Mensile Valori n. 89 2011

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valori Anno 11 numero 89. Maggio 2011. € 4,00 Dossier > L’Italia ha un ritardo di innovazione decennale. Serve una politica industriale La bella economia Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R. DOROTHEA SCHMID / LAIF Finanza > Nulla di nuovo allo sportello: alti rischi dietro promesse di guadagni facili Economia solidale > Dal “Villaggio della solidarietà” il diritto alla fuga per salvarsi Internazionale > L’Islanda ha staccato la spina alle banche ed è risalita dagli inferi Continua l’inchiesta Ingredienti made in Italy a rischio : il pesce a pag.50

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Mensile di finanza etica, economia sociale e sostenibilità Continua l’inchiesta Ingredienti made in Italy a rischio: il pesce. Dossier . L’Italia ha un ritardodi innovazione decennale . Serve una politica industriale Finanza . Nulla di nuovo allo sportello: alti rischi dietro promesse di guadagni facili Economia solidale . Dal “Villaggio della solidarietà” il diritto alla fuga per salvarsi Internazionale . L’Islanda ha staccato la spina alle banche ed è risalita dagli inferi

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valoriAnno 11 numero 89. Maggio 2011.€ 4,00

Dossier >L’Italia ha un ritardodi innovazione decennale.Serve unapolitica industriale

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| editoriale |

Cercasi palestredi creatività

di Vincenzo Barone

NEL PASSATO LE SCIENZE APPLICATE si sono occupate di risolvere i problemi separatamente producendo sostanzesempre più efficienti per gli scopi che man mano venivano proposti, senza valutare approfonditamentel’impatto ambientale dei prodotti e la sostenibilità nel medio e lungo periodo dei processi produttivi.Oggi sono possibili e praticabili scenari ‘virtuosi’ in cui, ad esempio, vengano usate come materie primefonti rinnovabili al posto del petrolio, o gli scarti di un processo produttivo divengano i prodottidi partenza di un altro, in un quadro complessivo più integrato, sostenibile e razionale.Spetta però alla politica il compito di creare le condizioni che consentano a questa nuova visionedi affermarsi, sia perché essa sottende una significativa riconversione industriale, sia perché è necessariaun’interazione maggiore tra industrie e ricerca avanzata che deve essere opportunamente guidatae motivata. Anche se esistono alcuni esempi di questo tipo nel campo delle plastiche biodegradabili,dei prodotti per la bioedilizia o della concia ecologica delle pelli, essi tuttavia sono generalmente moltolocalizzati e di piccole dimensioni.

In termini di innovazione, di competitività, ma anche di sostenibilità e compatibilità ambientaledei processi, le piccole e medie imprese (Pmi) potrebbero ricavare un enorme beneficio dall’accessoad una ricerca di alto livello; tuttavia, per motivi strutturali ed economici, una ricerca di questa portatanon può essere realizzata all’interno della Pmi. In altre parole, una gestione meno episodicadell’interazione con le strutture pubbliche di ricerca è strategica per garantire una focalizzazionesull’innovazione industriale, ma al tempo stesso per consentire la pianificazione di obiettivi a medioe lungo periodo, difficilmente accessibili con gli strumenti tradizionali.

È logico che questo tipo di interazioni si basi sull’individuazione di specifici ambiti strategici,identificati sia in base al loro radicamento nello specifico contesto territoriale, sia per le prospettive di sviluppo e per le potenzialità applicative. Se utilizzata senza correttivi, questa prassi comporta però il rischio di causare un impoverimento di un panorama che è ricco e vario sia sul piano della ricerca, siadelle realtà produttive. Se la grande maggioranza degli sforzi organizzativi e finanziari oggi si concentra su pochissime aree (medicina e fisica delle alte energie soprattutto), questi settori importantissimi,che meritano investimenti ingenti, non sono, però, omnicomprensivi e non possono da soli trainare tutti gli sviluppi scientifici e industriali necessari al Paese.

In senso anche più radicale, è cruciale salvaguardare uno spazio ragionevole per la ricerca“curiosity-driven”, mantenendo in funzione delle vere e proprie palestre di creatività che rappresentanouna scommessa sul futuro: ricerche non immediatamente finalizzate sono state spesso foriere di imprevedibili sviluppi, con concrete e significative ricadute non solo scientifiche, ma ancheapplicative. Questo discorso porterebbe molto lontano e non può certo essere affrontato in poche righe, ma, al contempo, non può essere sempre trascurato a favore di problematiche emergenziali e di brevissimo periodo. Gli addetti ai lavori debbono, a mio avviso, rivendicare il proprio ruolodecisionale assieme alle altre componenti, argomentando in maniera appropriata la validitàdei propri punti di vista e documentando in modo oggettivo le molte eccellenze ancora presenti in Italiain questo campo, nonostante gli scarsi finanziamenti, il disinteresse della classe politica e la pessimaconsiderazione che l’opinione pubblica ha, in modo troppo generico e disinformato, della ricercanazionale e dei ricercatori operanti in Italia. .

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L’AUTOREVincenzo Barone Nato ad Ancona l’8 novembre 1952, è professore ordinario di Chimica fisica dal novembre 1994. Dal 1°gennaio 2009 è stato chiamato a ricoprire la nuova cattedra di Chimica teorica e computazionale pressola Scuola normalesuperiore di Pisa.È presidente dellaSocietà chimica italianaper il triennio 2011-2013. È autore di oltre500 pubblicazionisu riviste internazionalicon un totale di oltre 20 mila citazionie un h-index di 61.

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| sommario |

valoriUna piscina nel mezzo della ex fabbricaZollverein in una miniera di carbone. Uno dei molti esempi di riconversioninell’area della Ruhr, nella North Rhine-Westphalia, in Germania. Nel 2010 la città di Essen, insieme a tutta l’areametropolitana della Ruhr, è statanominata capitale europea della cultura(insieme a Pécs, in Ungheria, e Istanbul,in Turchia). È la prima volta che un’interaregione ottiene questo titolo.D

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maggio 2011mensilewww.valori.itanno 11 numero 89Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005editoreSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Copernico, 1 - 20125 Milanopromossa da Banca EticasociFondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci,FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba CislNazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba CislBrianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani,Publistampa, Federazione Trentina delle Cooperative,Rodrigo Vergara, Circom soc. coop., Donato Dall’Avaconsiglio di amministrazionePaolo Bellentani, Antonio Cossu, Donato Dall’Ava,Giuseppe Di Francesco, Marco Piccolo, Fabio Silva,Sergio Slavazzadirezione generaleGiancarlo Roncaglioni ([email protected])collegio dei sindaciGiuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzonedirettore editorialeMariateresa Ruggiero([email protected])direttore responsabileAndrea Di Stefano ([email protected])caporedattoreElisabetta Tramonto ([email protected])redazione ([email protected])Via Copernico, 1 - 20125 MilanoPaola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini,Francesco Carcano, Matteo Cavallito, CorradoFontana, Emanuele Isonio, Michele Mancino,Mauro Meggiolaro, Andrea Montella, Jason Nardiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna, Simona Corvaia([email protected])fotografieRoberto Caccuri, Davide Monteleone, Shobha(Contrasto), Christoph Bangert, Dorothea Schmid(Laif), Afolabi Sotunde (Reuters), Clkokamekun, Bernard McManus, Maria Vittoria Trovato, Bill WardstampaPublistampa Arti graficheVia Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento)abbonamento annuale ˜ 10 numeriEuro 35,00 ˜ scuole, enti non profit, privatiEuro 45,00 ˜ enti pubblici, aziendeEuro 60,00 ˜ sostenitoreabbonamento biennale ˜ 20 numeriEuro 65,00 ˜ scuole, enti non profit, privatiEuro 85,00 ˜ enti pubblici, aziendecome abbonarsiI carta di credito

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I bonifico bancarioc/c n°108836 - Abi 05018 - Cab 01600 - Cin ZIban: IT29Z 05018 01600 000000108836della Banca Popolare Etica Intestato a: Società Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1 - 20125 MilanoCausale: abbonamento/Rinnovo Valori +Cognome Nome e indirizzo dell’abbonato

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È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricercheeseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamentedisponibile ad adempiere ai propri doveri.

Il Forest Stewardship Council (Fsc) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.

*LIPPER FUND AWARDS 2009Rendimenti a tre anni (2006-2008)Valori Responsabili Monetario e Valori Responsabili Obbligazionario Misto

Premio Migliori Risultati Categoria Risparmio Gestito

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MILANO FINANZA GLOBAL AWARDS 2009Valori Responsabili Obbligazionario Misto - Rendimento a un anno (2008)

ETICA SGR: VALORI IN CUI CREDERE, FINO IN FONDO.

Etica Sgr è una società di gestione del risparmio che promuove esclusivamente investimenti finanziari in titoli diimprese e di Stati selezionati in base a criteri sociali e ambientali.L’investimento responsabile non comporta rinunce in termini di rendimento. È un investimento “paziente”, nonha carattere speculativo e quindi ben si coniuga con la filosofia di guadagno nel medio-lungo termine comunea tutti gli altri fondi di investimento.

Parliamo di etica, contiamo i risultati.

I fondi Valori Responsabili si possono sottoscrivere presso tutte le filiali e i promotori di Banca Popolare Etica, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio,Banca di Legnano, Simgest/Coop, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Casse Rurali Trentine, Banca Popolare dell’Alto Adige, Banca della Campania, Eurobanca delTrentino, Banca Popolare di Marostica, Eticredito, Cassa di Risparmio di Alessandria, Banca di Piacenza, Online Sim e presso alcune Banche di Credito Cooperativo.Per maggiori informazioni clicca su www.eticasgr.it o chiama lo 02.67071422. Etica Sgr è una società del Gruppo Banca Popolare Etica. Prima dell’adesioneleggere il prospetto informativo. I prospetti informativi sono disponibili presso i collocatori e sul sito www.eticasgr.it

Fondi etici: l’investimento responsabile

GIOCOLa borsanon è un

LETTERE, CONTRIBUTI, ABBONAMENTI, PROMOZIONECOMUNICAZIONE, AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Copernico 1, 20125 Milano

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globalvision 7

fotonotizie 8

dossier La bella economia 14I due piani inclinati della trasformazione o del declino 16Ripartire dai territori per trasferire valore aggiunto alle produzioni 18Cremaschi: Riconversione industriale e sociale contro il trionfo del mercato 19Storie (di successo e non) di imprese che hanno provato a cambiare 20La rinascita degli scheletri dell’industria che fu 24

benessere 27

finanzaeticaAllo sportello nulla è cambiato. Guadagni facili e rischi altissimi 28La convenienza economica del nucleare è tutta propaganda 34Enel avanti sull’atomo. Alcuni azionisti dicono di no 38Eni senza una donna e con troppi politici 39Via libera da Bankitalia. La “nuova” Zopa ai blocchi di partenza 40

economiasolidale“Villaggio della solidarietà”. Il diritto alla fuga per salvarsi la vita 42San Francesco: un nido contro le mafie 47Score. Rinnovabili e criminalità. Parola d’ordine: prevenire 49Made in Italy a rischio/4. Quante spine lungo la via del pesce 50

ipotesidicomplotto 55

internazionaleLa primavera di Reykjavík 56Tchenguiz-Zunino. Tutto il mondo è quartierino 60Irlanda. Il cielo (grigio) sopra Dublino 61Grameen: Yunus non si arrende. Ma Unicredit lo ha già scaricato 62

islamfinanzasocietà + lavanderia 65

altrevoci 66

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Un mondo piattodove volano i cigni neri

Crisi e globalizzazione| globalvision |

di Alberto Berrini

ON SONO PASSATI MOLTI ANNI da quando i teorici o meglio “i profeti” della globaliz-zazione ci avevano spiegato che ormai il mondo era diventato “piatto” (ThomasFriedman, The world is flat, 2005). Un Pianeta in cui, soprattutto grazie alla tec-

nologia, le distanze si erano annullate e il mondo non era che un grande campo da gioco ingrado di offrire opportunità straordinarie per le imprese (incremento degli utili) e per i consu-matori (acquisto di “infinite” merci a costi contenuti).

Ma un mondo piatto, dove cioè capitali e merci, ma anche uomini, si muovono liberamenteal suo interno è soggetto, o meglio è molto vulnerabile, ad ogni sorta di crisi (politico-sociale, eco-nomica e naturale) che da locale diventa inevitabilmente globale. E i profeti della globalizzazionenon si erano preoccupati della possibilità o meglio della nostra capacità di gestire tali rischi.

La crisi finanziaria scoppiata nel 2007 eil terremoto giapponese costituiscono dueesempi evidenti di tali rischi e di come sia imercati che le società siano stati incapaci diprevederli ed inefficaci a gestirli. E non a ca-so è facile ritrovare parecchie analogie tra idue avvenimenti di crisi appena citati. A co-minciare dalla velocità di propagazione, aicosti delle conseguenze di tali eventi, ma an-che all’incapacità dei regolatori di prevede-re e prevenire tali crisi.

Ma soprattutto - ed è questa l’analogiafondamentale - è emersa la difficoltà di va-lutare il rischio nei sistemi complessi. “Gliesperti in campo nucleare e finanziario ciavevano assicurato che le nuove tecnologieavevano pressoché eliminato il rischio diuna catastrofe. Ma gli avvenimenti li hannosmentiti categoricamente” (Joseph Stiglitz,“Da Fukushima a Wall Street”, La Repubbli-ca, 11 aprile 2011).

Eventi isolati,ma dirompentiIn particolare “sia i modelli dirischio finanziario che quellidi rischio nucleare sembranonon aver preso correttamentein considerazione le correla-

zioni tra rischi differenti. Mentre le istitu-zioni finanziarie cercavano di ridurre i ri-schi combinando mutui di bassa qualità,il sistema di raffreddamento della centra-

le era in grado di resistere sia aun blackout che a un terremotoo uno tsunami. Ma in entram-bi i casi le probabilità di realiz-zazione degli eventi negativierano correlate e, quando glieventi si sono materializzati simultaneamente, hanno cau-sato una catastrofe” (G. Zach-mann, “Crolli e propagazio-ni”, www.ilsole24.com, 4 apri le2011).

Detto in breve, in un mon-do piatto, ossia caratterizzatoda infinite relazioni, e quindicomplesso, la possibilità del ve-rificarsi di eventi con probabi-lità bassa, ma di grande impatto,aumenta considerevolmente. Èciò che è stato chiamato “il ci-

gno nero”, un evento isolato e inaspettatoma che ha un impatto enorme. Per defini-zione tali eventi non sono prevedibili. Maè altrettanto evidente che l’aumento dellafrequenza del loro accadere negli ultimidecenni non può essere casuale.

Forse in un mondo meno piatto, ossiapiù regolato, i cigni neri avrebbero più dif-ficoltà a spiccare il volo! .

La crisi finanziaria e il terremotoin Giappone ci insegnano che in un sistema globalizzato le ripercussioni arrivano ovunque

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valoriAnno 10 numero 76. Febbraio 2010. € 4,00

Dossier > Costruire insicurezza: violenza in tv, città-ghetto, troppo uso del carcere

Holding della paura

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Fotoreportage > Centro penale Quezaltepeque

Finanza > Vitol, Trafigura, Glencore: i nomi sconosciuti dei nuovi padroni del petrolioEconomia solidale > Cos’è l’altra economia? Il Tavolo Res mette i puntini sulle “i” Internazionale > America latina: la Cina allunga le mani. E gli Usa retrocedono

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PetrolioLa Banca Mondialepredica benee finanzia male

La World Bank continua a sostenere i progetti per l’estrazione di combustibilifossili, infischiandosene dei suoistessi standard ambientali. E accrescendo la povertà e l’inquinamento nei Paesi nei quali arrivano i finanziamentiper la realizzazione di tali opere. A rivelarlo è la ricerca World Bank,climate change and energyfinancing: something old.Something new?, promossa dalla Campagna per la Riformadella Banca Mondiale (Crbm) e da altre sei Ong internazionali. Tramite l’analisi di sette casestudies, le associazioni puntano il dito sulle incongruenzedell’istituto di Washington, rimasto a loro avviso troppo legatoagli interessi dei Paesi occidentali.È stata d’altra parte la stessaBanca Mondiale, nel 2003, a commissionare il rapportoExtractive Industries Review, che sottolineava l’impattonegativo legato all’eccessivadipendenza da carbone, gas e petrolio. Eppure, di fatto, non ha mai recepito le sue stesse raccomandazioni,continuando a finanziare,direttamente o indirettamente,l’estrazione dei combustibili.Proprio mentre la Banca Mondialemette a punto la sua nuovastrategia energetica per il periodo2011-2014, la voce critica della Crbm può servire ad alimentare il dibattito pubblico:che è necessario e prezioso, dal momento che la posta in giocoè molto alta. L’istituto, infatti,punta alla leadership nellagestione delle risorse messe a disposizione per il Green ClimateFund delle Nazioni Unite, chefornirà fondi per le compensazionie le misure di adattamento legateai cambiamenti climatici. «La revisione in corso della politica energetica della Banca - ha spiegato Antonio Tricarico,coordinatore della Crbm - è la cartina di tornasole per comprendere se e quantoquesta controversa istituzioneglobale possa essereautenticamente riformata a vantaggio della sostenibilità e dei poveri. Si tratta di sceglierese continuare nel business as usual o cambiare rotta».

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GiapponeI “risarcimenti” di Tepco: 8 mila euro a famiglia evacuata

La Tokyo Electric Power (Tepco) - società che si occupa della gestione della centralenucleare di Fukushima (così come di numerosi altri impiantigiapponesi) - ha annunciato che verserà un primo risarcimento.A beneficiarne saranno i cittadiniche si sono visti costretti ad abbandonare le proprie case a causa delle emissioni radioattiveche hanno contaminato l’area in seguito al terremoto e allotsunami dello scorso 11 marzo.La Tepco ha stanziato una primasomma pari ad un milione di yen(8.300 euro) per ciascuna famigliacostretta a lasciare la propriaabitazione. Immediatamente si è levato un coro di critiche, non solo da parte degliambientalisti. Molti osservatorihanno giudicato, infatti, irrisoria la somma (che, tra l’altro, scendea 750 mila yen, 6.200 euro circa,per le persone che vivevano da sole nella regione che circondala centrale). Va sottolineato che i pagamenti della Tepcocostituiscono (o almenodovrebbero costituire) una sorta di “acconto”, dal momento che il governo ha già dichiarato di voler risarcire tutte le personeche risiedono nella zona evacuata,che si estende per un raggio di 20 chilometri attorno alla centrale nucleare. Chi invece abita nel tratto compreso tra i 20 e i 30 chilometri è stato autorizzatoa restare (anche se le autoritàhanno sconsigliato di uscire di casa): anche per loro è previsto un indennizzo. Complessivamentesono circa 48 mila le famiglieinteressate, secondo quantoriportato dai media giapponesi. In totale, perciò, la Tepco dovràversare 50 miliardi di yen, pari a 420 milioni di euro. «Risponderemoalla richiesta di indennizzi di quantisono stati direttamente colpitidalla crisi, anche in funzione dei loro bisogni futuri», ha dichiarato il presidente della compagnia,Masataka Shimizu, in una conferenzastampa presso il quartier generaledi Tokyo. Il dirigente ha aggiuntoche la Tepco «continuerà a collaborare con governo e autorità locali al fine di portare la situazione sotto controllo.Attualmente siamo nella situazionepiù critica e difficile nella storiadella nostra azienda: ora dobbiamoaiutare le persone costrette ad abbandonare l’area e offriregaranzie sulla fornitura di elettricità».C

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| fotonotizie |

LibiaHuman RightsWatch:«Cluster bombs sugli insorti»

La guerra in Libia (a proposito:c’è qualcuno che ancorapreferisce chiamarla con qualchealtro termine politicamentecorretto?) si condisce di giorno in giorno di particolariagghiaccianti. Come sempre in caso di conflitti armati. Nellescorse settimane il regime libicodi Muammar Gheddafi è statoaccusato di aver utilizzato le famigerate cluster bombs(bombe a grappolo, ovvero ordigni vietati dalle convenzioniinternazionali, che si frammentanoprima di colpire l’obiettivo in centinaia di “piccole” bombe)nelle zone residenziali in cuicombatte contro i ribelli. A muovere la pesante accusa nei confronti del governo di Tripoliè stata l’organizzazione HumanRights Watch (Hrw). E la notizia è stata confermata dagli stessirivoltosi. «È odioso che la Libiautilizzi questo tipo di bombe - ha commentato Steve Goose,direttore della sezione armi di Hrw, in un comunicato - soprattutto in zone residenziali queste armi mettono a rischio la popolazione civile, sia durantegli attacchi sia in seguito, perchèvengono disperse numerosecariche inesplose».«Assolutamente falso. Moralmentee legalmente: non possiamo fare questo contro i nostri civili»,ha replicato alla stampa il portavoce del governo, Mussa Ibrahim, aggiungendo che «se utilizzassimo questebombe, le prove resterebbero per giorni, settimane. Sappiamoche la comunità internazionaleverrà presto nel nostro Paese.Anche per questo, non potremmopermettercelo». L’associazione,invece, conferma l’accusa, citando alcuni operatori che sono stati testimonidell’esplosione di almeno tre ordigni a frammentazione nella notte tra il 15 ed il 16 aprile nel distretto di El Shawahda. Fonti ufficiali del principaleospedale di Misurata, l’Hikma,hanno riferito all’agenzia France-Presse di aver ricevuto nel corso della stessa notte 5 cadaveri e 31 feriti.

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Page 8: Mensile Valori n. 89 2011

La compatibilità conl’ambiente e il rispetto dei

diritti sociali sono due facce dello stesso problema:

come trasformare laproduzione in senso

realmente sostenibile

a cura di Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Corrado Fontana e Roberto Romano

Immagini della riconversione della exManifattura Tabacchi a Napoli. Un’area di circa

170 mila metri quadrati trasformata in unnuovo quartiere urbano con attività

commerciali, residenze e ampi spazi pubbliciper l’aggregazione sociale.

I due piani inclinati della trasformazione o del declino >16Dai territori valore aggiunto alle produzioni >18Il sociale contro il trionfo del mercato >19Bames: da good news a incubo per i lavoratori >20Ferraria Solis: riconversione (quasi) riuscita >21La seconda vita delle bietole >23La rinascita degli scheletri dell’industria che fu >24dossier

| 14 | valori | A N N O 1 1 N . 8 9 | M A G G I O 2 0 1 1 | | A N N O 1 1 N . 8 9 | M A G G I O 2 0 1 1 | valori | 15 |

Industria lavoro

società&

Riconvertire

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| dossier | la bella economia |

| A N N O 1 1 N . 8 9 | M A G G I O 2 0 1 1 | valori | 17 |

| dossier | la bella economia |

| 16 | valori | A N N O 1 1 N . 8 9 | M A G G I O 2 0 1 1 |

una montagna difficilmente scalabile intempi brevi, perché si accumulano come di-vario tecnologico. È questa l’opinione diSergo Ferrari, ex vice direttore generale del-l’Enea, l’Agenzia nazionale di ricerca e in-novazione tecnologica nei settori dell’ener-gia, dell’ambiente e delle nuove tecnologie:«Dal 1983 cresciamo meno rispetto all’Eu-

ropa. Con l’euro poi, non possiamo più ri-correre alle periodiche svalutazioni della li-ra per rendere più concorrenziali le nostreesportazioni e abbiamo, quindi, accentuatoil nostro declino».

Il ruolo della politicaPer uscire da tale declino bisogna riconverti-re la produzione innovando e, per innovare,tutti gli attori devono fare la loro parte: chiha la conoscenza, chi può investire e chi puòprodurre. Mentre il regista, cioè la politica,dovrebbe far incontrare tutti questi mondi edirigerli, programmando e indirizzando lapolitica industriale. Ma nella pratica questoimportante ruolo non viene svolto e anchequi le critiche che gli addetti ai lavori muo-vono allo politica sono sconsolate e presso-ché unanimi: non si va al di là di strategie dibreve termine, dai contenuti contradditori(vedi il brusco annuncio dell’interruzionedegli incentivi alle rinnovabili) e disconti-

nui, con ottiche di scala troppo piccole etroppo poco redditizie. Rispetto ad altri Pae-si europei, per esempio, spendiamo di piùportando a casa di meno (vedi ).

Il trasferimento alle Regioni di molticompiti-quadro della ricerca, poi, ne limital’orizzonte: «Bisogna pensare a nuove for-me di network», suggerisce Vincenzo Baro-ne, professore di chimica teorica alla Nor-male di Pisa e presidente della Societàchimica italiana, «perché le grandi multi-nazionali riescono a fare ricerca a lungo ter-mine, le piccole imprese no. Anche la strut-tura dei nostri gruppi di lavoro è troppopiccola. Occorre ripensare – continua Baro-ne – il rapporto tra ricerca universitaria e ri-cerca industriale, per andare oltre il livelloregionale. Ma soprattutto servono modellinuovi: nel Piano nazionale della ricerca c’ètutto, ma non su cosa investire».

Fermate il treno, voglio salireIn quale direzione indirizzare la riconversio-ne? «In Italia servirebbe una politica indu-striale - spiega Roberto Romano, economista- capace di coniugare offerta e domanda ditecnologia e innovazione, in particolare neisettori delle energie rinnovabili e ambien-tali, che registrano tassi di crescita doppi ri-spetto ai settori manifatturieri ad alta tec-nologia. L’orizzonte potrebbeessere quello del progetto Euro-pa 2020, che ha tra gli obiettiviprincipali la spesa in ricerca esviluppo pari al 3% del Pil e gli

TABELLA

obiettivi “20/20/20” clima/energia». L’importanza del climate-energy target è

confermata dal ruolo inedito della Bei, laBanca europea degli investimenti, che hadeciso di stanziare il 30% dei propri fondiper sostenere la crescita sostenibile e un fu-turo a bassa emissione di biossido di carbo-nio. Ma, di fronte a treni come quelli dellagreen economy di “Europa 2020” – in cui sidelinea la possibilità di “svincolare la cre-scita economica dalle emissioni di CO2 edall’impiego delle risorse”, un obiettivo cheRoberto Romano non esita a definire «sen-za precedenti nella storia del capitalismo» –arranchiamo. Perché, per soddisfare la do-manda interna di sostituzione di beni conprodotti “verdi”, ogni euro installato è uneuro importato. «Solo chi produce beni eservizi innovativi aumenta la propria quotadi commercio internazionale – concludeRomano – perché intercetta la nuova do-manda di beni e servizi».

Fondamentale quindi il trasferimentodella ricerca alla produzione. «Ricerca epiccole/medie imprese si guardano ora ne-gli occhi con meno diffidenza», spiega Re-nato Bozio, preside della facoltà di Scien-ze all’università di Padova e presidente diVeneto Nanotech. «Certo le risorse a di-sposizione non sono molte. Il modelloche penso possa dare risultati è quello dei

Fraunhofer Institute tedeschi (vedi ).Le strutture devono reggersi facendo ri-

cerca e ricevendo finanziamenti dal pubbli-co. A NanoFab – continua Bozio – il labora-torio a Marghera per il trasferimento dellenanotecnologie alle imprese, dopo cinqueanni siamo arrivati al punto di pareggio».

Qualità della produzioneuguale qualità di vitaConiugare green economy, politica industria-le e lavoro è una sfida sicuramente inedita,che coinvolge tutte le principali aree econo-miche mondiali. È talmente inedita che c’èchi si chiede se sia sufficiente tutelare l’am-biente cambiando la produzione o non sidebba invece affrontare il tema più generaledel miglioramento della qualità della vitadelle persone, eliminando le diseguaglianzeinsite nel sistema produttivo capitalista.

Per Sergio Ferrari il momento è maturo:«Oggi è possibile sfamare tutti con moltemeno ore di lavoro, senza ridurre il livellodi vita. Non abbiamo più nemmeno lospauracchio demografico perché ci stiamo“plafonando”. E poi il miglior contenimen-to della popolazione è l’istruzione alle don-ne. Oltre a criticare il Pil – continua Ferrari –è arrivato il momento di distribuirlo: devoe posso eliminare le diseguaglianze, non so-lo nel reddito, ma nel recupero del poteredecisionale. Vorrei poter dire la mia sul fat-to che le centrali nucleari non servono evorrei anche andare a vedere un museo».

Sicuramente è questa la riconversionepiù attesa..

BOX

I due piani inclinatidella trasformazione o del declino

di Paola Baiocchi

a reazione che hanno gli addetti ai lavori - economisti, ricer-

catori, sindacalisti - quando si parla di riconversione indu-

striale in Italia, è quella di mettersi le mani nei capelli. Non perché

manchi la ricerca di alto livello o la richiesta di produzioni “sosteni-

bili”, ma perché il “sistema Italia” somma ritardi nell’innovazione or-

mai decennali e quindi si chiude in così pochi casi il circuito virtuoso

che porta dalla ricerca alla produzione da non costituire una norma

di indirizzo. Anzi, i punti di Pil non spesi in ricerca rispetto alla media

europea - circa 15 miliardi di euro l’anno negli ultimi 10 anni - formano

L

IL MODELLO TEDESCO DEI FRAUNHOFER INSTITUTE

LA RICERCA SULLA SCIENZA applicata in Germania si chiama Fraunhofer Institute: 60 istituti, ognuno specializzato su un tema, dalla biologia molecolare alla meccanicadei materiali, con un budget annuale globale di 1,85 miliardi di euro e 18 milaoccupati. L’Istituto è nato nel dopoguerra, ma il Fraunhofer model è del 1973 e prevede che il 70% del reddito dei centri di ricerca derivi da commesse e il 30% sia costituito, per sostenere la ricerca preparatoria, da contributi pubblici federali e statali. Dal 1977 la responsabilità politica del Fraunhofer è condivisa tra i ministeridella Difesa e della Ricerca.

Uno dei brevetti più conosciuti del Fraunhofer Institute è l’algoritmo di compressione MP3, che ha generato 100 milioni di euro di fatturato da licenze nel 2005. Ad oggi sono più di 150 le società nate dagli Istituti Fraunhofer.L’organizzazione ha sette centri negli Stati Uniti (Fraunhofer Usa), tre in Asia e ha annunciato la prossima apertura di una sede in Sud America. Pa.Bai.www.fit.fraunhofer.de.

