPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2013 - L’ASCESA DEL SUD:

IL PROGRESSO UMANO IN

UN MONDO IN

EVOLU

ZIONE (UNPD)

Paesi con elevati miglioramenti nello sviluppo umano* RNL = REDDITO NAZIONALE LORDO** LE DIMENSIONI NON REDDITUALI SONO RELATIVE A ISTRUZIONE E ASPETTATIVE DI VITA

Altri 2025303540455055606570758085

76543210-1

Qatar

United Arab Emirates

Bahrain

Saudi ArabiaMorocco

Yemen

Sudan

Syrian ArabRepublic

Iraq

Tunisia

Egypt

Libya

AlgeriaJordan

Mediana

Mediana

NELLA MAGGIOR PARTE DEI PAESI LE OPPORTUNITÀ DI LAVORO NON HANNO TENUTO IL PASSO DEL LIVELLO DI ISTRUZIONE

FONTE: R

APPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2013 - L’ASCESA DEL SUD:

IL PROGRESSO UMANO IN

UN MONDO IN

EVOLU

ZIONE (UNPD)

Stati Arabi selezionati Altri

Nota: Basato su un campione bilanciato di 96 paesi. Le nazioni classificate costituiscono un campione rappresentativo

a livello regionale che ha ottenuto un alto sviluppo umano e di cui si discute più in dettaglio in tutto il capitolo.

FONTE: ELABORAZIONE HDRO

FONTE DATI DI PARTENZA: CAMPANTE AND CHOR (2012)

Nota: L’analisi copre 141 paesi. L’occupazioneper indici di popolazione sono per l’anno piùrecente disponibile durante il periodo 2006-2010

[Percentuale di occupati in rapporto alla popolazione]

[Deviazione dalla

performance attesa per

le dimensioni non

reddituali dell’Isu,

1990-2012]

[*Crescita del Rnl pro capite, 1990-2012 (%)] [Cambiamento nella media di anni di scuola frequentati (periodo 1980-2010)]

Page 48: Mensile Valori n. 109 2013

pro capite, quello di un cittadino norve-gese è circa 150 volte superiore a quellodi un abitante della Repubblica Demo-cratica del Congo, per non fare il con-fronto con un abitante del piccolo Qa-tar rispetto al quale il congolese ha unreddito 350 volte inferiore».

La sfida si sposta allora sul fronte diuno sviluppo più equilibrato possibile, dicui è buon sintomo – ma anche causa –l’esplosione al Sud di quella classe mediaun tempo privilegio dei Paesi avanzati:l’Undp sostiene che la middle classmon-diale passerà da 1,8 miliardi a 5 miliardi dipersone nel giro dei prossimi 20 anni, conl’80% di essa che potrebbe trovarsi neiPaesi in via di sviluppo, soprattutto Cinae India, nel 2030. Un cambiamento epo-cale che avrà ripercussioni profonde,trasferendo la prospettiva decisionalesu come produrre, cosa e quando da Oc-cidente a Oriente.

| economiasolidale |

| 48 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

LE TANTE VIE DELLO SVILUPPO: ISU, BES E BLIIn tempi di crisi di rappresentatività del Pil (Prodotto interno lordo) per valutare efficacementelo “stato di salute” complessivo delle nazioni sono almeno tre – in parallelo – i sistemiimpiegati dalle istituzioni internazionali:

ISU • Indice di sviluppo umano (in inglese: HDI-Human Development Index), elaborato nel1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq e seguito dal più noto economista indianoAmartya Sen, è utilizzato, accanto al Pil, dalle Nazioni Unite a partire dal 1993. Componeaspettativa di vita, livelli d’istruzione e livelli di reddito e si calcola in millesimi decrescendo da 1 a 0, distribuendo i Paesi in quattro gruppi per ogni 250 millesimi di differenza (a sviluppoumano molto alto, alto, medio, basso).

BES • Benessere equo e sostenibile: il set di indicatori, sviluppato dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) e dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel). Vedi gli articoli nelle pagine precedenti.

BLI • Better Life Index è l’indice presentato a maggio 2011 dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse o Oecd in inglese) in linea con le raccomandazioni della cosiddetta “Stiglitz-Sen-Fitoussi Commission”, in nome dei notieconomisti che vi hanno partecipato. Il Bli si applica ai 34 Paesi Ocse e prendein considerazione 20 diversi indicatori in 11 categorie: e dal sito www.oecdbetterlifeindex.org è possibile, attraverso una sorta di mixer virtuale, attribuire più peso all’uno o all’altroelemento, variando così la valutazione complessiva cui le nazioni possono aspirare.

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2011200520001995199019851980

GLI SCAMBI MONDIALI DI MERCI SUD-SUD SONO PIÙ CHE TRIPLICATI NEL PERIODO 1980-2011, MENTRE QUELLI NORD-NORD SONO DIMINUITI

FONTE: R

APPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2013 - L’ASCESA DEL SUD:

IL PROGRESSO UMANO IN

UN MONDO IN

EVOLU

ZIONE (UNPD)

Nord-Nord Sud-Nord Sud-Sud

Nota: Per il 1980 il Nord includeva Australia, Canada, Giappone,Nuova Zelanda, Stati Uniti ed Europa occidentale.

[Quota degli scambi mondiali di merci (%)]

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2050201019801940190018601820

STIMA

BRASILE, CINA E INDIA INSIEME SONO PROIETTATE VERSO IL 40% DELLA PRODUZIONE GLOBALE ENTRO IL 2050, DAL 10% DEL 1950

FONTE: R

APPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2013 - L’ASCESA DEL SUD:

IL PROGRESSO UMANO IN

UN MONDO IN

EVOLU

ZIONE (UNPD)

Brasile, Cina e India Canada, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e USA

Nota: La produzione è misurata in dollari 1990 a parità di potere d’acquisto.

[Quota della produzione globale (%)]

SVILUPPO UMANO ALTO

Posizione Isu Indice di sviluppo umano (Isu)

48 BAHRAIN 0.79649 BAHAMAS 0.79450 BIELORUSSIA 0.79351 URUGUAY 0.79252 MONTENEGRO 0.79152 PALAU 0.79154 KUWAIT 0.79055 RUSSA, FEDERAZIONE 0.78856 ROMANIA 0.78657 BULGARIA 0.78257 ARABIA SAUDITA 0.78259 CUBA 0.78059 PANAMA 0.780

SVILUPPO UMANO MOLTO ALTO

Posizione Isu Indice di sviluppo umano (Isu)

1 NORVEGIA 0.9552 AUSTRALIA 0.9383 STATI UNITI 0.9374 PAESI BASSI 0.9215 GERMANIA 0.9206 NUOVA ZELANDA 0.9197 IRLANDA 0.9167 SVEZIA 0.9169 SVIZZERA 0.91310 GIAPONE 0.912

FONTE: RAPPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2013 - L’ASCESA DEL SUD:IL PROGRESSO UMANO IN UN MONDO IN EVOLUZIONE (UNPD)

FONTE: ELABORAZIONI HDRO BASATE SU DATI UNSD (2012)

FONTE: INTERPOLAZIONI HDRO DIDATI STORICI TRATTI DA MADDISON(2010) E PREVISIONI BASATE SUL PARDEE CENTER FORINTERNATIONAL FUTURES (2013)

Page 49: Mensile Valori n. 109 2013

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 49 |

| economiasolidale | indagine |

Il mondo dei Gruppi d’acquisto solida-le lombardi è una minoranza, ma inci-de – in profondità – sul contesto eco-

nomico e sociale in cui attecchisce. Questaci sembra la fotografia d’insieme cheemerge dalla ricerca appena chiusa nel-l’ambito del progetto Dentro il capitaledelle relazioni, condotto dall’OsservatorioCores (gruppo di ricerca su consumi, reti epratiche di economie sostenibili) dell’Uni-versità degli studi di Bergamo. Un lavoroimportante: solo 4 o 5 anni fa si parlava di180-200 Gas in Lombardia (la regione chene conta di più in Italia), mentre l’indaginene ha censiti 450, di cui 193 hanno rispostoai questionari. Ma il rilievo non è solo nu-merico (3 anni di impegno, 6.800 famigliecoinvolte di cui quasi il 25% ha partecipa-to al progetto). C’è anche l’aspetto meto-dologico innovativo: grazie alla stretta

collaborazione con il Tavolo Res (Reti dieconomia solidale) e al rapporto direttocon un gasista particolarmente attivo emotivato, impiegato come “facilitatore lo-cale”, lo studio ha potuto spuntare sogliedi partecipazione all’indagine vicine al30%, alte per ricerche simili. E c’è il livelloinedito di scandaglio del profilo economi-co e culturale dei “gasisti” e dei loro stili divita, prima e dopo l’incontro con i Gas.

Esclusione e partecipazioneE le sorprese non mancano. «I risultatimigliori dell’attività di un Gas (percepitidai gasisti, ndr) non sono tanto quelli didiffondere pratiche di consumo e stili divita sostenibili, bensì di aver aiutato i pic-coli produttori a sopravvivere e prospera-re e di aver ricreato relazioni sociali tra lepersone». Una percezione positiva, ci dice

Francesca Forno, direttrice scientifica delprogetto e docente di Sociologia dei con-sumi all’università di Bergamo, che fa ilpaio con un’attenzione particolare versol’economia territoriale, anche quella deinegozi di vicinato e delle piccole coopera-tive di consumo. Contemporaneamenteemerge però l’insoddisfazione per la«scarsa capacità di coinvolgere persone aldi fuori di un certo segmento sociale. Lecaratteristiche dei gasisti – prosegue laForno – sono sostanzialmente omogenee:appartengono perlopiù alla classe media,magari in calo di potere d’acquisto, macon un elevato capitale culturale, con unaltissimo livello d’istruzione media, quin-di con le capacità intellettuali per cercarealternative e non dover necessariamentediminuire la qualità della propria spesa».

Ecco l’anima controversa dei Gas, benrappresentata nella distribuzione dei red-diti e dei titoli di studio: il 76% dei gasistilombardi guadagna oltre i duemila euromensili e il 49,3% di chi ha compilato i que-stionari ha una qualifica pari o superiorealla laurea triennale. Il mondo dei Gaslombardi – vedremo se le analoghe ricer-che in corso lo confermeranno per Siciliae Friuli Venezia Giulia – pare perciò vissu-to soprattutto da un’élite. Un’élite econo-mica e culturale, che mette tra le motiva-zioni per entrare in un Gas per primi gliaspetti della salute (82%) e poi quelli di re-te, che siano relazionali (63,7%) o una vo-glia di partecipare con un’azione concreta(63,5%) o di sostegno diretto ai piccoli pro-duttori locali (79,6%).

Gas lombardial microscopiodiCorrado Fontana

In Lombardia la prima ricerca scientifica sui Gruppi d’acquisto solidale. Alla scoperta dei “gasisti” tra capitale di relazioni e cambiamento degli stili di vita e di consumo, tra partecipazione e scoperta dei prodotti locali e stagionali

ANDREA CALO

RI. UN MOMENTO NEI C

AMPI A

L GASOTTO

Page 50: Mensile Valori n. 109 2013

Chi respira Gas cambia la vitaE se Giorgio Gaber scriveva “libertà è par-tecipazione”, secondo il Cores è coerenteche chi oggi fa acquisti condivisi tramiteGas abbia una storia recente di forte im-pegno politico e sociale: il 93,7% dei gasi-sti ha avuto altre esperienza associative,partecipando inoltre nei due anni prece-denti a diverse campagne d’opinione (ac-qua pubblica 80%; no al nucleare 64,1%;scuola pubblica 51,7%). E quella “libertà” sitraduce anche in un “cambiamento” dellapropria spesa, sia negli ingredienti chenelle modalità. Insieme ai 42,5 gasisti su100 che, ad esempio, hanno diminuito ilproprio consumo di carne, ce ne sono pa-recchi altri che hanno aumentato signifi-cativamente l’acquisto di alcuni prodot-ti: 80,6 quello di prodotti locali, 79,4 dibiologici, 68,1 di stagionali, 50,4 di verdu-ra. Dati notevoli, seppure misurati suuna popolazione limitata, che potrebberorisvegliare qualche agenzia di marketingo un interesse mirato delle imprese; tantopiù se si affiancano alle cifre che registra-no la percentuale di chi, entrato in unGas, ha introdotto ex novo nel sacchettodella spesa i detergenti ecologici (25%) ogli alimenti bio (7,7%). «Partecipando a unGas – sostiene Francesca Forno – ripensiai tuoi modelli di consumo attraverso ilconsumo critico collettivo, che funzionacome una “lente pedagogica” grazie allaquale concetti astratti (legalità, sosteni-bilità, tutela ambientale, ecc.) acquistanoun significato concreto».

Una teoria ripresa dalla studiosa Mi-chele Micheletti dell’università di Stoc-colma che spiega anche perchè l’adesio-ne ai Gas abbia convinto il 41,4% deimembri a ridurre gli acquisti al super-mercato o l’uso dell’auto (17,6%), a darsiall’autoproduzione (34,8%), a dedicarsi ariciclo e riuso (32,5%) o a coltivare l’orto(16,2%). Una piccola rivoluzione silenzio-sa, che potrà forse incidere su larga sca-la se riuscirà a rompere gli argini dellaclasse sociale.

| economiasolidale |

| 50 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Abbiamo ragionato sul mondo Gas e sui risultati della ricerca del Cores con duepersone che da anni vivono l’esperienza dei Gruppi d’acquisto solidale

VINCENZO VASCIAVEO, membro dello storico Gas milanese di Baggio (fondato 12anni fa) e del Distretto di economia solidale rurale del Parco agricolo Sud MilanoTra le motivazioni per la scelta di un produttore trovo significativo che il 97% indichi laqualità. Invece di fare un salto in avanti, verso un cambiamento sociale, conun’attenzione al territorio e alla trasformazione del modello agricolo, verso il chilometrozero, si sta un po’ troppo indugiando sulla qualità del prodotto e sul biologico. I principifondativi dei Gas ci sono (la salvaguardia dei diritti alla salute, dell’ambiente e sociali),ma dando troppo peso ad un aspetto mi sembra non ci sia l’evoluzione necessaria.

