Mensile Valori n. 91 2011

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valori Anno 11 numero 91. Luglio / Agosto 2011. € 4,00 Dossier > Cloud computing, l’informazione in Rete rivoluziona l’economia e la cultura La nuvola condivisa Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R. Finanza > Da Bob Geldof alla Carlyle. La finanza riscopre il mal d’Africa Economia solidale > Aiuti alle rinnovabili gonfiano le bollette, ma sgonfiano i prezzi Internazionale > Dalla diga delle Tre Gole: grandi opere che distruggono l’ambiente Continua l’inchiesta Ingredienti made in Italy a rischio : il pane a pag.45 ARNO GASTEIGER / LAIF

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Mensile di finanza etica, economia sociale e sostenibilità Finanza . Da Bob Geldof alla Carlyle. La finanza riscopre il mal d’Africa Economia solidale . Aiuti alle rinnovabili gonfiano le bollette, ma sgonfiano i prezzi Internazionale . Dalla diga delle Tre Gole: grandi opere che distruggono l’ambiente a rischio Dossier . Cloud computing, l’informazione in Rete rivoluziona l’economia e la cultura

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valoriAnno 11 numero 91. Luglio / Agosto 2011.€ 4,00

Dossier >Cloud computing, l’informazione in Rete rivoluziona l’economia e la cultura

La nuvola condivisa

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.

Finanza > Da Bob Geldof alla Carlyle. La finanza riscopre il mal d’AfricaEconomia solidale > Aiuti alle rinnovabili gonfiano le bollette, ma sgonfiano i prezzi

Internazionale > Dalla diga delle Tre Gole: grandi opere che distruggono l’ambiente

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| editoriale |

La rivoluzione della nuvolaProprietà addiodi Andrea Di Stefano

L A TECNOLOGIA quando è disruptive, distruttiva e creativa al tempo stesso, ha una potenzarivoluzionaria. Storicamente ogni volta che si è affacciata un’innovazione dirompente gli effetti sul sistema economico sono stati rilevantissimi: alcuni soggetti sono letteralmentescomparsi dalla scena, si sono affacciati nuovi protagonisti (non solo soggetti economiciimprenditoriali, ma anche figure professionali e, quindi, forme diverse di lavoro) e, con tempipiù o meno lunghi, si sono affermate nuove regole. Indubbiamente negli ultimi trent’annil’affermazione di internet ha accelerato questo processo, rendendo, però, molto confuso il confine tra innovazione reale e iniziative puramente riconducibili a tentativi di affermaremodelli commerciali.

La vicenda della “nuvola” come traduciamo il cloud è da questo punto di vista emblematica.Se lasciata in mano alle politiche di marketing delle aziende del settore dell’information technology può apparire come l’ennesimo nuovo prodotto destinato a durare lo spazio di alcunimesi. Ma l’avvento del cloud ha, invece, tutte le caratteristiche di un’innovazione rivoluzionaria,destinata a cambiare i paradigmi dell’economia e delle nostre abitudini: mettere in Rete tutti i propri dati per potervi accedere da qualsiasi macchina connessa a internet, in qualsiasi luogo e indipendentemente da sistemi operativi e software, significa mettere le basi per un sistemaaperto e condiviso.

Non a caso fioccano le ricerche e analisi che cercano di stabilire l’impatto dell’avvento della “nuvola” sui sistemi economici: la più recente, firmata Centre for Economics and BusinessResearch (Cebr), stima in 177,3 miliardi di euro all’anno entro il 2015 l’incremento del valoredelle principali economie europee. Si va dai 49,6 miliardi della Germania ai 37,4 della Francia, i 35,1 dell’Italia, i 30 del Regno Unito e i 25,2 della Spagna. Ipotesi tutte da verificare, ma che segnalano, comunque, le dimensioni disruptive di questa nuova modalità di gestire le informazioni: i dati destinati a finire nella “nuvola”, al di là dello specifico significato che gli viene attribuito da noi, rappresentano a tutti gli effetti delle informazioni sotto diverse forme (numeri, contenuti digitali, testi, immagini) assolutamente svincolate dal modo in cui sono state raccolte. Stiamo gettando le basi per rendere possibile un’economia condivisache potrebbe avere degli effetti dirompenti sugli attuali assetti del sistema rimettendo in discussione, se le regole di questo nuovo sistema saranno scritte nell’interesse collettivo,alcuni degli attuali meccanismi di accumulazione e messa a profitto del capitale cognitivo.

Ovviamente si tratta di una scommessa con molte incognite, a cominciare dai rischi connessi con la sottrazione e manipolazione delle informazioni sulle persone, ma è evidente che concettualmente la cloud economy rimette in discussione la filosofia “privatistica” attuale che si basa sull’infinita riproduzione di diritti di proprietà sulle stesse informazioni. Per comprendere l’impatto di questa innovazione basta pensare ai contenuti musicali digitali: da più di vent’anni le grandi major cercano, con enorme dispendio di energie, di fermarel’emorragia prodotta dallo scambio di musica tra le persone in Rete. Oggi si stanno, invece, affermando modelli di utilizzo basati non sul download dei brani a pagamento, ma sulla possibilità di ascoltare musica in streaming, lasciandola, di fatto, nella “nuvola”.

La fruizione dell’informazione (il contenuto musicale) non comporta più il titolo di proprietà dello stesso e il valore della transazione si sposta dal possesso all’accesso. .

Mater-Bi®: dalla terra alla terraIn poche settimane di compostaggio un sacchetto in Mater-Bi® si trasforma in concime per la terra. Scegliere Mater-Bi®, in particolare per i produttori biologici, è un atto di coerenza e impegno ambientale.

Icea e Novamont insieme per l’ambienteIcea, l’Istituto per la certificazione etica e ambientale, insieme a Novamont, produttore della prima bioplastica italiana, hanno perfezionato un accordo per diffondere i prodotti in Mater-Bi® tra i produttori biologici.

Cominciamodai sacchettiIcea e Novamont propongono ai produttori biologici, a costi promozionali, il SACCHETICO®: sacchetto in Mater-Bi® biodegradabile e compostabile.

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luglio/agosto 2011mensilewww.valori.itanno 11 numero 91Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005editoreSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Copernico, 1 - 20125 Milanopromossa da Banca EticasociFondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci,FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba CislNazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba CislBrianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani,Publistampa, Federazione Trentina delle Cooperative,Rodrigo Vergara, Circom soc. coop., Donato Dall’Avaconsiglio di amministrazionePaolo Bellentani, Antonio Cossu, Donato Dall’Ava,Giuseppe Di Francesco, Marco Piccolo, Fabio Silva,Sergio Slavazzadirezione generaleGiancarlo Roncaglioni ([email protected])collegio dei sindaciGiuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzonedirettore editorialeMariateresa Ruggiero([email protected])direttore responsabileAndrea Di Stefano ([email protected])caporedattoreElisabetta Tramonto ([email protected])redazione ([email protected])Via Copernico, 1 - 20125 MilanoPaola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini,Francesco Carcano, Matteo Cavallito, CorradoFontana, Emanuele Isonio, Michele Mancino,Mauro Meggiolaro, Andrea Montella, Jason Nardiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna, Simona Corvaia([email protected])fotografieArno Gasteiger (Laif), Christopher Pledger (Eyevine),Emiliano Mancuso (Contrasto), Jeremy Clarke, John Kolesidis (Reuters)stampaPublistampa Arti graficheVia Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento)abbonamento annuale ˜ 10 numeriEuro 35,00 ˜ scuole, enti non profit, privatiEuro 45,00 ˜ enti pubblici, aziendeEuro 60,00 ˜ sostenitoreabbonamento biennale ˜ 20 numeriEuro 65,00 ˜ scuole, enti non profit, privatiEuro 85,00 ˜ enti pubblici, aziendecome abbonarsiI carta di credito

sul sito www.valori.it sezione come abbonarsiCausale: abbonamento/Rinnovo Valori

I bonifico bancarioc/c n°108836 - Abi 05018 - Cab 01600 - Cin ZIban: IT29Z 05018 01600 000000108836della Banca Popolare Etica Intestato a: Società Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1 - 20125 MilanoCausale: abbonamento/Rinnovo Valori +Cognome Nome e indirizzo dell’abbonato

I bollettino postalec/c n° 28027324 Intestato a: Società Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1 - 20125 Milano Causale: abbonamento/Rinnovo Valori

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricercheeseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamentedisponibile ad adempiere ai propri doveri.

Il Forest Stewardship Council (Fsc) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.

*LIPPER FUND AWARDS 2009Rendimenti a tre anni (2006-2008)Valori Responsabili Monetario e Valori Responsabili Obbligazionario Misto

Premio Migliori Risultati Categoria Risparmio Gestito

*LIPPER FUND AWARDS 2010Rendimenti a tre anni (2007-2009)Valori Responsabili Monetario e Valori Responsabili Obbligazionario Misto

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MILANO FINANZA GLOBAL AWARDS 2009Valori Responsabili Obbligazionario Misto - Rendimento a un anno (2008)

ETICA SGR: VALORI IN CUI CREDERE, FINO IN FONDO.

Etica Sgr è una società di gestione del risparmio che promuove esclusivamente investimenti finanziari in titoli diimprese e di Stati selezionati in base a criteri sociali e ambientali.L’investimento responsabile non comporta rinunce in termini di rendimento. È un investimento “paziente”, nonha carattere speculativo e quindi ben si coniuga con la filosofia di guadagno nel medio-lungo termine comunea tutti gli altri fondi di investimento.

Parliamo di etica, contiamo i risultati.

I fondi Valori Responsabili si possono sottoscrivere presso tutte le filiali e i promotori di Banca Popolare Etica, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio,Banca di Legnano, Simgest/Coop, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Casse Rurali Trentine, Banca Popolare dell’Alto Adige, Banca della Campania, Eurobanca delTrentino, Banca Popolare di Marostica, Eticredito, Cassa di Risparmio di Alessandria, Banca di Piacenza, Online Sim e presso alcune Banche di Credito Cooperativo.Per maggiori informazioni clicca su www.eticasgr.it o chiama lo 02.67071422. Etica Sgr è una società del Gruppo Banca Popolare Etica. Prima dell’adesioneleggere il prospetto informativo. I prospetti informativi sono disponibili presso i collocatori e sul sito www.eticasgr.it

Fondi etici: l’investimento responsabile

GIOCOLa borsanon è un

LETTERE, CONTRIBUTI, ABBONAMENTI, PROMOZIONECOMUNICAZIONE, AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Copernico 1, 20125 Milano

tel. 02.67199099fax 02.67491691e-mail [email protected] ˜ [email protected]@valori.it ˜[email protected]

globalvision 7

fotonotizie 8

dossier Rivoluzione fra le nuvole 14Cloud economy: tutti dentro la nuvola 16Meno costi, più servizi per la Pubblica amministrazione 18La reazione delle aziende. Tra amore e scetticismo 20Se la nube fa acqua da tutte le parti 22Il cliente ha (quasi) sempre torto 24

consumiditerritorio + lavanderia 27

finanzaeticaDa Geldof alla Carlyle. La finanza riscopre il mal d’Africa 28Banca Etica. Le sfide per il nuovo Comitato etico 32F35, un rapporto Usa boccia il nuovo caccia militare. L’Italia va avanti 34Banche italiane e bombe a grappolo. Il massacro continua 35

bancor + euronote 37

economiasolidaleRinnovabili in bolletta. Non sparate sul fotovoltaico 38Caporalato e speculazione: ombre sul sole pugliese 42Lancellotti (Enerventi): “Ecco perché puntiamo sui tetti della regione” 43Made in Italy a rischio/6. Gli italiani e il pane: c’eravamo tanto amati 45Gomorra. La filiera delle vergogna 46Spiga e Madia. Siamo tutti coproduttori 48Non solo prezzo: i valori (nascosti) del commercio equo e solidale 49Dall’Ocse all’Istat: lavori in corso per i nuovi indicatori del benessere 51

internazionaleGrandi, grandissime e praticamente inutili (con la mappa delle dighe più dannose) 54Che tempo farà? 60Acqua depurata: “basta” la luce 63Alexander Langer 2011. Un premio a Dadoue, una vita per Haiti 64

altrevoci 66

ipotesidicomplotto 73

action! 74

Su un prato, nella campagnaselvaggia dell’Otagocentrale, in Nuova Zelanda,un vecchio campo di rugbycon una porta costruita con dei tronchi (2010).

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L’ultima predica “inutile” di Draghi

Crescita solidale| globalvision |

valoriAnno 11 numero 90. Giugno 2011.€ 4,00

Dossier > Una società che garantisca la parità di genere porta vantaggi per tutti

Economia in rosa

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.

Finanza > Bollette salate. Se il prezzo del gas dipende solo da Eni. E dal petrolioEconomia solidale > Sbarco Gas 2011. A L’Aquila la scossa dell’economia solidale

Internazionale > Immigrazione. Tra Grecia e Turchia, l’altra porta per l’Europa

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Supplemento > Finanza & società

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a rischio:

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valoriAnno 11 numero 89. Maggio 2011.€ 4,00

Dossier >L’Italia ha un ritardodi innovazione decennale.Serve unapolitica industriale

La bella economia

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Finanza > Nulla di nuovo allo sportello: alti rischi dietro promesse di guadagni faciliEconomia solidale > Dal “Villaggio della solidarietà” il diritto alla fuga per salvarsi

Internazionale > L’Islanda ha staccato la spina alle banche ed è risalita dagli inferi

Continua l’inchiestaIngredienti

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ma economico italiano. È peraltro evidente che la cu-

ra Draghi non è indolore sul ver-sante dei tagli alla spesa pubbli-ca (5% nel triennio 2012-2014),ma il governatore precisa chenon bisogna attuare tagli indi-scriminati come finora effettua-to da Tremonti. «Per ridurre laspesa in modo permanente ecredibile - dice Draghi - non èconsigliabile procedere a tagliuniformi in tutte le voci: essi im-pedirebbero di allocare le risorsedove sono più necessarie. (…)Una manovra così fatta incide-rebbe sulla già debole econo-mia, fino a sottrarle circa 2 pun-ti di Pil in tre anni».

Ma, soprattutto, l’obiettivodi medio periodo è quello di ri-dare gradi di libertà alla politicaeconomica. «Ora bisogna in pri-mo luogo ricondurre il bilanciopubblico a elemento di stabilitàe di propulsione della crescitaeconomica (…) procedendo auna ricomposizione della spesaa vantaggio della crescita, ridu-cendo l’onere fiscale che grava

sui tanti lavoratori e imprenditori onesti».In breve sono queste le proposte di Dra-

ghi per dare fiato a un sistema economicoche lo stesso Governatore descrive con l’im-magine di “un’economia insabbiata”. Se nedeve almeno discutere, tanto più che dalversante della “politica” non sembrano ve-nire, almeno per ora, progetti complessivialtrettanto credibili. .

di Alberto Berrini

MEMORIA NON RICORDO governatori di banche centrali comunisti, eccetto la“splendida” anomalia rappresentata da Che Guevara. Non fa eccezione a ri-guardo il governatore della Banca d’Italia Draghi, che però ha trasformato le sue

ultime (lascerà l’incarico a ottobre per presiedere la Banca centrale europea) “Considerazioni fi-nali” in un autentico manifesto riformista. E non è poco di fronte a un Paese incapace di usci-re dal pantano economico-sociale, oltre che politico, in cui è immerso da alcuni, e ormai trop-pi, anni. La fotografia fornita dal rapporto Istat dello scorso maggio è impietosa: un Paeseinvecchiato, degradato e impoverito, in una parola “vulnerabile”.

L’architrave di questo ipotetico manifesto riformista è la “crescita”, che però non è meramente intesa come il numero che indica la varia-zione percentuale del Pil annuo. Essa preve-de, o meglio implica, per essere ottenuta, so-lidarietà sociale, formazione e istruzione,partecipazione femminile al lavoro e finedella precarietà.

È importante sottolineare che il temadella crescita è stato il filo rosso che ha ca-ratterizzato tutte le “Considerazioni finali”di Draghi fin dal suo esordio come governa-tore nel 2006. Già in quell’anno non mo-strava incertezza nell’attaccare chi cercavafacili capri espiatori nella “Cina” e nell’“eu-ro” per giustificare gli scarsi risultati econo-mici del sistema Italia.

Il richiamo costante negli anni a questotema non ha sortito grandi frutti (in questosenso l’attacco all’odierno Esecutivo è espli-cito) se lo stesso Draghi parla di “predicainutile” alla Einaudi: «A distanza di cinqueanni, quando si guarda a quanto poco di tut-to ciò si è tradotto in realtà, viene in mentel’inutilità delle prediche di un mio ben piùillustre predecessore».

Ed è un tema che non am-mette bluff e scorciatoie, maga-ri di tipo monetario o fiscale.Per assicurare una prospettivadi crescita al Paese servono

La cura del governatore prevedetagli alla spesa pubblica del 5% nel triennio 2012-2014.Ma non alla Tremonti: chirurgici

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Mario Draghi.

riforme strutturali in grado di «unire soli-darietà e merito, equità e concorrenza»,rompendo quell’intreccio di interessi cor-porativi che frenano ed opprimono il siste-

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Sud SudanL’indipendenza si celebra con unaguerra per il petrolio

Un nutrito gruppo di profughisudanesi, a Turalei nel Sud Sudan.Il mese scorso ha formalmentesancito la propria indipendenza dal Nord del Paese. L’unità dei dueterritori africani si è protratta fino al 9 luglio, come imposto dall’esitodi un referendum popolare tenutotra i cittadini della porzionemeridionale della nazione. Già da mesi, però, i rapporti politici tra il nuovo governo di Juba, guidatoda Salva Kiir Mayardit, e Khartoumsi sono fatti sempre più tesi.

Principale motivo del contendere- che ha provocato già l’esplosionedi qualche colpo di arma da fuocolungo il confine - è lo sfruttamentodel petrolio presente nel sottosuolo.Il Sud, infatti, risulta particolarmentericco di giacimenti (circa i tre quarti dei 470 mila barili prodottiquotidianamente nella regione) ma è nel Nord che è concentrata la quasi totalità delle raffinerie e degli oleodotti. E proprio il governo settentrionale ha minacciato di non concedere al nuovo Stato l’utilizzo delle proprieinfrastrutture. «Il Sudan perderà il 36,5% dei suoi ricavi petroliferi - ha dichiarato alla stampa il ministrodelle Finanze di Khartoum, AliMahmoud - e per questo abbiamoinviato una lettera alle autorità del Sud per informare loro che senzaun accordo non potranno utilizzarealcuna nostra infrastruttura, portiinclusi». E sono pronte ancheritorsioni sui prezzi delle materieprime e dei prodotti alimentari.

Il rischio è che una dellepopolazioni più povere del pianeta si trovi ancora una volta schiacciatada giochi di potere e bracci di ferroinfiniti. Il Nord, però, deve fare i conti con un enorme debito estero,che ormai ha raggiunto i 38 miliardidi dollari. E forse, proprio per questo, non potrà permettersi di tirare troppo a lungo la corda.Non a caso i rappresentanti dei due Paesi si sono già incontratiin più di un’occasione, in territorioneutro, nel tentativo di trovare un punto d’incontro.

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Foreste tropicali«Il 90% dei boschi è mal gestito o abbandonato»

Due anni di lavoro per monitorare le foreste di 33 Paesi in tutto il mondo e per giungere a conclusioni niente affattorassicuranti. L’Organizzazioneinternazionale per i boschi tropicali(Oibt), nel rapporto “La situazionee la gestione delle foreste tropicali2011”, pubblicato nel mese digiugno, è chiara: nonostante lacrescente attenzione dell’opinionepubblica, le foreste tropicali delPianeta continuano ad essere, peroltre il 90%, «mal gestite, se noncompletamente abbandonate».

Timidi segnali di cambiamentoci sono: fra il 2005 e il 2010 le aree forestali gestite in modosostenibile fra Asia, Pacifico,America Latina e Caraibi sonopassate da 36 a 53 milioni di ettari, raggiungendo unasuperficie all’incirca pari a quelladella Thailandia. E sono 131 milioni(un aumento del 30% in cinque anni)gli ettari soggetti a un qualsiasiprogramma di gestione. Ma si tratta di progressi localizzatiin pochi Paesi (in primo luogoil Brasile, seguito da Gabon,Guyana, Malaysia e Perù): e che non sono ancora sufficienti.Nella maggior parte degli Stati le foreste continuano a essere rase al suolo senza alcun controllo,per lasciar spazio all’agricoltura e ai pascoli: investimenti molto più remunerativi, soprattutto a seguito del boom dei prezzi delle commodities.