La riconversione più attesa è quella che coniuga difesadell’ambiente con qualità della vita e potere decisionale

QUANTO PIL PRODUCONO GLI INVESTIMENTI INDUSTRIALI

1996-2000 2000-2005 2006-2010 PREVISIONI 2011

PRINCIPALI INDICATORI MACROECONOMICI (MEDIA ANNUA)

Pil UE 2,74 1,68 0,8 2,1

Pil Ita 2,02 0,92 -0,3 1

Ue investimenti fissi lordi 3,96 0,74 -0,3 3,1

Ita investimenti fissi lordi 4,38 0,72 -1,7 2,5

TASSO DI ELASTICITA DEGLI INVESTIMENTI SUL PIL *

Tasso di elasticità degli investimenti sul Pil nell'Unione europea 1,4 0,4 -0,4 1,5

Tasso di elasticità degli investimenti sul Pil in Italia 2,2 0,8 5,1 2,5

* Il tasso di elasticità degli investimenti rappresenta quanto investimento serve per produrre un punto di Pil; tanto più alto è il valore tanto più basso il tasso di elasticitàdegli investimenti

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ONSIDERANDO L’ATTUALE crescitadella green economy l’attenzio-ne degli operatori pubblici si

dovrebbe focalizzare sulla generazione di que-ste tecnologie, concorrendone all’industrializ-zazione, perché il rischio per un Paese che nonle produce è di passare dalla dipendenza dallefonti fossili alla dipendenza tecnologica che hacontorni e implicazioni economico/produttiveancora più dirimenti. In prospettiva occorrerealizzare un sistema o un modello che primao poi deve fare i conti con il mercato, cammi-nando senza il sostegno pubblico. Diversa-mente saremmo in presenza di un mercato pro-tetto, ad alta intensità tecnologica, macompletamente fuori mercato.

Le armi spuntate delsettore armigeroSi pensi all’industria armigera, che può pro-durre in ragione di un interesse nazionale: icosti per unità di prodotto di questo com-parto sono altissimi e fuori mercato, e ren-dono impraticabile un processo di riconver-sione all’interno delle stesse imprese permotivi di management “incompetente” ri-spetto alle logiche di mercato.

Sostanzialmente la riconversione di que-ste attività solo in casi moltoparticolari, quasi unici, può rea-lizzarsi all’interno della stessaazienda e società. Ci sono le tec-nologie per affrontare il merca-

to in comparti diversi, ma il core business,l’attività principale, rimane quella dele ar-mi, condizionando le possibilità di entrarein settori emergenti. Può accadere che ilpubblico decida di sostenere e finanziare de-terminati settori in ragione del contenutotecnologico, spesso si utilizza come giustifi-cazione il moltiplicatore keynesiano, ma oc-corre molta attenzione: lo stesso moltiplica-tore può essere realizzato in settori diversi.Quello sanitario, dell’Ict (Information andcommunication technology), dei nuovi mate-riali e delle green technology, sono ambiti incui la componente tecnologica si avvicina,se non supera, quella militare, con il van-taggio di un’industrializzazione che permet-te un abbattimento dei costi fissi maggiorerispetto al settore degli armamenti.

Gli strumenti dellacompetenza tecnicaPer le imprese ad alto contenuto tecnologico,diverse dal militare, la “ri-conversione” èun’attività tipica: è la stessa tecnologia, meglioancora la ricerca e sviluppo, a modificare l’of-ferta e la domanda. Si pensi alle società elet-troniche che utilizzano il silicio che si sono ri-convertite nella produzione di pannelli solari.

| dossier | la bella economia |

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| A N N O 1 1 N . 8 9 | M A G G I O 2 0 1 1 | valori | 19 |

In qualche misura il nuovo paradigmatecnologico - direttamente proporzionalealla conoscenza cumulata nel tempo - for-nisce gli strumenti per spostarsi da un set-tore all’altro. Il problema si pone quandoun territorio dipende da un settore maturoa domanda declinante, da un lato, e tecni-camente “indisponibile” alla formazione diadeguate economie di scala per abbassare icosti fissi, dall’altro. I distretti italiani neglianni ’70 hanno permesso di “fronteggiare”le economie di scala dei Paesi concorrenti,ma lo sviluppo del nuovo paradigma tec-nologico, cioè la forte crescita nel commer-cio internazionale dell’alta tecnologia dal15% al 45%, ha modificato il target stessodella produzione. Se osserviamo la specia-lizzazione dei distretti industriali nazionali(tessile-abbigliamento, calze-abbigliamen-to, legno-arredo, macchine agricole, mecca-nica, oreficeria, ecc.) possiamo ben com-prendere l’impossibilità - tecnologica e discala - di affrontare il nuovo modello di pro-duzione.

Come si può risolvere il problema dellearee fortemente dipendenti dai settori matu-ri soggetti a una concorrenza di prezzo? Inquesto caso le autorità pubbliche dovrebbe-ro concorrere alla riconversione dell’area rea-lizzando società veicolo o start-up che opera-no in settori e mercati emergenti e, perquesta via, affrancare progressivamente l’a-rea da un settore maturo e in declino. .

Ripartire dai territoriper trasferirevalore aggiuntoalle produzioni

ON GIORGIO CREMASCHI, presi-dente del Comitato centraledel sindacato dei metalmec-

canici Fiom, durante una presentazione delsuo libro “Il regime dei padroni” alla Nor-male di Pisa, abbiamo parlato di quali tra-sformazioni servirebbero per avviare una se-ria riconversione in Italia.

Come immagina la riconversioneproduttiva in questo Paese, dovenon esiste una politica industriale?

Servono due cose: ricostruire la domanda so-ciale e il ritorno in campo del potere demo-cratico. Per me la riconversione è un gigan-tesco piano per il lavoro fondato sulsoddisfacimento di domande e bisogni so-ciali come la mobilità collet-tiva, la casa, i beni comuni, laristrutturazione del territo-rio, la cultura, intendendoproprio il fatto che siamo un

Paese con una quantità straordinaria di beniculturali degradati e ripristinarli significa an-che costruire lavoro. Quindi non può che es-sere la costruzione di prodotti che siano fun-zionali alla riduzione dell’impatto sulterritorio e sulle vite e portino al soddisfaci-mento di questi bisogni sociali.

Si può prescindere dal riconoscimen-to dei diritti dei lavoratori?

Io non credo che si possa ragionare su un’i-dea di compatibilità ambientale - come fan-no alcune imprese – e allo stesso tempo al su-persfruttamento della persona. Sono dueaspetti incompatibili. Il concetto fondamen-tale dell’ecologia è che il mondo è un insie-me finito. Ma allora perché si pensa che le

I distretti industriali italiani hanno fronteggiato i Paesi concorrenti, ma ora sembraimpossibile reggere la sfida con un nuovo modello di produzione. Il pubblico

dovrebbe intervenire per affrancare le aree dai settori meno innovativi

di Roberto Romano

4 MILIARDI AL GIORNO. A CHI CONVIENE L’INDUSTRIA MILITARE?

COME SI POTREBBE MIGLIORARE lo “stato del mondo” se le spese per la produzione e la ricerca nel settore militare venissero riconvertite al civile? Manlio Dinucci, giornalista espertodel settore militare, ha fatto alcune proiezioni, eccone una parte: «Ogni minuto si spendono nel mondo oltre 3 milioni di dollari in armi, eserciti e guerre; ogni giorno, oltre 4 miliardi di dollari.Questo mentre scarseggiano le risorse economiche per combattere la povertà, la fame, le malattie e l’analfabetismo. Basterebbe risparmiare, ad esempio, quanto si spende in tre giorni a scopo militare (circa 13 miliardi di dollari) per ricavare la cifra annua necessaria a dimezzare il numero di adulti analfabeti, che oggi è di circa un miliardo, e permettere a tutti i bambini di andare a scuola. Basterebbe risparmiare quanto si spende in dieci giorni a scopomilitare (circa 44 miliardi di dollari) per ricavare la cifra annua necessaria ad affrontare la crisialimentare mondiale, che ha portato a oltre un miliardo le persone affamate». Pa.Bai.

C

C

di Paola Baiocchi

persone siano infinite? La conversione indu-striale è anche una riconversione sociale, laricostruzione della socialità contro il trionfodel mercato.

Su Termini Imerese cosa pensa?Pare che ci sia un gigantesco intervento pub-blico, con diversi programmi, tutti di produ-zione di auto. Onestamente penso che si stiaperdendo l’occasione di coinvolgere la Fiat,che non può solamente metterci i capanno-ni, l’area e poi andarsene. Si poteva pensareun’operazione più coraggiosa.

L’operazione più coraggiosa potevaessere la nazionalizzazione dellaFiat?

Continuo a pensarlo, perché è pura illusionecredere di poter condizionare le scelte che siprendono a Detroit o nei grandi centri deci-sionali finanziari come Wall Street, senzaaver nessun potere in mano. Penso che ilpubblico debba tornare in campo, perché ilprivato ha fallito.

Un pubblico inteso come Stato?Deve essere un pubblico democratico. Oc-corrono nuove forme di partecipazione, maè chiaro che ci vuole un controllo pubblico.Noi chiediamo che l’acqua resti pubblicanel senso che non vada in mano a chi civuole guadagnare sopra. Ma penso che sidebba estendere il concetto di bene comu-ne: un progetto di mobilità sostenibile, peresempio, credo lo possa fare solo il pubbli-co. Tra parentesi le uniche due aziende eu-ropee fortemente competitive - se si vuoleusare questo termine - sono la Renault e laVolkswagen, che sono ambedue in manopubblica. .

Giorgio Cremaschi,del Comitato centraleFiom Cgil, il sindacatodei metalmeccanici.

Giorgio CremaschiIl regime dei padroniDa Berlusconi a MarchionneEditori Riuniti,2010

LIBRI

I costi dell’industria armigerasono fuori mercato e rendonoimpraticabile la riconversioneall’interno delle stesse imprese

Secondo Giorgio Cremaschi due fattori sono irrinunciabili per una trasformazioneindustriale che interpreti i bisogni delle persone e le necessità dell’ambiente:ricostruire la domanda sociale e il potere democratico

Riconversioneindustriale e socialecontro il trionfo del mercato

Continuo a pensare che l’operazione più coraggiosasu Termini Imerese sia la nazionalizzazione della Fiat

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ELECTROLUX/ISI IL DIFFICILE CAMMINO DELLA (RI)CONVERSIONE

NEL 2009 NE AVEVAMO PARLATO (Valori 71 – luglio/agosto 2009) facendo il tifo perché la riconversione della Electrolux di Scandicci (Firenze) si concretizzasse positivamente. A due anni di distanza la storia della fabbrica di frigoriferi che doveva cominciare a produrre pannelli fotovoltaici,non è arrivata alla conclusione e i 375 lavoratori ancora non hanno la sicurezza del posto di lavoro.Quando la Electrolux aveva annunciato nel 2008 l’intenzione di lasciare il sito produttivo alla porte di Firenze, i lavoratori avevano avviato una lottamolto determinata, ottenendo dall’azienda svedese una serie di impegni che prevedevano il passaggio a un’altra società, che avrebbe garantito la riconversione. Ma Energia futura, la società scelta da Electrolux, controllata dal fondo anglo-americano di private equity Mercatech, ha assuntotutti i lavoratori - ottenendo così la cessione dei 45 mila metri quadrati coperti su un’area di 90 mila metri quadrati, a una cifra simbolica - ma non ha mai avviato la produzione. Tra stipendi saltati, cassa integrazione, annunci del governo di eliminare gli incentivi per le rinnovabili che hanno quasi fatto scappare un altro acquirente, la vicenda della ex-Electrolux, ora Isi (Italia solare industrie) è arrivata al concordatopreventivo di fronte al tribunale. Con tutta l’amarezza dei lavoratori e dei sindacati, che avrebbero scelto già all’epoca un’altra azienda giudicatapiù affidabile. Oppure che - mettendosi in cooperativa - sarebbero stati in grado di condurre in prima persona una reale riconversione. Pa.Bai.

La FerraniaSolis e il suoamministratoredelegato, ErnestoSalamoni.

ELL’APRILE DEL 2009 era finito ad-dirittura su Report. Non comeennesimo scandalo da “terra

dei cachi”, ma come “good news”: un caso piùunico che raro di rilancio industriale nel polohi-tech a Est di Milano. Quella “Silicon Valleyall’italiana” che dà lavoro a più di 15 mila per-sone, ma che da anni è in crisi, minacciata daiPaesi a basso costo di manodopera. “Miracoloin provincia”, questo era il titolo del servizio diGiuliano Marrucci. Si parlava di una nuovapartenza per la Bames (ex Celestica) di Vimer-cate (Monza-Brianza), una società che svilup-pa, produce, distribuisce e ripara schede e ap-parecchiature elettroniche. La nuova direzionedell’azienda voleva sviluppare nuove attività,investendo nel fotovoltaico e nelle telecomu-nicazioni. Ma poi non se n’è fatto nulla. E inbreve tempo il miracolo si è trasformato in unincubo per i lavoratori. La storia, ancora unavolta, è semplice e segue uno schema già vistoe rivisto in un’Italia di capitalisti senza capitali.

Dopo Ibm il precipizioIn principio era l’Ibm, “mamma Ibm” comela chiamano ancora gli operai con nostalgia.Il colosso americano dell’informatica si sta-bilisce a Vimercate già negli anni Sessanta.Nel 2000 si trasferisce in Irlanda per motivifiscali e cede le attività produttive italiane aCelestica Inc., una multinazionale canadeseche in origine è uno spin-off, una divisionedella stessa Ibm. Per gli operai di Vimercateè uno shock. Ma la produzione va avanti,nonostante continui a essere in perdita. trail 2001 e il 2006, solamente il 2004 chiudein utile, ma solo perché la differenza negati-va tra valore e costi di produzione viene piùche compensata da “utili su cambi”: pureplusvalenze finanziarie, che con le schedeelettroniche non hanno nulla a che fare.Poi, nel 2006, Celestica trasferisce le attivitàin Repubblica Ceca e Celestica Italia vieneceduta a Bartolini Progetti Spa, controllatadalla famiglia Bartolini di Milano. Investito-

ri locali, attivi da anni nella logistica e neitrasporti che cercano di convertirsi all’elet-tronica. Intanto il numero dei lavoratori di-minuisce e inizia la cassa integrazione per450 operai su un totale di 650. Nel 2000, pri-ma del passaggio da IBM a Celestica, i di-pendenti erano quasi 1.400.

Rilancio e tonfoI Bartolini ribattezzano Celestica Italia con ilnome Bames (Bartolini After Market Elec-tronic Services) e presentano un piano di ri-lancio che sulla carta sembra molto promet-tente. Per ridare ossigeno a Bames, Bartolinivende e riprende in leasing (sell and leaseback) gli stabilimenti di Vimercate, spal-mando la plusvalenza di circa 70 milioni dieuro su dodici esercizi. La liquidità che do-vrebbe servire per rilanciare Bames, schiac-ciata dalle perdite e dai debiti, viene peròusata, purtroppo, anche per altri fini: 16 mi-lioni di euro vengono prestati alla holdingdi famiglia Bartolini Progetti, oltre 10 milio-ni vengono usati per acquisire partecipazio-ni in altre società, e 6 milioni prendonosemplicemente la via del Lussemburgo, inuna scatola societaria, chiamata GPM Inve-stments Sa, controllata dalla Fidcorp Limi-ted, un trust con sede nel paradiso fiscale diGibilterra. Le operazioni finanziarie hannoil sopravvento sul rilancio delle attività pro-duttive, che continuano a essere in perdita.Per rilanciare la società servirebbe un nuovoprogetto industriale e un imprenditore di-sposto a investire almeno 50 milioni di eu-ro. Un vero miracolo. Al quale i 500 lavora-tori oggi in cassa integrazione credonosempre di meno. .

Bames: da good news a incubo per i lavoratoriDopo il trasferimento dell’Ibm di Vimercate cominciano la riduzione

dei lavoratori e le operazioni finanziarie a discapito del rilancio delle attività.

di Mauro Meggiolaro

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La storia, ancora una volta da “terra dei cachi”,è semplice e segue uno schema visto e rivistoin un’Italia di capitalisti senza capitali

ENTRE LA NUOVA SEDE dellamultinazionale america-na 3M Italia di Pioltello si

fa bella incassando il premio “green building”ai Mipim Awards di Cannes, la ex 3M di Cai-ro Montenotte (Savona) - oggi suddivisa inFerrania Technologies e Ferrania Solis - fati-ca a trovare un rilancio produttivo e puntasul settore del fotovoltaico.

Una storia industriale che parte dal1915, in cui 3M entra nel 1964 con la pro-duzione di pellicole e attraversa periodi displendore con un numero di lavoratori vi-cino a 5 mila unità, poi supera il rischio difallimento nel 2003 attraverso il commissa-riamento e giunge nel 2005 a diventare Fer-rania Technologies, passando da 700 di-pendenti a 70 in attività (una metà deiquali oggi a rischio) e 225 in cassa integra-zione, ma mantenendo in piedi un residuocomparto legato alla chimica-farmaceuticae un settore commerciale, nonché dandovita a un cosiddetto spin-off, la Ferrania So-lis, con 50 lavoratori che oggi assemblanopannelli fotovoltaici pronti da commercia-lizzare (32 mila moduli fotovoltaici prodot-

ti per circa 7,3 MW al dicembre 2010).

Luci e ombre«Ad oggi, di fatto, il piano d’impresa è statodisatteso», racconta Fulvio Berruti, segreta-rio generale dei chimici Cgil di Savona. «Sista ancora ragionando sulla costruzione diuna piccola centrale a biomasse, frenata dauna disputa giuridico-legale per le autoriz-zazioni col comune di Cairo. I progetti in-dustriali acclamati fino a ieri dal ministroScajola si sono rivelati un grande bluff,perché c’è un’azienda nel fotovoltaico da50 persone - che forse diventeranno 70-80- la cui situazione si è ulteriormente aggra-vata dopo il recente decreto del Governoche sospende le agevolazioni e rischia diportare in cassa integrazione anche gli at-tuali lavoratori di Ferrania Solis. Siamo difronte al fallimento totale di questo cicloindustriale - conclude Berruti con amarez-za - sebbene in Ferrania siano arrivati tra i12 e i 15 milioni di euro di soldi pubblicidella Regione per la costruzione di unapiattaforma tecnologica mai realizzata.Non solo. L’area è stata parzialmente in-

Ferrania Solis: riconversione (quasi) riuscitaTra i 12 e i 15 milioni di soldi pubblici spesi dalla Regione Liguria per una piattaforma tecnologica maiavviata, ma infrastrutturata. Dalle pellicole 3M ai pannelli solari, mentre restano le incertezze sugli incentivi per il fotovoltaico.

di Corrado Fontana

M frastrutturata con altri soldi pubblici percostruire strade e altre opere».

È una frenata brusca rispetto all’impe-gno del Governo per la nascita di un polod’eccellenza del fotovoltaico. Dai proposi-ti di realizzare la filiera completa di produ-zione dei pannelli, a partire dal reperi-mento e dalla lavorazione del silicio per lecelle, Ferrania Solis oggi si “limita” ad as-semblarli e commercializzare gli impianti.A complicare il rilancio ci sarebbe poi unproblema di competenze, dato che solotre-quattro persone di Ferrania Solis - in-cluso l’amministratore delegato, ErnestoSalamoni - avrebbero esperienza professio-nale nel fotovoltaico. E infine ci si è mes-so il decreto del neo-ministro allo Svilup-po economico, Paolo Romani, che eliminad’un colpo gli incentivi all’installazionedei pannelli.

«Il progetto di produrre i pannelli sola-ri a partire dalla lavorazione del silicio nonè ancora stato abbandonato», precisa Gia-como Parodi, responsabile commerciale edegli impianti fotovoltaici di Ferrania Solis.«È stato rimandato di 12-18 mesi - conti-

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| 22 | valori | A N N O 1 1 N . 8 9 | M A G G I O 2 0 1 1 |

nua Parodi - poiché la rapida evoluzionetecnologica consiglia di attendere, per evi-tare di acquistare impianti che si rivelereb-bero già superati al momento di renderlioperativi. Le macchine della seconda lineadi produzione per l’assemblaggio dei pan-nelli fotovoltaici sono già state in parte col-laudate. Per questa linea è previsto l’inseri-mento di un adeguato numero dilavoratori (circa 60 persone entro gennaio

2012, ricorda Salamoni, sempre che il de-creto Romani cambi e lo permetta, ndr)».

Riconvertiti!Per Salamoni la scelta del fotovoltaico è sta-ta dettata «dall’individuazione di un merca-to tecnologico avanzato in forte espansione.Il sistema Ferrania aveva già un grande skillin termini di metodologie di lavoro e qua-lità: non a caso manteniamo attenzione su

altri tipi di prodotti fotovoltaici come i filmsottili». E come è stata gestita la formazionedel personale verso nuove competenze?«Prima di tutto abbiamo fatto un lavoro diselezione - quasi tutto il nostro personaleproviene dalla ex Ferrania - poi di formazio-ne attraverso dei corsi, organizzati con l’u-niversità La Sapienza di Roma, e in parte pa-gati dalla Provincia di Savona (circa 300mila euro per 40 operai)». .

L POLO INDUSTRIALE di Porto Torres, inSardegna, potrebbe diventare il fiore al-l’occhiello della chimica verde italiana,

grazie a una collaborazione tra il colosso Eni(tramite la controllata Polimeri Europa) e No-vamont, società all’avanguardia nel settore,nota per aver ideato il Mater-Bi (la bioplasticarealizzata con polimeri vegetali). Insieme ledue aziende daranno vita ad una riconversio-ne che farà dell’ex petrolchimico un ambizio-

so polo dedicato alla “green economy”. Il complesso copre 1.246 ettari di terreni:

di questi, venticinque saranno dedicati alprogetto “Chimica verde”, che comprenderàsette impianti da realizzarsi in tre fasi e uncentro di ricerca. Il tutto per un investimen-to complessivo di 770 milioni di euro. Entropochi anni, in questo modo, a Porto Torressi fabbricheranno oli lubrificanti naturali permotori, additivi biologici per gomme, e bio-

Eni e Novamont: in Sardegnaun polo perla chimica verdeSette impianti e un centro di ricerca nell’area di Porto Torres.

di Andrea Barolini

I E ORGANIZZAZIONI COMUNI deimercati in ambito europeo(Ocm) sono degli accordi che

intervengono a disciplinare dei settori pro-duttivi e dovrebbero razionalizzarli. L’Ocmzucchero ha suscitato molte critiche, so-

prattutto da parte dei produttori italiani,che hanno visto lo smantellamento dell’in-tero comparto. Ora subisce anche le criti-che della Corte dei conti Ue: la riforma do-veva disincentivare i produttori menocompetitivi, ma lo stesso hanno fatto an-

che le industrie più competitive, portandol’Europa a una crescente dipendenza dalleimportazioni ed esponendola agli aumentidei prezzi al consumo. Ma la dismissione vaavanti: ci sono quindici zuccherifici in Ita-lia, di cui quattro ancora in attività. Per lo-ro si è avviato un piano di riconversione co-me centrali a biomasse di origine agricola eforestale, che coinvolge 6 mila lavoratori.del 2006 A regime gli impianti elettrici dafonti agricole dovrebbero produrre 2,4TWh (Terawattora) l'anno di energia elettri-ca e 1 TWh di energia termica. Il processodi conversione è imponente, coinvolge l’in-tero settore bietolo-saccarifero italiano equattro gruppi imprenditoriali (Eridania-Sadam, Sfir, Italia zuccheri e Coprobi) e ilgoverno, nel confronto con i sindacati, si èimpegnato per 86 milioni di euro. .

Dallo zuccheroall’energia: la seconda vitadelle bietoleRiguarda 6.000 lavoratori e 15 impianti, che passeranno alle biomasse.

di Paola Baiocchi

L

A PRATO UNA VALLEY DEL TESSILE

“CENCI IN CINA” È UN FILM SUL TESSILE a Prato che mette in commedia la concorrenza con le produzioni cinesi che si sono sviluppate sul territorio pratese. Una declinazione buffa della crisi - reale - dello storico distretto tessile, che è stata cavalcata politicamente dalla Lega, tanto da conquistare il Comune toscano proprio soffiando sulla xenofobia.

Già da qualche anno alcune imprese del distretto tessile pratese hanno cominciato a riconvertire la loro produzione, agganciandosi alla ricerca e puntando sui tessuti di alta qualità certificata, in un circuito realizzato con la collaborazione delle università di Firenze, Siena e Pisa e delle cliniche ospedaliere. La trasformazione è sostenuta dalla Regione Toscana che, dal 2009 al 2010, ha finanziato con 97 milioni di euro133 progetti e 300 aziende che hanno investito 161 milioni in innovazione.

Da questo circuito è nato il Tepso, tessuto antibatterico che allieva la psoriasi, elimina gli attriti e non assorbe creme e unguenti, ma consentealla pelle di respirare. Prodotto dalla Lenzi di Vaiano, ditta fondata nel 1898, il Tepso riduce irritazioni e possibili infezioni. La Lenzi produce unaventina di brevetti, tra questi sei per tessuti tecnici, che trovano applicazioni diverse, dalle suole antiperforamento all’abbigliamento antinfortunistico.Dalla Tecnotessile invece, società privata partecipata dal ministero della Ricerca, arrivano i tessuti antismog (che possono essere costituiti da fibre naturali, artificiali e sintetiche o miste), trattati con il biossido di titanio vengono impiegati all’esterno per la realizzazione di cartellonisticapubblicitaria o negli ambienti interni per tende, rivestimenti di pareti e/o pavimentazioni. Il tessile antismog sfrutta il principio della fotocatalisitramite l’utilizzo del biossido di titanio. Il biossido svolge una funzione antibatterica, attivandosi a contatto con gli inquinanti dell’aria. Pa. Bai.

I 15 ZUCCHERIFICI CHE CAMBIERANNO ATTIVITÀ

GRUPPO ERIDANIA-SADAMCastiglion Fiorentino: lo stabilimento sarà riconvertito per la produzione di elettricità (e.e.) da bio-masse. 150 lavoratori. Fermo: lo stabilimento sarà riconvertito come centrale a bio-masse. Occupa 200 lavoratori. Villasor: stabilimento destinato alla produzione elettrica da bio-masse e bio-diesel. Occupa 120 lavoratori. Russi: stabilimento destinato alla produzione di e.e. da bio-masse e all’attività di confezionamento dello zucchero. Occupa 210 lavoratori.Celano: stabilimento destianto alla filiera agricola, in particolare conproduzione di orto-frutta, e centrale a bio-masse. Conta 160 lavoratori.Jesi: centrale a bio-masse, a turbogas e da olio ad estrazionevegetale. Occupa 110 lavoratori.

GRUPPO SFIR Foggia: riconversione in stabilimento per il confezionamento dellozucchero e come area per la logistica industriale. Occupa 130 lavoratori. Forlimpopoli: stabilimento destinato alla produzione di contenitori per l’alimentazione in cellulosa. Occupa 90 lavoratori.San Pietro in Casale: progetto di riconversione nella filiera agricola,

nel settore dell’orto-frutta e per il confezionamento dello zucchero.Occupa 115 lavoratori.

GRUPPO ITALIA ZUCCHERI Bondeno: progetto di riconversione nella filiera agricola, per una centrale a bio-masse. Occupa 100 lavoratori.Casei Gerola: stabilimento destinato alla produzione di bio-etanolo.Occupa 230 lavoratori.Finale Emilia: è stato presentato il progetto di riconversione per la produzione di energia elettrica da bio-masse di estrazioneagricola. Occupa 80 lavoratori.Portoviro: progetto di riconversione per la produzione di bio-etanolo.Occupa 140 lavoratori.

GRUPPO COPROBI Ostellato: stabilimento destinato alla produzione di e.e. da bio-masse.Occupa 120 lavoratori.Pontelagoscuro: il progetto di riconversione è rivolto alla produzione e alla trasformazione di prodotti orto-frutticoli. Occupa 100 lavoratori.www.flai.it

RIUTILIZZARE PRIMA DI COSTRUIRE

CONTENUTA NELLE SUE MURA MEDIOEVALI, Lucca ha la fama di essere una cittadina di oculati risparmiatori, che amano utilizzare e conservare le cose fino a quando è possibile. Questo concetto si è tradotto in pratica politica per mettere a freno la cementificazione. Il Comune sta predisponendo l’elenco completo dei siti dismessi o da dismettere e ha intenzione di tenere conto del recupero di questiedifici nel nuovo Piano strutturale e nel Regolamento urbanistico. In altre parole prima di concedere nuove cubature si deve ristrutturare,secondo certe regole, l’esistente. Nella lista degli immobili da riqualificare c’è anche lo storico manicomio lucchese di Maggiano, un enorme casermone dove ha lavorato Mario Tobino e che custodivafino a 1.200 psichiatrici alla volta. Bambini compresi. Pa. Bai.

plastiche per buste da spesa, per sacchettiutili alla raccolta differenziata della frazioneorganica dei rifiuti, o per forniture utili alleimprese agricole (teli per pacciamatura), alcatering (piatti, posate, bicchieri, vaschette,sacchetti) e alle industrie che si occupanodell’imballaggio alimentare (vaschette e filmtrasparenti).

La ricerca costituirà un aspetto fonda-mentale del progetto, con collaborazioni chesaranno avviate con le università e le istitu-zioni della Regione Sardegna su monomeri,lubrificanti e elastomeri biologici. Un’oppor-tunità non solo per i ricercatori, ma ancheper gli studenti, dal momento che sarannoattivati dottorati e master. Dal punto di vistaoccupazionale, il polo a regime dovrebbe da-re lavoro a 700 persone, ovvero 100 in più ri-spetto a quelle attuali. Sul fronte ambientale,invece, i benefici arriveranno dalle opere dibonifica della falda, del suolo e dal futurosmantellamento degli impianti esistenti. Iltutto entro i prossimi 10-15 anni. .