I Gas risultano frequentati da persone con reddito e istruzione medio alti...La mia esperienza lo conferma. Il problema – a me pare tale – c’è. Come posso averepiù consapevolezza sul prezzo e riuscire ad abbassarlo cosicché i Gas non sianoappannaggio di una fascia socioeconomica così limitata? Costruendo economielocali che controllo, in cui posso concertare la divisione del valore nella filiera. Nel nostro distretto abbiamo dimostrato che si può fare con la filiera del grano: siamoarrivati a un prezzo finale di un pane biologico di alta qualità più basso di quello del pane comune, pur remunerando il produttore più del doppio di quanto facciano le filiere tradizionali. Merito dell’interazione con ogni fase del processo.

Partecipare a un Gas porta a un cambio degli stili di consumo? Con l’adesione al Gas nella mia famiglia si consuma molta meno carne. Ed è aumentato il consumo di cibi stagionali, con conseguenze positive sulla salute e sull’ambiente. Nel nostro Gas abbiamo organizzato corsi di alimentazione conl’Istituto dei tumori di Milano. Molti hanno modificato i propri comportamenti.

LAURA NORBIS, gasista e coordinatrice della Rete Gas di BergamoFar parte di un Gas, per me, ha significato entrare in una rete di relazioni checonsentono innanzitutto di acquistare prodotti con un valore che supera quello di semplice merce: sono buoni, hanno una storia da raccontare, non creanoingiustizie etico-sociali e promuovono la creazione di lavoro equo, legale, per i giovanie che rispetta l’ambiente. Osservi la realtà in modo diverso, con un approccio piùcritico rispetto a comportamenti prima abituali. Ho imparato quanto siamo pilotatinei nostri acquisti al supermercato, e oggi mi sento molto più libera.

E l’aspetto del risparmio? La spinta iniziale di solito non viene dalla volontà di risparmiare, bensì dalla ricerca di prodotti di qualità migliore. Per quanto riguarda però il biologico, il fatto di esserein gruppo e di comprare grandi quantità poche volte l’anno aiuta a risparmiare.

Perché acquistare attraverso il Gas una bottiglia di succo a 6 euro invece che a 1 euro e mezzo al supermercato?So come nasce il prezzo di 6 euro. So che una quota va al produttore, che paga i suoilavoratori che so essere in regola, e che coltiva un campo biologico, quindi senzaforzare la produzione e perciò con una resa inferiore; so che una quota di quel prezzosostiene altri progetti di carattere sociale sul territorio; so che il trasportatore halavorato il numero di ore corretto e non ha compiuto percorsi aggiuntivi; e so che tuttiquesti dati sono trasparenti e che su alcuni posso intervenire. Quindi mi chiedo: a scapito di chi o di cosa va il prezzo inferiore del supermercato?

LA VOCE DEI GAS

SITI INTERNET

www.unibg.it/coreswww.cittadinanzasostenibile.itwww.retecosol.org

Page 51: Mensile Valori n. 109 2013

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 51 |

| economiasolidale | made in italy a rischio/puntata 4 |

Più che una filiera in crisi rischiadi passare alla storia come una“filiera mancata” quella che riu-

nisce le aziende del comparto legno inItalia. Un settore complesso, che dallamateria prima arriva fino al prodotto fi-nito. Un vero tesoro nascosto che po-trebbe fare la fortuna di molte comunitàlocali e dare concretezza al concetto,troppo spesso vago, di sviluppo sosteni-bile. E invece il comparto rimane sotto-valutato e parcellizzato in migliaia dimicroimprese che, soprattutto in mo-menti di difficoltà, non riescono a regge-re la concorrenza internazionale.

Realtà diverse ma tutte in calo«Quando si parla di filiera legno – preci-sa Andrea Sartirani, vicepresidente delgruppo lavorazione legno di Federlegno –si riuniscono realtà molto diverse tra lo-ro». Si parte dalla gestione forestale, perpassare alle attività di raccolta, alla pri-ma trasformazione in semilavorati o ma-teriali per edilizia e imballaggi, fino adarrivare a una seconda fase che racchiu-de i prodotti finiti. Della filiera fanno og-gi parte oltre 35 mila imprese che dannolavoro a poco più di 150 mila persone. Ci-

fre che salgono rispettivamente a 80 mi-la e quasi mezzo milione di unità se algruppo si aggiungono le realtà operantinel settore carta e arredamento. Nono-stante le differenze interne, i dati con-fermano che, soprattutto per le primefasi della filiera, i problemi non mancano.E i principali indicatori, se prendiamo ariferimento l’ultimo quinquennio, han-no davanti a sé – tutti, nessuno escluso –

il segno meno (vedi a pag. 52): -40%il fatturato alla produzione, -5% le espor-tazioni, -45% il consumo interno, -17% gliaddetti, -10% il numero di imprese. Unquadro nero, che, secondo gli operatori,proseguirà anche nel 2013: a gennaioscorso il 60% delle imprese dichiaravaordinativi ancora in flessione, stagna-zione per un altro 30%, crescita solo peril 10% delle realtà produttive.

TABELLA

Il legno tricolores’è perso nel boscodiEmanuele Isonio

Negli ultimi cinque anni, hannochiuso 10 mila aziende e sonosfumati 30 mila posti di lavoro.Intanto in Italia le aree boschivecrescono inutilizzate.Danneggiando l’economia, le opportunità di sviluppo delle comunità locali e l’ambiente

I risultati che si potrebberoottenere se le aziende del settorelegno riuscissero a fare sistemahanno avuto un esempio concreto a Finale Emilia, uno dei comuni piùcolpiti dal terremoto del 20 e 29maggio dell’anno scorso. Per garantire una nuova scuola al Paese, alcune aziende di FederlegnoArredo hanno lanciatoun’idea: unirsi per costruire un nuovocomplesso scolastico di 1.600 metriquadri che ospiterà 240 bambinidivisi in due sezioni di nido e sei di scuola materna. Una strutturarealizzata interamente in legno,ecologica, antisismica, a elevatorisparmio energetico, che coniuga trediversi metodi costruttivi.

Il progetto è stato reso possibile perché ogni realtà ha contribuito secondo la propriacompetenza: dalle fondamenta, ai pilastri, ai pannelli per le pareti, alle travi per la copertura, fino ai pannelli fotovoltaici per l’energia elettrica e gli inverter per il condizionamento. «Sono orgoglioso di questa iniziativa – commenta il presidente di FederlegnoArredo Roberto Snaidero – perché è una grandetestimonianza del fatto che il nostro “fare impresa” ha sempre come prospettiva il bene comune e lo sviluppo del nostro Paese».

NELL’EMILIA POST SISMA UN ESEMPIO DI UNIONE CHE FA LA FORZA

Page 52: Mensile Valori n. 109 2013

I molti padri di una sconfittaLe sconfitte, soprattutto in Italia, sonospesso orfane di padre. Mai come in que-sto caso però nessuno pare esente dacolpe. «I nostri imprenditori – spiegaSartirani – continuano a vedersi recipro-camente come una minaccia anzichésviluppare forme di collaborazione».Tante microimprese malate di indivi-dualismo e diffidenza, con una media diquattro dipendenti ciascuna, troppo pic-cole per fare investimenti in ricerca esviluppo o per accedere al credito. «Adesse si aggiungono enti pubblici spessoincapaci di valorizzare il patrimonio na-zionale o stimolare gli acquisti di pro-dotti locali; il sistema bancario poi nonpremia i progetti migliori, ma si preoc-cupa solo di avere garanzie di natura pa-trimoniale; i professionisti del settoreedile il più delle volte non conoscono ivantaggi del legno rispetto ad altri ma-teriali e di conseguenza non lo consiglia-no ai consumatori, che a loro volta sonospesso disattenti». Una sintesi spietata,ma lucida. Che, senza correttivi rapidi,porta a una conseguenza inevitabile:perdita di maestranze locali qualificate,diminuzione della nostra competitivitàinternazionale, ulteriore diminuzionedella ricchezza in territori in cui gli albe-ri hanno rappresentato nei secoli scorsi

una risorsa di vita oltre che un patrimo-nio ambientale da difendere.

I boschi crescono… inutilizzatiA questo si aggiunge un paradosso: i 2/3del fabbisogno della nostra filiera le-gno-arredo sono garantiti dalle impor-tazioni. Un fenomeno assurdose si pensa che – come rive-

la il Piano della filiera legno 2012-2014elaborato dal ministero delle Politicheagricole – «più di un terzo del territorionazionale è ricoperto da boschi e nell’ul-timo secolo si è assistito a un aumentodella superficie». Detto in parole povere:negli ultimi cento anni – secondo i datiInea (Istituto nazionale di Economiaagraria) – i boschi italiani hanno raddop-piato la loro estensione, soprattutto acausa dell’abbandono di terreni agricoli.

Ma al tempo stesso non sfruttiamouna materia prima preziosa che abbia-mo in casa. «Il livello di prelievo delle fo-reste italiane – si legge nel rapporto delMipaf – risulta uno dei più bassi dellaUe, con un ammontare annuo pari alla

metà di quello di Francia, Spa-

| economiasolidale |

| 52 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Legno-Edilizia [valori in milioni di euro a prezzi correnti] 2007 2008 2009 2010 2011 2012* 2013*

Fatturato alla produzione (a) 16.001 14.796 11.924 12.195 11.814 10.308 9.545

Esportazioni (b) 2.022 1.878 1.430 1.624 1.863 1.928 2.049

Importazioni (c)** 2.433 2.101 1.608 1.949 2.003 1.751 1.628

Saldo (b - c) -411 -223 -178 -326 -141 177 421

Consumo interno apparente (a-b+c) 16.412 15.018 12.103 12.520 11.955 10.131 9.124

Export/fatturato (% b/a) 12,6% 12,7% 12,0% 13,3% 15,8% 18,7% 21,5%

Addetti 182.408 181.105 169.736 167.190 163.680 159.424 151.134

Imprese 44.045 42.723 41.557 40.407 39.765 38.209 35.220

Le aziende italiane importanooltre il 60% della materiaprima. Ma al tempo stesso il nostro patrimonio boschivoaumenta di superficie: +100%in un secolo. La presenza diproprietà troppo piccole nonne facilita lo sfruttamento

200 1200 2200 3200 4200

CiproBulgaria

SlovacchiaItalia

RomaniaLituania

UngheriaPolonia

Repubblica CecaOlanda

DanimarcaLettoniaSpagnaIrlanda

GermaniaGran Bretagna

SloveniaBelgio

PortogalloEstoniaFranciaAustria

FinlandiaSvezia

SUPERFICIE FORESTALE:+100% IN UN SECOLO

FONTE: INVENTARIO NAZIONALE DELLE FORESTE E DEISERBATORI FORESTALI DI CARBONIO, 2005

LA PRODUTTIVITÀ DEI BOSCHI ITALIANI (M3 DI LEGNO/PERSONE PER ANNO)

FONTE: C

ONFE

RENZA IN

TERMINISTERIALE

SULL

A PROTEZIONE

DELL

E FORESTE IN

EUROPA

(MCPFE

2007) SU DATI FAO 2006

* PRE-CONSUNTIVI ELABORATI A NOVEMBRE 2012. * PROIEZIONI ELABORATE A MARZO 2013. ** ESCLUSO COMMERCIO DI TRONCHI E SEGATICOMPRENDE: SISTEMA PRIME LAVORAZIONI DEL LEGNO, SISTEMA PANNELLI, SISTEMA SEMILAVORATI PER ARREDI, SISTEMA IMBALLAGGI E SISTEMA EDILIZIA ARREDOFONTE: CENTRO STUDI COSMIT/FEDERLEGNOARREDO

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gna e Portogallo (4 mc/ettaro/anno) e no-tevolmente inferiore rispetto a Germa-nia e Gran Bretagna (5,5 mc/ettaro/an-no)». Motivo? «Le proprietà forestalisono spesso troppo piccole (in media ap-pena tre ettari)», spiega Filippo Brun, do-cente di Politica ed economia montanaall’università di Torino. «C’è una carenzadi infrastrutture che rende complicatoprelevare il legname, situazioni geografi-che difficili, una scarsità di investimentiche rende la produttività della manodo-pera più bassa che altrove. Tutti fattoriche riducono la remunerazione e quindila possibilità di sviluppo». La conseguen-za per le aziende di trasformazione è fa-cilmente immaginabile: «Con materialelegnoso disomogeneo, forniture discon-tinue e in limitate quantità – prosegue ilrapporto Mipaf – le industrie italianenon riescono a massimizzare il profitto.Nella maggior parte dei casi trovanoquindi più conveniente l’approvvigiona-mento all’estero senza che vi sia una va-lorizzazione del made in Italy».

Al danno economico si associa quelloambientale. Perché senza l’interventodell’uomo il rischio di dissesto idrogeolo-gico cresce a dismisura. Da qui un appel-lo: «Difficile superare questi ostacoli – prosegue Brun – senza un interventopubblico». Idea condivisa da Diego Flo-rian, segretario generale dell’Fsc Italia(uno dei due schemi di certificazione fo-restale sostenibile): «Dobbiamo prende-re seriamente in considerazione l’ipotesidi obbligare alla gestione attiva i pro-prietari forestali». Un’esigenza sentita econdivisa dagli addetti ai lavori ma chelascia fredda l’opinione pubblica: «i cit-tadini – commenta Sartirani – sono an-cora convinti che tagliare un alberoequivalga a un assassinio. Al contrario,gestire bene i boschi significa aiutare siale aziende che possono approvvigionarsiusando materiale del proprio territorioevitando così la dipendenza dall’estero,le comunità locali che possono costruirenuove opportunità di lavoro, l’ambienteperché si evitano disastri naturali concui dobbiamo convivere praticamente aogni pioggia». Una strategia in cui tuttipotrebbero vincere. Che per una voltacresce davvero sotto gli alberi.

