Mensile Valori n. 104 2012

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Cooperativa Editoriale Etica Anno 12 numero 104. Novembre 2012. € 4,00 XINHUA / EYEVINE / CONTRASTO Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento Contiene I.R. L’era dei Narcostati La criminalità organizzata gestisce il traffico come una multinazionale Finanza > Con il sì dell’Italia scatta l’ora della Tobin Tax. Con qualche questione aperta Economia solidale > Boom di trivellazioni. Anche in zone a rischio sismico Internazionale > Campagna elettorale Usa. Chi ha pagato per il nuovo presidente? Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

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L’era dei Narcostati La criminalità organizzata gestisce il traffico come una multinazionale Finanza > Con il sì dell’Italia scatta l’ora della Tobin Tax. Con qualche questione aperta Economia solidale > Boom di trivellazioni. Anche in zone a rischio sismico Internazionale > Campagna elettorale Usa. Chi ha pagato per il nuovo presidente?

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Poste Italiane S.p.A.Spedizione in abbonamento postaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB TrentoContiene I.R.

L’era dei NarcostatiLa criminalità organizzata gestisce il traffico come una multinazionale

Finanza > Con il sì dell’Italia scatta l’ora della Tobin Tax. Con qualche questione aperta Economia solidale > Boom di trivellazioni. Anche in zone a rischio sismicoInternazionale > Campagna elettorale Usa. Chi ha pagato per il nuovo presidente?

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

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e regole internazionali per il contrasto al riciclaggio di denaro e al traffico di droga sono stateprogettate oltre vent’anni fa. Ma il mondo che si conosceva all’epoca era molto diverso da quello globalizzato in cui viviamo oggi. I flussi di libero scambio commerciale, i rapiditrasferimenti di denaro e i nuovi paradisi offshorehanno finito per plasmare un nuovoambiente capace di rendere gli attuali strumenti di contrasto sorpassati e inutili. Vale per molteattività, dal riciclaggio al traffico di armi, un settore nel quale le regole erano state pensate percontrastare gli scambi tra gli Stati e oggi risultano completamente inadatte nel prevenire gli scambi illegali tra i mercanti privati che attualmente dominano il mercato. Tutto è cambiato.Dieci anni fa lo scambio commerciale tra Cina e America Latina era valutato in dieci miliardidi dollari. Oggi vale venti volte tanto. La maggior parte di queste transazioni rientra nelloscambio legale. Ma l’aspetto più importante, sfortunatamente, è che, al cresceredell’ammontare degli scambi, aumenta anche la facilità con cui vi si possono nascondere i traffici e le transazioni illegali. In definitiva qualcuno può sempre guadagnare qualchemilione di dollari qua o là, oppure spostare qualche container da un’altra parte senza chequesto sembri attrarre molta attenzione. E probabilmente, come ha evidenziato il caso di Hsbc, l’interesse a sapere cosa accade non esiste nemmeno.Oggi le compagnie cinesi controllano molti dei principali porti del Messico, gli stessi in cui,da un lato, si può osservare una forte crescita del traffico di metanfetamine e, dall’altro, unamiriade di processi finanziari fittizi, attività tipiche del riciclaggio, realizzati attraversobanche cinesi di piccole dimensioni che magari neanche esistono (nessuno ha voglia di controllare). Nei porti messicani si vedono container provenienti dalla Cina con un valoredichiarato di 2 o anche 4 milioni di dollari. Stanno fermi lì in attesa che qualcuno se li vengaa prendere. In seguito, dopo un bel po’ di tempo, magari anche sei settimane, visto chenessuno li reclama, le autorità messicane intervengono, li aprono e scoprono che noncontengono nessuna merce di valore. E allora, sei settimane dopo che qualcuno ha pagato 2 o 4 milioni di dollari per “niente”, è perfettamente chiaro cosa sia realmente successo: 2 o 4 milioni di dollari sono già entrati in circolo nel sistema finanziario illegale.In America Centrale, contrariamente alle aspettative, la debolezza dell’economia non ha condotto a un grande collasso finanziario. La ragione principale è probabilmente la fortecrescita del narcotraffico e delle attività illegali. Un elemento decisivo, qualcosa di cuiqueste economie hanno bisogno. Basta guardare a Paesi come El Salvador, Panama o Ecuador – “economie dollarizzate” in cui non devi nemmeno cambiare valuta se vuoi farebusiness – e alle molteplici opportunità che questi offrono ai trafficanti di droga e airiciclatori. Di fatto non c’è nessun controllo sui flussi di denaro e per i criminali i rischi sonomolto bassi. Ci sono grandi investimenti, si importano auto di lusso, si costruisconoappartamenti nuovi di zecca: l’economia sembra crescere, ma il 90% della popolazionecontinua a non prenderne parte. La verità è che è tutto fasullo e ogni cosa non è che un sintomo delle attività di riciclaggio. Secondo il programma della Casa Bianca noto comeStrategy to Combat Transnational Organized Crime, le attività di riciclaggio valgono da 1,3 a 3,3 trilioni di dollari. Il controvalore stimato dallo United Nations Office on Drugsand Crime è pari invece a 2,1 trilioni, una cifra equivalente all’incirca al Pil dell’Italia.

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La nuova frontiera del riciclaggiodi Douglas Farah

L

* Questo editoriale è basato sul contenuto di un’intervistarilasciata a Valori nel mese di ottobre 2012.

L’AUTOREDouglas FarahÈ presidente di Ibi Consultants e Senior Fellow pressol’International Assessment andStrategy Center. È consulente alla sicurezza nazionale e analista.Nel 2004 ha lavorato per novemesi presso il Consortium for theStudy of Intelligence, dove si è occupato del tema dei gruppiarmati e della riforma dei servizidi intelligence. Nei due decenniprecedenti è stato corrispondenteall’estero e giornalista d’inchiestaper il Washington Post e altrigiornali, occupandosi in particolare di Africa Occidentalee America Latina.

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Da anni Valori “parla” di Decrescita, proponendo diversi punti di vista. Con il dossier pubblicato sul numero di settembre – a poche settimane dalla terza Conferenza internazionale sulla Decrescita (Venezia, 19-23 settembre), a cui la redazione ha partecipato – si è scatenato un acceso dibattito. Diamo spazio alle diverse posizioni sia sul sitointernet www.valori.it, sia su queste pagine.

di Francuccio Gesualdi Centro Nuovo Modello di Sviluppo

Non so se l’idea che mi sono fatto della Decrescita sia lastessa dei suoi teorici, ma vi scorgo tre messaggi importan-ti. 1. Non si può perseguire la crescita infinita in un Pianeta dalle risor-se limitate. 2. La corsa dietro ai consumi compromette la qualità del-la vita per strangolamento delle relazioni. 3. Se vogliamo garantirci unfuturo dobbiamo ridurre consumo di materia e produzione di rifiuti. Ma, enunciati i principi, spuntano i nodi. Ad esempio: in un mondosquilibrato come quello in cui viviamo l’invito a ridurre non può valereper tutti, ma solo per gli opulenti, quelli che consumano 100 chili di car-ne all’anno, che possiedono più di un’auto ogni due persone, che pro-ducono più di 500 chili di rifiuti all’anno. Quanto ai tre miliardi di pove-ri assoluti, hanno diritto a mangiare di più, vestirsi di più, studiare dipiù, curarsi di più, viaggiare di più, ma potranno farlo solo se gli opu-lenti accettano di sottoporsi a cura dimagrante perché c’è competi-zione per le risorse scarse. Dunque tutto bene con lo sviluppo avviatoin Cina, India o Sudafrica? Non proprio, considerato che agli impove-riti arrivano solo le briciole sottoforma di consumismo spazzatura. La verità è che sia il Nord che il Sud hanno bisogno di un nuovo mo-dello economico, più orientato all’equità, con il Nord in posizione dimaggiore difficoltà perché deve fare due operazioni in una: ridurree riequilibrare. Premesso che l’efficienza tecnologica non è suffi-ciente a realizzare il miracolo, la domanda che si pone chi si occu-pa non solo di ambiente, ma anche di sopravvivenza delle persone,è: come fare senza mietere vittime? Non a caso fra i più accesi op-positori della Decrescita ci sono i sindacati, preoccupati per i postidi lavoro in un sistema dove la forma prevalente di lavoro è quellasalariata fortemente ancorata alla crescita dei consumi. In fin dei conti il grande punto interrogativo è se sia possibile co-niugare sobrietà con piena occupazione e sicurezza sociale, con-cetti che sarebbe meglio ribattezzare piena partecipazione lavora-tiva e vita sicura per tutti. La risposta è sì, che si può, precisandoche la battaglia vera non è per la riduzione tout court del Pil, ma peruna ristrutturazione di produzione e consumo, ben sapendo che ilsistema in cui viviamo ha sovraprodotto per il consumo privato esottoprodotto per il consumo pubblico.

Forse la parola giusta è spostamento, a significare che dovremo ri-durre certi settori e ampliarne altri: meno automobili più treni e au-tobus, meno strade più ferrovie, meno acqua in bottiglia più ac-quedotti, meno centrali a carbone più pannelli solari, meno case dinuova costruzione più ristrutturazione di quelle esistenti, menopubblicità più scuola, minor uso di materie prime più recupero di ri-fiuti, meno importazione di cibo più agricoltura locale. Di sicuro una società che dispone di meno deve decidere cosa pri-vilegiare e personalmente non ho dubbi che la priorità va data ai bi-sogni fondamentali: acqua, cibo, alloggio, energia, sanità, scuola,comunicazione, trasporti. Bisogni da garantire in maniera gratuitaperché appartenenti alla fascia dei diritti e proprio per questo diesclusiva competenza dell’economia pubblica, che, funzionandosul principio della solidarietà collettiva, è l’unica forma organizzati-va che può praticare la gratuità. Per questo credo che un serio progetto di Decrescita debba depo-tenziare il mercato e rafforzare l’economia pubblica, smettendo diconcepirla come una struttura parassitaria che succhia ricchezza.Al contrario deve viverla come uno spazio produttivo comune che,oltre a garantire i bisogni fondamentali, garantisce un’occupazioneminima per tutti. Certo, per raggiungere un obiettivo tanto ambizioso, in un contestodi economia rallentata, bisogna inventarsi altri modi di fare funzio-nare l’economia pubblica, che non sia più quello fiscale. Potrebbeessere il servizio civile obbligatorio, la tassazione del tempo in al-ternativa alla tassazione del reddito, il lavoro comunitario in cam-bio di un reddito di cittadinanza. Le soluzioni tecniche alla fine sitrovano, il problema è culturale. Bisogna saper ripensare il lavoro, ilruolo del mercato, la funzione dell’economia pubblica, le forme dicontribuzione all’economia collettiva, l’intreccio fra economia lo-cale ed economia globale, il ruolo e il governo della moneta. Questisono i nodi da affrontare per una società del benvivere, termine piùappropriato per una società che dopo avere superato la fase di di-magrimento, cerca la giusta dieta per mantenere il peso forma.Dunque politica alta per la Decrescita, tenendo a mente l’avverti-mento di Langer: «La conversione ecologica avverrà solo se saràsocialmente desiderabile».

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| decrescita: il dibattito |

Spostamento, non decrescitaper la società del benvivere

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Anni fa, nel pieno della crescita finanziaria degli anni ’90, nasceval’idea di fondare una nuova banca che si occupasse, a seguito dellanascita di un movimento denominato finanza etica, di attività cheavessero a che fare con temi quali trasparenza, diritto al credito,giustizia e solidarietà, uso del denaro, rispetto dell’ambiente, e cosìvia. Di fatto è stata una rivoluzione culturale che ha aperto moltiorizzonti e oggi si può affermare che è stata lungimirante. Non si può dire che tutto sia stato risolto, anzi: la crisi attuale ha di nuovo rimescolato le carte e le problematiche per le quali è sorta la finanza etica si sono ampliate, fino a mettere in discussione le motivazioni stesse dell’intera attività economicamondiale. In tal senso il versante della Decrescita – nome ormai da moltissimi considerato sì ambiguo, ma che rendeplasticamente l’idea di un “qualcosa” da rivedere – si è impostocon tutto il suo carico di positività, negatività, idealità e ideologia,accondiscendenza e altro.Banca Etica è stata da subito nel dibattito grazie ai suoi soci, chesono o attivisti/estimatori del movimento o solo osservatori più o meno interessati, e ha cercato, ma senza una neutralitàpericolosa, di comprendere le ragioni delle parti per impostareuna sua linea operativa. Da subito ha accettato la “provocazione”come un forte appello culturale e ha condiviso molte delle

battaglie, specie sulla finanza e sull’ambiente; e ancora oggicontinua a studiare, a partecipare alle varie manifestazioni, a cercare di capire e di tentare di dare una risposta al “comebisogna vivere?” socratico. L’art. 5 dello Statuto della banca recita: «La finanza eticamenteorientata è sensibile alle conseguenze non economiche delleazioni economiche». Non c’è dubbio che la sua attività è per un futuro di crescita umana, cosa del tutto naturale e rafforzatadal suo Manifesto. D’altra parte non può ignorare le tante aporiedell’attuale mainstream economico e le tante problematiche sia nuove e sia trascinatesi da tempo. Sicuramente il dibattito sollevato dal movimento della Decrescita,o da altri economisti più tiepidi al riguardo, è appena agli inizi e dovrà essere sempre più precisato sia culturalmente cheoperativamente. Per quanto riguarda Banca Etica si ribadisce che la sua visione è all’interno di quella nuova impostazioneeconomica chiamata “Economia civile” che ben rappresenta tutticoloro che hanno a cuore uno sviluppo umano che possa esseresolidale, mutualistico e generazionale nel pieno rispetto del pianeta Terra. Ciò ben sapendo che le risposte non debbonoessere a lungo termine e che debbono essere sempre condivise e mai strumentalizzate da nessuna parte.

BANCA ETICA E LA DECRESCITA di Riccardo Milano (responsabile delle relazioni culturali di Banca Etica)

Appello di imprenditori, tecnici, consulenti e attivisti delMovimento per la Decrescita felice per un cambio di priorità in Italia nelle scelte economiche e industriali, al fine di iniziare a superare l’attuale crisi di sistema. In tempi normali è sufficiente gestire l’ordinaria amministrazionecon accortezza perché tutto proceda bene. […] Ma quando, comeora, si vivono grandi cambiamenti epocali, dove masse semprepiù grandi di persone soffrono per mancanza di lavoro, occorrerimettere in discussione idee consolidate, in particolare il dogmadella crescita continua del Prodotto interno lordo. Vediamo con apprensione che si parla di Project Bond perrealizzare grandi opere infrastrutturali. Si tratta di fare altri debitiper realizzare grandi opere finalizzate, più che alla reale utilità, a farripartire la crescita, come se fosse la soluzione ad ogni male. […] E si dà per scontato che la crescita faccia automaticamenteaumentare l’occupazione, ma non è vero […]. Dagli anni ’60 a oggiil Pil è aumentato di quasi 4 volte, mentre l’occupazione inproporzione all’aumento della popolazione è diminuita! […] La galleria per il Tav in val di Susa […] consentirebbe di creare[…] al massimo seimila nuovi posti di lavoro contro uninvestimento minimo di 8,2 mld di euro, ovvero 0,73 nuovi postiper ogni milione di euro investito, sempre che il costo dei lavorinon subisca aumenti […] La spesa sarebbe coperta a debitoribaltando ancora una volta il problema sulle generazioni future, che dovrebbero anche sorbirsi i danni ambientali e le spese per

l’energia necessaria a illuminare e climatizzare l’opera. Tutte le grandi opere infrastrutturali hanno per comun denominatorel’uso del debito, di molto cemento, di molta energia e quindi un impatto ambientale molto rilevante. […]Si può fare diversamente? Certo che sì! Bisogna solo cambiare le priorità e spendere il denaro in altro modo, […] in molte migliaiadi piccoli e micro cantieri e solo successivamente, eventualmente,in grandi opere infrastrutturali. I micro cantieri dovrebberoriguardare in primo luogo l’efficientamento energetico degli edificipubblici e privati. Poi anche le bonifiche ambientali e per la messain sicurezza del territorio rispetto agli eventi catastrofici. […] In un articolo del 13 febbraio 2012 sul Sole 24 ore si legge cheper ogni 10 miliardi di euro investiti si possono avere 130 milanuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo lastessa cifra in grandi opere daremmo lavoro al massimo a 7.300persone. […] Occorre abbandonare il dogma della crescitacontinua. Nell’Universo NULLA cresce per sempre. Si tratta di una sciocca illusione generata dalla mente dell’homooeconomicus, […]. E solo per questa sciocca specie di umani, e per gli altri che ci credono, il Pil è l’indicatore unico e indiscutibile del nostro benessere.

SPOSTARE LA PRIORITÀ DELLA DECRESCITA DEL PILALLA CRESCITA DELL’OCCUPAZIONE IN LAVORI UTILI di Movimento per la Decrescita felice

* La versione integrale sul sito di Valori e su:http://decrescitafelice.it/2012/05/spostare-la-priorita-dalla-crescita-del-pil-alla-crescita-delloccupazione-in-lavori-utili-una-proposta-concreta/

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significativi errori previsionali. Maciò che più stupisce (favorevolmente)è che l’Fmi attribuisca tali errori allasottovalutazione degli effetti depres-sivi delle manovre di rigore che, peral-tro, era lo stesso organismo economi-co internazionale a pretendere. Comedichiarato dalla direttrice del Fondo,Christine Lagarde, «le misure di auste-rità adottate nel mondo hanno avutoeffetti più forti di quelli previsti».

Del resto, dal 2010 in poi, soprat-tutto in Europa, i Paesi hanno comin-ciato a tagliare significativamente esimultaneamente i bilanci pubblici.Trattandosi di regioni economiche al-tamente integrate tra loro, la riduzio-ne della spesa pubblica e della do-manda interna di ciascuna di esse nonpoteva che tradursi in minori esporta-zioni e, quindi, minore Pil anche per iPaesi vicini.

L’Fmi ha quindi dovuto ammettereche politiche fiscali di austerità nonpossono essere l’unico strumento dipolitica economica in mano ai governi.Anche perché il debito pubblico hacontinuato ad aumentare in molti Sta-ti, nonostante i tagli alla spesa e l’au-mento delle tasse.

In definitiva sia i dati che le anali-si del Fondo monetario internaziona-le sconfessano la cosiddetta “auste-

rità espansiva”, ossia la ricetta liberi-sta di politica economica seguita, inparticolare dall’Europa, per affronta-re la crisi. Secondo tale ricetta la ridu-zione dei deficit pubblici, grazie an-che al calo dei tassi di interesse che

dovrebbe indurre (ma non si sono fat-ti i conti con mercati finanziari la-sciati colpevolmente liberi di agire in-disturbati), libera risorse che sarannopoi utilizzate dai privati (consumatori eimprese) e, quindi, favoriranno la ripre-sa. In realtà, come la storia ha sempredimostrato, non è scontata l’autonomae spontanea capacità del mercato di ri-sollevarsi, soprattutto quando la crisi ècosì profonda e riguarda l’intera econo-mia globale.

In breve, senza realistiche aspetta-tive di crescita, difficilmente consumie investimenti intraprendono sponta-neamente la strada della ripresa. Mala ricetta “keynesiana” dell’Fmi, perquanto rivoluzionaria per un organi-smo che in passato imponeva doloro-sissime ancorché inefficaci politichedi tagli, è assai limitata. Il Fondo sug-gerisce, infatti, ai governi di prenderetempo, ossia di diluire nel tempo le po-litiche di aggiustamento per dare piùossigeno alla crescita.

Ma i Paesi hanno ormai il fiato cor-to. E, come ricordava Keynes, «nel lun-go periodo siamo tutti morti». Servonorobusti interventi pubblici contro lacrisi. Il capo-economista keynesianodel Fondo monetario internazionale,Olivier Blanchard, sicuramente lo sa.Gli daranno ascolto?

Lacrime e sangueQuei Keynesianidel Fmi

di Alberto Berrini

Nella seconda settimana di ottobre si è svolta a Tokyo l’assemblea annuale più importante del Fondo monetario internazionale (Fmi). Intale sede si è preso atto del forte rallentamento che sta caratteriz-

zando, pur nella diversità dei risultati dei singoli Paesi, l’intera economia mon-diale. Ciò implica anche ammettere che, ancora una volta, si sono commessi

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Anche il Fondo monetariointernazionale ha ammessoche l’austerity, da sola, nonpuò farci uscire dalla crisi

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CooperativaEditoriale EticaAnno 12 numero 103. Ottobre 2012.€ 4,00

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Saldi made in ItalyPer ridurre il debito dell’Italia è giusto (s)vendere il suo patrimonio?

Finanza > Agenzie di rating sotto processo: da loro dipende la salvezza di un PaeseEconomia solidale > Primi passi: 5 banche tolgono le mani dalle commodity agricoleInternazionale > Obama vs Romney: chi vincerebbe se Wall Street potesse votare?

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Decrescita forzataLavoro, welfare, redistribuzione. Una teoria che non critica il sistema

Finanza > Sei mila miliardi di derivati nelle casse delle banche europee. Enormi i rischiEconomia solidale > Caccia al petrolio nei mari italiani. Le lobby ringraziano PasseraInternazionale > Da mezzo della malavita a semiconduttore: la magia dei diamanti

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L’era dei NarcostatiLa criminalità organizzata gestisce il traffico come una multinazionale

Finanza > Con il sì dell’Italia scatta l’ora della Tobin Tax. Con qualche questione aperta Economia solidale > Boom di trivellazioni. Anche in zone a rischio sismicoInternazionale > Campagna elettorale Usa. Chi ha pagato per il nuovo presidente?

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i nostri titoli non sono tossici

rendiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali ndiamo per esempio i caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali ren pir disavanzi e debiti; una correzione più rapida rischia di mettere in ginocchio l'economia ritirando il

e p ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali nd amo per esempio caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali o pe es p o c v o d la pp e p pe e p c pp disavanzi e debiti; una l economia ritirando supporto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci savanzi e debiti una econom a r t rando

p disavanzi e debiti; una correzione più rapida rischia di mettere in ginocchio l'economia ritirando il

p deficit debito interessi deficit e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare deficit debito nteress def c t e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare e t e def r n t pp l c mu t d t p p p pp p p p pp p p p pp p p p p a correzione più rapi re in ginocchio a correz one più rap re n ginocch o r p p e n r p pp pp pp

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vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno nem b br h manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri reve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, reve per odo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, e pe o cc mp g a odo o m c cc p g m l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, ma ib nel lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, ma b manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri come l aumento dell età pe o oni significative subito, sono lente a come aumento de età pe o oni s gnif cat ve sub to, sono ente a m o e à p i no e te m e à o e p p g p p g p p g p g

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nel lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, e ungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, ng p o o Q est p ca sm ng p o Q e s g g g q g g g q g g g q l troppo la conte onomica oppo cald e il "troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la contesa onomica ppo cald economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" e il "troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la contesa economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" l inciampo della caduta e m on tanto la politica nciampo del a caduta e m on tanto a po t ca p de a a e o t n p a p de e p a o freddo , di conciliare gli interessi, di a i dissensi ideologici, di placare la contesa o freddo , d conciliare gli interessi, di a i dissensi ideologici, di placare la contesa quanto la politica ie are fra il tro quanto a pol t ca e a e ra il tro q an p c f a t o p t p p p p

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L'augurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quanto un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della

Ve po freddo, e quindi potenzialmente abitabile. Ma le osservazioni del satellite Hipparcos dimostrarono Ve po Vergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo un altra speranza: il pianeta 70 Virginis b e nella costellazione della un a tra speranza: pianeta 70 V rgin s ne la coste laz one del a un sper z p a 0 V rg s b e a d p p V a un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della Vergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della n seguito che Goldilocks era troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su eddo, e quindi potenzialmente a azioni del satellite Hipparcos dimostrarono in seguito che Goldilocks era troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su eddo e quind potenz almente a azioni del satellite Hipparcos dimostrarono Vergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo Verg ne; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo g e per o n 1 u to o opp c pp pe n o op p p p g p p g p p g p p p p p

questo che pianeta. troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su e abitabile. M del sa e ab tabile del sa t l s l

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p p supporto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne p supporto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci blica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci b ca o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci c penali pen i blica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci c p nal p n supporto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno nesupporto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci nuovesupporto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno nesupporto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci

l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, supporto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci na soluzione na soluz one u u na soluzione u u e da credibili e da cred b i e a cred b e a e da credibili e a c e e nsionabile, no manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri nsionab e n

nel lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, n o manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri o nuove ns onab le n manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a

nel lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, n come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a

manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a nuove come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a

manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a pe s o ab e, o pe s o ab e o , o detti effetti si cu ett ffett si cu et f t cu f u t i u u u crisi, insomma, cr s insomma, , n m cr si, insomma, , n m e il rimbalzo dell e l r mba zo de e ba z e b z e il r m a zo dell z z

liare gli interessi sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.iare g i nteress societàa e li e es sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.a e i es a vera. Le soluzio a vera. Le so uz v e i v vera. Le soluzio v e i v nsionabile, no manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri nsionab e n

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come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a economiavuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno nel breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno necome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a ne nel lungo perio ne ne lungo pe io ne g p o n g p ne nel lungo per o g p g p g l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, g come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a

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finanzamanifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri nel lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, era i normali m l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica era i norma m

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sensi ideologici, di placare la contesa sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi. sensi deo ogici, di placare la contesa finanza sens ideo ogici, di placare la contesa sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi. se de ogici, di placare la contesa edono di media e il "troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la contesa edono di med a sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi. d o m d e il "troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la contesa d finanza edono d med a e il "troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la contesa economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi. d o m d e il "troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la contesa d economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo"

e il "troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la contesa economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" finanza economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo"

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Di fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà? consumi sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.

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L'augurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quanto consumi p L'augurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quanto un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della L'augurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quanto

Vergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo L'augurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quanto

rendiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali deficit e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare t e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare reve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, odo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che,

el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, m, di conciliare gli interessi, di a i dissensi ideologici, di placare la contesa conciliare gli interessi, di a i dissensi ideologici, di placare la contesa ie

più intensi in tempi di crisi. pa

Vergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo questo che pianeta. troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su

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Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altroche legno e derivati non provengano da foreste ad altovalore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da areedove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.Involucro in Mater-Bi®

globalvision 7

fotonotizie 10

dossier L’era dei Narcostati 16Economia drogata 18Crimine globale 20Il narco-servizio bancario: da Wachovia a Hsbc 22Regole vecchie, sanzioni minime. Così prospera la finanza dei narcos 22Mex, drugs & rock ‘n’ roll. L’assalto dei narco-petrolieri 24Argentina, narcostato sempre più attivo 26

finanzaeticaRiforme finanziarie, è scattata l’offensiva europea 29Le banche restano in paradiso 32Shaxson: «La City? Uno dei tanti tax havens» 33Banca Etica e i Gas. Non così vicini 35

narcoglobalizzazione 38

economiasolidaleLa banda del buco 41Il dilemma di Milano: meglio il cibo sano o una nuova autostrada? 45Il mais italiano alla guerra della produttività 47Biogas, attenzione a chiamarla “energia pulita” 49La sostenibilità viaggia a pedali 51

valorifiscali 53

internazionalePaperini e Paperoni: chi finanzia il nuovo presidente? 55Se un mormone sale alla Casa Bianca 58Lo sporco business delle cavie umane 59Libia. Dall’occupazione coloniale alla “guerra umanitaria” 61Brasile di terra, business e pallottole 63

consumiditerritorio 65

altrevoci 66

bancor 73

action! 74

Guachinango, Messico, ottobre 2012. Un soldato messicano partecipa alladistruzione di una coltivazione di marijuana. Era stata seminata insiemeal mais per renderne più difficile il rilevamento. Il campo, secondo la stampa locale, aveva un’estensione di 30 mila metri quadrati.

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novembre 2012mensilewww.valori.itanno 12 numero 104Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005editoreSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Napo Torriani, 29 - 20124 Milanopromossa da Banca EticasociFondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale,Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza,Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa,Federazione Trentina della Cooperazione, Rodrigo Vergara,Circom soc. coop.,Donato Dall’Avaconsiglio di amministrazionePaolo Bellentani, Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Giuseppe Di Francesco, Marco Piccolo, Fabio Silva ([email protected]), Sergio Slavazzadirezione generaleGiancarlo Roncaglioni ([email protected])collegio dei sindaciGiuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzonedirettore editorialeMariateresa Ruggiero([email protected])direttore responsabileAndrea Di Stefano ([email protected])caporedattoreElisabetta Tramonto ([email protected])redazione ([email protected])Via Napo Torriani, 29 - 20124 MilanoPaola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini, Francesco Carcano,Matteo Cavallito, Corrado Fontana,Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro,Andrea Montella, Valentina Neri grafica, impaginazione e stampaPublistampa Arti graficheVia Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento)fotografie e illustrazioniRoberto Caccuri, Fabio Cuttica, Xinhua (Contrasto); Fabrizio Bensch, Handout, Jorge Silva (Reuters);Olivier Douliery (Photoshot); Tomaso Marcollaabbonamento annuale ˜ 10 numeriEuro 38 ˜ scuole, enti non profit, privatiEuro 48 ˜ enti pubblici, aziendeEuro 60 ˜ sostenitoreabbonamento biennale ˜ 20 numeriEuro 70 ˜ scuole, enti non profit, privatiEuro 90 ˜ enti pubblici, aziendecome abbonarsi carta di creditosul sito www.valori.it sezione come abbonarsiCausale: abbonamento/Rinnovo Valori

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Prendiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali Prendia aso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali disavanzi e debiti; una correzione più rapida rischia di mettere in ginocchio l'economia ritirando il

Prendia aso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali disavanzi e debiti; una correzione più rapida rischia di mettere in ginocchio l'economia ritirando il supporto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci disavanzi e debiti; una correzione più rapida rischia di mettere in ginocchio l'economia ritirando il

aso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali disavanzi e debiti; una correzione più rapida rischia di mettere in ginocchio l'economia ritirando il

aso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali

ccompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, a o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci

l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, a o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci supporto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Ci

ccompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a ccompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri

l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri

l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri

l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri nel lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri

l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri

l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a nel lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, come l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che,

manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri l breve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri

economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,

economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri nel lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri

economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" nel lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, nel lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,

economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" nel lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo, manifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri

e il "troppo freddo", di c i dissensi ideologici, di placare la contesa economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" e il "troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la contesa economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica economica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica e il "troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la contesa

l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica

L'augurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quanto L'augurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quanto Vergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo

L'augurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quanto Vergine; sc 96 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo freddo, e quindi potenzialmente abitabile. Ma le osservazioni del satellite Hipparcos dimostrarono Vergine; sc 96 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo Vergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo in seguito che Goldilocks era troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su freddo, e quindi potenzialmente a azioni del satellite Hipparcos dimostrarono in seguito che Goldilocks era troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su freddo, e quindi potenzialmente a azioni del satellite Hipparcos dimostrarono Vergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo freddo, e quindi potenzialmente abitabile. Ma le osservazioni del satellite Hipparcos dimostrarono Vergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo in seguito che Goldilocks era troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su Vergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo freddo, e quindi potenzialmente abitabile. Ma le osservazioni del satellite Hipparcos dimostrarono Vergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo

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| fotonotizie |

Contributi all’energia: rinnovabili 66 miliardi,fossili mille

Che gli studi scientifici valgano menodei ritorni economici lo si capiscedalla inesorabile disparità tra fontirinnovabili e combustibili fossili comebeneficiari dei contributi finanziarimondiali. Il dato emerge da unaricerca diffusa a fine agosto dalWorldwatch Institute e realizzata da Vital Signs: i contributi totali per l'energia rinnovabile nel 2010ammontavano a 66 miliardi di dollari,mentre i sussidi planetari attribuiti ai combustibili fossili raggiungono un valore stimato in 775 miliardi di dollari per il 2010 e più di 1 trilione(mille miliardi) di dollari nel 2012. Un confronto impari, con la solamagra consolazione che vienecalcolando le sovvenzioni perkilowattora prodotto: basandosi sullaproduzione di energia del 2009,Worldwatch Institute dice che quellarinnovabile avrebbe ricevuto tra 1,7 e 15 ¢ (cent di dollaro) per kWh,mentre i sussidi per i combustibilifossili restano compresi tra 0,1 e 0,7 ¢per kWh. Peccato che attraverso il trilione di dollari concesso a petrolio&Co. la collettività finanzianche le cosiddette “esternalitànegative” sulla disponibilità dellerisorse, l'ambiente e la salute umana:la Us National Academy of Sciencesstima che le sovvenzioni ai combustibilifossili pesino in costi sanitari (perlopiù da inquinamento) per 120 miliardi di dollari l’anno. Costi evitabili se eliminassimo il solito trilione entro i prossimi 8 anni, perché allora – secondo le proiezioni della InternationalEnergy Agency (Iea) – il consumoglobale di energia si ridurrebbe del 3,9%, colpendo innanzitutto la domanda di petrolio (-3,7 milioni di barili al giorno), gas naturale (-330 miliardi di metri cubi) e carbone (-230 milioni di tonnellate).Per non dire delle emissioni di CO2

risparmiate. E sul prossimo numero di Valori ne saprete di più. [C.F.]