Ancora una volta, dunque, a fare da protagonista è il profitto:e non ci si cura degli effettidevastanti della deforestazionesulle condizioni di vita dellepopolazioni locali, sulla biodiversità, sull’emissione di gas serra e, di conseguenza, sul riscaldamento globale. A giocare un ruolo importante, si auspica nel rapporto, potrebbero essere le certificazioniinternazionali sul legno: ma primadi tutto bisogna abbassarne i costi e renderle competitive, se si vuole trasformarle nel volanoper una reale tutela della foreste.

Nella foto, la foresta amazzonica e il Rio Solimoes, in Brasile (marzo 2007). E

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| fotonotizie |

GreciaLa corsaper evitarel’effetto-domino

Una manifestazione di protestacontro i duri tagli imposti dal governo greco, che si è svolta il 26 maggio ad Atene di fronte al palazzo del parlamento.C’è una crisi politica dalla quale il premier George Papandreou faticaad uscire. Ce n’è una sociale ancorpiù grave, con la popolazione alle prese con un’economia realenon più in grado di soddisfarne i bisogni. C’è uno scontro in attotra Germania e Bce sulla strategiada adottare. E c’è, non da ultimo, la necessità di sbloccare i fondi che dovrebbero consentire ad Atenedi non precipitare in un baratro che trascinerebbe con sé l’interaEurozona. Si presenta così, mentrequesto numero di Valori va in stampa,la situazione della Grecia.

Il rischio di contagio, nel casoin cui l’Unione europea non riuscissea trovare un accordo per salvare(per la seconda volta) la nazione“periferica” dell’area-euro, sarebbesempre più concreto. Il presidentedell'Eurogruppo Jean ClaudeJuncker, in un'intervista al giornaletedesco Süddeutsche Zeitung, ha spiegato che «il fallimento della Grecia potrebbe colpire il Portogallo e l'Irlanda e, a causadel loro elevato debito pubblico,anche il Belgio e l'Italia, prima della Spagna». A ciò va aggiuntol’allarme dell’agenzia di ratingMoody’s, che ha ricordato comenumerosi istituti di credito del Vecchio Continente (anchenelle “insospettabili” Francia e Germania) siano potenzialmente a rischio in caso di default da parte di Atene. Secondo Dexiale necessità complessive di finanziamenti della Grecia, del Portogallo e dell’Irlanda sonopari a 201 miliardi di euro per i prossimi 24 mesi. Il chesignifica che Paesi “soccorritori”come la Germania dovrebberosborsare qualcosa come il 2,5% del prodotto interno lordo. Qualoracrollasse anche la Spagna, il dato arriverebbe a 523 miliardi. E se precipitasse l’Italia, si schizzerebbe a 1.123 miliardi.Nota (non) a margine: il meccanismod’emergenza europeo può contaresu 750 miliardi. JO

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Non solo e-mail e telefonateVoIP: in futuro i nostri pcscorderanno le memorie.Sarà tutto in Rete, in una“nuvola” di dati e servizi che rivoluzionerà anche

i business

a cura di Andrea Barolini, Corrado Fontana, Emanuele Isonio

Cloud economy: tutti dentro la nuvola >16Meno costi, più servizi per la P.A. >18La reazione delle aziende. Tra amore e scetticismo >20Se la nube fa acqua da tutte le parti >22Per gli Usa: un’arma di difesa >23Il cliente ha (quasi) sempre torto >24dossier

L’economiavista

dalle nuvole

cloud computing

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Technology, d’altra parte, ci ha da tempoabituati a svolte epocali.

Si avvicina il trionfo del pay-per-useDi definizioni della nuvola ce ne sonomoltissime. E non stupisce, dal momentoche - sebbene sia già presente nelle nostrevite di internauti - la sua evoluzione è an-cora tutta da scoprire. Semplificando l’a-spetto tecnico, possiamo affermare checiascuno di noi sfrutta il cloud computingogni qual volta utilizza un servizio in Re-te anziché sul proprio pc. Un esempiochiaro, in questo senso, è dato da tuttiquegli utenti che accedono alla posta elet-tronica dal browser, senza scaricarne icontenuti sul proprio hard disk locale,sfruttando i server messi a disposizione dalprovider. Allo stesso modo, nella nuvola cisono i social network come Twitter e Face-book, le telefonate VoIP come quelle effet-

tuate con Skype o i lemmi di Wikipedia. Quando il cloud “esploderà”, in Rete ci

sarà praticamente tutto: perfino il softwareche si utilizza per scrivere un documento di

testo o un foglio di calcolo elet-tronico. Si passerà, infatti, dalmodello basato sull’acquisto diun prodotto completo (delquale magari si usa solo unapiccola porzione del potenzia-le) a un software “adattato” secondo le esi-genze del singolo cliente. Con un notevolerisparmio di denaro e un alleggerimentodecisivo dell’hardware: sarà insomma iltrionfo del pay-per-use. Utilizzando le paro-le del National Institute for Standards andTechnology degli Stati Uniti si può parlaredella nuvola come di “un modello per ga-rantire un accesso conveniente e on-de-mand a una serie di risorse configurabili inRete (network, server, applicazioni, servizi,spazio di archivio)”.

Non è un caso che tutti i più grandi co-lossi stiano investendo cifre enormi nelnuovo standard (vedi ). Il che ha tra-sportato la nuvola già in molti Paesi: i piùavanzati risultano ad oggi la Russia e laSpagna. Una ricerca condotta dalla societàindipendente Dynamic Markets tra 1.616decision-maker di piccole imprese europeeha rivelato che l’80% ha già almeno unaspetto delle loro infrastrutture nel cloud(contro il 41% dell’Olanda e il 48% diGran Bretagna e Polonia). Un altro studio,elaborato da NextValue, ha calcolato laspesa complessiva (non solo pubblica) perservizi legati al cloud computing in tutto ilmondo in 30,1 miliardi di dollari nel 2010:cifra destinata ad arrivare a 60,6 miliardinel 2013. In Italia il dato è stato pari a 280milioni nel 2010, e potrebbe raggiungere i660 milioni nel 2013 (con un incrementodel 32,6%).

BOX

Guadagni, risparmi e nuovi posti di lavoroIn un’intervista rilasciata al quotidiano LaRepubblica, Corrado Caironi, investment stra-tegist di R&CA Ricercaefinanza.it (socialnetwork dedicato ai promotori finanziari)spiega che «i dodici top player del cloud com-puting hanno visto crescere i ricavi, nel 2010,del 24,5%. E il trend dovrebbe ripetersi agrandi linee nell’anno in corso».

Secondo il rapporto del Centre for Eco-nomics and Business Research Ltd (Cebr) in-titolato The Cloud Dividend - che si riferiscealle realtà attuali di Francia, Germania, Ita-lia, Spagna e Regno Unito, ovvero le cinqueprincipali economie del Vecchio Continen-te - un’adozione ampia del cloud computingpotrebbe generare benefici economici com-plessivi pari a 763 miliardi di euro nei pros-

Cloud economy: tutti dentrola nuvola

di Andrea Barolini

è una nuvola che si sta formando sulle nostre teste,

fatta di software, Megabyte, file e flussi di dati. E

che potrebbe rivoluzionare il nostro modo di usare internet e gli

stessi computer. Si chiama, appunto, cloud computing, ed è – di fat-

to – la nuova frontiera tecnica ed economica del mondo del-

l’informatica. Non parliamo di un trend, ma di una potenziale ri-

voluzione, che toccherà dapprima le aziende e le pubbliche

amministrazioni per poi, in brevissimo tempo (c’è da scommetter-

ci), coinvolgere ciascuno di noi, farsi economia di scala e imporre

il suo paradigma a produttori hardware e utenti finali. L’Information

Scordiamoci hard diske pacchetti di softwarecompleti acquistati nei negozi. In futurosfrutteremo programmion demand, tagliati su misura per ciascuno di noi. Si tratteràdi un business del quale beneficerannole imprese, ma anche il settore pubblico. E che potrebbe garantire,solamente nelle cinqueprincipali economieeuropee, 2,4 milioni di nuovi posti di lavoro

simi cinque anni (nel solo 2015 la cifra po-trebbe essere pari a 177 miliardi): un datopari all’1,57% del Prodotto interno lordo ag-gregato. Ciò in termini di sviluppo di op-portunità di business, di risparmi sui costi edi guadagni indiretti (vedi ), dei qualibeneficerebbe per il 35% il settore privato,per il 26% quello pubblico e per la restanteparte quelle realtà che coinvolgono entram-bi i comparti (vedi ).

Secondo il Cebr tutto ciò comporterà an-che conseguenze fortemente positive sulmercato del lavoro. Nello stesso periodo diriferimento si potrebbero creare quasi 2,4milioni di nuovi impieghi nei cinque Statieuropei, ovvero 446 mila all’anno nel pros-simo quinquennio.

Investire per superare il digital divideUna dinamica che sarà tanto più efficacequanto più ci si avvicinerà a un’economia discala: in questo senso lo studio The Economicsof Cloud, redatto da Microsoft dimostra comela riduzione dei costi aumenti in funzione

TABELLA

TABELLA

HARDWARE E SOFTWARE:COME SI MUOVONO I GIGANTI

DA TEMPO I COLOSSI MONDIALIdell’informatica si stanno lanciando a piene mani nel nuovo business del cloud computing. Sia in termini di proposte di servizi e software in Reteche di nuovi dispositivi hardware,sempre più leggeri e completamenteorientati alla nuvola. Microsoft, ad esempio, ha deciso di investire 2,3 miliardi di dollari. Secondo Kevin Turner, dirigente dell’azienda di Bill Gates, quello del cloud è il piùimportante trend IT attuale: parlando a una conferenza a Milano il managerha spiegato che per le piccole e medieimprese italiane si potrebbero generarerisparmi tra il 43 e il 60% dei costiattualmente sostenuti.

Google ha appena lanciato (in settePaesi: Stati Uniti, Gran Bretagna,Francia, Spagna, Italia, Germania e Olanda) il Chromebook: l’industria di Mountain View ha immaginato un sistema operativo ad hoc, che si chiamerà Chrome OS. Il pc saràleggero, veloce, senza hard disk, tuttoproiettato sul web. In pratica un’unicainterfaccia, predisposta per “succhiare”le risorse presenti su internet.

E Apple non è da meno: tra le sorprese più recenti dell’azienda di Steve Jobs c’è iCloud, ovvero la risposta di Cupertino per chi vuolegestire i propri documenti memorizzandolinon più sul computer, ma su un serverremoto. Si partirà con un’offertamusicale in streaming e forse la possibilitàdi gestire file, per poi sviluppare e diversificare l’offerta di servizi.

Secondo uno studio del Cebr,un’adozione ampia del cloudcomputing potrebbe generarebenefici economici complessiviper 763 miliardi di euro

CLOUD ECONOMY: I BENEFICI NEL PERIODO 2010-2015 [IN MILIONI DI EURO]

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FRANCIA GERMANIA ITALIA SPAGNA GRAN BRETAGNA TOTALE

SVILUPPO DI BUSINESS ESISTENTI 24.599 32.642 23.995 16.866 29.555 127.657

NUOVI BUSINESS 51.377 69.507 43.305 30.939 20.026 215.153

RISPARMI 26.323 37.740 28.463 22.008 26.206 140.740

BENEFICI INDIRETTI 60.450 81.351 55.007 40.737 42.202 279.747

TOTALE BENEFICI ECONOMICI 162.749 221.239 150.770 110.550 117.989 763.297

POSTI DI LAVORO CREATI (IN MIGLIAIA) 469,4 789,4 455,8 392,5 289 2.396,2

CLOUD ECONOMY: I BENEFICI NEL PERIODO 2010-2015 PER SETTORE [IN MILIONI DI EURO]

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EMB

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2010

PRIVATO IBRIDO PUBBLICO TOTALE

SVILUPPO DI BUSINESS ESISTENTI 41.230 58.534 27.893 127.657

NUOVI BUSINESS 72.214 72.352 70.587 215.153

RISPARMI 68.644 62.041 10.055 140.740

BENEFICI INDIRETTI 85.784 107.055 86.908 279.747

TOTALE BENEFICI ECONOMICI 267.872 299.983 195.443 763.297

POSTI DI LAVORO CREATI (IN MIGLIAIA) 754,2 842,8 799,2 2.396,2

C’

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| dossier | cloud economy |

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2010

L’ECONOMIA DI SCALA NELLA CLOUD ECONOMY

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Numero di server nella nuvola

10000 100000

–80% NEI COSTI DI ESERCIZIO

EUROPA, IL CLOUD PREMIA GLI “ULTIMI”

SECONDO IL RAPPORTO del Centre for Economics and BusinessResearch Ltd (Cebr) intitolato The Cloud Dividend, la maggior partedei benefici economici che arriveranno dal cloud computing per Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito saranno legati al cosiddetto “effetto moltiplicatore”. Cioè alla capacità che la nuova tecnologia (o, meglio, del nuovo approccio all’utilizzodelle tecnologie informatiche) avrà di svilupparsi autonomamenteallargando sempre più le proprie potenzialità.

Ciò equivarrà in particolare alla creazione di nuovi business. Il che potrebbe costituire, potenzialmente, un importante volanooccupazionale. Solamente per quanto riguarda il Regno Unito le caratteristiche della Rete e del mercato interno lascianointravedere un maggiore apporto proveniente dallo sviluppo di attività già esistenti: nelle altre quattro nazioni sarà la businesscreation a prevalere (vedi ).

In generale, i benefici sembrano premiare i Paesi meno“sviluppati” (vedi ): se si eccettua la Germania, che costituisce la prima economia del Vecchio Continente e che riceverà forti vantaggi dall’avvento dell’economia legata alla nuvola, sono Spagna e Italia ad avere di fronte a loro le opportunità maggiori. Il nostro Paese, ad esempio, nonostanterappresenti solamente il 17,1% del Pil dei cinque Stati presi in considerazione, potrebbe accaparrarsi una quota di beneficieconomici pari al 19,8%.

GRAFICO 3

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0FRANCIA GERMANIA ITALIA SPAGNA UK EMEA

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OPPORTUNITÀ LEGATE ALLO SVILUPPO DI BUSINESS

CREAZIONE DI NUOVI BUSINESS

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2010

% DI BENEFICI

% DI CONTRIBUTO AL PIL Paese

E RISORSE ECONOMICHE sono sem-pre più limitate, i tagli linearimettono a rischio i gangli cru-

ciali delle politiche pubbliche, ma, al tem-po stesso, cresce l’esigenza di fornire nuoviservizi in favore dei cittadini e del tessutoproduttivo: stretta e tortuosa è la via nellaquale si trova a dover passare la pubblicaamministrazione (locale e periferica) delnostro Paese, spesso vittima di sprechi einefficienze. La soluzione? Le nebbie si di-radano investendo nella nuvola. Il gioco diparole meteorologico sembra trovare am-

pio consenso tra i decisori pubblici: le tec-nologie cloud possono garantire risparmi dicosti e un miglioramento dei servizi. A pat-to di usarle bene.

Un aiuto contro gli sprechiI dati più recenti delle infrastrutture infor-matiche della sola pubblica amministrazio-ne centrale indicano l’esistenza di 82 grandisistemi elaborativi, di 26.883 medi e di1.033 centri elaborazione dati. Per gestirli,sono impegnati 7.300 addetti a tempo pie-no, per un costo annuo di 450 milioni di eu-

ro. E a questi numeri vanno aggiunti quellidegli enti locali e degli ospedali. In praticaognuno fa da sé, i vari enti non sono inter-connessi tra loro e si portano dietro elevaticosti di gestione e manutenzione.

Una metafora per capire meglio: «Im-maginate tanti soggetti diversi che com-prano un’auto e anche il box privato in cuiparcheggiarla», spiega il presidente dell’Au-torità Garante per la protezione dei dati per-sonali, Francesco Pizzetti. «Ognuno usa la

Ridurre le spese di gestione di server e hardware per avere maggiori risorse da destinare ai servizi per cittadini e imprese. Le tecnologie cloud

possono offrire agli enti pubblici molti vantaggi. A patto di guardarle con occhio critico.

di Emanuele Isonio

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SCOMPOSIZIONE DELLA SPESA INFORMATICA ANNUA DELLA PAC (M€)600

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propria auto, ma senza sfruttarla a pieno re-gime, deve sostenere i costi di manutenzione,oltre all’investimento iniziale per la macchi-na e per il box. Per risparmiare, si potrebbenoleggiare l’auto solo per il tempo effettiva-mente necessario e si potrebbe parcheggiar-la in un garage pubblico in cui civiene garantito un posto riserva-to». Qualcosa di simile avverreb-be se i sistemi informatici dellaP.A. migrassero nella “nuvola”:

Le amministrazioni pubbliche,anziché acquistare i data centered i software, potrebberoconvergere su un unico sistema

DAL TELECONTROLLO DEI LAMPIONIUN AIUTO PER AMBIENTE E CASSE COMUNALI

UNO DEI PRIMISSIMI ESEMPI DI COME LE TECNOLOGIE CLOUD possano aiutare gli entilocali nella lotta contro sprechi economici e miglioramento dei servizi arriva dalla campagnabolognese. San Giovanni in Persiceto, 24 mila abitanti, aveva problemi nella gestione del servizio di illuminazione pubblica: alti costi di manutenzione, sprechi di energia, reclamidei cittadini. Il rimedio è stato trovato grazie a un sistema di telecontrollo dei lampionicittadini, messo a punto insieme a Telecom Italia. I cinquemila punti luce sono ora gestitiattraverso tecnologie cloud che permettono di controllare il flusso luminoso di ogni singololampione. Il cambio di rotta ha prodotto un risparmio energetico di 1,2 milioni di Kwhall’anno (pari al 46% del consumo di energia elettrica). Per le casse comunali, il risparmioeconomico è quantificabile in 200 mila euro (a fronte di una spesa annua di mezzo milione),oltre ai minori costi di manutenzione. Tra l’altro, sfruttando l’infrastruttura della rete di illuminazione pubblica, sono stati realizzati punti di accesso wi-fi e un servizio di videosorveglianza. L’iniziativa di San Giovanni in Persiceto ha fatto da battistrada per idee simili di altri enti pubblici. E il Comune emiliano è stato tra quelli premiati dal ministero della Pubblica amministrazione come maggiormente innovativi. Em. Is.

anziché acquistare i data center (con annes-si costi di gestione) e i software per erogarei servizi ai cittadini, gli enti pubblici potreb-bero sfruttare le tecnologie cloud per centra-lizzare le strutture, creare un unico sistemausato da più enti e accessibile grazie alla Re-

te e liberando risorse (umane ed economi-che) per destinarle allo sviluppo di miglioriservizi per i cittadini. Il risparmio non è dapoco: il 60% della spesa informatica dellaPubblica amministrazione centrale è fagoci-tata da hardware e software. Ai servizi è ri-servato solo il 26% del totale (vedi ). Elo sfruttamento dei server locali è oggi infe-riore al 30%.

Non è quindi un caso che, all’estero, leP.A. stiano studiando il modo di sfruttare apieno i vantaggi della “nuvola”. Il governoUsa ha stimato che circa 20 miliardi di dol-lari degli 80 miliardi spesi ogni anno in am-bito IT (Information Technology) possanoessere orientati in direzione di servizi ester-ni di cloud computing (in particolare nei di-partimenti Sanità e Tesoro). Il Cabinet Offi-ce britannico sta, invece, mettendo a puntouna strategia in più fasi: un Data center con-solidation per mettere in comune il patri-monio informatico oggi frammentato tra idiversi enti; il G-Cloud per offrire alle varieP.A. servizi basati su infrastrutture certifica-te; infine il Government application store,che permette alle varie amministrazioni ditrovare applicazioni certificate, che magarisono già state sviluppate da altri enti.

GRAFICO

della taglia della nuvola: quante più sarannole persone che utilizzeranno il cloud compu-ting, tanto più alto sarà il risparmio (vedi

). Per raggiungere tali ordini di gran-dezza, però, è necessario investire. Il cloud,infatti, presuppone (letteralmente) l’esisten-za di una rete diffusa di accesso a internet inbanda larga. In altre parole, la nuvola è ine-luttabilmente incompatibile con il digital di-

GRAFICO

vide. E per Paesi come l’Italia, che presenta-no ancora un netto ritardo rispetto alla me-dia europea, la questione non è indifferen-te. Occorrerebbe investire, e farlo da subito.Al contrario, secondo l’analisi Cloud & ICTas a Service: fuori dalla nuvola! della School ofManagement del Politecnico di Milano, ilgap infrastrutturale (e di conoscenze infor-matiche) non è stato colmato, il che “pesa

oggi come un macigno sulla capacità dicompetere delle nostre imprese e dell’interoSistema Paese”.