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| economiasolidale |

Q uando è entrata in vigore, il 3 marzo scorso, è stata salutata da più parti co-me una rivoluzione. In effetti di motivi per rallegrarsi dell’introduzione delregolamento europeo 995/2010 (meglio noto come Eutr o Regolamento le-

gno) ce ne sono: la norma comunitaria impone agli operatori che importano legnameestero di verificare la validità dei documenti che attestano l’origine legale del mate-riale che comprano (la cosiddetta “due diligence”). Chi commercia il prodotto dovràpoi conservare per cinque anni i registri con i nomi di fornitori e clienti. Obiettivo:garantire che l’intero processo di acquisto sia tracciabile e conformità alla legge vi-gente nel luogo di produzione.

La preoccupazione delle istituzioni europee è comprensibile: una relazione delParlamento europeo, nel 2010, ha rivelato che almeno il 20% del legname commer-cializzato all’interno dei confini della Ue proveniva da fonti illegali. Un problema chedovrebbe essere assai sentito in Italia: il nostro Paese è infatti il 4° importatore mon-diale di legno di pregio, il primo per legno a scopi energetici. E il legname è la terza vo-ce di importazione dopo petrolio e carne.

Ma i rischi che tutto si risolva in ulteriore burocrazia per chi già rispetta le rego-le e non serva invece a debellare il fenomeno è concreto: «per chi lavora con materieprime provenienti da Est Europa, Asia e Africa con la due diligence cambierà molto»spiega Andrea Sartirani di Federlegno. «Ma se le nuove norme non saranno affian-cate da sanzioni e controlli si tradurranno solo in altri costi per chi è già in regola».L’Italia come spesso le accade è in ritardo su questo fronte: il sistema sanzionatorionazionale non è finora stato approvato e comunque dovrebbe limitarsi a prevederemulte pecuniarie in proporzione alla quantità di legno immesso sul mercato.

Due diligence e certificazioni:per un legno legalediEmanuele Isonio

Da marzo chi importa legname deve verificarne l’origine e il rispetto delle regole. Un passo avanti per il futuro. Ma intanto gli standard Fsc e Pefcgarantiscono la corretta gestione del patrimonio forestale

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Certificazione, due schemi sono troppi?Lo strumento che invece si è finora dimo-strato più efficace a garantire l’effettivagestione virtuosa del patrimonio boschi-vo e la diffusione di prodotti legnosi diorigine certa è la certificazione forestale.Due gli standard che si dividono il merca-to: il Pefc (Programme for the Endorse-ment of Forest Certification schemes) el’Fsc (Forest Stewardship Council). Un’op-portunità anche per i consumatori, chepossono scegliere prodotti di sicura pro-venienza e tracciabilità. Ma la consapevo-lezza negli acquisti, soprattutto in Italia, èancora ai primi passi. Qualche dato: le su-perfici boschive certificate sono appena il9,2% del totale (il 94% di queste è certifi-cato Pefc, il 2% Fsc e il 4% rispetta en-trambi gli schemi). Se si passa dalle fore-ste alle aziende della filiera il discorso noncambia: appena il 2% dei circa 80 mila ope-

ratori ha deciso di certificarsi. Il trend èfortunatamente in crescita («300 nuoveaziende fanno questa scelta ogni anno» ri-vela Diego Florian, segretario generaleFsc Italia), ma per ora le realtà virtuose ri-mangono una goccia nell’oceano. Colpasenza dubbio di una scarsa lungimiranzadi molti operatori e della disattenzionedei clienti finali («questo tipo di certifica-zione – spiega Filippo Brun, docente di Po-litica ed economia montana all’universitàdi Torino – dovrebbe reggersi sulla do-manda, che in Italia ancora non c’è»). Aquesto si aggiunge un diffuso disinteres-se degli enti statali a incentivare questotipo di produzioni: «Un peccato – com-menta Antonio Brunori, segretario gene-rale del Pefc Italia – perché gli acquisti dibeni da parte del settore pubblico incido-no per il 17% del Pil. Potrebbero trasfor-marsi in un traino eccezionale per il mer-cato di prodotti certificati».

A rallentare il processo di certifica-zione incide probabilmente anche lapresenza di due schemi differenti. Al-meno di questo si lamentano vari ad-detti ai lavori: «seguire due certifica -zioni significa un aggravio di costi edifficoltà tecniche» spiega Sartirani diFederlegno. «Il giorno che si riuscirà adarrivare a un mutuo riconoscimentodei due schemi di certificazione l’interosettore ne gioverà. Le aziende che eranoin dubbio, saranno incentivate a certifi-carsi». Sulla stessa linea Filippo Brun:«Spiace molto che ci sia scarsa collabo-razione tra i due sistemi anche perchésono equivalenti, come sottolineato, giànel 2006, da una risoluzione dell’Euro-parlamento. Chi riuscirà ad avviare unconfronto tra le due organizzazioniavrà fatto un favore all’ambiente e al-l’uso responsabile delle nostre risorseboschive».

di Emanuele Isonio

La certificazione forestale è uno strumento di garanzia peril consumatore sulla provenienza dei prodotti acquistati. Ma i casi di violazione del marchio non sono rari

Le aziende che hanno sposato la via della certificazione e dellalegalità, nel nostro Paese, non devono solo confrontarsi con unaburocrazia complicata e con un settore pubblico che ancora pocoagevola la diffusione della gestione forestale sostenibile. Devono (purtroppo) guardarsi anche da concorrenti disonesti chevendono prodotti falsamente certificati. Un esempio di cui chiscrive è stato suo malgrado testimone: Lauro Parati è un produttore di parquet che, sul sito disegnarecasa.com,pubblicizza pavimenti di legno in vendita diretta. Non solo: nellesue pagine web, in un italiano a dire il vero non proprioimpeccabile, dichiara di vendere parquet rispettoso dell’ambiente.Con tanto di logo Pefc (come si vede nell’ qui accanto),corredato dal codice 04-31-1052 (ogni azienda ha una sorta ditarga che la identifica). Un’ottima soluzione per chi vuole avere unrapporto diretto con il produttore, saltando i passaggi diintermediazione, con un occhio anche alla tutela ambientale. Ma auna verifica più approfondita, la realtà risulta essere ben diversa. «Il codice 04 appartiene a un’azienda tedesca – rivela Antonio

Brunori, segretario generale Pefc Italia – che non è più certificatadall’agosto 2011. La Lauro Parati non è certificata Pefc. Anzi ha adoperato illegalmente un logo che non esiste più in circolazione». In pratica, «una violazione del marchio, contro la quale – annuncia Brunori – avvieremo un’azione di denuncia e di richiesta danni». Abbiamo chiesto chiarimenti all’azienda inquestione che ha preferito non replicare. Al di là del caso singolo, però, il fenomeno è tutt’altro chemarginale. «Purtroppo è all’ordine del giorno» ammette DiegoFlorian, segretario generale Fsc Italia. «Una concorrenza slealeper le aziende virtuose e soprattutto un danno di immagine pertutto il mondo della certificazione contro il quale i consumatoridevono tenere gli occhi aperti». Come? Esigendo di ricevere la certificazione del materiale primadi effettuare qualsiasi pagamento. E, in caso di dubbi, verificandola correttezza del codice attribuito all’azienda sul sito delloschema di certificazione (fsc-italia.it e pefc.it).

IMMAGINE

I furbetti della filiera legno.«Siamo certificati». Ma non è vero

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| consumiditerritorio |

lo stesso peso simbolico, sia per gli eu-ropei che per gli statunitensi.

Questa valenza la bevanda colormoka l’ha conquistata seguendo l’ar-mata americana sui fronti della secon-da guerra mondiale. Il sociologo Jean-Pierre Keller nel suo Il mito Coca-Colaracconta il doppio sbarco degli alleati,spiegando la portata strategica dellasua produzione che, durante la guerra,non ha mai subito nessun razionamen-to dello zucchero. Inoltre «la societàpuò trasportare gratuitamente sullenavi militari la maggior parte degli im-pianti di imbottigliamento che mon-terà poi in Europa e negli altri teatri d’o-perazione. Non meno di 64 fabbricheverranno così scortate oltremare».

Quando alla fine del conflitto, diceKeller, «la maggior parte delle truppeamericane vengono rimpatriate, la Co-ca-Cola resta, per così dire, sul campo»:mentre Hiroshima e Nagasaki aveva-no appena subito il bombardamentonucleare, sei fabbriche di imbottiglia-mento smontate attendevano al largodelle coste giapponesi di poter scarica-re i macchinari.

L’esperimento di sbarco con spon-sor ha dato un tale risultato economi-co e di colonizzazione culturale, da es-sere poi replicato in ogni operazione di“esportazione della democrazia” com-

piuta dagli Stati Uniti; per cui la Coca-Cola ha stabilimenti di produzione inVietnam, dove al momento è in osser-vazione per sospetta frode fiscale.

Come tutte le multinazionali anchela Coca-Cola ha una lunga lista di causeintentate nei suoi confronti. A parte leaccuse di Coca-colonizzazione cultura-le per aver fatto diventare americanoanche Babbo Natale, Wikipedia ricordaun’indagine inquietante, che forma uncortocircuito con la storia oscura d’Ita-lia: «Dal 2000 la filiale italiana della Co-ca-Cola Company avrebbe fatto riferi-mento a una società di investigazione diFirenze, la Polis d’Istinto, per far pedi-nare e controllare un proprio dirigen-te». Sul dirigente viene fabbricato undossier, contenente false accuse di pe-dofilia, di cui si viene a conoscenza per-ché finisce nello scandalo delle intercet-tazioni Telecom-Sismi del 2006.

Ma quanto pesa il marchio bianco erosso in Italia? La società ha pubblicatolo scorso giugno la sua valutazione sudati dell’esercizio 2010, in cui sottolineapiù volte che è «un’impresa prevalente-mente locale», arrivando a queste con-clusioni: il suo peso è lo 0,21% del Pil ita-liano con 3,163 milioni di euro di valoreaggiunto, 45.300 posti di lavoro che rap-presentano lo 0,18% del totale della for-za lavoro nazionale e 1.251 milioni di eu-ro versati sotto forma di tasse.

Lo studio analizza l’impatto com-plessivo del mondo Coca-Cola in Italia,dove opera dal 1927. In particolare, sisofferma sulla qustione occupazionale:i dipendenti diretti sono 3.300 «mentrel’impatto occupazionale diretto e indi-retto è pari a circa 45.300 posti di lavo-ro». In pratica «ad ogni posto di lavorodiretto corrispondono 13 posti di lavoroindiretti». Se si prendono poi in conside-razione «anche gli stipendi percepiti chevengono spesi in consumi (l’impatto in-dotto) gli effetti aggiuntivi si traduconoin ulteriori 14.400 posti di lavoro».

Ma quanto pesano, in base a questimoltiplicatori, i 350 esuberi annunciati5 mesi dopo questa pubblicazione a fa-vore della sede di Sòfia (Bulgaria), «do-ve il costo del lavoro è molto più bassoche in Italia» come recita il comunicatodell’azienda?

La Coca-colonizzazioneLo 0,21% del Pil italianoè fatto di bollicine

diPaola Baiocchi

Èuno dei prodotti che vanta la maggiore riconoscibilità al mondo: ba-sta vedere la silhouette della bottiglietta oppure un pezzettino dell’a-rabesco della scritta Coca-Cola, per associarla alla bibita gassata pro-

dotta ad Atlanta. Altrettanto immediata è l’associazione con gli Stati Uniti e,più precisamente, con la bandiera a stelle e strisce: un binomio che ha quasi

La bevanda è in Italia da quasi un secolo: una storiadi guerre, lavoro e scandali

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Fotovoltaico cinese al bivio > 59Tutti flessibili, anzi no > 61Turchia. Alle porte dell’Europa > 64

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| il lato oscuro del solare |

sul sole made in China

Nuvoleitaliane

Ventimila addetti in tutto il mondo, con sediin Cina, Svizzera e Usa, Suntech ha annunciatolo scorso 20 marzo il fallimento della suaprincipale controllata, la Wuxi Suntech Power.Nel 2010 c’era stato l’accordo tra l’allora premierSilvio Berlusconi e il suo omologo cinese, WenJiabao, per sbloccare circa 2,5 miliardi di eurodi capitali cinesi in Italia. Un terzo della somma,800 milioni, destinati allo sviluppodel fotovoltaico nel nostro Sud.

Suntech per anni è stata l’azienda-simbolo dello strapotere della Cina nel mercato del fotovoltaico.

Lo scorso 20 marzo, dunque, non è statosolo il giorno della clamorosa bancarottadella sua principale controllata WuxiSuntech Power. È stato anche il giorno incui l’intero settore è stato obbligato a fa-re i conti con gli interrogativi che si affac-ciano sul suo futuro. Ma può stupire il fat-to che le traversie del colosso asiaticoarrivino, in parte, anche dal nostro Paese.Per la precisione, dal sole del Salento.

Dietro il fallimento che ha colpito il colosso del fotovoltaico Suntech,c’è anche lo zampino dellacriminalità organizzata italiana.Tra aziende sotto inchiesta e Bund falsi

diValentina Neri

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| internazionale |

I numeri del disastroFacciamo un passo indietro. Con sedi inCina, Svizzera e Usa, Suntech consegnaogni anno più di 25 milioni di pannelli fo-tovoltaici in un’ottantina di Paesi e im-piega ventimila persone, la metà dellequali nella città di Wuxi. A dicembre del2007 – riporta il Financial Times – la suacapitalizzazione era di 15,3 miliardi e isuoi titoli erano quotati a più di 85 dolla-ri. Mentre scriviamo questo numero diValori, sono scesi sotto i 40 centesimi. Undeclino vertiginoso, culminato quando,due giorni prima del fallimento, ha an-nunciato l’insolvenza di un pacchetto diobbligazioni in scadenza il 15 marzo, paria 541 milioni di dollari.