[Il disastro ambientale nella piattaforma petroliferaDeepwater Horizon, che tra aprile e agosto del 2012ha sversato tonnellate di combustibile nelle acquedel Golfo del Messico. Ancora oggi, a due anni di distanza, se ne vedono pesanti tracce]. R

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| fotonotizie |

Venezuela, Chávez eletto presidente per la quarta volta

Ingrassato, ma ufficialmente guaritodal cancro a causa del quale è statoa lungo assente dalla ribalta politicalo scorso anno, il 58enne HugoRafael Chávez Frías si è riconfermatoper la quarta volta consecutivapresidente del Venezuela. Ha annunciato la sua vittoria lo scorso 8 ottobre, affacciandosi da palazzo di Miraflores brandendola spada di Simon Bolivar, l’eroevenezuelano vissuto tra la fine del’700 e inizio ’800 che ha contribuitoall’indipendenza di molti Paesi delSudamerica e al quale il programmadi Hugo Chávez, il socialismo del XXIsecolo, si ispira.L’ex militare ha ottenuto il 54,2%delle preferenze contro il 45% delsuo sfidante, il quarantenneHenrique Capriles Radonski,avvocato e governatore dal 2008dello Stato di Miranda; il riconfermatopresidente porta a casa 7 milioni e 400 mila voti, il suo sfidante 6 milioni e 200 mila. Un risultato non sufficiente per l’elezione, ma in crescita rispetto al 36% chel’opposizione aveva conseguito nel 2006, confermando la credibilità di Capriles tra le fasce di popolazionecontrarie a Chávez, che nella scorsaelezione era stato votato dal 63%dei venezuelani. C’è da dire che a queste elezioni si è presentato il 6% dell’elettorato in più, che ha espresso il suo consenso per il presidente del Partito socialistaunito del Venezuela.Capriles ha preso sportivamente i risultati esprimendo l’intenzione di durare nel tempo e di continuare a lavorare per Prima la giustizia(Primero justicia), il partito di centrodestra favorevole al libero mercato e alla democratizzazione del Paese,nato come associazione nel 1992.In carica dal 1998, Chávezcontinuerà a governare fino al 2018,con un incarico non facile: i risultatimostrano un Paese polarizzato e diviso verticalmente. Mentrel’aspetto da bravo ragazzo di Capriles ha compattatol’opposizione e raccolto i consensidei più ricchi, ancora oggi chiamatilos escualidos (gli squallidi) dai cetimedi e popolari. [Pa.Bai.]

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[Hugo Chávez vittorioso affacciato dal Palazzo di Miraflores lo scorso 8 ottobre].

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| fotonotizie |

Mais Ogm: tumore nei topi,paura per l’uomo

Un nuovo allarme sugli Ogm,suffragato da un corposo lavoroscientifico, è rimbalzato in tuttoil mondo a fine settembre, lanciatoda uno studio francese che ha smosso in primis il governo di Parigi. Lo studio, pubblicato sullarivista scientifica Food and ChemicalToxicology, ha richiesto due anni di lavoro ed è stato curato da un’équipe di ricercatori guidatada Gilles-Eric Seralini, dell’Universitàdi Caen, con una collaborazioneanche dell’Università di Verona. Ha dimostrato che topi alimentaticon mais geneticamente modificato“NK603” (varietà tollerante al pesticida Roundup brevettata da Monsanto) sono morti prima dialtri, dopo aver sviluppato tumorialla mammella e danni gravi a fegatoe reni. Il ministro francesedell’Agricoltura Stéphane Le Foll ha dichiarato che sarà necessariorivedere i protocolli di autorizzazione dei prodottigeneticamente modificati e, nonappena lo studio sarà convalidatodall’Agenzia nazionale per la sicurezza sanitaria (Anses), Parigichiederà che venga disposto «il blocco delle importazioni di questo tipo di prodotti. Occorreràprendere decisioni politiche di notevole importanza, anche su scala europea». Ma a preoccuparsi non è solo il Paese transalpino, se è vero chel’autorità tedesca sulla sicurezzaalimentare ha dato mandato a un gruppo di esperti di stilare una relazione sull’argomento. E in Canada la coalizioneambientalista Vigilance Ogm, chechiede da tempo l’imposizione di un’etichettatura specifica per talitipi di prodotti, vuole ripeterenuovamente lo studio, al fine di fugare anche alcuni dubbi chesono sorti in merito alla metodologiautilizzata dai ricercatori francesi. [C.F.]

[Alcuni ricercatori dell’Università di Caen mentreeseguono i test. Valori ha scelto di non mostrare le immagini più agghiaccianti. Ci scusiamo per avercomunque pubblicato la foto di un animalesottoposto ai test].

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dossier a cura diPaola Baiocchi, Andrea Barolini, Matteo Cavallito e Valentina Neri

Economia drogata > 18

Crimine globale > 20

Il narco-servizio bancario > 22

L’assalto dei narco-petrolieri > 24

Argentina-narcostato sempre più attivo > 26

Nella città di Tijuana, al confine con il Messico, il 22 ottobre del 2010 furono sequestrate da polizia ed esercito 134 tonnellate di marijuana,che poi vennero date alle fiamme

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L’eradei Narcostati

Delocalizzano, fanno dumping,aprono nuovi mercati, investono nella finanza. Sono le corporationdel crimine, quasi indistinguibili da quelle legali

FABIO CUTTICA / CONTRASTO

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dossier | l’era dei narcostati |

L’economia della droga, un merca-to che ingenera bisogni e sfruttadebolezze umane, produce fiumi

di danaro che si stima rappresentino il 4%del Pil mondiale. Ma diventano centinaiadi volte di più dopo esser stati moltiplicatidalle leve “legali” dei prodotti finanziari,attraverso i quali i narcocapitali vengonolavati e rientrano nell’economia, indistin-guibili dagli altri capitali finanziari.

Sulla base della difficoltà di separarelegale e illegale, chi studia il potere crimi-nale parla di una nuova fase nella storiadel crimine organizzato, che sarebbe inquesto momento simbiotico all’economialegale e quindi “globalizzato”, avendo sa-puto approfittare del vuoto di potere poli-tico conseguente alla dissoluzione dell’U-nione Sovietica, come spiega UmbertoSantino, storico delle mafie, in Droga, ma-fia e globalizzazione.

Il progressivo indebolimento degliStati nazione, trasformati in Stati mer-cato dalla fine della guerra fredda edall’avanzare del neoliberalismo, per Lo-retta Napoleoni, esperta di terrorismoed economia internazionale, rende pos-sibile l’evoluzione della ’ndrangheta ca-labrese che, tra gli anni ’80 e ’90, esportaall’estero la rete che ha costruito in Italiain un secolo, cavalcando l’occasione del-le guerre nei Balcani, che bloccano le tra-dizionali rotte (Economia canaglia, IlSaggiatore 2008).

La ’ndrangheta convince contrab-bandieri albanesi, bulgari, turchi e isla-

mici a deviare i loro traffici per far di-ventare le coste della Calabria le nuovefrontiere illegali dell’Europa. Scrive laNapoleoni: «Alla fine della guerra neiBalcani le rotte calabresi sono tanto co-mode e frequentate che quelle di primanon vengono più riaperte».

L’integrazione verticaledella ’ndranghetaNel frattempo la ’ndrangheta consolida irapporti con i cartelli colombiani e mes-sicani della cocaina e riesce a costruireun’organizzazione a “integrazione verti-cale” sul modello delle corporation mul-tinazionali, che offre come nessun altroil pacchetto completo (volendo anche divoti elettorali). Le ’ndrine garantisconodal contrabbando della droga ai paga-menti in armi, al riciclaggio del danarodei narcos in euro, in questo facilitatedall’unione monetaria europea, che aiu-ta a coprire l’origine dei proventi illegali,assieme all’insufficiente monitoraggiocomunitario sui contanti in entrata e inuscita dall’Unione.

Spiega Michele Prestipino, procurato-re aggiunto presso la Direzione distrettua-le antimafia di Reggio Calabria: «Nella suaascesa come intermediatore e organizza-tore dei traffici internazionali della cocai-na, la ’ndrangheta ha approfittato di due“jolly”: l’impegno di Cosa nostra nella stra-tegia stragista e poi il suo indebolimentoper la reazione dello Stato. Negli anni incui tutta l’attenzione era focalizzata sulla

Sicilia – continua Prestipino – la ’ndran-gheta ha accumulato un enorme potere eun’enorme ricchezza. Compatta e con ungrande serbatoio di liquidità finanziariaper poter far fronte in ogni caso a qualsia-si pagamento, la ’ndrangheta si è afferma-ta per affidabilità e solvibilità di cassa».

La proletarizzazione della cocainaInterconnessione dei mercati, velocitànelle transazioni, segretezza del sistemabancario, grandi diseguaglianze socialiall’interno dei Paesi e tra i Paesi e svuota-mento della funzione politica degli Statiche non agiscono più come regolatori deimercati, sottoposti solo alle leggi del pro-fitto. Tutte queste caratteristiche della“globalizzazione” sono colte dal trafficointernazionale delle droghe che approfit-ta per svilupparsi, secondo Santino, siadel deficit che dell’abbondanza.

Così dalla povertà della Colombia na-sce la ricchezza dei narcos, che hanno“proletarizzato” una droga come la cocai-na che fino a 25 anni fa era solo per ricchie ora è diffusa sulle piazze quanto l’hashi-sh,mentre coltivazioni e laboratori dallaColombia si diffondono in Bolivia e Perù.

Azzardiamo l’ipotesi che la cocaina siaspinta nella sua discesa verso prezzi più“popolari”, che non ne intaccano comun-que il “saggio di profitto”, anche dalle eco-nomie di scala permesse dall’efficienzaorganizzativa della ’ndrangheta.

La diffusione della cocaina nei Paesidell’Est, così come nel resto del mondo, è

EconomiadrogatadiPaola Baiocchi

Si parla di una nuova fase del potere criminale, ormai in simbiosi con il sistema economico legale e che usa tutte le potenzialità della “globalizzazione” per svilupparsi: Stati deboli, culture sottomesse alla dittatura del profitto e finanziarizzazione del mondo. In un quadro di collaborazioni transnazionali tra organizzazioni criminali

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culturalmente legata all’imitazione di mo-delli che ne fanno una droga per “vincen-ti”. Modelli di quel pensiero unico che,sempre per Umberto Santino, incarna“l’etica della globalizzazione”: cioè unasumma di codici culturali ispirati al dog-ma del profitto, alla sudditanza del lavoroal capitale, alla competitività e al consu-mismo come filosofia di vita, per arrivareal successo ad ogni costo. In queste prate-rie culturali e legislative libere da “lacci elacciuoli”, tra le criminalità si stabilisconocollaborazioni transnazionali in nome del“mercato”, per evitare clamorose guerre.

Nuovi mercati si apronoL’eroina, dopo la flessione nei consumiconseguente alla conoscenza dei suoi ef-fetti e alla diffusione dell’Aids, ora fumatae sniffata oltre che iniettata, ha conqui-stato nuovi mercati: l’Iran, per esempio,che è allo stesso tempo piattaforma neiflussi dall’Afghanistan verso l’Europa econsumatore, con 4/5 milioni di dipenden-ti da oppiacei. Ma anche la Russia e i Paesidell’Est si stanno affermando come con-sumatori oltre che come trafficanti, dopola caduta del Muro di Berlino.

Dall’Afghanistan arrivano i tre quar-ti della produzione mondiale di oppio,materia base per l’eroina, che ora vieneanche raffinata localmente. «Per que-stioni economiche: è molto più facilecontrabbandare eroina che pani d’op-pio», spiega Rosario Aitala, consiglieredel ministro degli Affari esteri per leAree di crisi e Criminalità internaziona-le, che continua: «L’Afghanistan ha unastoria complessa per cui lì è diventato fa-cile coltivare l’oppio e sarà molto diffici-le che smettano di coltivarlo».

La proxy war, la guerra per procura,combattuta dagli afghani contro l’Urssalla fine degli anni ’70, finanziata con ca-pitali Usa e dell’Arabia Saudita, con lacollaborazione dei servizi segreti paki-stani, israeliani ed egiziani, ha riaperto“la via della seta” per i missili Stinger de-stinati ai mujaheddin, ma anche al traffi-co di droga. E ha aperto la strada anche,sostiene Chalmers Johnson, storico esaggista statunitense autore di Nemesi,all’11 settembre e alle successive guerreUsa contro il terrorismo.

ANDEANREGION

USA

Canada

Europe

Brazil

Mexico

B.R. of Venezuela

Caribbean

Pacific

165

124

17

14

WestAfrica

Southern Africa

Traffico di cocaina

140

60

15

Consumo di cocaina

Principali produttori di cocaina

6

[tonnellate]

[tonnellate]

2. FLUSSI GLOBALI DI COCAINA NEL 2008

FONTE: WORLD DRUG REPORT 2010, UNODC

Oceania

Africa

USA,Canada

Gulf area,Middle East

South-East Europe Caucasus

West, Central,East Europe

South-East Asia

CentralAsia

RussianFederation

China

India Myanmar

Pakistan

IslamicRepublicof Iran

Afghanistan

Turkey

Flussi di eroina[tonnellate]

[tonnellate] [not actual trafficking routes]

Produzione di oppio

6-10

11

1-5

38 5,300

500

450

2,700

MyanmarAfghanistan

Opiu m

Transformedinto heroin

105

15

0

95

82

88

95

77

1. FLUSSI GLOBALI DI EROINA DI ORIGINE ASIATICA

FONTE: WORLD DRUG REPORT 2010, UNODC

1-2 Ad oggi, i dati relativi al consumo totale di eroina nel mondo, insieme a quelli legati ai sequestri,indicano un flusso complessivo nel mercato globale di circa 430-450 tonnellate. La quantità prodotta dal Myanmar e dal Laos raggiunge circa le 50 tonnellate, mentre il resto – circa 380 tonnellate di eroina e morfina – è prodotto esclusivamente in Afghanistan. Sono due le principali “autostrade” della droga: una che passa dai Balcani e un’altra che sfrutta il territoriodella Russia, in direzione dell’Europa. Il primo corridoio tocca l’Iran (ma spesso anche il Pakistan), la Turchia, la Grecia e la Bulgaria, prima di entrare nella ex-Jugoslavia; rappresenta un giro d’affari di circa 20 miliardi di dollari all’anno. Il secondo passa per Tagikistan e Kirgizistan (o Uzbekistan e Turkmenistan),tocca il Kazakistan e arriva in Russia; il valore stimato è di 13 miliardi di dollari all’anno. Per quanto riguarda la cocaina, il mercato non è più quasi unicamente europeo, come nel caso dell’eroina,ma anche nordamericano. Sono le nazioni andine (Colombia su tutte, ma anche Perù e Bolivia) i principaliproduttori: per raggiungere Usa e Canada i trafficanti sfruttano le vie marittime o il Messico. Le navi sono invece il mezzo privilegiato per arrivare in Europa.

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«Èdifficile dire come sono or-ganizzati i gruppi crimina-li. L’unica cosa certa è che

seguono le stesse regole: cercano di sfrut-tare le economie di scala». Esordisce cosìFranz Trautmann, direttore dell’unitàAffari internazionali al Trimbos Institu-te, centro studi olandese sulle droghe ela salute mentale.

Ritiene che esistano veri narcostati? E chela criminalità organizzata sia organizzatacome le multinazionali?

È un tema di cui mi sto occupandoper la Commissione europea. Abbiamo lasensazione che ci siano Paesi “deboli” incui vige un regime di corruzione e le or-ganizzazioni criminali sono piuttostostabili perché non hanno molto da teme-re. Lo possiamo vedere ad esempio neltraffico di cocaina in America Latina.

La criminalità organizzata sfrutta leeconomie di scala. Che non vuol dire sol-tanto che i siti di produzione sono piùgrandi, ma anche che le organizzazionicriminali cercano di differenziare i ri-schi, ad esempio delocalizzando la pro-duzione in diverse zone. Puoi scovare uncentro di produzione, ma a quel punto nehai solo uno. Ci vuole uno sforzo mag-giore per riuscire a individuare i centri diproduzione più piccoli e meno visibili.

Sono più difficili le operazioni antidroga...I metodi di contrasto alle droghe atti-

vati finora stanno convogliando la pro-duzione in certe direzioni. Capita, adesempio, che si delocalizzi da un territorioa un altro perché è più sicuro. La poliziaolandese negli ultimi anni ha agito moltoattivamente per scovare le coltivazioni dicannabis, utilizzando addirittura rileva-zioni con telecamere a infrarossi. Risulta-to: parte della produzione è stata sposta-ta in Belgio, a 20-50 km di distanza, perché

è un territorio meno controllato. Pur ri-manendo nelle mani delle stesse organiz-zazioni. È lo stesso meccanismo per cui, seoggi si compra un prodotto Apple, è fab-bricato a Taiwan. È una legge economica:si produce dove costa meno. Il mercatodella droga sta facendo più o meno lostesso. La maggiore differenza fra i mer-cati legali e quelli illegali è che questi ulti-mi, oltre ai costi di produzione, trasporto,smistamento ecc., devono considerare co-sti extra per il rischio di sequestri.

diValentina Neri

La criminalità organizzata gestisceil traffico di droga come unamultinazionale: produce dove costameno e dove è più sicuro.E sfrutta le economie di scala.Lo racconta Franz Trautmann

New Zealand0.8

Sequestri di cannabis dal rapportoUNODC (2006-2010)

Nessun sequestro di cannabis dal rapportoUNODC (2006-2010)

In crescita (>10%)

Stabile (+/- 10%)

In calo (>10%)

Mexico2,313.1

United States of America1,931.0

Sequestri nel 2010[tonnellate]Tendenza 2009-2010

Nessun dato disponibile per l’anno precedente

Colombia255.0

India173.1

Brazil155.1

Egypt107.0

Canada50.7

West & Central Europe69.2

Southeast Europe55.0

Israel4.9

Guatemala4.4

Peru3.9

Lao People's Democratic Republic3.5

Mozambique3.25

Australia1.8

Uzbekistan1.7

El Salvador0.9

Australia1.8Venezuela (Bolivarian

Republic of)38.9

Argentina36.3

Kazakhstan27.3

East Europe39.0

Indonesia22.7

Iran 8.2

Chile8.1

Swaziland5.94

Côte d’Ivoire3.6

Mali3.33

China3.2

Ecuador2.5

Kyrgyzstan1.4

Gabon1.1

Philippines1.1

Malaysia1.1

Madagascar0.8

Botswana0.7

Chad0.6

Togo0.6

Costa Rica0.6

Cameroon0.3

Vietnam0.2

Myanmar0.2

Japan0.2

Panama1.8

Morocco186.6

Nigeria174.7

Belize97.0

Bangladesh22.3

Senegal15.9

Caribbean92.3

Uruguay0.38

Ghana0.15Suriname

0.15

Burkina Faso0.13

Boliva (Plurinational State of)4.4

Thailand17.9

Tanzania (United Republic of)279.5

Kenya15.0

SEQUESTRI DI CANNABIS NEL MONDO

FONTE: WORLD DRUG REPORT 2012, UNODC

211.21Colombia

United States of America163.34

Ecuador15.47

West & Central Europe60.95

Central America85.7

Venezuela (Bolivarian Republic of)

25.09

Bolivia (Plurinational State of)29.09

Brazil27.07

Mexico9.89

Peru31.06

Argentina7.3

Chile9.94

Caribbean7.28

Canada2.95

Philippines0.34

Israel0.07

Hong Kong, China0.58

East Europe0.27

China0.44

Morocco0.07

Malaysia0.02

India0.02

Australia1.89

Islamic Republic of Iran 0.02 Pakistan

0.23

Tanzania (United Republic of)0.06

Mali0.02

Benin0.01

Cameroon0.01

Paraguay

Thailand0.03

1.43

Nigeria0.71

Uruguay0.65

Suriname0.38

Guyana0.09

Senegal0.04

Ghana0.03

Saudi Arabia0.03

MaliM0.0

BBB

Kenya0.02

United ArabEmirates

0.05

South-East Europe0.37

Sequestri di cocaina dal rapportoUNODC (2006-2010)

Nessun sequestro di cocaina dal rapportoUNODC (2006-2010)

In crescita (>10%)

Stabile (+/- 10%)

In calo (>10%)

Sequestri nel 2010[tonnellate]Tendenza 2009-2010

Nessun dato disponibile per l’anno precedente

SEQUESTRI DI COCAINA NEL MONDO

Crimineglobale

16-27_dossier_V104 25/10/12 16.44 Pagina 20

Page 21: Mensile Valori n. 104 2012

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 21 |

| dossier | l’era dei narcostati |

Ma esiste una vera organizzazione dellavoro criminale a livello globale?

È difficile entrare nello specifico del-l’organizzazione del lavoro. Le organizza-zioni illecite si occupano di diversi settori:il traffico di droga spesso è legato al traf-fico di esseri umani e talvolta anche algioco d’azzardo. I traffici hanno bisognoin primo luogo di infrastrutture: aeropor-ti, strade, ecc. Lo si vede a Rotterdam co-me in Sudafrica: uno Stato che inizia adaver un certo ruolo perché ha ottime in-

frastrutture. Ma ci sono anche infrastrut-ture “invisibili”. Le organizzazioni crimi-nali hanno iniziato a lavorare di più nellezone dell’Africa occidentale che erano ex-colonie portoghesi: da lì le sostanze stu-pefacenti vengono portate in Portogallo eSpagna. Legami storici che in un certosenso agiscono da infrastrutture.

Secondo i dati dell’Unodc, i proventi deltraffico di droga sono in diminuzione...

Ho i miei dubbi su questi dati. Il de-

naro che circola nel narcotraffico derivada varie fasi: produzione, traffico, vendi-ta su larga scala e al dettaglio. Sappiamoche la produzione è la parte minore per-ché l’agricoltore che coltiva la coca pren-de solo le briciole, sappiamo anche che iprofitti arrivano nel passaggio tra “in-grosso” e “dettaglio”, ma è difficile capirea quanto ammontino.

Ci si sta spostando verso le droghesintetiche, più facili e veloci da produrre,da delocalizzare e da nascondere. Percoltivare coca o papavero, invece, sononecessari campi vasti e visibili e servonomesi. Le droghe sintetiche, però, non so-no ancora monitorate a sufficienza.

Da cosa dipende lo spostamento del traffico da una droga all’altra?

Ci sono molti fattori. In Olanda inquesto momento l’età media delle perso-ne in trattamento per l’uso di eroina è suicinquant’anni: non ci sono persone gio-vani che iniziano a fare uso di eroina. Sitratta di trend che hanno a che fare conla moda: l’eroina non è più di moda, i gio-vani pensano che sia una droga per per-denti. Al contrario la cocaina, le anfeta-mine e la cannabis sono più “cool”, sonole droghe delle persone che vogliono sol-di, vogliono fare carriera. Le politichereagiscono al problema ma non riesconoa dare forma al problema stesso.

L’ultimo rapporto dell’Unodc (l’Ufficio delle NazioniUnite per il Controllo della droga e la prevenzionedel crimine) sottolinea che quello legato allacannabis è un fenomeno globale: spiccanoi casi di Stati Uniti e Messico, ma i sequestririsultano effettuati in tutto il mondo. Per la cocaina, la maggioranza delle operazionisi concentra in America centrale (nella regioneandina) e del Sud, negli Usa ed Europa occidentale. La maggior parte dei sequestri di eroina si concentra in Asia meridionale, ricalcando la geografia dei principali luoghi di produzione. Nel solo 2008 in tutto il mondo sono statesottratte ai trafficanti 73,7 tonnellate di eroina.Solo due Paesi, Iran e Turchia, registrano oltre la metà dei sequestri mondiali. Al contrario, nello Stato che più di ogni altri produce eroina,l’Afghanistan, la quota sequestrata risultaassolutamente esigua: solamente 5 tonnellatecontro le 375 introdotte sul mercato internazionale.Discorso opposto per l’ecstasy, sequestrata quasiunicamente in Usa, Canada, Europa e Cina. I dati relativi ai sequestri però non sono di per sé indicativi di una maggiore o minore presenza di droga sul territorio. Dipendono anche dallacapacità (o volontà) delle forze di polizia di contrastare il fenomeno.

United States of America

1,069.1

West & Central Europe

1,029.4

Canada

528.9

China381.9

South-East Europe276.2

Australia111.6

Argentina25.5

Japan4.95

Malaysia129.7

Thailand4.00

East Europe5.9

Hong Kong, China1.74

New Zealand12.5

Singapore2.4

Mexico2.0

Indonesia127.4

Colombia1.8

Peru68.1

Sequestri di ecstasy dal rapportoUNODC (2006-2010)

Nessun sequestro di ecstasy dal rapportoUNODC (2006-2010)

In crescita (>10%)

Stabile (+/- 10%)

In calo (>10%)

Sequestri nel 2010[tonnellate]Tendenza 2009-2010

Nessun dato disponibile per l’anno precedente

SEQUESTRI DI ECSTASY NEL MONDO

Islamic Rep. of Iran35.24

Turkey12.7

China5.4

West & Central Europe5.8

Pakistan10.3

United States of America3.5

Russian Federation2.6

Colombia1.7

Uzbekistan1.0

Ecuador0.9

India0.8

Australia0.5

Mexico0.4

Kazakhstan0.3

0.3Viet NamMalaysia

0.3

North Africa0.2

Central America

0.2

East Africa0.2

Kyrgyzstan0.2

Sri Lanka0.1

0.1Thaliand

Canada0.1

Myanmar0.1

Lao People’s Dem. Rep.0.08

Hong Kong, China0.07

Belarus0.04

Venezuela (Bolivarian Republic of)

0.05

Caribbean0.03

Singapore0.05

Indonesia0.03

Macau, China0.01

Tajikistan1.0

West and Central Africa0.2

Bangladesh0.1 Taiwan province of China

0.07

Southeast Europe (excl. Turkey)0.68

Afghanistan14.1

Turkmenistan0.1

Israel0.5

United Arab Emirates0.2

Saudi Arabia0.06

0.05Syrian Arab Republic

Sequestri di eroina e morfina dal rapportoUNODC (2006-2010)

Nessun sequestro di eroina e morfina dal rapportoUNODC (2006-2010)

In crescita (>10%)

Stabile (+/- 10%)

In calo (>10%)

Sequestri nel 2010[tonnellate]Tendenza 2009-2010

Nessun dato disponibile per l’anno precedente

SEQUESTRI DI EROINA E MORFINA NEL MONDO

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Page 22: Mensile Valori n. 104 2012

| 22 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |

dossier | l’era dei narcostati |

L’ultimo scandalo è del luglio scor-so e le cifre sono da capogiro. Ilcolosso finanziario britannico

Hsbc – 2.500 miliardi di dollari (in assetge-stiti), 89 milioni di clienti e 22 miliardi diprofitti annui –ha prestato i suoi servizi alriciclaggio internazionale di denaro spor-co. La denuncia, contenuta in un rappor-to di oltre 300 pagine del Committee on Homeland Security and GovernmentalAffairs del Senato statunitense parla chia-ro: in barba ai regolamenti sulla traspa-

renza finanziaria, l’istituto ha aperto mi-gliaia di conti correnti in favore di clientisospetti, società fantasma, riciclatori edevasori di stanza nei paradisi fiscali comeBahamas, Nauru e Isole Cayman. Il con-trovalore delle transazioni potenzialmen-te rischiose e non adeguatamente monito-rate dalla banca ammonterebbe a circa 60trilioni (mila miliardi) di dollari all’anno.Oltre due terzi del Pil mondiale.I regolamenti internazionali impongonoal sistema bancario l’adeguamento co-stante a due tipi di standard preventivi:l’Aml (Anti money laundering, antirici-claggio) e il Ctf (Counter-terrorism finan-cing, contrasto ai canali di finanziamentodei terroristi). In ossequio a questi criteri,l’Office of foreign assets control (Ofac) deldipartimento del Tesoro Usa ha elaborato

da tempo una lista nera di soggetti e giuri-sdizioni cui proibire l’accesso ai servizi fi-nanziari. Tra il 2002 e il 2007 la filiale Usadi Hsbc è stata usata da ignoti clienti pereffettuare transazioni potenzialmenteproibite dall’Ofac per quasi 20 miliardi didollari, coinvolgendo giurisdizioni “pro-blematiche” tra cui Iran e Corea del Nord.

I vertici Usa di Hsbc, sostiene il rap-porto, erano stati informati delle opera-zioni sospette già nel 2001, ma non ave-vano attuato alcuna significativa misuradi contrasto. Anzi, per dieci anni la bancaha intrattenuto rapporti con almeno treistituti, noti per le loro attività di finan-ziamento del terrorismo internazionale:la banca saudita Al Rajhi Islami e le ben-galesi Bank Bangladesh Ltd. e Social Isla-mi Bank.

Il narco-servizio bancario:da Wachovia a Hsbc diMatteo Cavallito

Un rapporto del Senato inchioda la banca britannica, per anni efficacelavanderia dei trafficanti di droga.Ma il suo non è un caso isolato

diMatteo Cavallito

Secondo l’ex direttore dell’Unodc Costa, il collegamentobanche, narcotraffico e riciclaggio è un problema endemico.Mancano regole e sanzioni adeguate. La globalizzazionefinanziaria aiuta a spostare, e lavare, capitali

«Il nesso tra narcotraffico, finanza e riciclaggio non è un fattocongiunturale, ma il frutto di un problema endemico che partedalla mancanza di moralità». Non ha dubbi l’ex direttoredell’Unodc Antonio Maria Costa. A quasi quattro anni dalladenuncia sulle connessioni tra banche e proventi della droga, i problemi di fondo sono tuttora irrisolti.

Dottor Costa, che impressione le ha fatto il caso Hsbc?È stato uno dei tanti casi clamorosi che sono emersi, come quelli di Wachovia o di Citibank. La cosa che più mi colpisce è che si tratta di banche di grande importanza che non avrebberobisogno di ricorrere a certi stratagemmi per reperire la liquidità.Tuttavia siamo di fronte a un problema sistemico: regole globali in parte assenti e in parte inadeguate che spesso vengono anche disattese.

Quindi è un problema di regole?Nel luglio del 1989, quando ero vice segretario generaledell’Ocse, l’allora G7 creò la Financial Action Task Force (Fatf),che negli anni successivi fissò alcune regole adatte a un mondo

Regole vecchie, sanzioni minimeCosì prospera la finanza dei narcos

16-27_dossier_V104 25/10/12 16.44 Pagina 22

Page 23: Mensile Valori n. 104 2012

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 23 |

| dossier | l’era dei narcostati |

La “risorsa” dei narcodollariLa storia più incredibile nell’epopea diHsbc viene dalla filiale messicana dellabanca, Hbmx, che tra il 2007 e il 2008 ha ma-terialmente spedito 7 miliardi di dollari incontanti negli Stati Uniti. Un simile am-montare di denaro liquido non tracciabile,si sospetta sia riconducibile ai cartelli delladroga. La vicenda di Hbmx richiama allamemoria un’altra storia messicana, quellacominciata con il sequestro di un DC-9 ca-rico di 5,7 tonnellate di cocaina (controva-lore stimato: 100 milioni di dollari) a Ciu-dad del Carmen, il 10 aprile del 2006. Dalleindagini successive si scoprì che il velivoloera stato acquistato con denaro riciclatoattraverso la banca statunitense Wacho-via, di base a Charlotte nel North Carolina.La banca, riferì in seguito il quotidianobritannico The Observer, aveva condot-to transazioni per quasi 380 miliardi didollari con le oscure Casas de cambio lo-cali, le agenzie messicane di conversionedella valuta da tempo clienti dell’istituto. Nel gennaio del 2009, in un’intervista alsettimanale austriaco Profil, il direttore(dal 2002 al 2010) dello United nations of-fice on drugs and crime (Unodc) AntonioMaria Costa lanciò una pesantissima ac-cusa all’intero sistema bancario globale:nella seconda metà del 2008, spiegò, «ildenaro derivante dal traffico di droga

rappresentava l’unico investimento li-quido di capitale». Tradotto, con un mer-cato interbancario congelato (gli istitutiavevano smesso di prestarsi denaro te-mendo vicendevolmente l’insolvenza) asalvare dal collasso il sistema era stato ildenaro dei trafficanti/riciclatori, gli uni-ci a disporre di liquidità e di propensioneall’investimento. Nei mesi convulsi delcollasso Lehman (e del tracollo della stes-sa Wachovia, salvata dalla bancarottadall’acquisizione da parte di Wells Far-go), di fronte alle richieste di aperturadei conti da parte degli investitori più fa-coltosi, gli istituti di credito avevanopreferito non fare troppe domande.

Ma il problema di fondo resta. Tantoche, spiega oggi Costa, «è impossibile non

pensare che possa esserci anche una solagrande banca che non abbia giocato unruolo significativo nel ricevere fondi so-spetti». Nel 2011 gli economisti AlejandroGaviria e Daniel Mejía dell’Universidadde los Andes di Bogotá hanno accusato ilsistema bancario europeo e statunitensedi favorire il riciclaggio del denaro deinarcos grazie all’applicazione di standarddi controllo meno rigorosi. «In Colombiale banche fanno domande che non ti sen-tiresti mai fare negli Stati Uniti dove ci so-no norme molto solide sulla segretezza»,ha dichiarato Gaviria. Secondo la ricercala Colombia riesce a trattenere nei suoiconfini solo il 2,6% dei profitti del trafficodi cocaina. Il restante 97,4 viene trasferitoe riciclato in Occidente.

non ancora stravolto dalla globalizzazione finanziaria. Oggi è possibile portare contanti nelle cosiddette rogue jurisdictions,i Paesi “canaglia”, in Africa, nel Pacifico, in America Centrale,paradisi fiscali in genere, e vederli trasferire nel giro di poche ore nelle giurisdizioni tradizionali. Occorre anche denunciare il ruolo di altri soggetti protagonistidel riciclaggio, come l’industria alberghiera, del turismo in generale e del gioco d’azzardo (i casinò ad esempio). Detto questo esiste anche un altro problema, quello delle sanzioni.

Sono troppo lievi?Nel caso Wachovia i responsabili se ne sono andati e hannotrovato una nuova occupazione altrove nel sistema bancarioamericano, mentre la loro banca, accusata di riciclare oltre 400 miliardi di narcodollari, riceveva una multa pari a qualcosa come il 2% circa del suo profitto annuale. Se si vuole arrestare il fenomeno occorre avere sanzioni moltopiù severe per i soggetti e le istituzioni coinvolte.

Un recente studio ha accusato il sistema bancario Usa di avere regole antiriciclaggio assai meno severe di quelleadottate dalla banche colombiane. Sembra un paradosso...In realtà, a differenza di quanto accade in Messico, dove la corruzione è endemica a livello delle amministrazioni locali, in Colombia si stanno compiendo sforzi lodevoli nella lotta al narcotraffico. Questo è importante perché, nella miaesperienza, il contrasto al traffico di droga deve andare ben oltre i controlli di frontiera. Negli Usa, come dicevo, c’è un graveproblema di immoralità del sistema bancario.