Una fotografia del grado di interesse chei nostri amministratori hanno dimostratosulla questione arriva dai dati relativi agli in-vestimenti: secondo lo European Informa-tion Technology Observatory (Eito), la spesaitaliana in Information and Communica-

tion Technologies è diminuita nel 2010 del2,5%. Mentre nel mondo, superata la battu-ta d’arresto provocata dalla crisi globale, ètornata a livelli di crescita del 4,9% (per nonparlare di Paesi come l’India o la Cina chehanno visto una crescita rispettivamente del18% e 15%). E pensare che per la PubblicaAmministrazione del nostro Paese la nuvolapotrebbe costituire una svolta epocale. .

Meno costi, più serviziper la Pubblica amministrazione

PERCENTUALI DI APPORTO AL PIL E BENEFICI IN ARRIVO DAL CLOUD COMPUTING

CONTRIBUTI PERCENTUALI DEI DIFFERENTIBENEFICI LEGATI AL CLOUD COMPUTING

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Ma gli ostacoli non mancano«Le tecnologie cloud – spiega Vivek Kundra,Federal Chief Information Officer dell’am-ministrazione Obama - permetteranno diottimizzare l’uso dei server, facendolo pas-sare dal 30 a oltre il 60%. Agevoleranno unprocesso di omogeneizzazione dei sistemiinformatici, sgraveranno dagli oneri di ge-

stione degli hardware, forniranno servizitagliati sulle esigenze che gli enti pubbliciavranno di volta in volta». I motivi di otti-mismo sono senz’altro molteplici. Ma ècomunque saggio non celare gli ostacolida superare.

«Le P.A. hanno più di altri il dovere dipensare alla sicurezza dei dati – osserva

Francesco Pizzetti – perché i dati che de-tiene non sono suoi, ma le occorrono peresercitare una funzione pubblica in favoredi cittadini e aziende. Fare resistenza con-tro il cloud è da irresponsabili, perché ilprocesso è irreversibile, ma i problemi bi-sogna porseli». Standard adeguati di sicu-rezza, diffusione della banda larga, intero-

perabilità tra le tecnologie sono, per il Ga-rante della Privacy, i nodi da sciogliere.«Bisogna trovare dei meccanismi di cen-tralizzazione delle tecnologie cloud ed ènecessario che le autorità pubbliche dianoin fretta dei livelli minimi di sicurezza ob-bligatori nella gestione dei dati. La bandalarga va poi diffusa capillarmente sul terri-

torio italiano, altrimenti alcune ammini-strazioni non possono avere gli strumentiessenziali per fornire i loro servizi e questocreerebbe disuguaglianze inaccettabili.Inoltre, bisogna accertarsi che i Comuniutilizzino tecnologie tra loro compatibili: idati devono essere trasportabili da un ge-store di cloud a un altro senza problemi.

Un po’ come avviene già con la portabilitàdel numero di cellulare».

La parola d’ordine per risolvere gran par-te dei problemi è: dialogo. Tra amministra-zioni e fornitori di tecnologie: «Non è detto– conclude Francesco Pizzetti - che questi ul-timi conoscano tutte le esigenze degli enti, irischi e i problemi da affrontare»..

ER CLAUDIO UMANA il “viaggiodella speranza”, come luistesso l’ha definito, aveva co-

me destinazione Dublino. Non lo spingevalì (per fortuna) un problema di salute, ma lavoglia di inventarsi un sistema che rendessepiù efficiente l’uso delle tecnologie infor-matiche nella “sua” azienda. In Italia nonaveva ricevuto risposte convincenti: volevadestinare le risorse investite nei sistemiinformatici solo alle attività che potesserodare un contributo diretto al fatturato azien-dale. «Noi compriamo l’energia elettrica,non la produciamo in proprio. Compriamol’acqua, non la estraiamo noi stessi dai poz-zi. Non capivo perché non potevo affittarespazio su server gestiti da altri, avere con-nessioni internet già filtrate da antivirus eusare software basati sulla Rete, anzichécomprarli e installarli su ogni pc, per otti-mizzare le attività dei dipendenti».

Nella capitale irlandese ha trovato unasede di Google e molte soluzioni basate suisistemi cloud. Umana è direttore dei sistemiinformativi della Fracarro, un marchio cheha fatto la storia della tv italiana, distri-buendo il segnale televisivo nell’80% dellecase e ha oggi sedi in tutti i continenti. Gra-

Pdi Emanuele Isonio E di denaro, in effetti, se ne risparmia e

anche parecchio: 50 mila euro anziché 100mila per i nuovi servizi attivati da Fracarro(«ma l’agevolazione dei processi aziendalinon ha prezzo», osserva Umana). 3 mila eu-ro anziché 35 mila, nel caso della Costa Edu-tainment, che ha sperimentato il cloud du-rante la costruzione dell’Acquario diLivorno: «Abbiamo potuto gestire le mail,spazi condivisi su disco e videoconferenzesenza bisogno di infrastrutture, server, per-sonale di controllo e acquisto di licenze»,spiega Filippo Costa, ICT Corporate advisordel gruppo. E chi ancora non ha quantifica-to i guadagni, perché il nuovo sistema ètroppo recente, sottolinea il risparmio in ter-mini di risorse umane: «Prima di trasferiresulla nuvola le 3 mila mail dell’ospedale -spiega Massimiliano Manzetti, responsabileinfrastrutture e server del Bambin Gesù diRoma - dovevamo impegnare a tempo pie-no un dipendente nel controllo dei server.Ora l’abbiamo potuto destinare ad attivitàpiù vicine al core business del nosocomio e asviluppare nuovi servizi sanitari. E comun-que il livello di servizio “fatto in casa” nonera paragonabile a quello offerto da Micro-soft (con cui hanno sottoscritto il contratto,ndr). Nell’accordo si è impegnata a ridurre leinterruzioni del servizio a meno dello 0,1%su base mensile, per non incorrere in penalimolto salate».

Ma chi i servizi in cloud li vende oltre cheusarli, sottolinea che la nuova tecnologia in-trodurrà un diverso modo di quantificare

zie ai sistemi cloud, ha iniziato una migra-zione a più tappe: la connessione per navi-gare sul web già pulita da antivirus ha per-messo di smantellare i server locali; lecaselle di posta già filtrate da Google hannopermesso di cancellare gli antispam e il con-tenuto delle mail è consultabile diretta-mente on line; l’uso di programmi simili aquelli del pacchetto Office di Microsoft, for-niti gratuitamente, ha cancellato il proble-ma di acquistare le licenze e di installare iprogrammi sul pc. Tra l’altro, lavorando online, possono scrivere contemporaneamen-te sullo stesso documento due, tre, dieci di-pendenti insieme. A tutto vantaggio dellacollaborazione aziendale, che, grazie a chate videoconferenza, può avvenire anche trapersone distanti migliaia di chilometri.

L’entusiasmo di chi l’ha provatoLa storia di Fracarro non è isolata. Su e giùlungo lo Stivale altre realtà hanno fatto scel-te simili: l’ospedale Bambin Gesù di Roma,il colosso editoriale Wolter Kluwers Italia, laFiera di Milano e l’ente che gestisce gli ac-quari di Genova e Livorno (vedi ). Set-tori d’attività diversissimi, ma accomunatidall’esigenza di rendere il lavoro più sempli-ce e, perché no, di risparmiare denaro.

SCHEDE

La reazione delle aziende Tra amore e scetticismoI “pionieri” della nuvola sottolineano i risparmi e i vantaggi per la flessibilità del lavoro. Ma in molti ancora temono che, dietro alla migrazione verso i nuovi servizi, si nascondano più pericoli che vantaggi. COSTA

EDUTAINMENT

SETTORE: GESTIONE SITICULTURALIIl gruppo Costa, che gestisceda anni l’Acquario di Genovae altri siti della città ligure(1,7 milioni di visitatoriannui), ha sperimentato i servizi cloud in occasionedella fase di start-updell’acquario di Livorno. Ha potuto usufruire dei serviziinformativi di base (email,videoconferenze) senza doverinstallare hardware e serverlocali e senza dover prevederepersonale per la loro gestione.Il risparmio si è attestato sul90%: meno di 3 mila euro,anziché 30-35 mila.

FRACARROSETTORE: IMPIANTI TVGruppo storico per ladistribuzione del segnale tv in Italia, è oggi composto da 8 aziende con ramificazioniin 5 continenti. A Fracarro, il cloud è servito per dismettere i costosi server interni, per far“migrare” email aziendali e applicazioni, per avereconnessioni internet filtrate che hanno reso inutili antivirus e antispam. Sono state poiintrodotte applicazioni virtualial posto del pacchetto MicrosoftOffice, che permettono a piùpersone contemporaneamentedi lavorare sullo stessodocumento, anche a migliaia di chilometri di distanza.

FIERA MILANO SPA

SETTORE: ATTIVITÀ FIERISTICHEL’avvicinamento al clouddel maggiore operatore fieristicoitaliano si è avuto con la creazione del nuovo polo di Rho (2005), nel quale sonostati trasferiti molti uffici e la maggior parte del personale.Nel passaggio, non sono staterealizzate nuove infrastruttureinformatiche, ma sono statiesternalizzati i servizi: i datacenter gestiti in cloud hannopermesso maggiore flessibilità ed efficienza (spazi a disposizionee potenza variano in funzionedelle esigenze che di volta in voltasi manifestano). I programmisoftware sono virtualizzati.

OSPEDALEPEDIATRICOBAMBIN GESÙ

SETTORE: SANITÀL’ospedale romano, uno dei più grandi nosocomi pediatriciitaliani, ha avviato un progetto di fruizione delle mail in modalitàas a service al posto delprecedente utilizzo in locale. A novembre 2010, le 3 mila caselledi posta sono migrate sulla nuvola.La flessibilità della soluzione è connessa al tipo di contrattocon il provider che prevede uncanone mensile calcolato solosugli effettivi utilizzi. I risparmihanno permesso di spostarerisorse su altri progetti in ambitosanitario. Gli utenti hannoottenuto un servizio più efficiente.

WOLTERS KLUWER ITALIA

SETTORE: SERVIZIEDITORIALI E SOFTWARE 3,5 miliardi di fatturato nel mondo, 11 marchi tra i più noti nella realizzazionedi prodotti editorialispecializzati. Per WKI, la nuvola ha rappresentato la possibilità di erogare via web software per la rilevazione delle presenze del personale e coperture di servizi h24. Ma le tecnologiecloud hanno permesso anchedi garantirsi risparmi nellagestione dei macchinari e, in caso di danni, tempi di ripristino delle macchinelimitati a poche ore.

I “PIONIERI” TRICOLORI DEL CLOUD

Dall’ospedale Bambin Gesù di Roma alla Fiera di Milano, in tutta Italia si moltiplicano i casi di passaggio alla nuvola. Ma per ora tra le Pminostrane i nuovi sistemi sono ancora rari

l’investimento e i risparmi: «Il cloud imponedi adeguarsi a nuovi modelli di prezzo», spie-ga Massimo Boano, amministratore delegatodi Wolters Kluwer Italia. «Bisogna dare unvalore allo spazio per salvare i propri datimesso a disposizione dal provider, al tempo ri-sparmiato non dovendo più acquistare,mantenere, sostituire e testare molti hardwa-re, all’accessibilità totale garantita dalla nuo-va tecnologia e alla maggiore sicurezza cheassicura. Ben più alta rispetto agli strumentiinformatici attualmente in uso nella mag-gior parte delle Pmi italiane».

Lo scetticismo degli altriEppure, le piccole e medie imprese (Pmi)tricolori sembrano ancora indietro nell’a-dottare i nuovi strumenti informatici. La ri-cerca Fuori dalla nuvola dell’osservatorio

Cloud del Politecnico di Mila-no rivela che il mercato dellesoluzioni cloud per le impresepiccole e medie è ancora in fa-se embrionale: il livello di dif-fusione dei nuovi software sfio-ra il 3% e quello dei serviziinfrastrutturali (storage, sicurezza e backupdei dati) non arriva al 6%.

Sullo scetticismo molto incide, secondola ricerca del Politecnico milanese, la pauraper la sicurezza dei dati, «un po’ come avve-niva fino a poco tempo fa con i soldi con-tanti, percepiti come più sicuri del bancomato delle carte di credito», spiega Alessandro Pi-va, responsabile della ricerca. «Prima di pro-vare i servizi e le infrastrutture basate sulcloud, quasi un responsabile informatico suquattro ha timore per la protezione dei dati

(vedi alla pag. seguente), salvo poi ri-credersi ampiamente una volta provato ilservizio. Il problema della sicurezza nelcloud non è superiore a quando si usano tec-nologie “tradizionali”. Certo sarà molto im-portante selezionare gli operatori che sianoeffettivamente affidabili e siano in grado dierogare i servizi che promettono». Perchéuna tecnologia che promette di rivoluzio-nare il tessuto produttivo inevitabilmenteattirerà squali, disonesti e incompetenti acentinaia. .

GRAFICO

La preoccupazione di chi non vede di buon occhio il cloudè legata principalmente allasicurezza dei dati. Per questosarà necessario operare unaferrea selezione degli operatori

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LEGGERE IL RAPPORTO 2011Cloud & ICT as a Service: fuoridalla nuvola!, sviluppato dal-

l’Osservatorio Cloud & ICT as a Service delPolitecnico di Milano, si nota che il “diavo-lo” della scarsa sicurezza dei dati si rivela for-se, nei fatti, meno brutto di come lo si di-pinge. Ma esiste. In particolare, unsondaggio svolto tra 168 responsabili dei si-stemi informativi e i rappresentanti delleprincipali aziende dell’offerta mostra, tra lafase precedente all’introduzione dei serviziin cloud e quella successiva, un crollo dellecriticità percepite in merito a privacy e sicu-rezza dei dati: dal 21 all’8% per l’ambito In-frastructure as a Service (IaaS, vedi evedi ) e dal 26 al 16% per quello Servi-ce as a Service (SaaS, vedi ). D’altraparte i Cio italiani (Chief information officer èil manager responsabile di information &communication technology in azienda) hannodenunciato una discrepanza netta (52% con-tro 19%) tra i loro desideri e l’offerta reale ri-spetto alla gestione di certe problematiche.

Insomma, c’è ancora molto da lavorarenella direzione delle garanzie per l’utenzache si serve delle cloud, pubbliche e priva-te. A dimostrarlo non è solo l’insicurezza“percepita” dai Cio, ma le numerose databreachs (cioè i furti o le perdite di dati) pa-tite da multinazionali della tecnologia inquesti mesi e risultate assai costose sia peresse che, direttamente o indirettamente,per la loro clientela (una folta e aggiornatalista di queste falle è consultabile sul blogdedicato Datalossdb).

Le stime che rimbalzano su internet, delresto, dicono che il furto di indirizzi a Epsi-lon (uno dei maggiori servizi di email marke-ting al mondo, utilizzato anche da Citibanke Disney) è costato circa 225 milioni di dol-lari, con 75 aziende coinvolte e il 3% degliutenti (ma il danno potrebbe alzarsi a oltre

GLOSSARIO

GLOSSARIO

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Adi Corrado Fontana

delle carte di credito che ha coinvolto circa70 milioni di utenti, 2,2 milioni dei quali“esposti direttamente al danno”; per non

600 milioni di dollari). Molti titolari e navi-gatori di siti web si ricordano certo l’incen-dio presso le apparecchiature italiane di Aru-ba (fornitore di servizi Internet tra i piùdiffusi) ad Arezzo, che ha provocato unblackout di diverse ore. Peggio è andata ai vi-deogiocatori iscritti al Sony PlaystationNetwork e agli appassionati di musica e filmdi Qriocity, visto il massiccio furto dei dati

Se la nube fa acqua da tutte le partiFurti di dati e falle tecnologiche minano trasparenza e sicurezza del cloud computing: i casi si susseguono

e la discussione tra i responsabili delle imprese è viva. Anche se a pagare non saranno solo loro.

SITOGRAFIA PER APPROFONDIRE

www.itespresso.it/privacy-e-dati-personali-cenerentole-della-rete-51677.html

http://datalossdb.org/index/largest

LE CRITICITÀ DELLE INIZIATIVE IAAS PERCEPITE EX-ANTE E RILEVATE EX-POST

Difficoltà di integrazione con l’infrastruttura giàpresente in azienda

Percezione di scarsa sicurezza dei dati

Immaturità dell’offerta

Performance e affidabilità della rete dati

Mancanza di cultura aziendale

Difesa degli investimenti esistenti, in termini di soluzioniattualmente in uso e di competenze acquisite

Difficile definizione e rispetto degli Sla

Problemi legati al mancato rispetto delle norme sulla privacy

Modello di pricing on demand considerato piúcostoso rispetto all’offerta tradizionale

Mancanza di strumenti per valutare i benefici e i costiderivanti dalla modalità di erogazione as a Service

Problemi legati alle normative di compliance

Timore di scomparsa dei fornitori

Performance e affidabilità dell’infrastruttura IT del provider

Perdita di ruolo della direzione IT

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parlare del “caso iPhone e iPad 3G”, in cui sisarebbe reso possibile a potenziali criminaliil facile tracciamento degli spostamenti de-gli utenti (la cosiddetta geo-localizzazione):Apple rischia una class action negli Usa ed ègià sotto indagine in Sud Corea (mentre al-

cuni garanti della privacy di Paesi Ue stareb-bero studiando il caso). Riguardo infine ilblackout della cloud di Amazon ad aprilescorso (un problema analogo a Natale del2010), va registrata la conseguenza negativadiretta per le aziende che si servivano di

quella fornitura, rese irraggiungibili per ol-tre 10 ore, con un blocco forzato della frui-zione dei servizi (e degli acquisti) web: il pro-curatore generale dell’Illinois, Lisa Madigan,ha chiesto delucidazione in merito sia a Ap-ple che a Google. .

Le intrusioni dei web-pirati non solo sono all’ordinedel giorno. Costano anche molto care: basti pensareal caso degli indirizzi trafugati alla società Epsilon,che si è ritrovata con un conto da 225 milioni di dollari

L DARPA (DEFENCE ADVANCED RESEARCH

Projects Agency, cioè l’Agenzia per iprogetti di ricerca nella difesa avanza-

ta), del Dipartimento della Difesa (DoD)americano, sta progettando un’infrastruttu-ra cloud in grado di resistere anche a “cyber at-tacchi”. L’obiettivo dei militari, attraverso ilprogramma Mrc (Mission-oriented ResilientClouds), è di sviluppare una rete di hosts (unasorta di centraline di smistamento dei co-mandi) interconnessi in modo che la perdi-ta di uno e più contenuti in esso “ospitati”non pregiudichi il completamento delle mis-sioni in corso, interrompendo il flusso diinformazioni necessario. La parola chiavedell’Mrc è infatti “resilienza” che, in infor-matica, è la capacità di adattamento attivo eflessibilità di un sistema necessari per adot-tare nuovi comportamenti una volta appu-rato che i precedenti non funzionano più.

«Il cloud computing è una tendenza emer-gente all’interno sia del settore commercia-le che nel Dipartimento della difesa», ha re-so noto recentemente lo stesso Darpa e ilprogetto Mrc aiuterebbe quindi a spostare ilDoD ancor più verso iniziative di cloud com-puting, almeno secondo Dave Mihelcic, altofunzionario della Defense Information Sy-stems Agency (Agenzia per la difesa dei si-stemi d’informazione).

Si tratta di una strategia militare e politi-ca condivisa dai vertici Usa e studiata datempo: non a caso il generale Keith Alexan-der, direttore della National Security Agency(Agenzia per la sicurezza nazionale) e co-

Idi Corrado Fontana

Per gli Usa: arma di difesaSicurezza delle cloud è anche, sempre più, sicurezza nazionale.

Lo sa bene il Dipartimento della Difesa Usa, che è già molto attento all’argomento.

IL GIOCO VALE LA CANDELA

A LIVELLO GLOBALE L’IDC (InternationalData Corporation) prevede che nei prossimi anni il 15% della spesacomplessiva per l’Information Technology(IT) sarà guidata dal cloud, con unacrescita 4 o 5 volte superiore a quellamedia del mercato IT (InformationTechnology). Inoltre, l’80% del nuovosoftware realizzato sarà disponibile comeun servizio cloud entro il 2014 e più di un terzo degli acquisti di software sarà effettuato tramite cloud. Per quantoriguarda l’Italia, invece, mentre il solitoIdc prevede che, seppure da noi sia un fenomeno ancora di scala ridotta, i servizi basati su cloud computingcresceranno nel 2011 di un 44% rispettoall’anno scorso; secondo una ricerca del Centre for Economics and BusinessResearch (Cebr) il valore totale generatodai servizi cloud nel nostro Paese si avvicinerà, entro il 2015, ai 35 miliardidi euro. Cifre importanti e, soprattutto, in sicuro rialzo che dovrebbero spingeregli operatori del settore a porre la massima cautela anche nel preservarele informazioni che “nelle nuvole”transitano e, di conseguenza, il rapportocon la clientela e, più in generale,l’affidabilità del settore.

mandante del Cyber Command degli StatiUniti, l’anno scorso rendeva noto che il Di-partimento della Difesa e i suoi sistemi sonosotto attacco continuo (circa 250 mila sondeogni ora), e Vivek Kundra, Chief InformationOfficer (Cio) dell'amministrazione pubblicastatunitense, ha ricordato che l’Mrc darà so-stegno anche alla politica del governo deno-minata Cloud first (cioè Prima la nuvola), cherichiede a ogni agenzia federale di indivi-duare tre sistemi esistenti che potrebberopassare in cloud e di considerare le cloud nel-lo sviluppo di tutti nuovi progetti. .