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| dossier | la bella economia |

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La nuova vitadegli scheletri dell’industria che fuDalla Ruhr a Torino, le opere di riqualificazione delle aree industriali possono portare

a risultati sorprendenti. Nel rispetto dell’ambiente e contribuendo a rilanciare l’economia.

ture, di fatto sottratte ai 5,3 milioni di abi-tanti della regione.

La società pubblica Iba Emscher Park, colsostegno del governo regionale, ha proget-tato la riqualificazione di un’ampia partedelle aree dismesse: quelle occupate dalleantiche fabbriche siderurgiche Meiderichdella Thyssen, ormai sommerse dalla vege-tazione. Obiettivo: dar vita al parco di Dui-sburg-Nord, con un progetto nato nel 1989e completato nel 1999, che costituisce unapietra miliare nel mondo della riqualifica-zione, che ha vinto il primo premio allaBiennale del paesaggio di Barcellona del1999, per la migliore realizzazione europeadi “progetto del verde”. Centoventi opere,che hanno coinvolto oltre duecento espertitra architetti, urbanisti, paesaggisti e artisti,17 comuni, centinaia di associazioni di cit-tadini e migliaia di persone. Fulcro del pro-getto è stato il fiume Emscher, fortementeinquinato dalle industrie, del quale si è av-viata la bonifica e che costituisce il naturalepercorso dell’intero parco.

La vecchia rete ferroviaria è stata mante-

nuta e oggi indica il percorso di numerosepasseggiate per i visitatori del parco (in fu-turo potrebbe essere utilizzata anche per i lo-ro spostamenti). I vecchi depositi sono statitrasformati in “Giardini simbolici”, altrestrutture sono state adibite a pareti da ar-rampicata, un “teatro romano” è stato edifi-cato sfruttando vecchi pezzi di fabbriche eofficine, mentre quella che era la pala di unmulino oggi costituisce il monumento sim-bolo del parco. Il tutto in un’ottica di valo-rizzazione dell’ambiente: sono 300 i tipi di-versi di piante e felci selvatiche chepopolano oggi il parco, insieme a 60 speciedi uccelli e 13 di rettili e anfibi.

Una vera nicchia ecologica.

…e la Torino ecologicaA Torino, invece, si è deciso di riqualificarela Spina 3, ex area industriale di 45 ettari,cresciuta intorno al fiume Dora. Con criteriche si concentrano sull’utilizzo di energierinnovabili, sul rispetto dell’ambiente, sulriciclo e sulla bioarchitettura. Il progetto è infase di avvio e punterà sulla conservazione

LI SCHELETRI DELL’INDUSTRIA chefu, così come le aree circostan-ti, possono rigenerarsi, ancor

più che riqualificarsi. Basta scegliere di inve-stire in modo intelligente: per il paesaggio eper la qualità della vita e per rendere delle in-tere zone, fino ad oggi abbandonate al loro de-stino, nuovi volani di sviluppo per l’economialocale. Tre casi, uno in Italia e due in Germa-nia, costituiscono chiari esempi di cosa si pos-sa fare recuperando le ex-aree industriali. Conlungimiranza e un po’ di fantasia.

Il modello renano...Su tutti spicca la storia del Ruhrgebiet - il ba-cino tedesco della Ruhr, nella Renania set-tentrionale-Vestfalia - sin dalla fine dell‘800centro industrale nevralgico con numerosis-sime acciaierie e miniere di carbone. Oggi isuoi principali centri economici (Duesseldorfe Colonia) si concentrano soprattutto su hi-tech, finanza, assicurazioni e media. Il che haprovocato l’abbandono di centinaia di strut-

di Andrea Barolini

G

degli edifici preesistenti, testimonianza im-portante del tempo che fu. È prevista inol-tre la costruzione di un grande impianto fo-tovoltaico sul tetto di un ex capannone.Ad Amburgo (nuovamente in Germania) siè deciso di rivitalizzare la città partendo dal-

la ristrutturazione dei pontili sull’Elba e dal-l’espansione del verde urbano. L’area por-tuale di Hafen City, da tempo in stato di de-grado, è stata riconvertita in ediliziasostenibile. Silos e depositi sono diventatiscuole, case, palestre, ristoranti. Il tutto ser-

ICONVERTIRE UN TERRITORIO signi-fica ripensarne il tessuto. E far-lo nel suo complesso». An-

dreas Kipar è un architetto di fama mondiale,fondatore della società Land (Landscape Archi-tecture Nature Development), un gruppo diprofessionisti a servizio dell’architettura delpaesaggio, fondato nel 1990 a Milano insiemea Giovanni Sala.

Come si riconverte un territorio?Le opere di riqualificazione devono essere ef-fettuate considerando il contesto che le cir-conda. Quando, 150 anni fa, si edificarono learee industriali, intorno ad esse sorsero abita-zioni, servizi, intere città. Oggi ristrutturarequelle aree deve essere fatto in quest’ottica.

Non basta, quindi, riutilizzare o ristrut-turare un fabbricato?

Riempire un buco e fermarsi non ha senso. Ser-ve uno sguardo complessivo, che porti a unasimbiosi tra ciò che c’è dentro all’area oggetto

Rdi Andrea Barolini

Sono molto pochi. L’importante è garantire ilgiusto mix tra edilizia pubblica e convenzio-nale, tra le aree commerciali e quelle dedicateal terziario. In questo modo si va incontro al-le esigenze della popolazione. E si ha successo.

Ma vale davvero sempre la pena riu-tilizzare, ristrutturare, riconvertire?Alle volte non è meglio, brutalmente,spianare e ricominciare da capo?

Dipende. Esiste una vera archeologia indu-striale che ha un valore anche solo in sé. Pen-siamo ai vecchi gasometri della Ruhr o alle ac-ciaierie degli anni Venti. Certo mantenerli èun investimento di lusso: ci vogliono sommemolto alte per lasciarle in piedi.

Ecco il nodo: i costi.Certo, l’hangar della Bicocca oggi è un centrodi arte contemporanea. Ma parliamo di Mila-no. Quanti piccoli comuni potrebbero per-metterselo? È chiaro che in alcuni casi l’impe-gno finanziario può risultare sproporzionato.Per questo serviranno i capitali dei fondi.

Che spesso, però, sono avvezzi allespeculazioni...

Non è detto. Recentemente un gestore mi haconfidato di voler investire per riqualificare untratto del lungomare adriatico. Un interventopiccolo e mirato, senza stravolgere il paesaggiourbano. C’è chi comincia a pensare che sia me-glio un investimento dalla rendita bassa, macerta, piuttosto che rischiare troppo e, magari,finire per fallire. Da questo punto di vista cre-do che si cominci a vedere la luce. Credo chesi cominci, finalmente, a ragionare. .

dell’opera e ciò chec’è intorno.

Ciò allunga i tempi…Certamente, infattici vogliono una de-cina di anni per ve-rificare i benefici diuna riqualificazio-ne. Occorre lungi-

miranza. E anche coraggio.

Lungimiranza, coraggio, sguardo com-plessivo. Senza generalizzare, sem-bra però difficile pensando all’Italia.

Eppure abbiamo anche noi esempi in questosenso. Pensiamo alla Spina 3 di Torino, maanche all’ex-area industriale Alfa Romeo aMilano o al progetto dell’ex manifattura Ta-bacchi a Napoli. O ancora all’ex scalo ferro-viario di Cesena. Tutte realtà nelle quali si stariuscendo a coniugare questi principi.

Un quadro roseo: ci sono stati casiin cui la riqualificazione è fallita?

Andreas Kipar.

LAND: I PROFESSIONISTI DELL’ARCHITETTURA DEL PAESAGGIO

LAND, Landscape Nature Architecture Development, è un gruppo diprofessionisti a servizio dell’architettura del paesaggio, fondato nel 1990a Milano da Andreas Kipar e Giovanni Sala. Il team è composto da figureprofessionali diverse: l’architetto paesaggista, l’agronomo, il naturalista,l’ingegnere ambientale, l’architetto, l’urbanista, il pianificatore e il designer.Il tutto per garantire una visione di ampio respiro. Da questo impegnonascono, tra gli altri, i piani del verde di Ravenna, Reggio Emilia, Cagliari,

della Repubblica di San Marino, Vercelli e Milano; il recupero di aree dismessea Napoli, Torino, Venezia-Marghera, le collaborazioni alla riqualificazionedel bacino industriale della Ruhr, della Brianza lombarda. Uno dei progettirappresentativi della politica ambientale del Gruppo Land è quella dei “RaggiVerdi per Milano” che promuove un modello di sviluppo urbano connessoa una mobilità lenta, ma integrata al sistema dei trasporti pubblici, ai parchi pubblici e agli spazi aperti in genere.

Guardare al contestoNon soloriempire buchiLungimiranza, coraggio, sguardo complessivo, ecco gli ingredienti per ridare vita alle aree industriali, mettendo in simbiosi area di intervento e città.

vito da un impianto di teleriscaldamento.L’isolotto di Wilhelmsburg, al centro del-l’Elba, sarà inoltre ristrutturato nei prossimianni, grazie a 40 progetti che ne garantiran-no nuova vita dopo l’inondazione del 1962,che lo rese parzialmente inutilizzabile. .

Il parco di via Rubattino, a Milano,realizzato dove erano in funzione gli stabilimenti della Macerati-Innocenti.La zona verde passa sotto il viadotto della tangenziale Ovest.

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felicità delle persone se non tran-sitoriamente, finché dura l’effet-to “novità” (è questo uno deglistudi più noti del Nobel DanielKahneman). Se invece utilizzas-simo il maggiore reddito per be-ni di creatività (arte, cultura, na-tura) la nostra felicità sarebbemaggiore, ma il sistema di mer-cato e la pubblicità spingono ilconsumo di comfort e non inco-raggiano la creatività.

Il secondo punto emerso da-gli studi sulla felicità riguarda ibeni relazionali. Il modello di svi-luppo che abbiamo messo in pie-di in quest’ultimo secolo conti-nua a sottrarre tempo ai rapportidi gratuità per sacrificarlo alla sfe-ra del lavoro e, sempre più, delconsumo individualistico di beniprivati. Gli studi (compresa unaricerca empirica che ho svolto as-sieme a Luca Stanca sul rapportotra televisione e felicità: “Wat-ching alone”, 2008) mostranoche l’ambito che più soffre nellenostre economie è, insieme al-l’ambiente, quello delle relazio-ni sociali di gratuità. Un’ora di

tempo sottratta alla vita relazionale e sacrifi-cata al lavoro o al consumo distrugge più fe-licità di quanta non ne crei: stiamo entran-do nell’era in cui i beni scarsi sono diventatiambiente e relazioni di gratuità, ma le no-stre democrazie non se ne sono accorte econtinuano a distruggere ambiente e a co-struire centri commerciali sempre più gran-di e anonimi. Dovremmo iniziare a costrui-re diversamente le città, le scuole, i posti dilavoro, dare più centralità ai beni comuni ecambiare l’ordine di priorità e gli incentivi:sono in gioco, non solo l’economia e la feli-cità individuale, ma la democrazia, il “Benecomune”, la felicità pubblica. .

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I beni più preziosi:ambiente e relazioni

La ricetta della felicità| benessere |

di Luigino Bruni

ESSUNO STUDIOSO SERIO, nemmeno tra gli economisti, ha mai pensato che il Pro-dotto interno lordo fosse sinonimo di felicità, o che ne fosse il misuratore. Nonfosse altro perché il Pil nasce soprattutto dal lavoro e solo per pochi il lavoro è

sinonimo di felicità. Molti però pensavano - e ancora pensano - che fosse un indicatore di be-nessere, di vita buona. L’ipotesi di fondo su cui si è costruita la scienza economica moderna con-sisteva nel pensare che, sebbene il benessere umano fosse più complesso della sola componen-te economica, quando quest’ultima migliorava, aumentava anche il benessere generale. E taleipotesi, in un mondo europeo che lottava per soddisfare i bisogni elementari e, in un contestodi scarsità assoluta di merci e di risorse, ha retto per un paio di secoli.

È dalla seconda metà del secolo scorso che il discorso ha incominciato a complicarsi. Il primosegnale forte che qualcosa non funzionava èstato l’ambiente: ci siamo resi conto che gli ef-fetti collaterali dello sviluppo economico ini-ziavano a diventare pesanti. Alcuni economi-sti iniziarono già negli anni Cinquanta a porrela questione della sostenibilità del modello ca-pitalista, una domanda che nel corso dei de-cenni successivi si è amplificata e divenutasempre più urgente.

Alla fine degli anni Sessanta accaddequalcosa di nuovo. Alcuni studiosi (Cantril,prima, Easterlin e Scitovsky a partire dai pri-mi anni Settanta) iniziarono a misurare diret-tamente la felicità soggettiva delle persone,chiedendo alla gente, tramite questionari, diauto-valutare la propria felicità. Partì così unfilone di ricerca empirica in diversi Paesi, cheportò ad alcuni primi risultati, che fecero par-lare di “Paradosso della felicità”: ci si rese con-to che all’interno di un singolo Paese non esi-steva una correlazione significativa trareddito e felicità soggettiva, poiché non era-no le persone relativamente più ricche che sidefinivano le più felici. E, seguendo le stessepersone nel corso del tempo, risultava che lafelicità risentiva molto poco delle variazionidi reddito e ricchezza.

In questi quaranta anni gli studi si sonomoltiplicati, arricchiti, sono diventati più so-fisticati dal punto di vista metodologico, ma,sostanzialmente, quei primi ri-sultati sono stati confermati,mostrandoci la grande difficoltà,o impossibilità, che l’Occidenteopulento incontra nel trasfor-

mare i beni in ben-essere. Le spiegazioni so-no diverse, ma sostanzialmente concordanosu due punti. Il primo riguarda il conflittocomfort/creatività: il mercato tende a vende-re beni di comfort (auto comode, Tv al pla-sma, telefonini), ma - qui sta il punto - ridu-ce la creatività delle persone.

Negli ultimi dieci anni abbiamo spesouna grande fetta dell’aumento di reddito neibeni di comfort che, però, non aumentano la

La ricerca eccessiva di comfortlimita la nostra creatività e il troppo tempo passato al lavoromina le relazioni con gli altri

N

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finanzaetica La convenienza economica del nucleare è tutta propaganda >34Enel avanti sull’atomo in Europa. Alcuni azionisti dicono no >38

| allo sportello |

Guadagni facili e rischi altissimi

Nulla è cambiato

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Milano, novembre 2002, la sede di Banca Intesa Bci di piazza della Scala. Un clienteè accolto da un’impiegatadell’istituto di credito.

TITOLI DI STATO ORMAI rendo-no poco, avrei qualche pro-posta da farle». Potrebbe co-

minciare così la telefonata del vostrofunzionario di banca, pervaso dal biso-gno impellente di farvi guadagnare. Ulti-mamente è diventata una prassi, forseperché le banche hanno bisogno di soldi.Solo quest’anno dovranno rimborsarepiù di 100 miliardi di obbligazioni (bond)in scadenza. Poi ci sono la crisi e le diffi-coltà a farsi finanziare da altre banche.

Come se non bastasse, le nuove rego-le di Basilea III hanno aumentato il fab-bisogno di capitale, alimentando la cor-sa al profitto. Ecco allora gli istitutitornare alla carica per convincere laclientela che sarebbe un peccato lasciar-si sfuggire il loro ultimo bond constantmaturity swap callable.

Prodotti dai nomi esotici e lievemen-te oscuri, ma sui quali il promotore è di-sposto a scommettere guadagni mai visti.Basta fidarsi e mettere una firma, poi sipuò leggere con calma il prospetto infor-mativo di 300 pagine. E magari - previoun corso accelerato di finanza - scoprireche alla sottoscrizione avete già perso il6%, che il vostro guadagno è legato a uncomplicatissimo derivato agganciato alladifferenza tra tassi a lungo e a breve ter-mine e che, se state guadagnando “trop-po”, la banca è autorizzata a ricomprarsitutto. Se poi l’andamento dei tassi è ne-

di Roberto Cuda

Le banche si stanno rivolgendo in modo sempre più massiccio alla loro clientela retail, proponendoprodotti derivati dietro

la promessa di mirabolanti

rendimenti. Molto spessonascondendo i reali pericoli di talistrumenti, addirittura “travestendoli” da comuni polizze vita.

«I

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Se lo sportelloè sotto pressione

A TEMPO I SINDACATI DENUNCIANO pressionisugli impiegati allo sportello per rispetta-re il budget assegnato attraverso un arti-colato sistema di incentivi. Raggiunti ivolumi di vendita stabiliti dai vertici scat-tano i premi di produttività per i singoliaddetti. «L’incentivo - spiega GiacintoPalladino, segretario nazionale della FibaCisl - è agganciato sia al reddito che allatipologia del prodotto. Fermo restandoche quello emesso dalla banca ha sempreun punteggio maggiore rispetto a quellovenduto per conto terzi. Nei casi miglioricontano anche altre variabili, come il la-voro di squadra. I responsabili effettuanoun monitoraggio giornaliero delle perfor-mance e questo innesca una competizio-ne tra lavoratori, sempre più stressati. È

gativo e ci perdete, inutile la-mentarsi. Era tutto scritto,nelle pieghe delle varie for-mule matematiche.

Obbligazioni e obbligazioniLe obbligazioni bancarie, spes-so al centro delle attuali cam-pagne, consentono di rastrel-lare denaro a costi contenuti.Passati i mesi caldi della crisi,le promozioni sono ripartitecon forza, insieme a quelle di prodotti piùcomplessi e rischiosi come i derivati (adesempio i certificates o gli etf). Strumentidifficili da comprendere anche dagli ad-detti ai lavori, caratterizzati da una serie di“costi occulti”. Ma, accanto alle obbliga-zioni tradizionali, che offrono un tasso(fisso o variabile) calcolato sul capitale in-vestito, esiste un’ampia gamma di obbli-gazioni “strutturate”, il cui rendimentodipende da un altro titolo (derivato) a suavolta basato su un sottostante (azioni,fondi, indici di borsa). «I risparmiatori cichiamano dopo aver acquistato il prodot-to, ma alle nostre domande non sanno ri-spondere», racconta Mauro Novelli, se-gretario nazionale di Adusbef. E continua:

«Questo la dice lunga sulle asimmetrieinformative tra banca e cliente, negli ulti-mi mesi oggetto di campagne sempre piùpressanti. Anche i giudici cominciano arendersene conto. In teoria la Mifid (di-rettiva europea sull’intermediazione fi-nanziaria, recepita anche in Italia, ndr) ob-bliga a vendere prodotti adeguati alprofilo di rischio del cliente. Ma non di ra-do sono le banche stesse a compilare i mo-duli di valutazione».

Tra le pieghe delle regoleQuanto al prospetto informativo, esso èper lo più una formalità. «Come si fa a leg-gere centinaia di pagine piene di tecnici-smi?», si chiede Fabio Picciolini, segretario

nazionale di Adiconsum. «Il prospettoinformativo di un’obbligazione strutturata- continua Picciolini - non può che essereopaco. La nuova direttiva Ue in discussio-ne prevede un modello sintetico di schedainformativa, che si potrebbe introdurre dasubito. La diffusione di questi prodotti - ingran parte non quotati - sta crescendo a vi-sta d’occhio. E quel che è peggio è che ven-gono proposti al cliente retail. La Mifid hafallito, tanto è vero che la stanno cambian-do. Non è pensabile che lo stesso clientepossa avere profilature diverse a secondadella banca che le realizza. C’è un marginetroppo ampio di discrezionalità».

E nei varchi della normativa le banchesi sono inserite prontamente. SecondoBankitalia dal 2007 al 2009 le obbligazio-ni private nei portafogli degli italiani so-no salite da 313 e 394 miliardi di euro, dicui ben 384 rappresentati da titoli banca-ri. Di questi - ci dice la Consob - almeno il10% sono strutturate e l’8% con opzionidi rimborso anticipato (giugno 2009). Alcontrario i titoli pubblici sono calati da206 a 189 miliardi.

Il dilagare di prodottifinanziari rischiosiNel periodo pre-crisi (luglio 2006-giugno

In forte crescita sono anche le fami-gerate index linked, fino a pochi mesi fasul banco degli imputati per aver brucia-to i risparmi di migliaia di assicurati. Leindex sono bond con rendimento legatoa particolari indici tramite un derivato,ma “travestiti” da polizze Vita grazie aqualche componente aggiuntiva di tipoassicurativo.

Dello status di polizze godono anchele cugine unit linked, legate all’andamen-to di fondi comuni di investimento. Ca-duta a picco nel biennio 2008-2009, laraccolta di linked ha visto un’impennatanel 2010 (+58,3%) superando i 15 miliar-di di euro. Come nulla fosse accaduto,dopo essere spariti per mesi dal catalogoprodotti delle compagnie. Ora le assicu-razioni fanno a gara per emetterne dinuovi, ma la distribuzione è per il 70% inmano alle banche, che ricevono sostan-ziose provvigioni (fino al 40%).

Uno scenario che non depone a favo-re della trasparenza e che ha ridato vigoreall’attività sanzionatoria delle authority(Consob e Banca d’Italia, vedi Valori di set-tembre 2010), che tuttavia si scontranocon una precisa strategia commercialedelle banche. Una strategia fatta di fortipressioni verso chi siede allo sportello. .

di Roberto Cuda un meccanismo deleterio, che vorremmoeliminare, legando l’incentivo alla qua-lità del prodotto, ovvero alla sua adegua-tezza rispetto alle esigenze del cliente. Maè un tema sul quale registriamo forti resi-stenze da parte delle banche».

Prodotti complessi perchéserve liquiditàSe, dunque, Consob e Bankitalia racco-mandano semplicità e chiarezza nella co-struzione del prodotto, il mercato sem-bra andare da tutt’altra parte. «Il fatto èche gli istituti hanno bisogno di liquidità- continua Palladino - e, visto che i tassisono bassi, cercano di guadagnare su al-tri indici per aumentare i margini. Da quila complessità del prodotto, che spesso si

La direttiva Mifid non riesce ad arginare il problema. Secondol’Adusbef «spesso i questionarisono compilati dalle banche»

In molti casi ai dipendenti degliistituti di credito sono offerti forti

incentivi sulle vendite

di specifiche tipologie

di prodotti finanziari.Senza porre alcuna attenzioneall’adeguatezza di tali strumentirispetto alle esigenze dei clienti.

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COMPOSIZIONE DELLA RACCOLTA DELLE BANCHE EUROPEE

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DEBITI RAPPRESENTATI DA TITOLI DEBITI VERSO LA CLIENTELA POSIZIONE INTERBANCARIA NETTA

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ITALIA GERMANIA IRLANDA FRANCIA PAESI BASSI SPAGNA REGNO UNITO SVIZZERA

Con contributo a intero carico della Banca a favore di:

ASSOCIAZIONE ITALIANAPER LA RICERCA SUL CANCRO

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Società cooperativa per azioni - Fondata nel 1871

Sede sociale e direzione generale: piazza Garibaldi n. 16 - 23100 SONDRIO

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Approvato 210x115.indd 1 18/03/10 10.35

2007) circa le metà della raccolta obbliga-zionaria era in mano a risparmiatori retail,mentre nei due anni successivi siamo sali-ti all’80%. Una situazione che, per quan-to riguarda i prodotti strutturati, non haeguali in Europa. Il risultato è che le ban-che italiane continuano ad avere il più al-to rapporto obbligazioni/raccolta totalerispetto ai maggiori Paesi europei, grazie

anche a un regime fiscale favorevole (ibond sono tassati con una ritenuta seccadel 12,5%, contro il 27% dei depositi,mentre negli altri Paesi rientrano nel red-dito imponibile). Eppure - avverte ancorala Consob in un paper del luglio 2010 - ibond bancari sono poco liquidi (solo il9% è facilmente smobilizzabile) e menoconvenienti dei titoli pubblici.

A sinistraMauro Novelli,a destra FabioPicciolini.Rispettivamentesegretarinazionali di Adusbef e Adiconsum.

D

Page 17: Mensile Valori n. 89 2011

ICOLA BENINI è Ad di Ifa Con-sulting e vice presidentedell’Assofinance, associa-

zione di consulenti finanziari indipenden-ti. Non è un promotore, ci tiene a precisare,poiché non ha prodotti da piazzare, ma ri-ceve un compenso orario per il servizio pre-stato direttamente dal cliente. Una figuraun po’ bistrattata nel nostro Paese, benchéprevista dall’art. 18 del Testo Unico della fi-nanza (Tuf) dal 2005, ma anco-ra sprovvista di un Albo. «Sem-bra non si riescano a trovaredue milioni di euro per far par-tire l’organismo che dovrebbe

sovrintendere all’Albo - spiega Benini - e co-sì ci si affida ogni anno a una norma del de-creto Milleproroghe che autorizza tempora-neamente l’esercizio della professione,mentre oggi chi volesse fare questo mestie-re non avrebbe alcun riconoscimento giuri-dico. Ma in Italia il mercato è dominato dal-la banche e una diffusione della consulenzaindipendente lederebbe i loro interessi».

È dunque impossibile ricevere con-sulenza allo sportello?

Si, dal momento che la banca non è un sog-getto indipendente e promuoverà sempre iprodotti che le garantiscono maggiore reddi-tività. È questa l’origine delle attuali distorsio-ni. Gli addetti alla vendita non hanno nem-meno la preparazione professionale per offrireconsulenza a tutto tondo, ma sono, appunto,dei venditori. Così assistiamo alla promozio-ne di prodotti complessi, come i certificates ele obbligazioni strutturate, che normalmentecomportano costi superiori (occulti o palesi)rispetto ad altri strumenti molto più semplici.

Perché vengono creati prodotticosì complessi e opachi?

Anzitutto per aumentare la redditività dellabanca, senza che il cliente se ne accorga. Non

è facile determinareil valore effettivo di

un’obbligazione tradizionale (cosiddettaplain vanilla), figuriamoci di un bond strut-turato, che sfugge perfino a chi lo fa. E nellastragrande maggioranza dei casi non servealle esigenze del cliente.

Le norme attuali sono adeguate?La legislazione italiana, contrariamente aquanto si pensa, è una delle più severe. Mapuò essere aggirata. Noi ci siamo battuti perintrodurre la consulenza indipendente siain Parlamento che in sede europea. Anchesui prospetti informativi c’è molto da fare intermini di semplicità e trasparenza, come èstato più volte ribadito dalla Consob..

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risolve a favore di chi li pro-pone. Attualmente sono allostudio nuove tipologie di ob-bligazioni convertibili inazioni, in vista di eventualirafforzamenti patrimoniali (la normativaeuropea esclude le obbligazioni dal cal-colo del patrimonio della banca, ndr).Staremo a vedere come verranno gestitigli aspetti di trasparenza. In ogni caso laconcorrenza estera è sempre più agguer-rita e servirebbe un testo europeo che re-golamenti il settore».

Tentativi di arginare il problemaIn attesa del rinnovo del contratto nazio-nale, previsto entro quest’anno, sono sta-ti avviati accordi aziendali per arginare il

fenomeno delle pressioni. Il più avanzatoè quello dal Gruppo Ubi, siglato da tutti isindacati nel novembre scorso. «Sono sta-te create commissioni “sul clima” nellesingole banche del gruppo, per monito-rare il rispetto del protocollo», raccontaAttilio Granelli, responsabile nazionaledella Fabi per il Gruppo Ubi. «Ogni pro-dotto deve essere venduto in base alla ca-pacità di rischio del cliente senza l’obbli-go di segnalare giornalmente le vendite esenza classifiche tra filiali. Purtroppo so-no già pervenute le prime rimostranze daparte di alcuni delegati (come nella Po-

polare di Bergamo) che hanno riunito lerispettive commissioni».

Il problema non investe solo l’Italia.Ne sa qualcosa Angelo Di Cristo, respon-sabile Fabi per il Gruppo Unicredit, doveesiste un accordo dal 2005, poi rinnovatonel 2008. «Il problema si ripresenta pe-riodicamente a macchia di leopardo. Noiinterveniamo sui singoli casi, ma serveun impianto normativo che consentauna reale negoziazione, in sede di con-tratto nazionale. Le banche non possonoscaricare sui lavoratori i loro problemi dicredibilità. La questione travalica i confi-ni nazionali e per questo stiamo lavoran-do a una dichiarazione sulle “vendite re-sponsabili” insieme alle delegazioni dellecontrollate estere, da utilizzare come ba-se di confronto nei diversi Paesi». .

N

IN GIOCO IL RISCHIO REPUTAZIONALE DELLA BANCA

NON SEMPRE LE BANCHE sono orientate al cliente e questo poi ha effetti anche sullepolitiche commerciali. A dirlo è Sergio Spaccavento, presidente di AIFIn, associazionededicata all’innovazione nel comparto finanziario. «In tutti i settori - spiega Spaccavento -è fondamentale sviluppare prodotti e servizi in linea con i bisogni e le aspettative della clientela. Le banche da questo punto di vista hanno ancora molto da imparare. Lo dimostrano, ad esempio, gli investimenti in ricerche di mercato, inferiori rispetto aglialtri comparti consumer, anche se le cose stanno cambiando. D’altro canto la culturafinanziaria nel nostro Paese è molto bassa e questo impedisce spesso un ruolo attivodel cliente nei processi di sviluppo dell’offerta».

Negli ultimi mesi assistiamo a massicce campagne promozionali di prodotti rischiosianche a clienti con basso profilo di rischio, come dobbiamo valutare questo fenomeno?«Se ciò avviene è perché non si è imparato nulla dagli errori», risponde Spaccavento.«Vendere prodotti inadeguati non è corretto né dal punto di vistanormativo né da quello economico, poiché espone la banca a unrischio reputazionale troppo alto. Al tempo stesso il cliente deveimparare a far leva sul proprio “potere” e cambiare banca qualoraessa non meriti a pieno la sua fiducia. Il problema non è tanto la complessità del prodotto, nel momento in cui viene proposto alla persona giusta. Il problema risiede semmai nella consulenza,che anche in banca può essere offerta con un buon grado di indipendenza e professionalità. Fare consulenza significa mettereal centro della propria attività il cliente e i suoi interessi».

R.C.

Nicola Benini, Ad di IFA Consulting e presidente di Assofinance.