Forse non solo delle banche, basti pensare al caso PemexI privati cittadini che entrano negli Stati Uniti sono sottoposti a controlli molto severi, pensate ai mille controlli al JFK di NewYork. Apparentemente non altrettanto si può dire delle merci che entrano senza difficoltà nel Paese, anche dal Messico, che pure è un Paese sospetto. È evidente che c’è qualcosa chenon va. In altre parole, la lotta al narcotraffico ha possibilità di successo solo se si integra con la caccia ai narcodollari.

OBAMA DICHIARA GUERRA AL CRIMINE ORGANIZZATOSi chiama Strategia per combattere il crimine organizzato transnazionale (TransnationalOrganized Crime Strategy). È stata lanciata da Barack Obama nel luglio del 2011 ed è la primapolitica nazionale mirata a combattere le reti criminali con un giro d’affari di oltre mille miliardidi dollari. Si sono profondamente evolute negli anni: sfruttando l’innovazione tecnologica e la globalizzazione sono diventate più fluide, in grado di ramificarsi e stringere alleanzeinternazionali. Ai vertici fra le organizzazioni più pericolose c’è anche la camorra, che secondole autorità Usa si affianca al cartello messicano Las Zetas, alla mafia russa del Circolo deifratelli e alla Yakuza giapponese. E “scavalca” Cosa nostra, storicamente più radicata nelle cittàamericane. Le priorità di Obama sono migliorare l’intelligence, proteggere i sistemi finanziari,rafforzare le indagini, ostacolare il traffico di droga (a suon di controlli, ma anche di programmidi prevenzione e riabilitazione), costruire cooperazione e partnership a livello internazionale.

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Page 24: Mensile Valori n. 104 2012

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dossier | l’era dei narcostati |

Èla quarta compagnia del mondonel settore degli idrocarburi, ilprincipale finanziatore dello Sta-

to messicano nonché, in qualche modo,un simbolo dell’orgoglio nazionale e del-la sovranità petrolifera del Paese. Fon-data nel 1938 dopo la nazionalizzazionedelle risorse energetiche, la PetróleosMexicanos - Pemex è il principale puntodi riferimento della 14ª economia delPianeta.

Eppure, da diversi anni, l’impresa è di-ventata anche l’inesauribile bancomatdel narcotraffico nazionale.

Il saccheggioIn Messico si chiamano ordeñadores,letteralmente “mungitori”, gli uomini alservizio della “Compagnia”, il sodaliziocriminale che attraverso le minacce, leestorsioni, la corruzione e la violenza si èimpossessato della catena produttiva

dell’impresa. Antonio Ezequiel CárdenasGuillen, detto Tony Tormenta; JorgeEduardo Costilla Sánchez, noto come ElCoss o Doble equis (XX); Heriberto Lazca-no, El verdugo (il boia). Ecco i nomi deinuovi imprenditori del settore.

L’idea dei narcotrafficanti è stata dicollocare pompe clandestine lungo gas -dotti e oleodotti, “mungere” materia primae lanciarsi nel commercio. Colto in fla-grante dagli uomini della sicurezza dellaPemex, un capo dei narcos ha chiarito: «Ilnostro business è il narcotraffico, ma dalmomento che il mercato è depresso, ru-biamo idrocarburi». La verità, spiega lagiornalista Ana Lilia Pérez nel libro-in-

Mex, drugs and rock ’n’ roll. L’assalto dei narco-petrolieridiMatteo Cavallito

Diversificare il business e garantirsi finanziamenti illimitati: così Pemex,il monopolista messicano degli idrocarburi, è diventato il bancomat dei narcos. Dal libro-inchiesta della giornalista Ana Lilia Pérez

Un patrimonio di circa un miliardo di dollari, che lo porta al cinquantacinquesimo posto fra le persone più potenti al mondo: più del Ceo di Apple, Tim Cook, o del presidenterusso Dimitri Medvedev. Così la rivista Forbes definisce JoaquínGuzmán Loera (conosciuto come El Chapo), il numero uno delcartello di Sinaloa, che spartisce con Las Zetas il controllo sulnarcotraffico in Messico. La sua ascesa risale ai primi anniOttanta, quando prende il posto del “Padrino” Miguel ÁngelFélix Gallardo. Nel 1993 – dopo essere sfuggito a un attaccotesogli dal cartello di Tijuana e costato la vita a un cardinale –viene arrestato e condannato a vent’anni e nove mesi per trafficodi droga, corruzione e associazione a delinquere: ma il 20 gennaiodel 2001 riesce a evadere dal carcere di massima sicurezza di Puente Grande. A ricostruire le sue vicende è il libro Los señoresdel narco di Anabel Hernández, nato da cinque anni di indagini. Da tempo, secondo diverse fonti, nel carcere vigeva un regime di corruzione per cui i narcos avevano il controllo assoluto.Secondo la versione comunemente accettata, El Chapo sarebbefuggito dentro il carrello della lavanderia: ma nell’evasione,denuncia la Hernández, sarebbero state implicate decine di persone. I sospetti vanno molto oltre: secondo alcune

indiscrezioni, il governo di Vicente Fox avrebbe cercato di favorire il cartello di Sinaloa. E, si legge nell’inchiesta, proprioa Fox sarebbe stata offerta una tangente milionaria per ottenereprotezione politica per la fuga. Tornato in libertà, Guzmán Loera accresce il proprio potere,mentre si scatena la guerra contro il narcotraffico che finora – si stima – ha portato alla morte di 60 mila persone, compresimolti innocenti. A giugno è stato arrestato il figlio, Jesus AlfredoGuzmán Salazar (El Gordo). Ma anche su traguardi comequesto la giornalista è scettica: “Negli ultimi anni – si legge – il governo federale ha assestato alcuni colpi mediatici ai componenti del cartello di Sinaloa per cercare di deviarel’attenzione da una serie di indizi che segnalano una complicitàdi fondo con quest’organizzazione. Le sue azioni sono semprestate contro bracci operativi, ma non hanno danneggiato il cuore del cartello: i suoi affari”.In uno Stato come il Messico in cui a partire dal 2000 sono già morti quarantacinque giornalisti che avevano osato troppo,è inevitabile che anche Anabel Hernández abbia ricevutominacce: ha fatto il giro del mondo l’appello alle autoritàaffinché la proteggano. V.N.

LOS SEÑORES DEL NARCO

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Page 25: Mensile Valori n. 104 2012

chiesta El cártel negro (fonte di questeinformazioni), è paradossale. «Ironica-mente – scrive la Pérez – quando FelipeCalderón (attuale presidente del Messi-co, ndr) avvia la guerra contro il narco-traffico, i cartelli penetrano con maggio-re intensità nell’industria più lucrosa delPaese, quel settore petrolifero non menoredditizio del business della droga».

Nel luglio scorso il quotidiano messi-cano Excelsiorha quantificato il valore delnarcobusiness petrolifero ai danni di Pe-mex: mezzo miliardo di pesos al mese. Alcambio attuale fa circa 470 milioni di dol-lari l’anno. I punti di estrazione clandesti-na identificati, ha riferito la Pemex, sareb-bero oltre 5 mila in tutto il Messico.

Insider & gringosL’attività dei narco-petrolieri coinvolgedai contractors dell’azienda agli impie-

gati della Pemex. Nel 2009, a Tamaulipas,nel Messico Nord-orientale, le autoritàindividuano una cellula de Los Zetas,uno dei più potenti cartelli della drogadel Paese. Tra gli affiliati ci sono anchedipendenti e fornitori dell’azienda pe-trolifera, che si occupano di estorsioni eacquisizioni “forzate” di imprese.

A garantire uno sbocco al commercioillegale di petrolio, invece, ci pensano leraffinerie americane. Nel gennaio 2007il direttore operativo del consorzio texa-no Continental Combustibiles Inc, JoshCrescenzi, intercettato, telefonò al suoomologo della Trammo Petroleum Do-nald Schroeder: «C’è del petrolio messi-cano rubato, ti interessa? Mi hai sentitoDonald? È ru-ba-to». Donald aveva senti-to benissimo e ricevuta la proposta, ac-quistò il petrolio per rivenderlo al gigantetedesco Basf (che ha affermato di non sa-

pere dell’origine illecita).Tra il 2010 e il2012 Pemex ha avviato cause contro unamiriade di compagnie Usa, tra cui Cono-coPhillips, Shell e Sunoco Partner, accu-sate di aver comprato petrolio rubato.I casi sono ancora aperti.

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 25 |

| dossier | l’era dei narcostati |

49%

1990 2008

1990 2008

1990 2008

1990 2008

1990 2008

1990 2008

65%

31%42%

72%

73% 62%

61% 63%

57%

47%66%

Oppiacei

Cannabis

Cocaina

Anfetamine

Altri

NORD AMERICA

SUD AMERICA

AFRICA

ASIA

EUROPA

OCEANIA

3. LA DOMANDA GLOBALE NEL 2008 E NEL 2010

FONTE: WORLD DRUG REPORT 2010, UNODC

3 Il consumo di droghe non è omogeneo nel mondo. Negli Usa e nel Canada, ad esempio, il mercato è decisamente vario: nessuno stupefacente prevalenettamente sugli altri. In America Latina, invece, cocaina e cannabis (con la seconda in netto aumento negli ultimi due decenni) costituiscono quasi la totalità del consumo.In Europa e Asia sono gli oppiacei (eroina inclusa) a risultare i più consumati.

Complessivamente, l’eroina consumata in tutto il mondo è pari oggia circa 340 tonnellate, mentre la cocaina raggiunge le 470 tonnellate.I consumatori di quest’ultima, tra il 2007 e il 2008, sono stati 16-17 milioni di persone: il 40% di loro vive nell’America del Nord, circa un 25% in Europa. A livello globale, il mercato della cocaina vale circa 88 miliardi di dollari.

PEMEX IN CIFREFondazione: 1938Sede: Città del MessicoDipendenti: 150 mila circaRicavi netti: 1.558,4 mld di pesos (111,6 mld di dollari*)Produzione giornaliera petrolio:2,5 milioni di bariliProduzione giornaliera gas naturale:104 milioni di metri cubi Rating: S&P BBB (stabile), Moody’s BBB(stabile), Fitch Baa1 (stabile)

* al tasso di cambio del 31/12/2011 (100 pesos = 7,17 dollari Usa)

FONTI: PEMEX (WWW.RI.PEMEX.COM, FORTUNE MAGAZINE)

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Page 26: Mensile Valori n. 104 2012

| 26 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |

dossier | l’era dei narcostati |

L’Argentina è sempre più coinvol-ta nel traffico internazionale didroga. Il New York Times ha re-

centemente ricordato numerosi casi dicronaca nera eclatanti, che danno la mi-sura del fenomeno. Hector Jairo Saldar-riaga, alias The Dragger, fu ucciso nelloscorso aprile a Barrio Norte, quartiere diBuenos Aires. La polizia gli trovò addossotre passaporti e ben presto le indaginiconsentirono di identificare quello cheera stato uno dei più spietati assassini al

soldo di Daniel Barrera, conosciuto col so-prannome di Crazy One,noto boss colom-biano. Saldarriaga aveva coordinato l’as-sassinio di due ex membri di un gruppoparamilitare che protegge i trafficanti,che furono freddati in un garage della ca-pitale argentina nel giugno del 2008.

Qualche giorno dopo l’uccisione diSaldarriaga, Ruth Martinez Rodriguez, 39anni, fu arrestata alla periferia della città:stava cercando di esportare 280 chilo-grammi di cocaina, nascosti in suppellet-

tili antiche. Ancora, nel 2010 fu fermataAngie Sanclemente Valencia, ventunen-ne sospettata di aver capeggiato un grup-po di modelle spacciatrici di droga: aveva55 chilogrammi di cocaina nel bagaglio amano, mentre cercava di imbarcarsi su unaereo. Più di recente, le autorità hanno se-questrato 7 tonnellate di marijuana a Po-sadas, al confine col Paraguay, mentre uncaporale della gendarmeria è stato ferma-to con 110 chilogrammi di cocaina. Perfinole ambulanze sono utilizzate per traspor-tare la polvere bianca.

«L’Argentina è un Paese di europei – racconta Ruben H. Oliva, giornalista eregista – con rapporti commerciali moltoforti con il Vecchio Continente: una navebattente bandiera argentina non destasospetti in un porto europeo. Per questo inarcos utilizzano il Paese come trampoli-no. Dapprima arrivano nelle regioni aNord di Buenos Aires, sfruttando anchela mancanza di controlli radar aerei e at-terrando su piste clandestine. Quindismerciano parte della droga nel Paese:non a caso sono moltissime le “cucine” dicocaina, “laboratori” dove si produce lapolvere bianca. Il resto parte per l’Europa.E gli scarti sono usati per il Paco, sostan-za ultra-tossica, capace di dare dipenden-za fin dalla prima dose: una droga che stauccidendo la gioventù delle bidonville».

«I boss operano volentieri nel nostroPaese: qui non ci sono problemi con la giu-stizia, né guerre tra narcos», ha dichiaratoClaudio Izaguirre, presidente dell’Asso-ciazione Antidroga locale. E il fenomeno,

Argentina, narcostato sempre più attivodiAndrea Barolini

Nel Nord del Paese i narcos sfruttano piste di atterraggio clandestine per introdurre la droga, che poi viene facilmenteesportata in Europa, grazie ai forti legami che l’economia argentina ha stabilito con il Vecchio Continente

Iran, Kenya, Cambogia. Eccolo, secondo gli ultimi dati disponibili, il podio dei Paesi a maggior rischio riciclaggio del mondo. La graduatoria, stilata dal Basel Institute of Governance, si basa su un indicatore, il Basel Aml Risk Index (ponderato a suavolta per altri 15 indici indipendenti) capace di misurare l’adeguamento di ogninazione agli standard antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo(unitamente ad altri elementi quali le norme finanziarie, la trasparenza e il livello di corruzione). Tra i 144 Paesi presi in esame (per molti altri mancano dati sufficienti),l’Italia ottiene solo il 56esimo miglior punteggio, a metà strada tra Algeria e Albania.

RICICLAGGIO E RISCHIO PAESE

TOP 10DEL RISCHIO Punteggio Rischio TOP 10 DELLA

SICUREZZA Punteggio Rischio

1 Iran 8.57 elevato 144 Norvegia 2.36 basso

2 Kenya 8.49 elevato 143 Estonia 3.28 basso

3 Cambogia 8.46 elevato 142 Slovenia 3.37 medio

4 Haiti 8.16 elevato 141 Svezia 3.50 medio

5 Tajikistan 8.12 elevato 140 Finlandia 3.59 medio

6 Mali 7.88 elevato 139 Nuova Zelanda 3.82 medio

7 Uganda 7.63 elevato 138 Lituania 3.96 medio

8 Paraguay 7.57 elevato 137 Cile 4.08 medio

9 Belize 7.44 elevato 136 Sud Africa 4.12 medio

10 Zambia 7.41 elevato 135 Francia 4.14 medio

FONTE: BASEL INSTITUTE ON GOVERNANCE, 2012. HTTP://INDEX.BASELGOVERNANCE.ORG/INDEX.HTML#RANKING

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che ha origini lontane, non riesce ad esse-re arginato neanche dai funzionari pub-blici più zelanti: «È nel 1989, con il governodi Carlos Menem, che si effettuò l’apertu-ra “ufficiale” ai cartelli della droga. Il pre-sidente dichiarò: “Che arrivino capitaliesteri, non importa da dove”. Da alloranon è cambiato nulla, anche per via dellacorruzione dilagante nelle forze dell’ordi-ne, operata da organizzazioni potenti co-me la ’ndrangheta. Il governo attuale, chepure ha alcuni meriti, sul fronte della dro-ga non ha fatto nulla. Il ministro della Di-fesa Nilda Garré, ad esempio, pare sia ar-mata di buone intenzioni. Ma se la poliziaè al soldo dei trafficanti come si fa?».

A volte non si può parlare di veri e propri “narcostati”, bensì di “narcoregioni”. È il caso del Punjab indiano, area prospera nel Norddel Paese, nella quale si registra una statistica impressionante.Secondo le stime dell’amministrazione locale, in circa il 67% dellefamiglie rurali presenti nella zona, almeno un membro ètossicodipendente. Il Punjab corre lungo la frontiera con il Pakistane costituisce un luogo di ingresso privilegiato dell’eroina in India. La droga, di provenienza afghana – ha spiegato un recente reportagedell’agenzia AFP – ha generato una vera e propria economia locale,al cui centro ci sono pastori e contadini. Essi, nel corso degli anni,hanno costituito una rete di smercio e di approvvigionamentoclandestina, che ormai gestisce un commercio colossale edifficilmente accessibile (è impossibile, ad oggi, quantificare il transitodi droga dal Pakistan all’India). Complice la scarsa informazione suidanni, molti “agricoltori-spacciatori” entrano a loro volta nel tunneldella droga, grazie anche alle disponibilità economiche superioririspetto ad altre regioni indiane. La questione è nota alle autoritàinternazionali – come confermato da Rajiv Walia, coordinatoreregionale dell’Unodc – ma è molto difficile da fronteggiare. Ad Amritsar, centro spirituale della religione sikh, un milione di abitanti, il quartiere di Maqboolpura è l’esempio più chiaro dellatrasformazione del Punjab in una “narcoregione”: qui sono cosìtanti i morti provocati dalle droghe che il luogo è stato ribattezzato“il villaggio delle vedove”.

IL PUNJAB, LA “NARCOREGIONE” INDIANA

Tutto cominciò una decina di anni fa. La Guinea Bissau fu individuata dai cartelli sudamericani della droga come un ottimo trampolino verso l’Europa. Il Paese offriva sostanzialeimpunità, i controlli erano quasi inesistenti e le deboli agenziegovernative erano facilmente corrompibili. In breve i narcospenetrarono l’intero apparato statale, arrivando perfino all’ufficiodel presidente João Bernardo Vieira, che fu ucciso nel 2009. Eppure – ha ricordato un’inchiesta di Davin O’Regan, dellaNational Defense University di Washington, pubblicata dal NewYork Times nel marzo scorso – nonostante il tasso di omicidi nel Paese sia aumentato del 25%, arrivando a toccare il triplodella media globale, e la povertà sia rimasta un problemaendemico, il caso della Guinea Bissau avrebbe potuto ancheessere derubricato come un unicum. Al contrario, la nazione è stata solamente il primo dei nuovi narcostati africani. Negli ultimi anni il traffico di eroina, anfetamine e cocaina si è, infatti, drammaticamente esteso nel continente, arrivandoa toccare un giro d’affari di non meno di 6-7 miliardi di dollari.Coinvolgendo Stati di importanza strategica, economicamentee politicamente, come Ghana, Kenya, Nigeria, Mozambico e Sudafrica. Con annessi numerosi scandali tra parlamentari,ufficiali di polizia e ministri. Un business favorito anche da Hezbollah e Al Qaeda, in un intreccio che rischia di metterein pericolo anche le democrazie più giovani.

L’AFRICA, LA NUOVA MINACCIA

Il grafico evidenzia in modo molto evidente un calocomplessivo dei prezzi della cocaina dal 1990 al 2010. Secondo Franz Trautmann, sociologo a capo dell’Unità Affari Internazionale del TrimbosInstitute, non è un calo del consumo a spiegarel’abbassamento del costo: «L’uso sta aumentandomoltissimo, soprattutto nell’Europa dell’Est. La cocaina è la droga dei ricchi, degli uominid’affari, dei famosi. Ciò che spiega i prezzi piùbassi – continua Trautmann – è piuttosto la qualitàdella droga: è la purezza a diminuire, altrimenti il dato rimarrebbe fondamentalmente stabile».

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

Svizzera

Svezia

Regno Unito

Spagna

Portogallo

Paesi Bassi

Norvegia

Lussemburgo

Italia

Irlanda

Grecia

Germania

Francia

Finlandia

Danimarca

Belgio

Austria198 156 94 101 97

80 93 55 51 67

144 176 106 82 89

159 191 138 125 106

99 174 50 94 80

120 103 57 79 87

150 111 69 79 96

141 119 28 88 97

108 113 100 114 92

105 166

114 155 154

66 79 33 59 59

63 66 56 55 61

110 91 52 76 79

131 111 94 79 62

160 118 77 92 111

178 148 77 86 96

IL PREZZO “RETAIL” DI UN GRAMMO DI COCAINA IN EUROPA (IN $ USA)

FONTI: UNODC ARQ DATA, EUROPOL E STIME UNODC

1990 1995 2000 2005 2010

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finanzaeticaREUTERS / FABRIZIO BENSCH

Le banche restano in paradiso > 32Gas e Banca Etica. Stranamente lontani > 35

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| finanza da rifare |

Un attivista del movimento “alter-global Attac”indossa una maschera raffigurante il ministrodell’Economia tedesco Philipp Roesler nel corso di una protesta satirica a favore della tassa sulle transazioni finanziarie, la cosiddetta TobinTax, di fronte alla Liberi Democratici (FDP), partitocon sede a Berlino, il 16 gennaio 2012

È scattata l’offensivaeuropea

Riformefinanziarie

Ealla fine scocca anche l’ora dellasvolta. L’8 ottobre scorso: Italia,Spagna e Slovacchia hanno dato il

loro nulla osta all’introduzione di una tas-sa sulle transazioni finanziarie o TobinTax, come viene comunemente ribattez-zata nella cronaca finanziaria (sebbenenel progetto di James Tobin si pensassedi colpire i soli scambi valutari). L’assen-so definitivo, che si affianca così all’okdi altri otto Paesi (Francia, Germania,Austria, Portogallo, Slovenia, Belgio, Gre-cia ed Estonia), permetterà l’avvio del-la cooperazione rafforzata, il sistemache garantisce la possibilità di appro-vare il provvedimento quando il con-senso unanime è impossibile (RegnoUnito, Malta, Irlanda, Olanda e Sveziasono totalmente contrarie). La richiesta

Con il sì dell’Italia la Tobin Tax è ormai a una svolta. Ma sul tavolo ci sono molti altri importantiprovvedimenti. Con qualche ombra

di Matteo Cavallito

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| finanzaetica |

di cooperazione passa ora alla Commis-sione che, a quel punto, dovrebbe rin-viarla al Consiglio europeo per un votoa maggioranza. In caso di successo, latassa potrebbe entrare in vigore già ainizio 2013.

Tobin Tax, due interrogativiAttorno alla “Tobin” restano però apertialmeno due interrogativi, a cominciaredall’origine dell’assenso italiano. Unapremessa. La Germania, notoriamente,aveva preso l’iniziativa per prima: Ange-la Merkel ha sempre sostenuto l’ipotesidella tassazione ottenendo in cambio ilconsenso sui provvedimenti di fiscal com-pact dai socialdemocratici del Bundes tag(da sempre a favore della “Tobin”).

Durante il vertice chiave del 28-29 giu-gno, Italia e Spagna avevano però frena-to. Nell’occasione Monti e Rajoy si eranoimpuntati minacciando il veto sulla que-stione se la Germania non avesse offertoadeguate aperture sul fronte delle strate-gie salva Stati, con la “Tobin” trasformatain un mezzo di scambio per lo scudo antispread. Ancora alla fine di settembre, fon-ti vicine alle istituzioni europee riferiva-no di un governo italiano intenzionato acondizionare il sì alla tassa all’ottenimen-to di un meccanismo automatico di con-tenimento dello spread (cosa che l’attualescudo anti differenziali ancora non con-templa). Resta ora da chiedersi se il via li-bera di Roma e Madrid possa essere dun-que il preludio a una modifica in futurodel funzionamento del fondo salva Stati.

La seconda questione è relativa all’u-so del gettito che, alle attuali condizioni(0,1% di aliquota su azioni e obbligazioni,0,01 sui derivati) dovrebbe garantirequalcosa come 57 miliardi all’anno. Lestesse fonti europee sostengono cheBerlino punterebbe a usare i ricavi perincrementare il fondo salva Stati. Un’i-potesi che a quel punto suonerebbe co-me una beffa per le campagne interna-zionali – tra cui l’italiana Zerozerocinque –che da sempre chiedono di destinare il50% del gettito alle iniziative di coopera-zione internazionale, welfare e contra-sto al cambiamento climatico.

«Ogni Stato che aderirà alla coopera-zione rafforzata – ricordano da Zerozero-cinque – potrà decidere della destinazionedel gettito». Tuttavia, «la Commissione haintenzione di utilizzare parte del gettitoper le proprie risorse, come ha affermatocon decisione nel suo Multilateral Finan-cial Framework. Gli Stati non sono perniente convinti né condiscendenti». Quelche è certo, in ogni caso, è che «ora che ilpercorso è avviato le risorse diventano ap-

STATO DELLE RIFORME FINANZIARIE NELLA UE

HIGH FREQUENCY TRADING

Proposta di riformaGli scambi ad alta velocità vengono rallentaticon l’introduzione della regola dei 500millisecondi. I sistemi di trading algoritmicogestiti dai computer dovranno far passarealmeno mezzo secondo tra l’attivazione di un’offerta per un acquisto o una vendita sul mercato finanziario e la sua successivamodifica.

Status dell’iterApprovazione Commissione economico-finanziaria del Parlamento europeo.

UNIONE BANCARIA

Proposta di riforma• Versione soft del Dodd-Frank, tutto sotto

lo stesso tetto ma riorganizzazione delleattività quando le operazioni “rischiose”eccedono una certa soglia (15-25% degliasset totali o limite di 100 miliardi di euro).

• Vigilanza bancaria sui grandi istituti.Possibile estensione dei controlli anche agliistituti di piccole dimensioni.

Status dell’iterProposta ufficiale da parte della Commissioneeuropea (Rapporto Liikanen).

DERIVATI E COMMODITIES

Proposta di riforma• Passaggio degli scambi over-the-counter

su piattaforme sottoposte a monitoraggio(organized trading facilities OTFs).

• La European Securities and Markets Authoritypotrà bloccare lo scambio di prodottigiudicati eccessivamente rischiosi.

• Limiti alle posizioni sui contratti futuressulle materie prime.

Status dell’iterApprovazione Commissione economico-finanziaria del Parlamento europeo.

L’ok alla cooperazionerafforzata sulla tassa sulletransazioni finanziarie è unavittoria. Ma restano dubbisull’origine del “sì” italiano. Ora si punta a limitare gliscambi over-the-counter el’high frequency trading

HTTP://WWW.EUROPARL.EUROPA.EU?

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| finanzaetica |

petibili per molti e il budget europeo è piùche mai nella mente del Commissario».

Derivati: stop alla speculazioneQuello della “Tobin” è solo uno dei mol-teplici fronti del piano di riforma dellafinanza europea. A fine settembre laCommissione per gli affari economici emonetari del Parlamento Ue ha adotta-to un report elaborato dall’eurodeputa-to popolare tedesco Markus Ferber cheprevede un piano per la riorganizzazio-ne degli scambi di titoli derivati. I det-tagli sono in via di definizione, ma ilprincipio di fondo è chiaro: limitare gliscambi over-the-counter (transazionibilaterali fuori dalle borse) e ricondur-re le operazioni in piattaforme elettro-niche monitorabili. L’obiettivo è quellodi ridurre la speculazione, la stessa fi-nalità condivisa dal principio di limita-zione alle posizioni assunte sul mercatodei futures (contratti derivati di acqui-sto differito) sulle materie prime (la cuiproliferazione ne ha favorito la volati-lità dei prezzi) e del deciso rallentamen-to alla pratica dell’high frequency tra-ding (vedi ).

“Dodd-Frank” e beffa provvigioni Mentre resta aperta la polemica sui pia-ni di unione bancaria (la Germania vor-rebbe escludere i piccoli istituti dall’om-brello dell’autorità di controllo), quelli diriforma del sistema creditizio sembranotrarre ispirazione dalla lezione america-na. Alla fine di settembre, il governatore

della Banca centrale finlandese e nume-ro uno del gruppo di esperti europeiErkki Liikanen ha proposto ufficialmen-te la separazione legale tra le attività dirischio dell’investment banking e quelleordinarie della clientela retail (la gestio-ne dei depositi). Il progetto di riforma,nato sulla falsariga del Dodd-Frank Actstatunitense, ipotizza una separazioneinterna (niente creazione di società di-stinte dunque) delle attività bancariequando le operazioni “rischiose” eccedo-no una soglia compresa tra il 15 il 25% de-gli asset totali o il limite dei 100 miliardi

di euro. In estrema sintesi si tratta diproteggere il denaro dei correntisti dairischi della speculazione. Ma è proprioquesto principio, oggi, ad essere messo incrisi da un altro provvedimento: la con-ferma delle provvigioni. Nel sistema at-tualmente in vigore i promotori finan-ziari possono ricevere incentivi per lavendita dei loro prodotti. Il risultato ti-pico è che gli operatori e i consulenti fi-niscono per piazzare ogni genere di pro-dotto, specialmente quelli della lorobanca di riferimento o quelli sui quali ot-tengono maggiori provvigioni (spesso ledue cose coincidono). È così che sonostate collocate negli ultimi anni le oscu-re polizze unit linkedo index linked. È co-sì che i tango bond, le obbligazioni Leh-man e i titoli di debito di Bank of Ireland(sì, proprio quelli svalutati a 1 centesimoper ogni 1.000 euro investiti) sono finitinel portafoglio dei cittadini comuni. Eb-bene, il testo presentato alla Commissio-ne prevedeva, di fatto, l’abolizione degliincentivi ma a pochi minuti dall’appro-vazione una richiesta dei socialdemocra-tici ha provocato una modifica radicale:sì alle provvigioni purché siano dichiara-te pubblicamente. Il conflitto di interes-si è salvo. Il portafoglio dei risparmiato-ri un po’ meno.

BOX

Sul fronte dell’high frequency trading la Commissione europea ha approvato la proposta per la regola dei 500 millisecondi. La norma impone ai sistemi di tradingalgoritmico gestiti dai computer di far trascorrere almeno mezzo secondo tral’attivazione di un’offerta per un acquisto o una vendita sul mercato finanziario e la sua successiva modifica. Ovvero, in sintesi, limitare la velocità e la frequenzadegli scambi, la chiave stessa di un sistema che garantisce guadagni notevoli sullevariazioni dei margini di prezzo che, come noto, si intensificano di pari passo con l’accelerazione degli scambi. Mezzo secondo può sembrare nulla, ma in realtà è un tempo che può fare la differenza soprattutto per quei sistemi informatici capacidi effettuare migliaia di operazioni all’istante. A metà settembre, la Sec (la Consobamericana) ha multato di 5 milioni di dollari due sistemi di trasmissione dei dati del Nyse Euronext, chiamati Open Book Ultra e Pdp Quotes, per aver inviatoinformazioni chiave come dati, statistiche e cifre agli operatori ad alta velocità primache queste ultime fossero rese pubbliche al mercato. La differenza in molti casi era nell’ordine dei millisecondi. Potenzialmente devastanti nei periodi di maggiorespeculazione (l’attività si è regolarmente intensificata nei momenti caldidell’eurocrisi), le operazioni “Hft” condotte negli Stati Uniti rappresentavano nel 2011 circa il 60% degli scambi (contro il 15% del 2006) e il 40% di quelli condotti in Europa.

HIGH FREQUENCY TRADING, SI PREGA DI RALLENTARE

PROVVIGIONI

Proposta di riformaObbligo di comunicazione degli incentivi da parte dei promotori ma sì al mantenimentodelle provvigioni. Resta il conflitto d’interesse.

Status dell’iterApprovazione Commissione economico-finanziaria del Parlamento europeo.

TOBIN TAX

Proposta di riformaVia alla cooperazione rafforzata conl’assenso di 11 Paesi. Imposta dello 0,1% su scambi di azioni e obbligazioni e dello0,01% sui derivati. Ancora incerto il destinodei ricavi.

Status dell’iterAvvio della cooperazione rafforzata.

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| finanzaetica | offshore |

Era il 29 settembre del 2009, quan-do il direttore generale del colossofrancese Bnp Paribas annunciava

l’uscita del gruppo da tutti i territori pre-senti nella lista grigia dell’Ocse. Pochigiorni dopo, numerosi altri istituti di cre-dito transalpini manifestavano la stessavolontà. In poche parole, si sarebbe dovu-to trattare di un vero e proprio addio aiparadisi fiscali. Tanto che l’allora presi-dente Nicolas Sarkozy annunciò la sceltain pompa magna. A distanza di tre anni,però, non solo le promesse appaiono di-sattese, ma a rileggere la cronaca di queigiorni la sensazione è quella di una presain giro: le banche non hanno affatto ab-bandonato i paradisi fiscali. Al contrario,hanno rinforzato la loro presenza.

Altro che addioProprio mentre i governi di tutto il mon-do occidentale stanno chiedendo ai cit-tadini enormi sacrifici, gli istituti di cre-dito si guardano bene dall’abbandonarei “buchi neri” della finanza globale. Se-condo un rapporto di Ccfd-Terre Solidai-re (Banques et Paradis Fiscaux, luglio2012) Bnp Paribas, Société Générale eCrédit Agricole controllano oggi 513 filia-li nei tax havens, mentre due anni fa lacifra non superava le 494 unità.

Va detto che, in effetti, le banche han-no abbandonato alcune giurisdizioni. Ma– si legge nello studio – rispetto alla listadi paradisi fiscali elaborata dalla Ong Tax

Justice Network (che identifica 60 Statiparticolarmente “opachi”), il dato risultaappunto in aumento. E, proprio per com-prendere tale presenza, una commissioned’inchiesta sull’evasione fiscale del Sena-to parigino ha interrogato il numero unodi Bnp, Badouin Prot, chiedendo contodelle 360 filiali presenti nei paradisi fisca-li. Le risposte, tuttavia, secondo quandospiegato al settimanale Alternatives Eco-nomiques da Mathilde Dupré, del Ccfd,non sono state soddisfacenti: «La bancanon ha voluto parlare dei documenti in-terni che dimostrano come vengano pro-posti alla clientela servizi di “ottimizza-zione fiscale” attraverso i tax havens. Noichiediamo massima trasparenza sulle at-tività effettuate Paese per Paese».