DOMANDE, BISOGNI E RISCHI

Le domande da porsi prima di affidarsi a un servizio di cloud sono:1) Chi gestisce i dati e con quali diritti?2) Dove sono i dati? Sotto quale giurisdizione sono trattati?3) Come sono protetti i dati da altre organizzazioni che utilizzano lo stesso cloud?4) Cosa succede ai dati in caso di disastri?5) Come può l'utente avere evidenza su come i suoi dati sono stati trattati?6) Per quanto tempo e in che formato saranno disponibili i dati?7) Quali bisogni deve fornire un gestore di cloud?

a) Garantire la riservatezza e integrità dati dell'organizzazione in transito da e verso il fornitore del servizio cloud.

b) Assicurare il controllo degli accessi (come autenticazione e autorizzazione) alle risorse che l'utente ha sulla cloud.

c) Assicurare sempre la disponibilità delle risorse.

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Il governo americanovuole sfruttare il cloudper sviluppare un sistemadi trasmissione sicura,capace di bloccarsiautomaticamente in casodi intrusioni di hacker

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COME DIFENDERSI

Per cautelarsi di fronte a possibili perdite o furto di dati, bisogna seguire poche regole:- identificare e separare i dati sensibili (quelli da cifrare) dagli altri- cifrare e proteggere i dati in tutti i trasferimenti (anche i backup)- gestire le chiavi per la crittografia in maniera oculata. Se è il fornitore stesso a fornire tali servizi, bisogna informarsi su aspetti“tecnici” quali generazione delle chiavi, utilizzo, manutenzione, cancellazione

Per garantirsi la disponibilità delle risorse bisogna assicurarsi che i livelli minimi di servizio (Sla) siano chiaramente definiti, misurabili,applicabili e adeguati per i requisiti. Per eliminare i dati sensibili in maniera sicura bisogna:

- informarsi su come vengono dismessi i dati a livello fisico (dischi, etc)- informarsi sull’esistenza di servizi che supportano la rimozione sicura dei dati

Per cautelarsi di fronte ad attaccanti interni al fornitore di servizio, si deve:- specificare a livello contrattuale i requisiti sulle risorse umane, in altre parole chi fornisce il servizio deve avere collaboratori “fidati”- richiedere trasparenza su tutte le pratiche di sicurezza e di gestione- crittografare tutti i dati sensibili

Relativamente ai livelli minimi di servizio, l’utente deve:- richiedere gli Sla per la protezione dei dati e per la continuità del servizio- richiedere trasparenza per quanto riguarda la politica del trattamento dei dati- richiedere una politica visibile sulla riservatezza dei dati- se è un utente europeo, richiedere che i dati siano mantenuti in data-center che sono all’interno dell’Ue. In alternativa, è necessario farsi indicare dove sono i dati richiedendo anche quali sono le restrizioni dei Paesi in cui sono ospitati

- informarsi sotto quali condizioni i dischi fisici contenenti i dati possano essere confiscati da terze parti o da entità governative. A questo fine, è necessario assicurarsi che gli Sla del fornitore prevedano di segnalare quando i dati stanno per essere confiscati

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GLOSSARIO

VIRTUALIZZAZIONE: è un sistema software che, se installato su un computer, crea tante copie“virtuali” del computer stesso (tante copie di memoria, disco, scheda di rete, etc), così che sia possibile avere tante macchine “virtuali” in esecuzione nello stesso tempo sulla stessamacchina “fisica”: è come avere tante repliche dello stesso computer e ognuna di esse esiste e lavora separatamente dalle altre e può essere configurata secondo esigenze specifiche.

IaaS: Infrastructure as a Service, cioè “infrastruttura come servizio” è un modello di fornitura in cui un’organizzazione esternalizza il materiale utilizzato per sostenere le proprie operazioni,compreso lo stoccaggio di dati, l’hardware, i server e i componenti di rete. Il fornitore di servizipossiede l’attrezzatura ed è responsabile della custodia, gestione e mantenimento. Il cliente paga di solito secondo l’uso che ne fa.

SaaS: Software as a Service cioè “software come servizio” è un modello di distribuzione del software applicativo (programmi per computer, ndr) dove un produttore di software sviluppa,opera (direttamente o tramite terze parti) e gestisce un’applicazione web che mette a disposizione dei propri clienti via internet.

N RECENTE SURVEY (inda-gine, ndr) su 127 for-nitori di servizi cloud

ha dimostrato che la maggioranza di essi ritie-ne che sia responsabilità degli utenti mettere alsicuro i propri dati. Solo una piccola percen-tuale delle organizzazioni sono a conoscenzadi essere responsabili della sicurezza dei dati sucloud». Questa constatazione - in certa misurapreoccupante - è del dottor Daniele Sgandur-ra, membro del Gruppo di ricerca sulla sicu-rezza dell’informazione dell’Istituto di infor-matica e telematica del Cnr (Consiglionazionale delle ricerche) di Pisa.Sgandurra del cloud computing èun utilizzatore e ne studia i pro-blemi degli standard di sicurezza,svolgendo ricerche finalizzate aincrementarne il livello.

di Corrado Fontana fici delle cloud, come gli attacchi al livello divirtualizzazione (quindi nel “cuore” dell’or-ganizzazione del cloud), che possono garan-tire agli attaccanti un controllo completodelle macchine da un livello basso anche da“remoto” (ovvero attraverso una sempliceconnessione web, ndr)».

Il rischio maggiore derivante dall’usodelle cloud è quello della riservatezza dei da-ti e, per le imprese, di perdere il controllosulle informazioni strategiche o confiden-ziali. «Risulta quindi necessario per l’utenteche sceglie il cloud informarsi sui rischi chesi assume e sulle responsabilità alle quali siespone nei confronti di terzi (clienti) pereventuali violazioni della normativa in ma-teria di privacy».

Il fatto è che attualmente non esiste unanormativa uniforme e complessiva: «Per fareun esempio, il quadro legislativo europeo inmateria di protezione dei dati personali (Di-

Garanzie tutte da costruireMa quali rischi per la sicurezza dei dati e deidocumenti degli utenti derivano dall’appli-cazione di questo modello di organizzazionetecnologica? «Innanzitutto - prosegue Da-niele Sgandurra - osserviamo come ancora atutt’oggi la preoccupazione numero uno perle aziende nell’adottare il cloud computing siaproprio la sicurezza e la privacy (vedi ri-cerca Gartner 2009 sulle cloud pubbliche). Lamaggioranza degli aspetti di sicurezza già esi-stenti sulle reti tradizionali sono “traghetta-ti” in maniera analoga all’interno delle cloud.Ma esistono altri problemi di sicurezza speci-

GRAFICO

Il cliente ha (quasi)sempre tortoObiettivo: sicurezza delle cloud. Tra attacchi deliberati e assenza di regole, l’affidamento di milioni di dati

sensibili a soggetti privati o pubblici terzi va sottoposto a particolari cautele. Servono standard e responsabilità.

«U

rettiva 95/46/CE) offre tutele giuridiche inmateria di riservatezza dei dati che Paesi nonUe (tra cui gli Stati Uniti) molto spesso nonsono in grado di assicurare. Inoltre sia la nor-mativa europea che quella italiana vietano iltrasferimento di dati personali verso Paesinon Ue che non assicurano un adeguato li-vello di protezione, a meno che, prima deltrasferimento dei dati, non siano state adot-tate adeguate precauzioni (eventualmente dinatura contrattuale) per garantire la prote-zione dei dati personali. Se l’infrastrutturadel fornitore è formata da una rete di serversparsi su diversi Paesi che non appartengonoalla Ue, la società cliente, prima di inviare idati personali ultimi degli utenti nel cloud,dovrebbe assicurarsi che il trasferimento ditali dati da Paese a Paese avvenga sempre nelrispetto di quelle garanzie minime di sicu-rezza previste dalla legge europea».

Chi ha paura dell’hacker cattivo«Dovrebbe», dice il dottor Sgandurra, per-ché la domanda in sospeso riguarda quantacura, risorse e capacità investono nella sicu-rezza le aziende e gli enti che gestiscono lecloud, tra rischi derivanti da eventi catastro-fici (incendi o terremoti) o dall’attivitàumana (crimini informatici, inquinamentoinvolontario delle reti): «Circa l’80% deifornitori dichiara che le risorse spese per au-

mentare la sicurezza della cloud, su tuttequelle relative al settore Information Tech-nology, sono meno del 10%. Per quanto ri-guarda le minacce che causano un impattomaggiore, un rapporto del 2010 della CloudSecurity Alliance (Csa) stila un elenco in or-dine di “gravità”: 1) abuso delle risorse (cioèl’utilizzo non corretto delle risorse fornitedall’infrastruttura); 2) interfacce insicureper accedere ai servizi sfruttate da attac-canti esterni; 3) attaccanti interni al forni-tore; 4) problemi derivanti da tecnologiacondivisa, dato che diversi utenti usano glistessi servizi; 5) perdita di dati; 6) sottrazio-ne di identità tramite il furto di credenzia-li elettroniche».

Come si vede, il rischio derivante daeventi catastrofici è minimo, anche perchéuna delle caratteristiche intrinseche delcloud è quella di essere soprattutto ridon-dante (risorse replicate) e ubiquo (le stesse ri-sorse sono replicate in più posti del mondo).Per cautelarsi di fronte a possibili perdite ofurto di dati bisogna però seguire alcune re-gole (vedi ), la maggior parte delle qualinon incide significativamente sui costi com-plessivi dei servizi cloud.

Il nulla oltre la nuvolaVa detto poi che la cloud economy non è altroche un’evoluzione di ciò che già, in parte,hanno realizzato sul web colossi come Goo-

BOX

gle, Amazon, Facebook. Il problema della si-curezza potrebbe però acuirsi se un similemodello di delega a terzi (o anche “quarti”,“quinti”) diventerà nel tempo l’unico dispo-nibile per l’organizzazione delle informazio-ni. Ci si può domandare allora se questo pro-cesso sarà un fattore di maggiore democraziao disuguaglianza sociale, politica, economi-ca. E soprattutto, quanto potranno valere lecloud? Saranno equiparabili ai “beni comu-ni” e il loro possesso, la loro distruzione o ge-stione potranno diventare causa di guerre di-plomatiche o militari?

«Il modello che sta dietro le cloud - con-clude il dottor Sgandurra - non è recente.L’architettura sottostante a questo modello èsemplicemente quella di svariati centri dicalcolo sparsi per il mondo collegati tra diloro: per cui, come per il caso dei data-centertradizionali o dei service provider o della stes-sa Internet, i problemi derivanti dal loropossesso (fisico o virtuale) sono gli stessi an-che nel caso del cloud computing. Per quantoriguarda la sicurezza, il problema maggiorepuò essere dato dal crescente tentativo daparte di attaccanti di creare botnet (reti dicomputer controllate da “remoto”, a distan-za, senza che i proprietari ne siano a cono-scenza) su cloud per sferrare attacchi distri-buiti: questo è dovuto, in parte, al fatto cheper l’attaccante basta trovare una vulnerabi-lità in una macchina virtuale e, grazie alla re-plicabilità dell’attacco dovuto a configura-zioni simili utilizzate su tutte le macchine,avere a disposizione un numero elevato dinodi da utilizzare per gli attacchi».

Non a caso a Washington qualcuno hagià previsto scenari da cyber wars o guerre te-lematiche in cui la difesa delle cloud è unpunto di svolta fondamentale (vedia pag. 23). . ARTICOLO

PER APPROFONDIRE

www.iit.cnr.it/grupposicurezza/

www.cnr.it

www.cloudsecurityalliance.org

www.digitpa.gov.it/

www.idc.com

www.gartner.com

http://blogs.gartner.com/

Ad oggi non esiste una disciplinauniforme e complessiva: in Europa vige una direttiva che gli Usa, ad esempio, spesso non riescono a rispettare

Ciò che il cloud computing dovrebbe scongiurare è il rischio di eventi catastrofici, grazie al suo sistemaridondante ed ubiquo. A meno che i pirati informaticinon riescano ad effettuare attacchi “sincronizzati”

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I balilla del XXI secolo

A scuola con l’Arma

di Paola Baiocchi

L BIMBO HA I POMELLI ROSSI e una mascherinache ne oscura il viso per rispetto alla sua gio-vane età. La bimba con i codini aspetta il

turno disciplinatamente, mentre l’istruttore deiparacadutisti corregge la posizione e la maestraprende la mira. La foto ha fatto il giro del mondoa corredo di un articolo di Manlio Dinucci, finen-do sul sito canadese globalresearch.ca dell’economista Michel Chossudovsky,conosciuto per i suoi libri di analisi sulla guerra nei Balcani non interpretatain chiave etnica e per la critica nei confronti della “guerra totale al terrorismo”inaugurata dall’amministrazione Bush.

“Chi l’ha detto che la scuola italiana non si rinnova?” si chiede l’autore del-l’articolo. Eccolo il nuovo modello. Non si tratta, però, della versione aggior-nata del Reggio approach, l’approccio all’educazione per le scuole materne edelementari nato a Reggio Emilia, studiato e imitato in tutto il mondo, che oc-cupa da anni i primi posti di tutte le classifiche internazionali dell’eccellenza.Qui siamo di fronte a una “mutazione genetica delle regioni rosse” e del con-cetto di educazione: nella foto siamo a Pisa, Comune amministrato da unagiunta di centro sinistra con sindaco del Pd, che da un paio d’anni promuove“una giornata della solidarietà”, portando gli alunni delle scuole materne, ele-mentari e medie, nella caserma dei paracadutisti della Folgore, reduci dalle“missioni di pace” in Afghanistan. E lo fa durante l’orario di lezione e con deipercorsi di preparazione alla giornata che durano almeno un mese e prevedo-no che gli addestratori della Folgore si rechino anche nelle scuole, in quellache ormai si chiama “educazione alla difesa” e vede iniziative analoghe in al-tre regioni. Come in Trentino dove le maestre hanno ricevuto, con l’esorta-zione a esporlo nelle classi, il calendario della Nato/Isaf, con in copertina unmezzo blindato italiano in Afghanistan armato di mitragliatrice, e foto di sol-dati italiani in tenuta da combattimento, che offrono ai bimbi afghani dei pal-loncini bianchi con la scritta Isaf.

Nelle scuole di Rovigo, invece, si svolgono lezioni di tattica militare e com-battimento con armi ad aria compressa.

Dopo la maturità poi, in molte caserme di corpi scelti, ragazze e ragazzi pos-sono passare tre settimane da militare negli stage “Vivi le Forze Armate”, la mi-ni naja da quest’anno aperta anche ai diversamente abili, pagata con i fondiintegrativi destinati al funzionamento degli istituti.

E questo è uno dei motivi per cui ai genitori viene richiesto un contributoeconomico all’inizio delle lezioni e perché nelle scuole mancano i gessi, la car-ta igienica, i fondi per pagare i supplenti e gli insegnanti di sostegno. .

I

| lavanderia || consumiditerritorio |

di Mauro Meggiolaro

A TRE ANNI non se ne sentivaparlare. Poi agli inizi di giugnola notizia: Alessandro Benedet-

ti, ex cassiere estero di Salvatore Ligresti ed exmediatore del magnate egiziano Naguib Sawi-ris, ha comprato il 14% della merchant bankromana Methorios. L’ha fatto attraverso EBFinance SA, una società di diritto lussembur-ghese. Nella sua vita il cinquantenne finanzie-re di Sassuolo ha cambiato pelle più volte. Èstato indagato, arrestato, rinviato a giudizio eprescritto. Ma alla fine è sempre ripartito, gra-zie a una “fitta rete di relazioni e contatti in Eu-ropa, Nord America, Asia e Medio Oriente”, co-me si legge su un comunicato di Methorios.L’ultima sua grande impresa risale al 2005,quando Enel cedette l’operatore di telefoniamobile Wind alla Weather Investment di Sawi-ris, patron del gigante delle telecomunicazioniOrascom. Nell’ottobre del 2007, in seguito aun’inchiesta di Report firmata da Paolo Mon-dani, i Pm di Roma Giuseppe Cascini e RodolfoSabelli aprirono un’indagine sull’operazione,ipotizzando il reato di corruzione.

Enel - questa l’ipotesi dei magistrati - avreb-be preferito l’offerta di Sawiris a quella - piùvantaggiosa - del concorrente Blackstone incambio di tangenti, veicolate ad Enel attraver-so Benedetti. Dall’operazione spuntarono 97milioni di euro per “costi e consulenze” che iPm romani cercarono di tracciare, scontran-dosi però molto presto con la reticenza di Sin-gapore e Bahamas, dove sarebbe finita una par-te fondamentale della “commissione”.

Le due giurisdizioni off shore non hanno ri-sposto alle rogatorie internazionali e, nell’ot-tobre del 2010, i Pm hanno alzato le braccia,chiedendo l’archiviazione per prescrizione deitermini. Benedetti, ancora una volta, si è sal-vato. E Fulvio Conti, Ad di Enel, finito nella li-sta degli indagati, ha finalmente potuto tirareun sospiro di sollievo. .

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Resurrezionedi unfaccendieredi Sassuolo

Benedetti

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CON GIORNALISTI DA:theguardian

...E TRE POSTI DI STAGEIN UNA REDAZIONE

DAL20111° OTTOBRE

CE L’AVETE UN TRENCH?

GIORNALISMO INVESTIGATIVOECONOMICOFINANZIARIO

CORSO INTENSIVO DI

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Page 15: Mensile Valori n. 91 2011

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finanzaetica Banca Etica. Le sfide per il nuovo Comitato etico >32F35, un rapporto Usa boccia il nuovo caccia militare. L’Italia va avanti >34Banche italiane e bombe a grappolo. Il massacro continua >35

| beneficenza & affari |

La finanza riscopre il mal d’Africa

Da Geldof alla Carlyle

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L’inventore del “Live Aid”,il cantante Bob Geldof.

DISTANZA DI ANNI è fin troppochiaro come Mark Knopflere i suoi non avrebbero po-

tuto pensare a un titolo più evocativo.Quando, nella calura di quel 13 luglio1985, i Dire Straits salirono sul palco ac-cennando le prime note, il pubblico diWembley andò letteralmente in visibilio.Nulla di strano, in realtà, visto che Moneyfor Nothing era semplicemente una dellegrandi hit del momento. Quello che anco-ra nessuno immaginava, però, è che queltitolo così emblematico, in Italiano “soldifacili”, sarebbe diventato lo slogan di unevento destinato molti anni dopo a solle-vare più di un dubbio. Anche se all’epoca,per l’appunto, un miliardo e mezzo di te-lespettatori faticò ad accorgersene. E sì,perché quel Live Aid realizzato sulle due

sponde dell’Atlanticocoinvolgendo il gothadella musica del temposembrava davvero unapanacea senza macchie.

Un’idea folgorantecapace di risolvere a col-pi di donazioni nientemeno che la grandeemergenza del momen-

di Matteo Cavallito

L’inventore del Live Aid è pronto a lanciare il suo fondo

di private equity

per investire

nel continente. E in molti sono pronti a seguirlo.Superata la crisi, l’Africa torna ad essere meta degli operatorifinanziari. Tra infinite incognite.

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nanziario riconducibile alla categoria deiprivate equity”. «La necessità di investi-menti viaggia di pari passo con quella diaiuti appropriati», ha precisato Geldof.Altro che beneficienza, insomma. A salvare l’Africa ci penseranno le “locuste delcapitalismo” (vedi ).

I dati li ha resi noti la Banca Mondia-le: l’Africa riceve appena il 5% degli inve-stimenti stranieri diretti, ma la tendenzadelinea un’ascesa. Nel corso del 2011 lasomma di questi ultimi sfonderà quota 40miliardi di dollari, contro i 32 del 2010. Egli investitori di professione, come la lon-dinese Helios Investment Partners, prima-tista di settore nelle sottoscrizioni con 900milioni di dollari raccolti, saranno i pro-tagonisti. Soprattutto in settori chiave co-me i servizi finanziari, le telecomunica-zioni e l’agricoltura.