NOMI ESOTICI PER PRODOTTI PERICOLOSI

LA CONSOB CLASSIFICA LE OBBLIGAZIONI IN QUATTRO GRANDI GRUPPI: 1. Ordinarie (plain vanilla): sono le più semplici, a tasso fisso e a tasso variabile;2. Step up e step down: sono titoli con cedole fisse e predeterminate, ma con andamento crescente o decrescente nel tempo;3. Obbligazioni con opzioni di rimborso anticipato (cosiddette callable): trasversali a tutte le altre tipologie, prevedono la facoltà

per la banca emittente di rimborsare l’obbligazione prima della sua scadenza;4. Obbligazioni strutturate: hanno in pancia derivati su tassi di interesse o altri asset finanziari. Queste ultime a loro volta sono suddivise in tre sotto-categorie: a. Linked, ovvero con cedole agganciate all’andamento di indici, titoli azionari o fondi;b. Stochastic interest, che incorporano opzioni sull’andamento dei tassi d’interesse con meccanismi cap/floor o strutture simili; c. Miste. Complessità, alti costi e incertezza sul rendimento caratterizzano spesso questi strumenti, al pari dei certificates.Infine, possiamo distinguere fra obbligazioni senior, subordinate (che non hanno garanzia preferenziale di rimborso in caso di fallimentodell’emittente) e covered bond (garantite da una parte degli attivi della banca).

I CERTIFICATES sono strumenti derivati che riproducono l’andamento di un titolo o un indice sottostante. Si tratta di strumenti complessi,con una struttura dei costi spesso difficile da definire. Ce ne sono di tutti i tipi, con strutture di rendimento molto differenti e spesso legate all’accadimento di particolari eventi. In genere prevedono costi di collocamento fino al 3% e altre commissioni (relative al rischio di mercato nel periodo di collocamento, alla strutturazione del prodotto, ecc). Poi ci sono i cosiddetti“spred denaro/lettera”, che remunerano la banca nel momento in cui il cliente decida di smobilizzareil titolo prima delle scadenza, per il servizio di vendita sul mercato. Nell’insieme tali costi “impliciti”possono raggiungere il 5 o 6% del valore nominale: ciò significa che su 100 euro ne vengonoinvestiti solo 94 o 95. È il caso ad esempio dei “Banca Imi Certificates Seng China EnterpriseProtezione”, agganciati al mercato azionario cinese (5% di costi), o dei “Certificati quinquennaliOpportunità Generali” di Unicredit, legati a obbligazioni Generali (6% di costi).

Ma il valore netto è lo stesso che il mercato riconoscerebbe in caso di vendita anticipata,provocando una perdita sul capitale. Alla scadenza il rendimento dipenderà dall’andamento delsottostante, che può essere positivo o negativo. Anche garantendo al 100% il capitale, se lo scenario è negativo il possessore dovrò comunque calcolare la perdita derivante dalla svalutazione. Ma comevalutare la probabilità di scenario positivo o negativo? Difficile rispondere a questa domanda, se non si è analisti esperti. Pochi infatti indicano nel prospetto gli scenari probabilistici (non i prodotti citati).

La differenzatra consulenza e venditadi Roberto Cuda

In Italia è prevista la figura del consulente indipendente. Ma non si trovano i soldi per costituire l’Albo.

OBBLIGAZIONI EMESSE DA BANCHE ITALIANE NEL PERIODO LUGLIO 2006 - GIUGNO 2009

EMISSIONI DOMESTICHE EMISSIONI SULL’EUROMERCATO DESTINATE AL RETAIL DESTINATE AGLI INV. ISTITUZIONALI

NUMERO AMMONTARE OFFERTO AMMONTARE COLLOCATO NUMERO AMMONTARE COLLOCATODI TITOLI (MLD EURO) (MLD EURO) (MLD EURO)

lug. 06 - giu. 07 3.957 133,9 62,6 195 61,4

lug. 07 - giu. 09 8.294 449,1 288,2 447 74,5

lug. 06 - giu. 09 12.251 582,0 350,8 642 135,9

Fonte: Elaborazioni su prospetti informativi, condizioni definitive e segnalazioni di vigilanza per le emissioni domestiche e Dealogic per le emissioni sull’euromercato.

È evidente che gli istituti di credito cercheranno sempre di vendere i prodotti che per loro sono più redditizi

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Secondo Giacinto Palladino, del sindacato Fiba, i premidovrebbero essere agganciatialla qualità dei prodotti venduti

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| finanzaetica || finanzaetica | atomo |

UANTO COSTA UNA CENTRALE

nucleare? Conviene per ilnostro Paese ributtarsi nella

mischia dopo oltre venti anni di morato-ria? Il Governo, prima ancora del referen-dum fissato per il 12 e 13 giugno e propriotemendo un confronto in campo aperto,ha deciso di non porsi queste domande eha tagliato la testa al toro: l’Italia non co-struirà altre centrali (almeno per ora). Maquelle citate restano domande importan-ti, e non facili, a cui vogliamo provare adare una risposta. Negli ultimi anni sonoapparse diverse stime sui costidel nucleare, fra loro discor-danti, perché le variabili daconsiderare sono molte e diffi-cili da valutare. E perché chi

ha interesse a sostenere l’atomo forniscedati, tesi a dimostrare la sua convenienzain tempi medio-brevi, ben lontani daquelli in cui si completa il ciclo di vita de-gli impianti e del combustibile. Nes-sun’altra tecnologia è valutata con altret-tanta “non considerazione” dei costi che,seppure in scadenza in tempi imprecisati,andranno comunque saldati dalle futuregenerazioni. Nei fatti la dismissione degliimpianti irraggiati e, soprattutto, la chiu-sura del ciclo del combustibile danno luo-go a valutazioni delle risorse da impiegarecosì aleatorie da impedire di assegnare unvalore affidabile al kilowattora prodotto

Difficile, se non impossibile, calcolare i costi di una centrale nucleare. I governi diffondono stime al ribasso. Si rifaranno poi sulle bollette e sulle tasse.

La convenienzaeconomica del nucleare è tutta propaganda

di Mario Agostinelli*

I costi di capitale del nuclearesono almeno doppi delle stimedel governo e dell’Enel. In tuttaEuropa c’è la tendenza a barare

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da fissione. Già nel caso delle fonti fossiliabbiamo caricato sul futuro il costo dell’e-missione dei gas serra, ma, per l’intensitàenergetica più elevata dei processi di ra-diazione rispetto a quelli di combustione,il lascito del nucleare durerà molto più alungo, con effetti dannosi ben più diffici-li da neutralizzare.

Costi oltre il doppio delle promessePotremmo semplicemente concludere(come nel volume “Nucleare a chi con-viene?”, vedi ) che la quantificazionedel costo del chilowattora dall’atomo for-nito dalle stime governative riguarda solo“il prezzo politico dell’energia”, assicura-to dallo Stato, con la rivalsa sulle tasse e lebollette dei cittadini. Ma proviamo a met-tere a confronto i dati più recenti dispo-

BOX

nibili (vedi ). Partiamo da una proie-zione al 2020 dei costi del chilowattora dadiverse fonti (vedi 1). A differenzadelle centrali termoelettriche a gas e a car-bone meno recenti, gli impianti nucleari,per la complessità e per le più estremecondizioni di sicurezza che devono ga-rantire, sono assai più costosi e, per que-sto, nella struttura dei costi la componen-te capitale assume un’incidenza notevole(oltre il 75%). Anche se i prezzi dell’uranioaumentassero di tre volte, il costo dell’ap-prontamento della centrale peserebbe an-cora per il 60%.

Ma quanto costa un reattore? Esclusigli oneri finanziari, ad oggi al-meno 3.318 $/kW (si pensiche l’Epr di Olkiluoto, Finlan-dia, solo tre anni fa, nel 2008,era stato valutato senza inte-

TABELLA

BOX

ressi 2.500 $/kW!). Ma il punto debole edeconomicamente più esposto sta nel lie-vitare dei costi di costruzione e nei costidel capitale investito. Nel 1986 un’analisiaveva dimostrato che, su 75 reattori ame-ricani, la spesa effettiva era stata il triplodel previsto. In effetti l’agenzia Moody’snel maggio 2008 stimava che servisseroben 7.500 $/kWh effettivi e Florida Lightand Power ne prevede addirittura 8.000.In una gara in Canada Areva ha presenta-to un’offerta per 7.375 $/kWh e Candu neha avanzata una alternativa per 10.800$/kWh, compresa una assicu-razione contro i ritardi di rea-lizzazione.

Quindi i costi di capitaledel nucleare sul mercato risul-tano almeno doppi rispetto al-le stime ufficiali che ci “propi-nano” il Governo e l’Enel. Laspiegazione la dà una nota diEdo Ronchi (Fondazione perlo sviluppo sostenibile, set-tembre 2010), che ricorda chele cifre distribuite dagli istitutie dagli enti sostenitori dell’atomo fannoriferimento a un interesse presunto del5%, mentre in realtà si ha a che fare in tut-to il mondo con valori superiori al 12%.

L’abitudine di barareIn Europa c’è una spiccata tendenza a ba-rare e, di conseguenza, a tradurre in con-flitti legali le previsioni disattese. Così ilcosto “stimato” dell’Epr da 1.600 MW diAreva (lo stesso di quelli opzionati dal Go-verno italiano) continua a rimbalzareman mano che avanza la realizzazione:era di 3,2 miliardi di euro nelle previsionia Olkiluoto nel 2005; 3,5 miliardi di euro

per Enel nel giugno 2008, diventati 4 mi-liardi nell’ottobre dello stesso anno; 4,5miliardi per Edf nella primavera 2009; 5,5miliardi nella stima finlandese del 2010; 6miliardi almeno per la tedesca E.On. Itempi di costruzione stanno raddoppian-do e il costruttore francese minaccia l’a-zienda elettrica finlandese di citarla per 2miliardi di euro, mentre, a parti inverse,quest’ultima pretende un risarcimento di2,4 miliardi. Risultato: 3,5 miliardi di eu-ro che alla fine graveranno sulle bollette.

Per un confronto sui costi, ricordiamoche una centrale termica a ci-clo combinato da 1000 MW (iltipo più efficiente in questa ti-pologia di generazione) costacirca 0,8 miliardi di euro eun’analoga potenza di eolicoon shore 1 miliardo (1,4 miliar-di nel caso off shore, facendo ri-ferimento ai costi annunciatida Enel per una nuova centra-le in Belgio e per i campi eoli-ci in Sicilia).

Il peso sulla bollettaSe, in base ad otto diversi studi di recentepubblicazione (Agenzia Nucleare dell’Oc-se, Ufficio del Budget del Congresso USA,Dipartimento dell’Energia Usa, Massachu-setts Institute of Technology, Commissio-ne Europea, Camera dei Lords, ElectricPower Research Institute e Moody’s) e conle avvertenze sopra esposte, rendiamo tra-sparenti i costi dell’elettricità prodotta danuove centrali nucleari, ne risulta un costodi almeno 72,8 €/MWh contro 61 €/MWh(-16%) delle centrali a gas e 57.5 €/Mwhdelle centrali a carbone (-21%).

Quindi una tendenziale approssima-zione (al ribasso) dei costi di realizzazione,il peso non riducibile degli interessi sul ca-pitale investito, la crescente richiesta diinterventi di sicurezza, la inevitabile pro-crastinazione dei tempi di costruzione

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Con il passare del tempo i costidelle nuove tecnologie calano.Accade per l’eolico e per ilfotovoltaico. Non per il nucleare

PER APPROFONDIMENTI

IL PRESENTE LAVORO SI BASA SU DATI TRATTI DALLE SEGUENTI FONTI:. Eia-Doe (2010), Annual Energy Outlook, Energy Information Administration U.S. Departmentof Energy;. Iea-Nea (2010) Projected cost of generating electricity 2010 Edition, Oecd;. Mit (2009), Update of the Mit 2003 “The future of nuclear power”, Boston 2009; . Moody’s (2009), New Nuclear Generation: Rating Pressure Increasing, July 2009; . S.Zabot C.Monguzzi, Illusione nucleare, Melampo 2009.

G. Mattioli M. Scalia Nucleare a chi conviene?Ed. Ambiente 2010

LIBRI

Un impianto nuclearein Giappone. Il Paesein tutto possiede 52 centrali nucleari.

Page 19: Mensile Valori n. 89 2011

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della centrale incidono sulle differenze dicosto finale del kWh e evidenziano l’inaf-fidabilità di previsioni fornite dall’osteche deve vendere il proprio vino.

Il nucleare non imparaSecondo la teoria delle “curve di appren-dimento”, con il passare del tempo i costidelle nuove tecnologie si abbassano. Ac-

cade per i microchip, per le automobili,per l’industria del vetro, per le centrali agas, per l’energia eolica e per il fotovoltai-co. Esistono tuttavia rari casi di apprendi-mento “negativo” dove i costi cresconocon la produzione cumulata. È il caso del-l’industria nucleare, per cui la complessitàdel sistema cresce con le sue dimensioni.

Si osserva, ad esempio, un continuo

cambio di design dei reattori che ha por-tato a una significativa dilatazione deitempi di costruzione; si complica la ge-stione del ciclo completo del combustibi-le, in cui a tutt’oggi non è fattorizzato inmaniera convincente il trattamento dellescorie; emergono diseconomie operativederivanti dal carico variabile della rete;per sofisticati che siano, gli standard di si-

curezza sono intrinsecamente messi sottostress, diventano inadeguati e vanno ele-vati in conseguenza dello storico di inci-denti, di crescenti problemi di natura geo-politica e della maggiore casistica diproblemi generati dalla crescita stessa delnumero di centrali.

Se accostiamo le curve di apprendi-mento di nucleare e fotovoltaico risulta

che il costo effettivo del kilowattora sola-re può variare tra i 14 e i 20 centesimi dieuro a seconda dell’insolazione, e conti-nua a scendere con una media del 10%ogni anno. L’eolico è già competitivo conil nucleare. Nel giro di un anno abbiamola possibilità di installare più capacità digenerazione con rinnovabili di quello cheil programma nucleare italiano permette-

rebbe in 10 anni. E, in ogni caso, il flussodi spese per realizzare una centrale nu-cleare deve tener conto dei tempi connes-si alla varie fasi del ciclo e ciò incide ne-gativamente sul tempo di ritorno delcapitale investito e sulla valutazione delrischio economico. .www.energiafelice.it* Portavoce del Contratto mondiale per l’energia e il clima

RA LE MOLTE INCERTEZZE una co-sa è certa: il costo che gli ita-liani stanno già pagando per il

“riprocessamento” del combustibile esau-sto e per il decommissioning (smantella-mento) degli impianti nucleari non piùfunzionanti. “Riprocessare” il combusti-bile significa separare dalle scorie le partiriciclabili: l’uranio non ancora utilizzato esoprattutto il plutonio formatosi nel com-bustibile durante il funzionamento delreattore. Si tratta di un lavoro “sporco”che presenta rischi di proliferazione. Per

evitare questi rischi gli Stati Uniti sino adoggi hanno scelto di non riprocessare lescorie, considerando il combustibile comeun rifiuto a perdere. Molti altri Paesi sonoin attesa, cosicché - secondo l’Agenzia in-ternazionale per l’energia atomica, Aiea -solo un terzo del combustibile nucleare ir-raggiato, prodotto sino a oggi in tutto ilmondo, è stato riprocessato, mentre tuttoil resto è stoccato, in attesa dello smalti-mento o della decisione sul suo destino.

L’Italia “ricicla” le scorieL’Italia, invece, ha sposato, per il combu-stibile esausto proveniente dagli impiantifermi, la scelta del riprocessamento, unastrada rischiosa e costosa, tant’è che peronorare il contratto con la francese Areva,dal primo gennaio 2007 è stata triplicatala quota della componente A2 (nella bol-letta), i cosiddetti “oneri nucleari”, chehanno comportato - come dice l’Autoritàper l’energia elettrica ed il gas - “un au-mento dell’ordine di un punto percentua-le sulla tariffa domestica”.

Salvo imprevisti, la stima degli onericomplessivi del programma di riprocessa-mento ammonta a 4,3 miliardi di euro,

comprensivi sia dei costi già sostenuti dal2001 a moneta corrente, sia di quelli an-cora da sostenere a moneta 2006. La stimadei costi per la chiusura del ciclo del com-bustibile è articolata in tre partite: 1. la sistemazione del combustibile irrag-

giato delle centrali di Trino, Caorso eGarigliano ancora stoccato in Italia,del quale è previsto l’invio in Franciaper il riprocessamento, con ritorno deiprodotti post-ritrattamento al deposi-to nazionale (in tabella: “nuovo ripro-cessamento”);

2. la sistemazione della quota parte So-gin del combustibile della Centrale diCreys-Malville, per la quale è previstala cessione onerosa a EdF, con la con-seguente presa in carico da parte di So-gin del relativo plutonio presso gli sta-bilimenti della Areva e quindi lasuccessiva cessione onerosa di dettoplutonio (in tabella: “Creys-Malville”);

3. la sistemazione del combustibile ir-raggiato che, a fronte di contratti giàstipulati, è stato inviato in Inghilter-ra e i cui prodotti post-trattamentosaranno trasferiti direttamente al de-posito nazionale (in tabella: “vecchio

riprocessamento”). Devono poi aggiungersi i costi per le attivitàtecniche a carattere generale, di supporto,funzionamento sede centrale e imposte.Tutti questi costi sono oggi fatti pagare agliutenti con la bolletta dell’energia elettrica.

Smantellare le centraliLa grandissima maggioranza delle centra-li nucleari oggi operanti nel mondo sonostate ordinate negli anni ’60 e ’70 (quelleordinate dopo il 1979 sono pochissime) esono entrate in servizio negli anni ‘70 e’80. La vita produttiva di una centrale, pri-ma stimata in trent’anni, è stata estesa aquaranta. Entro il 2020, quindi, tutte oquasi le centrali nucleari oggi attive nelmondo compiranno quarant’anni e do-vrebbero essere smantellate.

Nel caso italiano gli esperti sostengo-no che i costi di decommissioning (com-prensivi anche del confinamento dellescorie) equivalgono a una volta e mezzo ilcosto di una nuova centrale.Francia, Inghilterra e Stati Uni-ti fanno valutazioni analoghe.Nel 2005 il ministero dell’In-dustria francese, in base a un

criterio stabilito nel 1991, valutava in 13,5miliardi di euro lo smantellamento delparco nucleare, ma già nel 2003 la Cortedei conti aveva stimato tale costo in unaforchetta di 20-39 miliardi di euro, men-tre una commissione ad hoc parla oggi dicentinaia di miliardi di euro (i Francesi,che pagano oggi il 30% in meno degli Ita-liani la bolletta elettrica, in realtà stannostaccando un acconto e la richiesta di Edfal governo di un aumento di 20 euro alMwh per il decommissioning, finisce colpareggiare già adesso il conto).

L’Inghilterra ha prodotto la sua primastima del costo della “uscita “ del Paese dalnucleare in circa 80 miliardi di euro, unacifra gigantesca, oltre il doppio del costo dicostruzione ex-novo dell’intero parco nu-cleare inglese. Per il governo Usa trattare i25 reattori a minore potenza già fermi co-sta attorno a 500 milioni di dollari a im-pianto. Senza contare che lo stesso studiodi previsione ritiene che occorrano alme-

no 50 anni di “fermo impianto” per poterconsentire nei 60 anni successivi l’accessosicuro degli operatori. Tutti rilievi e conticonfermati dall’Ue, che, attraverso il JointResearch Center nel sito di Ispra (Varese),si appresta al decommissioning di Essor - unreattore sperimentale di 42 MW che haprodotto nella sua attività 3.000 metri cu-bi di scorie - con un budget ventennale dioltre 1,5 miliardi di euro complessivi.

Da ciò si deduce che i costi “nascosti”e “rinviati” del nucleare sono ancora benlontani dall’essersi manifestati intera-mente e sono dello stesso ordine di quellidi costruzione. Ma oggi cominciano a ve-nire al pettine. La chiusura degli impiantiche compiono 40 anni di attività, a segui-to della crisi finanziaria e dei bilanci sta-tali, viene rinviata di qualche anno, comein Germania e Spagna, ma è una necessitàineludibile. Quindi i costi (e i problemi)del decommissioning salgono alla ribalta equelli “veri” del nucleare inevitabilmentelievitano. Potremmo dire che, per ognieuro pagato in fase di costruzione di unnuovo reattore oggi, occorre ipotecare unanalogo pagamento che andrà a scadenzaentro la fine del secolo. .

T

Per ogni euro speso oggi uno rimandato a domanidi Mario Agostinelli*

Noi italiani paghiamo già in bolletta lo smantellamento degli impianti fermi e il “riciclo” dele scorie.

Smantellare un impiantonucleare e confinare le scoriecosta una volta e mezza rispetto a una nuova centrale

COSTI ATTUALI (IN $) DI PRODUZIONE DI 1 MWH PER NUOVI IMPIANTI AL 2020 STIME DI COSTO DELL’EE PER IMPIANTI NUOVI (€/MWH)

NUCLEARE CARBONE CC GAS

MIT - Boston, 2003 48 30 41MIT - aggiornamento 2007 60 26 29MIT - aggiornamento 2009 65 48 50Commissione Europea 2008 50-85 40-50 50-60DOE - stima 2010 per imp. al 2020 86 81 62Moody’s - stima 2009 per imp. al 2020 116 86 93Citigroup Global Markets - 2010 70 50NEA - Nuclear Energy Agency - 2010 45-76 50-61 66-70Dichiarazioni ENEL 30 31 36 STIMA DEI COSTI DI DISATTIVAZIONE DELLE CENTRALI NUCLEARI, IN MILIONI DI €

CENTRALE COSTI COMPLESSIVI COSTI SOSTENUTI

dall’1/01/2001 di cui nel 2006

Caorso 451 102,0 20,2

Garigliano 265 38,0 8,0

Latina 661 56,7 10,2

Trino 270 62,5 10,5

TOTALE 1647 259,2 48,9

STIMA DEI COSTI DELLA CHIUSURA DEL CICLO DEL COMBUSTIBILE IN MILIONI DI €

COMBUSTIBILE COSTI COSTI COMPLESSIVI SOSTENUTI

dall’1/01/2001 di cui nel 2006

Nuovo riprocessamento 322 10,8 3,3

Creys Malville 439 32,5 5,8

Vecchio riprocessamento 432 120,0 9,3

TOTALE 1193 163,3 18,4

STIMA DEI COSTI DI DISATTIVAZIONE DEGLI IMPIANTI IN MILIONI DI €

IMPIANTO COSTI COMPLESSIVI COSTI SOSTENUTI*

dall’1 gennaio 2001 di cui nel 2006Trisaia 280 30,8 12,8Casaccia 319 33,0 11,7Saluggia 396 35,4 15,2Bosco Marengo 47 24,0 11,7TOTALE 1042 123,2 51,4* Per questi impianti, tramite il consorzio SICN, sono stati sostenuti ulteriori oneri per 90,1 milioni di euro

COSTO IN CAPITALE PER COSTRUIRE 1000 MW DI POTENZA NUCLEARE

STIMA ENTE ELETTRICO COSTO IN CAPITALE (IN €) PER LA COSTRUZIONEO ISTITUTO FINANZIARIO DI 1000 MW DI POTENZA NUCLEARE (EPR)

ENEL 2.5 mld €

EDF 2.8 mld €

E.ON 3.5 mld €

Canada 5 mld €

Moody’s 5.8 mld €

Florida L&P 6.1 mld €

FONTI CAPITALE OPERATIVITA COMBUST. TRASM. TOTALE

carbone 70,76 5,19 18,67 3,61 98,23 $/MWh

gas 20,97 1,54 55,33 3,88 81,72 $/MWh

eolico 84,25 9,05 0,00 6,15 99,45 $/MWh

nucleare 78,38 11,42 8,88 3,14 101,82 $/MWh

FON

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Page 20: Mensile Valori n. 89 2011

di Marco Atella

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CANDIDATI AL CDA DI ENI

I SONO CIRCA 500 IM-PIANTI NUCLEARI nelmondo, alcuni in zo-

ne altamente sismiche come il Giappone,ma si tratta di impianti pronti a resistereanche a terremoti di intensità pari a novegradi sulla scala Richter». Non sarebbe ne-cessario aggiungere commenti a una di-chiarazione tanto tragica, se non fosse perun particolare. A farla è stato, meno di dueanni fa, l’amministratore delegato di Enel,Fulvio Conti, durante un colloquio con IlSole 24 Ore. La stessa Enel che, anche al-l’indomani del disastro di Fukushima,continuava a sostenere la bontà dell’ener-gia nucleare e a dirsi pronta per la costru-zione di quattro reattori di tipo Epr in Ita-lia (cosa non più possibile dopo lo stop alnucleare da parte del governo). I due soliprogetti di questo tipo oggi in cantiere inEuropa, in Francia e Finlandia, stanno en-trambi registrando enormi aumenti dei co-sti, ritardi e altri problemi.

L’atomo dell’EstL’Italia ha deciso di bloccare lacostruzione di nuove centralinucleari sul territorio naziona-le, ma, in compenso, Enel èmolto attiva nell’Est europeo.

Uno dei casi più controversi è quello dellacentrale nucleare di Cernavoda, in Roma-nia, voluta dall’allora dittatore Ceausescu.Il progetto iniziale prevedeva la realizza-zione di due nuovi reattori. Uno dopo l’al-tro tutti gli investitori esteri si sono sfilati:hanno rinunciato prima i cechi, poi tede-schi, francesi e spagnoli. Unico investitoreestero che insiste a credere in un progettodecisamente controverso è la nostra Enel.

Un altro caso scottante è quello di Mo-chovce, in Slovacchia, dove sono in co-struzione due reattori che sollevano più diuna preoccupazione dal punto di vista del-la sicurezza, essendo sprovvisti del doppioguscio di contenimento oggi previsto per inuovi impianti.

Enel ha manifestato il proprio interes-se anche per l’impianto in costruzione aKaliningrad, nell’ex enclave russa al confi-ne con la Polonia, anche se per il momen-to non è ancora parte attiva del progetto.Anche questo solleva grandi perplessità,tra l’altro per il rischio di contaminazionedelle falde acquifere sotterranee.

La Fondazione in assembleaLa Fondazione Culturale di Banca Etica harinnovato anche quest’anno la sua parteci-pazione all’assemblea di Enel per sollevare ipropri dubbi su questi e altri investimenti eper chiedere chiarimenti all’impresa.

Se il nucleare sarà, ovviamente, al centrodell'attenzione, sono diversi altri i temi cri-tici che coinvolgono l’impresa italiana: ilproblema delle emissioni di gas serra e degliimpatti sul clima è tra questi. Per compen-sare le proprie emissioni, Enel è tra i mag-giori player al mondo nel mercato dei credi-ti di carbonio, anche di quelli che derivanoda un processo altamente controverso qua-le l’incenerimento dei gas HFC23, che laCommissione europea ha proposto di vie-tare nel prossimo futuro.

Un altro caso, già sollevato negli scorsianni, riguarda la costruzione di cinquegrandi dighe nella Patagonia cilena, un in-vestimento fortemente avversato dalle co-munità locali per gli impatti che avrebbesulla vita di migliaia di persone.

La Fondazione, che ha anche aderito alcomitato promotore del referendum perfermare il nucleare, continua a lavorare conle organizzazioni e le reti della società civilee con le popolazioni direttamente impatta-te dai progetti delle nostre multinazionali,nella speranza di contribuire a una loromaggiore sostenibilità.

L’obiettivo è anche quello di sensibi-lizzare i piccoli risparmiatori sul ruolo e leresponsabilità degli azionisti nella vitadell’impresa. A giudicare dalla delicatezzadelle questioni sollevate, un’attività tan-to urgente quanto necessaria per le gran-di imprese italiane. .

29 aprile: assemblea dei soci di Enel. La Fondazione culturaledi Banca Etica è intervenuta. Per chiedere spiegazioni sulla scelta dell’aziendadi partecipare alla costruzione di diversi impianti nucleari nell’Europa dell’Est.Ma anche sulle dighe in Patagonia e sul mercato dei crediti di carbonio.

Enel avanti sul nucleare Alcuni azionistidicono no

di Andrea Baranes

Per l’impianto di Cernavoda, in Romania, si sono via via sfilatitutti gli investitori stranieri. Ad insistere è rimasta solo l’Enel

«C LL’ENI LA LOTTIZZAZIONE conti-nua. Il 5 maggio, nel corsodell’assemblea 2011, viene

eletto il nuovo Consiglio di Amministra-zione secondo precise logiche di spartizio-ne politica. Nessuna novità. Da sempre ilCda di Eni è un serbatoio di poltrone perrappresentanti politici dei diversi schiera-menti e i nomi dei consiglieri sono decisicon largo anticipo rispetto all’assemblea,grazie a estenuanti mediazioni dentro efuori Palazzo Chigi. Due le liste presentateil 5 aprile: una da parte del ministero del-l’Economia e delle Finanze (Mef) - azioni-sta di maggioranza di Eni con circa il 30%- e una da parte degli investitori istituzio-nali, un gruppo di società di gestione delrisparmio (Sgr) che insieme arrivanoall’1% del capitale, il minimo richiesto perpoter presentare una lista. Il governo pre-senta sei candidati, le Sgr tre. In Cda ne en-treranno nove: les jeux sont faits.

Ma chi sono i prescelti? Scorrendo la li-sta presentata dal Mef incontriamo PaoloScaroni, che sarà confermato per la terzavolta come amministratore delegato. Finqui nessuna sorpresa: la riconferma di Sca-roni era nell’aria da tempo. Alla presidenza

di Eni sale invece Giuseppe Recchi. Un ma-nager di valore con una lunga esperienzanel colosso americano dell’energia GeneralElectric, di cui è Ad per il Sud Europa. A se-guire, tra i candidati del governo, troviamodue new entries: il commercialista Carlo Ce-sare Gatto, presidente del Collegio Sinda-cale della Rai e di Difesa Servizi Spa, la nuo-va società del ministero della Difesa chegestirà i beni e l’immagine delle Forze ar-mate. E poi Roberto Petri, capo della segre-teria del ministro della Difesa, La Russa, epresidente di Alleanza Nazionale-Pdl a Ra-venna. La lista del Mef si chiude con dueconferme, targate politicamente a destra:Paolo Marchioni e Mario Resca. Marchioni,nel Cda Eni dal 2008, è l’ex sindaco leghi-sta di Baveno (5 mila abitanti, in provinciadi Verbania) e vice-presidente della provin-cia Verbania-Cusio-Ossola. Resca, in Eni

dal 2002, è un manager di lungo corso. Pre-sidente e Ad di McDonald’s Italia fino al2007, oggi è direttore generale per la valo-rizzazione del patrimonio culturale pressoil ministero dei Beni Culturali (nominatoda Sandro Bondi nel 2008) e consigliere diamministrazione di Mondadori.