GB e Usa, la musica non cambiaD’altra parte i colossi francesi sono inbuona compagnia. Quasi tutte le grandiaziende (non solo banche) di tutto ilmondo sfruttano le giurisdizioni “opa-che”. Secondo un’analisi dell’associazio-ne inglese ActionAid, 98 dei 100 più im-portanti gruppi britannici (quelli quotatinell’indice Ftse 100 alla Borsa di Londra)possiedono circa 34 mila controllate. Eun quarto di queste, oltre ottomila, han-no sede in Paesi che offrono basse ali-quote fiscali o richiedono standard limi-tati in termini di trasparenza.

Anche nel caso inglese, in testa alla“classifica” ci sono le banche: Hsbc, Rbs,

Barclays e Lloyds, che controllano 1.649filiali offshore, la maggior parte alle IsoleCayman (solo Barclays arriva qui a quo-ta 174), Delaware (Hsbc ha 156 società nel-lo Stato americano) e Channel Islands(meta preferita del gruppo Lloyds).

Dall’altra parte dell’Atlantico, negliStati Uniti, i dati sulla presenza offshoredelle banche non sono così aggiornati.L’ultimo riferimento lo diede un rap-porto pubblicato nel dicembre del 2008dal Government Accountability Office,secondo il quale tra le prime 100 azien-de quotate a Wall Street, 83 risultavano

Le bancherestano in paradisodi Andrea Barolini

Gli istituti di credito hannodimostrato di non essere ingrado di autoregolamentarsi.E il G20 si è fermato allepromesse di Londra

NL.WIKIPEDIA.ORG

I colossi bancari francesi avevano 494 filiali nei “tax havens” nel 2010. Oggi, nonostante le promesse, il numero è salito a 513. E anche gli istitutiinglesi e americani sono fortemente presenti. Quello che manca, infatti, per contrastare seriamente il fenomeno, è una forte volontà politica

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| finanzaetica |

presenti nei paradisi fiscali. E dire che molte di esse, dopo l’e-splosione della crisi finanziaria, avevano attinto al TroubleAsset Relief Program, ovvero al fondo – finanziato con dena-ro pubblico – istituito da Washington per salvare il sistemadal collasso. Tra i principali utilizzatori di giurisdizioni “esoti-che” figuravano Morgan Stanley (273 filiali controllate nelcomplesso, 158 nelle sole Isole Cayman), Citigroup (ben 472) eBank of America (59).

Un problema soprattutto istituzionaleÈ difficile, molto difficile, immaginare insomma che le banchepossano autoregolamentarsi (non lo fanno i mercati, perchédovrebbero farlo quelli che sono attori protagonisti del capi-talismo globale?). Servirebbe un piano organico e condiviso alivello internazionale. Ma i proclami del G20 di Londra, quan-do per la prima volta si puntò con decisione il dito contro i “bu-chi neri” della finanza, sono rimasti lettera morta. Al massimosi è riusciti a siglare qualche accordo bilaterale (ad esempioquello tra la Germania e la Svizzera). Gocce in mezzo al mare:in una finanza globalizzata ci vuole molto poco per muovere icapitali verso i lidi, di volta in volta, più convenienti.

Al contempo anche in Europa la situazione appare di stal-lo. Da oltre un anno si parla della necessità di imporre un reporting Paese per Paese (nello scorso aprile l’Europarla-mento ha ribadito la questione in una risoluzione), ma il pro-getto è lontano dal diventare legge. I deputati europei chie-dono in particolare l’introduzione di un elenco ampio edettagliato delle operazioni contabili effettuate in ciascunagiurisdizione, al fine di comprendere se le imposte versate inpatria dalle aziende siano o meno in linea con gli affari ef-fettuati offshore. Ma per ora i governi dei Ventisette sem-brano molto più attenti ad ascoltare le esigenze delle impre-se, piuttosto che la volontà degli eurodeputati. E pazienza sequesti ultimi rappresentano il popolo.

Perché, a suo avviso, governi come quelli di Usa e RegnoUnito non fanno qualcosa per modificare gli status del Delaware o della City di Londra? In tempi di crisi

dovrebbero avere bisogno di recuperare i capitali evasi.La risposta è semplice: i paradisi fiscali sono un progetto

dei Paesi ricchi e delle più potenti élite delle nostre società. Laloro influenza politica è enorme. Per questo gli sforzi apparen-ti per combattere i tax havens si rivelano parole. Così la City re-sta il più importante attore singolo del mondo offshore, e il De-laware può rimanere funzionale all’ingresso di capitali sporchinegli Usa. La verità, insomma, è che Regno Unito e Stati Unitisono essi stessi paradisi fiscali.

Dunque anche le poche nuove regole imposte negli ultimi anni sono inutili?

Assolutamente, non è stato fatto nulla di serio. Mi spie-go: molte calamità occorse negli Usa negli ultimi anni sono“partite” dal Regno Unito. L’unità che fece vacillare Aig fuAig Financial Products, con sede nella City. Ciò significa cheLondra è la scappatoia offshore di Wall Street: è qui che bi-sognerebbe intervenire. Ma la City è molto più potente delTesoro inglese.

L’introduzione di un’agenzia internazionale potrebbe aiutare?Esistono varie agenzie Onu che cercano di fare qualcosa.

L’Un Tax Committee, ad esempio, dovrebbe combattere le re-gole dominanti a livello internazionale. Ma il “club” dei Paesiricchi dell’Ocse ha fatto in modo che l’organismo sia privo di ri-sorse e abbia scarsa influenza.

Quindi i tax havens sono parte integrante, e non una degenerazione del capitalismo?

I paradisi sono diventati elementi costitutivi del capitali-smo finanziario globale, anche se rappresentano comunqueuna stortura del mercato. Il problema è proprio nella globa-

«La City? Uno dei tanti tax havens»di Andrea Barolini

Nicholas Shaxson, giornalista e scrittore inglese, è autoredi Le isole del tesoro, duro atto d’accusa contro il mondo offshore. E contro i Paesi ricchi, alcuni dei qualisono giudicati al pari di Svizzera e British Virgin Islands

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lizzazione della finanza, che al contra-rio di quella del commercio – che com-porta grandi problemi ma anche van-taggi – è fortemente negativa. In largaparte proprio a causa del modello off-shore che ne costituisce il cuore.

Nel suo libro spiega che anche i Paesi in via di sviluppo ne sono vittime: comepossono difendersi?È incredibilmente difficile per loro, per-ché le regole globali – disegnate dai Pae-si ricchi – li mettono all’angolo. Le ban-che private mandano rappresentanti neiPaesi in via di sviluppo invitando i clien-ti a sfruttare i servizi offshore, e offren-do eserciti di avvocati. Senza contareche spesso le persone che distolgono de-naro dalle casse pubbliche locali sono lestesse che decidono leggi e regole.

| finanzaetica |

Seimila miliardi di dollari. È l’imponente, quasi incalcolabile cifra relativa ai capitalisottratti ai governi di tutto il mondo dai paradisi fiscali. Tasse che non saranno maiversate, nemmeno in questo momento di grande crisi. Questo e molti altri datiimpressionanti sono contenuti nel libro Le isole del tesoro, di Nicholas Shaxson,costruito sulla base di esperienze dirette, incroci di dati, analisi dei flussi di denaro. Alla popolazione inglese che si domanda come mai la pressione fiscale continui a salire,ad esempio, Shaxson risponde con una sola parola: «Offshore». È per via dei paradisifiscali, infatti, che lo Stato britannico perde ogni anno circa 20 miliardi di sterline:«Basterebbero per far tornare la Vat (l’iva inglese, ndr) al 15%». E attenzione: il librospiega che non dobbiamo prendercela solamente con i soliti noti. Jersey, Cayman o Liechtenstein sono solo la punta dell’iceberg: nel mirino del giornalista ci sono anchel’Irlanda, Hong Kong, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, il Ghana. E lo stesso Regno Unito, a causa delle regole che imposero le autorità britanniche quando decisero lo status dellaCity londinese. Per non parlare della Svizzera, nelle cui banche «nel 2009 erano depositati2.100 miliardi di dollari, intestati a non residenti, la metà dei quali di provenienza europea».D’altra parte, uno studio pubblicato dall’associazione Tax Justice Network ha indicatoin almeno 21 mila miliardi di dollari il valore complessivo degli asset finanziari detenutipresso i paradisi fiscali di tutto il mondo. Una cifra spaventosa, gestita in buona parteda tre banche: le svizzere UBS e Credit Suisse e l’americana Goldman Sachs. «Si trattadi qualcosa come la somma del valore di due economie come gli Stati Uniti e il Giappone», ha sottolineato la Ong, che ha specificato come la cifra possa essereperfino sottostimata (lo studio non tiene conto di immobili, opere d’arte o altri beni simili).Anche ipotizzando un rendimento medio piuttosto basso per tali capitali (3%annuo), se si tassassero tali profitti al 30%, si potrebbe generare un flusso fiscalecompreso tra i 190 e i 280 miliardi di dollari: il doppio di tutti gli aiuti allo sviluppoversati ogni anno dai Paesi ricchi dell’Ocse.

LE ISOLE DEL TESORO (DA 21 MILA MILIARDI DI DOLLARI)

LIBRI

Nicholas ShaxsonLe isole del tesoro.Viaggio nei paradisi fiscali dove è nascosto il tesoro della globalizzazioneFeltrinelli, 2012

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| finanzaetica | consumo responsabile |

Consumo responsabile e finanzaetica. Si potrebbe pensare chesiano due facce della stessa me-

daglia, ma non è necessariamente così. IGruppi di acquisto solidale nascono dal-l’idea di essere consapevoli di quello chemangiamo, usiamo, compriamo, di chi ecome lo produce. Lo stesso desiderio diconsapevolezza, trasparenza e parteci-pazione alla base della finanza etica.Peccato che questi due mondi non sem-pre coincidano (su Valorine abbiamo giàparlato, sul numero di settembre 2011).Tanto che da qualche anno, all’internodel mondo dei Gas, sono nati dei tavoli

dedicati alla finanza etica (in particolarein Lombardia). «Continuiamo a riflette-re su una situazione che a noi sembracontraddittoria: il movimento del con-sumo critico, i Gas e i Des si occupanopoco di finanza etica», si legge nel docu-mento del tavolo sulla finanza etica riu-nitosi durante il convegno nazionale deiGas, lo scorso giugno a Golena del Furlo,nelle Marche.

Banca Etica, dal canto suo, ha svilup-pato un discorso analogo, tanto che nelpiano industriale, votato dal Consiglio diamministrazione lo scorso giugno, ha in-dicato nei Gas uno dei propri interlocu-

tori principali. «Vogliamo rafforzare lerelazioni con alcune categorie partico-larmente in linea con i nostri valori, co-me i Gruppi di acquisto solidale», avevaspiegato, in un’intervista pubblicata sulnumero di settembre 2012 di Valori, ilpresidente di Banca Etica, Ugo Biggeri.Ma il lavoro da fare per raggiungere que-sto obiettivo sembra ancora lungo.

Finanza etica, quella sconosciuta«La finanza etica non è al centro degliobiettivi dei Gas, almeno non quanto al-tre modalità di consumo critico», esor-disce Davide Biolghini del tavolo Resnazionale. «Certamente è una questio-ne che riguarda Banca Etica, che devetrovare il giusto approccio. Ma è soprat-tutto un problema dei Gas: per loro l’i-dea di consumo critico riguarda alcunecategorie merceologiche in cui non rien-trano i prodotti finanziari», commentaUgo Biggeri. «È necessario avviare unadialettica da entrambe le parti – aggiun-ge David Marchiori della rete dei Gas ve-neziani –, da parte dei Gruppi di acqui-sto serve una presa di coscienza dellafinanza etica. E da parte di Banca Eticasarebbe necessaria un’operatività nonsolo relativa agli aspetti tecnici, ma an-che nella cura dei processi, ad esempioper rendere i Gas più trasparenti e trac-ciabili». «Il discorso di acquistare melebio a poco prezzo passa subito. La fi-nanza etica meno», aggiunge ClaudiaGazzale, socia di Banca Etica e presi-dente del Des Brianza. «Spesso i gasistiaprono il conto con una banca non eti-ca semplicemente perché costa meno.Senza applicare gli stessi principi cheguidano l’acquisto dei prodotti».

Banca Etica e i GasNon così vicinidi Elisabetta Tramonto

Continua il dibattito attorno al piano industriale di Banca Etica lanciatosul numero di settembre di Valori. Parliamo di Gruppi di acquisto solidale, per la banca tra gli interlocutori principali, ma nella realtà non sempreinteressati alla finanza etica

TERESA MANUZZI

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Banca Etica: così vicini, così lontaniAl di là della scarsa conoscenza e consa-pevolezza nei confronti della finanza eti-ca, da parte dei Gas sembra esistere unavera distanza (talvolta delusione, talvol-ta solo non conoscenza) da Banca Etica.«A livello nazionale prevale un atteggia-mento critico», conferma Katia Mastran-tuono, copresidente della Res Marche.Critiche diverse: da una mancanza di ef-ficienza («Di fronte a una richiesta di fi-nanziamento per un’attività assoluta-mente in linea con lo spirito di BancaEtica non siamo neanche riusciti a otte-nere un preventivo. Banca Prossima ciha risposto in una settimana », raccontaDavid Marchiori) al rifiuto di finanziaretutti i progetti virtuosi presentati: «Ban-ca Etica era vissuta dai Gas come un isti-tuto che dovrebbe sostenere le impresesociali non bancabili – spiega DavideBiolghini – ma purtroppo ci si è resi con-to che non sempre lo fa. L’esempio clas-sico è quello dell’azienda Tomasoni, ilproduttore di formaggio che anni fa fusalvato grazie all’intervento di alcuniGas e di Mag2, dopo il “no” di Banca Eticaal finanziamento che aveva richiesto».«A volte si guarda un singolo caso non fi-nanziato senza considerare che la stra-grande maggioranza dei prestiti conces-

si da Banca Etica riguardano progettiche i Gas apprezzerebbero e a cui gli altriistituti di credito avrebbero sbattuto laporta in faccia», replica Ugo Biggeri. Cheaggiunge: «Il fatto che i Gas non abbianoben chiaro cosa sia la finanza etica fa sìche abbiano aspettative non coerenti».

E non è tutto: «Banca Etica viene per-cepita come distante e poco coinvoltanel percorso dell’economia solidale che iGas portano avanti», spiega ancora Ka-tia Mastrantuono. «Non ha una presen-za concreta e reale sul territorio. Quelladei Gas è una rete complessa che va se-guita da vicino», aggiunge David Mar-chiori. «Le Mag (Mutue di autogestione)– continua Davide Biolghini – sono piùvicine, più presenti sul territorio e han-no una relazione più diretta con i Gas».

Netta la replica di Ugo Biggeri: «Ban-ca Etica non ritiene che esista una veradistanza dai Gas. È consapevole che esi-stono percorsi diversi, ma l’obiettivo ècomune. Da parte della banca c’è unagrande volontà di partecipare ai percorsidei Gruppi di acquisto: a partire dalleoperatività specifiche, come il conto de-dicato ai Gas, alla presenza nei diversimomenti di confronto. All’ultimo SbarcoGas io c’ero». «Il conto gas è solo un primopasso – precisa Paolo Ferraresi, responsa-bile dell’ufficio progetti di Banca Etica –ha ottime condizioni di costo, ma è so-prattutto un segno di attenzione, un mo-do per aprire un canale di comunicazione.Stiamo cercando di creare dei prodottiadatti anche alle esigenze dei produttori,attivando un sistema di garanzie dal bas-so, non patrimoniali».

Un partner idealeE infine l’accusa di un mancato coinvolgi-mento dei Gas. «Banca Etica ha organiz-zato dei laboratori di economia civile. Co-sa che ha molto infastidito i Gas perchénon si sono sentiti coinvolti. Sono stateinteressate solo alcune singole realtà»,racconta Katia Mastrantuono. «Certo,abbiamo coinvolto solo alcune realtà delmondo dei Gas come la Res Marche», ri-sponde Ugo Biggeri. «Ma non è possibileconsiderare tutti e non è facile trovaredei referenti. Quella dei Gruppi di acqui-sto è una realtà pulviscolare e senza una

vera rappresentanza. Sinceramente misembra una polemica fuori luogo». Per ilpresidente il fulcro della questione è unaltro: «Vorrei che i Gas capissero le speci-ficità di Banca Etica che la rendono un in-terlocutore ideale per loro. Innanzituttoè l’unica realtà che offre strumenti di par-tecipazione e coerenza nelle modalità concui lavora. La trasparenza nei finanzia-menti e soprattutto la forma partecipati-va sono caratteristiche innovative. Se vo-gliono che Banca Etica sia la banca deiGas, basta che diventino soci. Questo misembra che non venga compreso. BancaEtica è dei suoi soci».

Un rapporto biunivocoInsomma servirebbe uno sforzo da partedi entrambi. «Banca Etica non è nata perfinanziare i Gas o i produttori, bensì ilterzo settore – spiega Ugo Biggeri – mapuò avvenire un avvicinamento, come èsuccesso con la legalità. Il finanziamentoalle realtà della legalità non appartene-va a Banca Etica, oggi sì, grazie al percor-so fatto con Libera».

Ma paradossalmente oggi è Banca Eti-ca ad avere bisogno di un aiuto, anche perpoter aiutare i Gas. Per poter concederepiù finanziamenti serve, infatti, più capi-tale sociale, lo richiedono le regole banca-rie. Ma i Gruppi di acquisto sono dispostia investire nel capitale di Banca Etica? «Almomento non credo», risponde DavideBiolghini. «Servirebbe maggiore dialogoper costruire quanto Banca Etica chiede. IGas portano avanti con i produttori rap-porti basati sulla fiducia e sulla conoscen-za reciproca, non basta che un agricoltoresia biologico. Bisogna stabilire una rela-zione. Lo stesso vale per Banca Etica. Nonbasta la parola “etica” per farla diventareautomaticamente un interlocutore deiGas. Serve un rapporto di fiducia e azionidi reciproca conoscenza».

«I Gas però – conclude Ugo Biggeri –dovrebbero usare con Banca Etica glistessi criteri di selezione e di valutazio-ne impiegati per i produttori dove ac-quistano la verdura o il formaggio bio.In quel caso si valuta come vengonoprodotti, con quali materie prime e qua-li procedimenti. Lo stesso vale per la fi-nanza etica».

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| finanzaetica |

VTERESA MANUZZI

Kuminda, cibo consapevoleAlcuni momenti di Kuminda, il festival del diritto al cibo, organizzato da Acra e Terre di mezzo Eventia Milano dall’11 al 15 ottobre scorso, presso la Cascina Cuccagna. Un racconto del cibo, in tutti i suoi aspetti, per parlare di chi lo consuma, di chilo produce, per condividere le esperienze virtuosedi produzione agricola, i progetti di cooperazionecon i Paesi del Sud del mondo, le filiere di distribuzione sostenibili, le scelte di consumoconsapevoli. www.kuminda.org

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Nella splendida cornice della settecentesca Cascina Cuccagna, a Milano (zona Porta Romana, facilmente raggiungibile con metropolitana e autobus).

Con la classica formula week-end: circa 15 ore di lezione nell’arco di due giorni

Per studenti universitari, sindacalisti, imprendi-tori, mondo associativo, cittadini attivi, un pianoformativo modulare, che ogni partecipante potràcomporre a suo piacimento.

Docenti preparati useranno un linguaggio chiaroe un approccio attento ai non addetti ai lavori.Una metodologia basata sull’interazione, sulleesercitazioni collettive e sulla presenza continuadi un facilitatore d’aula.

Accanto ai corsi un programma di stage nel cam-po dell’imprenditoria non profit e della ricercaeconomica e finanziaria.

PROGRAMMA• Basi per una comprensione critica dell’economia.• Basi per una comprensione critica della finanza etica.• Finanza Etica: principi e strumenti alternativi ai modelli speculativi.

• Economie Solidali.• Green economy: un futuro sostenibile per l’Europa.• Giornalismo economico finanziario.• Giornalismo e nuovi media: dalla distrazione di massa all’attivismo democratico.

(per il calendario www.corsivalori.it)

OLTRE ALLA SCUOLA ESTIVA:• Un nuovo rapporto città-campagna: agricoltura peri-urbana e di prossimità.

• La riconversione dell’economia verso il controllo delle filiere.

• Realtà e prospettive delle energie rinnovabili.• Green economy e impatti sull’occupazione.

INFORMAZIONI SUL SITO [email protected] /www.corsivalori.it

inaugura

L’Università della sostenibilitàA PARTIRE DA GENNAIO 2013

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| inumeridellaterra |

NarcoglobalizzazionediPaola Baiocchi, Andrea Barolini, Matteo Cavallito e Valentina Neri

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ARGENTINA

Uno dei principali trampolini per l’esportazione di droga in Europa, grazie ai forti rapporti commerciali che il Paese vanta con il Vecchio Continente,insieme agli scarsi controlli e agli episodi di corruzione della polizia.

BOLIVIA

È uno dei Paesi latino-americani dove si produce piùcocaina. Le piantagioni sono controllate da cartelli cheriforniscono il mercato dell’America del Nord (Stati Uniti e Canada) e dell’Europa. Coltivazioni di cocaina: 30.900 ettariValore netto: 13 miliardi di $Sequestri effettuati: 25,7 tonnellate [dati 2009]

OLANDA

In Europa riveste il ruolo di importante centro temporaneo di stoccaggio e smistamento dell’eroina destinata ai mercatiinglesi, francesi, belgi e tedeschi, in un network gestito daorganizzazioni olandesi, turche e nigeriane.

COLOMBIA/CARTELLI

Con 325 tonnellate l’anno, è il principale produttore mondiale di cocaina, anchese – secondo i dati di Narcoleaks – la quantità prodotta in Colombia e valutata in base ai sequestri sarebbe sei volte di più. Il dato reale sarebbe tenuto bassograzie al sistema di monitoraggio dell’Unodc, per far passare in secondo pianol’importanza della Colombia e spostare l’attenzione delle politiche antidrogaverso il Perù. I tre cartelli colombiani più noti sono quello di Medellín, un veroStato nello Stato che assolda poliziotti, magistrati, giornalisti, personaggi dellospettacolo, quello di Cali e il cartello di Norte del Valle.I cartelli colombiani lavorano in stretta correlazione con gruppi terroristici e contano importanti collegamenti con le criminalità europee (spagnole, italianee olandesi) e con gruppi di origine caraibica (domenicani in Spagna, jamaicaninel Regno Unito e cittadini delle Antille in Olanda) e dell’Africa Occidentale(presenti in Francia, Svizzera, Austria, Germania, Italia e Portogallo).

PERÙ

Coltivazioni di cocaina: 61.200 ettariValore dei ricavi per i coltivatori: 384 milioni di $ [2009]Sequestri complessivi: 30,7 tonnellate [2010]

MESSICO/CARTELLI

Uno degli Stati maggiormente coinvolti nel narcotraffico. Il cartello di Tijuana,quello del Golfo, di Sinaloa e di Juárez si spartiscono il mercato delle droghe dal Messico verso gli Usa. Il cartello di Los Zetas, nato come gruppo paramilitare,traffica verso l’Europa grazie ai collegamenti con la ’ndrangheta calabrese.Violentissimi e dotati di armi da guerra come bazooka e mitragliatrici, i cartellimessicani hanno “colonizzato” intere regioni del Paese, imponendo regoleneofeudali. Il conflitto tra i cartelli avrebbe causato più di 13 mila morti nel 2011.

GUINEA BISSAU

Un hub sempre più importante per la droga provenientedall’America Latina, destinata al mercato europeo e agli Usa,soprattutto a causa della corruzione: i narcos negli anni hannopenetrato l’intero apparato statale, arrivando perfino all’ufficiodel presidente João Bernardo Vieira, che fu ucciso nel 2009. Il traffico coinvolge Paesi strategici – economicamente e politicamente – come GHANA, KENYA, NIGERIA, MOZAMBICOe SUDAFRICA. E gruppi terroristici come Hezbollah e Al Qaeda.

MAGHREB

I Nordafricani sono presenti nei mercati dei Paesi mediterranei(Spagna, Francia e Italia) e in Olanda. Organizzazioni criminalidi origine maghrebina sono impegnate nel traffico di sostanze stupefacenti: sono composte da cittadiniprovenienti dal MAROCCO, dalla TUNISIA, dall’ALGERIA, dalla LIBIA e dalla MAURITANIA, che operano in piccoli gruppi.

Stilare una mappa che descriva esaustiva-mente la divisione dei compiti nell’“orga-nizzazione del lavoro criminale” è impos-

sibile, data l’estrema rapidità di adattamento dellestrategie dei gruppi malavitosi al variare dellecondizioni di mercato. Quello che descriviamo èun mercato che si avvale di tutte le possibilità of-ferte dalla “globalizzazione” e dalle regole neolibe-raliste per realizzare profitti straordinari, in cui lecriminalità hanno capito che mettersi “in rete” èpiù proficuo che farsi apertamente la guerra.

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| risiko del narcotraffico |

FONTE: NOSTRA RIELABORAZIONE DA DATI WWW.UNODC.ORG; WWW.NARCOLEAKS.ORG; MINISTERO DELL’INTERNO; CAMERA DEI DEPUTATI - ILLUSTRAZIONE: DAVIDE VIGANÒ

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NIGERIA/CRIMINALITÀ

Il network creato dai gruppi criminali nigeriani sta reinvestendo i proventi di prostituzione, cocaina ed eroina su droghe sintetiche e metanfetamine, con una strategia criminale mirata a produrreprodotti di origine sintetica di qualità e costo maggiore, in questomodo affermando la loro leadership rispetto ad altri gruppi etnici.I nigeriani occupano un posto di rilievo, soprattutto in Olanda,poiché gestiscono un proprio mercato che riforniscono attraversocorrieri aerei in partenza dalle Antille e dal Suriname e, in seguitoall’incremento dei controlli, dal Perù, dalla Repubblica Dominicana e dal Messico. Recenti stime indicano che in Nigeria operano circa400 centrali del crimine, 136 delle quali specializzate nel traffico di droga e la metà con ramificazioni internazionali.Gruppi criminali nigeriani, stanziati in TAGIKISTAN, acquistano oppionell’area afghana e lo indirizzano verso la Cina finora rifornita dallaproduzione del Sudest asiatico, abbassandone il prezzo di carico e di vendita e andando a sovrapporsi ai flussi di traffico dell’oppioproveniente dal Myanmar, il cui prezzo risulta triplo rispetto a quelloacquistato in Afghanistan dalla criminalità nigeriana.

ITALIA/COSA NOSTRA

Agli inizi degli anni ’70 la mafia siciliana entra nel mercato internazionale degli stupefacenti, superando una sorta di suo tabù nei confronti delle droghe. Realizza una coalizione transnazionale con i marsigliesi che forniscono i chimici: la morfina base arriva dagli Stati Uniti e in Sicilia, ad Alcamo, viene localizzata la più grande raffineria di eroina d’Europa, che verrà scoperta nel 1985.Dopo una flessione nella leadership di Cosa nostra, dovuta al suo coinvolgimento nella strategia stragista e agli arresti di suoi membri, in questi anni si stanno stabilendo nuove reti per il controllo territoriale e internazionale con la ’ndrangheta, finalizzate al traffico di stupefacenti (soprattutto cocaina) dal Sudamericaattraverso il Nord Europa (Olanda, Germania, Belgio e Austria), come dimostrato anche dalla vasta operazione di metà ottobre scorso, coordinata dalla Dda della Procura di Milano, con 52 arresti in 8 regioni italiane del Nord e del Sud.

AFGHANISTAN

Dal 2008 è diventato il primo produttore mondiale di oppio, nonostante (o grazie) al fatto di essere un Paese che quasi non conosce la pace. La regia è gestita da cinqueimportanti gruppi criminali compositi, che operano o dietro la copertura di traffici lecitioppure avvalendosi di gruppi minori, spesso legati da vincoli famigliari. Con il nome pittoresco di Mezzaluna d’oro viene indicata la regione asiatica con la maggiore produzione di oppiacei del mondo, che comprende oltre all’Afghanistan,l’IRAN, il PAKISTAN e in minor misura INDIA e NEPAL.Coltivazioni di oppio: 123 mila ettariValore della produzione: 2.900 $ netti per ettaro Coltivazioni di cannabis: 9-29 mila ettariValore della produzione: 8.341 $ netti per ettaro [dati 2010]

ITALIA/’NDRANGHETA

Attualmente considerata una delle più potenti organizzazionicriminali d’Europa, offre come nessun altro il “pacchettocompleto” (anche di voti elettorali). Le ’ndrine garantiscono dal contrabbando della droga ai pagamenti in armi, al riciclaggiodel danaro dei narcos in euro. In collaborazione e sovente con la doppia affiliazione dei suoi capi con le principali mafie italianee internazionali. Tra gli anni ’80 e ’90 hanno conquistato un ruolodi leadership come intermediatore e organizzatore dei trafficiinternazionali della cocaina.

SERBIA E ALBANIA/GRUPPI

Gruppi criminali serbi e albanesistanno muovendosi autonomamenteper acquistare cocaina dai Paesi diproduzione, provvedendo al trasportofino ai mercati di consumo. Taglianomolto la cocaina per diminuirne ilprezzo e realizzare i profitti necessarialla loro ascesa.

LAOS

Coltivazioni di oppio: 3 mila ettari[dati 2010]

INDIA/PUNJAB

Il Punjab, regione dell’India al confine con il Pakistan, è unaporta d’ingresso privilegiata per la droga di origine afghana [vedi pag. 27]. Viene sfruttata la “rete” sul territoriocostituita da numerosi contadini, che si occupano di fatto di smerciare gli stupefacenti.

BOX

MYANMAR [dati 2010]

Coltivazioni di oppio: 38.100 ettariAddetti: 224 mila personePrezzo medio di vendita: 305 $ al kgValore dei ricavi per i coltivatori: 177 milioni di $

Il Triangolo d’oro composto da LAOS, MYANMAR,THAILANDIA e VIETNAM è attualmente la seconda area asiatica di produzione dell’oppio.

LE DROGHE SINTETICHE Un mercato in crescita, soprattutto per le metanfetamine, afferma l’Unodc, e per la prima voltanumerosi Paesi ne hanno segnalato la presenza sui loro territori (ARGENTINA, BRASILE,GUATEMALA). Costituiscono un pericolo senza precedenti, perché percepite erroneamentecome meno dannose; nel 2009 sono stati scoperti 45 laboratori, tutti in Europa, che utilizzanoanche internet per il reperimento dei “precursori”. Siti di lavorazione esistono nell’Est e Sudestasiatico, Nord America, Oceania, Sudamerica, Turchia, Libano, Giordania. Il 97% dei sequestrisi concentra in Europa e in Medio Oriente, con un traffico intraregionale, caratterizzato in basealle preferenze dei consumatori. Il grande mercato cinese attira l’attenzione dei gruppicriminali per le sue potenzialità di produzione e di diffusione.

MARIJUANA È prodotta in quasi tutto il mondo: maggiori produttori sono il Nord e Sud America (46% del totale mondiale: MESSICO, USA, PARAGUAY), l’Africa con il 26% (SUD AFRICA, NIGERIA,GHANA) e l’Asia con il 22% (AFGHANISTAN, PAKISTAN). Il maggior produttore mondiale di hashish è il MAROCCO (27,2%) che contende la prima posizione all’Afghanistan, seguonoPakistan (7,8%) e NEPAL (6,6%). In Europa è molto diffusa la coltivazione intensiva in serra,utilizzando varietà geneticamente modificate, riscaldamento, illuminazione artificiale, in coltura idroponica. I prodotti che ne derivano hanno un più alto contenuto di Thc.

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Il dilemma di Milano: cibo sano o autostrada? > 45Il mais italiano alla guerra della produttività > 47Biogas: attenzione a chiamarla energia pulita > 49La sostenibilità viaggia a pedali > 51

economiasolidaleROBERTO CACCURI / CONTRASTO

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Page 41: Mensile Valori n. 104 2012

Viggiano (Potenza) dicembre 2003: lavori di ampliamento del Centro Oli Eni-Agip. Qui vienedesolforato il petrolio greggio proveniente da tutti i pozzi della Basilicata. Con un oleodotto il lavoratoviene poi inviato alla raffineria Agip di Taranto. Negli ultimi mesi, più di una volta, alte fiamme si sono sprigionate per ore dalla torcia del Centro Oli

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 41 |

| la lobby delle estrazioni |

Il sisma del maggio scorso in Emilia,con il suo triste bilancio di morti edi distruzione, ha sollevato nuova-

mente il problema della scarsa preven-zione del rischio che si pratica in Italia.

Mentre le telecamere dei telegiornalierano puntate sulle macerie, gli emilianisono riusciti a denunciare sulla ribaltamediatica nazionale la loro preoccupa-zione per il progetto di deposito sotter-raneo di gas a Rivara, una frazione delComune di San Felice sul Panaro. Loca-lizzato a poca distanza dall’epicentro delterremoto, in un’area classificata nellamappa sismo-tettonica a rischio propa-gazione di onda sismica e di liquefazionedelle sabbie sature, il sito di stoccaggioErg Rivara Storage – come riportato sulsito ufficiale – prevede di utilizzare «unserbatoio naturale perfetto per lo scopo:una struttura geologica a forma conves-sa il cui vertice si trova a 2.500 metri diprofondità dalla superficie». Due chilo-

Grazie a leggi permissive e tasseminime c’è un boom delletrivellazioni per ricercare ed estrarre gas e petrolio. A questosi aggiunge il nuovo business deglistoccaggi di gas e CO2. Ma mancano gli strumenti di controllo e la valutazione del rischio è scarsa

di Paola Baiocchi

del bucoLa banda

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| economiasolidale |

metri e mezzo sotto terra il metano tro-verebbe spazio nel calcare, poroso e confessure naturali piene di acqua salatache verrebbe spinta in basso dalla pres-sione; il gas formerebbe una specie dibolla e resterebbe intrappolato tra l’ac-qua e una sorta di “tappo” di argille im-permeabili dello spessore di 1.700 metri.La capacità di stoccaggio dovrebbe esse-re di 3.700 milioni di metri cubi di meta-no, con un’estensione sotterranea di 12chilometri quadrati e uno spessore di400 metri. In superficie, con 19 pozzi diestrazione, dovrebbe occupare un’areadi circa 11 ettari nei Comuni di San Felicesul Panaro, Crevalcore, Camposanto, Fi-nale Emilia, Medolla e Mirandola.