L’azienda nel 2010 incassava un utilenetto di 237,9 milioni di dollari, per poichiudere l’anno successivo con una perdi-ta di oltre un miliardo. E, secondo Reuters,alla fine di marzo del 2012 aveva un debi-to totale di 2,2 miliardi. In questa cifra bi-sogna contare anche i prestiti (stimati in1,44 miliardi) ricevuti dalle banche cinesi e i 50 milioni forniti da International Finance Corp, che dipende dalla Bancamondiale. Istituti che, dunque, ora risul-tano pericolosamente esposti. Così cometutti coloro che si trovano in mano le ob-bligazioni dell’azienda.

Brusco risveglio nel BelpaeseLa storia di Suntech si incrocia con quel-la del nostro Paese nel mese di ottobredel 2010, con l’incontro fra l’allora pre-mier italiano Silvio Berlusconi e il suoomologo cinese Wen Jiabao, che sbloccacirca 2,5 miliardi di euro di capitali cinesiin Italia. Un terzo della somma, pari a800 milioni, è destinato allo sviluppo delfotovoltaico nel Sud. A questo punto en-tra in gioco Suntech: perché gli investi-menti sono effettuati tramite il GlobalSolar Fund, un fondo con sede in Lus-semburgo, gestito da Suntech con i capi-tali di China Development Bank. Il fondonei mesi successivi compra una serie disocietà che operano nelle province diLecce e Brindisi, ciascuna con una man-ciata di progetti già attivi.

Ma lo scorso anno cinque di questesocietà finiscono nel mirino della procu-ra di Brindisi. Stando agli inquirenti, al-

cuni campi fotovoltaici sarebbero stati“spezzettati” in tanti impianti inferiori almegawatt, in modo tale da poter presen-tare soltanto la Dichiarazione di inizioattività, senza dover sottostare al proce-dimento necessario per gli impianti piùgrandi, molto più complesso e rigoroso,che richiede anche l’Autorizzazione uni-ca e la Valutazione di impatto ambienta-le. Per giunta, stando all’accusa, il GlobalSolar Fund avrebbe anche annunciatoprima del dovuto di aver portato a ter-mine la costruzione di determinati im-pianti, al fine di rientrare nelle scadenzenecessarie per accedere agli incentivi.

Ma i guai del colosso asiatico non fi-niscono qui. Suntech era già stata co-stretta a intervenire di tasca propria con500 mila euro di acconto sugli stipendinon pagati di 400 lavoratori di Tecnova,un’azienda alla quale erano stati subap-paltati da società terze i lavori in Puglia,travolta da una serie di denunce per lecondizioni di lavoro massacranti allequali sarebbero stati costretti gli operai,soprattutto stranieri senza permesso disoggiorno.

Una manciata di Bund… falsiLe disavventure italiane di Suntech rag-giungono il culmine il 30 luglio 2011. Chi-na Development Bank aveva, infatti,stanziato i capitali per gli investimentiin Puglia e Sicilia tramite il fondo SolarPuglia II, controllato all’80% proprio daGlobal Solar Fund. A garanzia del presti-to la banca aveva accettato titoli di Sta-to tedeschi per un controvalore di 560milioni di euro. Ma quei Bund erano fal-si. Suntech, che si è sempre dichiaratavittima della truffa, ha avviato un’inda-gine interna puntando il dito sullo spa-gnolo Javier Romero, manager del fon-do. E, dopo lo scoppio dello scandalo, si ètrovata a dover acquisire il controllocompleto del Global Solar Fund. La que-

stione è ancora tutta da chiarire. Quelche è certo è che, a seguito dell’annuncio,le sue azioni hanno perso il 40% del lorovalore in una settimana.

Fin dal 2009 – riportano le fonti distampa – il fondo di private equity italo-cinese Mandarin Capital Partners avevalanciato ripetuti avvertimenti a ChinaDevelopment Bank. A detta degli anali-sti, investire in Italia era rischioso per-ché il settore delle rinnovabili risultavaminacciato da frodi e irregolarità. E ingioco c’era un progetto che, nelle paroledel direttore di Mandarin, era «faraoni-co» e «completamente irrealizzabile».Questi allarmi, che all’epoca erano rima-sti inascoltati, ora non possono che sal-tare all’occhio. Da un lato, è impossibilestabilire un rapporto di causa-effetto.Né tantomeno si può ipotizzare che Sun-tech fosse in grado di prevedere i proble-mi in cui sarebbero incappate alcune so-cietà acquisite dal Global Solar Fund,tuttora al vaglio degli inquirenti. Ma,dall’altro lato, è vero che il valore delleoperazioni di Suntech in Italia, così pe-santemente compromesse, è molto vici-no a quello del rosso che ha portato il co-losso cinese al fallimento.

Vicini alla nazionalizzazioneMentre questo numero di Valori va instampa, il destino di Suntech è ancora dascrivere. Nazionalizzazione? Fusione?Per ora è noto solo che, poco prima deldefault, la società ha estromesso dallapresidenza il fondatore Shi Zhengrong,che ancora ne detiene il 30% e si è vistovietare di uscire dai confini cinesi. È sta-to inoltre nominato nel board WeipingZhou, fino ad allora presidente di Guo-lian Futures, una filiale del gruppo pub-blico Wuxi Guolian Development. C’è chidice, dunque, che il futuro di Suntech siaproprio quello di essere nazionalizzatadalla città di Wuxi. D’altra parte, ricordaReuters, non sarebbe la prima volta incui in Cina gli enti locali intervengonoper evitare tracolli che rischierebbero ditradursi in disordini sociali. Una circo-stanza che, nel settore delle rinnovabili,si è già verificata: è stato il caso di LDKSolar, Shanghai Chaori Solar e CNPV So-lar. E potrebbe concretizzarsi ancora.

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Difficile stabilire la causa,per ora, ma il valore delleoperazioni Suntech in Italiaè molto vicino a quellodel rosso che ha portato il colosso cinese al fallimento

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Nel settore delle energie pulite, iguai non coinvolgono solo Sun-tech. Stando ai dati di Maxim

Group, citati dal Wall Street Journal, idieci maggiori colossi cinesi del solareraggiungevano i 17,5 miliardi di dollari didebiti alla fine del primo trimestre del2012. Secondo GTM Research, circa 180aziende del fotovoltaico (54 delle qualisono cinesi) nel giro di tre anni sono de-stinate a chiudere o a essere acquisite.Ed entro il 2015 diremo addio a tre pro-duttori su dieci.

A dicembre – riporta il Wall StreetJournal – il Consiglio di Stato ha pro-messo di favorire fusioni e acquisizioniaffinché il settore delle rinnovabili si li-beri dei produttori non più in attivo,

concentrandosi su pochi colossi più so-lidi. Il New York Times riporta un’inter-vista rilasciata da Li Junfeng, per annidirettore generale delle politiche per l’e-nergia e il clima alla Commissione na-zionale per lo Sviluppo e le riforme.Un’intervista nella quale auspica che lebanche finanzino solo le società più forti,lasciando fallire le altre. Ma, secondo ilquotidiano newyorkese, gli istituti – chein certi casi sono stati incoraggiati a ero-gare i finanziamenti proprio dal gover-no – tenderanno piuttosto a sostenerleulteriormente per permettere loro dirimborsare i prestiti e non trovarsi som-mersi dai bad loans. E, stando a GTM Re-search, faranno lo stesso gli enti locali,«che Pechino lo approvi o meno».

Sovrapproduzione e concorrenzaLa strategia con cui la Cina ha sbara-gliato la concorrenza, in sintesi, sembravacillare. La domanda di pannelli solarie turbine eoliche cresce; ma la capacitàproduttiva cresce ancora più veloce-mente e non si riesce ad assorbirla. GTMResearch stima che nel 2012 la capacitàdelle aziende cinesi sia arrivata ai 50GW di pannelli. Ma il mercato domesti-co ne assorbe solo 4-5 GW e le esporta-zioni arrivano ad altri 18-19. Proprio persmaltire la sovrapproduzione si è scate-nata una guerra dei prezzi che ha porta-to risultati tangibili: stando all’agenziaBloomberg, il prezzo di una cella solarea ottobre del 2010 ammontava a 1,50 dol-lari a watt, mentre lo scorso 11 marzo eradi 38 centesimi. Il risultato è che que-st’anno, secondo il New York Times, imaggiori produttori cinesi devono fare iconti con un dollaro di perdite per ognitre dollari di vendite. E, se davvero i go-verni locali interverranno per non farli

Non solo Suntech:fotovoltaico cinese al biviodiValentina Neri

I prossimi mesi saranno decisivi nello sviluppo del fotovoltaico: i maggioriproduttori della Cina devono fare i conti con un dollaro di perdite ogni tredollari di vendite. Per superare lo sbilancio, dovuto anche ai dazi adottatidagli Usa, si prevedono nuove acquisizioni di società europee del solare

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chiudere, il problema della sovrappro-duzione rimarrà inalterato.

A minacciare le aziende sono anchele misure protezionistiche adottate inOccidente. Risale a un anno fa la sceltadel governo di Barack Obama di imporreun dazio sul fotovoltaico made in China.Ne ha fatto le spese anche un impiantodi Suntech in Arizona, costretto a chiu-dere dopo soli tre anni dopo essersi vistoimporre un dazio del 35,97% sulle celle diprovenienza asiatica. A Bruxelles, intan-to, si indaga sulle denunce per dumpinge concorrenza sleale depositate dall’as-sociazione Eu ProSun, che rappresental’industria solare del Vecchio Continen-te. Il 6 giugno arriveranno le prime deci-sioni ufficiali. Nel frattempo, a marzo laCommissione europea ha imposto la re-

gistrazione di tutti i pannelli e i compo-nenti provenienti dalla Cina. Una mano-vra che potrebbe aprire la strada a daziretroattivi.

Vicini a una guerra commercialeSono in molti ormai a ritenere che all’o-rizzonte ci sia qualcosa di molto simile auna guerra commerciale. E ci si chiede

quali saranno le contromosse dei colossiasiatici. Ad esempio, «acquisire una so-cietà europea – ha dichiarato l’analista diGTM Research Shyam Mehta, citato dalWall Street Journal – fornirebbe a un’a-zienda cinese una rotta per l’Europa pri-va di dazi doganali. A livello di bilancio lesocietà cinesi sono in crisi, ma posso fa-cilmente ipotizzare che un istituto comeChina Development Bank le possa fi-nanziare per un’acquisizione strategi-ca». China Development Bank d’altron-de ha già garantito una linea di creditoda un miliardo di dollari a JinkoSolarHoldings che vuole espandere la sua pre-senza estera. Anche Haenergy Groupnell’arco di pochi mesi ha assorbito la te-desca Solibro e la statunitense MiaSole.

I prossimi mesi, in sintesi, sarannocruciali per determinare lo sviluppo delfotovoltaico. In Cina e non solo. Gli in-vestitori – nota il Guardian – sono difronte a un bivio. Possono avere fidu-cia nel fatto che il crollo dei prezzi deipannelli, pur avendo compromesso co-sì pesantemente i profitti delle azien-de, viceversa possa allargare i confinidel mercato, innescando un circolo vir-tuoso. Oppure possono temere chequello di Suntech sia solo il primo capi-tolo di una serie di tracolli. E decidere diinvestire altrove. A quel punto, in giococi sarebbe molto di più del bilancio diun’azienda: a esserne coinvolti sareb-bero gli equilibri del mercato dell’ener-gia. E, con loro, le misure di contrasto alcambiamento climatico.

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IL TITOLO SUNTECH IN BORSA

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Entro il 2015 diremo addio a 3 produttori su 10. Circa180 imprese del fotovoltaico(54 cinesi) nel giro di tre annisono destinare a chiudere o a essere acquisite. Si delinea la formazione di pochi colossi

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| internazionale | lavoro a distanza |

«Personalmente non do unavalutazione positiva di que-sta decisione perché mi

sembra antistorica», così Francesco Pao-letti, professore associato di Organizza-zione aziendale all’università Bicocca diMilano, bolla la recente decisione di Ma-rissa Mayer, presidente e amministratoredelegato di Yahoo! da luglio scorso, di to-gliere ai dipendenti l’opportunità del tele-lavoro (home working). Secondo il Bureauof Labor Statistics il 24% dei lavoratoriamericani lavorerebbe da casa almeno perqualche ora ogni settimana e il 63% dei da-tori di lavoro sosteneva nel 2012 di averpermesso ai dipendenti di operare in re-moto (cioè a distanza, tramite una con-nessione telefonica). La decisione, improv-visa e contestatissima, della top managerpunta invece a invertire la rotta e sarebbeufficialmente nata dalla volontà di riavvi-cinare i lavoratori alla compagnia, ravvi-vando in loro entusiasmo e motivazione.

Anche i numeri contanoQuattordicimila dipendenti del colosso te-lematico avranno tempo fino a giugno2013 per riorganizzare le proprie vite e tor-nare a percorrere ogni giorno il consuetotragitto casa-ufficio, altrimenti rischianoil licenziamento. Ma la flessibilità, pana-

Tutti flessibili,anzi nodiCorrado Fontana

La nuova Ceo di Yahoo! Marissa Mayerha detto no al telelavoro: perseguireil mantra globale della flessibilitàfrenerebbe i piani di rilancio della compagnia. Ma se i risultatieconomici sembrano darle ragione, le motivazioni non convincono

Sheryl SandbergDopo quattro anni come Coo (Chief Operating Officer, cioè direttore operativo)di Facebook e, dopo aver traghettato la società attraverso una criticatissimaquotazione in Borsa da 100 miliardi di dollari, la Sandberg è entrata – primadonna – nel Consiglio di amministrazione della multinazionale di Zuckerberg a giugno 2012. È proprietaria di quasi 1 miliardo di dollari di stock optionsdell’azienda. È diventata un modello di riferimento per le donne che sperano di conciliare l’ambizione a un lavoro di alto profilo con la maternità.