Profumo, i fondi e il caffèLavazzaTra politici locali e fedelissimi di Mr B. ci siconsola con la lista presentata da 17 societàdi gestione, tra cui Anima, Eurizon (San-paolo-Intesa), Arca e il manager di fondipensione olandese Apg. Al primo posto c’èAlessandro Profumo, ex ad di Unicredit, se-guito da Francesco Taranto, nel board diEni dal 2008, dopo una lunga esperienza insocietà finanziarie italiane, e da AlessandroLorenzi, un nuovo entrato che di mestierefa il direttore finanziario di Lavazza, dopoaverlo fatto per Coin e Ferrero.

Un’iniezione di professionalità che,però, non basta alla Fondazione di BancaEtica. «Ci asterremo dal votare entrambe leliste», ha dichiarato Mariateresa Ruggiero,direttrice della Fondazione, che ha parteci-pato come azionista critico all’assemblea diEni per il quarto anno consecutivo. «Primadi tutto perché ci sorprende l’assenza didonne: un’anomalia a livello internaziona-le. E poi perché riteniamo che alcuni rap-presentanti politici nella lista del Governoabbiano un’esperienza limitata o nulla nelsettore energetico, finanziario e nella ge-stione di imprese. Chiederemo a Eni di in-trodurre criteri per adeguarsi alle “bestpractices” internazionali». .

Eni senza unadonna e controppi politici

A Nessuna donna nel nuovo Cda di Eni e ancora troppi politici senza alcunaesperienza nel settore energetico. E la Fondazione di Banca

Etica si astiene dal voto.

LISTA N°1 (GOVERNO) CARICA CURRICULUM

Giuseppe Recchi Presidente Ingegnere. Amministratore delegato di General Electric Southern Europe, Consigliere di Exor

Paolo Scaroni Amministratore delegato Attuale Amministratore delegato di Enel. Consigliere di Assicurazioni Generali, Vice-presidente del London Stock Exchange Group, Consigliere di Veolia Environment

Carlo Cesare Gatto Consigliere Indipendente Dottore commercialista. Presidente del Collegio sindadale della RAI, di Natuzzi Spa e di Difesa Servizi Spa. Presidente di Dea Printing Officine Grafiche Novara 2001

Paolo Marchioni Consigliere Indipendente Avvocato. Vice-presidente della provincia Verbano-Cusio-Ossola. Presidente di Finpiemonte. Ex sindaco di Baveno (VB). Esponente della Lega Nord

Roberto Petri Consigliere Indipendente Laurea in giurisprudenza. Esperienza nel settore bancario. Capo della Segreteria del Ministero della Difesa. Presidente del Circolo Alleanza Nazionale - PDL di Ravenna

Mario Resca Consigliere Indipendente Laurea in economia e commercio. Consigliere ENI dal 2002. Consigliere di Mondadori Spa, Direttore Generale per la valorizz. del Patrimonio Culturale (Ministero per i Beni Culturali). Fino al 2007 Presidente e AD di McDonald’s Italia

LISTA N°2 (FONDI) CARICA CURRICULUM

Alessandro Profumo Consigliere Indipendente Ex amministratore delegato del Gruppo Unicredit

Francesco Taranto Consigliere Indipendente Maturità classica. Consigliere di Carifirenze. Lunga esperienza in società di gestione del risparmio.

Alessandro Lorenzi Consigliere Indipendente Laurea in scienze politiche. Manager e consigliere di amministrazione di Lavazza. Ex Cfo di Coin e manager esec. di Ferrero

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AI SUOI VERTICI GIURANO (omeglio: confidano) che latraversata nel deserto sia

davvero finita. Ci sono voluti quasi dueanni di lavoro e di attesa, di trattative conBankitalia e adempimenti burocratici, mala sospensione delle attività di Zopa, laprima e più nota piattaforma di prestitiperson to person in Italia, sembra sul puntodi concludersi. “In data odierna Banca d’I-talia ci ha comunicato l’autorizzazione adoperare come istituto di pagamento”, silegge, dal 29 marzo scorso, sul sito dell’a-zienda (www.zopa.it). Le centinaia dicommenti festanti, pubblicati poco dopol’ufficializzazione della notizia fanno bencapire quanto fosse attesa tra gli utentiche hanno creduto nelle potenzialità enella portata innovatrice dell’iniziativa.

Una finanza più democraticaImportata in Italia nel gennaio 2008 dalRegno Unito (dove è attiva dal 2005 e harecentemente raggiunto il mezzo milionedi utenti e i 120 milioni di sterline di pre-stiti concessi, vedi grafico), era stata salu-tata da molti come la nuova frontiera deiprestiti: una forma più democratica, tra-sparente e solidale della finanza perchépermetteva alle persone di prestarsi dena-

ro senza dover passare per le banche. Fi-nanziatori e finanziati si sentivano parte diuna stessa comunità e questo favoriva lapartecipazione e una forma di scambio piùsemplice e chiara. In effetti, la partenza fa-ceva ben sperare: in un anno e mezzo era-no stati coinvolti oltre 40 mila utenti ederano stati prestati 7,2 milioni di euro.

A luglio 2009 però, la doccia gelata: laBanca d’Italia aveva cancellato Zopa dall’e-lenco degli intermediari finanziari. Il dena-ro dei prestatori non finiva immediata-mente nelle tasche dei richiedenti, matransitava su un conto corrente intestato aZopa (sebbene fosse un “conto beni di ter-zi”) e lì rimaneva prima di essere distribuitoa chi richiedeva un prestito. Una procedurache, secondo la Banca centrale, travalicava

il ruolo di un semplice intermediario, nonforniva adeguate garanzie ai clienti e si con-figurava come una vera raccolta di rispar-mio. Da lì la sospensione delle attività (inrealtà, Zopa ha bloccato i nuovi finanzia-menti, ma ha sempre continuato a gestire iprestiti concessi fino a quel momento e an-cora non finiti di pagare) e la ricerca di unasoluzione per riprendere le attività.

La soluzione è stata fornita dalla legge11/2010 che, dopo tre anni, recepiva unadirettiva europea (nota come “Psd”, Pay-ment Services Directive). La nuova legge in-troduceva in Italia la categoria degli isti-tuti di pagamento. E Zopa ha potuto cosìavviare le procedure per essere inserita nelnuovo albo. «Non ci sono più ulteriori au-torizzazioni da attendere. Il social lendingè ora un’attività riconosciuta e regola-mentata. Al via libera ufficiale mancanosolo alcuni passaggi burocratici previstidalla nuova normativa - spiega Carlo Vi-tali, marketing manager di Zopa – come laregistrazione del nuovo statuto societarioe l’iscrizione formale all’albo degli istitutidi pagamento. Saremo tra i primi a farlo».Presumibilmente, tutto dovrebbe esserepronto prima dell’estate.

A quel punto i prestatori già registratisaranno fatti migrare sul nuovo regimecontrattuale e l’avventura in Italia potràripartire. «Abbiamo perso terreno rispettoad altri Paesi. Ma l’accelerazione che il fe-nomeno dei prestiti peer to peer ha avutoin Gran Bretagna e Stati Uniti fa ben spe-rare. Siamo molto fiduciosi che ciò av-venga anche da noi: il seguito e l’affettodegli utenti anche nella fase di sospensio-ne giustificano questa fiducia»..

Il sito di social lending, che nel 2009 era stato bloccato dalla Banca d’Italia, ha ricevuto il via libera a operare come istituto

di pagamento. Dopo venti mesi di sospensione, l’avventura italiana dei prestiti person to person, democratici e solidali, può riprendere.

Via liberada Bankitalia La“nuova”Zopaai blocchi di partenza

di Emanuele Isonio

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| finanzaetica | prestiti uno a uno |

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| economiasolidale | | economiasolidale |

Il “Villaggio dellasolidarietà” a Mineo

(Catania). Fino a pochi mesifa era il Residence Aranci,

residenza per le famiglie deimarines della base

di Sigonella

Nel “Villaggio della solidarietà” di Mineo, filo spinato, telecamere e forze armate hanno fatto

capire ai rifugiati che

non si trattava di una

“villeggiatura” ma di una nuovaforma di reclusione senza diritti. Che non favorisce l’integrazione, maremunera molto bene privati e “cricca”.

di Antonio Mazzeo

UGGONO. LI VEDI IN FILA indianatra i campi e gli aranceti. Alcu-ni persino sulla carreggiata del-

la trafficata superstrada Catania-Gela, in di-rezione Nord. Una bottiglia d’acquaminerale e uno zainetto con qualche indu-mento e un pacco di biscotti. È tutto quelloche portano con sé, ma vanno avanti condeterminazione, dignità, speranza.

Chi esercita il diritto alla fuga ha un pro-getto di vita chiaro. Raggiungere fratelli, cugi-ni, amici, quella rete di solidarietà che sannobene che in Italia gli sarà negata. Decine, for-se centinaia di giovani. Richiedenti asilo dinazionalità curda, somala, eritrea, deportatimanu militari dai centri di accoglienza sparsiin mezza Italia. E i tunisini scampati all’infer-no di Lampedusa, dichiarati d’autorità “ri-chiedenti asilo” per mascherare i trasferimen-ti forzati con le unità della Marina militare.

Il residence “a quattro stelle” di Mineo(Catania), abitato fino a un paio di mesi fadai militari Usa di Sigonella, doveva essere lavetrina internazionale dell’accoglienza ma-de in Italy, il progetto-pilota per rendere feli-ci e invisibili i rifugiati e i migranti. Quat-trocentoquattro villette indipendenti, uffici,mense, palestre, campi da tennis e football,sale per l’intrattenimento e le funzioni reli-giose e dodici ettari di spazi verdi. Un para-diso per chi ha conosciuto guerre e carcerinel continente africano, ma l’assedio di po-liziotti, carabinieri e militari dell’esercito, le

per salvarsi

Il diritto

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economiasolidale San Francesco, un nido contro le mafie >47Made in Italy a rischio/4: Quante spine lungo la via del pesce >50

| confini chiusi |

alla fugala vita

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PIZZAROTTI SPA: GRANDI OPERE MILITARI/NUCLEARI

LA PIZZAROTTI È IMPEGNATA nellarealizzazione di grandi opere infrastrutturaliin Italia e all’estero. Alcune di esse hannogenerato enormi impatti socio-ambientali:il deposito delle scorie radioattive di Caorso, la centrale nucleare di Montaltodi Castro, la tratta ferroviaria ad alta velocitàMilano-Bologna, due lotti dell’autostradaSalerno-Reggio Calabria. La società ha partecipato con poca fortuna alla gara per la progettazione ed esecuzione del Ponte sullo Stretto di Messina. In Sicilia ha però ottenuto dall’Anas lo status di general contractor per i lavoridell’autostrada Catania-Siracusa, unacommessa di 473,6 milioni di euro.

La Pizzarotti è inoltre una delle aziendedi fiducia delle Forze armate degli StatiUniti d’America. Solo nell’ultimo decennioha fatturato 134 milioni di dollari per contodel dipartimento della Difesa. Nel 1979 le era stata affidata la realizzazione aSigonella del centro destinato alla RapidDeployment Force, la Forza d’InterventoRapido Usa. A metà anni ’80 la Pizzarottipartecipò pure alla costruzione di numerose infrastrutture nella base di Comiso. Quindici anni dopo, la societàrealizzò a Belpasso (Catania) il villaggio“Marinai” per i militari di Sigonella: 42ettari d’estensione e 526 unità abitative,fratello maggiore del “Villaggio degliAranci” di Mineo. Successivamente ha eseguito i lavori di ristrutturazione e ampliamento delle banchine della base

navale e per sottomarini atomici di SantoStefano (arcipelago de La Maddalena) e realizzato una piccola tratta ferroviaria e alcuni depositi all’interno della base di Camp Darby (Livorno). Nell’aeroporto di Aviano (Pordenone) Pizzarotti ha ampliato i locali adibiti a servizi e casermaggio, mentre a Camp Ederle(Vicenza) ha costruito un complessoresidenziale per 300 marines e il nuovopolo sanitario Us Army.

Non altrettanto bene è andata a QuintoVicentino, dove, nonostante un accordocon il Comando dell’esercito statunitenseper la creazione di un residence con oltre200 abitazioni per i militari della 173a

Brigata Aviotrasportata (valore stimato 50milioni di dollari), gli amministratori localihanno scelto d’imporre il veto al progetto.

La società di Parma ha stipulato un contratto con le ferrovie israeliane per la costruzione di un lotto della linea ad alta velocità Tel Aviv–Gerusalemme,relativo a un tunnel che attraversa i villaggidi Beit Surik e Beit Iksa, all’interno dei territori della Cisgiordania occupatiillegalmente da Israele nel 1967. Comedenunciato da decine di associazioniinternazionali attive nella difesa dei dirittiumani, il progetto viola le norme della IV Convenzione di Ginevra, che vietano alla potenza occupante l’esproprio di proprietà private per la costruzione di infrastrutture permanenti inaccessibilialla popolazione locale. A.M.

telecamere e le recinzioni sorte in venti-quattr’ore, hanno lasciato presagire chissàquali nuove forme di detenzione. E allora èmeglio andare, lasciarsi dietro il vuoto am-bientale, sociale e culturale del “Villaggiodella solidarietà” pensato da Berlusconi eMaroni per fare un favore ai proprietari del-la struttura, la Pizzarotti Spa di Parma (vedi

). Sì, perché alle origini dell’intera opera-zione di riconversione dell’ex villaggio Usanel mega-centro di accoglienza per richie-denti asilo c’è la ferma intenzione di conti-nuare a spremere milioni di euro all’anno dauna struttura che rischiava di restare persempre abbandonata.

Una riconversioneprovvidenzialeQuando alla Pizzarotti fu comunicata l’in-tenzione di Washington di non rinnovare il

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contratto d’affitto che sarebbe scaduto il 31marzo 2011, i manager della società si affan-narono a individuare nuovi possibili locata-ri del villaggio. Dopo aver giocato inutil-mente la carta del “sociale”, proponendo adestra e a manca il suo utilizzo come “luogodi detenzione alternativo al carcere per le de-tenute madri” o come “centro accoglienzaper immigrati e tossicodipendenti”, si tentòdi rifilare la struttura all’università di Cataniaper adibirla a Polo di ricerca e cittadella del-lo studente. Alla Regione siciliana e ai Co-muni del comprensorio fu pre-sentato un progetto di “nucleosociale polifunzionale” con casein affitto a canone agevolato espazi per le attività sociali di en-

ti pubblici e cooperative. Il programma disviluppo immobiliare prevedeva pure la rea-lizzazione di un centro commerciale e di sa-le cinematografiche, ma naufragò per lo scar-so interesse degli operatori economici e deipolitici locali. L’ultima spiaggia fu quella diproporre l’affitto direttamente alle famigliedei militari Usa: 900 euro al mese a villetta -160 metri quadri di superficie più giardino -incluso l’uso gratuito degli spazi comuni e iltrasporto in bus verso la base di Sigonella, pa-recchio distante.

Saldi di fine stagione: quasi la metà diquanto il dipartimento della Difesa versavaalla Pizzarotti, otto milioni e mezzo di dol-lari all’anno, più le spese per la gestione deiservizi all’interno del villaggio. Fallito an-che questo tentativo ci avrebbero pensatole rivolte per la libertà e il pane in NordAfrica a fornire l’occasione per riaprire icancelli del residence e consentire al go-verno di stiparvi oltre duemila tra richie-denti asilo, residenti da tempo in Italia, eimmigrati dell’ultima ora.

Sulla pelle degli immigratiLa portata finanziaria dell’affaire è top se-cret, ma è possibile spingersi in una stima dimassima. Se venisse applicato il canone con-cordato con gli americani, per i 10 mesi e 10giorni coperti dal decreto di “requisizione”firmato il 2 marzo 2011 dal commissario

Il ritorno economico dell’accordo con il governo è top secret, ma, stando alle cifre che il dipartimentodella Difesa Usa versava alla Pizzarotti, nelle cassedell’azienda dovrebbero finire non meno di 5 milioni

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Il suo nome ufficiale è “Centro di accoglienza per richiedenti asilo”. Chi non riesce a superarel’iter burocratico per ottenere l’asilo politico viene rimpatriato. Per paura di questa eventualitàmolti fuggono oltre la recinzione di due metri e il filo spinato, per le campagne siciliane.

L’emergenza profughi è stata un toccasana per i proprietaridell’ex villaggio Usa: il contrattocon Washington era scaduto

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Altre foto del“Villaggio dellasolidarietà” di

Mineo. La struttura è di proprietà della

Pizzarotti Spa diParma, a cui il

Governo paga unaffitto stimato in 5,5

milioni di euro.

Una foto di gruppodell’associazione Jus Vitae. Sotto da sinistra, AlessandroDe Lisi, responsabiledel progetto San Francesco, e Battista Villa,segretario dellaFilca-Cisl Lombardia.

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straordinario per l’emergenza immigrazio-ne, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso,il governo dovrebbe dare alla Pizzarotti nonmeno di 5 milioni e 500 mila euro. La leggeparla chiaro: anche nel caso di espropri e re-quisizioni per pubblica utilità gli indennizzinon possono essere inferiori ai valori di mer-cato. Ma quello di Mineo non sarà un cen-tro legato all’emergenza di questi mesi e neidisegni di Berlusconi e Maroni dovrà averevita illimitata. Il dottor Caruso ha ammessoche, nei piani del governo e dei proprietari,c’è l’intenzione di sottoscrivere un contrat-to d’affitto per non meno di cinque anni. Inquesto modo verrebbero trasferiti altri 30milioni di euro dalle casse dello Stato al pri-vato. Pensare che a una quarantina di chilo-metri in linea d’area sorge l’ex base missili-stica Nato di Comiso (Ragusa), la cuititolarità è passata in mano all’ente locale.Ospita alloggi per oltre 7 mila persone, ab-bandonati all’incuria e ai saccheggi dei van-dali. Accoglienza a costo zero, in una realtàche ha sperimentato in passato, con ovviecontraddizioni, il sostegno ai profughi delconflitto nella ex Jugoslavia e nel Kosovo.Ma, come per le grandi opere, è la lobby delcemento a dettare le regole.

Sulla pelle degli immigrati e sulle taschedei contribuenti. .

L’ALTRO GRANDE BUSINESS di Mineoriguarda la gestione dell’“accoglienza” dei circa 2 mila richiedenti asilo presenti.Le organizzazioni siciliane antirazzistehanno già fatto le prime stime. Agli entiche gestiscono i Cara (Centri di accoglienzaper richiedenti asilo) sparsi sul territorionazionale, il governo versa un contributoche oscilla dai 40 ai 52 euro al giorno per persona. Conti alla mano a Mineo si spenderanno mensilmente dai 2,4 ai 3milioni di euro. È la Croce Rossa Italianal’ente individuato dalle autorità di governosenza l’indizione di un bando ad evidenzapubblica. «Sino al 30 giugno 2011,la Cri impiegherà fondi propri destinati allagestione delle situazioni di emergenza», haprecisato il prefetto Caruso. Per i restantisei mesi coperti dal decreto anti-sbarchi ci penserà lo Stato. A fine anno la spesapotrebbe così toccare i 18 milioni di euro.L’accoglienza soft nei comuni di mezza

Italia, grazie alle reti solidali di enti e associazioni (il cosiddetto sistemaSprar), pesa invece per non più di 20-22euro al giorno per rifugiato. Con il vantaggio che le esperienze hanno fortiricadute sull’economia e l’occupazionelocale, come ad esempio accade a Riace,paesino della provincia di Reggio Calabria,uno dei modelli d’integrazione cittadini-migranti a livello internazionale.

Intanto, il presidente della Provincia di Catania e coordinatore regionale del Pdl, Giuseppe Castiglione, invita la Croce Rossa ad affidare alcuni servizidel centro di Mineo alle cooperative localiin buona parte riconducibili al potenteconsorzio Sol.Co. di Catania. Una piccola“tassa” in cambio del consenso dei politicie degli amministratori del luogo. Il ghettoper rifugiati e deportati nel cuore dell’isolaè pronto a trasformarsi in una modernafabbrica di soldi e di voti. A.M.

CROCE ROSSA ITALIANA: NIENTE BANDO PER FAVORE

San Francesco:un nido contro le mafie

ganizzato, contro le mafie e per la pro-mozione dei diritti umani”, intitolato aGiorgio Ambrosoli e sostenuto dai sinda-cati Filca, Fiba (Federazione italiana deilavoratori bancari e assicurativi della Ci-sl) e Siulp (Sindacato italiano unitario deilavoratori di polizia). Ma non solo.

A scuola di antimafiasociale«Quando un bene confiscato alla mafiaviene utilizzato con successo e ridato allacittadinanza lo Stato vince due volte», spie-ga Giuseppe Vitrano, vicepresidente di JusVitae. «Se ciò non accade - continua Vitra-no - la mafia brinda, perché è come se fos-

se la prova infamante che lo Stato non è ingrado di gestire qualcosa che invece la ma-fia sapeva far fruttare. Noi non possiamodare questa soddisfazione ai delinquenti».

Nella ex villa del boss troveranno spa-zio molte iniziative utili a vincere questasfida. Oltre al centro di alta formazione,ci sarà una biblioteca tematica sulla storiae sui risvolti socio-economici della crimi-nalità organizzata in Italia e una mostrapermanente sulla storia moderna delleorganizzazioni malavitose che racconti«l’attualizzazione dei sistemi criminali:dalle fusioni tra ’ndrangheta e Al-Qaeda airapporti tra la mafia calabrese e i centri diterrorismo internazionale nei Balcani, inAfghanistan e Sudan», spiega AlessandroDe Lisi, responsabile del Progetto SanFrancesco. Il primo piano ospiterà inveceun archivio documentale sul processo perl’assassinio di Ambrosoli e il giardino sarà

CERMENATE (COMO), NEL

cuore del Nord ubertoso,come si diceva una volta,

sorge una palazzina a due piani, doveabitava un killer e narcotrafficante della’ndrangheta calabrese di Platì che par-cheggiava le sue Ferrari nel seminterrato.Il killer oggi è finito in carcere - dopo avercercato di danneggiare la costruzione piùche poteva prima dell’arresto - e la villa èstata confiscata e assegnata in uso dal2010 all’amministrazione comunale, cheha dato vita al Progetto San Francesco,presentato lo scorso 2 aprile. La strutturaè gestita dall’associazione palermitana diPadre Antonio Garau, la Jus Vitae, chevanta un’esperienza più chedecennale nel trattamento dibeni confiscati. Diventerà se-de di un “Centro di alta for-mazione contro il crimine or-

A Cermenate, nel comasco, l’antimafia si fa con il riutilizzo dei beni confiscati e la formazione per la cittadinanza. Un lavoro da magistrati e poliziotti, certo,ma a occuparsene sono anche i sindacati

e un’associazione siciliana.

Adi Corrado Fontana

La villa di un killer della’ndrangheta è ora assegnata allaJus Vitae di Padre Garau: diverràun Centro anti-criminalità

Page 25: Mensile Valori n. 89 2011

La corruzione minaccia il prestigio

e la credibilità delle istituzioni,

inquina e distorce gravemente

l’economia, sottrae risorse de-

stinate al bene della comunità,

corrode il senso civico e la stessa

cultura democratica. Chiediamo al

Presidente della Repubblica, quale

garante della Costituzione e massi-

mo rappresentante delle istituzioni,

di intervenire affinché il governo e

il Parlamento attuino quanto prima

le direttive comunitarie in materia

di lotta alla corruzione e le norme,

introdotte con la legge Finanziaria

del 2007, per la confisca e l’uso

sociale dei beni sottratti ai cor-

rotti. In questo modo anche l’Italia

potrà finalmente fare ricorso a norme

chiare, strumenti e sanzioni efficaci

per contrastare davvero il diffondersi

di questa autentica piaga sociale,

economica e morale.

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trasparenza nelle procedure diautorizzazione per gli impianti.Aspetti critici che il progettoScore - una sigla che sta per StopCrimes on Renewables and Envi-ronment (fermiamo i crimini nel-le rinnovabili e nell’ambiente) -finanziato dalla Commissioneeuropea e coordinato dalla Fon-dazione Culturale di Banca Eti-ca, si propone di affrontare inmodo scientifico, per prevenireil verificarsi di nuovi casi di cor-ruzione e promuovere buoneprassi nelle rinnovabili.

Score prevede la realizzazio-ne di ricerche, pubblicazioni,seminari e incontri di forma-zione per imprenditori, banchee pubbliche amministrazioni,per individuare i punti deboliche portano al verificarsi diabusi e comportamenti illegalie sviluppare nuovi criteri e lineeguida orientati alla prevenzio-

ne. «Il progetto è partito alla fine del 2010 esi concluderà nel 2012», spiega MariateresaRuggiero, direttore della Fondazione Cultu-rale Responsabilità Etica. «I primi risultatisaranno presentati il 21 maggio nel corso diun seminario organizzato a Terra Futura».

Tra i partner di Score, oltre alla Fonda-zione e a Banca Etica, ci sono il dipartimen-to Tesaf (Territorio e Sistemi Agro-Forestali)dell’università di Padova ed Fsc (il marchioche certifica legno e carta provenienti da fo-reste gestite in maniera corretta e responsa-bile), che analizzeranno in particolare la fi-liera del legname, ma anche l’Arci, Sao(Saveria Antiochia Omicron), Valore Socia-le e CdIE (Centro di Iniziativa Europea).«Uno dei nostri obiettivi principali - spiegaLuca Musumeci, coordinatore del progetto- è quello di creare un network di soggetti in-teressati allo scambio di buone prassi, espe-rienze e informazioni. Non vogliamo de-monizzare le rinnovabili, ma contribuire arendere il settore più sicuro ed efficiente».Agli inizi del 2011 si è aggiunto, come so-stenitore e partner del progetto, il sindaca-to dei lavoratori edili Filca-Cisl, impegnatoda anni nella prevenzione dell’illegalità edella corruzione nel settore delle costru-zioni. Per maggiori informazioni sul pro-getto www.euscore.eu – www.fcre.it. .

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mafia, allargando il concetto di squadraoperativa concepito da Caponnetto, Co-sta e Chinnici per applicarlo a un sistemamoderno di contaminazione».

Fundraising antimafiaI costi di questo lavoro non sono anco-ra preventivabili, ma il 7 maggio 2011viene lanciata la prima “offerta pubbli-ca azionaria di solidarietà contro la ma-fia”, un vero e proprio fundraising a li-vello nazionale per finanziare sia laristrutturazione della villa confiscatache il primo anno delle attività del Cen-tro di alta formazione.

Il ragionamento alla base è ancoraquello di una presa in carico della questio-

ne criminale da parte di tut-ta la società (sindacato com-preso), come ribadisce ilsegretario Filca-Cisl dellaLombardia, Battista Villa: «Ilsindacato non deve solo por-si i problemi della ripartizio-ne della ricchezza, ma anche

di come tale ricchezza viene realizzata. Sitratta di infondere in delegati e lavoratoril’idea di come si è passati dalle iniziativesingole di caporali a una vera tratta di es-seri umani in cui, ad esempio, piazzale Lot-to di Milano (luogo simbolo dove si orga-nizzano i traffici del caporalato edile, ndr)diventa come Rosarno, in Calabria. E poibisogna aggredire le degenerazioni del si-stema di appalti pubblici e privati»..

dedicato a Epifanio Li Puma,sindacalista ucciso nel 1948in Sicilia dalla mafia, omici-dio tuttora impunito.

«Possiamo anche arresta-re gli imprenditori e sciogliere tutti i con-sigli comunali della regione - continuaDe Lisi - ma non potremo vincere se nonradicalizziamo la formazione per gli im-piegati comunali e i capiufficio tecnico,insegnando loro a riconoscere i crimina-li. Mi piacerebbe che il Centro di alta for-mazione fosse considerato una sorta di“nido della legalità”, cominciando unavera alfabetizzazione sul crimine orga-nizzato, sia per educare sul tema i bam-bini in modo semplice e comprensibile,sia per istruire gli adulti come se fosserobambini. Parlare di “infiltrazioni crimi-nali” in Lombardia dopo 40 anni di pie-na attività sarebbe una copertura dellaverità: bisogna essere coerenti e discute-re di “radicamento ed evolu-zione”. Per questo non sipuò più pensare a una for-mazione a compartimentiin cui i poliziotti studianoda poliziotti, i magistrati damagistrati. Va invece imma-ginato un pool sociale anti-

L’alfabetizzazione contro le mafieseguirà l’approccio di “squadraoperativa” ideato da Caponnetto:niente compartimenti stagni

TERRA FUTURA A FIRENZE DAL 20 AL 22 MAGGIO www.terrafutura.info

IL TEMA CENTRALE DELL’OTTAVA EDIZIONE DI TERRA FUTURA,“La cura dei beni comuni”, saràdeclinato in molti modi, con una serie di dialoghi che vedranno impegnati, fra gli altri, Enrico Giovannini,presidente dell’Istat; l’economista Luigino Bruni; Giovanni Sartori; Giulietto Chiesa; Vandana Shiva; JavierSanchez, portavoce europeo di via Campesina; Alex Zanotelli; Susan George; Gunter Pauli; GianfrancoBologna e ancora Gianni Silvestrini; Boaventura de Souza Santos; Monsignor Luis Infanti de La Mora, vescovocileno impegnato sul fronte del diritto all’acqua per le popolazioni indigene; Silke Helfrich, della HeinrichBöll Foundation. Ma anche i beni comuni immateriali come la lingua e la scrittura saranno di scena con il progetto “Lingua Futura”, realizzato in collaborazione con il Salone del libro di Torino e con l’associazione“Leggere i diritti”, che vedrà la presenza di scrittori come Tahar Ben Jelloun, Amara Lakhous, Igiaba Scegoe molti altri. Scrittori immigrati o che scrivono di questo sradicamento. Durante i giorni di Terra Futura si svolgerà il convegno internazionale di Mani Tese, “Siamo quello che mangiamo. Il diritto al cibo, la democrazia, il mercato”, con relatori quali Maryam Rahmanian, vice-presidente della Commissione per la sicurezza alimentare della Fao; Gianni Tamino, docente di Biologia generale e di Fondamenti di dirittoambientale all’università di Padova, e molti altri. Un programma intenso e variegato di presentazioni di novità editoriali animerà lo spazio “media eventi”: Elena Pulcini, con “La cura del mondo. Paura e responsabilità nell'era globale” (con Laura Pennacchi e Claudio Martini); Becchetti, Bruni, con Zamagnicon “Microeconomia”; Franco Riva “Come il fuoco. Uomo e denaro”; Paolo Cacciari “La società dei benicomuni. Una rassegna” e la presentazione del nuovo libro di Wolfgang Sachs, “Futuro sostenibile 2010”.