Tre miliardi di metri cubi di gas sottoterraRivara sarebbe il primo sito di stoccag-gio in “acquifero profondo” in Italia e lascelta della società Erg Rivara Storage,costituita apposta per questo progettonel 2008 dall’inglese Independent Re-sources (85%) e da Erg Power & Gas (15%),

è caduta su questa zona soprattutto perla centralità dell’Emilia, all’incrocio dellevie della distribuzione del gas.

Però i cittadini, che avevano dato vi-ta a comitati contro il deposito prima delsisma, sono ora disposti a continuare laloro opposizione, anche se il progetto èstato fermato dal ministero dell’Ambien-te, perché temono possa venire ripresen-tato quando l’attenzione calerà.

Guardando sul sito della Erg RivaraStorage, infatti, tutto fa pensare che nonabbiano rinunciato al progetto. Intantogli emiliani, e noi con loro, chiedono cosasarebbe successo se il terremoto avessescaricato la sua energia sopra più di tremiliardi di metri cubi di gas.

Rivara sarebbe il primo sito di stoc-caggio in “acquifero profondo” in Italia,ma diversi altri progetti di stoccaggio so-no stati presentati al ministero dello Svi-luppo economico.

Rischio sismico sottovalutato«Ho letto le relazioni geologiche e sismi-che allegate al progetto di Rivara – spiegaFranco Ortolani, ordinario di Geologiaall’Università di Napoli – e vi ho trovatoche la sismicità era sottostimata: si dicevache non poteva essere superiore a 5,8 gra-di della scala Richter, invece a maggio èstata superiore. Non possiamo dire cosasarebbe successo nel caso in cui il deposi-to fosse già stato operativo, perché le co-noscenze sono scarse. È invece ampia-mente documentato scientificamente – continua Ortolani – che qualsiasi inie-zione nel sottosuolo determina una per-turbazione e se la zona è già di per sé in-stabile tettonicamente e sismicamente,come la zona dell’epicentro del 20 maggio,qualsiasi attività nel sottosuolo può de-terminare un’accelerazione dei fenomenidi instabilità tettonica e quindi accelerarequelli che poi andranno a trasformarsi ineventi sismici».

Come evitare, allora, che nuove atti-vità di stoccaggio possano creare criticità?Per Ortolani la soluzione è a portata di ma-no: «In Italia sarebbe facilissimo metteredei paletti, partendo dalle mappe dell’Isti-tuto nazionale di geologia e vulcanologia(Ingv), che hanno individuato dove in pas-sato si sono verificati terremoti. Dove ilsottosuolo è instabile, perché ci sono dellefaglie che periodicamente si muovonodando luogo a sismi, va detto che non si de-ve toccare il sottosuolo con nuovi depositisotterranei di anidride carbonica o di gas».

Invece in Italia siamo testimoni di unavera e propria “corsa alla trivellazione” siaper nuovi pozzi che per nuovi siti di stoc-caggio, in presenza di una legislazionemolto condiscendente rispetto alle com-pagnie e con la tendenza a eliminare ulte-riori “lacci e lacciuoli” che, viene detto, “li-mitano il mercato” ma sono, invece, tuteleper la sicurezza e la salute. Come la ridu-zione di fatto del già minimo limite di 12miglia dalla costa per le estrazioni in ma-re, introdotto nel decreto Cresci Italia.

Si intitola con il gioco di parole che richiama un fim di 007, uno dei capitoli del libro di PietroDommarco Trivelle d’Italia. Il sistema delle royaltiesin vigore, cioè le tasse di compensazioneambientale versate, rendono particolarmenteappetibile estrarre in Italia. Le compagniepetrolifere godono di una franchigia, per cui sono esentate dal pagamento delleroyalties sulle prime 20 mila tonnellate di greggio estratte sulla terraferma, sulleprime 50 mila tonnellate di greggio estratte in mare, sui primi 25 milioni di metri cubidi gas estratti sulla terraferma e sui primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti in mare. Tradotto in milioni di euro, le compagnie risparmiano, per ogni anno di produzione, circa 8 milioni di euro sul greggio estratto sulla terraferma, 19 milionidi euro sul greggio estratto in mare, 7 milioni di euro sul gas estratto sulla terraferma e 24 milioni di euro sul gas estratto in mare. Un bottino milionario che, in tempi di vacche magre come sono questi, i cittadini dovrebbero poter recuperare.Facilitazioni fiscali nate perché il petrolio italiano era considerato residuale, quandole tecnologie, però, erano molto meno efficienti: ora si arriva tranquillamente a 5.000/6.000 metri di profondità e quindi, anche se il petrolio italiano ha moltozolfo, il risparmio è esorbitante rispetto alle royalties del 50% che si paganomediamente in area Opec. In Italia invece sono pari al 10% per le estrazioni di greggio e gas sulla terraferma, al 7% per l’estrazione di gas in mare e al 4% perl’estrazione di greggio in mare. Di queste il 55% va alle Regioni, il 30% lo incassa lo Stato. Mentre ai Comuni che sono i più colpiti dall’impatto ambientale, va il 15%.Oppure niente nel caso delle estrazioni in mare. Pa. Bai.

CASINÒ ROYALTIES: IL FISCO RISPARMIA I PETROLIERI

Pietro DommarcoTrivelle d’Italia.Perché il nostro Paese è un paradiso per petrolieri

Altraeconomia, 2012

Nessuna valutazionedel rischio sismico vienerichiesta per le trivellazioniin mare e il decreto CresciItalia ha ridotto la distanzadi 12 miglia dalla costaper gli impianti marini

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| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 43 |

Ma quello che è ancora più grave, esembra incredibile, è che la legislazioneattuale per le trivellazioni in mare non ri-chiede la valutazione del rischio sismico.

L’autocontrollo delle compagnieSpetta alle compagnie anche autocertifi-care la produzione sulla quale pagare letasse, come ha scritto Emanuele Isonionell’articolo “Trivella libera vuol dire svi-luppo?” (Valori n. 102, settembre 2012), sot-traendo importanti introiti al fisco (vedi

). «Sta di fatto che su un centinaio cir-ca di compagnie petrolifere in attività,solo 11 pagano le tasse, spiega PietroDommarco, autore di Trivelle d’Italia, unviaggio lungo lo stivale in cui ha docu-mentato installazioni e richieste di nuoviimpianti in località vicine ad aree intensa-

mente abitate o di interesse naturalistico,agricolo, artistico o storico.

Alle compagnie si lascia poi il ruolodi controllori di sé stessi anche in mate-ria di sicurezza e salute pubblica, a pro-posito di emissioni e incidenti: dal 2010,in nome della “semplificazione”, è stataintrodotta l’Autorizzazione integrataambientale (Aia) che rende “superflue”numerose autorizzazioni ambientali disettore. Gli impianti soggetti ad Aia sonotenuti a comunicare ciò che avviene nel-

le proprie aziende all’Ines (Inventarionazionale delle emissioni e loro sorgen-ti). Succede così che i cittadini vedanosvilupparsi delle fiamme dai pozzi di pe-trolio, ma non riscontrino nessuna de-nuncia di incidente, come ha spiegato aValori Luciana Coletta, segretaria regio-nale della Basilicata di Csp-Partito co-munista e membro del Comitato Aria pu-lita, che continua: «Eppure quei pozzi aVilla d’Agri di Potenza sono ad appena250 metri dall’ospedale civile».

BOX

| economiasolidale |

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Le sigle individuano isoleper le quali è necessaria

una valutazione ad hoc

Elaborazione: aprile 2004

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Pozzi a terra operanti

Pozzi a terra in iter

Piattaforme operanti

Piattaforme in iter

Raffinerie

Dal 2011 divieto di perforazione e di coltivazione Lg. 179/01

SIAMO PROPRIO SICURI?

Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale e

principali attività estrattive

Operanti > coltivazione idrocarburi

In iter > istanza/permesso

IN RETEhttp://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/ Ministero dello Sviluppo economicowww.gm.ingv.it/index.php/sismologia-e-ingegneria-sismica/ricerca-scientifica/15-studio-degli-effetti-di-sito-nel-bacino-della-val-dagri2 Studio degli effetti di sito nel bacino della Val D’Agriwww.wwf.it/client/ricerca.aspx?root=29949&content=1 Dossier del Wwf “Milioni di regali - Italia: Far West delle trivelle”

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| 44 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |

| economiasolidale |

Sembra però che la sicurezza sia unproblema che non riguarda le compa-gnie petrolifere, ma solo i cittadini, checontinuano a organizzarsi in centinaiadi comitati e movimenti, che restano,però, in ambito locale e per la mancanzadi una cinghia di trasmissione che li col-

leghi alla politica nazionale, ottengonoscarsissimi risultati. «Questo perché man-ca un partito che abbia un progetto alter-nativo di società e quindi di economia, co-me è stato il Partito comunista italiano»aggiunge Luciana Coletta.

La Basilicata è la Regione a più alta ca-pacità estrattiva d’Europa, pur essendol’Italia il quarto produttore europeo. Si

vuole ora puntare al raddoppio della pro-duzione proprio in Val d’Agri: “Una dellearee italiane a maggiore potenziale si-smogenetico”, certifica l’Istituto naziona-le di geofisica e vulcanologia.

Una zona cioè dove possono facilmen-te generarsi terremoti, come il devastan-te sisma del 1857, tra i più potenti d’Italia,con magnitudo tra 6,9 e 7.

GLOSSARIOSTOCCAGGIO DEL GAS NATURALE IN SOTTERRANEO:il deposito in strutture del sottosuolo del gas naturaleprelevato dalla rete di trasporto nazionale e successivamente reimmesso nella rete in funzionedelle richieste del mercato. I componenti principali di un sito di stoccaggio sono: il giacimento, la centrale di stoccaggio con gli impiantidi compressione e trattamento e i pozzi. Lo stoccaggioè un’attività mineraria soggetta a concessione, con modalità recentemente aggiornate con Decretoministeriale 21 gennaio 2011. Attualmente in Italia sonoin attività dieci siti di stoccaggio, tutti realizzati in corrispondenza di giacimenti a gas esauriti; sono in corso di realizzazione tre nuovi impianti, e ci sonootto istanze di concessione di stoccaggio, compresaquella di Rivara, in corso di rigetto.

WORKING GAS: la quantità di gas naturale gestitasecondo le richieste degli shippers (i proprietari del gas). Una parte del working gas deve esseremantenuto in giacimento per garantire la riservastrategica (attualmente 5.100 milioni di mc).

CUSHION GAS: è il “gas cuscino”, il quantitativominimo indispensabile di gas presente o inserito nei giacimenti in fase di stoccaggio, che ha la funzionedi consentire l'erogazione dei restanti volumi senzapregiudicare nel tempo le caratteristiche minerarie dei giacimenti stessi. Nel caso di giacimenti quasi esauriti dove verrebbeiniettata la CO2, questa farebbe da “cuscino”permettendo l’estrazione del metano rimasto sul fondo.La capacità di stoccaggio di gas naturale al 31 dicembre 2011 è pari a circa 15.620 milioni di standard metri cubi (MSmc), di cui 5.100 MSmcriservati allo stoccaggio strategico.

FONTE: NOSTRA ELABORAZIONE SU DATI UNMIG, STOGIT, ENI

Il progetto pilota di iniezione delle emissioni di CO2 a Cortemaggiore, proposto da Stogit (Gruppo Eni), ha ricevuto ad aprile esito favorevole nella Valutazione di impatto ambientale (Via), a condizione che l’approvvigionamento della CO2

avvenga in zone più vicine, ai fini di un risparmio energetico ed emissivo. Nei giacimenti già utilizzati dal 1964 come stoccaggio del metano in provincia di Piacenza, nei Comuni di Cortemaggiore e Besenzone, per tre anni l’Eni inietteràl’anidride carbonica per sperimentarne l’uso come cushion gas (vedi ) a 1.400 metri di profondità, per un totale di 8.000 tonnellate di CO2 l’anno.Il progetto solleva le preoccupazioni dei cittadini per la sicurezza, dopo il recentesisma, ma anche perché inciderebbe poco sulla riduzione delle emissioni: la CO2

utilizzata nel giacimento di Cortemaggiore, infatti, sarà in parte approvvigionata contrasporto su gomma dall’impianto di cattura di recente inaugurato da Enel a Brindisi.

GLOSSARIO

CENTRALI DI STOCCAGGIO CRESCONO

SCHEMA GENERALE DI SITO DI STOCCAGGIO

FONTE: STOGIT SPA

Le homepage dei siti indicati a pagina 43

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| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 45 |

| economiasolidale | difesa della terra |

Se questa vicenda avrà un lieto finedarà concretezza al sogno di chicrede nella sicurezza alimentare,

nella tutela del territorio, nel diritto al ci-bo sano. Ma per ora la realtà è tutt’altra:una striscia di asfalto, larga otto corsie,lunga 32 chilometri con sei svincoli e al-trettanti caselli, che sorgerà su un’areaagricola rara e preziosa con il serio rischiodi cancellare uno dei più ambiziosi proget-ti di ricostruzione di filiera corta del pane.La (flebile) speranza di cambiare le cose èlegata a un ricorso che potrebbe creare unprecedente storico.

Asfalto al posto del grano bioNel Parco agricolo Sud Milano è attivo daquasi cinque anni il progetto Spiga & Ma-dia, nato per produrre, attraverso un ori-ginale sistema di “coproduzione” tra con-sumatori, agricoltori e fornai, pane di altaqualità, da agricoltura biologica, a prezzialtrove impensabili. L’area scelta sembra-va ideale per l’esperimento: è a pochi chi-

lometri da Milano (a Caponago), è moltofertile e in loco si può trovare tutto il ne-cessario per creare una filiera a chilome-tro zero. Ma su quell’area dovrà passare lanuova Tangenziale esterna (Teem) e, suiterreni coltivati a grano, sarà costruita larotatoria per collegarla all’autostrada A4.

Le decine di chilometri della Teem – ol-tre ai 32 di autostrada da Agrate Brianza aMelegnano, ci sono anche 38 km di nuovestrade ordinarie e 15 di riqualificazione diarterie esistenti – è considerata “opera in-frastrutturale per lo sviluppo strategicodel Paese”, tanto da essere stata inseritanella Legge obiettivo, che permette di de-rogare alla legislazione ordinaria.

Per i suoi ideatori (un consorzio com-posto da Provincia di Milano, Benetton,Gavio, Intesa San Paolo, Impregilo, Pizza-rotti, Coopsette, Cmb, Unieco e Cmc), ser-virà a decongestionare l’attuale Tangen-ziale Est permettendo di passare dalla A1alla A4 bypassando Milano. Ma in parec-chi dubitano dell’utilità dell’opera. «La

Teem non ridurrà il traffico della Tangen-ziale Est, che è usata quasi esclusivamenteper andare da una parte all’altra di Mila-no», spiega Damiano Di Simine, presidentedi Legambiente Lombardia. A sostegnodella sua tesi, un calcolo degli stessi com-mittenti: in quel rapporto, per di più stila-to prima della crisi economica, la nuova

Il dilemma di Milano:meglio il cibo sanoo una nuova autostrada?diEmanuele Isonio

I lavori della nuova Tangenziale esterna condanneranno a morte la filiera corta del pane di Spiga & Madia. Il distretto di economia sociale della Brianza fa ricorso alla Commissione europea. Con una motivazione originale: il valorepreminente della sicurezza alimentare

IL DES.BRI: AIUTATECI A COPRIRE LE SPESE LEGALIPortare avanti un’azione legale complessarichiede molto denaro. Lo sanno bene i grandi gruppi industriali, che spessocontano proprio sui costi della giustizia perfermare chi si oppone a opere controverse. Il Des Brianza ha quindi lanciato un appelloper coprire le spese legali. I contributipossono essere versati sul conto corrente di Banca Etica, intestato al “Comitato verso il Distretto di Economia Solidale dellaBrianza”, causale “Campagna Spiga e Madia”,Iban IT74E0501801600000000141046.

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| economiasolidale |

Teem ridurrebbe di appena il 7% il trafficodell’attuale tangenziale. Troppo poco perun’autostrada che, già sulla carta, promet-te di essere tra le più costose: 80 milioni dieuro al chilometro. Tra l’altro i primi lavo-ri stanno partendo anche se è stato reperi-to solo il 20% dei due miliardi necessari acompletarla. Il sospetto che questo co-stringa la Cassa Depositi e Prestiti a inter-venire è concreto. «Sarebbe comunqueuna follia – osserva Di Simine – bloccare ri-sorse bancarie per un’opera inutile mentrecentinaia di imprese falliscono per man-canza di liquidità».

Un’istanza ineditaA queste motivazioni, si uniscono quelledelle 600 famiglie del progetto Spiga &Madia, che hanno deciso di tentare un ri-corso originale: invece di contestare i cri-teri di esproprio dell’area coltivata a gra-no, hanno preferito invocare il diritto alcibo sano. Rivolgendosi, per il ricorso, a unpool di avvocati e professori universitari,coordinati da Domenico Monci, docente diDiritto ambientale all’università del Moli-se. «Un ricorso a più tappe», spiega Monci.Con un destinatario di alto livello: la Dire-zione generale Ambiente della Commis-sione europea, l’organismo che, nella Ue,ha competenza sulla legislazione ambien-tale e alimentare. «La nostra speranza èche chieda chiarimenti alle istituzioni na-zionali coinvolte (ministero delle Infra-strutture, Cipe, Regione Lombardia) e ve-rifichi se sono state ignorate le esigenzedelle popolazioni locali, in violazione dellaConvenzione di Aarhus».

Quattro i punti su cui pone l’accentol’istanza inviata a Bruxelles, che Valori hapotuto visionare in assoluta anteprima:oltre ai dubbi sull’effettiva utilità dell’ope-ra, contestata persino da 34 dei Comunidell’area, che avevano proposto un pro-getto alternativo (vedi ), si denuncia laviolazione del diritto di accesso al cibo sa-no. «Una motivazione praticamente inedi-ta in Europa – spiega Monci –ma sostenu-ta da importanti basi legali. Non solo per ilprincipio di precauzione sancito dall’arti-colo 191 del Trattato sul funzionamentodell’Unione europea, ma anche per le re-gole già in vigore nella Ue con il regola-mento 178/02 sulla sicurezza alimentare».

Accanto a questo, viene sottolineatoil danno alle colture biologiche e a pro-duzioni agricole di pregio (la Teem, si leg-ge nell’istanza, è «capace di alterare inmaniera irreversibile le condizioni at-tuali dell’area e privarla delle sue pecu-liari qualità agronomiche e ambientali»)e il concreto pericolo per la biodiversitàdel territorio: «La proprietà agricola im-piegata nel progetto Spiga & Madia è al-

locata in uno dei residui corridoi ecologi-ci esistenti nella Brianza». «Se, come spe-riamo, la DG Ambiente aderirà alle no-stre motivazioni – commenta Monci –potremo chiedere al Tar di bloccare l’o-pera e al tempo stesso avremo creato unprecedente epocale: avremmo dimostra-to che il diritto al cibo sano non può es-sere sacrificato sull’altare degli interessidelle lobby industriali».

BOX

A mettere in dubbio l’utilità della Tangenziale esterna non ci sono solo ambientalisti e sostenitori dell’agricoltura biologica. 34 comuni lombardi, situati tra la BreBeMi(l’autostrada di collegamento tra Brescia, Bergamo e Milano) e la nuova Teem hannocommissionato all’istituto Polinomia uno studio sui vantaggi dell’opera e sulle possibilivarianti. Obiettivo: dimostrare che la Teem è tutt’altro che indispensabile e che si possono decongestionare le arterie esistenti in modo ben diverso. «Non esiste a tutt’oggi alcuna evidenza tecnica, asseverata da studi e valutazioni redatti secondo gli standard correnti, dell’effettiva rispondenza della Teem alle numerose e rilevantiproblematiche del sistema di trasporto interessato». Il rapporto “Polinomia” proponequindi soluzioni alternative: il potenziamento delle ferrovie regionali, soprattutto nelletratte comprese tra 35-40 chilometri dal centro di Milano; la riorganizzazione della retedi trasporto pubblico extraurbano; la razionalizzazione della rete stradale esistente; una revisione dei criteri di gestione del traffico; lo sfruttamento di aree industrialidismesse connesse alla rete di trasporto pubblico. «Se 34 Comuni, enti pubblici di prima istanza, concordano su un piano alternativo – commenta l’avvocato Monci – si conferma in modo inequivocabile che un’alternativa alla Teem è concreta e attuabile».

ALTRO CHE TEEM:34 COMUNI SOSTENGONO IL RAPPORTO “POLINOMIA”

!!

Milano

Monza AgrateBrianza

Rho

Pero

Vanzago

Arluno

SedrianoCornaredo

BareggioVittuone

Corbetta

Albalrate

CislianoCusago Cesano Boscone

CorsicoTrezzano sul Naviglio

BuccinascoGaggiano

Vermezzo

Zelo Surrigone

Gudo Visconti

Assago

Rozzano

Zibido S. GiacomoNoviglio

Rosate

Bubbiano

CalvignascoVernateCasarile

Binasco

Lacchiarella

Basiglio

Pieve EmanueleLocate Triulzi

Carpiano

Melegnano

Colturano

Mediglia

Pantigliate

Settaia

Rodano

VignatePialtelloSegrate

Cernusco sul Naviglio

S. Giuliano Milanese

S. Donato Milanese

Peschiera Barromeo

Opera

Settimo Milanese

Pregnana Milanese

Vizzolo Predabissi

Dresano

Tribiano

Paullo

Liscate

Melzo

Cassina de Pecchi

Gorgonzola

Cerro al Lambro

A52

A51A50

A4

A1

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A8

Area del Parco Agricolo Sud Milano TEEM - Tangenziale Est Esterna di Milano

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| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 47 |

C’è un dato che più di tutti faimpressione tra quelli che ciaiutano a fotografare il mon-

do del mais italiano: nel 2011 le importa-zioni nette di questo cereale si sono atte-state al 23% della domanda totale, dopodecenni in cui l’Italia era di fatto auto-sufficiente. Alla luce di questo dato, i co-sti di importazione dei cereali per man-gimi animali hanno annullato i ricavidell’esportazione dei nostri prodotti tipi-ci di origine animale. Alla base di questodato c’è un problema di produttività, fi-glio diretto di un disperato bisogno diredditività. Un’esigenza certamente co-mune a molti altri settori agroalimenta-ri, che però, nel caso della maiscoltura,diventa condizione indispensabile per la

sopravvivenza stessa della filiera. Perdecenni fiore all’occhiello dell’agricoltu-ra italiana, ma che da qualche anno è sta-ta superata, in termini di produzione eresa, da altri Stati europei, primo tra tut-ti la Spagna.

Dai produttori si leva quindi un ap-pello per individuare sistemi che aumen-tino i loro redditi e coprano i costi di pro-duzione. Ma le soluzioni – varietà Ogm e

biogas – potrebbero rivelarsi medicinepeggiori della malattia da curare.

La resa non cresce piùI dati Istat segnalano nel 2011 una produ-zione di 9,6 milioni di tonnellate, in ri-presa rispetto al triennio orribile 2008-2010, ma comunque quarto peggiorerisultato degli ultimi 15 anni. Le superfi-ci coltivate tornano a superare la sogliapsicologica del milione di ettari. Ma apreoccupare gli analisti sono i dati dellerese per ettaro: «Nonostante siano in ri-presa rispetto al 2010 – spiega Dario Fri-sio, ordinario di Economia ed Estimo ru-rale all’Università Statale di Milano – lacrescita inarrestabile avuta fino agli an-ni ’90 si è ormai fermata». Un confrontocon la Spagna (vedi ): nel 1993 la re-sa per ettaro era di 85 quintali contro i 93dell’Italia. Nel 2011 il mais iberico è cre-sciuto a 105 quintali per ettaro mentrequello italiano si è fermato a 94.

GRAFICO

diEmanuele Isonio

La maiscoltura tricolore ha perso il primato europeo e i suoi profittidipendono ormai dal premio Pac che ben presto potrebbe scomparire. Uno scenario a tinte fosche. E, sullo sfondo, due soluzioni che non convincono

Tre i problemi principali: la resa per ettaro non crescepiù da quindici anni, le aziende sono troppopiccole e i costi diproduzione crescono

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[Mil t] [.000 ha]

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1.019

EVOLUZIONE DELLE SUPERFICI E DELLE PRODUZIONI DI MAIS DA GRANELLA IN ITALIA TRA IL 1961 E IL 2011

Produzioni (milioni t) Superfici (.000 ha)

FONTE: ELABORAZIONI OECV-DEPAAA SU DATI ISTAT (2010 E 2011 PROVVISORI)

Il mais italianoalla guerra della produttività

| economiasolidale | made in italy a rischio/puntata 19 |

40-55_ecosol_santoro_V104 25/10/12 16.19 Pagina 47

Page 48: Mensile Valori n. 104 2012

Imprese troppo piccole costi in salitaUna situazione già complicata per i pro-duttori nostrani, resa ancor più difficiledalla struttura delle aziende italiane e dacosti di produzione spesso superiori aiprezzi di vendita. «Le imprese italiane –conferma Frisio – sono ben più piccoledei loro concorrenti esteri». 103 mila del-le 154 mila aziende agricole che coltivanomais in Italia (il 67% del totale) hannoun’estensione inferiore ai 10 ettari. «Epiù sono piccole, più è difficile per lorocoprire i costi, soprattutto ora che i prez-zi dei fertilizzanti, stabili per vent’anni,stanno avendo oscillazioni mai viste pri-ma». Un solo esempio: il prezzo del fosfa-to doppio di ammonio è passato dai 280dollari a tonnellata del gennaio 2007 ai1200 del marzo 2008 (vedi ).

Ancora una volta, la colpa di questaoscillazione va ricercata nelle specula-zioni mondiali sulle commodity agricole.I produttori sono quindi spinti a ridurrel’uso di fertilizzanti per abbassare i costi:«Ma così calano anche le rese e siamo ob-bligati ad acquistare all’estero il mais percoprire la domanda nazionale (circa 11milioni di tonnellate)». Risultato: ad oggi,la redditività della maiscoltura è legataal beneficio del premio unico aziendaleprevisto dalla Pac (Politica agricola co-munitaria). Tolto quel premio – cosa as-sai probabile con la prossima riformadella Politica agricola – il settore potreb-be entrare in una crisi definitiva.

Il futuro sarà Ogm?Viste le premesse, è inevitabile cercarenuove strade per aumentare redditi eproduttività. Ma, analizzate a livello glo-bale, le soluzioni lasciano molti dubbi. Perfare profitti, oggi non c’è idea migliore chedestinare il proprio mais agli impianti dibiogas. Una manna dal cielo per i produt-tori italiani: minimizza i problemi di colti-vazione e aumenta la garanzia di reddito(vedi ). Per incrementare la produ-zione nazionale, l’alternativa pare obbli-gata: o aumentare le superfici coltivateoppure ridurre i vincoli all’uso di varietàdi mais geneticamente modificate. «L’Ita-lia – spiega Frisio – ha per decenni utiliz-zato semi proveniente dagli Stati Uniti,dove l’ambiente climatico è molto simile aquello della pianura padana. Ma dal 1996il mais statunitense è quasi esclusiva-mente Ogm e questo ne ha impedito l’uso

in Italia». Nel nostro Paese, tra l’altro, ivincoli sono più rigorosi che in altri StatiUe: «L’uso di materiale genetico migliora-to e la riduzione delle perdite in campo hapermesso alla Spagna di superarci in ter-mini di rese. Se anche da noi si usassero ti-pi di mais più resistenti ai parassiti la no-stra produzione potrebbe superare i 100quintali per ettaro».

Un tema delicato e controverso: se sirifiuta il ricorso agli Ogm, non rimane chepensare a uno stop all’uso di cereali per fi-ni diversi da quello alimentare (leggi: bio-gas) sviluppando sistemi consortili chesuperino la frammentazione dell’offerta:«Sarebbero utilissimi per abbassare i co-sti e ridurre gli sprechi – conferma Fri-sio –. O si arriva a una migliore organizza-zione sovra-aziendale oppure perderemoulteriore terreno rispetto ai nostri con-correnti europei».

GRAFICO

ARTICOLO

| 48 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |

| economiasolidale |

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2010

2009

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2006

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2003

2002

2001

2000

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1998

1997

1996

1995

1994

1993

1992

1991

105,4

92,4

87,4

MAIS DA GRANELLA RESE A CONFRONTO [q/ha]

FONTE: EUROSTAT

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EVOLUZIONE DEL PREZZO DEI PRINCIPALI FERTILIZZANTI [$ USA per tonnellata]

FONTE: ELABORAZIONI OECV-DEPAAA SU DATI WORLD BAR

DAP: diammonium phosphate, f.o.b. US Gulf

POTASSIO: muriate of potash, f.o.b. Vancouver

UREA: f.o.b. Black Sea

FOSFATO: Phosphate rock, 70% BPL, f.a.s. Casablanca

Spagna Francia Italia

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PREZZO MEDIO MENSILEDEL MAIS IBRIDO

[euro/q] FONTE: ISMEA

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Page 49: Mensile Valori n. 104 2012

Produrre cibo per dargli fuoco: inperiodi di crisi alimentare già l’i-dea dovrebbe far sgranare gli oc-

chi. Eppure è quanto avviene, semprepiù spesso, nei campi italiani. Dove ladifficoltà di far quadrare i conti spingegli agricoltori a sposare la via delle colti-vazioni destinate a biogas. In alcunearee il fenomeno ha raggiunto livelli im-pressionanti: «A Bagnoli – denunciaval’estate scorsa l’associazione “Il Moraro” –abbiamo tre impianti di biogas e nellaBassa Padovana si coltiva ormai quasiesclusivamente per alimentarli. Ben 800ettari di mais prodotti per essere di-

strutti. Uno schiaffo a chi muore di fa-me e un business in cui i profitti sono ga-rantiti solo grazie ai contributi statali ecomunitari».

Drogati dagli incentiviI dubbi di molti ambientalisti sono in ef-fetti confermati dagli esperti. Gli im-pianti di biogas in dieci anni sono prati-camente decuplicati. «E la maggior parte– spiega Giovanni Carrosio, docente diSociologia del territorio all’Università diPadova – hanno una potenza inferiore a999 KWe». Non è un caso: la potenza de-gli impianti è infatti legata a filo doppioal sistema di incentivi in vigore nel no-stro Paese. «Gli impianti di potenza infe-riore al megawatt hanno diritto a riceve-re 28 centesimi per ogni chilowattoraprodotto (circa tre volte quanto si pagaper l’energia prodotta “normalmente”,ndr). Oltre entrerebbero nel sistema deicertificati verdi».

Ma per ottenere gli incentivi non fa al-cuna differenza il materiale utilizzato nel-le centrali. «Un errore madornale – prose-gue Carrosio – perché in questo modo

non si spinge un’impresa agricola a rea-lizzare un impianto per smaltire gli scar-ti agricoli e le deiezioni animali prodot-te nella propria azienda. Si incentivainvece una conversione delle coltivazio-ni. Dall’agricoltura alimentare a quellaenergetica». Un’analisi dei dati confermaquesto sospetto: su 532 impianti a biogasagricolo, almeno 293 impianti utilizzanouna quota di mais al loro interno. Di que-sti, il 12% impiega solo mais. «Per soddisfa-re una potenza di 999 chilowatt elettrici(l’unità di misura con cui si calcola la po-tenza elettrica di un impianto, ndr) – spie-ga Carrosio – occorrono 200 ettari di maisciascuno. Moltiplicato per i 293 impianti,abbiamo 58 mila ettari di mais. In praticaoltre mezzo milione di tonnellate di maiscoltivato in Italia è destinato a esserebruciato a scopi energetici».

Una situazione ben diversa dal siste-ma virtuoso che pure il biogas, se usato be-ne, potrebbe garantire: «L’assetto attuale– concorda il preside della facoltà di Agra-ria della Statale di Milano, Dario Frisio – èdrogato dagli incentivi. Se non ci fossero,degli attuali 500 impianti ne rimarrebbero

Cereali da trasformare in elettricità: i vantaggi per i produttori sonoenormi. Frutto di incentivi moltogenerosi e mal calibrati. Ma sono in aumento le voci critiche contro una tecnologia che, se usata male,può aprire le porte a una frontieradella speculazione

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 49 |

| economiasolidale |

Biogas, attenzionea chiamarla “energia pulita”diEmanuele Isonio

40-55_ecosol_santoro_V104 25/10/12 16.19 Pagina 49

Page 50: Mensile Valori n. 104 2012

al massimo qualche decina. Di certo que-sto è un invito a nozze sia per i proprietaridegli impianti sia per gli agricoltori. Questiultimi possono vendere in blocco tutta laloro produzione di mais, trattenendosi ilpremio unico aziendale concesso dallaPac e guadagnando con il contratto di re-munerazione del biogas». In pratica, sitrasformano in produttori di energia. Dalloro punto di vista, un modo per soprav-vivere alla crisi del settore agricolo.

Ma, a livello di sistema, gli aspettipreoccupanti sono più di uno. Lo spiega

chiaramente Carlo Petrini, fondatore diSlow Food: «In primo luogo, si sottrae ci-bo a uomini e animali per produrre ener-gia. Inoltre, la monocoltura di mais impo-verisce i terreni, aumentando la necessitàdi concimi chimici costosi. Infine, chi pro-duce energia può permettersi di pagareaffitti dei terreni ben più alti, andando adanneggiare gli agricoltori che usano laterra per l’agricoltura alimentare e perl’allevamento».