Virginia “Ginny” RomettyNel mese di ottobre, con oltre 30 anni di carriera in Ibm, è stata scelta qualeAmministratore delegato della compagnia, diventando la prima donna a guidareil gigante tecnologico fondato nel 1889. Nel suo primo anno comeAmministratore delegato sta attuando una strategia quinquennale per penetrare nuovi mercati come quelli del cloud computing e del businessanalytics software, puntando a far crescere il fatturato di 20 miliardi di dollarientro il 2015. In Ibm ha iniziato nel 1981 come ingegnere dei sistemi.

Ursula BurnsDa tre anni Amministratore delegato di Xerox Corporation, cerca di convertire il business della compagnia dalla vendita di stampanti e fotocopiatrici all’offertadi servizi (la gestione di transazioni sui biglietti elettronici, pedaggi e parchimetri già porta metà di tutte le entrate della società). Iniziò a lavorare in Xerox nel 1980, con uno stage estivo, ed è stata la prima donna di colore aguidare una grande compagnia americana.

Margaret “Meg” Cushing WhitmanÈ presidente e amministratore delegato di Hewlett-Packard. Ex dirigente di TheWalt Disney Company (vice presidente della pianificazione strategica nel 1980),DreamWorks, Procter & Gamble e Hasbro. Si candidò alle elezioni del 2010 perdiventare governatore della California. Sta affrontando una situazione difficilein Hewlett-Packard, con le azioni HP crollate del 25% nel 2012 anche per ampieresponsabilità della stessa Whitman, secondo Forbes.

Marissa MayerDopo 20 anni alle dipendenze di Google, e un master in informatica presso la Stanford University, a luglio scorso è diventata il nuovo Amministratoredelegato di Yahoo!. Ha dichiarato di voler spingere nell’offerta in franchising di servizi di posta elettronica, finanza e sport. Nel 2012 aveva solo 37 anni ed era una delle donne più giovani della classifica di Forbes. Nello stesso annoentrava nel suo primo Cda: quello della più ricca multinazionale del mondo (vedi Valori di aprile), Walmart.

LE 5 DONNE PIÙ POTENTI DELL’HI-TECH DEL 2012U

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| internazionale |

cea di tutti i mali, dove è finita? Forse tral’incudine di un titolo azionario da anni indifficoltà – specie in confronto con il com-petitor di un tempo Google – e il martellodella Mayer che avrebbe dichiarato: «Al-cune delle migliori decisioni e intuizioniprovengono dalle discussioni in corridoioe caffetteria, dalla possibilità di conoscerenuove persone e dalle riunioni in team im-provvisati». Ma a spingere per un repenti-no cambio di politica organizzativa conta

ancor di più un problema effettivo di pro-duttività: secondo quanto rilevava Forbesa fine febbraio i 53.861 dipendenti di Goo-gle generavano 931.657 dollari di introitiper ogni addetto, il 170% in più rispetto ai344.758 dollari di un dipendente Yahoo!.Una differenza imbarazzante che avrebbeindotto la decisione del quinto diversoCeo della compagnia nel giro di 4 anni.

E in soccorso della Mayer, neomam-ma, nota per essersi attrezzata una nur-

sery completa proprio accanto all’ufficio,da un lato corrono alcuni studi che so-stengono come il telelavoratore sia sì piùproduttivo, ma meno innovativo, dall’al-tro persino Bank of America, che, dopoaver promosso un importante program-ma interno per il lavoro in remoto, nel 2012ha chiesto di tornare in ufficio ai lavora-tori che ricoprono certi ruoli strategici.

Va poi detto che i conti di Yahoo! stan-no migliorando: nei due trimestri finali del2012 la performance economica ha battu-to le previsioni degli analisti e le azioni agennaio avevano guadagnato a WallStreet circa il 30% dalla metà dell’annoprecedente, sebbene gli utili netti dell’ulti-mo trimestre 2012 fossero scesi del 7,9%, a272,3 milioni di dollari.

Tele-bastone o tele-carotaC’è però da chiedersi se la decisione dellaMayer non miri anche a spingere qualcu-no a farsi da parte: «Riguardo Yahoo! – pro-segue Paoletti – non so se sia così, ma puòessere una spiegazione. Queste strategiesono state messe in atto anche in passa-to: in Ibm, nel 1992, quando ci fu una gran-de ristrutturazione e l’azienda dovette

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diCorrado Fontana

Anche le multinazionali italiane del settore Ict(Information and Communication Technology) impieganoda anni il telelavoro, ciascuna secondo proprie regoleinterne. Ecco cosa succede:

Microsoft Italia ha costruito il suonuovo campus di Segrate (Mi) come

ambiente di lavoro estremamente flessibile, dove le persone nonsono tenute a recarsi se non ritengono di averne la necessità enon hanno bisogno neanche di comunicarlo di volta in volta airesponsabili. Possono restare a casa e gestire i ritmi di lavoro inmodo auto-controllato o, se si recano in ufficio, prenotare l’uso dispazi dedicati a funzionalità diverse (ambienti con postazionifisse oppure sale silenziose dove concentrasi, sale riunioni). Il campus di Segrate di Microsoft usa il cosiddetto desk hoteling:

le persone non hanno fisicamente un loro tavolo di lavoropersonale, hanno degli armadietti e uno spazio per lasciare poche cose; se hanno bisogno di documenti fisici questi vengonoportati a richiesta da un apposito servizio che si occupadell’archivio.

Telecom Italia ha firmato un accordo coi sindacati cheprevede, nel 2014, l’utilizzo

graduale del telelavoro per 1.200 lavoratori oggi occupati in sedi dell’area commerciale che saranno chiuse. Un accordo per evitaretrasferimenti territoriali che, per i disagi che comporterebbe,inciderebbe in negativo sulla produttività, aumentando i tassi diassenteismo del personale. I sindacati hanno cercato di ovviare alrischio di “alienazione” di questi lavoratori prevedendo un rientroin azienda una volta al mese per partecipare a sessioni di aggiornamento professionale.

Così fan le multinazionali,anche in Italia

2000 2005 2010

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IL TITOLO YAHOO! IN BORSA

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24,20 10 aprile 22.00 GOOGYHOO NASDAQ

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lasciare a casa circa metà dei propri di-pendenti, una delle modalità utilizzatefu proprio l’imposizione del desk hote-ling (scrivanie a rotazione, ndr), per cuimolti che erano legati all’idea tradizio-nale di un proprio ufficio come spazio in-dividuale chiuso decisero che a quellecondizioni sarebbero andati a lavorarealtrove. E Yahoo!, per quanto ne so, nonnaviga in acque fantastiche, hanno pro-vato a venderla più volte».

Flessibilità croce e delizia, perciò, con-siderando pure che, ricorda Michele Az-zola, Segretario nazionale Slc-Cgil, «unalunga fase in cui il lavoratore può operareda casa, non partecipando alla vita azien-dale, non essendo direttamente coinvoltonelle sue evoluzioni, crea un distacco checomporta senz’altro minore motivazionee un depauperamento del know how del-la persona». Ma il telelavoro permette diconciliare meglio i tempi di vita, consentedi abbattere i costi e i rischi di trasferi-mento (il cosiddetto commuting) e di ri-sparmiare l’uso di risorse aziendali (spazi,energia, servizi).

E quanto possa “far bene” ai conti del-le imprese è certificato da uno studio del

febbraio scorso condotto dalla StanfordUniversity su un campione di 250 dipen-denti della società cinese Ctrip del settoreturistico (16 mila unità, quotata sull’indiceNasdaq). L’indagine rileva un aumentocomplessivo del 13% delle prestazioni perchi lavora a domicilio (+9% per minuti dilavoro in più rispetto al turno assegnato,al netto di pause e malattia, e +4% per mi-gliori prestazioni nell’unità di tempo), sen-za riscontrare ricadute negative per chi ri-mane in ufficio. I lavoratori a domicilioriferiscono inoltre di una maggior soddi-sfazione e presentano un tasso di abban-dono della postazione ridotto di oltre il50%. Insomma, la scelta della Mayer (amarzo 1,1 milioni di dollari di bonus), è dif-ficile ancora da valutare, ma vedremo pre-sto se farà tendenza.

| internazionale |

Alla Nokia Siemens Networksdi Cassina de’ Pecchi (Mi) hannoampliato il numero di dipendenticon possibilità di telelavoro nel2010, mentre erano in atto

agitazioni contro una pesante ristrutturazione aziendale. Le indicazioni al riguardo contemplavano il telelavoroesclusivamente nei weekend, nelle ore serali o durante gli scioperi, con ciò aprendo però la strada al successivo utilizzoregolamentato attraverso le policy già impiegate dai colleghi del Nord Europa: due giorni di home working al massimo persettimana, non consecutivi e non necessariamente fissi, a meno di particolari esigenze, concordati facendo richiesta ai propri dirigenti (circa 65 euro al bimestre il rimborso per pagarsi l’abbonamento internet/connessione da casa).Obiettivo della società: l’ulteriore evoluzione verso quello cheviene definito modern office, in parte già introdotto, ovveromantenere un 10-15% di postazioni fisse in meno rispetto alnumero dei dipendenti (la cosiddetta “scrivania a rotazione”).L’introduzione massiccia del telelavoro in Nokia è andata di paripasso con il venir meno della registrazione della presenzaquotidiana attraverso il badge e con la tendenza a rendere il tempo di lavoro una sorta di continuum scandito da obiettivi.

La cancellazione del reparto Ricerca e sviluppo, con l’espulsionedi centinaia di dipendenti, ha favorito l’introduzione del telelavoro,poco compatibile con le occupazioni che necessitano l’impiego di grandi attrezzature in laboratorio.

Alla Ibm adottano due formule: un telelavoro a regime (dal 2009),regolato dal contratto, che contemplaun minimo di 4 e un massimo di 20 giorni di telelavoro ogni

4 settimane, con due rientri al mese in azienda (anche quifortemente voluti dal sindacato), da concordare col proprio capodi linea. Oppure c’è il telelavoro occasionale (dal 2011: al massimo4 giorni al mese), che prevede una richiesta estemporanea daparte del lavoratore al proprio responsabile almeno un giornoprima della somministrazione. La società ha condotto una sperimentazione preventiva mettendoin telelavoro un intero gruppo di dipendenti, e oggi accoglie una commissione mista (tre delegati sindacali e tre aziendali) che si riunisce periodicamente per valutare l’andamento del telelavoro. Nel 2012 sono stati 100 sui 1.150 complessivi (oltre 800 in forze a Roma) i dipendenti Ibm in Italia (soprattuttoa Roma) che hanno utilizzato il telelavoro.

I TELELAVORIMEGLIO PAGATISECONDO FORBES (sett. 2011) 1 • Medici e radiologi che svolgono attività di “telemedicina”Guadagni settimanali medi: 1.975 dollari

2 • Ingegneri informatici che svolgonoconsulenza softwareGuadagni settimanali medi: 1.549 dollari

3 • Consulenti finanziariGuadagni settimanali medi: 1.227 dollari

4 • Insegnanti a distanzaGuadagni settimanali medi: 1.166 dollari

5 • Addetti alle ricerche di mercatoGuadagni settimanali medi: 1.162 dollari

6 • Infermieri/e che svolgono assistenzatelefonicaGuadagni settimanali medi: 1.055 dollari

7 • Specialisti in relazioni pubblicheGuadagni settimanali medi: 1.126 dollari

8 • Scrittori e autoriGuadagni settimanali medi: 987 dollari

9 • Consulenti fiscaliGuadagni settimanali medi: 1. 061 dollari

10 • Grafici e disegnatoriGuadagni settimanali medi: 890 dollari

Quattordicimila dipendentidi Yahoo! avranno tempofino a giugno 2013 perriorganizzare le proprie vitee tornare a percorrere il tragitto giornaliero casa-lavoro. Pena il licenziamento

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Con più di 74 milioni di abitanti, laTurchia potrebbe essere il Paeseeuropeo demograficamente più

importante dopo la Germania, mentredal punto di vista territoriale è grandeuna volta e mezza la Francia, il Paese piùesteso dell’Unione.

Queste due numeri, assieme ai datisulla crescita economica turca, galoppan-te da almeno dieci anni con ritmi asiati-ci che non risentono della crisi europea,ma soprattutto insieme al fatto che cir-ca il 98 per cento della sua popolazione èmusulmana sunnita, hanno messo instand by dal 2006 i negoziati sull’entratadella Turchia in Europa.

Perché con il suo ingresso nell’Unio-ne tutti i meccanismi di ponderazionedei voti in seno al Consiglio e la distribu-

zione dei seggi all’interno del Parlamen-to europeo dovrebbero essere rivisti,perché la collocherebbero quasi a parigrado con la Germania. E di fronte a unsimile gigante, in grado di esprimersi dauna posizione di forza, il baricentro cul-turale dell’Europa si troverebbe messoin discussione e sarebbe costretto adadattamenti che per il momento vengo-no rimandati.

Nel frattempo si richiede alla Tur-chia di soddisfare tutti i cosiddetti “cri-teri di Copenaghen”, che prevedono il ri-spetto di determinate condizioni, peresempio di essere una democrazia conistituzioni stabili, che rispetti i dirittiumani e le minoranze etniche. Ci vorràdel tempo, visto che la Turchia non hanessuna intenzione di rinunciare alla

sua presenza sulla metà dell’isola di Ci-pro, occupata militarmente nel 1974, e vi-sto che solo da poco si vedono degli spi-ragli nella questione curda (vedi ).

La distensione petrolifera tra turchi e curdiAlla metà di marzo otto militari turchi,ostaggi del Pkk, il Partito del lavoratori delKurdistan, sono stati liberati e consegnatiin Iraq a una delegazione guidata da duedeputati turco-curdi del Bdp, partito filo-curdo per la Pace e la democrazia. L’avve-nimento, considerato il primo atto di pacetra la Turchia e il Partito dei curdi turchi,è frutto di una serie di intensissimi con-tatti nel carcere di massima sicurezza del-l’isola di Imrali nel Mar di Marmara tra illeader del Pkk, Abdullah Ocalan, lì dete-nuto dal 1999, con dirigenti del Mit (il ser-vizio segreto di Ankara), con deputati tur-co-curdi del Bdp e altri emissari.