IL LIBRO

Mario Portanova Giampiero Rossi Franco StefanoniMafia a Milano - Sessant’anni di affari e delittiMelampo editore, 2011

Il libro non lascia alibi ai sostenitoridell’appartenenza esclusivamentemeridionale delle mafie al Nord e mette infila 60 anni di cronaca e indagini sugli affarie i delitti del crimine organizzato nella cittàdi Milano e nel suo hinterland. I sequestridi persona, la finanza nera di Sindona e Calvi, l’arresto di Liggio, i colletti bianchidel narcotraffico, i quartieri di periferiacontrollati e militarizzati, i grandi processidegli anni Novanta... fino ad oggi, con le cosche a dettare legge nei cantieri, mentreaccumulano enormi patrimoni immobiliari e guidano holding familiari per darel’assalto all’economia e alla politica.

IN INTERNET

www.filca.cisl.it

www.fiba.it

www.siulp.it

www.comune.cermenate.co.it

ITO NICASTRI, IL “SIGNORE DEL

vento”, è stato arrestato nelnovembre del 2009 nel-

l’ambito dell’operazione Eolo. Un anno do-po la Dia (Direzione investigativa antima-fia) di Palermo e Trapani hanno sequestratobeni di Nicastri e della sua famiglia per 1,5miliardi di euro: 39 società, conti bancari,carte prepagate, polizze di assicurazione e60 terreni sui quali sarebbero dovuti sorge-re altrettanti parchi eolici nella zona di Ma-zara del Vallo (Trapani).

Con Nicastri sono state arrestate altre ot-to persone: membri di cosche mafiose, poli-tici locali e imprenditori. Tutti coinvolti nel-la “mafia dell’eolico”. Sì, perché dietroNicastri, secondo le ricostruzioni degli inqui-renti, ci sarebbe niente meno che il boss diCosa Nostra, Matteo Messina Denaro, registadi un sistema di truffe ai danni dello Stato fi-

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Rinnovabili e criminalitàParola d’ordine:prevenire

di Alessia Vinci

Al via il progetto Score: individuare i punti deboli che rendono possibili le infiltrazioni mafiose nelle energie pulite.

nalizzate all’indebita percezione di contribu-ti pubblici per la costruzione di parchi eolici.

Un binomio da evitareIl caso di Mazara del Vallo non è isolato.Altri episodi di infiltrazione criminale nelsettore delle rinnovabili sono stati accerta-ti negli ultimi anni in Puglia, in Calabria ein altre regioni italiane. «Tutto ciò che pro-duce denaro interessa alla mafia», ha di-chiarato Edoardo Zanchini, responsabileenergia di Legambiente. «Ma questo nonsignifica che le rinnovabili nel nostro Pae-se siano in mano alle organizzazioni ma-fiose. I casi che si sono verificati sono ecce-zioni. L’eolico, per esempio, è di gran lungail settore economico meno condizionatoda fenomeni d’illegalità».

Ma il problema esiste e si associa spessoall’incertezza legislativa o alla mancanza di

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gne prodotto fuori dai confini nazionali oi tedeschi i crauti.

Le conseguenze di questa situazione so-no facilmente intuibili: cooperative di pe-scatori in affanno, marinai e allevatori chefaticano nella ormai celebre “quarta setti-mana”, un’industria ittica fortemente con-dizionata dagli eventi internazionali e con-sumatori che finiscono per mangiaresempre e solo le specie di pesce imposte dal-la grande distribuzione (con buona pace dibiodiversità e qualità).

All’insegna della frammentazione«La condizione del settore ittico italiano è adir poco catastrofica», denuncia Ettore Ianì,presidente di Lega Pesca, associazione cheriunisce oltre 13 mila cooperative (soprat-tutto piccoli pescatori). Alla base di questaaffermazione, pessimistica e tranchant, unaserie di problemi storici e di ritardi infra-strutturali decennali. «I principali problemisi chiamano artigianalità e sottocapitalizza-zione», prosegue Ianì. «Il settore è caratte-rizzato da moltissime microimprese di tipofamiliare che non sono in grado di resisterealla concorrenza estera e che spesso nonhanno capitali adeguati». L’Ismea (Istitutodi servizi per il mercato agricolo alimenta-

re) rivela che, nel 2009, su 13.301 pesche-recci che compongono la flotta italiana, il66% era dedito alla piccola pesca. Una con-dizione che azzera il loro potere contrattua-le nei confronti degli altri anelli della filiera(su tutti, grossisti e distributori) e del siste-ma creditizio.

A questo si aggiunge un’altra frammen-tazione: quella dei punti di sbarco. Lungo lenostre coste se ne contano oltre 800. Un nu-mero spropositato, che rende più difficilefornire gli approdi di adeguati servizi (ac-qua, elettricità, rifornimento carburante) einfluisce sulla vendita di quanto viene pe-scato ogni giorno, perché le filiere si allun-gano e la remunerazione dei pescatori si ri-duce. «Nella filiera del pescato – spiegaFrancesca Carbonari, ricercatrice dell’Ismea- operano moltissimi soggetti. Pescatori, ad-detti al confezionamento e al deposito, ope-ratori dei mercati ittici, trasportatori, grossi-

sti, operatori dello stoccaggio, dettaglianti,ristoratori. I passaggi sono talmente tanti darendere la commercializzazione notevol-mente segmentata e spesso poco trasparen-te». Una filiera tortuosa che – rivela la LegaPesca – nel percorso fino ai consumatori falievitare il prezzo dei prodotti ittici anchedel 300%. Nulla di strano quindi se le stimerelative al 2010 hanno previsto una flessio-ne del 6% nella domanda di pesce fresco daparte delle famiglie italiane.

Tutto questo, mentre il pesce estero go-de di una situazione opposta: «L’offerta –spiega Carbonari - è più concentrata, i gros-sisti coinvolti sono pochi. Il numero deipassaggi che il prodotto compie prima diraggiungere i consumatori è quindi inferio-re». E il prezzo ne risente positivamente,rendendo la concorrenza ancor più perico-losa. «Se concentriamo l’attenzione sul set-tore dell’industria di trasformazione, vedre-mo che dipende ormai esclusivamentedall’attività di importazione».

Inevitabile, in queste condizioni, il calodi produzione italiana (-12% rispetto al2004), la chiusura di tante ditte (il numerodei battelli è calato del 10%, gli occupati so-no passati da 35 mila a 29 mila) e l’aumen-to delle importazioni (vedi ). GRAFICO

Ricavi: dipende tutto dal gasolioSul fronte dei costi, parlando con gli opera-tori del settore, si scopre un fatto poco no-to: i guadagni di chi opera nella pesca di-pendono in buona parte dal costo delcarburante. Negli anni scorsi, finché il ga-solio ha avuto prezzi accettabili, i margini diprofitto ci sono stati.

Ma ora la situazione è differente e incu-te più di un timore: «Nonostante non abbiaaccise, il gasolio – spiega Ianì – incide finoal 60% sui costi di produzione. Oggi che ilprezzo ha sfondato i 100 dollari a barile, lenostre attività sono in difficoltà. In unagiornata di pesca a strascico si consumanocirca duemila litri di gasolio. Nel 2005 ci co-stava 894 euro. Oggi se ne spendono1.462». Una situazione resa ancor più esplo-siva da un altro fattore: aumentare i giornidi pesca non aiuta i ricavi.

In media l’anno scorso ogni battello halavorato 141 giorni, contro i 133 del 2009 ei 118 del 2008. «Ma l’aumento dei giorni inmare non ha prodotto un aumento pro-porzionale della produzione», spiegano dal-l’Ismea (vedi ). Su questo (apparente)controsenso incide il drammatico sovra-sfruttamento dei nostri mari, da anni de-

GRAFICO

AMBIANO I SETTORI, I PRODOTTI

analizzati, i problemi che siincontrano, ma c’è un filo

conduttore che non manca mai in tutte leinchieste sulle filiere agroalimentari che Va-lori sta pubblicando dall’inizio dell’anno:ognuna ha un paradosso che fa a pugni colbuonsenso. Quello della filiera del pesce èracchiuso in due cifre: l’Italia ha 8.350 chi-lometri di coste, ma il tasso di propensioneall’import (in parole povere, laquantità di reddito destinataall’acquisto di pesce estero) èdel 72,7%: un po’ come se ifrancesi comprassero champa-

Troppi intermediari, punti di sbarco frammentati, imprese troppo piccole e prezzo del gasolio alle stelle. Il settore della pesca italiana soffre. Un paradosso: con 8 mila chilometri di coste importiamo la maggior parte del pesce che mangiamo.

di Emanuele Isonio

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| economiasolidale | made in italy a rischio | quarta puntata |

In Italia si contano 800 punti di sbarco: una situazione cherende difficile fornire i serviziadeguati e fa lievitare i costi

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Quante spinelungo la via del pesce

MADE IN ITALY A RISCHIO/QUARTA PUNTATA

IL VIAGGIO DI VALORI nel made in Italyagroalimentare a rischio continua. È la voltadel pesce, cibo preferito per le nostre estati al mare. Anche questa filiera è a rischio. Sulprossimo numero, invece, parleremo di pollo.

SLOW FISH

GENOVA 27-30 MAGGIO Una specie in più: i pescatori. È questo il tema chiave dell’edizionedi Slow Fish 2011. Senza dimenticarel’impoverimento del mare, focalizzeràl’attenzione sui suoi custodi. www.slowfish.it 2004 2005 2006 2007 2008 2009

PESCA NEL MEDITERRANEO ACQUACOLTURA

DINAMICA DELLE CATTURE E DEI GIORNI DI PESCA(in migliaia di tonnellate)

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LINK UTILI

www.ismea.itwww.legapesca.coop www.slowfish.itwww.mediterraneo.coophttp://ec.europa.eu/fisheries www.fao.org/fishery

Nella foto grande:barche di pescatorinel porto calabro di Cetraro. Sotto: uno degli standdell’edizione 2010 di Slow Fish.

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DINAMICA DELLE CATTURE E DEI GIORNI DI PESCA(variazione % annua)

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nunciato da biologi marini e associazioniambientaliste (vedi ).

Il futuro è nell’acquacoltura?Un discorso a parte lo merita l’acquacoltu-ra: il pesce (e i frutti di mare) d’allevamen-to rappresentano già oggi il 49% di tutto ilpesce prodotto in Italia (260 mila tonnel-late annue). Leader assoluti in questo caso,mitili, vongole, trote, spigole e orate. L’ec-

BOX

cessivo sfruttamento del mare e la concor-renza low cost degli Stati del Sud-Est asiati-co fanno prevedere un futuro roseo perquesto tipo di aziende: «L’analisi di medioperiodo – si legge nell’ultimo Check up itti-co di Ismea – mostra maggiori difficoltà perla pesca rispetto all’acquacoltura: i ricavidella prima sono diminuiti mediamentedel 4,5%, quelli dell’acquacoltura sono au-mentati del 3,6%».

Un trend positivo iniziatogià negli anni ’70. Analisi con-divise da Marco Greco, del Co-mitato scientifico di Aiab: «L’al-levamento di pesce e molluschiè una delle attività produttive amaggiore tasso di crescita, deci-siva per il raggiungimento del-l’autosufficienza alimentare eper lo sviluppo economico del-le aree costiere e delle regionipiù svantaggiate. Può inoltresopperire alle grosse difficoltàoccupazionali della pesca e puòbilanciare il deficit che il setto-re sta mostrando».

Un vantaggio, in questocaso, è assicurato dal numerominore di intermediari che in-tervengono nella filiera: una

volta uscito dall’impianto, il pesce è ac-quistato dai grossisti che lo rivendono adettaglianti e ristoratori. «Diversamentedal prodotto pescato - spiega FrancescaCarbonari - è assai frequente che le realtàdella Gdo (grande distribuzione organiz-zata) abbiano rapporti diretti con leaziende di allevamento. Con l’effetto diaccorciare sensibilmente il percorso delprodotto». E di far calare i prezzi. .

SOS MEDITERRANEO: IL 90% DELLE SPECIE È SOTTO STRESS

SONO MOLTI I PROBLEMI che affliggono la filiera ittica in Italia e intanto il numero di pesci nel marecontinua a calare. Se non si troverà soluzione a questo dramma, gli altri aspetti sembrerannoquestioni di lana caprina. I numeri sono davvero agghiaccianti, per quanto poco noti al grandepubblico: «Su 37 stock ittici, ben 34, pari a oltre il 90%, sono in sofferenza perché sottoposti a eccessivo sfruttamento», rivela Silvio Greco, presidente del comitato scientifico di Slow Fish. In pratica, non si dà ai pesci il tempo necessario a crescere e moltiplicarsi. Un fenomeno che riguardada vicino l’intero bacino del Mediterraneo, ma che accomuna il Mare Nostrum agli oceani: un articolopubblicato su Science a fine 2010 ha preconizzato il collasso della pesca commerciale entro il 2048.

Sul fenomeno incide la pesca illegale che attualmente rappresenta il 60% del prodotto immesso sul mercato mondiale e che spesso viene effettuata in ambienti vietati (fasce costiere e areeprotette). Ma ha le sue responsabilità anche lo stile di pesca. «La pesca accidentale, nota comebycatch è una piaga enorme. Per pescare un certo pesce si coinvolgono specie non previste. Un problema che ha interessato cetacei e mammiferi marini, come i delfini. Le catture accessorievanno ridotte usando tecniche innovative e abbandonando la pesca a strascico», spiega Silvio Greco.

La situazione è delicata. Anche perché la soluzione del problema non può passare attraverso le scelte di singoli Stati. «Si può intervenire solo tramite una perdita di sovranità popolare. Deve passare il concetto che le risorse rinnovabili del mare appartengono a tutti. Sono un bene comune e quindidevono essere preservate. Ogni Paese deve cedere una porzione di sovranità a un ente terzo. Magarialla Fao, al cui interno opera un Fisheries Committee al quale partecipano quasi tutti gli Stati mondiali».

CON I PESCI DIMENTICATI UN RISPARMIO DEL 35%

PALAMITA, SUACE, TOMBARELLO, ZERRO. Sono solo alcune delle tante, prelibate specie di pesce che i nostri mari ci donano e che la cucina degli Italiani sembra aver dimenticato. Vittima di una grandedistribuzione che punta a vendere prodotti standardizzati. I 20 chili di pesce pro capite che mangiamo ognianno sono infatti composti sempre più da pochissime specie, molto spesso importate dall’altro capo delmondo. Una scelta tre volte miope: perché così facendo si condannano a morte i tipi di pesce più utilizzati;perché i pescatori buttano via questi pesci che finiscono accidentalmente nelle reti, ma non hanno mercato; perché orientarsi verso queste specie farebbe risparmiare un sacco di soldi. «I pesci dimenticati sono altrettanto gustosi e nutrienti delle spigole e delle orate, ma costano molto meno. Il consumatore può risparmiare fino al 35%», spiega Ettore Ianì di Lega Pesca. «La valorizzazione di queste specie potrebbefinalmente rompere il circolo vizioso che vediamo da troppo tempo: i consumatori non le conoscono, i pescatori le gettano via, i consumatori continuano a non provarle e quindi a non apprezzarle».

PARLARE CON LORO SI PERCEPISCE

la passione per il progetto chestanno portando avanti da ol-

tre un anno. Si sente che sono «cresciuti a pa-ne e pesce», ultimi rappresentanti di genera-zioni di abruzzesi vissuti a contatto con il maree i suoi abitanti. Ogni giorno, da oltre un an-no, Daniele Mugnano e Roberto Lanzone han-

di Emanuele Isonio no trasferito sulle coste di Termoli il sistemadelle Community Supported Fishery, alleanze trapescatori e gruppi di consumatori: si concordaperiodicamente quantità e prezzo dei prodottidisponibili, eventualmente pagandoli in anti-cipo, e i produttori consegnano il pesce secon-do una cadenza stabilita. La Fishbox di Danie-le e Roberto fa da tramite tra le due “anime”della filiera: acquistano dai pescatori diretta-mente sulle banchine il pesce dell’ultima “ca-

lata” (a tarda sera) e lo distribuiscono entro 12ore, all’interno di confezioni ermetiche da 2chili, ai gruppi d’acquisto solidale di Roma,che da tempo cercavano di estendere al pesca-to la filosofia già sperimentata con verdure,frutta, carne e formaggi.

Dalla Capitale si sono poi spinti anche inEmilia Romagna, Toscana fino a Milano per untotale di quasi due tonnellate a settimana. «So-lo a Roma serviamo 20-25 Gas, 120 box a ogni

carico», racconta Mugnano. Un impulso all’e-conomia locale, ovviamente. Ma anche una ga-ranzia di tutela ambientale: «Abbiamo un pro-tocollo molto rigido. Per lavorare con noi evendere ai Gas, i pescatori devono usare solo re-ti a maglia europea (più larghe, ndr), non pe-scare esemplari sotto misura o specie a rischio.E devono rispettare il fermo biologico di un me-se all’anno imposto dalla Ue per far “riposare”i mari e dare tempo alle specie di riprodursi». Ilfatto di vendere solo ai gruppi d’acquisto è inquesto senso un incentivo a fissare paletti rigo-rosi: un modo per orientare il mercato versoscelte più sostenibili. «Il nostro sogno è di arri-vare ad appaltare barche che lavorino a tempopieno solo con i “gasisti”. Potremmo incidereancor più sulle regole del mercato».

Gas e bandi verdi Ma il rapporto tra Gas e pesce, per quantopiù difficile di altri prodotti, non si esauri-sce tra Termoli e Roma. Anzi. Di buone ini-ziative, piccole e grandi, se ne trovano pa-recchie: a Pavia, ad esempio, le 120 famigliedel Gas locale hanno avviato un rapportocon la Blue Valley di Caposile nella lagunaveneta, per l’acquisto di pesce di valle bio-logico. «Per abbattere i costi di spedizione,abbiamo allargato gli ordini ai Gas vicini el’idea si è sparsa a macchia d’olio fino a Mi-lano», spiega Cristina Coglitore del Gas diPavia. «Abbiamo contribuito a mantenereun settore tradizionale e posti di lavoro, ab-biamo tutelato un territorio e incentivatoun tipo di pesca sostenibile. Per contro, pos-siamo contare su pesce di qualità». A Mila-no, è attivo anche il progetto “Pesce d’Apri-

le”, ideato da Intergas, rete che riunisce nu-merosi gruppi della città. In questo caso ilpesce arriva direttamente dal Parco natura-le della Maremma tra Porto Santo Stefano eTalamone. Un sistema che ha dimostrato lemolte potenzialità del rapporto diretto.

«Quella della filiera corta – commentaMarco Greco, del Comitato scientifico diAiab (Associazione agricoltura biologica) – èuna strada molto efficace, soprattutto per leproduzioni locali e per il sostegno che rice-ve il territorio. Ma per coinvolgere le azien-de di maggiori dimensioni serve un salto diqualità». Ad esempio, inserendo l’acquistodi pesce nei “bandi verdi”, i Green Public Pro-curement. In Friuli, hanno fatto da apripistacon dei bandi per fornire prodotti ittici allaristorazione collettiva (mense di uffici pub-blici, scuole e ospedali). «Questo tipo dibandi può far fare il salto di qualità alla fi-liera corta. E, come l’intervento dei Gas, so-no essenziali per condizionare il mercato,imponendo criteri di sostenibilità. Sono unpotente strumento di trasformazione»,spiega Marco Greco.

Le armi vincenti: rapporti diretti ed educazione ai consumiAnche nel settore ittico iniziano a diffondersi i progetti di vendita ai Gruppi d’acquisto

e i bandi verdi per rifornire le mense collettive. Una soluzione contro le storture della filiera del pesce italiano. Ma i consumatori devono cambiare stili di alimentazione.

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Sopra: il lanzardo.Sotto, da sinistra: alcuniesemplari di pesce boga,tombarello e musdea. In basso: la composizione dellecassette destinate alla vendita.

Non solo “pesci bistecca” Ma per ottenere davvero un cambio diparadigma, tutti gli addetti ai lavori con-cordano su un punto: è indispensabilecambiare stili di consumo e tornare aconsumare i “pesci dimenticati” (vedi

). «Il mercato oggi spinge solo pesci bi-stecca come tonno e pesce spada. Sulle ta-vole italiane troviamo 5-6 specie. Anche lefamiglie più attente non superano le die-ci specie. Mentre nei nostri mari potrem-mo contarne oltre trecento.

Così facendo, influiamo sugli ecosistemi,mandando in sofferenza le specie che utiliz-ziamo». Senza contare la perdita delle tradi-zioni culinarie. «I consumatori hanno sempremeno voglia di perdere tempo – commenta ilpresidente di Lega Pesca, Ettore Ianì – e prefe-riscono quindi il pesce sfilettato, che tra l’altroè il più soggetto a rischi di truffe come nel ca-so del pangasio venduto al posto del merluz-zo. Dobbiamo invece recuperare il gusto diprovare le decine di varietà che i nostri marioffrono. E che, tra l’altro, costano molto me-no perché hanno minore mercato»..

BOX

Nei nostri marivivono oltretrecento tipi di pesce. Ma sulle tavole ne finiscono al massimo una decina. E va sempre più di moda comprarefiletti già pronti

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Scoperto un traffico di 1.200 miliardi di dollari

La Banda dei bond

di Luigi Grimaldi

N’INDAGINE DELLA PROCURA DI ROMA scova 565 miliardi di dollari di titoli “di-chiarati” contraffatti. Ma l’operazione complessivamente scoperta dai giudicidovrebbe aver raggiunto la mostruosa cifra di oltre mille miliardi di dollari, la

metà dei quali non si sa dove sia finita, o nei forzieri di quali banche sia stata depositata. Icontatti con il mondo bancario da parte della “Banda dei bond” sono stati decisamente este-si: da Santander, a Barclays, all’Arab Bank, a JPMorgan. Contatti ci sarebbero stati persino conla Banca Mondiale e con la banca centrale rumena. Potenzialmente una bomba ad orologe-ria finanziaria.

Il bello, si fa per dire, è che l’inchiesta nasce quasi per caso da un’indagine per aggiottaggionel quadro di una presunta scalata alla società proprietaria della Roma Calcio. Tra gli indagatidi quell’inchiesta, da cui sarebbe emersol’abnorme traffico di titoli, c’è Alvaro Robe-lo Gonzales, 64 anni, una lunga e brillantecarriera politica, ex ambasciatore in Italia,in Jugoslavia, in Romania, in Grecia e pres-so la Fao. Ex governatore del Fondo inter-nazionale di sviluppo agricolo, è rappresen-tante permanente presso le Nazioni unite(Programma alimentare mondiale), presi-dente della compagnia di navigazione Bioe-lonic (il cui titolare è Gabriele Pillitteri, fra-tello dell’ex sindaco di Milano) e del Bancoeuropeo del Centro America (Beca). A metàdegli anni 90, quando si era candidato allapresidenza del Nicaragua (con la consulen-za di Cicci Cardella, l’ex guru della comu-nità Saman e di Bettino Craxi, oggi amba-sciatore del Nicaragua in Medioriente), lochiamavano il Berlusconi dell’America Lati-na per aver fondato il movimento “ArribaNicaragua” (Forza Nicaragua).

Tra politica e finanzaMa la cosa strabiliante è che,secondo Robelo, la coalizionecui partecipa “Arriba Nicara-gua” sarebbe stata finanziata

da un comune amico di Berlusconi: Ghed-dafi. Di più. Della Beca, la banca di Robe-lo, era presidente fino allo scandalo Pho-

ney Money (l’indagine tolta, epoi “soppressa” al Pm DavidMonti, ad Aosta) il costruttoreromano Gianfranco Saraca, de-putato di Forza Italia.

Da Pontidaagli StatesDi cosa si occupava l’inchiestadi David Monti? Di interventidi condizionamento della poli-tica istituzionale italiana.

Al centro del “complotto”Enzo De Chiara, consigliere delPartito repubblicano Usa pergli Affari internazionali e Gian-mario Ferramonti, legatissimoalla Lega Nord ai tempi diGianfranco Miglio e della Pon-tidafin, la finanziaria possedu-

ta al cento per cento dal Carroccio. L’inda-gine, ieri come oggi, puntava su unatentata truffa finanziaria, allora da 20 mi-la miliardi, che sarebbe stata ideata da Fer-ramonti.

Un genere di attività che sempre appa-re come un esercizio strumentale di finan-za parallela a fini politici. .

Un’inchiesta partita da unapresunta scalata alla RomaCalcio avrebbe portato alla luceun enorme giro di titoli falsi

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Sezioni espositive 2011:

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iinternazionale Irlanda. Il cielo (grigio) sopra Dublino >61Grameen: Yunus non si arrende. Ma Unicredit lo ha già scaricato >62

| islanda |

La primavera di Reykjavík

UÐ BLESSI ÍSLAND».DIO benedica l’I-slanda. Il 6 ottobre

2008, chiudendo il suo sofferto discorsoalla nazione, il primo ministro diReykjavík, Geir Hilmar Haarde, non trovònessuno di meglio a cui affidare sé stessoe i suoi 311 mila concittadini. Una svol-ta verso il soprannaturale che, in un cer-to senso, appariva perfino logica visto

che, di fronte a un simile dissesto finan-ziario, soltanto un miracolo avrebbe po-tuto salvare l’ex isola prodigio, divenutavittima della crisi globale. Ma il miraco-lo ovviamente non avvenne. Un paio disettimane più tardi il Fondo monetariointernazionale approvò l’erogazione diun primo prestito da 2,1 miliardi di dol-lari, il primo concesso a un Paese occi-dentale da 32 anni a quella parte, per ga-

rantire una sopravvivenza che, in assen-za di liquidità esterna, non sarebbe piùstata possibile. La nazione, in altri termi-ni, era tecnicamente fallita.

Declino e ascesaPer gli islandesi fu come piombare in unincubo. Appena un anno prima il loro Pilpro capite si era attestato a quota 40.400dollari, meglio di Svizzera, Svezia e altri

di Matteo Cavallito

Reykjavík, giugno 2000. La “Laguna blu”, la piùfamosa piscina termale d’Islanda (e del mondo).

Alla fine del 2008 l’Islanda staccò la spina alle sue banche. Una scelta obbligata, preludio allarinascita attuale. La ripresa è stata merito soprattutto della svalutazione della moneta e che ha rilanciato l’export. Dublino e Atene non potrebbero prendere esempio. Con l’euro non sarebbe stato possibile.

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213 Paesi. Moltiplicato per ciascuno di lo-ro faceva oltre 12 miliardi. Un numeroenorme per un’economia così piccola.Ora però, spiegava loro il premier, quellacifra valeva poco, pochissimo. Meno diun decimo del valore delle esposizionidell’intero sistema bancario nazionale.

Le tre major creditizie del Paese, Land-sbanki, Glitnir e Kaupthing, fallirono dalì a poco. Icesave, la “filiale” on line bri-tannica di Landsbanki, fu dichiarata in-solvente l’8 ottobre, aprendo la strada auna grana internazionale che dura anco-ra adesso (vedi ). Glitnir, che un annodopo sarebbe stata scorporata con la ces-sione ai privati della sua filiale norvegesee rinominata Íslandsbanki, crollò sotto lapressione di 210 emissioni obbligaziona-rie da 23,4 miliardi. Prima che il mese sichiudesse, infine, Kaupthing non trovò i4,8 milioni di dollari necessari per paga-re la rata dei bond ai creditorigiapponesi. Pochi giorni do-po, l’istituto si rivolse a unacorte distrettuale di New Yorkpresentando la propria istan-

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za di fallimento. L’inverno, insomma, sipreannunciava gelido e di una lunghez-za indefinita.

I tassi di interesse si collocavano al18%, un problema non da poco per unanazione che aveva emesso bond sovraniper 3,6 miliardi di dollari. L’inflazione,programmata al 2,5%, aveva raggiunto il14%, mentre il Pil, avvertiva disperata-mente la banca centrale, rischiava di con-trarsi dell’8,3% entro la fine dell’anno.Nella prima settimana di ottobre la valutalocale aveva perso il 10% sull’euro e addi-rittura il 20% sul dollaro. Alla fine del me-se la corona si sarebbe svalutata del 58%sui mercati internazionali.

Uno scenario da incubo che oggi, tut-tavia, sembra un lontano ricordo. MentreGrecia e Irlanda agonizzano (e Portogalloe Spagna non si sentono troppo bene),Reykjavík se la ride. L’inflazione è crollata,

l’export segna un aumento su base an-nuale pari al 20% e il mercato azionarioregistra un controvalore superiore del50% rispetto ai minimi storici di inizio cri-si. La disoccupazione resta alta, è vero, mala tendenza, è ormai chiara. A gennaio, ilcosto di protezione dei crediti vantati conl’isola (calcolato sui derivati credit defaultswaps a protezione delle obbligazioni sta-tali a cinque anni) risultava pari, secondola rilevazione della società londinese CmaDatavision, a 265 punti base contro i 619e rotti dell’Irlanda e gli oltre mille dellaGrecia. Tradotto (e considerando altre va-riabili) il rischio default del Paese si atte-stava al 19,2% contro il 41,2% dell’Irlan-da e il 58,8% della Grecia. Un attestato difiducia che nei mesi seguenti ha fatto let-teralmente crollare il volume dei Cds sul-l’Islanda tanto da indurre Cma a elimina-re il Paese dalla rilevazione di aprile.Escludendo, di fatto, l’ipotesi della banca-rotta nazionale.