Metodi alternativiUna soluzione tutto sommato facile daapplicare per fortuna esiste. «Bisogna ri-modulare gli incentivi» spiega Carrosio.«In Germania, ad esempio, più fai picco-lo l’impianto, più sono alti i contributi.In questo modo si scoraggia la costru-zione di strutture troppo grandi. Inol-tre, i contributi vanno legati all’utilizzodi sottoprodotti agricoli, come reflui,deiezioni e scarti agricoli, e non alle ma-terie prime. Infine, bisogna costringerea recuperare l’uso del calore prodottodall’impianto che oggi finisce per buonaparte in atmosfera». In caso contrariouna tecnologia nata per essere pulita ri-schia di trasformarsi nell’ennesimaMecca per gli speculatori. Arrivando aun paradosso: a seconda degli impianti,per seminare, coltivare, raccogliere etrasformare il mais in biogas si può fini-re per consumare più energia di quellache si produce (vedi ). BOX

| 50 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |

| economiasolidale |

Dareste via dieci pannocchie per averne indietro otto? La risposta sembrerebbe lapalissiana. Ma attenzione prima di rispondere no. Perché se poi poteste vendere le ottopannocchie a tre volte il loro valore di mercato, la risposta moltoprobabilmente sarebbe diversa. Questo è più o meno quello che succede con gli impianti di biogas. Perché spesso ci si concentra sui chilowattora prodotti dall’impianto ma non si prende in considerazione quanta energia serve per arrivare a produrli. «In molti casi – denuncia Giovanni Carrosio – il bilancio energetico degli impianti non è positivo, ma questo è un aspetto che poche volte viene evidenziato». Quando si calcola la produzione di energia di un impianto infatti si dovrebbe sottrarre l’energia consumata per coltivare il mais,irrigare il campo, alimentare i trattori per la raccolta e per il trasporto del materiale. Solo così si può avere un’idea esatta

di quale sia l’apporto dell’impianto. Uno studio interessante, in tal senso, lo ha svolto la Provincia di Bolzano, focalizzandol’attenzione su tre dei 31 impianti presenti sul territorio: un piccolo impianto agricolo aziendale, uno di media taglia e un impianto per la trasformazione dei rifiuti solidi urbani. I calcoli sul rendimento elettrico delle tre centrali indicano,rispettivamente, una percentuale del 39, 42 e 37%. «In pratica,il bilancio energetico ci dice che per produrre un kWh se ne consuma circa 0,6» spiega Carrosio. E i tre impianticonsiderati nella ricerca sono da considerarsi “virtuosi” perchénon utilizzano materie prime ma scarti. «Se facessimo un calcolo del bilancio energetico degli impianti da 999 kWealimentati soprattutto da mais e altri cereali, i risultatisarebbero ben peggiori». A quel punto, giustificare i fortiincentivi dei quali godono diventerebbe ancor più faticoso.

QUANTA ENERGIA PER PRODURRE ENERGIA: BOLZANO PROVA A CALCOLARLA

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2000-2011 IL GRANDE BOOM DEGLI IMPIANTI

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FONTE: PICCININI (2011), GSE, CONSORZIO ITALIANO BIOGAS,

REGIONE VENETO, REGIONE LOMBARDIA

Per bloccare la speculazionegli incentivi vanno limitati al solo uso di scarti agricoli

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| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 51 |

| economiasolidale | muoversi con dolcezza |

La differenza, a volte, si nota anchedalle piccole cose. Come l’homepage del sito ufficiale di un ente

pubblico. In quella del comune di Lodi,fra “Bandi, concorsi, aste e avvisi” e “Bi-lancio comunale”, spicca una voce: “Bici-clette e piste ciclabili”. Non è che un pic-colo segnale del ruolo centrale assuntodalla mobilità green nella città lombar-da: non solo sul web.

L’ha riconosciuto la giuria del Klima -energy Award (vedi ), che ha premiatol’impegno dell’amministrazione che pro-segue da sette anni su diversi fronti. Ilprimo, indispensabile, è quello delle pisteciclabili: una rete di circa 39 km. Ma perpedalare e camminare in tranquillità so-no state introdotte anche delle zone conlimite a 30 km/h e da ottobre partirà un’i-nedita “zona 20” nel centro storico. Alcu-ne resistenze, spiega l’assessore all’Am-biente e alla Mobilità Simone Uggetti,«sono state inevitabili, soprattutto quan-do per fare una pista ciclabile si è co-stretti a togliere spazio ai parcheggi. Perquesto cerchiamo di fare un progetto ilpiù possibile partecipato».

Al di là degli spazi servono i servizi. Co-me la ciclostazione in cui si può parcheg-giare al sicuro vicino alla stazione ferro-viaria per poi recarsi a Milano per lavoro.O ancora la ciclofficina, che oltre al par-cheggio custodito offre i servizi di bike

BOX

La sostenibilitàviaggia a pedalidiValentina Neri

Tra mille difficoltà, si moltiplicano le iniziative dei Comuni per stimolarel’uso della bicicletta in città. Le più interessanti sono statepremiate con il Klimaenergy Award

In queste pagine presentiamo le esperienze di Comuni e associazioni che si sonomessi alla prova per una mobilità sostenibile. Esperienze che – si auspica – potrannoservire da esempio, visto che il panorama generale nel nostro Paese è ben diverso. O addirittura «emergenziale». Parola di Alberto Fiorillo, responsabile Aree urbane di Legambiente, che specifica: «Tranne poche eccezioni, alle amministrazioni manca la capacità di mettere mano alla mobilità per renderla a misura del territorio esoprattutto meno pericolosa e stressante per i cittadini». Si tratta di un tema che negliultimi mesi è salito agli onori delle cronache: basti pensare alla campagna #salvaiciclisti,o agli Stati generali della bicicletta di inizio ottobre a Reggio Emilia. O ancora ad Area C(vedi Valori di febbraio 2012), che ha rivoluzionato la mobilità milanese, ma dall’altro latoha scatenato un vespaio di controversie e ricorsi al Tar. Ma nella stragrande maggioranzadei casi, spiega Fiorillo, a cambiare abitudini e a ridurre l’uso dell’auto sono statidirettamente i cittadini. C’è chi sostiene che la crisi abbia dato una mano, così come i forti aumenti della benzina. Ma, a suo parere, «la crisi non aiuta mai» e le soluzioniecologiche come il car sharing e i mezzi pubblici paradossalmente si sono diffusesoprattutto tra le persone benestanti che di norma abitano in zone più servite come il centro città. Per chi vive nell’hinterland, invece, abbandonare l’auto spesso non è un’opzione praticabile: le alternative mancano e la crisi non fa che complicare le cose.Le amministrazioni non hanno risorse da investire nei trasporti oppure, prosegue Fiorillo,«continuano a destinare centinaia di milioni di euro al trasporto su gomma e intantotagliano sulle ferrovie regionali o sui mezzi pubblici urbani». Ma gli esempi non finisconoqui: «Io non contesto l’alta velocità fra Roma e Milano – afferma – ma nei giorni feriali il treno che le collega trasporta circa 25 mila passeggeri al giorno, che sono molti menodi quelli che viaggiano sulla linea 8 di Roma o in una metropolitana di Milano. Ma i costidella Tav sono incommensurabilmente più elevati. La crisi ha offerto delle opportunità,ma nessuno se le è giocate: bisognerebbe abbandonare la logica della Torino-Lione e potenziare treni e metro leggere per i pendolari».

FIORILLO: «SERVE UNA MOBILITÀ PIÙ DEMOCRATICA»

PREMIATI DALL’AMBIENTELodi e Caronno Pertusella sono fra i vincitori dei Klimaenergy Award, assegnati a settembre a Bolzano in occasione delle fiere Klimaenergy e Klimamobility, dedicate rispettivamenteall’innovazione nel campo delle rinnovabili e alla mobilità sostenibile. Fra gli altri premiatifigurano due comuni piemontesi, Buttigliera Alta e Bra, che hanno intrapreso percorsi miratiall’efficienza energetica. Ad assicurarsi un riconoscimento sono stati anche Lasa in provinciadi Bolzano, che si è impegnato a ridurre le emissioni di CO2, e Padova, che ha puntato sulsolare, costituendo gruppi d’acquisto per incentivare le installazioni di piccoli impianti domestici.

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sharing, riparazioni e vendita di biciclettee ricambi. Nelle aule scolastiche non man-cano le ore di educazione ambientale, conun’impronta specifica sulla mobilità. Acoordinare le iniziative è l’ufficio per laMobilità ciclistica promosso dal Comune,che lavora fianco a fianco con Ciclobby,un’associazione affiliata alla Fiab (la Fede-razione italiana amici della bicicletta).

Proprio dalle scuole è partito CaronnoPertusella, un comune di poco più di 10mila abitanti in provincia di Varese, che,per diffondere la cultura della mobilitàsostenibile, ha scelto gli spostamenti quo-tidiani per eccellenza: quelli degli studen-ti. È questo il fulcro del progetto “Tempoa ruota libera”, finanziato dalla regioneLombardia nell’ambito del Piano territo-riale degli orari, che sostiene le iniziativeper il coordinamento e la pianificazionedei servizi urbani. Per circa un anno sonostati organizzati laboratori di educazionealla mobilità sostenibile e consapevole,mirati ai ragazzi delle scuole elementarie medie e ai loro genitori. Un percorso – sottolinea Viviana Biscaldi, assessoreai Servizi alla persona, alla famiglia e al-la solidarietà sociale – che ha coinvoltogli insegnanti e due consulenti del Co-mune, ma anche Lura Ambiente, la so-cietà che gestisce le risorse idriche nel ter-ritorio, e soggetti del Terzo Settore comel’Auser (associazione di volontariato atti-va a livello nazionale che lavora soprat-tutto con gli anziani).

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| economiasolidale |

Chi non ha mai fatto una pedalata su una Graziella? A Bergamo l’amarcord diventauna festa a luglio con le Grazielliadi, un evento a metà fra la competizione e la goliardia.Si tratta di una delle iniziative promosse da Pedalopolis, un’associazione di “temerariciclisti quotidiani” che dedicano tempo ed energie alla promozione della bici, vistacome mezzo privilegiato per riappropriarsi della città. Nel 2008 è stata aperta la Ciclostazione 42 alla stazione ferroviaria, che si occupa di riparazioni, servizio di custodia, vendita di accessori e pezzi di ricambio, recupero e restauro. Nel 2009 è arrivata anche la Ciclostazione dei Colli a Ponteranica. «I negozi – spiegaDennis Carrara, uno dei promotori – di norma preferiscono trattare bici di alto livello.Noi invece accogliamo anche i ragazzi, gli anziani, le persone che trovano repertivecchissimi in cantina. A Bergamo non mancano i ciclisti della domenica né chifornisce servizi per loro: quello che manca sono persone che considerino la bicicome uno strumento quotidiano e davvero alternativo all’auto». L’obiettivodell’associazione, insomma, è quello di sensibilizzare ad ampio spettro e farepressione affinché si vada incontro alle esigenze di chi vuole lasciare a casa l’auto,anche in una città come Bergamo che ha una conformazione urbanistica “difficile” in cui grosse arterie a tre corsie si dirigono verso il centro. Ma le cose possonocambiare: per cominciare, ad esempio, basterebbe una rete di parcheggi piùstrutturata. «Noi – conclude Carrara – non premiamo tanto per le piste ciclabili,quanto per le strade ciclabili». www.pedalopolis.org

PEDALOPOLIS, BERGAMO SI RISCOPRE A DUE RUOTE

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14,98

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14,68

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8,58

LE PISTE CICLABILI NELLE CITTÀ ITALIANE

FONTE: ECOSISTEMA URBANO 2011 - XVIII RAPPORTO SULLA QUALITÀ AMBIENTALE

DEI COMUNI CAPOLUOGO DI PROVINCIA. DATI RIFERITI AL 2010

[metri equivalenti di piste ciclabili ogni 100 abitanti]

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24,93 24,5722,65 22,40 22,24 21,11

LE CITTÀ PIÙ AMICHE DELLA BICICLETTA

FONTE: LEGAMBIENTE, L’A-BICI, SETTEMBRE 2010

La top ten delle città italiane per indice di ciclabilità (metri ciclabili per abitantecalcolati tenendo conto di: lunghezza e tipologia piste ciclabili, estensione areepedonali e zone30, interventi di traffic calming)

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Page 53: Mensile Valori n. 104 2012

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 53 |

| valorifiscali |

politica (il Fondo Monetario internazio-nale primo fra tutti) lo fa perché inun’Unione monetaria la variazione del-le aliquote Iva rappresenta il migliorsuccedaneo possibile della svalutazio-ne monetaria, se accompagnata da unariduzione del cuneo fiscale sul lavoro.Per la maggior parte dei beni, infatti, l’a-liquota nazionale si applica alle impor-tazioni, mentre, come noto, le esporta-zioni sono non imponibili. Se gli sgravisul costo del lavoro si trasferiscono suiprezzi delle imprese nazionali, la mano-vra determina una riduzione dei prezzirelativi della produzione domestica eun conseguente guadagno di competi-tività. Secondo i dati Eurostat nella Uel’aliquota Iva ordinaria è mediamenteaumentata nel corso del triennio 2009-2011 di 2,5 punti percentuali.

Tuttavia questo tipo di manovrapresenta dei seri problemi. In primoluogo va considerato che la base impo-nibile dell’Iva è costituita per il 70% daiconsumi delle famiglie italiane. Ovvia-mente la struttura dei consumi delle fa-miglie povere è diversa da quella dellefamiglie ricche. Se si volesse ridurre ladiseguaglianza, le aliquote dell’Iva do-vrebbero basarsi sulle caratteristichedistributive dei consumi: beni e serviziconsumati maggiormente dai più pove-ri dovrebbero essere tassati con aliquo-

te inferiori rispetto ai “beni di lusso”, eviceversa. Ma tale differenziazione èfortemente limitata dal quadro istitu-zionale europeo, in cui gli Stati possonomuoversi entro limiti angusti e nonpossono creare nuove aliquote. L’au-mento dell’aliquota Iva ordinaria, rea-lizzata recentemente in Italia con ilpassaggio dal 20 al 21% e in altri Paesi, fi-nisce per colpire non solo i cosiddettibeni di lusso, ma, soprattutto, i consumiordinari delle famiglie italiane.

C’è poi un secondo problema. L’au-mento dell’aliquota Iva può far aumen-tare l’evasione, perché incrementa la

convenienza di venditore e compratorea occultare la transazione. Secondo al-cuni osservatori questo fenomeno si ègià pesantemente manifestato negli ul-timi mesi del 2011 e nei primi mesi del2012, ed è esattamente questa la causadella riduzione del gettito Iva di pro-porzioni ben maggiori rispetto al calodei consumi.

Infine l’aumento dell’Iva corrispon-de a un aumento dei prezzi e, quindi, haun effetto depressivo, sebbene questoelemento vada combinato con la defla-zione osservata in alcuni settori.

Fino a pochi mesi fa era previsto unulteriore inasprimento dell’aliquota Ivaordinaria, che doveva passare dal 21% al23%, e di quella ridotta per cui era previ-sto un incremento dal 10 al 12%. A quan-to sembra dalla Legge di Stabilità pre-sentata dal governo, questi aumentisaranno (almeno parzialmente) evitatigrazie ai tagli di spesa. Si tratta, in lineadi principio, di una buona notizia. Gliaspetti negativi sul piano dell’equità edell’evasione sono probabilmente su-periori al potenziale competitivo dellamanovra. Tuttavia l’equità di un tagliodi spesa non è per definizione maggiorerispetto a quella di un aumento di im-poste: va verificato quali spese vengo-no tagliate e a danno di chi. Su questoaspetto torneremo prossimamente.

I dubbi sulla politica fiscaleL’Iva funesta

diAlessandro Santoro

Da qualche anno il dibattito sulla politica fiscale è caratterizzato dall’ideache sia opportuno uno spostamento dalle imposte sui redditi a quellesui consumi (“dalle persone alle cose”). Questo sembra effettivamen-

te essere stato uno dei criteri guida delle politiche fiscali adottate sia dal go-verno Berlusconi sia dal governo Monti. Solitamente chi sostiene questo tipo di

Per ridurre le diseguaglianze,servirebbero aliquote piùalte solo per i beni di lusso

40-55_ecosol_santoro_V104 25/10/12 16.19 Pagina 53

Page 54: Mensile Valori n. 104 2012

Lo sporco business delle cavie umane > 59Libia: colonialismo e “guerra umanitaria” > 61Brasile di terra, business e pallottole > 63

| 54 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |

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Chi finanzia il nuovopresidente?

Chi finanzia ilpresidente?

Paperini ePaperoni

Volontari e gadgets, un binomio inscindibile delle campagne presidenziali Usa

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 55 |

Èstata una partita giocata a colpidi milioni di dollari quella tra Ba-rack Obama e lo sfidante repub-

blicano Mitt Romney nelle presidenzialiamericane. Quando Valori andrà in edi-cola i lettori sapranno chi, tra i due con-tendenti, si è aggiudicato l’ingresso allaCasa Bianca. Ad oggi (22 ottobre), la com-petizione resta ancora aperta con l’ulti-mo sondaggio Nbc-Wall Street Journalche indica Obama e Romney pari al 47%dei consensi. Pur nell’incertezza dell’esi-to finale, una cosa tuttavia appare sicura:mai, nella storia degli Stati Uniti, si eranovisti così tanti soldi affluire nelle taschedi due candidati in corsa alla Casa Bian-ca. Se le previsioni dovessero rivelarsicorrette, Obama, finora vero vincitorenel fundraising, chiuderà la campagnasuperando il miliardo di dollari di dona-zioni, ben oltre le più rosee aspettative.Due anni fa i responsabili della sua cam-pagna elettorale avevano affermato dipuntare a 750 milioni di dollari, una ci-fra di fatto ampiamente superata già afine agosto. Ma chi sono stati i grandi fi-nanziatori della campagna elettoralepiù ricca nella storia degli Stati Uniti?

Una pioggia di fondi sulla campagnaelettorale per le presidenzialiamericane. Barack Obama potrebbesuperare il miliardo di dollari. Per luiil sostegno dei singoli cittadini, delleuniversità, dei sindacati e dei vip. MittRomney invece raccoglie fondi dairicconi e dai big della finanza

diMariangela Tessa

| elezioni Usa |

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Page 56: Mensile Valori n. 104 2012

| 56 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |

| internazionale |

Da un lato i Paperoni d’America e le banche…Uno sguardo veloce ai dati pubblicati dalcentro studi indipendente Center for Re-sponsive Politics sul sito OpenSecretconferma quella che, sin dalle prime bat-tute di questa tornata elettorale, era ap-

parsa come una strada già segnata: se imicro-finanziamenti si sono rivelati, co-me nelle precedenti elezioni, la vera gal-lina d’oro di Obama, la fortuna di Rom-ney è arrivata dai SuperPac. È, infatti,tramite Restore our future (questo il no-me del principale SuperPac che sostiene

Romney) che l’ex governatore del Mas-sachusetts ha raccolto circa 144,7 milionidi dollari provenienti per lo più dalle ta-sche dei paperoni d’America. Una cifrache fa impallidire i 44,3 milioni accumu-lati da Priorities Usa, il cartello elettora-le a sostegno di Obama.

Mentre in Italia infuriano gli scandali e le polemiche sul finanziamentopubblico ai partiti, negli Stati Uniti solo una piccola fetta dei fondi per la campagna elettorale arriva dallo Stato. Gran parte dei milioni di dollariaffluiti nelle tasche dei due candidati e dei rispettivi partiti arrivano infatti da donazioni private, dai Pac (Political action committee) e dai SuperPac.Vediamo come funziona. Per ogni cittadino americano viene fissato un tetto di contributo pari a 2.500 dollari per le primarie. Una volta che le Conventionhanno designato i candidati alle elezioni si possono donare altri 2.500 dollari.Allo stesso tempo, ogni elettore può finanziare i comitati elettorali del partitoper una cifra non superiore ai 30.800 dollari l’anno. Uno dei punti di forza delle due campagne elettorali di Obama (2008 e 2012) è stato quello di poter contare su un diffuso numero di micro finanziamenti (le donazioni partono da 3 dollari). Al contrario, l’ex governatore del Massachusetts Mitt Romney ha largamente beneficiato di una decisionepresa dalla Corte Suprema americana nel 2010 che ha tolto i freni ai finanziamenti della campagna elettorale per il Congresso o la Casa Bianca,spianando la strada alla nascita dei SuperPac. Si tratta in pratica, di cartellielettorali in cui, da due anni a questa parte, finiscono montagne di soldi per lo più provenienti dai magnati dell’industria e della finanza a stelle e strisce. Si differenziano dai tradizionali Pac, in quanto questi ultimi nonpossono accettare donazioni da aziende e hanno un limite di 5 mila dollari perquelle provenienti da individui singoli.

REGOLE PER I FINANZIAMENTI

I finanziamenti riportati nella tabella non arrivano dagli enti in sé, ma rappresentano l’ammontare dellesingole donazioni effettuate dai singoli dipendenti e dei familiari delle istituzioni. FONTE: DATI OPENSECRET.COM RIELABORATI DA FEDERAL ELECTION COMMISSION (AGGIORNATI ALL’1 OTTOBRE 2012)

I TOP DONORS DI OBAMA

1 Università della California $ 706,931

2 Microsoft Corp $ 544,445

3 Google Inc $ 526,009

4 Università di Harvard $ 433,860

5 Governo Usa $ 389,100

I TOP DONORS DI MITT ROMNEY

1 Goldman Sachs $ 891,140

2 Bank of America $ 668,139

3 JPMorgan Chase & Co $ 663,219

4 Morgan Stanley $ 649,847

5 Credit Suisse Group $ 554,066

HAWAII

R $ 2,708,909D $ 5,212,524

NEVADA

R $ 13,368,443D $ 7,041,601

ALASKA

R $ 1,313,993D $ 1,078,091

CALIFORNIA

R $ 108,643,591D $ 145,214,728

OREGON

R $ 6,523,078D $ 7,581,217

WASHINGTON

R $ 14,419,396D $ 21,240,190

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FINANZIATORI DEMOCRATICI E REPUBBLICANI DEGLI USA

54-65_intern_consV104 25/10/12 16.22 Pagina 56

Page 57: Mensile Valori n. 104 2012

Tra i donatori più generosi del can-didato mormone spicca il re dei Casinò,Sheldon Adelson che, insieme alla mo-glie Miriam, ha staccato un assegno da40 milioni di dollari. Tra i top donorsspiccano tra gli altri William Bill Koch,fratello degli ancora più ricchi David e

Charles, tra i maggiori sostenitori delmovimento del Tea Party. E ancora BobPerry, imprenditore edile texano e JimDavis, proprietario del marchio di scar-pe New Balance. La lista, decisamentelunga, mette insieme un nutrito club dimiliardari che per diverse ragioni e in-

teressi hanno deciso di scommetteresul candidato repubblicano.

Al di fuori dei SuperPac, Romney hagoduto del supporto incondizionato dal-la lobby di Wall Street. È sufficienteguardare la classifica dei cinque top do-nors per rendersi conto che, tra le prota-goniste indiscusse della corsa del candi-dato repubblicano, è stata la comunitàdelle banche statunitensi. Da sempre tie-pide nei confronti della riforma di WallStreet e nella speranza di ottenere leggipiù permissive, Goldman Sachs & co.hanno staccato assegni a sei zeri pur diliberarsi del fautore della tanto odiatalegge Dodd-Frank.

…dall’altro la gente comune e i divi di HollywoodSe Wall Street ha giocato la parte delleone nella corsa di Romney, come di-cevamo, la fetta più grossa dei fondi diObama è arrivata dalle piccole dona-zioni (in pratica quelle sotto i 200 dol-lari): 162 milioni dollari contro gli appe-na 46 milioni dello sfidante. Non menosignificativo è stato il sostegno arriva-to dall’industria hi-tech. Ripetendo uncopione già visto nel 2008, Obama hafatto incetta di donazioni arrivate daidipendenti delle maggiori industrie hi-tech del paese (Microsoft e Google intesta). Altrettanto significativo è statoil sostegno della comunità accademica(Università della California e Harvardin testa). E, per finire, quello dei dipen-denti del governo federale, chiaramen-te interessati a conservare il loro postodi lavoro.

Meno ricco rispetto a quello di Rom-ney, il principale SuperPac di Obama,Priorities Usa, sembra secondo le stimedestinato a rivelarsi decisivo in questeultime settimane. La discesa in campo diGeorge Soros che, pochi giorni fa, ha ver-sato un milione di dollari al cartello delPresidente in carica potrebbe, secondola stampa americana, spingere altri ric-chi sostenitori del partito democratico a effettuare donazioni sostanziose inqueste ultime battute della campagnaelettorale che sarà ricordata per esserestata finora la più ricca nella storia degliStati Uniti.

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 57 |

| internazionale |

LOUISIANA

R $ 16,226,997D $ 3,638,405

SOUTH DAKOTA

R $ 3,343,671D $ 787,095

NORTH DAKOTA

R $ 2,718,269D $ 906,517

NEBRASKA

R $ 6,325,818D $ 2,468,138

WYOMING

R $ 4,273,674D $ 1,025,011

MONTANA

R $ 3,462,300D $ 2,742,284

MISSOURI

R $ 20,816,456D $ 10,627,302

OKLAHOMA

R $ 13,861,977D $ 3,195,242

ARKANSAS

R $ 7,195,280D $ 2,999,817

COLORADO

R $ 20,548,315D $ 13,852,927

SOUTH CAROLINA

R $ 9,106,053D $ 3,575,267

NORTH CAROLINA

R $ 18,448,533D $ 10,797,352

NEW JERSEY

R $ 25,642,899D $ 24,443,198

MISSISSIPPI

R $ 6,454,465D $ 837,946

ALABAMA

R $ 11,812,774D $ 2,856,214

GEORGIA

R $ 26,582,443D $ 11,877,472

FLORIDA

R $ 86,701,085D $ 43,212,505

ARIZONA

R $ 21,469,361D $ 9,624,778

UTAH

R $ 12,908,181D $ 2,418,667

IDAHO

R $ 3,886,705D $ 713,184

VIRGINIA

R $ 73,840,457D $ 43,761,481

WEST VIRGINIA

R $ 4,390,285D $ 1,905,335

VERMONT

R $ 531,547D $ 3,640,210

DISTRICTOF COLUMBIA

R $ 85,438,720D $ 110,900,498

MARYLAND

R $ 17,832,247D $ 35,664,069

DELAWARE

R $ 2,192,253D $ 2,852,613

MASSACHUSETTS

R $ 34,028,054D $ 42,393,549

NEW HAMPSHIRE

R $ 3,976,106D $ 3,445,981

CONNECTICUT

R $ 25,077,353D $ 19,981,363

MAINE

R $ 1,959,563D $ 3,759,447

NEW YORK

R $ 75,151,208D $ 107,365,803

MICHIGAN

R $ 31,348,418D $ 17,087,576

PENNSYLVANIA

R $ 36,200,564D $ 27,331,910

OHIO

R $ 36,742,707D $ 15,031,459

INDIANA

R $ 17,252,096D $ 5,604,747

KENTUCKY

R $ 9,241,305D $ 6,713,056

TEXAS

R $ 124,150,262D $ 42,587,315

KANSAS

R $ 8,003,70D $ 2,673,861

IOWA

R $ 6,316,149D $ 4,132,770

MINNESOTA

R $ 14,210,102D $ 13,322,535

TENNESSEE

R $ 25,641,888D $ 6,049,115

ILLINOIS

R $ 46,957,885D $ 44,447,402

WISCONSIN

R $ 12,166,827D $ 19,750,469

NEW MEXICO

R $ 5,413,023D $ 6,529,584

FON

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Page 58: Mensile Valori n. 104 2012

| 58 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |

| internazionale |

Il 70% degli americani partecipa auna funzione religiosa la domenica(in Europa e Italia il 18-20%) e il 91%

ritiene che Dio abbia un ruolo importan-te nella propria vita (da noi il 50%). Oggila religione si fa tema caldo negli Usa,con il repubblicano Mitt Romney, fedele

mormone, che ha sfidato Barack Obamaalle presidenziali. Anche perché, ricordaLuigi Marco Bassani, professore di Sto-ria delle dottrine politiche alla Statale diMilano specializzato sugli Usa, «Obamaha portato a una diminuzione dell’im-portanza della religione nella politica e

di questo si avvantaggia ora il suo avver-sario».

La Chiesa di Gesù Cristo e dei Santi de-gli ultimi giorni – nome ufficiale dei Mor-moni – nasce ad opera di Joseph Smithnel 1830. Col successore Brigham Young, iMormoni si trasferiscono nello Utah fon-dando Salt Lake City, base della loro dif-fusione (quasi 15 milioni nel mondo, oltre6 milioni negli Usa, circa 25 mila in Italia).

Alcuni precetti di questa fede desta-no qualche perplessità, se si pensa chepotrebbero influenzare il possibile presi-dente degli Stati Uniti. Recentemente ilNew York Times ha lanciato un sospettodi razzismo: ricordando che il sacerdoziofu aperto ai membri di colore della Chie-sa dei Mormoni solo nel 1978. Un fattoreche si aggiunge agli atteggiamenti tenu-ti da alcune frange fondamentaliste, no-nostante l’egualitarismo predicato dalSmith. L’etica familiare è al centro dellasocietà dei Mormoni: all’uomo meritevo-le onere e onore del sacerdozio, per ladonna una certa immagine di angelo delfocolare. E poi il rifiuto di alcol, caffeina,tabacco e droga; l’invito alla sobrietà con-tro il consumismo sfrenato; la riprova-zione per la contrazione di debiti che nonsiano per la propria casa. Ma i precetti sisono adattati all’evolversi dei tempi. Lapoligamia, sostenuta per fini dichiarati diripopolamento bianco delle terre ameri-cane dell’Ovest, ha subito una virata cheevitò il conflitto con le autorità. E in poli-tica? I Mormoni predicano assoluta neu-tralità. www.media-mormoni.it

Se un mormonesale alla Casa BiancadiCorrado Fontana

Mitt Romney in corsa per la presidenza americana è un mormone. Mentre la sua Chiesa predica neutralità politica,alcuni temono che la sua fede possa condizionarne la politica sociale

Circa 40 miliardi di dollari: questo il valore complessivo della Chiesa di GesùCristo e dei Santi degli ultimi giorni secondo un articolo di Caroline Winter uscitoper Bloomberg Businessweek. La giornalista la assimila a una multinazionale al cuivertice è la Società del presidente della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimigiorni, che fa capo a un solo individuo, oggi Thomas Spencer Monson, sedicesimopresidente della Chiesa, e controlla, tramite holdings, diverse attività. Ad esempioun parco divertimenti a tema polinesiano a Oahu, nelle Hawaii (23 milioni di dollaril’anno in biglietti d’ingresso e 36 milioni di dollari esentasse in donazioni). Propriol’esenzione fiscale parrebbe essere – scrive la Winter – un affare assai lucroso per i Mormoni: niente tasse, infatti, sulle donazioni dei fedeli, che secondo un’inchiestadi Time sarebbero pari a 5 miliardi di dollari l’anno. E niente tasse anche sulleazioni: attraverso la società Bain Capital proprio Mitt Romney fece arrivare allaChiesa milioni di azioni di Burger King e Domino’s Pizza, rivendute senza pagarenulla sui guadagni ottenuti. Ma la Chiesa possiede anche il fondo d’investimentoEnsign Peak Advisors, la società di gestione immobiliare Utah PropertyManagement Associates e la Deseret Management Corporation, holding chepartecipa in giornali, stazioni radio e varie attività lucrative.

LA FINANZA RIVELATA

21.000 fedeli riempiono il Centro Conferenze di Salt Lake City durante la Conferenza Generale Tempio Mormone. Roma, Italia

54-65_intern_consV104 25/10/12 16.22 Pagina 58

Page 59: Mensile Valori n. 104 2012

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 59 |

| internazionale | test farmaceutici|

«Il dottore ci disse che bastavafirmare un documento per ri-cevere le cure di cui aveva biso-

gno mio padre, e che in questo modo sa-rebbe guarito completamente. Ma papànon sapeva leggere molto bene, è andato ascuola solo fino a 9 anni». A parlare è Pra-deep Gehlot, ragazzo indiano figlio di Kri-shna, 61enne malato cronico di asma. Dal2009 aveva accettato la proposta di unopneumologo di un ospedale pubblico di se-guire un “trattamento gratuito”. In realtàera stato inserito in uno delle decine di mi-gliaia di test alle quali le multinazionali delfarmaco sottopongono cittadini indiani.Era diventato una cavia umana. Con lacomplicità della legge locale.

Nello specifico – ha rivelato di recenteun’inchiesta del mensile francese Alter-natives Economiques – la “cura” consiste-va nella somministrazione di un nuovobroncodilatatore, l’Olodarerol, sviluppa-to dal secondo più importante laborato-rio tedesco: Boehringer Ingelheim. Krish-na è morto a gennaio, proprio poco dopoaver saputo che il medicinale che avevaassunto per un anno non era mai statoapprovato in India.

India: il Paese dei testStorie come questa, nell’immenso Paesedell’Asia meridionale, sono sempre piùfrequenti. Il Washington Postha raccon-tato ad esempio la vicenda dell’ottanten-

ne Shrad Geete. Due mesi dopo aver per-so la moglie, malata di Alzheimer, scoprìche era stata inserita in un trattamentodi prova: «Il medico ci disse che i farma-ci sarebbero stati concessi gratuitamen-te, e che si trattava di medicinali che sa-rebbero stati lanciati a breve da unacompagnia straniera. Non spiegò che sitrattava di un test. Se lo avessi saputo,pensate che avrei corso il rischio?». L’In-dia è diventata la meta privilegiata deicolossi globali del farmaco, che preferi-scono “delocalizzare” la morte, dando vi-ta a una nuova forma di vero e propriocolonialismo, nata nel 2005, quando fuintrodotta una riforma che semplificavafortemente la conduzione di trattamen-ti di prova nel Paese (vedi ).

Da allora e fino al 2010, solamente a In-dore, città dove viveva Krishna Gehlot,sono stati realizzati 3.300 test clinici, perconto di 30 compagnie (tra le quali 22 mul-

BOX

Lo sporco business delle cavie umanediAndrea Barolini

L’industria farmaceutica delocalizza i test sui farmaci, per risparmiare costi e tempo. Sfruttando anche normative assurde, come quella che ha fattonascere in India un fenomeno molto simile a una nuova forma di colonialismo

In India prima del 2005 i test dovevano essere effettuatirispettando tre fasi. La prima prevedeva un controllo sullatolleranza ai medicinali; la seconda sull’efficacia. La terza,la più onerosa in termini economici, era costituita da unacomparazione tra l’efficacia del farmaco rispetto ad alcuniplacebo su una popolazione compresa tra mille e tremilapazienti. Una riforma della legge ha consentito però allemultinazionali di passare direttamente alla fase tre, a patto che le prime due siano state approvate in un altroPaese. Una manna per le case farmaceutiche, dalmomento che per trovare in Europa o negli Usa malatidisposti a sottoporsi ai test occorre molto più tempo (e denaro: i pazienti devono essere rimborsati con migliaiadi euro a testa all’anno). In India basta qualche settimana,e (neppure sempre) qualche decina di euro.