Un esempio su tutti per capire meglioil concetto. Ricordate la famigerata Carly-le? La società di private equity più famosadel Pianeta che annoverava tra i suoi as-sociati l’ex presidente Usa George Bush se-nior, l’ex premier britannico John Major ela ricchissima famiglia Bin Laden? All’ini-zio del 2008 la bolla dei mutui l’avevaquasi uccisa sotto i colpi di 16,6 miliardidi debiti che avevano affossato il suo fon-

BOX

Dai sentimenti agli investimentiA distanza di oltre un quarto di secolo ilLive Aid resta uno degli eventi più cele-bri della storia della musica e del terzo-mondismo come concetto squisitamenteoccidentale. Tenete a mente il clima en-tusiastico di quel giorno. Ci ritorneremo,e non senza logica. Ma intanto conside-rate quanto possa essere significativa peril clima odierno la notizia battuta dal Fi-nancial Times lo scorso 18 maggio. Il can-tante e attivista Bob Geldof, scrive il quo-tidiano britannico, “si sta impegnandoper ottenere sufficienti finanziamentiper il suo fondo 8 Miles, un veicolo fi-

to: la spaventosa carestia che stava mas-sacrando per fame un milione di etiopi.Bob Geldof, voce dei Boomtown Rats eideatore del più colossale concerto di be-neficenza mai realizzato, sembrava ave-re le idee chiare. «C’è gente che muore,dateci i vostri soldi!», disse stizzito ai mi-crofoni della Bbc. E la gente obbedì.Quando le luci si abbassarono l’Etiopiascoprì, si disse, di aver guadagnato in uncolpo solo 150 milioni di sterline. Gli oc-cidentali spensero il televisore con unpersistente ronzio ancora fisso nelleorecchie. “That ain’t workin’, that’s theway you do it”. Così non va, è il tuo mo-do di fare. E già…

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| finanzaetica | | finanzaetica |

do immobiliare. Tre anni più tardi, nel pri-mo trimestre 2011, Carlyle ha registratoun utile record di 6,4 miliardi di dollari,restituendo il sorriso agli operatori. Nelmarzo di quest’anno, il gruppo ha an-nunciato il lancio di un fondo da 750 mi-lioni dedicato agli investimenti in Africanei settori dei beni di consumo, delle in-frastrutture, dei servizi finanziari e del bi-nomio agricoltura-energia. In pratica unaconferma di quel trend già osservato dauna ricerca pubblicata nei mesi scorsi daCounter Balance che aveva individuatonel boom delle materie prime uno dei fat-tori chiave del rilancio delle “locuste” do-po il grave, ma non mortifero, contrac-colpo inferto loro dal settore immobiliare.Un boom particolarmente sentito proprioin Africa, serbatoio di risorse per la cre-scente domanda di Cina e India, ma an-che del Sud Est asiatico e dei Paesi arabi.

Investimenti vs aiutiSecondo la società di consulenza McKin-sey, il Prodotto interno lordo africano sa-rebbe cresciuto del 4,9% dal 2000 al 2008,più del doppio rispetto al decennio 1980-1990. Il ritmo si è ridotto con l’arrivo del-la crisi, attestandosi poco al disotto del 3%, ma in seguito, haspiegato al Financial TimesGraham Stock, analista delfondo speculativo londineseInsparo Asset Management,

l’espansione media si è attestata a quota5,5-6%. Investimenti e crescita, insomma,sembrano viaggiare di pari passo in un cir-colo virtuoso in cui qualcuno, da tempo,aveva individuato l’unica vera salvezzadel Continente. “Negli ultimi cin-quant’anni i Paesi ricchi hanno trasferitoaiuti ai Paesi poveri per oltre 1 trilione didollari. Gli africani stanno forse meglio?No”, ha tuonato in passato DambisaMoyo, analista di Goldman Sachs ed exfunzionaria della Banca Mondiale con-vinta che al suo Paese, lo Zambia, e al re-sto del continente servano molti investi-menti e pochi aiuti a fondo perduto. Unatesi contenuta in un libro “scandalo” daltitolo emblematico, “Dead Aid”, dai ri-chiami fin troppo evidenti.

E qui ritorniamo a quel giorno del lu-glio ’85 quando un’ondata di solidarietàpervase il pop-rock e i suoi adepti. L’E-tiopia, come detto, incassò 150 milionidi sterline, ma gli etiopi, è bene preci-sarlo, non ne videro che una minimaparte. Mentre la carestia uccideva da 300mila a un milione di persone, l’alloraleader ribelle Aregawi Berhe si imposses-sò, per sua stessa ammissione, di 100 mi-

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I 150 milioni raccolti al LiveAid del 1985 non salvaronol’Etiopia. Ora tocca alle società di private equity. E i timori non mancano

lioni di dollari di donazioni. Investen-done 95 in armi.

La lezione etiope dovrebbe dare il col-po di grazia alla teoria degli aiuti a tutti icosti. Ma è anche vero che l’alternativaprincipale ha sollevato nel tempo nonmeno perplessità. Nel 2007, proprio BobGeldof fu assunto in qualità di consulen-te dall’inglese Helius Energy Plc, compa-gnia impegnata in Africa nello sviluppodei biocarburanti, ad oggi la risorsa chia-ve nella giustificazione della sottrazionedei terreni coltivabili alle popolazioni lo-cali. Nel novembre scorso, esponenti delsettore e capi di Stato del continente si so-no incontrati a Londra in occasione delPrivate Equity in Africa, un leadershipsummit organizzato dal Financial Times.Tema chiave dell’incontro le miglioristrategie di uscita delle società. Come adire: sottraiamo risorse, ristrutturiamocompagnie locali tagliando il personale,intaschiamo soldi pubblici, indebitiamo,accumuliamo profitti e salutiamo cor-dialmente levando il disturbo dopo qual-che anno. Alla faccia degli investimentidi lungo periodo e dei programmi di svi-luppo duraturo. Un problema aperto cheevoca il più classico dei paradossi. Quellodei salvatori privati che, in molti casi,piombano sul Paese disastrato di turno la-sciando sul terreno più danni che benefi-ci. E che, disgraziatamente, si fermanoanche troppo poco. .

PRIVATE EQUITYVORACI COME CAVALLETTE

LE CHIAMANO “LOCUSTE DEL CAPITALISMO” perché,come le cavallette all’assalto di un raccolto, sembranointeressate a divorare tutto ciò che può generare rapidiguadagni. Basta citare il loro soprannome, insomma, per capire quanto le società di private equity abbiano, per così dire, faticato a farsi una buona fama nel corso di un decennio passato a prendere di mira società nonquotate con l’obiettivo di acquisirle generando un profitto al momento della successiva cessione. Che, di norma,avviene nel giro di 3 o 5 anni. L’acquisizione può avveniretramite un indebitamento (leveraged buyout) che, talvolta,viene saldato proprio con la vendita della società scorporata.Le operazioni condotte sulle aziende acquisite possonoimplicare una riduzione del personale come strumento di ottimizzazione dei costi e, più in generale, sono criticateper un certo deficit di trasparenza. Nel 2003 il giro di affaridelle private equity non raggiungeva i 1000 miliardi di dollari. Entro il 2015, ha affermato la società britannicaIfsl, la cifra dovrebbe salire a quota 3.500 miliardi.

TOP 10 DELLE PRINCIPALI SOCIETÀ DI PRIVATE EQUITY DEL MONDO

NOME SEDE CENTRALE FUNDRAISING ULTIMI 5 ANNIIN MILARDI DI $

1 TPG Capital Fort Worth (Texas) $ 50,5

2 Goldman Sachs Principal Investment Area New York $ 47,2

3 The Carlyle Group Washington DC $ 40,5

4 Kohlberg Kravis Roberts New York $ 40,2

5 The Blackstone Group New York $ 36,4

6 Apollo Global Management New York $ 33,8

7 Bain Capital Boston $ 29,4

8 CVC Capital Partners Londra $ 25,0

9 First Reserve Corporation Greenwich (Connecticut) $ 19,0

10 Hellman & Friedman San Francisco $ 17,2

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Un concerto dell’iniziativa di Bob Geldof “Live Aid”tenuto al Jfk Stadium di Philadelphia, negli Stati Uniti.

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coprono enormi aree agricole? Oppure ècapitato di valutare se un’associazione cheaveva chiesto un prestito fosse una setta.In tal caso non le sarebbe stato concesso ilfinanziamento. O ancora i mutui per l’ac-quisto della seconda casa, non sono ille-gali né eticamente disdicevoli, ma BancaEtica deve occuparsene?». Questa una car-rellata di possibili questioni che arrivanoall’esame del Comitato etico. «Il Comita-to etico ha anche un ruolo attivo - conti-nua Becchetti - di aiuto e sostegno al Cda,che si concretizza nell’elaborare vie origi-nali per incarnare l’eticità dei principi insempre nuove soluzioni di prodotti e ser-vizi. Il Comitato etico deve essere una fu-cina di idee. Ne abbiamo già date diverseal Cda. Abbiamo chiesto di lavorare di piùsul finanziamento al microcredito nel Suddel mondo, di finanziare in particolare ilfotovoltaico sulle aree dismesse e moltoaltro ancora». Ma qual è la vera sfida delComitato etico nei prossimi anni? «Dovràcontribuire a sciogliere il dilemma - o al-meno trovare un equilibrio - tra purezza erilevanza: è meglio mantenersi puri, maisolati dal mondo - si domanda LeonardoBecchetti - o invece sporcarsi le mani,“compromettersi”, per cambiare il siste-ma e riuscire ad avere un impatto?». .

Terra Futura, a Firenze, il 20 maggio scor-so. «Il Comitato etico deve verificare il ri-spetto dell’articolo 5 dello Statuto (quelloche esplicita le finalità della finanza eticache devono ispirare le attività della banca,ndr)», precisa Giovanni Acquati. «Deveessere un interlocutore delle istanze etichedella base sociale», dice Ercole Ongaro.«Ma - aggiunge Marina Galati - non do-vrebbe limitarsi a fare da garante. Credoche il Comitato etico debba essere anchepromotore e ricercatore. L’etica non e sta-tica, deve dialogare con la storia e con i pro-cessi sociali in cui viviamo». Della stessaopinione Giovanni Acquati: «Il Comitatoetico dovrebbe anche stimolare la creazio-ne di nuovi strumenti di finanza etica». Attenzione, però, alla sovrapposizione diruoli, in particolare con il Cda. «Talvoltac’è un po’ di confusione - spiega MarcoPiccolo, responsabile dell’area socio-cul-turale di Banca Etica. «Non è compito delComitato etico pensare alla strategia dellabanca o alle sue politiche. Il Comitato eti-co ha un ruolo di garanzia, con ambiti diintervento chiari e distinti da quelli delCda. I due organi collaborano, ma ognu-no procede per conto proprio. Sarebbe in-teressante stimolare un confronto all’in-terno del sistema di Banca Etica su cosarappresenti la tensione etica nella banca esu cosa possa fare il Comitato etico», con-clude Marco Piccolo.

Una fucina di ideePer il terzo mandato consecutivo il presi-dente del Comitato etico è Leonardo Bec-chetti, docente di Economia all’universitàTor Vergata di Roma. «Il ruolo del Comi-tato etico - spiega Becchetti - è, da un lato,passivo e consiste nel dare risposta alle se-gnalazioni, arrivate da clienti e soci, di

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conflitti tra alcune scelte operative e i va-lori della banca. Come l’annoso dilemma:bisogna valutare l’etica del progetto o delrichiedente? Un altro tema che crea enor-mi dibattiti è il finanziamento al fotovol-taico: è sempre meritevole o dipende dal-le superfici? Cioè bisogna finanziareanche l’installazione di pannelli solari che

Le sfide per il nuovoComitato etico

Dal 28 maggio Banca Etica ha un nuovo Comitato etico. Avrà un ruolo di garantedell’etica nelle scelte dell’istituto, ma anche uno più attivo: essere

una fucina di idee. Attenzione, però, a non sovrapporsi con il Cda.

ARANTIRE CHE BANCA ETICA sicomporti eticamente. Non èun gioco di parole, bensì il

compito del Comitato etico: l’organo “acui spetta una funzione consultiva e pro-positiva affinché la banca si sviluppi nel-l’ambito dei criteri di eticità, così come so-no individuati dallo Statuto”, spiega ilregolamento interno. Un compito che,per una realtà come Banca Etica, assumeuna rilevanza particolare. Il “rispetto deivalori” e la coerenza con i “principi etici”per questo istituto si traducono in un ve-ro e proprio vantaggio competitivo e inun valore aggiunto in termini economici.Grazie agli obiettivi che si è proposta - co-struire un’economia al servizio della per-sona, rispettare principi etici, condividerele decisioni con la base sociale - Banca Eti-ca si è conquistata nel tempo un “premioetico” presso i risparmiatori, che, proprioin funzione di esso, sono di-sposti a finanziarla a tassi piùbassi rispetto a quelli preva-lenti sul mercato. Il compitodel Comitato etico è contri-

di Elisabetta Tramonto

G buire a preservare questo premio etico.

Una nuova squadraLo scorso 28 maggio, durante l’assembleadei soci della banca, è stato eletto il nuo-vo Comitato etico. È composto da Gio-vanni Acquati, Leonardo Becchetti, Tizia-na Bonora, Claudio Ferrari, Marina Galati,Pasquale Iorio e Ercole Ongaro (vediSCHEDA). Nei mesi che hanno precedutol’assemblea, i candidati (oltre agli eletti,Alberto Berrini, Davide Biolghini, GiorgioCingolani, Paola Donati, Giorgio Fioren-tini, Massimo Gavagnin, Riccardo Moro,Giuditta Peliti) hanno partecipato a nu-merosi incontri con i soci. «Banca Etica hauna missione che la distingue dagli altriistituti di credito: l’etica. Il Comitato devegarantire che venga rispettata tale missio-ne», ha spiegato Leonardo Becchetti, du-rante l’incontro con i soci organizzato a

Per Banca Etica il rispetto dei valori è anche un vantaggiocompetitivo: i clienti accettanotassi più bassi del mercato

Nelle foto alcuni momentidell’ultima assemblea dei soci di Banca Etica, il 28 maggio scorso, durantela quale è stato eletto il nuovo Comitato etico.

IL NUOVO COMITATO ETICO DI BANCA ETICA

GIOVANNI ACQUATI (1949). Fondatore della Mag 2 Finance e presidente per 26 anni, fino al 2006. Tra i soci fondatori di Banca Etica.

LEONARDO BECCHETTI (1965). Da sei anni presidente del Comitato etico d Banca Etica. Professore ordinario di Economiapolitica all’università Tor Vergata di Roma. Membro del consiglio della Società Italiana degli Economisti e di Econometica, network di 23 Atenei italiani per gli studi sul rapporto tra etica ed economia.

TIZIANA BONORA (1964). Coordinatrice della circoscrizione soci di Banca Etica della Provincia di Savona e Imperia per tre mandati. Ex consigliere comunale a Finale Ligure con delega all’ambiente(1996) ed ex consigliere provinciale della provincia di Savona.

CLAUDIO FERRARI (1949). Consigliere di Amministrazione dellaFondazione Langer di Bolzano. Socio e cantastorie di Banca Etica.

MARINA GALATI (1958). Direttrice di tutte le aree di intervento e dei servizi dell’organizzazione Comunità Progetto Sud. Socia di Banca Etica ed ex referente (dal 2005 al 2009) dell’area Sud.

PASQUALE IORIO (1947). Giornalista pubblicista. Ha partecipato a diverse attività di formazione e specializzazione in materia di sviluppo locale e innovazione.

ERCOLE ONGARO (1947). Dal 2008 componente del Comitato eticodi Banca Etica e, dal 2010, del suo organo di vigilanza. Autore di testi per azioni teatrali, che affrontano le tematiche dell’educazionealla responsabilità, alla cittadinanza, al dialogo interculturale.

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| armi/2 | finanzaetica || finanzaetica | armi/1 |

A GIUSTIFICAZIONE AI CONTINUI esempre più pesanti tagli a sa-nità, ricerca, istruzione, welfare

è sempre la stessa: è un periodo di grandedifficoltà per le casse pubbliche, i soldi nonci sono, tutti dobbiamo fare dei sacrifici estringere la cinghia. Ma è davvero così?

Il governo continua a tenere in piediuno dei più costosi progetti militari dellanostra storia: oltre 130 caccia d’attaccoJoint Strike Fighter (Jsf) F35. 15 miliardi dieuro per acquistarli, senza contare le suc-cessive spese di esercizio e manutenzione.Un progetto portato avanti senza che, fi-no a oggi, ci sia nemmeno stata una di-scussione in Parlamento. Nei mesi scorsiuna mozione che chiedeva di sospenderel’acquisto di questi caccia era stata pre-sentata alla Camera, ma dopo essere giàstata calendarizzata, è scomparsa dai nuo-vi programmi di lavoro.

Dagli Usa la principale criticaSe non dà ascolto alle reti della societàcivile, che criticano duramente la sceltadi acquistare i velivoli, il nostro esecuti-vo dovrebbe porsi qualche domanda al-meno guardando cosa avviene all’estero.Gran Bretagna, Norvegia, Olanda e Da-nimarca stanno riconsiderando la loropartecipazione. Ma le critiche più dure epiù clamorose arrivano dagli Stati Uniti- capofila del progetto -dove il Government Ac-countability Office (Gao)ha recentemente pubbli-cato un rapporto che suo-

na come un vero e proprio atto d’accusaper inefficienze, aumento dei costi e ri-tardi. Il Gao è noto come il braccio in-vestigativo o il “cane da guardia” delCongresso degli Stati Uniti e svolge ilfondamentale ruolo di monitorare il la-voro del governo federale.

Ecco alcune delle conclusioni del rap-porto presentato lo scorso maggio. “La ri-strutturazione del programma intrapresadal Dipartimento della Difesa ha delleconseguenze: maggiori costi di svilupponell’immediato, meno aerei nel breve, ri-tardi nell’addestramento, aumento deitempi per i test e per la consegna degli ap-parecchi. (…) I costi di sviluppo sono au-mentati del 26% e i tempi si sono sposta-ti in avanti di 5 anni. (…) La fattibilità pergli Usa e per i suoi partner è messa in di-scussione dal quasi raddoppio del costomedio dell’unità rispetto all’inizio delprogetto e dall’aumento dei costi stimatidi esercizio. Andando oltre, il Jsf richiededei finanziamenti senza precedenti in un

Il governo italiano impone tagli generalizzati e chiede continui sacrifici. Mentre il nostro Paese continua

a finanziare il jet Joint Strike Fighter, uno dei programmi militari più dispensiosi della storia.

F35, un rapporto Usa boccia il nuovo caccia militareL’Italia va avanti

di Andrea Baranes

Un rapporto del GovernmentAccountability Office degli StatiUniti parla di costi alle stelle,problemi tecnici e tempi dilatati

L

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momento di maggiore austerità per le spe-se per la difesa”.

Tra le diverse questioni tecniche, ilrapporto sottolinea poi come, “dopo piùdi nove anni di sviluppo e quattro di pro-duzione, il programma Jsf non ha ancorapienamente dimostrato che il progettodell’aereo è stabile, i processi produttivisono maturi e il sistema è affidabile. (…) Itest e la produzione dell’apparecchio co-stano di più e richiedono più tempo delprevisto. (…) I test di sviluppo sono anco-ra insufficienti a dimostrare che il velivo-lo funzionerà come previsto e sarà in gra-do di soddisfare le richieste per l’utilizzodurante un combattimento. (…) Il 4%delle funzionalità del Jsf sono state com-pletamente verificate da test aerei, di la-boratorio o in entrambe le situazioni”.

Queste sono solo alcune delle annota-zioni ufficialmente depositate al Senatodegli Stati Uniti. 15 miliardi di euro per60 milioni di italiani sono 250 euro a per-sona, neonati inclusi. Siamo sicuri chel’acquisto di un caccia d’attacco con gi-ganteschi problemi tecnici, tecnologici,economici e con enormi ritardi di pro-gettazione e realizzazione sia il modo mi-gliore di utilizzare i nostri soldi? .

COSA SI PUÒ FARE CON 15 MILIARDI DI EURO

LA SOMMA CHE IL NOSTRO GOVERNO vuole investire per acquistare i Jsf sarebbesufficiente per: costruire tremila asili nido, creando 20 mila posti di lavoro e a beneficio di 90 mila bambini; mettere in sicurezza mille scuole, a beneficio di oltre 300 mila studenti;installare 10 milioni di pannelli solari, creando decine di migliaia di posti di lavoro e dandoenergia pulita a circa 300 mila famiglie; garantire l'indennità di disoccupazione per 6 mesi a centinaia di migliaia di persone. Non una di queste cose a scelta. Il costo complessivo di tutte queste misure sarebbe di 15 miliardi di euro. Il problema consiste nella mancanza di soldi o nelle priorità politiche e nelle scelte del governo?