Una lezione per l’Europa?«In Islanda abbiamo permesso alle ban-

seph Stiglitz. Un pensie-ro che sta facendo prose-liti presso regolatori eanalisti di tutto il Conti-nente, ma che si scontra,è bene ricordarlo, con unostacolo pressoché in-sormontabile: quellodell’euro. Dietro alla ri-presa di Reykjavík, ov-viamente, c’è in primoluogo la svalutazione della moneta nazio-nale con le inevitabili ricadute positive sul-le esportazioni. Una strategia che né Du-

blino né Atene potranno mai perseguireautonomamente. Non stupisce dunque,come ha riferito un sondaggio pubblicatoa metà marzo dal quotidiano economicoViðskiptablaðið, che l’ipotesi di adesionedell’isola all’Unione Europea, il grandeleitmotiv di inizio crisi, trovi oggi il con-senso di meno di un islandese su tre.

Un dato che dovrà far riflettere molti,specialmente all’interno di quella classepolitica tradizionale che sconta oggiun’importante crisi di consenso. Quasi unanno fa, il popolare comico locale JónGnarr è stato eletto sindaco della capitale

dopo aver promessoasciugamani gratis intutte le piscine e dirittodi asilo (nello zoo muni-cipale) agli orsi polariche raggiungono il Pae-se sugli iceberg alla deri-va. Lo scorso novembre- molto più seriamente -25 cittadini sono statiscelti da una rosa di oltrecinquecento candidati

per prendere parte a una nuova assembleacostituzionale. 25 sconosciuti privi di affi-liazione politica e democraticamente elet-ti, in altre parole, si trovano ora coinvoltinella revisione della legge fondamentaledel Paese. Sembra assurdo, ma conoscen-do gli islandesi non si tratta certo di un mi-racolo. Nemmeno questa volta. .

ICESAVE BATTAGLIA SENZA FINE

3,9 MILIARDI CON GLI INTERESSI, circa 12 mila euro per ogni singolo islandese. A tanto ammontano i risarcimenti chiesti da l’Aja e Londra per coprire le perdite dei clienti olandesi e britannici di Icesave, filiale on line dell’istituto Landsbanki, fallitonell’ottobre del 2008. Un rimborso che deve ancora partire, in attesa di un accordo che continua a latitare. Alla fine del 2009, il parlamento di Reykjavík aveva approvato l’ipotesi di un rimborso a 14 anni ma un successivo referendum avrebbe bloccato l’intesa con il 93% di voticontrari. Un anno più tardi la storia ha concesso una replica. Il premier JóhannaSigurðardóttir ha ottenuto l’approvazione di un nuovo piano a condizioni migliori (periododi pagamento 2016-2046, tassi di interesse fissi al 3,3% per il Regno Unito e al 3% perl’Olanda) ma il presidente Olafur Grimsson ha imposto nuovamente la consultazione.Nello scorso mese di aprile il 60% degli islandesi ha ribadito la propria contrarietà. Olanda e Gran Bretagna minacciano ora di portare l’isola in tribunale.

ISLANDA IN CIFRE

Capitale: Reykjavík

Popolazione: 311.058

Indipendenza: 1944, dallaDanimarca

Pil pro capite: 36,700 $

Tasso di crescita 2010: -3,4%

Tasso di crescita dal 12/2010:0,1%*

Tasso di crescita 2010-2015:3,42%**

Tasso d’inflazione: 1,9%*

Disoccupazione: 8,5%*

Spese per istruzione pubblica/Pil:7,5%

Spese militari/Pil: 0%

FONTI: CIA, WORLD FACTBOOK 2011, WWW.CIA.GOV

* TRADING ECONOMICS, WWW.TRADINGECONOMICS.COM

**PREVISIONE FMI, FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE,CITATO IN TRADING ECONOMICS

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Nel 2008 i tassi di interesseerano al 18% e l’inflazione al14%. Oggi è crollata e l’exportsegna aumenti annui del 20%

che di fallire, non le abbiamo caricate didenaro per farle sopravvivere», ha dichia-rato a Bloomberg il presidente islandeseOlafur Grimsson. «Come potevamo chie-dere agli agricoltori, ai pescatori, gli inse-gnanti, ai medici, alla gente comune in-somma, di caricarsi sulle spalle laresponsabilità di quegli istituti privati cheerano falliti?». La risposta è scontata e, nu-meri alla mano, non ci sarebbero state co-munque alternative. Il punto, però, è chela scelta dello Stato di assumere sì il con-trollo della banche, ma di evitare un im-possibile accanimento terapeutico si è ri-velata vincente. «L’Islanda hafatto la cosa giusta caricando ilpeso delle perdite sui creditorie non sui contribuenti», ha af-fermato il premio Nobel Jo-

Joseph Stiglitz: «L’Islanda hafatto la cosa giusta, caricando il peso delle perdite sui creditorie non sui contribuenti»

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A sinistra, un paesaggio lunaretipico islandese.Sopra, il plasticodell’isola al RaðhusReykjavikur(ReykjavíkTown Hall).

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Tchenguiz-ZuninoTutto il mondo è quartierino

ANCHE, AFFARISTI SENZA scru-poli, scalate tentate e fur-betti del quartierino. L’Italia

non è poi così lontana dall’Islanda. Nellesettimane scorse dall’isola nordica e dal-l’Inghilterra è rimbalzata la vicenda diVincent e Robert Tchenguiz. Una cin-quantina d’anni ciascuno, originari diTeheran. Perfetti sconosciuti diventati inpochi anni il simbolo del boom immobi-liare britannico e finiti in manette il 9marzo scorso. Una parabola conclusa conuna gigantesca operazione di polizia: perandarli a prendere Scotland Yard ha mo-bilitato 135 agenti. Motivo? I due fratelliiraniani avrebbe avuto un ruolo nel falli-mento della banca islandese Kaupthing,crollata nel 2008 sotto il peso delle perdi-

di Andrea Barolini

te causate dalla crisi finanziaria globale.Ma perché proprio loro, che nel crack

hanno perso un miliardo di dollari, sonofiniti nel mirino degli inquirenti? Perchénel mondo della finanza la linea che se-para vittime e carnefici spesso è talmentesottile da scomparire.

Un copione che si ripeteI due fratelli avevano ricevuto, nel corsodegli anni precedenti al default della ban-ca islandese, una quantità spropositata dicrediti dalla stessa Kaupthing. Quasi duemiliardi di euro solo nel 2007, nonostan-te le loro imprese stessero fallendo. Un co-pione che da noi, mutatis mutandis, è an-dato in scena con attori diversi ma con lastessa pièce. Prendiamo il caso dell’immo-biliarista Luigi Zunino, patron di Risana-mento, considerato “il più furbo tra i fur-betti”. Tra investimenti a Sankt Moritz,Parigi ed ex-area Falck di Sesto San Gio-vanni, l’ascesa del finanziere è sembrata,alla metà del decennio scorso, inarresta-bile. Le inchieste per le scalate su Anton-veneta, Banca Nazionale delLavoro e Rizzoli-Corriere dellaSera - che hanno travolto il re-sto del “quartierino” (Ricucci,Coppola, Statuto) - lo hanno

sfiorato appena. Anzi, nel frattempo Zu-nino la sua mini-scalata (su Mediobanca)è riuscito a completarla. Ma è l’apice dellaparabola: il bilancio 2007 della Zunino In-vestimenti Italia, la holding non quotatache possedeva la Risanamento, ne era il ri-sultato, operativo e simbolico: lo stato pa-trimoniale parlava di 3,5 miliardi di debi-ti a fronte di 96 milioni di capitale eriserve. Il crollo era imminente. E doveaveva trovato Zunino quei soldi? Ma dal-le banche ovviamente: 600 milioni da In-tesa Sanpaolo, 300 da Banco Popolare,266 da Unicredit. E così via. La differenza tra noi e l’Islanda risiede pro-babilmente nel solo fatto che, dietroKaupthing, di Zunino/Tchenguiz ce neerano troppi. E che le spalle finanziariedell’istituto nordico non erano sufficien-temente solide da reggere l’urto di similirischi. Cosa che invece sono riuscite a fa-re le banche italiane: solo per questo ilcrack di Risanamento non ha trascinatocon sé il sistema finanziario del nostroPaese. Ma anche da noi, emerge un qua-dro fatto di patti più o meno segreti, in-trecci economico-istituzionali, leve finan-ziarie alle stelle e crediti concessi più perragioni politiche che per scelte strategi-che. La vicenda Antonveneta, che ha col-pito il cuore del sistema con l’ex governa-tore di Bankitalia Antonio Fazio, ne è statoun altro esempio lampante. .

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Investimenti Italia, la holdingche possedeva Risanamento,aveva 3,5 miliardi di debiti e 96 milioni di capitale e riserve

I due fratelli iraniani hanno contributo al fallimento della banca islandeseKaupthing, ricevendo prestiti miliardari nonostante le loro imprese stesserofallendo. Molte le analogie con la storia di Zunino-Risanamento

e le banche italiane. Ma da noi nessun istituto è fallito.

Il cielo (grigio) sopra Dublino

LLA FINE DEL 2008, MENTRE DA

Reykjavík giungevano noti-zie sempre meno rassicuran-

ti, gli osservatori più lungimiranti coniaro-no una battuta che sarebbe passata allastoria. «Che differenza c’è tra Islanda e Ir-landa?», chiedeva l’analista di turno. «Unalettera e sei mesi», rispondeva il suo inter-locutore. Che la grande crisi fosse solo que-stione di tempo, all’epoca, lo avevano giàintuito più o meno tutti. E poco importavache il governo si affannasse a smentire.

Si salvi chi puòLe cifre sono state ipotizzate per un paio dianni, fino alla sentenza (forse) definitivapronunciata ad aprile 2011 dagli stress test. Aconti fatti il programma di sopravvivenzadel sistema bancario irlandese costerà 70 mi-liardi di euro: 24 saranno generosamenteprestati dal duo Unione europea-Fmi, 46 sa-ranno messi in campo dal governo, ovverodai contribuenti.

Michael Cembalest, chief investment offi-cer presso JP Morgan, ha calcolato che, nelcorso dei prossimi anni, il salvataggio degliistituti (Allied Irish, Bank of Ireland, Irish Li-fe & Permanent ed Ebs) costerà a ogni fami-glia irlandese qualcosa come 54.800 euro.Un sacrificio obbligato. E non solo nell’inte-

di Matteo Cavallito

resse di Dublino. Secon-do le stime del Wall StreetJournal, le banche euro-pee sarebbero espostecomplessivamente sull’i-sola per 650 miliardi didollari, due terzi dei qua-li per “merito” dei soliistituti di Germania e Re-gno Unito. Nel corso del2009 il prodotto internosi è contratto del 7,6%,una riduzione più chedoppia rispetto all’annoprecedente. Nel 2010 ildato è rimasto in territorio negativo e la ten-denza sembra confermarsi tuttora con evi-denti ricadute sull’occupazione: ad oggiquasi 15 irlandesi su 100 sono senza lavoro.I mercati, in compenso, non esprimono fi-ducia come evidenzia il dato sui derivati aprotezione dal fallimento. Al momento, nelmondo, soltanto Grecia e Venezuela hannouna probabilità di default nazionale supe-riore a Dublino.

Default tecnico? Di fronte a un simile contesto, non sor-prende che, da qualche tempo, diversi ana-listi abbiano iniziato a paragonare la terapia

irlandese dei salvataggipubblici alla soluzioneislandese del fallimentocontrollato. Con la rile-vante eccezione dell’eu-ro (l’Irlanda non ha unamoneta propria da sva-lutare), il paragone Du-blino-Reykjavík solleti-ca già la fantasia diqualcuno. Si spieghe-rebbe così, forse, la sor-prendente uscita delministro dell’agricoltu-ra Simon Coveney che,

a fine marzo, ha ipotizzato di fatto un hair-cut sulle obbligazioni bancarie. In pratica sitratterebbe di tagliare i premi per gli inve-stitori scaricando implicitamente su questiultimi parte del peso del debito a beneficio,va da sé, dei contribuenti. Gira e rigira sitratta di default tecnico, con l’ammissionedi impossibilità di onorare il debito ai pattiprestabiliti. Una scelta che potrebbe peròindurre gli investitori a rivalersi sul resto delContinente, imponendo tassi più alti suiprestiti e facendo così pagare il gap sulle ob-bligazioni irlandesi, in primis, agli istitutiportoghesi e spagnoli. Aggravando ancor dipiù la persistente crisi di eurolandia. .

AIRLANDA IN CIFRE

Capitale: DublinoPopolazione: 4,67 milioniIndipendenza: 1921, dal Regno UnitoPil pro capite: 36,700 $Tasso di crescita 2010: - 1,6%Tasso di crescita dal 12/2010:- 0,7%*Tasso di crescita 2010-2015:2,52%**Tasso d’inflazione: 2,2%*Disoccupazione: 14,6%*Spese per istruzione pubblica/Pil:4,9%Spese militari/Pil: 0,9%

FONTI: CIA, WORLD FACTBOOK 2011, WWW.CIA.GOV*TRADING ECONOMICS, WWW.TRADINGECONOMICS.COM**PREVISIONE FMI, FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE, CITA-TO IN TRADING ECONOMICS

| internazionale | islanda - italia | irlanda | internazionale |

Sopra, il porto dellacapitale irlandese.

L’Irlanda è in crisi. L’esperienza islandese non può essere replicata. Ma può ispirare nuove soluzioni.

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sto di lavoro lo scorso 2 marzo quando ilgoverno del suo Paese (detentore del25% delle quote di Grameen) ha nomi-nato presidente della banca il fidato Mu-zammel Huq. La motivazione ufficiale èlegata al limite di età (60 anni) oltre ilquale, a rigore di legge, non sarebbe piùpossibile ricoprire il ruolo. Ma la spiega-zione non convince.

I sostenitori di Yunus avanzano l’ipo-tesi della motivazione politica (l’avver-sione del premier Sheik Hasina per ilbanchiere è nota da tempo), evidenzian-do l’ambizione del governo di metteredefinitivamente le mani su quello cheappare - aggiungeremmo noi - come unvero e proprio tesoro nazionale con i suoi8,35 milioni di clienti/soci e gli oltre 1,4miliardi di dollari di depositi totali. I de-trattori del Nobel, al contrario, sottoli-neano il peso degli scandali che hannocoinvolto la banca (vedi ). Di certo - esu questo proprio non sembrano essercidubbi - appare quanto meno sorpren-

BOX

dente che il superamento del limite dietà abbia iniziato a costituire un proble-ma serio soltanto dopo molti anni (Yu-nus ne ha 70), imponendo proprio inquesti mesi il tempestivo intervento delgoverno. Altrettanto certo è che l’opera-zione dell’esecutivo e il conseguentestrascico di ricorsi in tribunale, che han-no confermato per ora la rimozione diYunus, hanno cessato da tempo di costi-tuire una semplice questione nazionale.

…alle pressioniinternazionaliGià, perché con suo manifesto disappun-to - «è un’interferenza inaccettabile», hadichiarato il segretario dell’Awami Lea-gue, il principale partito del governo ben-galese, Mahbub-ul-Alam Hanif - l’esecuti-vo di Dhaka si trova ora a dover fare iconti con la pressione dell’Occidente.

Il presidente francese Nicolas Sarkozyha espresso apertamente il proprio soste-gno al Nobel; il movimento “Friends ofGrameen”, presieduto nel suo comitatoonorario dall’ex capo di Stato della Repub-blica d’Irlanda Mary Robinson, denuncia“la campagna politica di destabilizzazionebasata su rumors, menzogne e manipola-

ULTIMA PAROLA AVREBBE DOVU-TO pronunciarla la Corte Su-prema di Dhaka, chiamata,

nell’occasione, a dirimere una delle que-stioni più spinose della recente storia poli-tica del Bangladesh. Ma la sentenza delloscorso 5 aprile, che ha confermato l’allon-tanamento di Muhammad Yunus dal ver-tice della Grameen Bank, potrebbe esseresolo il preludio a nuovi sviluppi, anche al-la luce della recente assoluzione sul com-plicato caso Grameen-Norvegia (vedi ).

Il 2 maggio, il tribunale supremo delPaese esaminerà una petizione presenta-ta dallo stesso premio Nobel per la Pacecontro la decisione della corte stessa(quando leggerete questo articolo è pos-sibile che sia già arrivata la sentenza,ndr). Può sembrare una contraddizione,ma il fatto stesso che il tribunale abbiaanche solo accettato di esaminare il ri-corso apre implicitamente nuove pro-spettive. Regalando al “banchiere dei po-veri” qualche (forse esigua) speranza sulfuturo della sua leadership.

Dal Bangladesh…Muhammad Yunus ha uffi-cialmente perso il proprio po-

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Sconfitto nei tribunali, il banchiere dei poveri cerca

il sostegno dei leader stranieri. In Italia, intanto, il progetto Grameen sembra definitivamente abbandonato.

di Matteo Cavallito

Grameen:Yunus non si arrende Ma Unicredit lo ha giàscaricato

Gli Usa intervengono in difesa di Yunus. Intanto Unicredit bloccalo sbarco in Italia di Grameen.Una questione gestionale

zioni legali”, che avrebbe investito la ban-ca, e persino gli Stati Uniti si sono espostisenza troppe remore a difesa dell’invento-re del microcredito. Robert Blake, assisten-te del segretario di Stato per gli affari inAsia centrale e meridionale, ha invocatosenza mezzi termini una soluzione di com-promesso anche per evitare un possibile«peggioramento delle relazioni bilateralitra Stati Uniti e Bangladesh». «Blake ha af-fermato che la scelta di Yunus di combat-tere in tribunale è sbagliata», spiega SalahUddin Shoaib Choudhury, direttore del ta-bloid bengalese WeeklyBlitz e grande accu-satore della Grameen (vedi Valori di marzo2011). «Gli americani sanno che Yunus

non ha possibilità di vincere sul piano le-gale, ma può influenzare il suo governograzie alla pressione politica statunitense».

Unicredit si ritiraSul piano internazionale, intanto, l’affai-re Yunus potrebbe aver già prodotto alcu-ne conseguenze per il futuro delle attivitàestere della banca. Grameen Italia, il pro-getto pensato dall’istituto in collabora-zione con Unicredit, pare essere quasi de-finitivamente saltato.

«Adesso, presso Unicredit, sembra es-serci proprio la volontà di abbandonarel’iniziativa», spiega a Valori una fonteanonima vicina alla questione. Una scel-

DA OSLO A DHAKA, L’ODISSEA GRAMEEN

TUTTO AVEVA AVUTO INIZIO la sera del 30 novembre 2010 quando la televisionepubblica norvegese trasmise “Fanget i Mikrogjeld” (intrappolato nel microdebito), il documentario nel quale il giornalista danese Tom Heinemann lanciava pesanti accusealla Grameen e al suo fondatore in merito alla gestione irregolare di alcuni finanziamentiricevuti da donatori pubblici e privati e successivamente trasferiti dalla casa madre ad alcune società controllate. Nel dettaglio, circa 50 milioni di corone norvegesi, oggiquasi 6,5 milioni di euro, dirottati all’affiliata Grameen Kalyan “per finanziare in parte i progetti di Grameen Telecom/GrameenPhone”, un’azienda for profit di famiglia. È statol’inizio della bufera. Il governo del Bangladesh ha accusato Yunus di evasione del fiscomentre il giornale locale Weekly Blitz ha puntato il dito contro la presunta applicazione di tassi da usura sui microprestiti praticati dalla banca. Alla fine di aprile la commissioned’inchiesta governativa ha assolto la Grameen da tutte le accuse.

ta, riferisce la stessa fonte, dettata daglieventi degli ultimi mesi. Dopo aver mes-so in piedi con una certa lentezza (su cuipesano i tempi della burocrazia bengale-se) una fondazione ad hoc responsabiledegli studi di fattibilità, Unicredit avreb-be dovuto creare una nuova società, laGrameen Italia Spa, per l’effettivo avviodelle attività di microcredito. Un traguar-do mai raggiunto. La banca - specifica lafonte - avrebbe addirittura inviato unalettera in Bangladesh comunicando l’in-tenzione di sospendere il tutto in attesache la situazione si stabilizzi con chiarez-za. Tutto, in pratica, ruoterebbe attorno aldestino dello stesso Yunus con il qualeUnicredit avrebbe già firmato degli accor-di in passato. Il cambio al vertice dellaGrameen, se confermato, e l’imporsi delcontrollo governativo, porrebbero quindisignificativi problemi a livello organizza-tivo e gestionale. Ostacoli che Piazza Cor-dusio, a questo punto, non avrebbe piùintenzione di affrontare. .

| internazionale | microcredito | | internazionale |

| 62 | valori | A N N O 1 1 N . 8 9 | M A G G I O 2 0 1 1 |

Nella foto, MuhammadYunus. Nel 2006 ha vinto il premio Nobel per la pace per il suoprogetto di microcreditocon la Grameen Bank.

L’

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Un’opportunitàda non perdere

La caduta dei tiranni

di Federica Miglietta*

A CHE SUCCEDE AI DITTATORI AFRICANI? Gheddafi asserragliato nel bunker con i fedelissimi mentre l’Europa discute se armaregli insorti (Ma sarà veramente il caso? Regalare le armi aiuta

la democrazia o le imprese che le producono?), Mubarak dato per morente in seguito agli attacchi cardiaci, il dittatore ivoriano in canottiera biancapiangente arrestato dagli oppositori. In Yemen è salita di nuovo la tensione,ovunque focolai di protesta. Il segretario di Stato Clinton afferma sicura che i tiranni non sono più al sicuro, che l’Africa è pronta per la democrazia. Ma di quale democrazia parliamo? Della libertà di espressione? Di stampa? Di manifestare? Di sparare con le armi fornite dalla Nato? Davvero in tuttiquesti avvenimenti non riesco a trovare un filo conduttore: mi sembra che la democrazia sia solo un vago concetto e che la posta in gioco sia di altro livello.

Ma andiamo per punti. I dittatori che sino a ieri erano tutti, senzadistinzione, interlocutori dell’Occidente, sono stati, dopo decenni, scalzatidal potere. Rimangono le accuse di corruzione, di sterminio, di averimpoverito i loro Paesi a proprio uso e consumo. Gli Stati europei e gli Usanon si trovano d’accordo sulla exit strategy; Francia e Italia si scontrano su chi debba guidare la missione. La sensazione comune è che lo scontronon sia militare, ma politico, perché chi guida la missione avrà una parolain più sulla spartizione del petrolio del dopo Gheddafi e potrà dire la suasulla politica euro-mediterranea dei Paesi del Maghreb.

Ma, se davvero il dopo Gheddafi fosse democratico e i militari in Tunisiafossero migliori di Ben Ali, perché centinaia di migliaia di persone disperatestanno scappando? Perché diciamo che gli insorti sono degni di ricevere un aiuto e non sappiamo né chi sono né conosciamo il loro progettopolitico? Non staremo armando una frangia locale dei Fratelli Musulmani?

Non dovrebbe forse l’Europa, con un unico interlocutore, affrontare la crisi politico istituzionale del Maghreb in modo più responsabile,chiedendo precise assicurazioni sul futuro del Paese e delle persone ai rivoltosi? L’occasione è senza precedenti per creare Paesi nuovi, più aperti, più egalitari, meno corrotti e con meno sperequazioni reddituali. Ma l’occasione è ghiotta anche per i piccoli nuovi dittatori di domani, per coloro che nel caos provano a instaurare emirati e nuovi emiri.

L’Europa ha il dovere di stare in guardia: le armi dopo, prima i progetti..

Cosa accadrà nei prossimi anni ai Paesi chehanno visto crollare i loro regimi? L’Occidenteper ora ha preferito fornire armi anziché risposte

M

| lavanderia || islamfinanzasocietà |

di Mauro Meggiolaro

UANDO IL GIOCO SI FA DURO laSvizzera è sempre pronta ascendere in campo. Soprattut-

to se qualcuno si sogna di toccare capisaldinazionali come il segreto bancario o i suoi sa-cerdoti: i funamboleschi private bankers. Gen-te come Bradley Birkenfeld di Ubs, che nel2008 fu scoperto a esportare negli Usa, perconto di un cliente americano, partite di dia-manti nascoste nei tubetti del dentifricio. Ocome Oskar Holenweger. Alla fine del 2003,quando è ancora a capo della Tempus Privat-bank di Zurigo, viene arrestato con l’accusa diaver riciclato contanti per conto di narcotraf-ficanti sudamericani. Ad accusarlo è José Ma-nuel Ramos, un trafficante colombiano. Poi isospetti non sono confermati e Holenwegertorna in libertà. Nel frattempo però si scatenail finimondo e, nel 2006, il procuratore gene-rale Valentin Roschacher, che aveva utilizza-to Ramos come agente infiltrato per incastra-re Holenweger, si dimette su pressionedell’allora ministro della Giustizia, ChristophBlocher, leader del partito di destra Udc e - aquanto riporta la stampa svizzera - vecchioamico di Holenweger. Blocher nega tutto egrida al complotto. Ma, nel dicembre del2007, il caso pesa sulla sua mancata rielezio-ne nel governo svizzero.

Intanto la saga del banchiere zurighese,che oggi ha 67 anni, continua. Il mese scorso ètornato davanti ai giudici, stavolta a Bellinzo-na. Il pm lo accusa di “falsità in documenti, ri-ciclaggio aggravato e corruzione di pubblici uf-ficiali stranieri”, per aver contribuito, tramitesocietà off shore, alla costituzione di fondi neridel gruppo industriale francese Alstom, desti-nati al pagamento di tangenti in Brasile, Vene-zuela e Indonesia, al fine di ottenere appaltipubblici per la costruzione di metropolitane. Ilbanchiere dagli occhi di ghiaccio rischia di pas-sare il resto della vita dietro le sbarre. .

Q

Banchiere di Zurigo (di nuovo)alla sbarra

Appalti

| A N N O 1 1 N . 8 9 | M A G G I O 2 0 1 1 | valori | 65 |

* Ricercatrice di Economia degli intermediari finanziari presso la facoltà di Economia all’Università di Bari e presso l’Università Bocconi di Milano

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| 66 | valori | A N N O 1 1 N . 8 9 | M A G G I O 2 0 1 1 | | A N N O 1 1 N . 8 9 | M A G G I O 2 0 1 1 | valori | 67 |

| news |altrevoci

SHALE GAS: NO DELLA FRANCIA,DALL’ITALIA SÌ “CON FAVORE”

Il governo francese ha stoppato i progetti di estrazione del cosiddettoshale gas, la risorsa naturalericavata dalla frantumazionedelle rocce sedimentarie su cui aleggiano enormi dubbi relativi all’impattoambientale. Lo ha annunciatoil premier, Francois Fillon,imponendo una moratoriasulle concessioni di estrazione in attesa di conoscere i risultati di un’indagine realizzata da una commissione ad hoc. Il provvedimento di sospensione dei permessiinteressa anche grandi gruppilocali tra i quali Total e GdfSuez. Un recente studio dellaCornell University ha puntatoil dito contro le emissioni di metano generate propriodal processo di estrazione del gas, giudicandonel’impatto ancor più dannosodi quello abitualmenteprodotto dal carbone. La svolta del governofrancese non sembra, però,ispirare l’esecutivo italiano.Ad aprile, nel corso di un convegno organizzatopresso l’ambasciata polacca di Roma, il sottosegretarioallo Sviluppo economico,Stefano Saglia, ha promossoa pieni voti le ipotesi di estrazione. «Lo shale gaspotrebbe aprire nuove stradeper l’approvvigionamentoenergetico in un momentoparticolarmente delicato a livello globale», ha affermatonell’occasione, aggiungendo:«L’Italia accoglie con favorel’avvio di approfondimenti a riguardo».

TASSA SULLETRANSAZIONIFINANZIARIE:LA CHIEDONO1000ECONOMISTI

“È tempo di applicare unatassazione sulle transazionifinanziarie. La crisi economicacreata dalla finanzaspeculativa ha mostrato in modo evidente i pericoliconnessi a una finanzasenza regole e il patto tra il settore finanziario e lasocietà reale è stato rotto.È ora di riannodare questopatto e di chiedere al settore finanziario che in questi anni si è arricchito a dismisura di dare qualchecosa indietro alla società”.Parole chiare e decise,contenute in una letterafirmata da mille economisti- provenienti da 53 Paesi -che si sono rivolti al G20 e a Bill Gates, da anniimpegnato per proporre ai grandi della Terra opzioniinnovative per sostenere lo sviluppo. A pochesettimane dal via liberaottenuto dal Parlamentoeuropeo per introdurre la tassa anche solo a livello continentale,questo è senza dubbio un altro gesto importante a favore della mobilitazioneinternazionale per la “RobinHood Tax” (rappresentata inItalia dalla Campagna 005).Tassando lo 0,05% di ognitransazione si otterrebbero665 miliardi di dollariall’anno su base globale (o 250-300 miliardi in Europa): sufficienti perfinanziare politiche di lottaalla povertà, contenimentodei debiti sovrani e lotta al cambiamento climatico.

www.zerozerocinque.it

I DANNI DI FUKUSHIMALUNGO TUTTALA CATENA ALIMENTARE

Dopo una serie di annunci e smentite nel tentativo di tenere a freno gli allarmismi, la Tepco e il governo giapponese hanno sciolto ogni riserva, classificando al livello 7 l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima. Al pari di quello di Chernobyl,che finora era il più grave della storia. «Una dichiarazione di resa», secondo SergioUlgiati, professore di Chimica all’universitàParthenope di Napoli e membro del Comitatoscientifico di Wwf Italia, che parla di «situazione fuori controllo», in quanto «non c’è modo di arrestare né la fusione né la contaminazione, anche per chi è lontanodall’area». Non possiamo pensare, in sintesi,che le migliaia di chilometri che ci separanodal Giappone siano in grado di fare da barriera.«Il rilascio dei radionuclidi di media e lungadurata nell’atmosfera e nell’acqua - continua il professor Ulgiati - comporta una gravecompromissione della catena alimentare». Che coinvolgerà di sicuro le vicine Cina e Corea, ma di fatto è senza confini, visto che i beni alimentari vengono costantementecommerciati a livello globale. Senza contare la nube radioattiva che, secondo le stime,entro il 2050 porterà a circa 4 mila decessiper tumore nel solo Giappone. E che, seppure a livelli decisamente minori, si è già diffusa in tutto il mondo, Europa compresa.