UN TAPPETO ROSSO INDIANO PER BIG PHARMA

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20122011201020092008200720062005

94,5 123,5 161,2 210

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360,0

468,0

608,4

EVOLUZIONE DEL MERCATO DEI TEST CLINICI ESTERNALIZZATI IN INDIA [in milioni di dollari]

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| 60 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |

| internazionale |

tinazionali). Un rapporto delle autoritàlocali ha spiegato che la metà di tali trat-tamenti è stata effettuata senza un as-senso formale da parte dei malati. Di que-sti, 81 persone – tra cui anche bambini eportatori di handicap – hanno subito gra-vi effetti collaterali; 33 sono morti. E nes-suno, ad oggi, ha ricevuto un indennizzo.

Una situazione che, allargata all’Indiaintera, ha assunto i contorni di un mas-sacro. Tanto da costringere, nell’agostoscorso, il ministro della Sanità di NuovaDelhi, Ghulam Nabi Azad, a sciorinarne leagghiaccianti statistiche: solo nei primisei mesi di quest’anno sono 211 i decessiprovocati dai test. Nel 2011 i casi sono sta-ti 438; 668 l’anno precedente. Le vittimevengono gelidamente classificate con lasigla Sae: Serious Adverse Events (lette-ralmente, gravi eventi avversi). Come sea ucciderle fosse stato un terremoto oun’inondazione, e non una scelta dram-maticamente lucida, che chiama in causaaziende, governo indiano e regolatori, lo-cali e internazionali.

Azad ha spiegato che sono state ap-portate modifiche alla legge: ora ogni testè registrato dal Consiglio indiano per laRicerca Medica e alle case farmaceuticheè imposto l’obbligo di fornire cure ai ma-lati e rimborsi alle famiglie dei deceduti.

Guadagni per le multinazionaliNel frattempo, però, la quota di cavieumane indiane, sottoposte attualmentea test, è pari a oltre 200 mila persone. Unmercato da 500 milioni di euro, in cresci-

ta del 30% ogni anno. E solo alle famigliedi 22 vittime sono arrivati risarcimentidalle compagnie di Usa ed Europa (a ci-fre in ogni caso indecenti, comprese tra 2e 20 mila dollari).

Ma l’India non è l’unica meta del busi-ness delle cavie umane. Uno studio rea-lizzato dal Centro olandese per la Ricercasulle Multinazionali (Somo) ha rivelatoche il 37% dei pazienti sottoposti a testclinici su nuovi farmaci (sottomessi al-l’approvazione delle autorità europee) ri-siede in Europa dell’Est, Russia, AmericaLatina e Cina (oltre alla stessa India). Per-centuale che, per le compagnie degli Sta-ti Uniti, sale al 60%.

Nel sottolineare come sia fondamen-tale stabilire regole ferree per i test e co-

me sia complesso il problema, il Somo haricordato i casi dell’Abilify e del Sero-quel, sviluppati da Bristol-Myers Squibbe da AstraZeneca. Si tratta di anti-schi-zofrenici testati in Sudamerica, Asia eAfrica tra il 2003 e il 2005, attraverso lasomministrazione di alcune sostanzeplacebo a una parte dei malati. Praticache, però, proprio per via dei gravi rischipsicologici che possono insorgere neipazienti schizofrenici, è stata vietata inEuropa. Così le multinazionali possonorisparmiare tempo, denaro e agire nel-l’ombra. Senza “effetti collaterali”: no-nostante il modo in cui vennero effet-tuati i test, l’Abilify e il Seroquel sonostati approvati e oggi sono regolarmen-te in commercio.

Un medicinale su due tra quelli distribuiti in Francia sarebbe inutile se nondannoso. A rivelarlo è un libro pubblicato da un medico specialista, PhilippeEven (direttore dell’Istituto Necker), insieme a un parlamentare transalpino. E, hanno specificato i due, «non si tratta di un libro di opinioni, bensì di un testoinformativo, frutto dell’analisi di migliaia e migliaia di pubblicazioni». Diventato un best seller in poche settimane, il libro indica un elenco di 4 milafarmaci giudicati inutili: in particolare nel mirino ci sono numerosi medicinalicontro il colesterolo, fortemente diffusi in Francia (li assumono tra i 3 e i 5milioni di persone) e capaci di generare un giro d’affari da 2 miliardi di euroall’anno. Per Even ciò è sufficiente per definire quella farmaceutica «la piùlucrativa, la più cinica e la meno etica di tutte le industrie». Il medico sottolinea inoltre come la maggior parte dei farmaci inutili siarimborsata dal servizio sanitario pubblico, il che porta alla conclusione che perrisolvere il problema dei finanziamenti alla sanità, sarebbe sufficiente eliminaredal commercio i medicinali non necessari. A.Bar.

FRANCIA, UNO STUDIO GIUDICA INUTILE IL 50% DEI MEDICINALI

L’industria farmaceutica globale, nel suo complesso, ha ricevuto negli ultimi tre anni multe per illeciti di variogenere pari a 11 miliardi di dollari. Complessivamente, hannospiegato recentemente due ricerche pubblicate sul NewEngland Journal of Medicine, 26 compagnie – tra le qualifigurano otto delle prime dieci a livello mondiale – si sonomacchiate di comportamenti giudicati “criminali”. La sanzione più onerosa – tre miliardi di dollari – è statacomminata al colosso inglese GlaxoSmith-Kline nelloscorso mese di luglio; Pfizer ha raggiunto i 2,3 miliardi,Novartis i 420 milioni, Abbott Laboratories gli 1,5 miliardi.Tra gli illeciti figura l’aver nascosto dati utili per garantirela sicurezza dei malati, o la promozione

di farmaci al di là di ciò che è consentito dalle licenze.Abbott, ad esempio, ha sostenuto un farmaco, il Depakote, senza che esistessero adeguate prove della sua efficacia.Le cifre, però, non devono ingannare: le multe difficilmentesaranno in grado di convincere la lobby farmaceutica a modificare le proprie “abitudini”. Per Gsk, ad esempio, le sanzioni non rappresentano che il 10,8% dei propri ricavi. Inoltre, ha spiegato al quotidiano britannico The Independent Kevin Outterson, dell’Università di Boston,«nessun dirigente è stato mai giudicato responsabile a livello individuale. Per i colossi del settore si tratta solo di rinunciare a una piccola quota dei loro guadagni». A.Bar.

ALLE COMPAGNIE MULTE PER 11 MILIARDI DI DOLLARI

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Page 61: Mensile Valori n. 104 2012

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 61 |

| internazionale | osservatorio medio oriente/Libia |

Mentre divampavano i disordiniin Algeria, Tunisia ed Egitto du-rante lo scorso anno, molti os-

servatori erano pronti a giurare che il“contagio” non sarebbe arrivato alla Li-bia: largo il consenso popolare a Ghedda-fi, ben redistribuiti i proventi del petrolionella società, solido l’appoggio dell’eserci-to al colonnello, lui stesso riabilitato dal-la comunità internazionale dopo gli annidell’embargo perché considerato unoStato canaglia. Eppure il 2011 non si eraancora concluso quando il 20 ottobreMuammar al-Gheddafi veniva ucciso neipressi della sua città natale, Sirte, e le im-magini del suo corpo denudato e sevizia-to facevano il giro del mondo, impietosa-mente pubblicate da tutti i media.

Cosa ha reso possibile il precipitare co-sì rapido della situazione e il ribaltamentodell’immagine mediatica di Gheddafi, pas-sato in pochi mesi da alleato strategicodell’Italia nel respingimento dei clandesti-ni, da partner commerciale di rilievo per laFrancia, a “massacratore della sua gente”?

Finanziatore di SarkozySono del dicembre 2007 le fotografie diGheddafi a Parigi, ricevuto dal neoeletto

presidente Sarkozy. A 34 anni di distanzadal suo ultimo viaggio in Francia, al co-lonnello vengono riservati gli onori uffi-ciali e cinque giorni di firme di trattaticommerciali, di incontri con gli intellet-tuali, una visita all’Unesco e anche unabattuta di caccia. Eventi che hanno se-gnato ufficialmente la fine del periododelle ostilità e l’inizio di reciproci profit-tevoli affari: per un totale stimato di die-ci miliardi di euro, in quei giorni vienesottoscritto un accordo di cooperazionenel settore dell’energia nucleare civile,che aprirebbe la strada alla fornitura diuno o più reattori francesi da destinarealla desalinizzazione dell’acqua e la colla-borazione nelle attività di prospezione esfruttamento dei giacimenti di uranio.

In quei giorni Tripoli firma ancheun memorandum di cooperazione, inbase al quale si impegna «a negoziatiesclusivi con la Francia per l’acquistodi equipaggiamento» militare, e mani-festa interesse per 14 caccia Rafale, 35elicotteri da combattimento di fabbri-cazione francese, equipaggiamento mi-litare per altri 5,4 milioni di euro e 21 ae-rei di linea della Airbus.

Dietro la sfavillante accoglienza diSarkozy a Gheddafi il sito francese d’in -formazione Mediapart afferma, con do-cumenti dei servizi segreti libici, che cisono 50 milioni di euro che Tripoli hafatto arrivare per finanziare la vittorio-sa campagna elettorale di Sarkozy, suconti svizzeri e panamensi.

Dall’occupazione colonialealla “guerra umanitaria”diPaola Baiocchi

L’eliminazione di Gheddafi e la disgregazione della Libia sonosegni della volontà occidentale di chiudere definitivamente la stagione delle indipendenzedal colonialismo, declinate su un ideale panarabo di identitàculturale non basata sulla religione

Di “assoluto rilievo” il contributo delle Forze armate italiane secondo le dichiarazioni rilasciate dal ministero della Difesa alla conclusione delle“operazioni in Libia” a guida Nato, chiamate prima Odissey Dawn, in seguitoUnified Protector.Di assoluto rilievo anche l’impegno profuso nel comunicato del gennaio scorsodove non viene mai utilizzata la parola guerra o bombardamento, che diventano,infatti, delle più asettiche missioni di “difesa aerea”. Su oltre 10 mila missioni,che hanno sganciato sul territorio libico qualcosa come 40/50 mila bombe e messili, 1.182 sono state condotte dagli italiani, che hanno potuto appoggiarsisu sette basi aeree, messe anche a disposizione della coalizione.«La Difesa – riporta il comunicato – ha altresì contribuito alla “cooperazioneumanitaria”, in stretto coordinamento con il ministero degli Esteri, mettendo a disposizione aerei cargo C-130J, che hanno effettuato il trasporto di materiale medico e l’evacuazione di “personale ferito”, portato in Italia per essere curato».Peccato che molti di quei C-130J siano partiti dall’aeroporto militare di Pisa, chesicuramente non caricava cooperazione umanitaria dalla vicina basestatunitense di Camp Darby, il più importante deposito di armi e munizioni del Mediterraneo. Pa.Bai.

MAI USARE LA PAROLA GUERRA: L’INTERVENTO ITALIANO

54-65_intern_consV104 25/10/12 16.22 Pagina 61

Page 62: Mensile Valori n. 104 2012

Niente processo internazionaleUn “investimento” che però non è servi-to a fermare i caccia francesi che hannodato inizio ai bombardamenti sulla Li-bia e nemmeno a disarmare la mano chegli ha sparato. Dopo l’uccisione a Ben-gasi dell’ambasciatore Usa, Chris Ste-vens, avvenuta lo scorso 11 settembre, sisono aggiunti nuovi particolari sugli ul-timi momenti di vita di Gheddafi, chesarebbe stato ucciso «da un agente stra-niero» molto probabilmente francese(un giovane morto in un ospedale a Pa-rigi lo scorso settembre), all’interno diun’operazione Nato in cui è stato loca-lizzato il telefono satellitare del colon-nello.

Gheddafi avrebbe potuto fare molterivelazioni scomode per banche e Stati,se fosse arrivato vivo a un processo:avrebbe parlato per esempio sulla vicen-da dell’abbattimento del DC-9 Itavia aUstica, dove sono morti 81 civili che si so-no trovati al centro di un’operazione in-ternazionale di guerra coperta, in cui l’o-biettivo era Gheddafi.

E sicuramente avrebbe avuto moltoda raccontare anche sulla morte di Enri-co Mattei, abbattuto con il suo aereo diritorno da un incontro in Sicilia con rap-presentanti libici e del mondo arabo, do-ve era stato preparato il colpo di Statoche ha deposto re Idris. Avrebbe aggiun-to anche molto sull’eliminazione di AldoMoro, continuatore della visione di Mat-tei in materia di politica energetica nel-l’area mediterranea.

Ma, per assicurare la sopravvivenza alpadre della rivoluzione verde e alla Libia,non sono bastati nemmeno i 1.500 milionidi dollari versati all’amministrazione Usacome risarcimento globale per i danni cau-sati dagli atti di terrorismo di cui i libici so-no stati ritenuti responsabili. In particola-re l’esplosione dell’aereo Pan Am 103 involo sopra la cittadina scozzese di Locker-bie, in cui il 21 dicembre 1988 sono morte270 persone, 189 delle quali statunitensi.

Il nuovo colonialismoLa scomparsa di Gheddafi è un segnodella volontà occidentale di chiudere de-

finitivamente la stagione delle indipen-denze dal colonialismo, declinate in no-me di un ideale panarabo di identità cul-turale non basata sulla religione. Dasostituire con teocrazie organizzate subase etnica, come è già avvenuto conSaddam Hussein e l’Iraq.

In Libia ora, nella completa disatten-zione degli organi di informazione italia-ni, si è avviato un periodo che TierryMeyssan, il fondatore del Reseau Voltai-re, definisce di “somalizzazione”: di san-guinose lotte tra città stato, in un terri-torio che vanta le riserve petroliferemigliori, più abbondanti e ancora pocosfruttate dell’Africa. Dove le compagniepetrolifere non hanno più intenzione dipagare il 93% di tasse sulle estrazioni,un’eccezione nell’area Ocse dove la per-centuale massima delle royalties è il 60%che chiede il Kuwait.

Come ha affermato il segretario diStato Usa, Hillary Clinton, alla conclu-sione dell’operazione Protettore unifica-to: «We came, we saw, he died» (Siamo ar-rivati, abbiamo visto, lui è morto).

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1911/2011: CENTO ANNI DI GUERRA ALLA LIBIALa partecipazione alla guerra di aggressione della Nato nei confronti della Libia è stata una sorta di macabra commemorazione del centenariodella dichiarazione di guerra del governo Giolitti all’Impero ottomano del 29 settembre 1911, con la quale viene instaurata la dominazione italiana in Libia fino all’amministrazione delle Nazioni Unite nel 1943.La Libia raggiunge l’indipendenza nel 1951, ma è solo con la deposizione di reIdris – a seguito del colpo di Stato incruento del 1969, organizzato da giovani

militari nasseriani e condotto da Muammar al-Gheddafi – che la Libia comincia a spostare il suo sistema politico. Nel 1970 i beni di circa 35mila italo-libici, che ancora vivevano nella excolonia, vengono confiscati. Gheddafi, pur non assumendo nessuna caricapubblica, si pone come “guida dellarivoluzione”. Con la riforma costituzionale del 2 marzo 1977, il Paese assume il nome di “Jamahiriya araba libica socialista popolare” e viene istituito un sistema di governopopolare diretto che culmina nel Congressogenerale del popolo, che eleggeva un Segretariato, composto da sette membri in cui il Segretario era in pratica il capo dello Stato, e un Comitato generale,equivalente grosso modo a un Consiglio dei ministri.Tra gli anni ’80 e i ’90 la Libia appoggia gruppi terroristici come il palestinese Settembre nero e l’irlandese Ira. Nel 1986 Tripoli vienebombardata dai caccia Usa e una delle figlie di Gheddafi trova la morte.A seguito dell’attentato di Lockerbie del 1988 e al rifiuto libico di consegnare gli attentatori, nel 1992 l’Onu decide l’embargo economico,che dura fino al 2003 con l’accettazione della responsabilità civile verso le vittime. A partire dagli anni ’90 comincia il riavvicinamento tra la Libia e la comunità internazionale. Il 17 marzo 2011, dopo una serie di scontrialimentati da bande armate infiltrate da corpi speciali qatariani, inglesi,francesi e le solite “bufale belliche” – come le false fosse comuni nei pressi di Tripoli con “diecimila vittime del regime” – il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite vota la risoluzione 1973 che dà il via alleoperazioni militari. Tra le diecimila e le ventimila le vittime civili.

LA BANDIERA

Il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) ha adottato come bandieraquella del deposto re Idris delregno di Libia (1951-1969)sostituendo la bandiera verdedella Jamahiriya.

L’ORO LIBICO

Oleodotti

Gasdotti

Giacimenti

Impianti di liquefazione gas Raffinerie

Scenari a bombardamentidella coalizione

Giacimenti petroliferi dell’Eni

Terminalper l’esportazione

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| internazionale | questione agraria |

«Il grande proprietario terriero èoggi rappresentato dall’idro-agro-business sotto il coman-

do dei gruppi alimentari e chimici, checontrollano le terre (non necessariamen-te avendone la proprietà) con contratti diaffitto e/o controllo del lavoro contadinoattraverso l’anticipazione di sementi eadditivi da usare secondo indirizzi tecno-logici prestabiliti». Già da queste parolepossiamo intuire qualcosa dell’attualegestione delle campagne in Brasile. Unasorta di identikit del latifondismo loca-le dipinto dalla professoressa TeresaIsenburg, docente di Geografia econo-mico-politica al dipartimento di Studiinternazionali, giuridici e storico-politicidell’Università Statale di Milano, la qualecompleta il quadro ricordando che «inParlamento c’è un gruppo ruralista mol-to trasversale politicamente e socialmen-te assai influente».

Aspettando la riforma agrariaUn blocco di potere forte, che fa capo all’a-gro-business ed è lontano dal modello ar-caico dei latifondisti, che si avvantaggiadel fatto che la tanto attesa riforma agra-ria che doveva ridare la terra ai contadini

avanza con lentezza. Un ritardo compen-sato solo in parte dalle politiche sociali as-sistenziali recentemente sostenute dal go-verno, di Luiz Ignacio Lula da Silva primae di Dilma Rousseff ora. «Il progetto Bolsafamilha – continua la professoressa – im-pegna i municipi a comprare il 30% degli

alimenti per scuole e uso sociale dall’agri-coltura famigliare del municipio stesso.Oppure il progetto Luz para todos, che haportato energia elettrica in aree rurali, conun miglioramento delle condizioni di vi-ta di base». È già un progresso si potreb-be dire. Ma, secondo Serena Romagnoli e

Brasile di terra,business e pallottolediCorrado Fontana

Un Paese in crescita con enormiestensioni agricole e foreste. Stretto tra l’interesse dei potericonsolidati e politiche assistenzialiper le popolazioni rurali. Tra violenzee progetti infrastrutturaliimportanti, ma di grande impattosociale e ambientale

«In assenza di una qualsiasipresenza dello Stato, le armi vengonoutilizzate per conquistare ogni pezzo di terra». Con queste parole del fratedomenicano Henri Burin des Roziers,membro della Commissione pastoraleper la terra (Cpt) brasiliana, SebastianListe apre l’introduzione al suoprogetto video/fotogiornalisticointitolato The Brazilian Far West. Un lavoro premiato quest’anno ai Grants for Editorial Photography di Getty Images e destinato a creareuna sorta di mappa multimediale della disuguaglianza e della violenza in Brasile. Mentre il Paese stadiventando una superpotenza agricolainternazionale, il 4% dei suoiproprietari terrieri controlla ancoracirca l’80% della terra coltivabile,costringendo circa cinque milioni di contadini a restare sem terra, senza

terra, in balia di conflitti sanguinosi e a subire forme nuove di schiavitù,«accettando condizioni di vita e di lavoro disumane». Liste ha dedicato gli ultimitre anni a documentare le loro vite, ma anche quella dei milioni di diseredati in fuga dalle campagne, spinti a costruire ex novo o ad ampliare gli insediamentidelle aree periurbane, fatti di case di lamiera e fango. Ambienti per noiinimmaginabili come quelli fotografati nei cosiddetti quilombos, urbani o nascosti nella boscaglia (vedi ), oppure scene di quotidianasopraffazione dove per la terra si lotta e si muore.

GLOSSARIO

FAR WEST BRASILIANO

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| internazionale |

Claudia Fanti di Amig@s Mst-Italia, grup-po italiano che sostiene il Movimento semterra brasiliano, l’anno scorso il governoha investito 14 milioni nell’agricolturafamigliare e ben 150 nell’agro-business.

«La mancanza di una vera riformaagraria (180 mila famiglie sono accampa-

te, con poche prospettive di ottenere laterra in un periodo ragionevole) e di im-portanti servizi, anche lì dove ci sono de-gli insediamenti, spinge gli abitanti dellecampagne verso le favelas, con minimepossibilità d’integrazione. Nelle favelasdomina il lavoro informale, oltre ad alco-lismo, spaccio, prostituzione. E il 6% dellapopolazione brasiliana (oltre 11 milioni dipersone su più di 190 milioni, ndr) vive inquesto tipo di agglomerati, secondo il cen-simento 2010 del Brazilian Institute ofGeography and Statistics».

Sviluppo vs ambienteUn quadro che spiega come possano esse-re cattive le condizioni di lavoro nellecampagne, «specie per la contaminazioneda agro-tossici in alcune zone», proseguela professoressa Isenburg. E senza conta-re che «la violenzacontro i lavoratori agri-coli è particolarmente forte nello Stato diParà e in alcune aree di avanzamento del-la frontiera agricola (Mato Grosso, Rondo-nia), dove circolano molte armi e l’elimina-

zione fisica di lavoratori rurali non è rara».Ma a minacciare la vita nelle campagne in-tervengono anche nuovi fattori. L’Amaz-zonia èoggetto di un programma di gran-di progetti idroelettrici come la diga diBelo Monte: progetti di infrastruttura-zione che portano l’area verso un’inte-grazione spaziale nazionale e continen-tale, nonché al centro di controversie.Come sottolinea la professoressa Isen-burg, nonostante «le trattative ambien-tali e con i gruppi nativi siano complesse,con conflitti anche fra il potere federale eil ministero pubblico, nonché fra interessidiversi di gruppi locali, le popolazioni indi-gene o contadine sono spesso favorevolial cambiamento».

Ma l’impatto sociale resta pesante suqueste comunità. Il governo della presi-dente Rousseff è molto criticato, sia perl’ammontare degli indennizzi proposti al-le famiglie che hanno perduto terre, case,lavoro, e sono state espulse dal loro terri-torio finendo spesso nelle favelas insie-me ai “senza terra”; sia per non aver mes-so il veto su un contestatissimo nuovoCodice forestale. E il tasso di deforesta-zione dell’Amazzonia brasiliana, forte-mente rallentato in questi anni, è torna-to a salire tra 2011 e 2012 (+220%, -642 milaettari di foresta) per l’Inpe (National In-stitute for Space Research).

Brasile simbolo di contraddizioni al punto che, mentre le ultime previsionidicono che il suo Pil 2013 crescerà comunque di oltre 4 punti percentuali,l’indice di diseguaglianza interna (il Gini index) diminuisce costantemente dal 2001, ma resta tra i più elevati del mondo (vedi ). E le rilevazioni sui conflitti che avvengono annualmente nelle campagnecontenuti nel rapporto Conflitos no campo Brasil 2011, realizzato dallaCommissione pastorale della terra (Cpt), fanno semplicemente paura. Anche se la situazione è in miglioramento più o meno progressivo, almeno dal 2003(da 73 persone assassinate si passa alle 29 del 2011), la Cpt registra, in controtendenza, un incremento del 15% sul numero totale dei conflitti nellecampagne tra 2010 e 2011 e una crescita enorme del numero di ettari di terrateatro di scontri e oggetto di controversie (poco meno di 4 milioni nel 2003,l’anno scorso quasi 14 milioni e mezzo di ettari). Fa impressione pensare poi che i 1.363 episodi ascritti al 2011 (1.035 conflitti per la terra; 260 legati al lavoro; 68 per l'acqua) abbiano coinvolto complessivamente oltre 600 milapersone (quasi 1 milione e 200 mila nel 2003) e circa 70 mila famiglie. Che il temadelle risorse agricole sia sentito lo dimostra anche un significativo aumento deiconflitti per questioni di terra (+ 24% sul 2010) e del numero di famiglieallontanate dalla propria dimora (2137 nel 2011, +75,7% sull’anno precedente).Drammi per intere comunità, quindi, e “conflitti” che possono limitarsi a semplicicontroversie di natura legale o diventare aggressioni violente e omicidi: il numerodelle famiglie minacciate da uomini armati ha subito il significativo aumento del 50,4% (!), da 10.274 a 15.456, tra 2010 e 2011. Un quadro generale di cui la Cpt attribuisce la gran parte delle responsabilità allo strapotere di alcunisoggetti privati: fazendeiros, imprenditori, produttori di legnami.

MAPPA

TERRA DI SCONTRI

BRASILE: DISTRIBUZIONEDEI CONFLITTI SUL TERRITORIONumero di famiglie coinvolte

FONTE: RAPPORTO CPT “CONFLITO NO CAMPO BRASIL 2010”,

Famiglie per Comune1.27054020

Avanza lentamente la moltoattesa riforma agraria.Nel frattempo il governoha investito 150 milioninell’agro-business

GLOSSARIO

QUILOMBO: unquilombo era una comunità formata da schiavi africani fuggiti dalle piantagioni in cui eranoprigionieri nel Brasile all’epoca della schiavitù, abolitaufficialmente nel 1888. Oggi esistono ancora numerosiinsediamenti quilombos sparsi per tutto il Brasile e quasi mai collegati tra di loro. Piccoli villaggi nascostinelle foreste o nelle montagne fatti di capanne in fangoe qualche volta con la sala comunitaria o le case deimeno poveri in muratura.

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| consumiditerritorio |

La poltrona riprodotta sulla coperti-na del catalogo non solo è d’epoca e por-ta i segni del tempo ma è proprio di Ing-var Kamprad, il fondatore di Ikea.

Se ci ricordiamo che Kamprad ha lafama di essere un gran tirchio, che sidice viaggi solo in classe economica easpetti la fine del mercato per spunta-re i prezzi migliori della frutta, allorasiamo già entrati a far parte della fa-miglia allargata di Ikea e conosciamoalmeno una parte della “narrazione”che il fondatore stesso ha contribuitoa creare pubblicando nel 1976 il Testa-mento di un commerciante di mobili.

Ma naturalmente c’è molto di più:c’è la scelta fatta dagli strateghi dellacomunicazione dell’etichetta giallo-blu di collocare nel passato Ikea per di-mostrare che non è solo contempora-neità e mobili usa e getta, invendibili sesi trasloca, ma oggetti che durano neltempo. E la poltrona del suo fondatoreè lì, a testimoniare che c’è una “storia”.Anzi a tutti gli effetti c’è una mitologia,che retrodata Ikea perfino rispetto allaBarbie, un oggetto “culto” della produ-zione di massa.

La poltrona MK precede di un paiodi anni anche un suo quasi omonimo:il programma MK Ultra, il più estesoprogetto di sperimentazione sul con-dizionamento mentale, condotto dalla

Cia su cittadini ignari e poi applicatoin luoghi di detenzione come Guanta-namo e Abu Ghraib.

Le vie delle coincidenze sono infi-nite, ma per quanto il signor Kampradabbia avuto simpatie naziste, i suoiprogrammi sono sicuramente diversida quelli della Cia, anche se sempre dicondizionamento mentale si parla.

Perché Ikea ha una buona reputa-zione, nonostante ci siano delle incon-gruenze tra quello che fa e quello chedice di essere. Nella sua narrazione èegualitaria e popolare. Ma la proprietà

dell’azienda è dissimulata in una nebu-losa societaria che fa perdere le traccetra la fiscalmente benevola Olanda, ilLussemburgo, le Antille olandesi e Cu-raçao. Anche rispetto alle donne Ikeaha un atteggiamento bivalente, can-cellando le presenze femminili nei ca-taloghi destinati all’Arabia Saudita.

Ikea si presenta come ambientalistae socialmente responsabile, ma gli au-tori del libro Ikea, che cosa si nascondedietro il mito della casa che piace a tut-ti? ritengono che «il suo modello di so-vraproduzione e sovraconsumo – acqui-stare sempre di più, qualcosa di sempremeno caro da conservare sempre menoa lungo – sia incoerente con un discor-so ambientalista e sociale credibile».

D’altronde, secondo il sociologo te-desco Theodor Adorno, il bisogno indot-to crea l’illusione che quello che è statoofferto sia in realtà una scelta indivi-duale, ma è uno strumento chiave attra-verso il quale si perpetua il capitalismo.

La poltrona MK viene ora propostanella versione Strandmon, stabilendoun collegamento intimo con questo«papà» di «131mila collaboratori» – scri-vono nel catalogo Ikea – che afferma«abbiamo scelto di stare dalla parte delmaggior numero possibile di persone».

Naturalmente dalla parte dove ten-gono il portafoglio.

Marketing emozionaleStrandmone il programma MK-Ikea

diPaola Baiocchi

Sulla copertina del catalogo Ikea 2013 c’è una poltrona degli anni Cin-quanta: la MK, definita il “top della qualità” nel catalogo del 1951, il pri-mo pubblicato dall’allora nascente colosso dell’arredamento. Nello

stesso anno in cui veniva pubblicato Il giovane Holden di Salinger e al cinemauscivaBellissima di Visconti, la MK era in vendita per “207 corone svedesi”.

Ambientalista e popolare?Quello che dice di esserenon corrisponde a ciò che fa

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VACCINO ESAVALENTE:ANCHE LA SLOVACCHIA LO RITIRA

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altrevoci

UE, SMOG: DUE ANNI DI VITA IN MENO PER GLI EUROPEI

Due anni in meno di aspettativa di vita a causadell’inquinamento atmosferico. Il destino accomuna gli abitanti di un terzo delle città europee. L’impietosaprevisione arriva dall’Agenzia europea dell’Ambiente.Spiega il suo direttore, Jacqueline McGlade, citando i dati contenuti in una pubblicazione (“Qualità dell’aria in Europa”) presentata a Bruxelles: «La colpa è delle concentrazioni eccessive di particolato in sospensione nell’aria (le polveri sottili, ndr), una dellesostanze inquinanti più nocive per la salute umana in quanto penetra nelle parti sensibili dell’apparatorespiratorio». Oltre al particolato, sono presenti nell’ariadi molte regioni urbane quantità eccessive di biossidod’azoto e benzo(a)pirene, mentre sono stati fatti passiavanti significativi per il monossido di carbonio e il biossido di zolfo. «Ma in molti Paesi i livelli rimangonoal di sopra dei limiti legali», conclude McGlade. «Questa relazione – aggiunge il commissario Ueall’Ambiente, Janez Potočnik – serve a ricordarci quantosia importante la qualità dell’aria per la salute dei nostricittadini. Ecco perché voglio che il 2013 sia l’Anno della qualità dell’aria».

[EM.IS.]

CRESCONO LE AREE PROTETTE NEL MONDO

Le aree protette di tutto il mondo – parchi, riserve naturalio altre tipologie di zone sottoposte a tutela – sonocresciute sia in numero sia in estensione. A rivelarlo è il Protected Planet Report 2012, redatto dall’UnioneMondiale per la Conservazione della Natura (Iucn), che spiega come oggi la superficie terrestre protetta sia pari al 12,7% della terraferma (era l’8,8% nel 1990), e all’1,6% delle aree marine. «Le aree protette contribuiscono significativamente allaconservazione delle biodiversità, e un aumento della loroestensione è vitale per il nostro pianeta. In termini di accesso al cibo e all’acqua pulita, di lotta al cambiamento climatico e di riduzione dell’impatto dei disastri naturali», ha spiegato Julia Marton-Lefèvre,direttrice generale dell’organismo internazionale. L’obiettivo è di raggiungere gli “Aichi Targets”, una serie di obiettivi indicati due anni fa dalla Convenzione sullaDiversità biologica, che vuole far crescere le aree protetteal 17% della superficie terrestre e quelle marine al 10%.

[A.BAR.]

DIGA DI XAYABURI IL LAOS NON FERMA IL PROGETTO

«Non abbiamo bisogno di altri dati»: il Laos va per la suastrada e sbatte la porta in faccia alle proteste dei Paesivicini e della comunità internazionale (ultima in ordine di tempo, quella del segretario di Stato Usa, HillaryClinton). Oggetto del contendere la diga di Xayaburi, chediventerebbe la prima barriera sulla parte bassa del fiumeMekong, il più lungo dell’Indocina. 880 metri di lunghezza,32 di altezza, l’opera interesserebbe un bacino di 272 mila chilometri quadrati. Tre i motivi di maggiorepreoccupazione: le esondazioni che metterebbero a rischiola sussistenza dei 60 milioni di persone presenti nei villaggidal nord della Thailandia fino al delta del fiume in Vietnam,che dipende per l’80% dalla pesca; l’impatto sulla quantitàdi pesci presenti nel fiume e le conseguenze che i sedimenti prodotti dalla diga avrebbero sull’assettoidrogeologico della zona. «Se il Laos realizzerà quelprogetto attirerà su di sé le stesse critiche che hannocoinvolto la Cina con la Diga delle Tre Gole», spiega WitoonPermpongsacharoen, direttore del Mekong Energy and Ecology Network. Quella di Xayaburi sarebbe la primadi undici dighe che dovrebbero sorgere sul basso Mekong:se fossero realizzate tutte, entro il 2030 la riserva ittica del fiume – prevede un rapporto Wwf – subirebbe una flessione del 16%. Cifra che salirebbe al 40% se si considerassero tutte le 88 dighe del fiume.

[EM.IS.]