E BOMBE CLUSTER HANNO effettisimili alle mine antiuomo:quando esplodono spargono

i frammenti nel terreno, che possono re-stare inattivi anche per anni. Finchéqualcuno non ci mette un piede sopra.Spesso sono bambini, che nel miglioredei casi subiscono pesanti mutilazioni.Benché 107 paesi abbiamo firmato per lamessa al bando (Convenzione di Oslo,maggio 2008) queste armi continuanoad essere prodotte e vendute in tutto ilmondo. A guadagnarci sono colossi delcalibro di Alliant Techsystem, LockheedMartin, L-3 Communications i quali, perinciso, non potrebbero operare se nonfossero lautamente foraggiati dal sistemafinanziario.

Il rapporto “Worldwide Investmentsin Cluster Munitions: A Shared Respon-sibility”, realizzato da IKV Pax Christi eNetWerk Vlaanderen, mostra un quadroa tinte fosche sulle responsabilità dellafinanza: 166 tra banche, società di ge-stione e assicurazioni hannoappoggiato aziende attivenella produzione di bombecluster, di cui 38 in Paesi chehanno aderito alla Conven-zione di Oslo. In tutto più di39 miliardi di dollari dalmaggio 2008. In Europa sono26 gli istituti coinvolti, tracui Bnp Paribas, Crédit Agri-cole, Natixis, Société Généra-le, Allianz, Deutsche Bank,Barclays, HSBC, Royal Bankof Scotland, Rabobank. Mol-

ti di questi gruppi operano da tempo inItalia, come Allianz e Bnp Paribas (checontrolla Bnl) ma compaiono anche leitaliane Intesa Sanpaolo e Italmobiliare(Pesenti).

Chi finanzia le cluster?Bnp Paribas nell’ottobre 2010 partecipò al-l’erogazione di crediti agevolati per 1 mi-liardo di dollari ad Alliant Technosystems,con scadenza 5 anni, utilizzati per opera-zioni di rifinanziamento, incremento delcapitale operativo e finanziamento di pos-sibili spese ed acquisizioni. Attraverso lacontrollata Bank of West, il gruppo Bnpcompare in un sindacato di 20 banche conuna quota di 30 milioni di dollari.

Nel settembre 2009 la Textron mise sulmercato obbligazioni per 600 milioni didollari in due tranche, una da 350 milionicon scadenza cinque anni e una da 250 mi-lioni con scadenza dieci anni. Bnp Paribascontribuì nel collocamento di 37,5 milio-ni nell’ambito di un pool di 11 banche. Labanca non fece mancare il suo sostegno

I principali istituti di credito di tutto il mondo continuano a fare affari con le aziende che producono cluster bombs. E anche Gruppo IMI, Intesa Sanpaolo, Italmobiliare e Unicredit sono coinvolte.

Banche italiane e bombe a grappolo Il massacro continua

di Roberto Cuda

Lnemmeno alla Lockheed Martin, che nelnovembre 2009 emise obbligazioni per 1,5miliardi di dollari in due tranche, la primadi 900 milioni a dieci anni e la seconda di600 milioni a trent’anni: insieme ad altre12 banche, Bnp contribuì per una quota di62,5 milioni.

Infine al 31 dicembre 2010 la società digestione Shinhan Bnp Paribas Asset Mana-gement, posseduta al 50% dalla bancafrancese, compariva tra gli azionisti dellaPoongsan Corporation con lo 0,9% del ca-pitale, pari a 10,7 milioni di dollari.

L’Italia non è da menoVenendo alle banche nostrane, Banca IMI(Gruppo Intesa Sanpaolo) fu uno dei seidealers nell’emissione di obbligazioni del-la Lockheed Martin nel maggio del 2010.Si tratta di obbligazioni con scadenza 2040per un valore complessivo di 728,2 milio-ni di dollari, emesse in cambio di una quo-ta di obbligazioni in essere della società,che matureranno tra il 2016 e 2036.

L’altro grande gruppo italiano, Unicre-dit, viene citato per le falle la-sciate aperte dalla propria po-licy sugli armamenti. Unicredittuttavia fu oggetto di una pre-cedente indagine di Profundoe Urgewald dal titolo “Germanbank financing producers ofcluster munitions” (2 dicem-bre 2010) dalla quale risultava-no investimenti per quasi 300milioni di euro da parte deifondi a marchio Pioneer, cheriunisce le società di gestionedella banca. .

LE PRIME 10 BANCHE CHE FINANZIANO LE CLUSTER BOMB

BANCHE PRESTITI ATTIVITÀ DI INVESTMENT BANKING

1 Morgan Stanley 100 850

2 JPMorgan Chase 35 639,2

3 Deutsche Bank 622

4 Goldman Sachs 546,9

5 Bank of America 476,3

6 RBS 80 359,7

7 Citigroup 347,3

8 Sberbank 320

9 UBS 274,1

10 Changjiang Securities 264,3

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Page 19: Mensile Valori n. 91 2011

La faida dellapiazza di Londra

Ipo: tutti contro tutti

dal cuore della finanza londinese Luca Martino

NA DELLE RIFORME, non tanto normative quanto culturali, che in molti si aspettavano nella City a seguito della crisi degli ultimianni, era legata al mercato delle Ipo. Il meccanismo delle Offerte

pubbliche iniziali, passaggio attraverso il quale le imprese si quotano neimercati azionari per ottenere, tra gli altri benefici, una fonte di finanziamentodi fatto scontata e flessibile, rappresenta già da parecchi anni un dispositivoalquanto farraginoso in un contesto tutt’altro che trasparente. Anche illustrieconomisti non sono riusciti a spiegare perché le aziende, fino a pochi anni fa,hanno in media rinunciato a circa 10 milioni di dollari a quotazione laddovesi raffrontino il prezzo di chiusura e quello di apertura dei nuovi titoli nel primo giorno di contrattazione. La ragione sta probabilmente nel fatto che alcune variabili di tipo qualitativo, legate al ruolo degli intermediari,all’autenticità della contabilità aziendale e alla propensione al rischio di alcuniinvestitori dalla reputazione non sempre cristallina, sono difficilmentemodellizzabili nel momento in cui si tenti di derivare il prezzo fairdi un’azienda, valore che dovrebbe tener conto esclusivamente della capacitàdi generare profitti nel medio-lungo periodo. La recente crisi ha cambiatoanche questa consuetudine dell’underpricing dei nuovi titoli azionari, forse in peggio: oggi, in una faida tra i vari protagonisti del mercato della raccolta di fondi pubblici, di una piazza finanziaria come quella di Londra, intermediari,investitori e consulenti di vario genere si accusano a vicenda. Venditori, alcunisenza scrupoli, accusano le banche d’affari di promuovere prezzi bassi per favorire il successo delle operazioni. Gli investitori denunciano alcunevalutazioni oggettivamente irrealistiche e criticano la struttura dellecommissioni e il modello consortile delle banche d’affari. Queste ultime, infine,attaccano l’incompetenza dei consulenti sia dei venditori che dei compratori.In questo contesto del tutti contro tutti, a rimetterci maggiormente sono quelle aziende, sempre di più, che devono rinunciare ad aprirsi alle contropartiistituzionali a causa di questo clima lesivo della fiducia e della trasparenza del mercato. La realtà è che i mercati finanziari rappresentano un ecosistemacomplesso dove in molti ancora legano il proprio ruolo a valori comel’integrità e l’oggettività. Senza appellarsi a Joseph Schumpeter si puòconstatare che, purtroppo, oggi più di ieri la finanza non basa le proprieanalisi e valutazioni solo su “idee, principi o metodi analitici”, quanto su un gigantesco conflitto di interessi che contraddistingue, rendendolo talvoltainefficiente, il nostro sistema economico e finanziario.. [email protected]

Venditori, investitori, consulenti e banche d’affarisi accusano, in una delle più gravi crisi relazionalidella City. A rimetterci sono le aziende

U

| euronote || bancor |

dall’ombelico dell’Europa Roberto Ferrigno

A GERMANIA SEPPELLISCE il nuclearenel 2022. Dietro la decisione diAngela Merkel non c’è solamente

Fukushima e l’avanzata dei Verdi. È in giocola leadership tecnologica e produttiva dell’u-nica grande potenza europea rimasta. Il futu-ro sono le energie rinnovabili, l’efficienzaenergetica e la trasmissione e stoccaggio del-l’elettricità. Le case automobilistiche tede-sche sono in grado di passare alla produzionesu grande scala di auto elettriche già oggi. Legrandi utilities dell’energia tedesche, da E.ona Rwe, hanno compreso che i giorni dei con-glomerati basati su nucleare, carbone e petro-lio sono ormai contati.

Il prossimo mese di agosto si riunisce inseduta straordinaria il board di Rwe con ununico argomento all’ordine del giorno: il fu-turo della società e di Juergen Grossmann, ilsuo attuale Ceo, nemico giurato delle rinno-vabili. La spallata tedesca al nucleare si è sen-tita forte a Parigi, ma soprattutto a Bruxelles.Ancora una volta, la Commissione è stata pre-sa alla sprovvista. Barroso è da sempre schie-rato a favore del nucleare. Al massimo, dopoil disastro giapponese, si trattava di migliora-re la sicurezza delle centrali, senza mettere indiscussione i benefici atomici nella lotta alcambiamento climatico. Barroso si è ancheadoperato per annacquare il più possibile laproposta del Commissario all’energia Oettin-ger di applicare a tutto il parco nucleare euro-peo gli stress tests che avevano portato allachiusura in emergenza di sette dei dicianno-ve impianti tedeschi nel post-Fukushima.Sforzi sprecati. La Commissione ha sempre la-vorato duro per non spiegare che cosa signi-ficassero vaghi concetti cari a Barroso, comegreen jobs, green growth oppure smart environ-mental regulation. Berlino ne ha offerto final-mente un chiaro esempio. Barroso, e tutti glialtri, dovranno adeguarsi. .

L

Berlinodecide e l’Europa si adegua

Nucleare

| A N N O 1 1 N . 8 9 | L U G L I O / A G O S T O 2 0 1 1 | valori | 37 |

Page 20: Mensile Valori n. 91 2011

Impianto fotovoltaico in un'azienda zootecnica246,52 kWp del tipo integrato.

Rinnovabili

sul fotovoltaico

in bolletta

N SETTORE IMMATURO E TOTALMEN-TE DIPENDENTE da quel sistemadegli incentivi che distorce il

mercato e scarica sui consumatori il costodel suo mantenimento, incidendo negativa-mente sul portafoglio dei cittadini e sullacompetitività del nostro sistema economi-co. Per il fronte degli scettici il leitmotiv sul-le rinnovabili è lo stesso da anni. Ma siamosicuri che sia davvero così? Può davvero ilcomparto rinnovabili trasformarsi nel caproespiatorio delle nostre bollette? Secondo leultime indagini, decisamente no.

Più sole, meno costi«Una delle grandi novità, per ora taciute,dello sviluppo delle rinnovabili è proprio il

| economiasolidale | | economiasolidale |economiasolidale Caporalato e speculazione: le ombre sul solare pugliese >42Gli Italiani e il pane: c’eravamo tanto amati >45Dall’Ocse all’Istat: lavori in corso per i nuovi indicatori del benessere >51

| Nuove energie |

Gli incentivi al solare fanno aumentare il costo delle bollette. Ma, al tempostesso sgonfiano il prezzo

dell’elettricità. E in futuro il saldosarà addirittura positivo: merito dei costi di produzione molto bassi, dei prezzi dei pannelli in discesa e dell’indipendenza del settore dalle quotazioni dell’oro nero.

di Matteo Cavallito

U

Non sparate

| 38 | valori | A N N O 1 1 N . 9 1 | L U G L I O / A G O S T O 2 0 1 1 |

Page 21: Mensile Valori n. 91 2011

03

Costruire l’Italia al femminile

marzo 2011

Giancarlo Zizola e Bartolomeo Sorge

sul futuro della Chiesa

Le dinamiche dei cambi monetari

Corruzione: l’Italia non s’è desta

Acqua, referendum e democrazia

Haiti, un anno dopo

02

Oltre Copenaghen, per una ecologia umana

febbraio 2010

Nobel a Elinor Ostrom: il mercato non è tutto Obama ha perso la rotta? Forum enciclica: la «questione antropologica» Problemi globali, la parola ai cittadini Fondo Famiglia-Lavoro:

le cifre della solidarietà

Ritrovare il «gusto» dell’educazione

gennaio 2011

La rete mondiale di al-Qaida

Dove sono i cattolici in politica?

Inquinamento dell’aria:

un «virus» da curare

Focus sull’editoria sociale

Il Card. Bagnasco sui 150 anni

dell’unità d’Italia

12

Italia: promuovere i diritti per uscire dalla crisi

dicembre 2010

La lunga agonia del Governo

40 anni della legge sul divorzio:

un Paese che cambia

La Bibbia, uno strumento

per leggere la società

Igiaba Scego:

l’Italia è la mia casa

e di intervento sociale dei gesuitimensile di ricer

educazioneItalia: promuovere i diritti per uscire aldalla crisi

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Ma la situazione non è ancora chiara vistoche ancora mancano i decreti attuativi. In-somma, è il solito problema relativo alla cer-tezza delle regole. Non dimentichiamo cheun primo vero chiarimento sull’accesso alleautorizzazioni per la produzione del foto-voltaico è stato ottenuto solo due anni fa.Da quel momento il solare italiano ha co-nosciuto un’espansione senza precedenti».Difficile pensare che si tratti di un caso. .

| economiasolidale |

loro impatto sulla struttura della domanda edell’offerta nel mercato elettrico e sulla for-mazione dei prezzi dell’elettricità», ha soste-nuto, in occasione delle recenti Assise gene-rali di Confindustria, Paolo Guaitamacchi,amministratore delegato de Le Fattorie delVento, azienda milanese attiva nel campodelle energie alternative, convinto assertoredella capacità del fotovoltaico di innalzare sìi costi di una parte della bolletta elettrica, maanche di sgonfiare il prezzo dell’elettricità,fino a compensare efficacemente, a lungoandare, il peso degli incentivi. «Ad oggi, eparliamo di primavera e della prima fase disviluppo con incentivi necessariamente ge-nerosi, prevale ancora il primo effetto - haspiegato Guaitamacchi - ma con la progres-siva diminuzione degli incentivi e con ilprezzo del gas in salita i giochi potrebberocambiare presto».

Tutto nasce dallo schema di determina-zione del prezzo gestito dal Gse (vedi ) at-traverso il sistema dell’offerta marginale (ve-di ). Nel sistema della Borsa elettrica incui si svolge il cosiddetto “Mercato del gior-no prima”, l’ingresso sempre più prorom-pente del fotovoltaico starebbe spingendo iprezzi verso un progressivo ribasso. Meritoessenzialmente dei bassissimi costi di pro-duzione su cui influisce la riduzione delprezzo dei pannelli così come l’indipenden-za del comparto dalle quotazioni del petro-lio (e quindi del gas che dell’oro nero repli-ca a distanza di mesi l’andamento del costo- vedi l’approfondimento su Valori di giugno

BOX

BOX

2011), decisivo nella gestione degli impian-ti che producono elettricità alimentandosicon le fonti fossili.

Un risparmio già visibileInsensibile ai tumulti del barile, il sole di casanostra avrebbe già prodotto, nelle ore di pic-co, un risparmio compreso tra 1 e 15 euro perogni Megawatt/ora (MWh) nei 31 giorni la-vorativi tra il 1° marzo e il 14 aprile scorso. Arivelarlo una ricerca condotta da Aspo (Asso-ciazione per lo studio del picco del petrolio) apartire dai dati resi noti da Terna. A conti fat-ti, si tratta di un risparmio da 21-34 milionidi euro, a parziale compensazione del costototale degli incentivi, pari a 106 milioni an-nui. Nei mesi estivi, con la disponibilità mag-giore di raggi solari, l’effetto dovrebbe essereancora maggiore. Senza contare la drastica ri-duzione degli incentivi imposta dalle ultimepolitiche energetiche nazionali.

Le cifre diventano ancora più promet-tenti se si parla di energivori, ovvero dellegrandi imprese che più di ogni altro consu-

matore si trovano ad utilizzare ingentiquantità di energia. Dal momento che lalegge consente loro di pagare una tariffa de-cisamente agevolata nel finanziamento de-gli incentivi (circa 1/3 rispetto ai normaliconsumatori), ecco che per loro l’effetto cal-mierante del fotovoltaico finisce per garan-tire un risparmio in bolletta che supera già ilcosto degli incentivi stessi. Ma allora perchéil maggiore scetticismo nei confronti del fo-tovoltaico si riscontra soprattutto nell’am-biente dei grandi industriali? «Confindu-stria insiste sull’eccessivo peso dei costiindotti dalle rinnovabili sulla bolletta elet-trica adducendo come motivazione cheun’energia più cara penalizza i costi di pro-duzione delle imprese. E questo è tanto piùvero quanta più energia consuma un’impre-sa», spiega oggi Guaitamacchi. Ma siamodavvero certi che a pesare maggiormente inbolletta siano proprio le rinnovabili?

Occhio alle “voci criptiche”A ben vedere non è affatto così. Visto che afinire sul banco degli imputati potrebberoessere, in realtà, ben altri tipi di incentivi. Èil caso delle voci “criptiche” delle nostre bol-lette. Le stesse, ricorda Guiatamacchi, «incui finisce di tutto, compresi quegli elemen-ti che con la produzione di energia non han-no assolutamente nulla a che fare». Il riferi-mento corre alle tassazioni (Iva), nonchéagli incentivi per le fonti assimilate e ai co-sti di smantellamento delle centrali nuclea-ri (decommissioning) scaricati sui cittadini.

Legambiente ha calcolato che nel 2010 lasomma dei costi non legati alle rinnovabiliha pesato sulle bollette per complessivi3,052 miliardi di euro contro i 2,7 associatialle fonti alternative.

L’ultima revisione del conto energia ri-durrà notevolmente il peso de-gli incentivi “verdi”, ma, alme-no in teoria, il solare potrebbenon risentirne più di tanto.

«Sulla carta il futuro delle rinnovabili do-vrebbe essere roseo - spiega ancora Guiata-macchi - a fronte della tendenza alla cresci-ta, dello sviluppo tecnologico soprattuttosul fronte del fotovoltaico e del generale ri-pensamento del ruolo dell’energia nucleare.

IL MERCATO ITALIANO DELL’ENERGIA ELETTRICA è stato liberalizzato ufficialmente il 16 marzo 1999, giorno dell’approvazione del celebre “Decreto Bersani”, cosìribattezzato dal nome dell’allora ministro dell’Industria. Un provvedimento storico che ha posto fine al quasi quarantennale monopolio di settore dell’Enel, costretta, da quel momento, a gestire non più del 50% dell’energia prodotta in Italia.

Ad oggi il sistema di distribuzione è realizzato, in regime di monopolio, da unasocietà a partecipazione pubblica denominata Terna e responsabile in qualità di Gestore servizi energetici (Gse). Lo Stato vi partecipa attraverso il ministerodell’Economia (Mef, già azionista di Enel) e la Cassa depositi e prestiti, a sua voltacontrollata dallo stesso Mef. Tra gli incarichi del Gse c’è anche la distribuzione deicosiddetti “certificati verdi”, una sorta di credito di emissione riconosciuto alle impreseche hanno prodotto attraverso i carburanti fossili meno CO2 del consentito. Talicertificati possono essere rivenduti ai produttori che hanno superato la soglia massima,incentivando così la produzione da fonti rinnovabili che, per legge, deve corrispondere al 2% dell’output totale.

Per favorire la produzione di energia dagli impianti fotovoltaici, l’Unione europea ha istituito un programma di incentivi noto in Italia come Conto Energia. I finanziamentisono erogati dal Gse grazie al prelievo ad hoc imposto dalla legge su ogni bolletta allo scopo di finanziare il programma.