2010 DA RECORD PER L’EXPORT DI ARMI MADE IN ITALY

Il rapporto annuale dellaPresidenza del Consiglioitaliana sulle esportazioni di armamenti sembrerebbesegnalare un netto calodelle commesse militari. Nel2010, infatti, le autorizzazioniall’esportazione sono statepari a 2,9 miliardi di euro:il 41% in meno rispetto ai 4,9 miliardi raggiunti nel 2009. Ma, conteggiandoanche le consegne relative a ordini già autorizzati neglianni precedenti, emerge che il comparto militarenostrano, in realtà, continuaa lavorare a pieno regime.Anzi, le consegne effettive di armi hanno toccato un record che non siraggiungeva da vent’anni:quasi 2,8 miliardi di euro, il 24,9% in più del 2009. E i principali acquirenti dellearmi made in Italy non sonocerto i nostri “partner” in politica internazionale: la domanda proveniente dai Paesi occidentali è statanettamente frenata dallacrisi economica. In testa alla graduatoria, così, figurano gli Emirati Arabi Uniti, conspese pari a 477 milioni di euro; seguiti dall’ArabiaSaudita (432 milioni) e dall’Algeria (343 milioni). Le armi italiane sono stateprotagoniste silenzioseanche dei recenti e sanguinosi scontriin Nordafrica: le aziendebelliche di casa nostra, nel 2010, hanno ricevuto100,6 milioni di euro dal regime di Gheddafi, 45 dall’Egitto e 59 dal Marocco.

GLENCORE,IPO AL VIA: IL REDEL PETROLIO APPRODA IN BORSA

È un’attesa spasmodicaquella che circonda lo storico ingresso in Borsadi Glencore, il principaletrader di materie prime(petrolio in testa) del mondo, i cui titoliinizieranno a esserescambiati pubblicamente a partire dal 24 maggio.Secondo quanto trapelato,l’offerta pubblica iniziale(Ipo) dovrebbe coinvolgeredal 15 al 20% del capitaleazionario per un controvalorecompreso tra i 9 e gli 11miliardi di dollari. Un maxicollocamento iniziale chefarà la fortuna degli attualiazionisti e dei dirigenti chebeneficeranno di opzionimilionarie. A coordinarel’Ipo (intascando gli enormiprofitti delle commissioni)saranno i tre colossi bancariCitigroup, Credit Suisse e Morgan Stanley, cheagiranno in collaborazionecon i colleghi Bank of America-Merrill Lynch,Bnp Paribas, BarclaysCapital, Société Générale,Liberum Capital e Ubs. Tra gli assenti spiccaGoldman Sachs, giàconcorrente di settore della stessa Glencore.Fondata nel 1974 dallostatunitense Marc Rich(accusato nel suo Paese di evasione fiscale e violazione dell’embargocon l’Iran e successivamentegraziato nel 2001),l’azienda sarà ora costretta ad agire comepublic company, rendendonote le informazioni sulle sue attività e i suoiconti coperte fino a oggi dal segreto.

G20, ACCORDORAGGIUNTOSULLE TOO BIGTO IGNORE

Dalle too big to fail ai too big to ignore. Ovvero dalle banche che, per le loro dimensioni, sono “di importanza sistemica”,agli Stati che, per lo stessomotivo, devono esserecontrollati attentamente. I Paesi del G20 riuniti a Washington ad aprilehanno siglato un accordosugli indicatori necessariper individuare gli squilibripresenti nell’economiaglobale tra le varie nazioni. Non è ancora stata stilatauna lista di Stati da tenere“sotto controllo”, ma si sa che gli indicatoririguarderanno il rapporto tra debito e deficit pubblici,tra debito e risparmioprivato e gli squilibri esterni che comprendono la bilancia commerciale, i flussi di investimento,tendendo in considerazioneanche i tassi di cambio,oltre che le politiche fiscalie monetarie.

ETIMOSA TORINOPER DECLINARELA FINANZA

Compartimos (in spagnolo“condividiamo”) è il nomedel tradizionale incontroannuale tra i soci delconsorzio Etimos. Nato nel 1989, con base a Padova e altre tre sedi in Sri Lanka,Senegal e Argentina, è fra i fondatori di Banca Etica e si occupa di microfinanzain tutto il mondo. Quest’annoha organizzato un convegno:tre giorni, dall’11 al 13maggio a Torino, per declinare il concetto di finanzasostenibile, associandola ai concetti di legalità,ambiente e cooperazione.Gli ospiti di “Compartimos”discuteranno, quindi, di finanza come strumentoper la cultura della legalità;della dimensione green degli investimenti e di finanza cooperativa. Si prevede la partecipazionedi più di duecentoorganizzazioni provenientida oltre quaranta Paesi.

www.etimos.it

GAS FLARING, 150 MILIARDI DI METRI CUBIBRUCIATI OGNI ANNO:L’AMBIENTE NON RINGRAZIA

Che cosa sono 150 miliardi di metri cubi di gas naturale? Un enorme spreco e un dannoambientale che sarebbe stato meglio evitare.Perché questa mole di gas naturale, il 5% dellaproduzione mondiale, viene bruciata ogni annonel mondo, nelle operazioni di estrazione del petrolio. Si chiama gas flaring: il gas provienedai giacimenti petroliferi e fuoriesce insieme al petrolio, ma, non essendo convenienterecuperarlo, viene bruciato a cielo aperto. Con un impatto devastante sull’ambiente. I dati sono contenuti nello studio Flare GasReduction: Recent Global Trends and PolicyConsiderations, di General Electric.Il gas “disperso” senza produrre calore o elettricità corrisponde al 30% del fabbisognoannuo dell’Ue e al 23% di quello degli Usa. E provoca l’emissione nell’atmosfera di 400milioni di tonnellate di anidride carbonicaall’anno, quanto 77 milioni di auto. Secondo il rapporto di GE esistono tecnologieper rimediare a questo spreco: catturando il gas e riutilizzandolo per produrre energiaoppure re-iniettandolo nel sottosuolo per incrementare l’estrazione di petrolio.

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Segnalata da .it

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| A CURA DI FRANCESCO CARCANO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A [email protected] | future || terrafutura | A CURA DI VALENTINA NERI | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A [email protected] |

DEAD DROPS: IL MURODIVENTABACHECA

L’idea originaria è di AramBartholl, artista berlinese,che ha presto trovato emuliin tutto il mondo grazie al tam tam della Rete.Obiettivo dell’azioneartistica: trasformare luoghidi passaggio urbani, ponti,panchine e giardini, atri di palazzi o pensilined’attesa, in luoghi di scambio digitale. Il mezzo prescelto, per la sua diffusione e per semplicità d’uso, è stata la chiavetta Usb,entrata ormai a far parte del corredo tecnologicoindispensabile di ognuno.Posizionata in puntistrategici della città, la chiavetta attende chi voglia collegarsi con il proprio portatile per prendere o dare i contenuti più vari: filemusicali, libri, proclami,proposte. Si crea così una rete di oggetti dispostiin vari luoghi delle città, in grado di offrire propostee stimoli, liberamentecondivisibili. Perché nonusare internet? Rispondel’ideatore che lo scopo del progetto è «uscire dagli spazi virtuali di internetper riappropriarsi dellenostre città» e occorrequindi un gesto “fisico”come la ricerca di unoggetto e il suo utilizzo.

DA UN VIOLINO A UNA CASASTAMPARE IN 3DMAXI OGGETTI

Le stampe tridimensionali di oggetti dalle misure maxianimano in questi mesisogni e progetti dalleAmeriche all’Asia. Dopo la riproduzione di uno Stradivari che ha conquistato le copertineinternazionali, c’è chi pensapiù in grande e al Mit di Boston si è avviata la sperimentazione con metalli, calcestruzzi, legno o pietra. Obiettivo:sperimentare la “stampa” di una vera abitazione. Neri Oxman è unaricercatrice del Mit MediaLab e sta concentrando il suo lavoro sulleproblematicità e potenzialitàtipiche dei singoli materiali,per esempio il legno.Molteplici gli aspetti da considerare, dallaresistenza alla porosità, per arrivare a modellare e replicare in modo serialeedifici attraverso la tecnologia di stampatridimensionale. Dopo l’esposizione“Unacasatuttadunpezzo” di Marco Ferreri allaTriennale di Milano (unacasa in pietra intagliatagrazie alla tecnologia di stampa 3D) la sperimentazioneprosegue e si apre ai concetti di sostenibilità. Il lavoro dei ricercatori del Mit dovrebbe, infatti,consentire una maggioreinterazione dei materiali con diminuzione della quota di cemento da utilizzare a favore di materialiriutilizzabili.

COLTIVARE STRADEE BALCONI IN CITTÀ

Prinzessinnengärten è un progetto pilotaavviato nel 2009 a Berlino nel quartiere di Kreuzberg. L’obiettivo di Nomadisch Grün,collettivo che ha promosso la sperimentazione,era quello di ridare vita ad un angolo di quartiere utilizzato ormai da anni comediscarica di mobili abbandonati. Il quartiere di Kreuzberg a Berlino, noto per la suamulticulturalità e la storica presenza dellacomunità turca e curda, è molto vitale e il progetto di Nomadisch Grün si è via viaarrichito di nuove sperimentazioni sul temadella condivisione di spazi verdi improvvisati in città. Su questa stessa linea si muovononumerosi progetti in contesti urbani, da Milanoa Parigi a New York. Secondo le Nazioni Unitepiù della metà della popolazione mondiale nel 2050 vivrà in aree urbane e la necessità di creare micro aree verdi accumunerà piùesperienze a livello internazionale perchéanche le città possono essere riserve di verdee terreno di sperimentazione di praticheagricole come accade a New York con GreenThumb di New York, rete di centinaia di orti collettivi.

LA TOSCANA RISPONDEAL BISOGNO DI VOLONTARIATO

Nel 1997 undici enti di volontariato fondavano il Cesvot, Centro ServiziVolontariato Toscana.Quattordici anni dopoquesto gruppo di associazioni, che nel frattempo sono diventate28, continua a svolgere un ruolo di riferimento per le oltre tremila realtàdel Terzo Settore della Regione. Un ruolo che si declina nelle formepiù varie: «consulenze su materie fiscali,amministrative e civilistiche,attività d’informazione, ecc.»,spiega la responsabiledell’ufficio stampa CristianaGuccinelli. Alcuni servizisono stabili, altri sono legatia bandi emessi a cadenzaperiodica, ma tutti sonogratuiti e aperti a chiunquene abbia bisogno. Un coordinamento cosìcapillare, presente con le proprie delegazioni in tutte le undici provincetoscane, è una sorta di cartina al tornasole per il mondo del volontariato: a dimostrarlo, il recentestudio “Identità e bisognidel volontariato in Toscana”,presentato il 12 aprile a Firenze, che ha coinvoltooltre 800 associazioni e in cui si propone uno sguardo comprensivosu un settore in costanteevoluzione. Come ognianno, Cesvot è presentealla fiera Terra Futura, che si tiene a Firenze dal 20 al 22 maggio.

www.cesvot.it

MILANO MENOGRIGIA: ARRIVA UN NUOVOMERCATOAGRICOLO

La città di Milano non è soloteatro di speculazioniedilizie e sede ideale peruffici, finanziarie e struttureindustriali. Nell’ultimoperiodo si è, infatti,moltiplicata la presenza di mercati contadini di quartiere: iniziative voltea valorizzare le risorseagricole, sostenendo le aziende locali che offronoprodotti a Km zero,complice una rinnovatasensibilità da parte dei consumatori, cheapprezzano i prodotti a filiera corta e la possibilità di entraregenuinamente in relazionecon il proprio territorio.Dopo Slowfood, Coldiretti e il Consorzio CantiereCuccagna, ora è l’impresasociale La Cordata a proporre il proprio mercatinoagricolo all’interno del complesso di ZumbiniSei, spazio innovativo per il modello di housing socialeche concretizza all’internodel Villaggio Barona. E così,a partire dal 13 aprile, tutti i mercoledì dalle 15 alle 20,diversi produttori agricoligarantiscono un’offertaampia e variegata, daiformaggi al pollame, dallepiante alle torte al vino; il tutto dopo aver sottoscrittoun patto di solidarietà con cui si impegnano a mantenere i prezzi a un livello moderato.

www.lacordata.it

I GAS QUEST’ANNOSBARCANOA L’AQUILA

A due anni dal terremoto in Abruzzo è fortel’esigenza di fare qualcosa di concreto perrisollevare il territorio aquilano, recuperandol’attenzione di un’opinione pubblica che se n’è allontanata troppo presto. Con questointento è nata la Rete di Economia SolidaleAbruzzese, aperta a tutte le associazioni del territorio che seguono principi di eticità,legalità e rispetto per l’ambiente. Un soggettoche da subito si è posto una sfida ambiziosa:organizzare proprio a L’Aquila l’edizione 2011dello SbarcoGas, il terzo convegno nazionaledei Gruppi di acquisto solidale e dei Distretti di economia solidale (Des). Saranno coinvolteanche le reti nazionali dei Comuni Virtuosi e delle Città di Transizione. Fervono già i preparativi per la manifestazione, che si terràdal 24 al 26 giugno. «Cerchiamo il piùpossibile di far sì che questo grande eventopossa portare benefici per la comunità», spiegaAlessia De Lure dell’Associazione Il Sicomoro.«Per l’alloggio degli ospiti, ad esempio,privilegiamo le piccole strutture familiari e gli agriturismi che producono cibi biologici».Oltre al convegno vero e proprio, il programmaprevede un mercato agricolo, momenti di animazione, una tavola rotonda sulle buoneprassi di nuova economia, laboratori per adultie ragazzi. E un tendone di controinformazionein cui verranno proiettati filmati e foto che documentano l’attuale situazione della ricostruzione a L’Aquila.

www.sbarcogaslaquila.it

INTEGRAZIONE E AMBIENTE:ALLA BARONASPAZIOAI DOCUMENTARI

Dal 1 al 5 giugno il quartiere Barona di Milanosi trasforma in un cinema a cielo aperto. L’occasioneè la seconda edizione del The Village Doc Festival,organizzato da LibLab(l’associazione LiberoLaboratorio), che offre una panoramica di generesul documentario, in tema di sostenibilità, integrazionee modelli di svilupporispettosi della persona e dell’ambiente. Al di làdella rassegna vera e propria,che vedrà la presenza di opere di respirointernazionale, il festivalmira anche a diventare un vero e proprio laboratorioculturale in grado di coinvolgere attivamentela cittadinanza.Organizzando workshopdi vari livelli, ad esempio, o con il progetto Walls and borders, che porta le proiezioni all’interno dei cortili dei condominipopolari, in cui realtà socialieterogenee coesistonosenza conoscersi davvero.O ancora con il premioBaldoc - dedicato a EnzoBaldoni - conferito da unagiuria molto particolare: i giovani del quartiere. Un ciclo di formazione ad hoc sarà infine dedicatoanche ai detenuti del carcere di Bollate, che assegneranno il premiospeciale per il “migliordocumentario d’evasione”.

www.thevillagedocfestival.comwww.liberolaboratorio.eu

WIRED: NUOVE FORMEDI ABITAREPER I 150 ANNI

Curata dal direttore di Wired,Riccardo Luna, e aperta finoal prossimo 20 novembre,la mostra torinese“Stazione Futuro” meritadecisamente una visita. I progetti presentatiraccontano un Paese che sa scommettere sulla ricerca, malgrado la difficoltà di reperirefinanziamenti pubblici, e che opera ai massimi livellicon realtà internazionaliportando energie, creativitàe stimoli. L’esposizionerappresenta una “summa”della ricerca italianacontemporanea. Tra i temi trattati, di particolare interessequello dell’abitare, coninstallazioni che spazianoda progetti ormai noti (e solo in attesa di visibilitàanche in Italia) come la casa ecosostenibile di Mario Cucinella a tipologie di progettiavanzati facilmenteesportabili sul mercatointernazionale come la “Sustainable ConnectedHouse”, sviluppata grazie a una partnershiptra Fondazione Kessler di Trento e il Mit di Boston. Le parole chiave sono ricerca,innovazione, sostenibilità e interconnessione, con la Rete utilizzata al fine di contenere i consumi e sfruttare tutte le potenzialità della struttura in manieraconsapevole.

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| A CURA DI MICHELE MANCINO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A [email protected] | narrativa |

RITORNARE A VIVERE DOPO AUSCHWITZ

Dopo Auschwitz è possibileessere felici, amare,sognare? Non è unadomanda retorica, perchédopo Auschwitz tutto è cambiato. Persino il concetto di Dio, come ha scritto il filosofo HansJonas. Chi è sopravvissutoalla Shoah spesso si chiedeperché. Per molti è unadomanda ossessionanteche si trasforma in senso di colpa e da cui è difficileliberarsi anche se si vive da più di mezzo secolo a New York. Un incidented’auto in un’afosadomenica d’estate puòdiventare, dunque, il momento per scardinarele resistenze della memoria,mettendo in conflittol’affetto dei vivi con leombre del passato, vissutein un mondo che è statoannientato. Ma il risvegliodal coma in un lettod’ospedale non basta perritornare a vivere nelpresente, le voci dei mortiprevalgono perché prevale il dovere di testimoniare ciò che è stato.

ELIE WIESELIL GIORNO Guanda, 2011

PAUL HARDINGSCRITTOREGRAZIE ALLA RETE

Il suo romanzo da esordiente era statorifiutato dai maggiori editoriamericani. Poi un giorno,quel libro, pubblicato da una piccola casa editriceindipendente, ha vinto il premio Pulitzer per la letteratura. A decretare il successo di Paul Harding,sconosciuto scrittore del New England, è stato il passaparola sul web dei lettori. Insomma, il miglior test per chi vuoleconsegnare le parole ai posteri. La storiaracconta di GeorgeWashington Crosby, un uomo che si prepara a concludere la sua vitasteso su un letto al centrodel soggiorno di casa. È circondato dai familiari e accompagnato daltintinnio dei suoi orologi a cui per anni si è dedicatocome meticolosorestauratore. Gli orologisegnano il tempo e il tempodi George è scandito dairicordi: l’infanzia, il padreHoward, un uomo silenzioso che mantenevastentatamente quattro figlie una moglie insoddisfattagirovagando con il suo carro pieno di mercanzie.Un padre ritrovato nel passaggio dal mondosensibile alla verità.

PAUL HARDINGL’ULTIMO INVERNONeri Pozza, 2011

UNA GRANDE ESISTENZA IN UN PICCOLO MONDO

Elena Varvello racconta la vita osservandol’esistenza di una comunità piccolo borghesein un angolo di mondo. A Croci si svolge la suavita: gli amori, i tradimenti, i figli, l’amicizia conClara, una donna che crede fortemente nelpotere della preghiera e nella consolazionedella fede. È in questo luogo del mondo che i loro destini si compiranno, fra piccoli drammie grandi tragedie, scomparse e ritorni, ricordi e speranze. E pensare che all’inizio Matildeaveva percepito quel luogo arido e triste comeun cimitero, con il tempo ha dato le coordinatealla sua vita. È una donna forte e ironica, in grado di guardare in faccia ciò che la vita le ha riservato. Matilde non è solo pensiero,anzi, i sensi sono la luce che illumina un cammino lungo mezzo secolo anche negliultimi giorni della sua esistenza.

ELENA VARVELLOLA LUCE PERFETTA DEL GIORNOFandango, 2011

NEL 1977L’ITALIA SMARRÌ LA VERITÀ

Correva l’anno 1977. Le bombe della strategiadella tensione continuano a esplodere tra la gente. Si moltiplicano attentati. Gli scontri di piazza tra le forze dell’ordine e le forzeextraparlamentari, semprepiù distanti dai partitipolitici, sono la normalità.Nel marzo del 1977Francesco Cossiga, ministrodell’Interno, manderà in piazza a Bologna i mezziblindati dell’esercito. Su questo sfondo socialetragico, si muovono le vitedei protagonisti del romanzodi Grugni. Sono creature di sangue caldo e nervi che riportano il lettore in un clima lontano, ma necessario per capire il presente. AlessandroBellezza, medico della provincia bolognese, con la carriera e la famigliadistrutte, trova sotto la neveuna donna apparentementemorta. Francesca Mirri è sfuggita a un tentatoomicidio ed è un’infiltratadella polizia tra le fila di Ordine Nuovo alla ricerca di un assassino che forse si nascondenell’organizzazione di estrema destra. Con loroc’è il maresciallo Bertoli.Tutti si scontreranno conuna realtà dove il doppiogioco è la normalità e dove i servizi segretideviati svolgeranno un ruolofondamentale nellosmarrimento della verità.

PAOLO GRUGNI L’ODORE ACIDO DI QUEI GIORNI Laurana Editore, 2011

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di quest’ultimo che, anche trascurando lacrisi libica, porta necessariamente a un au-mento del prezzo e delle speculazioni. Inaggiunta Cina e Germania hanno blocca-to i piani di espansione nucleare e, neiprossimi due-tre anni, la loro domanda dipetrolio aumenterà, anche se nel più lun-go periodo quote crescenti di energia ver-ranno ricavate da fonti rinnovabili. In-somma, esistono tutte le condizioni perprevedere che i prezzi dei fossili energeticisubiranno tensioni forti, e che ciò non tar-derà a scaricarsi sui prezzi. .

| A N N O 1 1 N . 8 9 | M A G G I O 2 0 1 1 | valori | 73 |

La congiuntura mondiale del dopo-tsunami

Giappone| outlook |

di Fabio Sdogati*

L TERREMOTO, LO TSUNAMI, i danni ai reattori nucleari. Un disastro umano immenso, al qua-le ovviamente non ha senso attribuire un “costo”. Ma è anche un disastro economico,fatto di distruzione di capacità produttiva, di capitale fisico, umano, intellettuale.

Nell’epoca della globalizzazione dei processi produttivi e della loro integrazione tra i Paesi piùlontani, le difficoltà giapponesi si trasmettono necessariamente a tutta l’economia mondiale. Seè ancora del tutto impossibile stimare l’impatto di questa crisi, si può tuttavia tentare di identi-ficare i canali attraverso i quali i suoi effetti si faranno sentire sull’economia mondiale.1. Il costo della ricostruzione. Stime preliminari parlavano di 140 miliardi di euro, poi di 170,

poi di oltre 200. Ma si tratta di impressioni più che di stime, tanto è vero che l’Ocse, nel suorapporto ad interim del 5 aprile scorso sulle prospettive di crescita delle economie ad altoreddito pro capite, rinuncia esplicita-mente a fornire stime.

2. Gli stimoli derivanti dalla ricostruzione.Quale che sia lo sforzo richiesto per la ri-costruzione, esso sarà esteso a imprese ditutto il mondo che producano beni ca-pitali da destinare alla ricostituzione del-la capacità produttiva. Si può prevedereche molte imprese tedesche verrannochiamate a contribuire al processo, men-tre scarso o nullo sarà l’apporto di im-prese produttrici di beni di consumo,specialmente se non di tipo durevole.

3. Il finanziamento della ricostruzione. Neigiorni immediatamente successivi al disa-stro la Banca Centrale del Giappone im-mise forti quantità di liquidità nel sistema,allo scopo di neutralizzare la tendenza al-l’aumento dei tassi di interesse che sempresi verifica in questi casi, aumento cheavrebbe messo in difficoltà le attività pro-duttive facendo salire il costo del credito. Era la cosa giusta da fare. Ma una cosa è

un intervento monetario a sostegno della li-quidità, altro è il finanziamento di un pianodi ricostruzione gigantesco. Il piano di rico-struzione sarà probabilmente finanziato dauna combinazione di indebitamento del go-verno sul mercato mondiale e di politichemonetarie espansive. Il governo giapponeseè uno dei più indebitati al mon-do, tanto in valore assoluto deldebito, che in proporzione al Pil.

Ulteriori indebitamenti por-teranno necessariamente a un

aumento del livello dei tassi di interesse a li-vello mondiale (esattamente come avvenne,in particolare in Europa, in occasione della riu-nificazione della Germania e della ricostruzio-ne della ex Germania orientale). Ma sarà unaumento contenuto, poiché la situazione at-tuale è caratterizzata da una forte abbondan-za di liquidità e da una parallela scarsità di do-manda per investimenti. Ma se l’ulterioreindebitamento dovesse influenzare negativa-mente la credibilità del governo giapponese

Il terremoto dell’11 marzopotrebbe provocare un aumentodella domanda di petrolio,spingendone il prezzo al rialzo

I in quanto debitore, allora il pre-mio per il rischio sul debito sali-rebbe, il peso della spesa per inte-ressi potrebbe diventareveramente grande e dovrebbe es-sere sopportato per molti anni avenire, con effetti negativi sullacrescita del Paese. Mentre appareal momento poco probabile chele agenzie di rating passino rapi-damente all’attacco del governogiapponese come hanno fatto perGrecia, Irlanda e Portogallo, nonfoss’altro per l’effetto negativoche deriverebbe alla loro immagi-ne dall’aver attaccato il governodi un Paese in ginocchio. Ma l’e-ventualità non è da escludersi.4. Gli effetti sui prezzi. L’econo-

mia giapponese è grande, egrande è il danno che essa hasubito. Le catene mondiali diapprovvigionamento e distri-buzione hanno subito dannireversibili, ma non trascura-bili; il passaggio del Paese daun uso esteso della fonte nu-cleare al petrolio comportaun aumento della domanda

* Professore ordinario di Economia internazionaleal Politecnico di Milano e al Mip (la School of Management del Politecnico)

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I valori, quando si fondano sulla fiducia e sulla credibilità di chi li possiede e li coltiva,si possono riassumere in una parola, in un segno, in un colore.

Dire è comunicazione d’intenti e di progettualità, trasmissione di idee, di conoscenza, d’esperienza.Fare è la sintesi dell’attività, energia verso nuove imprese, capacità di ascolto e di offrire risposte.

Ai nostri clienti e a quelli che lo diventeranno è dedicato il nostro lavoro quotidiano: un lavoro dove il dire e il fare sono tutt’uno e sintesi di una filosofia dell’operare.

THOS HA DETTO NO. Le remunerazionidegli amministratori di Novartis sonotroppo alte e troppo sbilanciate sulla

parte variabile (87% del totale), quella che dipen-de dai risultati annuali dell’impresa. «Una remu-nerazione variabile troppo elevata può incorag-giare comportamenti non compatibili con gliinteressi degli investitori nel lungo periodo», hacommentato la Fondazione Ethos in un comuni-cato stampa.

Il piano di remunerazione di Novartis, sotto-posto quest’anno per la prima volta al voto con-sultivo degli azionisti, è passato lo stesso. Il presi-dente Daniel Vasella si è portato a casa 6 milioni dieuro e l’assemblea si è chiusa tra gli applausi dei so-ci presenti in sala. Rispetto all’anno scorso, però, laclaque è stata meno calorosa. Il 39% degli azionistiha infatti votato contro i mega-bonus, seguendo leindicazioni di Ethos. «È un segnale forte per il con-siglio di amministrazione», ha dichiarato la Fon-dazione svizzera. «Il sistema di remunerazione de-ve essere rivisto al più presto perché non è in lineacon le aspettative di una parte rilevante degli inve-stitori». Il prossimo round della battaglia sulle pa-ghe è fissato per l’assemblea 2012. E chissà chequesta volta Ethos non riesca a farcela. .

UN’IM

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Il rendimento in borsa di Novartis negli ultimi dodici mesi, confrontato con l’indice MSCI World

Ea cura di Mauro Meggiolaro

L’AZIONE IN VETRINA NOVARTIS

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Fondazione Ethos www.ethosfund.chSede Ginevra - Svizzera

Tipo di società La Fondazione Ethos rappresenta i diritti di voto di 113 casse pensionesvizzere nelle assemblee degli azionisti di oltre 100 imprese in Svizzera e in altri paesi.

Asset gestiti ca. 77 miliardi di euro

L’azione su Novartis Dal 2008 Ethos si batte per far sottoporre al voto degli azionisti i piani di remunerazione dei manager delle società svizzere (mozioni “say on pay”). Alcune imprese, come la farmaceutica Novartis, hanno accettato questaprocedura. Il 22 febbraio 2011 Ethos ha votato contro il sistema di remunerazione di Novartis, ritenuto troppo sbilanciato sulla parte variabile, che costituiscel'87% della remunerazione totale. Con Ethos (e contro Novartis) ha votato il 39% degli azionisti.

Altre iniziative Grazie all’impegno di Ethos oggi ben 42 società svizzere sottomettono i propri piani di remunerazione al voto consultivo degli azionisti. L’azione di Ethos continuerà per tutto il 2011.

Novartis www.novartis.com Sede Basilea - Svizzera Borsa SIX Swiss Exchange

Rendimento negli ultimi 12 mesi -11,11%

Attività Novartis è una delle più grandi aziende farmaceutiche del mondo. È nata nel 1996 come fusione tra le compagnie svizzere Ciba-Geigy e Sandoz.

Azionisti Azionariato diffuso. Azionisti principali: Novartis Foundation for EmployeeParticipation (4,3%), Emasan AG (Fondazione Sandoz, 3,3%).

Perché interessa agli azionisti responsabili? Nel 2007 Novartis è stata fortementeattaccata da una serie di Ong per aver fatto causa al governo indiano cheaveva permesso la produzione e distribuzione di farmaci generici dai costicontenuti. Nel 2010 la società ha patteggiato il pagamento di 422,5 milionidi dollari alle autorità giudiziarie Usa che avevano accusato la compagnia di aver corrotto medici e informatori del farmaco.

Numeri 2009 2010

Ricavi (Miliardi di dollari) 44,27 50,62Utile (Miliardi di dollari) 8,45 9,97Numero dipendenti circa 120.000

FON

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Dimmi quanto paghi e ti dirò chi sei

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