Dopo Spagna, Germania, Francia, Australia e Canada e altri 13 Stati nel mondo, anche la Slovacchiaha deciso di ritirare dal commercio un lotto del vaccino esavalente Infanrix Hexa, prodotto dalla GlaxoSmithKline. Alla base della decisione – classificata con il massimo livello di urgenza (che si assegna quando c’è una potenziale minaccia di vita o di gravi danni per la salute pubblica) –una contaminazione batterica riscontrata nell’ambiente in cui è stato prodotto il vaccinoincriminato. C’è però chi teme che questa sia solo una giustificazione di facciata: troppi i lottiritirati e troppi gli Stati che hanno deciso il ritiro.Sotto accusa è quindi il vaccino in sé. L’esavalente è usato anche nelle strutture pubbliche italianeper vaccinare i neonati a partire dal 2-3° mese di vita. Sei le malattie contro cui protegge: difterite,tetano, poliomielite, epatite B, pertosse ed emofilo tipo B. Un utilizzo massiccio e secondo alcuniimmotivato (l’Europa ha il certificato “polio free” dal 2002 e l’ultimo caso di difterite risale a parecchi decenni fa), soprattutto su bambini molto piccoli e nonostante, per la legge italiana, le vaccinazioni obbligatorie sarebbero solo quattro. «I ministeri della Salute di molti Stati – spiegail farmacologo Roberto Gava su Informasalus.it – hanno avvisato la popolazione affinché i genitoridei bambini che hanno ricevuto questa vaccinazione negli ultimi mesi contattino le autoritàsanitarie con urgenza. Il nostro ministero, invece, tace, anche se pare che i laboratoriGlaxoSmithKline di Verona siano tra quelli che producono il vaccino per la Germania e i tedeschi hanno prontamente ritirato i vaccini sospettati di contaminazione».

[EM.IS.]

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| LASTNEWS |

L’EUROCRISI FAVORISCE LA BOLLA IMMOBILIARE TEDESCA?

SPAGNA, MEDICI “OBIETTORI”CONTRO IL GOVERNO

Al rigore, a volte, non c’è davvero limite. Neanche quello che dovrebbe essere garantito dal buon senso.Qualche mese fa, il governo conservatore spagnolo di Mariano Rajoy ha emanato un decreto che prevedeva la soppressione delle cure sanitarie gratuite per i senzatetto (salvo per i minorenni e per i casi di urgenza). La decisione ha suscitato grandi proteste nel Paese, tantoche tre regioni si sono rifiutate di applicare la riforma.Recentemente, poi, circa 2 mila medici si sono dichiarati“obiettori di coscienza”, e hanno firmato un appello nel quale chiedono ai loro colleghi di non osservarela legge. Un’iniziativa che arriva dopo che pazienti e personale medico hanno manifestato nel corsodell’estate per contestare una scelta giudicata ingiusta.E anche inefficace economicamente: curare un malato è meno costoso che farlo aggravare e doverlo poi trattare d’urgenza. Il provvedimento del governo spagnolo, tuttavia, per ora resta in vigore: a farne le spese saranno circa 150 mila persone.

[A.BAR.]

PEOPLE MOVER A PISAUNA FUNE PER TRAINARE IL TRENO

1.780 metri per un costo previsto di 78 milioni. Tantodovrebbe costare il People mover, un trenino trainato da fune, senza conducente, per collegare l’aeroportoGalilei con la stazione ferroviaria di Pisa. Un progettoapprovato dal Comune, da far eseguire in projectfinancing da privati consorziati in un’associazionetemporanea (capofila la Leitner di Vipiteno). Ma il progetto ha fatto storcere la bocca ai pisani perchél’aeroporto è già servito dal treno e dalla pensilina dellaferrovia al check-in, non bisogna neanche attraversare la strada. Non solo, il Galilei è un aeroporto cittadino: si raggiunge con i bus e anche a piedi, se ci si è fermati a dormire all’ostello o in un’altra sistemazione in centro. Alle obiezioni dei cittadini, l’amministrazione rispondecon argomentazioni risibili: si eliminerebbero duepassaggi a livello, dopo 40 anni l’impianto diventerebbedella città. Il People mover sembra essere diventata una moda contagiosa: Bologna sta provando, contro il volere dei cittadini, a costruirne uno da 5 km circa (costo: 110 milioni di euro), quando il problema del collegamentopotrebbe essere risolto con un tapis roulant da 800 metrie il completamento di una stazione ferroviaria.

[PA.BAI.]

INVESTIMENTI RESPONSABILIL’EUROPA CI CREDE SEMPRE DI PIÙ

Dai 6,9 miliardi di euro del 2005 ai 25,3 del 2009 ai 48 del 2011. Le cifre dimostrano un vero e proprio boom degliinvestimenti sostenibili e responsabili (Sri) in Europa, i capitali investiti in fondi che contengono impreseselezionate in base alla propria attenzione all’ambiente e alle tematiche sociali. Sono questi i dati contenutinell’ultimo rapporto di Eurosif (European SustainableInvestment Forum), una rete di organizzazioni europee chesi occupano di sostenibilità negli investimenti, presentatoall’inizio di ottobre. Ma in realtà la lettura dei dati non è così semplice, perché «da quest’anno l’Sri si è ampliato ed è diventato più complicato», spiega Davide Dal Maso,segretario del Forum per la finanza sostenibile. «Sono statiindividuati sei diversi modi di fare Sri: sei criteri per definireun investimento responsabile. Su questo tema a livelloeuropeo non c’è ancora una convergenza: c’è una visionescandinava, una anglosassone, una mediterranea etc. Per esempio determinate cifre farebbero pensare a un boom di investimenti responsabili in Italia, ma non è detto che siano “veri” Sri. Tutte le strategie monitorate,comunque, mostrano dinamismo e/o crescita». Il rapportoè scaricabile dal sito www.finanzasostenibile.it

[V.N.]

La presenza di tassi di interesse favorevoli e il persistente timore di sviluppi negativi nella crisidell’euro starebbero alimentando una possibile bolla immobiliare nel mercato tedesco. È l’ipotesi avanzata dal Financial Times lo scorso ottobre attraverso l’analisi degli ultimi dati di settore disponibili. Negli ultimi cinque anni, sostiene la società di consulenza F+B, il prezzomedio delle abitazioni berlinesi è salito del 23%. Secondo i dati della Jones Lang LaSalle,un’azienda concorrente, il fenomeno sarebbe ancora più evidente: +37,5% dal 2009 a oggi, +20%solo nell’ultimo anno. Il fenomeno della crescita dei prezzi resta però prevalentemente confinatoad alcune città in particolare (la capitale tedesca su tutte, ma anche Monaco e Amburgo).Due, si diceva, i fattori determinanti. Da un lato il basso livello dei tassi di interesse puòfavorire il ricorso all’indebitamento, ovvero la sottoscrizione dei mutui per la casa. In un contesto come quello attuale, inoltre, i modesti rendimenti dei titoli di Stato (il bunddecennale paga appena l’1,5% circa) e la turbolenza del mercato azionario sembrano indurrei risparmiatori a investire nella proprietà immobiliare. Dall’altro lato, la persistente crisi del mercato europeo spingerebbe gli investitori a puntare su assets sicuri in un’economiagiudicata particolarmente solida come quella tedesca. In questo quadro non stupisce l’ampiapresenza di compratori cash provenienti dal resto del continente (italiani, spagnoli e del Nord Europa in particolare).

[M.CAV.]

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| FUTURE |

Ci sono alcuni blog in lingua nostrana cui vale sempre la pena dare un’occhiata. Quello di Matteo Bittanti rientra nella categoria, quali che siano i vostri interessi. Bittanti èSenior Adjunct Professor nei programmi di VisualSstudies e Visual & Critical Studies delCalifornia College of the Arts di San Francisco & Oakland, California. E lì insegna materie comegame studies, advanced visual studies e global cities. Insomma, temi per addetti ai lavoriinteressati alle interazioni tra culture visive, arte, nuovi media e strumenti della nuova culturapopolare come videogiochi. Da Mattscape.com si accede così a un blog che riporta chicche degne di nota. Tra queste,alcune riprese da Wired, dove si firma Mr. Bit, una “estetica della statistica” a opera deicaliforniani Stamen, che mostrano con molta bellezza il diffondersi surreale di un post su Facebook. La cultura digitale diventa una forma d’arte, non conta qui il contenuto, ma la sua modalità e intensità di propagazione. Il disegno animato mostra il propagarsi tra gli utenti, di un contributo postato ad arte. Cose su cui riflettere.

ELA & DIMITRI IN TRANSMEDIA LOVE

Esperimento tecnologico e opera artistica, Ela & Dimitriè un progetto multimediale di due giovani artisti di Marsiglia, che vogliono raccontare la nascitadi un amore nell’era del web. “Nell’era degli sms, Romeosarebbe stato ancora ridicolo sotto il balcone di Giulietta?”. Non viene data risposta, affidando il quesito a quanti vorranno interagire per unanarrazione dall’esito incerto. Co-protagonisti e scenario,oltre alla città fisica, luogo di incontri attesi e mancati,sono gli strumenti che la moderna tecnologia mette a disposizione. Il progetto prevede la possibilità di entrare, come fosse un gioco di ruolo, nei panni di Ela o di Dimitri e utilizzare i diversi media urbani.Messaggi e sms, post su Facebook ed e-mailcomporranno la narrazione. Il testo verrà poi trasposto in un grande telo urbano da affiancare a una mostramultimediale che prevede, ancora una volta, una direttainterazione del pubblico/attore, che può interveniremanualmente sull’esposizione e modificare, quasi la vitafosse una bacheca di social network, il proprio statod’animo o sentimento verso la narrazione collettiva. Altra particolarità: il progetto è stato finanziatoraccogliendo tutti i fondi in Rete tramite microdonazioni.

ELETTRICHE,ZERO EMISSIONI E VELOCI

Sono stazioni private, pensate da un costruttore per il suo modello elettrico di punta. Ma hanno una particolarità: saranno diffuse in tutta la California,gratuite perché alimentate da fotovoltaico, aperte anchead altri utenti e marche di veicoli elettrici. E sarannosuperveloci. Tesla sceglie la strada dell’installazionein stile web per il suo modello elettrico più veloce, ma coglie nel segno perché l’operazione non appare solodi propaganda, ma eroga un servizio utile e in modalitàinnovativa. Trecento stazioni di servizio previste, solo sei al momento quelle già attive, un tempo medio di ricarica di una trentina di minuti per poi avereun’autonomia di circa trecento chilometri di percorrenza. Chiamate Superchanger, hanno avuto un impatto minimo sia sull’ambiente sia in termini di investimento perché il progetto doveva svilupparsi a partire dall’ottimizzazione di tecnologie esistenti. La scelta del fotovoltaico per alimentare le stazioni di servizio e della gratuità dello stesso sono al contempoun’efficace campagna promozionale del marchio e un servizio che la società statunitense dichiara di volerespandere in Europa.

LA DEMOCRAZIA È UN CLICK?

Ognuno può lanciare il suo appello on line e, se saràconvincente, diventerà una campagna d’opinioneinternazionale. Change.org è un sito che promuovecampagne pubbliche di mobilitazione su temi sociali. Il suo credo è basato sul principio dell’adesione. Se un’idea intercetta il sentimento di molti, se sononumerosi a sostenerla firmando una petizione on line,allora significa che probabilmente quell’idea ha una suavalidità e merita di essere conosciuta. «Change.org è una piattaforma d’azione che permette a chiunque,non importa da dove, di lanciare delle campagne percambiare il mondo», recita il sito dell’organizzazione che annovera tra i suoi risultati la riduzione dei costibancari di Bank of America e la difesa e affermazione di diritti civili di persone omossessuali. Il tema e l’approccio meritano analisi profonde e un raffrontocon l’operatività di gruppi storici come Amnestyinternational o Greenpeace, che hanno costruito partedel loro consenso anche sul modello di partecipazionecondivisa alle campagne d’opinione, che vengonotuttavia attentamente vagliate prima della diffusioneda legali operatori dei diritti umani, specialisti e daglistessi attivisti. Qualcosa di strutturalmente diversodall’idea di un web luogo di autorappresentazione degli utenti non mediato da alcuna struttura che Change.org sembra invece esprimere.

BLOG DA MENTI IN FUGA SOTT’OCCHIO

a cura di Francesco Carcano | per segnalazioni scrivete a [email protected]

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| TERRAFUTURA |

a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a [email protected]

Un sito dalla grafica accattivante che ricalca la struttura delle piattaforme di aste online. Ma c’è una differenza fondamentale: il denaro non compare mai. È Reoose, un portale che mettele potenzialità del web a disposizione della più antica delle forme commerciali: il baratto. L’idea nasce quando Luca e Irina acquistano un materasso sbagliato e, dopo inutili giri di telefonate, sono costretti a disfarsene. A partire da questo piccolo danno economico e ambientale progettano una vetrina virtuale in cui chiunque può esporre oggetti che non usa più.A ogni prodotto, a seconda della sua categoria, viene assegnato un certo “peso” in crediti:quando lo si cede a un altro utente dunque si guadagnano punti da usare per ottenere un altrooggetto. Oppure da donare a una Onlus, che ad esempio, racconta Luca, può essere «una casa-famiglia che procura su Reoose un passeggino da donare a genitori in difficoltà». Il passaparola, la partnership con Banca Etica, un blog dedicato all’ambiente, ma soprattutto l’entusiasmo degli utenti: e, senza spendere un euro in pubblicità, nell’arco di poco più di un anno si è arrivati a 20 mila iscritti. Con il progetto – spiega Luca – di allargare il team e sbarcare all’estero.www.reoose.com

REOOSE, IL WEB RISCOPRE IL BARATTO

BACI DI TRAMA, LA MODA È “NATURALE”

Dopo alcuni anni a lavorare come modellista e stilista per grandi aziende che delocalizzavano la produzione in Cina e India e trattavano anche pelli e pellicce, SusyBonollo ha deciso di cambiare strada, assecondando la propria sensibilità ambientale. Da questa scelta, nel maggio del 2011, nasce “Baci di trama”, una linea di abbigliamento per donna («ma presto – anticipa –arriveranno anche i capi maschili») in materialiesclusivamente biologici: canapa, cotone bio, fibra di bambù, lana organica e nuove fibre ricavate dal mais e dall’ortica. Ogni modello è disegnato da lei e realizzatoartigianalmente, al massimo in 50-60 capi, da piccoliproduttori italiani che riescono a fatica a reggere allaconcorrenza dei colossi industriali. Anche Susy Bonollo lo scorso settembre era a Milano, a So critical so fashion,ed è in contatto con i Gruppi di acquisto solidale chespesso organizzano piccole fiere del tessile etico. E auspica che in Italia si riesca a «coinvolgere sempre di più anche i non addetti ai lavori, per far comprendere il valore del biologico al pubblico più vasto possibile».www.baciditrama.it

WEB E AMBIENTE PER L’INSERIMENTO SOCIALE

La recente normativa dell’Unione europea, recepitaanche in Italia, impone di smaltire in modo corretto i Raee. La sigla sta per “rifiuti da apparecchiatureelettriche ed elettroniche”: computer, elettrodomestici,cellulari e così via. In Emilia Romagna un ampio gruppo di soggetti pubblici e privati ha deciso di coglierequest’opportunità ambientale e darle anche un valoresociale, affidando questo lavoro ai detenuti. Dopo unafase sperimentale finanziata dalla Regione con il Fondosociale europeo, la partenza ufficiale è stata circa tre anni fa: attualmente undici ragazzi sono impiegati in tre laboratori gestiti da altrettante cooperative socialia Forlì, Bologna e Ferrara. Ma l’iniziativa ha avuto ancheun’inedita “svolta digitale”: a gestire il sito ufficiale,infatti, sono un ragazzo e una ragazza che stanno finendodi scontare la propria pena ai domiciliari. «Per noi la cosapiù importante, insieme al valore ambientale, è responsabilizzarli il più possibile», spiega BarbaraBovelacci di Techne Forlì-Cesena, l’ente di formazioneche segue i detenuti insieme a Cefal Bologna.«Cerchiamo di fornire loro competenze digitali, ma anchedi comunicazione: in futuro dovranno relazionarsi con i giornalisti e fare ricerche su temi ambientali».www.raeeincarcere.org

LA VIA D’USCITA ALLA CRISI? È “GREEN”

Ormai giunto alla sua sedicesima edizione, Ecomondo si attesta tra gli appuntamenti fissi nel panoramaitaliano della green economy. A Rimini Fiera, dal 7 al 10novembre, ci sarà spazio per più di 150 eventi, collegatida un fil rouge di stretta attualità: qual è la via d’uscitaalla crisi? Ecomondo propone una risposta: la greeneconomy dev’essere al centro delle scelte di entipubblici, imprese e cittadini, come volano per unosviluppo sostenibile che garantisca nuove opportunitàlavorative, soprattutto per i giovani. Sarà questo lo sfondo dei numerosi convegni, dedicati di voltain volta alla certificazione dell’impatto ambientale deiprodotti, agli strumenti finanziari e ai fondi europei da cui gli enti locali possono attingere per investirenell’efficienza energetica, o ancora alle tecnologie per la tutela dell’ambiente nei Paesi in via di sviluppo. Ma si parlerà anche di Patto dei sindaci, compostaggio,raccolta differenziata. Saranno ospitati dalla fiera,inoltre, gli Stati generali della Green Economy promossidal Ministero dell’Ambiente e coordinati dallaFondazione Sviluppo Sostenibile. www.ecomondo.com

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Ugo Biggeri e Giulio TagliaviniManuale di finanzapopolare

Eif e.Book, 2012

La prima cosa che rende questo libro un po’ speciale è che è gratuito perché distribuito con licenzaCreative Commons (http://t.co/VSNV0i1T). Gli autori partono da una considerazione semplice ma fondamentale: poter disporre di qualche competenza finanziaria è importante per la tranquillitàe il benessere quotidiano della propria famiglia. In un mercato finanziario complesso come quello di oggi e in un momento di contrazione del reddito, il risparmiatore deve fare due cose: informarsiin maniera corretta per farsi le domande giuste e usare il buon senso nelle scelte finanziarie, come dovrebbe fare il buon padre di famiglia. Gli strumenti formativi e informativi, caratterizzati da un taglio popolare, sono ancora insufficienti e questo incide sulla consapevolezzadell’investitore comune che nelle sue scelte si affida necessariamente senza conoscere i rischi a cui va incontro. A livello collettivo le conseguenze sono ancora più gravi, perché se il livello di educazione finanziaria non è curato ne deriva un livello di tranquillità generale più basso, sononecessari maggiori interventi pubblici a salvaguardia del welfare, i percorsi di formazione e di sviluppo personale si fanno più difficili e l’esposizione delle famiglie alle vicende negative delle situazioni di crisi è più grave.

LA FINANZA RICHIEDE INFORMAZIONI E BUON SENSO

IL POTERE DELLE AGENZIE DI RATING

Il loro giudizio pesa sulle economie degli Stati e sullefinanze dei risparmiatori, può gettare nel panico mercati,banche e nazioni. La responsabilità che hanno Standard& Poor’s, Moody’s e Fitch, le tre agenzie di rating, nel massiccio spostamento di capitali è dunque enorme.Finiscono sulle prime pagine dei giornali perché il loropotere, alimentato da un mercato miliardario, è ancoragrande, nonostante gli errori eclatanti fatti in passato.Come non ricordare le valutazioni su Parmalat e Cirio, o quelle sulla Lehman Brothers. Non si può ignorare il conflitto di interessi che caratterizza le agenzie di rating in quanto una parte del loro capitale è detenutoda fondi che sono presenti in molte società sparse per il mondo che poi vengono giudicate dalle agenzie stesse.Errori di cui non rispondono in termini di responsabilitàperché si tratta di opinioni e non di pareri. Le agenzie di rating vanno dunque riformate partendo da alcuniprincipi come trasparenza, indipendenza e responsabilità.O ancor meglio imparare a farne a meno.

Paolo Gila, Mario MiscaliI signori del rating

Bollati Boringhieri, 2012

LA TERRA È DI TUTTI, SALVIAMOLA

Stagionalità degli alimenti perduta e produzione agricolamassificata, industrializzata, portata all’estremo e senzapiù alcun legame con l’ambiente, ortaggi che percorronomigliaia di chilometri prima di arrivare sulle nostretavole, sementi ibride e geneticamente modificatediffuse a danno delle varietà locali. Senza contare lavoronero, land grabbing e rischio Ogm, terreni esausti e faldeacquifere sempre più contaminate da concimi chimici e pesticidi, la scomparsa delle api e gli allevamentitrasformati in fabbriche che non garantisconocomunque dai rischi sanitari (come influenza aviaria e “mucca pazza” insegnano). Il libro mette a nudo le crepe sempre più evidenti del modello di agricolturaconvenzionale, ormai insostenibile al punto che, daglianni ’50 ad oggi, ha visto crescere il costo dei fattoriproduttivi dal 50 all’80% del fatturato. Ma DavideCiccarese, agronomo da anni impegnato nello sviluppodell’agricoltura periurbana, nella realizzazione di fattoriedidattiche e orti urbani, suggerisce anche un modelloalternativo fondato su nuove parole dal sapore antico:prossimità, stagionalità, sovranità e sicurezza alimentari.

Davide CiccareseIl libro nero dell’agricoltura

Ponte alle Grazie, 2012

IL SAPER FARE ITALIANO NELLA CRISI

È stato grazie ai distretti industriali che l’Italia per moltianni ha costruito la sua competitività sui mercatiinternazionali, coniugando culture locali e vantaggiocompetitivo in quei settori manifatturieri che moltieconomisti consideravano ormai destinati al declino.Il patrimonio di saperi artigianali, quel famoso “saperfare”, sedimentato nelle regioni italiane, è statotraghettato nell’economia globale attenta a cogliere il valore delle specializzazioni eccellenti. La domandaperò non può essere elusa: che probabilità ha questomodello di confermare la sua validità in un contestosempre più globalizzato e feroce come quello della crisi mondiale? Questo libro affida la risposta alla viva voce dei protagonisti, portando i lettori tra i distretti più famosi e dinamici. Un viaggio attraversoforme di aggregazione e di business che non hannoeguali nel mondo e rappresentano la spina dorsale del made in Italy, l’ultima carta vincente da giocarsi sui mercati esteri.

Aa. Vv.Distretti

Baldini & Castoldi, 2012

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| ECONOMIAEFINANZA |

a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a [email protected]

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| NARRATIVA |

Tre donne vengono licenziate, all’improvviso. Prima della rabbia arriva la vergogna, perché se si è stati licenziati forse un motivo ci sarà. Poi arriva anche l’ansia: trovare un nuovo lavoro è difficile, c’è la famiglia e il mutuo da pagare. C’è anche la difficoltà di adattarsi ai nuovi ritmi di vita, dettati dal tempo liberato. Tutti quando lavorano sperano sempre di avere più tempo, ma quando il tempo a disposizione è troppo diventa un inferno. Trattandosi di tre lavoratriciintellettuali, non si limitano a voler capire cosa è successo e perché, ma decidono che importante è far capire, a chi questo licenziamento ha messo in atto, che licenziare forse non è la soluzione più brillante per far andar meglio le cose. Insomma, il responsabile va in qualche modo rieducato. Uno sguardo ironico e appassionato su un mondo travolto dalla crisi economica e dalle sue conseguenze. Un romanzo per resistere ai manager nell’eradella crisi economica globale e riderci sopra.

DIETRO I LICENZIAMENTI CI SONO LE PERSONE

Marina MorpurgoRisorse disumane

Astoria, 2012

LEGGIAMO PER REINCANTARE IL MONDO

The New Yorker l’ha definito “una lettera d’amore alla letteratura”. Per raccontare la felicità la giovaneautrice di origine iraniana si fa accompagnare daVladimir Nabokov, l’eroe letterario che le ha cambiato la vita, attraverso quindici capitoli corrispondenti ad altrettante idee di felicità: quella legataall’esperienza, al tempo, alla memoria, alla sensualità,all’amore e al linguaggio. Una storia della felicità, cheparte dal piacere della lettura e dal confronto serratocon quei libri che ci cambiano la vita e, soprattutto, conchi li ha scritti. Perché l’ispirazione del romanziere è una magica estasi che gli permette di percepirepassato, presente e futuro in un solo istante. E il lettorepuò toccare con mano questo miracolo che offre la gioiafanciullesca di meravigliarci delle piccole cose.

Lila Azam ZanganehUn incantevole sogno di felicitàNabokov, le farfalle e la gioia di vivere

L’ancora del Mediterraneo, 2012

I CAMORRISTI CHE GUARDANO IL “GRANDE FRATELLO”

Lo Zio è un boss della camorra con una passionepatologica per il “Grande Fratello”. Non si perde unapuntata del reality neanche quando è costretto a viverein latitanza, braccato dall’agente di polizia Woody Alien,così soprannominato per la bruttezza intellettualoide,che potrebbe incastrarlo grazie a un misteriosoinformatore. Allora i guaglioni dello Zio arruolano un “bravo ragazzo” per mandargli un messaggio dallacasa del GF: il pusher Anthony, ventenne incensurato,ma in compenso lampadato, con le sopraccigliasagomate e depilato. Dopo un estenuanteaddestramento, Anthony riesce a superare il provino,entra nel cast e lancia un messaggio al boss. StefanoPiedimonte ha trovato un modo speciale di raccontare una realtà dura come quella napoletana:restituisce operai e manager del crimine ai loro gesti, ai loro tic, al loro linguaggio, alla loro infernalequotidianità, e proprio per questo li colpisce nel vivo.

Stefano PiedimonteNel nome dello Zio

Guanda, 2012

L’AMORE AI TEMPI DEL NAZISMO

Ai tempi del nazismo c’era l’amore. C’era anche a Viennadurante l’Anschluss (annessione) del 1938. La bella e giovane Trudi Miller, apprezzata modista specializzatanella creazione di cappelli in un atelier per le donne piùeleganti della città, si innamora di Walter, uomo d’affariaffascinante. Il loro amore però dovrà fare i conti conl’antisemitismo e la persecuzione dei nazisti perchéentrambi sono ebrei e quando le truppe tedescheentrano in Austria saranno costretti a fuggire. Trudi lottacon tenacia per difendere il suo amore e i suoi genitori,sapendo che ogni momento potrebbe essere fatale per il loro futuro. Un’incredibile storia di vita vissuta che da Vienna a Praga, dall’Est Europa fino alla Londra dei bombardamenti, racconta dei disperati tentativicompiuti da questa giovane donna per garantire un rifugio sicuro a sé e a Walter, per fuggire dagli orroriche hanno inghiottito l’Europa.

Trudi KanterRagazze, cappelli e Hitler. Una storia d’amore

edizioni e/o, 2012

a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a [email protected]

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inglese, è troppo buona per farglieneuna critica. D’altra parte, molte delleposizioni del “nuovo” New Labour sutemi importanti come riforma dellepensioni, fisco o immigrazione nonsono poi così diverse da quelle deltanto rinnegato Tony Blair. TuttaviaEd Milliband, rilanciando a due annidall’elezione a segretario l’idea di una“One Nation” fondata su più marcatiprincipi solidaristici di equità e giu-stizia, ha impresso una svolta radica-le al suo partito, con l’obiettivo di ri-muovere tra gli elettori il ricordo diquel “Liblairismo” giudicato troppodebole con la City.

Riformare il welfare, sostenere lacrescita, mantenere la finanza pubblicasotto controllo non possono far dimen-ticare «il gap inaccettabile tra ricchi epoveri», ha sostenuto Milliband davan-ti a una platea entusiasta: qualsiasi go-verno dovrebbe chiedere «a chi ha dipiù di prendersi più e più grandi re-sponsabilità e alle banche di servire ilPaese e non di servirsene per i loro inte-ressi». Il messaggio è arrivato a Londracome uno tsunami: o entro le prossimeelezioni la City approverà autonoma-mente riforme sostanziali e si adegueràalle raccomandazioni della commissio-ne Vickers sullo scorporo delle attivitàdi casinò banking – con tutto ciò che

questo comporta – o lo farà, per decreto,il suo prossimo governo.

E in molti, all’ombra di Westminster,guardando la soddisfazione dell’ex sin-daco Ken Livingstone, lui sì fiero untempo del soprannome di “Ken il Rosso”,hanno subito riattivato i canali lobbisti-ci con il governo conservatore tanto chepochi giorni dopo, nel chiudere la suaconvention dal palco della vicina Bir-mingham, l’attuale primo ministro Ca-meron non ha speso neanche una paro-la sul ruolo delle banche e sulle tanteriforme mancate del settore finanzia-

rio, perdendo forse quei punti di con-senso decisivi nella sua rincorsa al votoin libera uscita dei Liberal Democratici.

I rischi per Milliband non sono po-chi, tra tutti quello di avvantaggiareconcorrenti europei in un settore strate-gico per il Regno Unito, con possibili ri-cadute negative su molti altri settorieconomici. Inoltre, dal punto di vistadelle relazioni con i partner d’Oltrema-nica, pesano i timori per l’esito, tutt’altroche scontato, delle elezioni in Italia eGermania. Ma l’aspirazione di Millibandè ambiziosa: riportare al centro dell’azio-ne di governo alcuni dei valori fondantidella politica e della società britannicafin dai tempi dell’epopea vittoriana.

Centociquanta anni fa fu BenjaminDisraeli, un conservatore tutto d’un pez-zo, a promuovere per primo l’idea della“One Nation” sulla quale punta oggi “Edil Rosso”: in un suo celebre discorso a di-fesa del Cartismo (il primo movimentopolitico di massa del mondo al quale ilRegno Unito deve, tra l’altro, l’adozionedel suffragio universale) Disraeli in-timò, a chi nel suo partito appariva qua-si esclusivamente alla ricerca spasmo-dica e confusa del benessere materiale,che «il potere ha uno e un solo dovere,quello di assicurare il benessere socialedi tutta la comunità».

[email protected]

I nuovi laburisti inglesi“Ed il Rosso”e la fine del Liblairismo

dal cuore della City Luca Martino

Lo ha ripetuto per l’ennesima volta anche pochi giorni fa alla conventionannuale di Manchester : l’appellativo di “Ed il Rosso” non gli piace. Il pa-dre, accademico marxista nato in Belgio da genitori ebrei di origine po-

lacca, ne sarebbe invece stato orgoglioso. E anche la madre probabilmente, an-che se, come ha ricordato il quarantatreenne candidato nuovo primo ministro

Il segretario del New Labourpromette un cambio di rottarispetto agli anni di Blair

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L’AZIONE IN VETRINA KRAFT

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Il rendimento in Borsa di Kraft negli ultimi dodici mesi (in marrone, +27%) confrontato con l’indice Eurostoxx 50 (in arancio, +17%%)

Kraft, cose buone dal mondo. Incarta-te, inscatolate, avviluppate da rotolidi alluminio, plastica colorata, muc-

che viola e in gelatina. Alla fine tutti rifiutiche, nella migliore delle ipotesi, gonfiano isacchi del secco e, nella peggiore, finisconoindistintamente in discarica, sul ciglio dellastrada o galleggiano fieri sui greti di ruscellimontani. Ecco, se si iniziasse a ridurre que-sta pletora di scatole e scatolette, sacchi esacchetti, forse ne trarremmo tutti un po’ dibeneficio: l’aria, l’acqua, ma anche la stessaKraft, che risparmierebbe qualche dollaro dimateriali, dopo averne spesi milioni percambiare il brand aziendale da Kraft a Mon-delez (googlare per credere). All’azienda lohanno fatto notare gli azionisti critici di AsYou Sow, associazione non profit california-na che prende il nome da un passo della Bib-bia (“Quello che tu semini, raccogli”, Galati6:7). Per ora ha raccolto il 25,6% dei voti degliazionisti. Non sono bastati per far passare lamozione sugli imballaggi, ma è già un buonrisultato. Avanti così seminatori california-ni. Un giorno, grazie a voi, il sacco del seccopotrebbe diventare più leggero.

Kraft: meno imballaggi, meno rifiuti a cura diMauro Meggiolaro

KFT-U.TI 21,1510 ott 2012: ^DJI 13485,97

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Sede Northfield, Illinois Usa Borsa NasdaqRendimento negli ultimi 12 mesi +27%Attività La Kraft Foods Inc. è la più grande azienda alimentare dell’America settentrionale e la seconda più grandeal mondo dopo la Nestlé. È nota ai consumatori per le cioccolate Milka e Cadbury, i biscotti Lu, le caramelle Halls e il formaggio Philadelphia.Azionisti principali Società a capitale diffuso. State Street (7,81%); Capital Research Global Investors (7,33%);Vanguard Group (6,38%); Warren Buffett (5,07%).Perché interessa agli azionisti responsabili? Kraft è stata spesso criticata dai consumatori e dagli azionistiattivi perché per un lungo periodo (1988-2007) il maggiore azionista della società è stato il colosso del tabaccoAltriaPhilip Morris. Oggi Altria non detiene più alcun interesse in Kraft. Kraft è considerata una delle imprese piùresponsabili nel settore alimentare.

Kraft www.kraft.com

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Ricavi [Miliardi di dollari] 54,36 Utile [Miliardi di dollari] 3,55Numero dipendenti 126.000

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Sede San Francisco, California, UsaTipo di società Organizzazione non profit per la tutela dell'ambiente e dei consumatori. Dal 1992 promuove campagnedi educazione sulla presenza di sostanze chimiche tossiche nei prodotti di consumo (alimentari, giocattoli, ecc.). Alla formazione dei consumatori si accompagnano, dal 1997, iniziative di azionariato critico nei confronti di impreseche violano i diritti dei consumatori o norme ambientali. Asset gestiti As You Sow non gestisce patrimoniL’azione su Kraft As You Sow ha presentato una mozione all’assemblea di Kraft chiedendo alla società di adottare una politica di riduzione del packaging per diminuire la quantità di rifiuti e le emissioni di CO2. La mozione è stata votata dal 25,6% degli azionisti. Altre iniziative Nel 2012 As You Sow ha presentato mozioni alle assemblee di 11 imprese su una serie di temi:riduzione dei rifiuti elettronici, rischi collegati allo shale gas e all'estrazione di carbone.

As You Sow www.asyousow.org

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