Alla consegna dei prigionieri ha fattoseguito il messaggio di Ocalan ai mili-

BOX

Ponte tra il Mediterraneo e l’Asia, la Turchia accresce di giorno in giorno il suo ruolo di potenza mediorientale, schierata con la Nato. Forte anche di una crescita economica galoppante che non risente della crisi europea

Alle portedell’EuropadiPaola Baiocchi

| internazionale | osservatorio medioriente/turchia |

| 64 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

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tanti di «abbandonare il territorio tur-co»e di «mettere fine alla lotta armata»letto alla folla di Diyarbakir, in piazza nelgiorno del Nevroz, il capodanno curdo.

Dietro a questa distensione, riportal’agenzia cattolica AsiaNews, c’è un ac-cordo petrolifero molto particolare, con-cluso tra il presidente curdo dell’Iraq Ja-lal Talabani e il presidente della regionedel Curdistan iracheno Massud Barzanicol governo di Erdoğan: dal Curdistaniracheno è iniziata l’esportazione direttadi greggio sui mercati mondiali attraver-so la Turchia. L’esportazione avviene almomento con camion, ed è considerataillegale da Baghdad, che accusa la Tur-chia di voler «creare una crisi irreparabi-le tra i due Paesi».

Il nuovo approvvigionamento è dop-piamente strategico per la Turchia: dauna parte le garantisce una nuova fonteproprio quando sono in crisi i suoi rap-porti con l’Iran a causa dell’appoggio delgoverno di Recep Erdoğan agli opposito-

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 65 |

| internazionale |

La Repubblica di Turchia è stata proclamata il 29 ottobre 1923 dal generaleMustafa Kemal dopo aver sconfitto i greci e riportato l’unità nei territori anatolicidello scomparso Impero Ottomano. Il governo autoritario di Kemal, poi onorato con il titolo di Atatürk il “Padre dei turchi”, ha introdotto ampie riforme di stampooccidentale: abolendo il califfato, istituendo il suffragio universale e la parità trai sessi, adottando l’alfabeto latino e codici ispirati al diritto svizzero e italiano.Il ruolo dei militari è previsto fin dalla Costituzione di Atatürk e continua ad esseredeterminante nella vita politica dello Stato. I golpe si sono susseguiti nel 1960, nel 1971 e nel 1980, quando le forze armate hanno sciolto le Camere, abrogato la Costituzione e formato un governo militare. La nuova Carta del 1982 ha ripristinatoil regime parlamentare, ma il controllo militare ha continuato ad essere forte. Nel 1997 l’esercito ha contribuito alle dimissioni dell’esecutivo e allo scioglimentodell’allora partito di governo ad orientamento islamico, con un’azione definita “colpodi Stato post moderno” perché incruenta. Un tentativo di golpe, invece, è statosventato nel 2010. La Turchia è intervenuta militarmente a Cipro nel 1974, contrastando la presenzagreca sull’isola, dove da allora agisce come Stato autoproclamato della “Repubblicaturca di Cipro del Nord”, che solo la Turchia riconosce. Dopo iniziali buoni rapporti con l’Unione sovietica, che aveva dato il suo sostegno ad Atatürk nella riunificazione, la Turchia ha aderito alle Nazioni Unite nel 1945 e ha partecipato alla guerra in Corea. Nel 1952 è diventata un membro della Nato a guardia di un suo confine con l’Urss e un importante alleato degli Stati Uniti. Nel 1964, la Turchia è diventata membro associato della Comunità europea. Negli ultimi dieci anni si è impegnata in numerose riforme per rafforzare lademocrazia e l’economia, ma i negoziati di adesione con l’Unione europea, iniziati nel2005, sono in fase di stallo. Pa. Bai.

IL MILITARE NELLA COSTITUZIONE

I tre confini turchi più caldi della Turchia – Siria, Iran e Iraq –coincidono con il Curdistan, la regione geografica abitata principalmente da curdi e ricca di petrolio. I curdi sono una popolazione di 30 milioni di persone circa, la maggior parte dei quali(poco più di 12 milioni) concentrati in Turchia. Rivendicano il riconoscimento allapropria autodeterminazione dalla fine dell’Impero Ottomano. Nei loro confronti sonostate attuate violente repressioni in Turchia e in Iraq dove Saddam Hussein li ha attaccati anche con armi chimiche.In Turchia il conflitto con il Pkk, fondato nel 1978, ha causato 35.000 vittime e tremilioni di rifugiati, secondo i dati del Cir (Comitato italiano rifugiati).

LA QUESTIONE CURDA

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| internazionale |

ri di Assad in Siria. Dall’altra acceleral’integrazione economica del Curdistaniracheno nel quale a tutt’oggi le societàturche hanno investito miliardi di dolla-ri, conferendogli autonomia rispetto aBaghdad.

L’Arca della Nato Il Paese dove si sarebbe arenata l’Arca (ilMonte Ararat è la cima più alta dellaTurchia) esce rafforzato dal percorso dipace con il Pkk, che prevede molti passi:dalla modifica della Costituzione richie-sta da Ocalan, al disarmo che dovrebbeavvenire in forma pubblica di 100 guerri-glieri del Pkk. Mentre 2.500/3.000 mili-tanti del Pkk lasceranno le regioni tur-che di Tokat e Dersim per passare con leforze del leader iracheno dei curdi, Mas-soud Barzani.

Ma c’è un’altra distensione che preoc-cupa molto il presidente siriano Bashar alAssad, tanto da avergli fatto dichiarareche è un accordo contro di lui: sono le scu-se presentate telefonicamente durante lavisita di Barack Obama in Israele daBenjamin Netanyahu al premier Erdoğan,per l’attacco alla Mavi Marmara. I rappor-ti tra i due Paesi erano in crisi dal maggio

del 2010, quando truppe speciali israelia-ne avevano attaccato la nave che portavaaiuti verso la striscia di Gaza, uccidendosette attivisti turchi. I timori di Assad,

però, sono fondati, perché il riavvicina-mento di Turchia ed Israele vuol dire ri-pristino della cooperazione militare bila-terale tra i due Paesi e con la Nato.

IL PAESE IN CIFREOrdinamento politico: Repubblica parlamentareCapitale:AnkaraSuperficie: 785.347 kmqIndipendenza: 29 ottobre 1923, con la creazionedello Stato successore dell’Impero OttomanoPopolazione: 74.724.269 (censimento 2011)Gruppi etnici: turchi 65,1%; curdi 18,9%; arabi1,8%; azerbaigiani (azeri) 1; Yoruk 1%; altri 12,2%Lingue: turco, lingua ufficiale; arabo, armeno,curdo grecoReligione: musulmani sunniti 97,5%; non religiosi/atei 2%; altri 0,5% per lo più cristiani o ebrei Moneta: lira turca Alfabetizzazione*: media 87,4% (maschi 95,3%; femmine 79,6%)Mortalità infantile: 23,07 morti/1.000 natiSperanza di vita alla nascita: 72,77 anniDisoccupazione: 10,7%; femminile 30,6% (2010)Popolazione al di sotto della soglia di povertà: 16,9% (2010)Industria: tessile, alimentare, automobili, elettronica, estrattiva: carbone, cromo, rame, boro;siderurgia, petrolio, turismo, edilizia, legname, cartaPil: 783,1 milioni $ (stima 2012)Pil pro capite: 15.000 $ (stima 2012)Debito pubblico: 40,4% del Pil (stima 2012)Inflazione: 9,1% (stima 2012)

* popolazione di 15 o più anni in grado di leggere e scrivere.

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| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 67 |

| socialinnovation |

restando in carico al welfare statebritannico.

The Consortium of VoluntaryAdoption Agencies (CVAA), ungruppo di agenzie per l’adozione,ha sviluppato un metodo per mi-gliorare le performance di questoprocesso sociale, investendo nellaformazione delle famiglie, nel sup-porto psicologico e nella mediazio-ne culturale. E ha convinto il gover-no a finanziare, con 52.000 sterline,ogni adozione andata a buon fine. Ilrisparmio stimato della spesa so-ciale per ciascun bambino adotta-to sarà di 800.000 sterline nel me-dio lungo periodo.

La novità è che, associato a que-sto progetto che mira a incremen-tare il numero di bambini adottatiogni anno, verrà emesso il primo adop-tion social impact bond: investitori pri-vati potranno acquistare obbligazioniper finanziare direttamente CVAA. Ibond saranno remunerati solo in caso disuccesso e se sarà chiaro e misurabile ilmiglioramento della spesa pubblica.

Nella figura in questa pagina vienedescritto il modello del primo socialimpact bond emesso da Social Financein Gran Bretagna, da cui tutti stannotraendo ispirazione. A livello mondialeesistono pochissimi casi, non perché

manchino investitori, quanto modellie garanzie sul meccanismo di remune-razione. Conoscendo la propensionedel mercato finanziario a costruirebolle speculative, la prudenza in que-sto caso è due volte più opportuna.Aderire a prodotti finanziari del gene-re significa, infatti, cambiare la vitadelle persone, migliorare l’impatto sul-

la spesa pubblica e ottenere un ri-torno dell’investimento.

C’è chi sostiene che strumenticome i social impact bond debba-no essere concepiti al di fuori del-la finanza tradizionale. La finanzasociale si basa sulla trasparenza esulla condivisione dei big data,processi che l’industria finanzia-ria ha sempre promosso contro-voglia arrivando ad applicare mo-delli di rating e di valutazione deirischi tanto complessi da sembra-re opachi.

Il tema della trasparenza toc-ca però anche allo Stato, che deveammettere, seguendo l’esempiobritannico, di non sapere e di nonpotere più realizzare quell’innova-zione sociale che il terzo settore si

candida a gestire in modo misurabile.Per non enfatizzare l’attenzione piùsul fronte finanziario che su quello del-l’impatto sociale, occorre che gli attoriin gioco, lo Stato, l’investitore e l’opera-tore sociale, condividano garanzie e ri-schi comuni poiché quando un’adozio-ne non andrà a buon fine, tutti e tre gliattori, con ruoli e misure diverse, se nefacciano carico.

Approfondisci il tema sul blog Social Innovation di Valori.it

diAndrea Vecci

In Inghilterra ci sono 7.160 bambini in attesa di adozione, il 15% in piùrispetto a un anno fa. Mentre è relativamente semplice trovare famiglieper i neonati e i più piccoli, è più difficile per i gruppi di fratelli e sorelle,

per i bimbi con più di quattro anni e per minori appartenenti a minoranzeetniche e in condizioni di salute precarie. Questi aspettano l’adozione per anni,

Un strumento finanziarioinnovativo per sostenere il sociale. Pochi casi al mondo

Social Impact BondDa un problema socialea un’opportunità finanziaria

FONTE DELL’IMMAGINE: SOCIAL IMPACT BONDS. THE ONE* SERVICE. ONE YEAR ON. EDITO DA SOCIAL FINANCE LTD

Page 68: Mensile Valori n. 109 2013

MYANMAR, LE APERTURE DEL REGIME SONO PER LE COMPAGNIE PETROLIFERE

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altrevoci

AFRICA, COME TI ANNACQUO IL BOOM ECONOMICO

La carenza di risorse idriche rischia di trasformarsi in un ostacolo enorme sulla strada dello sviluppo, ovveronel “killer”, più o meno silenzioso, dell’espansioneeconomica africana. È la denuncia lanciata da Bloombergad aprile evidenziando le cifre di un problema tuttorairrisolto. «La mancanza d’acqua costituisce una delleprincipali questioni da affrontare per la popolazioneurbana dell’Africa, destinata, secondo le stime delleNazioni Unite, a crescere del 66% fino a 1,2 miliardi dipersone da qui al 2050» scrive Bloomberg. Un problemaaperto che coinvolge la rete di distribuzione e che rischiadi compromettere l’ascesa di alcune delle economie piùpromettenti a cominciare dal Ghana, 35 miliardi di dollaridi prodotto interno lordo e un tasso di crescita dell’8%per il 2013 (che garantisce un’espansione superiore allamedia dei Paesi subsahariani per il sesto annoconsecutivo). Nonostante gli effetti positivi della stabilitàpolitica (oltre 20 anni di elezioni democratiche senzasussulti) e gli introiti delle materie prime come oro, cacaoe petrolio, il Paese, denuncia il suo presidente DramaniMahama, possiede una rete idrica vecchia di un secolo e incapace di raggiungere adeguatamente la capitaleAccra. Ormai, precisa «non facciamo più i conticon l’urgenza, ma con l’emergenza».

[M.CAV.]

SCAVA, SCAVA...

Ben 1.574 imprese, di cui il 99,5% di dimensioni da piccolissime a medie, con un giro d’affari che si aggiraintorno ai 40 miliardi di euro, pari al 2% del Pil. I numerisono quelli del settore estrattivo delle materie prime nonenergetiche in Italia elaborati dall’università degli studidi Milano-Bicocca nell’ambito della ricerca Il settoreestrattivo in Italia. Analisi e valutazione delle strategiecompetitive per lo sviluppo sostenibile condotta dalCRIET, Centro di Ricerca Interuniversitario in Economiadel Territorio. Le attività estrattive si concentrano per lo più nel Nord Italia, con una preponderanza in Lombardia sia per numero di aziende che per fatturatoprodotto, e il grosso dell’estrazione riguarda materialiper l’edilizia: ghiaie, sabbie, argille e caolino (50,5%);pietre ornamentali e da costruzione, calcare, pietra da gesso, creta e ardesia (40,5%); pomice e altrimateriali (6,6%). L’analisi dei ricercatori ha valutato lo stato di salute economico-industriale del settore,registrando dati di bilancio ufficiali in contrazione per la progressiva diminuzione dei ricavi di vendita (-0,5% sul 2011) e degli utili (-18,83%). Con unasituazione decisamente più critica per le imprese a vallenella filiera, che svolgono le prime lavorazioni dellematerie estratte: l’utile del 2011 è calato del 71,46%rispetto all’anno precedente e gli indici di redditivitàmostrano una perdita di competitività del settore.