IN PRINCIPIO FU BERSANI… LA LIBERALIZZAZIONE DAL ’99 A OGGI

NEL “MERCATO DEL GIORNO PRIMA” della Borsa elettrica il prezzo è fissato sulla basedell’offerta dell’operatore che per ultimo copre la quota energetica necessaria percompletare la domanda ipotizzata per il giorno seguente. Un esempio per chiarire (le cifre sono del tutto teoriche).Supponiamo che per il giorno successivo si fissi una quota totale di domanda pari a 10 kWh.Il primo operatore A offre 5 kWh a un prezzo pari a 1.Successivamente interviene B: 4 kWh offerti a 2.Infine C copre la quota restante, 1 kWh, offrendola a 3.L’ammontare totale (5 + 4 + 1 = 10 kWh) sarà venduto al prezzo unitario di 3 euro. Costo totale in bolletta: 30 euro.Supponiamo ora una situazione identica in cui si inserisca, però, un produttorefotovoltaico (F) che, si suppone, potrà fare un’offerta più competitiva, dati i minori costiproduttivi sostenuti.A offre nuovamente 5 kWh a un prezzo pari a 1.Idem B: 4 kWh offerti a 2.Per la copertura della quota restante F offre 1 kWh a 2,5.C (1 kWh a 3), dunque, è tagliato fuori.L’ammontare totale (5 + 4 + 1 =10 kWh) sarà venduto al prezzo unitario di 2,5 euro. Costo totale in bolletta = 25 euro.

COME SI DETERMINA IL PREZZO DELL’ELETTRICITÀ

SOCIETÀ QUOTA

Blackrock 2,191%

Minozzi Romani 4,181%

Generali 2,026%

Pictet Funds Sa 4,940% in qualità di gestore, tra l’altro, del fondo PGSF Global Utilities Equities Fund che detiene il 4.73%

Cassa depositi e prestiti 29,999%società controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef)

Ministero dell’Economia 6,142%Enel di cui il Mef è azionista al 31,244%

Mercato 50,521%

Azioni totali 2.009.992.000 ordinarie con diritto di voto

CHI CONTROLLA TERNA?

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I costi non legati alle rinnovabilipesano per 3 miliardi contro i 2,7associati alle fonti alternative

| 40 | valori | A N N O 1 1 N . 9 1 | L U G L I O / A G O S T

Sui tetti d’Italia si moltiplicano i pannelli fotovoltaici. Il Conto energia ha permesso

al settore di entrare nella fase di piena maturità.

Page 22: Mensile Valori n. 91 2011

E MANETTE SONO SCATTATE lo scorso20 aprile. Su disposizione deiPubblici ministeri di Brindisi e

Lecce sono finite in carcere quindici persone:soci, amministratori, capi cantiere e consu-lenti del lavoro di Tecnova Italia Srl, una so-cietà che installa impianti fotovoltaici a terracon sede a Brindisi, controllata però da due so-ci spagnoli: José Fernando Martinez Bascuña-na e Luis Manuel Nuñes Gutierrez. Entrambisono stati arrestati, assieme a cinque italiani,tre spagnoli, due colombiani, un ghanese, unmarocchino e una cittadina cubana. Tutti in-dagati per “associazione a delinquere finaliz-zata alla riduzione e mantenimento in schia-vitù, estorsione, favoreggiamento dellacondizione di clandestinità di cittadini extra-comunitari e truffa ai danni dello Stato”. Levittime - come riporta il Corriere del Mezzogior-no - sarebbero il 90% degli 800 dipendenti diTecnova, quasi tutti stranieri sen-za permesso di soggiorno, “co-stretti a lavorare 12 ore al giornoper due euro l’ora” con la minac-

appaltati da un’associazione temporanea diimprese a sua volta incaricata da società par-tecipate dal Global Solar Fund (Gsf), un fon-do lussemburghese che ha come azionisti ilcolosso cinese del solare Suntech e la ChinaDevelopment Bank Corporation, controllatadirettamente dal governo cinese.

Ma come sono arrivati i cinesi in Salen-to? Per capirlo bisogna fare un passo indietroe tornare al 7 ottobre del 2010, quando a Ro-ma il primo ministro cinese Wen Jiabao siglacon il premier italiano Silvio Berlusconi die-ci accordi commerciali del valore di 2,25 mi-liardi di euro, più di un terzo dei quali (800milioni di euro) dedicati allo sviluppo del fo-tovoltaico nel mezzogiorno con la regia delGlobal Solar Fund. Subito dopo il via liberada Roma, il fondo, alimentato dalla ChinaDevelopment Bank Corporation, inizia a fa-re shopping di società pugliesi del fotovol-taico. A partire dalla Italgest Photovoltaic,una controllata della società salentina Italge-st, già partecipata dal Gsf al 50%: un’acquisi-zione che porta ai cinesi il controllo di 16 im-pianti in costruzione, quasi tutti nel Salento,per un totale di 50 Megawatt.

| A N N O 1 1 N . 9 1 | L U G L I O / A G O S T O 2 0 1 1 | valori | 43 |

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| economiasolidale |

Le vicende giudiziarie della Tecnova di Brindisi hanno acceso i riflettori sugli schiavi del fotovoltaico: costretti a lavorare 12 ore al giorno per 2 euro l’ora. Ultimo anello di una catena di società, che conduce fino al governo di Pechino.

Caporalato e speculazione: ombre sul Sole pugliese

di Mauro Meggiolaro cia continua di perdere il posto. La stampa lo-cale li ha subito ribattezzati “gli schiavi del fo-tovoltaico”: sfruttati, senza diritti, con i piedinel fango e la testa sotto il sole cocente. Damesi non percepivano nessuna retribuzione ea marzo avevano deciso di scendere in piazza,prima a Brindisi, di fronte alla sede legale del-la Tecnova, e poi a Lecce, davanti alla Prefet-tura. Una rivolta pacifica di lavoratori esaspe-rati da ritmi impossibili, per costruire pezzodopo pezzo i grandi impianti fotovoltaici delSalento. Solo Tecnova ne aveva realizzati 17,tutti in subappalto da altre imprese.

La Cina fa campagnaacquisti nel SalentoSecondo le ricostruzioni degli inquirenti, glispagnoli di Tecnova e i loro dipendenti sem-brano essere in realtà solo l’ultimo anello diuna complessa catena di scatole societarieche porta a interessi più grandi. I lavori pergli impianti salentini sarebbero, infatti, stati

L

Una storia quasi a lieto fine E proprio la Italgest Photovoltaic è statacoinvolta (assieme alla Osiride Solar di Lec-ce) nell'inchiesta sulla “schiavitù del foto-voltaico”. Tre dei suoi amministratori, imessinesi Roberto Saija e Antonio Puliaficoe lo spagnolo Javier Romero, sono accusatidi aver falsamente attestato che i lavori con-nessi alla realizzazione di alcuni impiantifotovoltaici appaltati a Tecnova sarebberostati portati a termine entro la fine di di-cembre del 2010, comunicandolo al Gesto-re unico per i servizi elettrici (Gse) al fine diconseguire “l’indebita percezione di eroga-zioni quantificabili in circa 10 milioni dieuro”, come dichiarato dal gip di BrindisiMaurizio Saso.

Intanto, a maggio, il Tribunale del Riesa-me di Lecce ha annullato l’accusa di asso-ciazione per delinquere finalizzata alla ridu-zione e mantenimento in schiavitù neiconfronti dei quindici indagati di Tecnova e

alle sette persone ancora detenute in carce-re sono stati concessi gli arresti domiciliari.Rimangono in piedi le ipotesi di reato diestorsione, favoreggiamento della clandesti-nità e truffa aggravata ai danni dello Stato.

I cinesi del Global Solar Fund, dopo averpreso le distanze da Tecnova, hanno subito

Dopo l’accordo tra Berlusconi e Wen Jiabao 16 impianti sono finiti nell’orbita cinese

anticipato un totale di 500.000 euro a 400lavoratori come acconto sugli stipendi nonpagati e, a partire dal 6 maggio scorso, han-no iniziato a versare il saldo degli stipendimaturati dopo mesi di lavoro non retribui-to. Per gli “schiavi” del fotovoltaico è la fi-ne di un lungo incubo. .

Lancellotti (Enerventi):«Ecco perché puntiamosui tetti della regione»

ON CI SONO SOLO SCATOLE socie-tarie, interessi occulti e gran-di investimenti speculativi.

In Puglia il fotovoltaico è anche una gran-de opportunità di sviluppo. Soprattutto seviene installato sui tetti delle case e deglistabilimenti industriali, contribuendo alla“terza rivoluzione industriale” auspicatadall’economista Jeremy Rifkin. Quella chesarà fondata sulla produzione energeticadecentrata e interconnessa e che in un fu-turo più vicino di quanto crediamo, po-trebbe coinvolgere in modo sempre più at-tivo cittadini, famiglie e comunità, creandoun’alleanza tra le rete internet e le rinnova-bili. Pura utopia o unica soluzione per l’at-tuale crisi del sistema energetico centraliz-zato e dipendente dai combustibili fossili edal nucleare? Lo abbiamo chiesto a Gianlu-ca Lancellotti, amministratore delegato di

di Mauro Meggiolaro

Enerventi, una società, con sede a Milano,che sogna di riempire i tetti delle case ita-liane di pannelli fotovoltaici. E ha sceltoproprio la Puglia tra i suoi primi obiettivi.

Dottor Lancellotti, perché la Puglia?Prima di tutto per motivi geografici. La Pu-glia ha un alto livello di radiazione solareannua: un kW installato su un edificio nel-la città di Bari può garantire 1.280 ore annuedi irraggiamento e quindi di produzione di

energia, contro le 1.060 di Milano o le 1.180della città di Roma. Ma contano anche altrifattori: la popolazione locale è ben dispostanei confronti delle rinnovabili e moltissimitetti sono piani, un aspetto non trascurabi-le, perché rende più facile l’installazione dipannelli sulle case. Infine c’è un grande so-stegno da parte dell’amministrazione pub-blica che negli ultimi mesi ha spostato l’at-tenzione dai grandi impianti fotovoltaici aterra, con incentivi che in alcuni casi hannoaperto la strada alla speculazione, al solareinstallato sugli edifici.

Quanto conta la Puglia per Enerventi?Circa l’80% dei 4.000 clienti che hannoaderito alla nostra offerta si trovano in Pu-glia. Se guardiamo alla potenza installata,12 MW su un totale di 14,2 MW si riferi-scono ad impianti realizzati sul territorio

N GianlucaLancellotti,amministratoredelegato di Enerventiwww.enerventi.it

Condizioni meteo favorevoli, cittadini ben disposti, amministratori attenti: la Puglia è regina del fotovoltaico.

Il parco solare di Parabita (Lecce): 1 MW di potenza per una produzione di oltre 1.400 MWh di energia l’anno.

Page 23: Mensile Valori n. 91 2011

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6 AGOSTO - DANIELE SILVESTRI5 AGOSTO - CAPAREZZA

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| A N N O 1 1 N . 9 1 | L U G L I O / A G O S T O 2 0 1 1 | valori | 45 |

| made in italy a rischio | sesta puntata | economiasolidale || economiasolidale |

pugliese e ulteriori 6 MW sono pronti perl’installazione. Non siamo certo gli unici adaver scelto questa regione: la Puglia è la re-gione più attiva nel solare e ospita al mo-mento circa il 20% dell’intero parco foto-voltaico nazionale. La Lombardia è alsecondo posto, ma con circa la metà deiMegawatt installati (400 MW).

Come funziona Enerventi? Enerventi chiede ai propri clienti (famiglie epiccole imprese) la concessione del tetto diun immobile di loro proprietà per una du-rata di 20 anni. I tecnici di Enerventi si oc-cupano di tutto il resto senza alcuna spesaper le famiglie: progettazione dell’impianto,richieste dei permessi necessari, installazio-ne dei pannelli fotovoltaici, allacciamentoalla rete, manutenzione ordinaria e straordi-naria. Una volta completato l’impianto, ilcliente dispone di una centrale domesticaper la produzione di energia. Enerventi rica-va vendendo l’energia alla rete e il cliente ot-tiene uno sconto del 35% sul totale dellabolletta. È un meccanismo semplice che ri-sparmia molti passaggi alle famiglie, assicu-rando notevoli vantaggi.

La Puglia è stata colpita da feno-meni di speculazione, corruzione e

sfruttamento della manodopera nelsettore delle rinnovabili. Enerventiadotta regole o criteri interni perprevenire problemi di questo tipo?

Prima di tutto utilizziamo solo manodoperaspecializzata locale che cerchiamo di tenereoccupata in modo costante. È la nostra ri-sposta a chi utilizza lavoratori stagionalinon specializzati, che spesso lavorano comebraccianti agricoli, non di rado irregolari,nei periodi in cui non ci sono cantieri aper-ti. In Puglia impieghiamo ormai più di 300persone, di cui 100 rappresentanti e 200 in-stallatori che lavorano solo per noi. Perquanto riguarda la corruzione, i nostri im-pianti sui tetti sono talmente piccoli e diffu-si rispetto ai grandi impianti a terra che i ri-schi sono veramente minimi e per ora nonabbiamo avuto alcun problema. Le organiz-zazioni criminali o, in generale, chi vuolespeculare sceglie i grandi impianti sopra 1MW. I nostri arrivano al massimo a qualchedecina di kW.

Che effetto ha avuto il nuovo contoenergia sulla vostra attività?

Il lancio del nuovo conto energia, che ha ri-toccato verso il basso le tariffe incentivantiper la produzione di energia con pannellifotovoltaici, ci impone un salto di qualità.

Gli Italiani e il pane:c’eravamo tanto amati

di Emanuele Isonio

Dimezzati in 10 anni i consumi: i forni sono in crisi, vittime della concorrenza dei prodottiindustriali e della grande distribuzione. Cronache da una filiera che lotta per non soccombere.

ERA UNA VOLTA L’ALIMENTO

più amato dagli Italiani.Sia ben chiaro: il pane,

nella percezione collettiva, rimane ancora l’a-limento irrinunciabile, che caratterizza le ta-vole di qualsiasi città, paese e borgo, dall’Al-to Adige alla Sicilia. Ma il suo profumoinconfondibile, la sua versatilità, il celebre ru-more che fa la sua crosta, sembrano non ave-re più l’appeal di una volta: il suo declino ap-pare inesorabile. E con lui, ovviamente, tuttala filiera che lo produce: dal campo di granofino alle sporte della spesa. Un declino legatoa molti fattori: cambio degli stili di vita, au-mento dell’offerta di prodotti alternativi(quelli che gli esperti chiamano “succedaneidel pane”), concorrenza a minor costo, an-che proveniente dall’estero, del pane indu-striale venduto nei supermercati.

Sostituti sugli altariDi solito non si fanno confronti

a così lungo periodo, ma questo è particolar-mente significativo: nel 1909 il consumo procapite di pane si aggirava sul chilo al giorno.Cento anni dopo era di 120 grammi. Lecitoobbiettare che, a inizi Novecento, non c’era-no ancora state due guerre mondiali, l’Italiaera una monarchia, le donne erano ancorarecluse in cucina e i figli si rivolgevano ai pa-dri usando il “voi”. Ma, se si considera solol’ultimo decennio del XXI secolo, il trendnon cambia e i consumi, anno dopo anno,continuano la loro costante, inesorabile fles-sione: -4,8% annuo, con punte del -9%. Atutto vantaggio, va detto, di prodotti che so-stituiscono il pane sulla tavola: grissini, pa-netti, salatini e pan carré. Un danno per i pa-nificatori, perché il mercato dei sostituti delpane è monopolizzato dall’industria.

«Una contrazione così netta si spiega conun cambio negli stili di vita e con le prescri-zioni di nuovi stili alimentari», commentaClaudio Conti, presidente di Assipan e tito-lare del panificio più antico di Roma, che nelcuore di Trasterevere già aveva le serrandeaperte quando Roma non era ancora Capita-le, né l’Italia uno Stato unitario. «I consuma-tori ancora apprezzano il pane fresco e i for-ni tradizionali. E, potenzialmente, i 23 milapanifici artigianali e i 100 mila addetti che vilavorano sarebbero in grado di coprire tuttala domanda. Certo, la concorrenza dellagrande distribuzione si fa sentire».

Supermercati cannibaliA dire il vero, i dati Istat rivelano che gli Ita-liani, quando possono, continuano ad acqui-stare il pane tutti i giorni (fa così il 56% deiconsumatori) e, per lo più, si servono dei carivecchi forni. Ma l’attrazione di un supermer-cato sotto casa, dove già si entra per fare il re-

C’

Cento anni fa, il consumo pro capite era di circa un kg al giorno.Oggi sfiora i 120 grammi

Dobbiamo diventare più efficienti nel bre-ve periodo e competitivi negli acquisti e ingenerale in tutti i costi. Fino ad ora siamostati una good news delle rinnovabili, unabella storia da raccontare. Il nuovo contoenergia ci porterà ad assumere un precisoruolo nel panorama industriale italiano: unplayer nazionale secondo solo a Enel nelmercato del fotovoltaico. Di fatto oggi sia-mo già la prima azienda privata italiana pernumero di impianti.

Che ne pensa del risultato del refe-rendum sul nucleare?

Penso che favorirà lo sviluppo di quella che sidefinisce come generazione diffusa e che por-terà alla trasformazione delle famiglie da cen-tri di consumo a centri di produzione. Una ve-ra rivoluzione, nella quale i pannelli solarihanno un ruolo importantissimo. Basta faredue calcoli. Se cinque milioni di famiglie ita-liane (su un totale di 22 milioni) installasserosul tetto di casa un pannello, si potrebberoprodurre 20 miliardi di kWh all’anno per unapotenza installata di 20 mila MW: il 30% cir-ca del fabbisogno energetico complessivo del-le famiglie. Sui tetti delle famiglie italiane c’èil potenziale equivalente di numerose centra-li tradizionali o nucleari e di almeno tre reat-tori nucleari in termini di energia prodotta. .

Le centinaia di tipi diversi di pane diffuse nellediverse regioni d’Italia rischiano di soccombere

a causa della omologazione delle produzioni.

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sto della spesa, aperto tutti i giorni a orariocontinuato, è forte. E tra l’altro, la sua concor-renza incide negativamente sui fatturati deiforni anche per almeno un altro paio di moti-vi: nei supermercati si vendono come panefresco, prodotti che in realtà vengono sconge-lati e finiti di cuocere nel punto vendita. È ilcaso delle baguette proposte da varie catenedella Gdo (Grande distribuzione organizzata).«Non abbiamo niente contro questo tipo dipane, ma va chiarito al cliente che non si trat-ta di pane fresco», commenta Conti. Inoltre,molti supermercati si riforniscono da forni lo-cali, soprattutto per i tipi di pane di qualità su-periore e più particolari. Sembrerebbe un be-ne per i piccoli produttori, se non fosse che ilpane è acquistato in “conto vendita”: in pra-tica, alla fine della giornata, il fornaio si vedepagare solo il pane effettivamente vendutodal punto vendita. Il resto gli viene reso. Inquesto modo, il supermarket ordina più panedi quello che può vendere, così i clienti trova-no il pane fresco anche a pochi minuti dalla

chiusura. E gli oneri dell’invenduto ricadonotutti sulle spalle dei piccoli produttori. Duevolte: perché spendono per produrre pane ineccesso e perché devono poi occuparsi dismaltire le eccedenze.

Panettieri e non soloA questa situazione si aggiunge poi la concor-renza estera. E, al Sud, l’azione criminale del-le mafie (vedi qui sotto): «Al Nord inparticolare, l’arrivo di pane estero è un feno-meno in crescita», rivela Mario Partigiani, pre-sidente di un’altra associazione di categoria, la

ARTICOLO

QUALCUNO PARLEREBBE DI GUERRA TRA POVERI. In effetti le frequenticontrapposizioni tra chi i cereali li coltiva e chi li trasforma in pane fanno entrare in conflitto due anelli deboli di una stessa filiera. Oggetto del contendere: le oscillazionidel prezzo del grano e del frumento e la loro incidenza sul costo del pane e sullaremunerazione dei produttori. Da un lato, i coltivatori si lamentano quando i prezzi delle materie prime scendono troppo, perché la loro attività diventa antieconomica. Come è avvenuto varie volte nell’ultimo decennio (vedi ), in particolare nel 2002, 2005,2006 e 2009. E denunciano che, anche quando il prezzo del grano è basso, quello del pane non si adegua e non scende. «Il prezzo del pane non è assolutamentedipendente dal prezzo del grano e delle farine», commenta la Coldiretti. «Oggi le impreseagricole cerealicole incassano meno del 60% di quello che incassavano 20-25 anni fa,con una moltiplicazione dei prezzi dal grano al pane che arriva anche al 1.700%». Il sospiro di sollievo (momentaneo) lo tirano solo quando il prezzo dei cereali sale oltre una certa soglia, permettendo ai ricavi di coprire i costi.

Dall’altra parte, invece, i panificatori si lamentano quando i prezzi del grano sono in crescita (come avviene in questi ultimi mesi, che hanno visto un incremento di quasi il 50% rispetto alla media 2010, superiore ai picchi del 2008 e 2009). E riescono ad aumentare un poco i guadagni solo quando i prezzi sono in picchiata.