[C.F.]

WHIRLPOOL CI PRENDE GUSTO

A settembre scorso avevamo parlato del farmer marketa chilometro zero Mercato a un passo sbarcato nell’areadello stabilimento e degli uffici di Whirlpool a Cassinettadi Biandronno. Ma alla multinazionale deglielettrodomestici pare esser piaciuto l’esperimento e cosìsi rinnova questo sodalizio originale tra grandeeconomia industriale e piccola economia agricolaattraverso un altro mercatino, ospitato a Comerio (Va)ogni giovedì pomeriggio dalle 14, nel centro direzionaledi Whirlpool per la regione che comprende Europa, Africae Medio Oriente. Green economy, quindi, ma anchevenata di social responsibility in senso stretto, visto chegli ortaggi che approdano al centro, raccolti e venduti in giornata a prezzo moderato, sono coltivati nei terrenidell’azienda I Mirtilli, che impiega ex detenuti, soggettiprovenienti dall’area del disagio sociale e persone condisabilità in un programma di reinserimento chiamatoRicominciamo dalla terra. Coltivazioni con metodinaturali e senza impiego di agenti chimici, oltre a formaggi, salumi, confetture, miele e riso dei produttoridel territorio: tutto è a disposizione dei dipendenti chefanno la spesa a Comerio, ma non solo, perché verdure di stagione e prodotti naturali da qualche tempo arrivanoanche direttamente in ufficio, attraverso gli acquistionline sul sito dell’azienda agricola (www.imirtilli.it).

[C.F.]

Per ora siamo alle ipotesi ma in futuro, chissà, potrebbe arrivare la svolta. Attraversata dalle (timide)riforme politiche e ormai impegnata in un processo di apertura verso il resto del mondo, la Birmania (o Myanmar, come è stata ribattezzata dal regime militare) potrebbe aver trovato una nuova strada per il definitivo riavvicinamento all’Occidente: gli investimenti nel petrolio. «Le compagnie petrolifereinternazionali si stanno mettendo in fila per ottenere i diritti di esplorazione nelle acque al largo dellecoste del Myanmar» scrive il Wall Street Journal. «Ma le incertezze sulle modalità di gestione dei progetti da parte di quello che un tempo era un Paese isolato e sulla sua capacità di rispettare gli impegni minacciano di frenare gli entusiasmi e di rimandare nel tempo introiti assai preziosi per unadelle economie più povere dell’Asia». Nel Myanmar, dove esistono contratti precedenti alle sanzionieconomiche con le compagnie straniere Chevron, Daewoo e Total, la gestione di una quota dei progettidovrebbe essere affidata all’azienda di Stato Myanma Oil & Gas Enterprise, già criticata dalla leaderdell’opposizione locale Aung San Suu Kyi (nonché dal senatore Usa John McCain e dal suo ex collegadella camera alta Joe Lieberman) per i suoi legami con la giunta militare e la scarsa trasparenza.

[M.CAV.]

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| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 69 |

| LASTNEWS |

TTF, L’OFFENSIVA DELLA LOBBY BANCARIA

EUROZONA, LA NUOVA MINACCIA È LA DEFLAZIONE SALARIALE

Esiste una nuova minaccia che incombe sulla zona-euro:si chiama deflazione salariale. A spiegarlo è un’analisidell’Osservatorio francese sulla congiuntura economica(Ofce) che precisa: non si tratta solamente di un pericolo potenziale per il futuro. Al contrario, i suoiprimi effetti nefasti sono già presenti in alcuni Stati.A mettere ancora una volta in pericolo i Paesi che adottanola moneta unica europea è infatti il “mix” costituito, da un lato, dalla mancata uscita dalla crisi, dall’altro dallericette imposte dai governi a base di austerity draconiana,che contribuiscono ad allontanare la ripresa. Tra non molto,spiega l’ Ofce, i tassi di disoccupazione involontariapotrebbero diventare talmente elevati da non consentireagli Stati di riuscire a farvi fronte attraverso i sussidi di disoccupazione. Il rischio, dunque, è che le politicheferree sui bilanci possano impedire ai governi di rimpiazzare i mancati redditi attraverso gli ammortizzatori sociali: il risultato sarebbe un ulteriorecrollo del potere d’acquisto delle famiglie, con un conseguente nuovo avvitamento delle spirali recessive. In particolare, il rischio riguarda per prima la Spagna, che secondo Xavier Timbeau, direttore del dipartimentoAnalisi e Previsioni dell’ Ofce, è «la principale economia infase di deflazione salariale», a causa proprio degli sforzianti-deficit senza precedenti adottati in nome del “dio-rigore”. E se Madrid crollasse, l’Eurozonapotrebbe trovarsi di nuovo nella tempesta.

[A.BAR.]

NASDAQ, “PASTICCIO” FACEBOOK:PAGANO I MANAGER

L’implicita responsabilità sui problemi tecnici che hannoaccompagnato il collocamento azionario di FacebookInc. pesa sulle tasche dei manager del Nasdaq, la societàdi gestione dei titoli tecnologici della Borsa di New York.Con un annuncio diffuso ad aprile, la società hacomunicato di aver tagliato rispettivamente del 62% edel 53% i bonus destinati al Ceo, Robert Greifeld, e allavice presidente della divisione global technologysolutions, Anna Ewing, citando tra le motivazioni delladecisione proprio il collocamento del colosso social.Accompagnato da un entusiasmo senza precedenti,l’esordio di Mark Zuckerberg a Wall Street risale alloscorso 18 maggio quando il titolo Facebook è statocollocato con un’offerta pubblica iniziale (Initial publicoffering, Ipo) di 38 dollari per azione, giudicatoeccessivamente alto da diversi analisti (undici mesidopo il titolo viaggia attorno ai 26 dollari). Una Ipo“pasticciata” come l’ha definita il NY Times ricordando i problemi tecnici occorsi proprio al Nasdaq cheprodussero almeno mezz’ora di ritardo nell’avvio dellecontrattazioni provocando ingenti perdite agli operatori.Bersagliata dalle richieste di rimborso, Nasdaq OMXGroup ha promesso di pagare risarcimenti complessiviper 62 milioni di dollari.

[M.CAV.]

PER RILANCIARSILA MAFIA FA LA SPENDING REVIEW

Per i giornali stranieri la scoperta di una nuovaorganizzazione mafiosa siciliana, culminata con l’arrestodi 36 mafiosi l’8 aprile, è stata una ghiotta occasione per ironizzare sulla spending review della mafia.Secondo Tom Kington di The Scotsman, quotidiano di Edimburgo, il cinquantunenne Antonio Sciortino, da poco uscito dal carcere dopo 11 anni di reclusionesenza aver collaborato con la magistratura «era statoincaricato da Cosa nostra di tagliare i costi e migliorarel’efficienza dell’organizzazione, più o meno come ha fattoil presidente del consiglio Mario Monti».Sciortino era stato tenuto sotto controllo dalle forzedell’ordine dopo la fine della sua detenzione mentrelavorava al progetto di creare il supermandamento di Camporeale per unire due territori mafiosi storici: San Giuseppe Iato, ex feudo della famiglia Brusca, e Partinico, zona senza direzione dopo l’arresto dei Vitale.Sempre secondo Kington «prima dell’arresto il “saggio”della mafia stava aiutando le famiglie criminali a tagliare le spese, proprio come il governo tecnico sta cercando di snellire la burocrazia italiana per risparmiare». Se l’operazione condotta da Sciortino fosse arrivata a compimento, grazie ai contatti con la politica (arrestatoanche il sindaco di Montelepre) e con le famiglie di NewYork, si sarebbe realizzato un nuovo supermandamentocapace di imporsi con forza sulle altre articolazionimafiose palermitane, anche grazie alle economie di scala.

[PA.BAI.]

L’impatto sui mercati finanziari sarebbe drammatico e le conseguenze sul piano deifinanziamenti necessari al funzionamento degli enti pubblici e delle imprese devastanti. Con queste (solite) argomentazioni – riferisce l’agenzia Reuters – la lobby bancaria ha deciso di lanciare a metà aprile una campagna contro la tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf), con l’obiettivo dichiarato di convincere l’Unione europea a desistere dal progetto di introdurrel’imposta negli Stati che ne hanno fatto richiesta (Germania, Austria, Belgio, Spagna, Estonia,Francia, Grecia, Italia, Portogallo, Slovenia e Slovacchia) attraverso una cooperazione rafforzata.Secondo la Commissione di Bruxelles grazie alla Ttf i governi che la applicheranno raccoglierannointroiti fiscali pari a 35 miliardi di euro all’anno. Capitali estremamente utili nell’attualemomento di grande crisi. E che, soprattutto, proverranno in larga parte dai soggetti che hannocontribuito in modo determinante a creare la crisi che il mondo intero attraversa dal 2008. Argomentazioni che il settore finanziario contesta sottolineando gli effetti che la tassaprovocherebbe sul volume delle transazioni e sui costi delle stesse che ricadrebbero sui loroclienti. Studi di Bruxelles, tuttavia, dimostrano come l’impatto sul Pil sarà, sul lungo termine,minimo, e che non si registreranno conseguenze negative né sulla crescita né sull’occupazione.

[A.BAR.]

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Page 70: Mensile Valori n. 109 2013

| 70 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

| ECONOMIAEFINANZA |

a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a [email protected]

LA CULTURA MANAGERIALE È CRESCIUTA CON L’ITALIA

IL MICROCREDITO HA RIDATO FIDUCIA AL PAESE

Il microcredito nel pieno della crisi economica gioca un ruolo centrale a favore dell’inclusione sociale dei soggetti «non bancabili»: l’ammontare di creditoconcesso, grazie a questo strumento, nel 2011 ha fattosegnare una crescita del 42 per cento rispetto all’annoprecedente. Il grande merito del microcredito è averricostituito un rapporto di fiducia nell’intero sistema,permettendo alle famiglie di affrontare imprevistedifficoltà finanziarie, alle imprese (tra cui le start-up) di sostenere le proprie attività produttive e a moltistudenti di avere accesso all’università o ai corsi postlauream. Il volume presenta dunque le analisi più recentisu una materia che coinvolge molti soggetti pubblici(dallo Stato centrale fino alle amministrazioni comunali)e privati (fondazioni bancarie, associazioni, enti religiosie istituti di credito nazionali e locali ecc.) nellapromozione e nella realizzazione di programmidifferenziati per target e obiettivi. In Italia il microcreditoè un fenomeno in ascesa che ha ormai raggiunto risultatiquantitativi non più trascurabili, rappresentando uno degli strumenti più efficaci a sostegno della piccolaimprenditoria.

C. Borgomeo&co, CamCom Universitas MercatorumFiducia nel credito

Donzelli, 2013

PROPRIETÀ PRIVATA E BENI COMUNI

Stefano Rodotà, politico e docente universitario, con questo libro fornisce una chiave di letturacontemporanea a un tema che da sempre caratterizza la sua vita di studioso: il concetto di proprietà e la suadisciplina nei sistemi giuridici moderni. Beni, patrimoni,forme societarie, corpo, ingegno, identità, privacypossono essere tutte declinazioni del concetto di proprietà, intesa sia in senso materiale cheimmateriale. Il primo presidente italiano dell’Autoritàgarante della privacy, in questo classico rivisitato aitempi della globalizzazione, affronta il problema dellaproprietà privata e il suo rapporto con i beni comuni, la cui salvaguardia è inserita nei programmi di moltipartiti politici, forum sociali e culturali. Una riflessioneapprofondita e dedicata ad un valore, quello dei benicomuni, oggetto di una delle più recenti battaglieculturali e politiche combattute dallo stesso autore.

Stefano RodotàIl terribile diritto

Il Mulino, 2013

LA POVERTÀ DELLE NAZIONIDIPENDE DAI GOVERNANTI

Perché ci sono paesi che diventano ricchi e paesi cherestano poveri? Per quale ragione nel mondo convivonoprosperità e indigenza? Alcuni rispondono chiamando in causa il clima e la geografia. Ma il caso del Botswana,che cresce a ritmi vertiginosi mentre paesi africanivicini, come Zimbabwe, Congo e Sierra Leone, subisconomiserie e violenze, smentisce questa interpretazione.Altri si concentrano sulla cultura. Ma allora come si spiegano le enormi differenze tra il Nord e il Sud dellaCorea? E che dire di Nogales, Arizona, che ha un redditopro capite tre volte più alto di Nogales, Sonora, cittàgemella messicana? Le origini di prosperità e povertàrisiedono nelle istituzioni politiche ed economiche che le nazioni si danno. Dall’Impero romano alla Veneziamedievale, dagli inca e ai maya, distrutti dal colonialismospagnolo, al devastante impatto della tratta degli schiavisull’Africa tribale, dalla Cina assolutista delle dinastieMing e Qing al nuovo assolutismo di Mao Zedong,dall’Impero ottomano alle autocrazie mediorientali, le élite dominanti preferiscono difendere i propriprivilegi ed estrarre risorse dalla società che avviare un percorso di benessere per tutti.

Daron Acemoglu, James A. RobinsonPerché le nazioni falliscono

Il Saggiatore, 2013

Giorgio BrunettiArtigiani, visionari e manager

Bollati Boringhieri, 2012

In questo libro per descrivere l’evoluzione dell’imprenditoria italiana si parte da molto lontano,dall’Arsenale veneziano, esempio cinquecentesco di grande insediamento industriale produttivo e al tempo stesso luogo di confronto e discussione sulla complessità. A Venezia nasce anche la prima scuola italiana di economia e management, Ca’ Foscari, che affronta i temi urgenti postidall’economia contemporanea. L’evoluzione della cultura manageriale italiana accompagnerà il miracolo economico del secondo dopoguerra, l’ascesa e il declino della grande impresa pubblica,l’affermarsi di un tessuto economico polverizzato e ipervitale, costituito da piccole e medieimprese fino all’ascesa della finanza degli ultimi anni. In tutti questi passaggi i protagonisti sono stati artigiani, imprenditori, manager e visionari che con la loro azione hanno influito sultessuto economico del Paese.

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| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 71 |

| TERRAFUTURA |

GLI ARTIGIANI MESSINESI SI RIUNISCONO NEL SALOTTO CREATIVO

A VILLA PARADISO I BISCOTTI CHE FANNO BENE

Per uscire dalla dipendenza da alcool e droghe bisognaintraprendere un percorso tutt’altro che semplice.All’ultima edizione di Fa’ la cosa giusta! a Milanoabbiamo incontrato qualcuno che cerca di addolcirlo:sono gli operatori di Villa Paradiso, il centro di riabilitazione a Besana in Brianza gestito dalla OnlusComunità Nuova, presieduta da don Gino Rigoldi.“Addolcirlo” nel vero senso della parola: perché i ragazziospiti della struttura si mettono alla prova con uova,burro e farina per realizzare tante golose varietà di biscotti. Gli ingredienti – racconta Federica Raccuglia,che segue la comunicazione della Onlus – sono tutti a km zero. In particolar modo le marmellate, preparatecon la frutta raccolta nell’orto della comunità. E le ricettesono quelle di Maurizio Santin, il pluripremiatopasticcere del Gambero Rosso che, in via gratuita e volontaria, segue i ragazzi del laboratorio e fa da “testimonial” all’iniziativa. Per ora per acquistarei biscotti c’è il sito di e-commerce: ma proprio Fa’ la cosagiusta! si è rivelata un’occasione preziosa perché,racconta Federica, «abbiamo incontrato tanti Gas e piccoli negozi interessati ai nostri prodotti». www.shop.idolcidelparadiso.com

DAL CARCERE ALLA GANG DEL TRUCIOLO

Poco più di un anno fa su Valori abbiamo raccontato la storia della Banda Biscotti, il laboratorio dolciarioanimato dai detenuti delle case circondariali di Verbaniae Saluzzo. Proprio in quei mesi, nel frattempo, esordival’esperienza di un progetto “cugino”. Il carcere è semprequello di Saluzzo e l’idea è sempre della fondazione Casadi carità arti e mestieri, un’agenzia piemontese di formazione professionale. Stavolta, però, i detenuti si rimboccano le maniche in falegnameria. L’iniziativa si chiama “La gang del truciolo” e nasce con un corso di formazione finanziato dalla Provincia di Cuneo. Ancheper riuscire a dare un sostegno economico ai lavoratori,nel tempo si è evoluta con la produzione e vendita di tanti prodotti, tutti in legno: arredi urbani comepanchine e bacheche, mobili su ordinazione per clientiprivati, opere di recupero del pallet. «È ancora un work in progress», racconta Flavia Morra dellaFondazione Casa di carità. «Stiamo lavorando anche con un consorzio di artigiani locali per capire quali sianoi prodotti sui quali valga la pena di puntare».www.casadicarita.org

NASCE A MILANO LA TV DELLA SOSTENIBILITÀ

Una televisione di tutti: è questo l’ideale che ha spintol’associazione milanese Libero Laboratorio (LibLab) a intraprendere un cammino nato dall’idea di Gast. Sta perGruppo di acquisto di spazi televisivi: se in un Gas le famiglie si mettono in rete per comprare frutta, verdurao carne, in un Gast si acquista uno spazio televisivo, ci si dota di telecamere, microfoni e tutto l’occorrente pertrasmettere prodotti giornalistici e autorali indipendenti.Gli spazi pubblicitari sono venduti a prezzi calmierati apiccole realtà sostenibili e non ai grandi inserzionisti chedominano i canali tradizionali. È una Tv a basso impatto,trasmessa con un metodo innovativo che usa semplici simtelefoniche in 3G e 4G. «Abbiamo ridotto il carrozzonetelevisivo: per una news bastano un paio di persone, perun evento una quindicina», spiega Antonello Galimberti. E ci si svincola dagli studi tradizionali: una puntata èandata in onda da Fa’ la cosa giusta!, ma è possibiletrasmettere ovunque. Per ora sono stati prodotti dueformat: The Village, un talk show dedicato alla sostenibilità,e Pubblica Elezione, un confronto coi candidati alle ultimepolitiche. Ma in cantiere ci sono anche show su ricette e prodotti biologici a km zero e sugli sport “minori”. «In Tv – continua Galimberti – la sostenibilità di normanon passa come un contenuto importante, mentre noi cerchiamo di renderla piacevole anche per chi cercasoprattutto intrattenimento. La sfida è quella di nonparlare solo a chi è già automaticamente interessato».www.liblabsrl.it www.thevillagedocfestival.com

a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a [email protected]

Quindici artigiani messinesi e un’associazione che li mette in contatto offre uno spazio peresporre i loro prodotti, organizza mostre e workshop. Un’associazione che si chiama SalottoCreativo ed è gestita da Marilena Cannavò e Zivì, una stilista che lavora soprattutto con il riuso di tessuti vintage. Salotto Creativo ad aprile ha tagliato il traguardo dei due anni di attività:due anni di iniziative fantasiose unite dall’obiettivo di diffondere l’artigianato siciliano. È il caso di Sensi Unici, che ha animato il centro di Messina con alcuni happening rivolti ai cinque sensi.Per l’olfatto le essenze profumate delle candele, per l’udito la musica, per il tatto la lavorazionedell’argilla; per la vista e il gusto sono state predisposte rispettivamente un’estemporanea di pittura e una degustazione di prodotti locali. E l’idea probabilmente sarà replicata nei prossimimesi. «Ci attiviamo – spiega Marilena – per promuovere la sicilianità che ha tanto da offrire, ma spesso è lasciata da parte. La Sicilia ha molte opportunità, ma nulla che le sostenga. Noi riusciamo ad autofinanziarci con difficoltà, ma nessuno ci dà un aiuto, una sovvenzione,nemmeno un patrocinio gratuito. Non è facile, ma le nostre soddisfazioni ce le prendiamo da chi entra nella nostra sede e resta a bocca aperta di fronte alle opere degli artigiani». www.facebook.com/salotto.creativo

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| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 73 |

| bancor |

moderno stato di diritto, enormi spere-quazioni e disparità sociali caratterizza-no ancora i sistemi economici occiden-tali, forse anche più di quanto accadevanella Roma dei Cesari o ad Atene ai tem-pi di Cimone e Pericle.

Il World Institute for DevelopmentEconomics Research – tra i più autore-voli centri studi internazionali, promo-tore di ricerche e analisi sulla creazio-ne e la redistribuzione del benessere edella ricchezza nel mondo – stima chel’1% della popolazione mondiale, unclub ristretto di qualche milione di per-sone tra i quali moltissimi banchieri,possieda circa la metà di tutte le atti-vità materiali e finanziarie, e dei pro-fitti che da queste derivano. Di questitempi, ad inizio primavera, nel club si fafesta: nella City, come a Wall Street eFrancoforte, vengono erogati i bonusdei bankersdecisi a inizio anno sulla ba-se, ma non solo, dei risultati finanziaridell’anno precedente. La sola Barclays,nonostante un 2012 a dir poco difficile,ha annunciato di avere a libro paga cir-ca 500 impiegati per un impegno annuoindividuale superiore al milione di ster-line e di aver appena elargito bonus perulteriori 2 miliardi di sterline.

Quello che accade negli altri gigantidel credito e della finanza è molto simi-le, tutto praticamente uguale a quanto

succedeva fino al 2007, nonostante lacrisi e malgrado, nei 5 anni appena tra-scorsi, il costo del salvataggio delle ban-che a carico dei sudditi di sua maestà(che “sopravvivono” con uno stipendiolordo medio di circa 20 mila sterline an-nue, oltre 23 mila euro) ammonti a 350-400 miliardi di sterline (400-470 miliar-di di euro). Eppure, nonostante i bonuse gli indici azionari tornati ai livelli pre-crisi, la festa quest’anno è turbata dauna notizia appena arrivata da Bruxel-les: seppur con le tempistiche e le moda-lità usate in questi casi dalla burocraziaeuropea, la Commissione ha impegnatogli Stati membri a fissare un tetto aibonus dei banchieri a partire da gen-naio del prossimo anno, quindi a valeredalla primavera del 2015, quando la

componente variabile della remunera-zione non potrà superare il 100% dellostipendio fisso, o al massimo il 200%previo il consenso della maggioranzaqualificata degli azionisti.

«Abbiamo firmato il più grande pac-chetto di regolamentazione del setto-re», ha detto il conservatore austriacoOthmar Karas, che più di altri si è spesonella mediazione con i contrariati ingle-si. Un entusiasmo che suona esagerato:ci vorrebbe ben altro per correggere i di-fetti di un settore ancora in crisi e anco-ra fortemente concentrato, nel quale i 15più grandi gruppi europei detengonopiù della metà di un mercato che rap-presenta una volta e mezzo il Pil com-plessivo dei Paesi dell’area euro, un li-vello triplo rispetto a soli 10 anni fa.

Peraltro, persa la prima battaglia, lelobby bancarie sono già al lavoro perovviare a questa (ipotesi di) riforma: siribilancerà la componente fissa dellaretribuzione, verrà aumentata la partedella componente variabile differitanegli anni in cambio di un più favore-vole trattamento fiscale di altri benefite dei contributi pensionistici, si defini-ranno forme di remunerazione a cari-co delle filiali in Asia e Dubai. Un pas-so alla volta, almeno fino alla prossimacrisi finanziaria.

[email protected]

RemunerazioniLa City al lavoroper ovviare al tetto sui bonus

dal cuore della City Luca Martino

«Cosa possono le leggi là dove solo il denaro ha potere?», escla-mava duemila anni fa Tito Petronio, che pure di mestiere face-va l’arbiter elegantiorum alla corte di Nerone. Oggi, a più di due

secoli di distanza dalla Rivoluzione francese e da quella Dichiarazione dei di-ritti dell’uomo e del cittadino che doveva rappresentare il fondamento del

L’Ue chiede di imporre limitiai premi per i banchieri. Lelobby cercano già di aggirarli

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| 74 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Autoproduzioni anticrisiIl designai tempi della recessione

diMauro Meggiolaro

| resistenze | Donne e uomini, imprese che si indignano, protestano, resistono alla crisi

«Chi si ribella si autoproduce», sostiene il designer Ales-sandro Guerriero. Si apre con questa citazione il sito diMilano Makers (www.milanomakers.com), neonata as-

sociazione senza fine di lucro che ha lo scopo di promuovere e valo-rizzare “produzioni non seriali e autonome nell’ambito del design”. Inoccasione dell’ultimo salone del mobile di Milano i lavori del colletti-vo Milano Makers sono stati esposti alla Fabbrica del Vapore, spaziopost-industriale recuperato dal Comune. “Bla Bla” il nome della mo-stra, che ha messo in fila prodotti di uso comune in terracotta lavora-ta a mano, terra cruda, resine naturali, legno di recupero fino alle ope-re di Recession design, realizzate a partire da materiali e utensili“facilmente reperibili in negozi e catene per il fai da te” e realizzabiliseguendo semplici istruzioni di montaggio. Parole d’ordine: autopro-duzione, riuso, riciclo e, soprattutto, prossimità delle materie prime.Del resto, spiegano gli espositori di “Terra Cruda”, «la terra è viva e al-la portata di tutti perché si trova proprio lì dove serve, a portata dimano, basta scavare». Basta sporcarsi le mani e le unghie, riprenderela confidenza con la materia, con il lavoro manuale. Ridonare le brac-cia al design e poi, eventualmente, all’agricoltura.

Ora, finito il salone, i manufatti unici e originali si possono tro-vare in vendita sul portale Ulaola, “la boutique online del made inItaly autoprodotto”. Cuscini, orecchini, lampade, vasi, sedie, tazze,quadri, abiti, anelli, specchi, corredati da un codice QR che si puòpuntare con lo smartphone per capire che cosa c’è dietro: l’artista,il concetto, i materiali. Fermo restando che non ho mai visto nessu-no puntare lo smartphone sui codici QR per capire alcunché, l’ini-ziativa sembra l’espressione di un moto di resistenza genuino, checerca e trova spazi autonomi e autogestiti. In fuga dal paludato Sa-lone del Mobile, lontano dalle lusinghe – e dai prezzi sempre più al-ti – del “fuorisalone”, Milano Makers ha esposto in uno spazio indi-pendente. Per partecipare bastava versare 50 euro: la quota diadesione all’associazione. Quattro soldi rispetto alle cifre che gira-no nei circuiti ufficiali.

L’importante è che rimanga un moto di resistenza e non diventi ilprimo passo verso un futuro fuori-fuorisalone, preludio a un ben piùpreoccupante fuori-fuori-fuorisalone. L’unica consolazione è chemolto probabilmente, come cantano i Nomadi, “noi non ci saremo”.

Per inviare commenti e proposte: http://zoes.it/meggiomaurotwitter: @meggio_mFacebook: https://www.facebook.com/pages/Mauro-Meggiolaro/115383048506446

Scopo sociale L’Associazione ha lo scopo di promuovere, sostenere,consolidare tutte le attività di carattere sociale, civile e culturale, che pongono al centro il tema delle autoproduzioni, intese come momentodi affermazione sociale dei rispettivi autori. L’Associazione promuove la gestione partecipativa di spazi aggregativi e dimostrativi; reti socialifinalizzate alle autoproduzioni; accompagnamento, integrazione sociale e lavorativa attraverso l’autoproduzione di soggetti a rischio d’esclusionesociale.

Soci fondatori Cesare Castelli, Duilio Forte, Nuala Good-man, AlessandroGuerriero, Maria Christina Hamel, Francesco Mendini, Franco Raggi.

Contatti e link www.milanomakers.comwww.ulaola.com

Milano Makers

Il rendering di uno dei progetti del collettivo Milano Makers,esposti alla Fabbrica del Vapore aMilano durante il Fuori Salone 2013

Page 75: Mensile Valori n. 109 2013

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