Mentre i due litiganti litigano, i prezzi delle materie prime vanno su e giù come sulle montagne russe, facendo segnare negli ultimi anni incrementi e decrementi con percentuali quasi sempre a due cifre (vedi ). Non sarà il caso invece di uniregli sforzi per contrastare la speculazione internazionale che tratta le materie prime comequalsiasi altro strumento finanziario?

TABELLA

TABELLA

PANIFICATORI VS COLTIVATORI A VINCERE È LA SPECULAZIONEVALORI IN EURO PER TONNELLATA

MEDIA ANNO2000 157,592001 161,812002 144,122003 151,212004 155,682005 126,612006 145,552007 219,672008 224,432009 150,852010 185,182011 (aprile) 273,79

PREZZO ALL’ORIGINE GRANELLA DI FRUMENTO TENERO

PREZZO MEDIO FRUMENTO TENERO ALL’ORIGINE

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Il pane di GomorraLa filiera della vergogna La metà del pane mangiato al Sud proviene da forni abusivi alimentati con copertoni e casse da

morto. Un rischio enorme per la salute. Una piaga per i panettieri onesti. Solo a Napoli, il giro d’affari è di mezzo miliardo.

OTREBBE ESSER PEGGIO”.“E come?”. “Potrebbepiovere”. Rubiamo a

Frankestein Junior una delle sue battute piùcelebri per aprire (e commentare) questo ar-ticolo. Perché, nelle righe successive, di mo-tivi per sorridere ce ne saranno davvero po-chi. Nella Capitale del Mezzogiorno, la cittàche il mondo ci invidia, che aveva rapito ilcuore a Goethe, che prima la vedi e poimuori, non c’è solo il problema della mon-nezza. Non ci sono solo i furti, i regolamen-ti di conti tra bande rivali, il pizzo e il traffi-co fuori controllo. La mano putrida dellacamorra è ormai arrivata a contaminare an-che il pane. Trasformandolo inoro per sé stessa, ma in una pia-ga per la salute e la dignità deinapoletani. E in una (ulteriore)forma di concorrenza, vigliacca,

di Emanuele Isonio

«P nei confronti dei panificatori onesti.

Quel cablo del console TruhnAll’ombra del Vesuvio, i 1.200 panifici legalidevono fare i conti con altri 2.200 che opera-no totalmente al di fuori della legge. Wiki-leaks ha svelato che anche il consolato gene-rale degli Stati Uniti si è interessato dellavicenda: “Circa due terzi dei panifici della re-gione sono in mano alla criminalità e cuci-nano il pane con materiali tossici”, comuni-cava nell’estate 2008 il console J. PatrickTruhn in un cablo inviato al Dipartimento diStato. I panettieri onesti lo denunciano da an-ni, scontrandosi, quando va bene, con il soli-

napoletano. Secondo solo al traffico di dro-ga. Il sistema è semplice: «Come faccio avendere il pane?», raccontava, protetto dal-l’anonimato, un venditore abusivo ai mi-crofoni del programma tv Le iene. «Mi man-dano a comprarlo ai forni che dicono loro.Me lo fanno pagare 60 centesimi e, quandoci mettiamo in mezzo alla via, dobbiamovenderlo a due euro. Però il 50% lo devi da-re a loro». Anche quando i carabinieri o gliispettori delle Asl lo sequestrano o parte delpane rimane invenduto. Altrimenti: minac-ce armate, mazzate e gambe spezzate. Il si-stema dei forni della camorra è talmente ra-

mificato da aver intaccato anche i negozi dialimentari. Il 25% del pane abusivo passa or-mai attraverso i canali legali. La malavitaconvince i negozianti a vendere il pane fuo-rilegge e a fatturarlo come se fosse regolare.

La cottura? Con copertoni e casse da mortoUn problema di concorrenza sleale, di cri-minalità organizzata, ma anche di salutepubblica: le condizioni di produzione sonoinfatti da girone dantesco. «Questo paneche vendo io, ai miei figli non lo faccio man-giare perché so che schifezza è», prosegue il

venditore abusivo. Scantinati con le paretiumide e ammuffite, zero controlli sulla fari-na usata e forni alimentati con qualsiasi co-sa perché alla vergogna non pare esserci li-mite: legno laccato proveniente dagli scartidi falegnameria, vecchi infissi, pezzi di mo-bili, copertoni. Persino casse da morto, quel-le da smaltire dopo la riesumazione dei ca-daveri. Un’altra bella sfida per il neosindacoDe Magistris, eletto a furor di popolo. Inuti-le sottolineare quali siano i rischi per la sa-lute dei consumatori. Piuttosto, un’altra do-manda rimane senza risposta: perché inapoletani continuano a mangiarlo? .

Il console Usa scrive al suoDipartimento di Stato: «La camorracontrolla due panifici su tre. E usano materiale tossico»

Assopanificatori. «I fornai friulani si lamenta-no delle importazioni provenienti da Croaziae Germania. Nelle altre regioni aumentano iprodotti di origine francese». «Per arginare ilfenomeno - aggiunge Conti - abbiamo propo-sto di riservare la dicitura “pane fresco” ai pro-dotti fatti nelle 24 ore precedenti. Ma l’Ue ri-tiene che siano poche».

In uno scenario simile, alle migliaia di pa-nificatori italiani le strategie per sopravvivereappaiono obbligate: «Spesso il nucleo fami-liare rinuncia a un’adeguata remunerazionedel proprio lavoro – spiega Conti - e le attivitàdi panificazione devono diversificare i pro-dotti messi in vendita. Con il solo pane nonriuscirebbero, infatti, a sbarcare il lunario». Edecco quindi che i vecchi forni diventano del-le boutique di pane e derivati: pizzette, bi-scotti, crostate, lieviti, torte. Ma anche latte,formaggi e salumi. Parola d’ordine: diversifi-care per attrarre clienti. Con la speranza chel’unico risultato raggiungibile non sia quellodi procrastinare il collasso del settore. .

VARIAZIONI PERCENTUALI ANNUALI

2001/00 2,7

2002/01 -10,9

2003/02 4,9

2004/03 3,0

2005/04 -18,7

2006/05 15,0

2007/06 50,9

2008/07 2,2

2009/08 -32,8

2010/09 22,8

Il pane, venduto dagli ambulanti a bordo strada,non è stato sottoposto ad alcun controllo sani-tario. E il prezzo non è poi così basso.

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to, intollerabile, muro di gomma. E riceven-do, quando va male, pesanti intimidazioni.Come quando, nel 2010, hanno manifestatoin favore della legge per la tracciabilità del pa-ne. Che la camorra vuole vedere abolita e ilcentrodestra (maggioranza in consiglio regio-nale) pensa di modificare. «Il fenomeno delpane abusivo nel Meridione è una tragedia»,spiega affranto Claudio Conti, presidente diAssipan. «E, dal basso Lazio in giù, incide or-mai per il 50% dei consumi». Con picchi im-barazzanti: come ad Afragola (città natale diAntonio Bassolino, in cui il consiglio comu-nale è stato sciolto due volte per infiltrazionicamorristiche), dove i forni autorizzati sono17 e quelli clandestini, privi di qualsiasi con-trollo sanitario, oltre 100.

Guai però a considerarlo solo un feno-meno di abusivismo. È una vera attività cri-minale che frutta soldi a palate: oltre mezzomiliardo di euro, è il giro d’affari stimato nel

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Siamo tutticoproduttoriNel progetto Spiga & Madia, agricoltori, fornai e consumatori si uniscono. Obiettivo: produrre un pane di grande qualità a prezzi competitivi e dimostrare che le leggi del mercato non sono intoccabili.

UAI A CHIAMARLI CONSUMATORI.Guai a definire produttoriagricoli e fornai come “la

controparte”. Guai a cercare di convincerliche il prezzo di un quintale di grano e di unchilo di pane lo fanno le leggi del mercato.Per le centinaia di famiglie che, dal 2007 aoggi, hanno sposato il progetto Spiga & Ma-dia, quei termini e quei concetti sono ormaisuperati. Molto meglio parlare di coprodut-tori e di prezzo equo.

«La motivazione iniziale era ideologica»,spiega Giuseppe De Santis, del Des dellaBrianza. «Volevamo ricostruire una filiera lo-cale del pane e volevamo dimostrare che l’i-dea non era affatto antieconomica. Nel farlo,ci siamo accorti che stavamo ricostruendouna comunità, permettendo ai suoi compo-nenti di riconoscersi attorno a un progetto diproduzione di cibo».

Gli attori in gioco sono treproduttori di granella di fru-mento (di due varietà, Blasco eBologna), un mugnaio che fa la

di Emanuele Isonio

G farina, tre panificatori che usano tecnichetradizionali (ad esempio sostituendo il lie-vito di birra con la più nobile pasta madre,per avere un prodotto più duraturo). E poici sono i 32 gruppi d’acquisto solidale, checoinvolgono tra le 480 e le 530 famiglie.

Un percorso condivisoL’aspetto più rivoluzionario dell’iniziativa èil modo in cui si forma il prezzo del pane:«Ogni anno si definiscono i bisogni dei pro-duttori e la domanda dei consumatori»,spiega De Santis. A ritroso si stabiliscono co-sì le quantità da coltivare e il pane da pro-durre. È questo a rendere molto efficiente ilprogetto e ad azzerare gli sprechi».

Il prezzo da pagare a ogni anello dellafiliera è deciso insieme, avendo cura di re-munerare in modo adeguato il lavoro, a

prescindere dal valore del bene sul merca-to internazionale. Un quintale di granelladi frumento viene pagata 40 euro. Siaquando, nel “mondo normale” era quota-to 16 euro, sia quando, come oggi, si aggi-ra sui 25 euro. E il pagamento è effettuatoprima della semina, così da co-finanziare ilraccolto.

La sostenibilità dell’iniziativa è agevo-lata dal grande impegno volontario profu-so dagli aderenti al progetto («si internaliz-za molto lavoro non monetizzato») e daglienormi risparmi che si ottengono evitandoi rincari connessi con la distribuzione (dauna quota del 40% della catena del valoresi scende al 2%). E così si liberano risorseper pagare il giusto sia i coltivatori (la cuiparte passa dal 17% al 23%) e dei panifica-tori (dal 32% salgono al 61%). Chi il panelo mangia, è sicuro di mettere sotto ai den-ti un prodotto di qualità superiore, sottotutti i punti di vista. E di contribuire a bloc-care il consumo di territorio, rendendo piùremunerativa l’attività agricola.

La prossima sfida è far arrivare il panecosì prodotto nelle mense collettive: «Il fat-to che mia figlia mangi un pane immangia-bile non riesco più a sopportarlo» confessaDe Santis. Intanto, l’idea ha fatto proselitinel mondo dell’economia solidale. Ispiran-do progetti analoghi a Como, nel ParcoAgricolo Milano Sud e nel DES di Torino.

In soccorso del biologico«Progetti come Spiga & Madia sono un’evo-luzione molto positiva dei Gas», spiega Vin-cenzo Vizioli, presidente di Aiab Umbria edesperto di cerealicoltura. «Si passa dalla sem-plice scelta dei produttori dai quali fare ac-quisti, all’idea di costruire un percorso con-diviso che unisca produzione e consumo».La sostenibilità economica è in buona parteassicurata dal salto degli intermediari: «Ilgrande aumento di prezzo – prosegue Vizio-li – si ha tra il momento in cui il pane è fat-to e quando è posto in vendita al negozio».

Tra l’altro, la costruzione di queste nuo-ve filiere può dare una mano ad ampliare laproduzione di pane biologico che oggi si at-testa sul 3% del totale (soprattutto grazie alconsumo nella ristorazione collettiva).«Purtroppo – ammette Vizioli - il pane bio-logico oggi sconta l’assenza di una filierastrutturata. Il che impedisce la costruzionedi economie di scala e di ridurre i costi». .

Nel resto d’Italia fioccano iniziativesimili: l’assenza di intermediari el’impegno degli aderenti assicuranola sostenibilità economica

PROGRESSIONE DEI COSTI NELLA FILIERA ALTERNATIVA

€ 3,00

€ 2,50

€ 2,00

€ 1,50

€ 1,00

€ 0,50 PRODUZIONE DELLA GRANELLA IN CAMPO

COSTO FARINA AL MULINO

COSTO FARINA CONFEZIONATA

COSTO PANIFICAZIONE AL KG

PREZZO PAGNOTTACON IVA E CONTRIBUTO

DES

Non solo prezzo: i valori (nascosti) del commercio equo e solidale

Il concetto di “prezzo giusto” è noto a quasi tutti i clienti delle Botteghe del mondo. Ma per i produttori sono altri

i vantaggi che fanno la differenza: stabilità delle relazioni con gli importatori, possibilità di pianificare l’attività nel tempo, prefinanziamenti, tutela contro il rischio-usura. Un terreno su cui le multinazionali non possono competere.

UELLA DEL PREZZO È CERTAMENTE

la più nota tra le regole delcommercio equo e solidale.

Basta chiedere al consumatore occasionale,non particolarmente informato. Vi dirà che“commercio equo” significa pagare un po’ dipiù i contadini e gli artigiani del Sud delmondo, ristabilendo il giusto prezzo del lorolavoro. Un’impressione confermata dallastatistica. Secondo un’indagine realizzata nel2008, intervistando un campione rappresen-tativo di consumatori delle botteghe delmondo italiane, il criterio del prezzo equo èconosciuto da tre quarti degli intervistati.

Il “prezzo equo” è effettivamente unacomponente molto importante di ogni re-lazione commerciale equo-solidale. Tecni-camente esso si traduce in un premio anti-ciclico sul prezzo fissato dal mercatointernazionale. In parole povere ciò signifi-ca che, almeno per i prodotti alimentariquotati in Borsa, quando i prezzi interna-zionali sono particolarmente bassi, il mer-cato equo-solidale si mantiene al livello diuna soglia minima fissata dalle organizza-zioni del movimento per garan-tire il soddisfacimento dei biso-gni di base dei produttori;mentre quando i prezzi sono al-ti, il commercio equo mantiene

Qdi Marco Costantino, università degli Studi di Bari

comunque un lieve sovrapprezzo rispetto almercato tradizionale.

Un contesto protettoper aprirsi all’exportMa cosa pensano invece i produttori? Daglistudi di impatto, che rilevano i risultati intermini di sviluppo delle comunità coinvol-te nelle filiere equo-solidali, emerge che ivantaggi per i produttori sembrano derivareinnanzitutto dall’opportunità in sé di unnuovo sbocco commerciale e di nuove pro-duzioni che consentono di diversificare il ri-schio e ridurre così la dipendenza. Un ruoloimportante è inoltre giocato dalle condizio-ni commerciali a contorno del prezzo: la sta-bilità della relazione consente alle organiz-zazioni e, di conseguenza, alle famiglie, unapianificazione di medio periodo dei propriinvestimenti; il prefinanziamento riduce ilricorso al credito usurario e facilita l’approv-vigionamento di materie prime. Infineemerge chiaramente l’estrema rilevanza deltrasferimento di competenze veicolato at-traverso la relazione commerciale equo-soli-

dale: la partnership con gli importatori con-sente alle organizzazioni dei produttori diacquisire nuove conoscenze dal punto di vi-sta della produzione (sviluppo prodotti), delmercato (tendenze e gusti dei consumatorieuropei e nordamericani), della gestione. Avolte la relazione equosolidale è la primaesperienza di esportazione e consente, in un“contesto protetto”, di sperimentare proce-dure totalmente nuove, legate ad esempioalle normative doganali e igienico-sanitarie,che rappresentano un ottimo patrimonio diesperienze per il futuro.

I dati sul sovrapprezzo equosolidale for-niti dagli stessi studi appaiono invece menosignificativi. A volte il differenziale di prezzorispetto al mercato tradizionale è trascurabi-le e comunque non sembra essere la compo-nente più apprezzata dai produttori e più ef-ficace. Emerge dunque un’incongruenza traimmaginario dei consumatori e realtà deifatti nel peso che assumono i diversi criteri dicommercio equo, con una sopravvalutazio-ne del prezzo a discapito di altre componen-ti meno note, ma forse più efficaci.

Cresce la concorrenza con il mercato convenzionale Questo fenomeno sembra destinato a svilup-parsi ulteriormente come conseguenza del-

| analisi | economiasolidale |

Nel peso dei vari fattori emergeuna incongruenza tra ciò che immaginano i consumatori e la realtà dei fatti

FON

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MAD

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l’aumento dei prezzi globali del-le materie prime e dei prodottialimentari e con le conseguentistrategie commerciali adottatedalle multinazionali.

Secondo una recente comu-nicazione della Banca Mondiale i prezzi de-gli alimentari sarebbero cresciuti di quasi il30% nell’ultimo anno, sfiorando i livelli re-cord del 2008. Cambia quindi il contestocompetitivo entro il quale si muovono legrandi multinazionali del settore alimenta-re che devono conseguentemente modifi-care le proprie strategie commerciali. Se inun mercato caratterizzato da elevata pro-duzione e domanda costante esse poteva-no esercitare tutto il proprio potere spun-tando prezzi bassi ai produttori, oggi sonoinvece costrette a contendersi gli approvvi-gionamenti di materie prime, utilizzando ilprezzo come principale leva competitivaper battere i propri concorrenti e assicurar-si i necessari volumi di materia prima. Sitratta di una tempesta nel mercato globaledegli alimenti che non può non influenza-re anche gli importatori di commercioequo solidale che si approvvigionano sullostesso mercato e che competono con legrandi multinazionali.

Finora questa competizione si giocava

quasi esclusivamente a valle della catenacommerciale, al livello della distribuzione,dove il movimento equo-solidale si è gua-dagnato a fatica delle nicchie di mercatotalvolta anche non trascurabili. Oggi inve-ce la competizione arriva anche a montedella catena, nell’approvvigionamento dimaterie prime, dove le multinazionali so-no disposte ad alzare i prezzi di acquistopur di soddisfare la propria domanda. Ildifferenziale di prezzo (rispetto al prezzodel mercato convenzionale) per molti pro-dotti coloniali tende ad assottigliarsi met-tendo in difficoltà gli importatori equo-so-lidali che devono cercare di mantenere ingamma gli stessi prodotti per non perderequelle quote di mercato faticosissimamen-te guadagnate.

Il sovrapprezzonon è tuttoIn questo contesto tutto nuovo è moltodifficile per gli importatori di commercioequo sostenere la concorrenza sul prezzo

nei confronti di grandi colossi transnazio-nali. La buona notizia però è che le orga-nizzazioni di produttori equo-solidali nor-malmente continuano a preferire questotipo di relazione nonostante il prezzo nonsia più un fattore particolarmente deter-minante. Il dato appare assolutamentecoerente con i risultati degli studi d’im-patto citati precedentemente: il commer-cio equo non è fatto solo di sovrapprezzo,è invece il complesso delle sue regole chearricchisce la relazione commerciale, ren-dendola nel suo insieme più appetibile peril produttore.

Quello che si presenta come un proble-ma nella competizione internazionale puòtrasformarsi quindi in un’opportunità, sele organizzazioni di commercio equo sa-ranno in grado di spostare la concorrenzasu un terreno dove più difficilmente po-tranno essere seguite, quello della partner-ship attraverso la quale far viaggiare nonsolo prodotti e denaro, ma anche compe-tenze, servizi e relazioni umane. Il conte-nuto sociale del prodotto è, più del prezzo,il vero vantaggio competitivo in mano alleorganizzazioni di commercio equo che suquesto fronte dovranno continuare a inve-stire nei prossimi anni per mantenere e mi-gliorare la propria posizione. .

Nonostante il differenziale di prezzo con i mercati tradizionali si riduca, molti produttori continuano a preferire l’equosolidale

IL MONDO AL PLURALE

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IL MONDO AL

PLURALEIL MONDO AL

PLURALE

| Pil a parte | economiasolidale |

REATE YOUR BETTER LIFE INDEX”. Cioè: “Creail tuo indice per una vita migliore”. È lascritta che compare sul sito, lanciato dal-l’Ocse (Organizzazione per la coopera-zione e lo sviluppo economico), www.oecdbetterlifeindex.org, dove chiunque può“costruire” il proprio set di indicatori delbenessere e verificare la situazione del Pae-se in cui vive. Basta dare un voto, in baseall’importanza attribuita a quello specifi-co aspetto, a ognuno degli undici para-metri che, secondo l’Ocse, determinanoil benessere o il malessere di una società.Parametri materiali e immateriali, comela casa, il livello di reddito, il lavoro, l’ap-partenenza a una comunità, l’educazio-

ne, l’ambiente, la governance, la salute, lasoddisfazione per la propria vita, la sicu-rezza, l’equilibrio lavoro-vita privata. So-no le dimensioni proposte dall’Ocse nel-l’ottobre 2009 come “ingredienti” delprogresso di un Paese.

Da ormai quattro anni l’Organizza-zione si dedica al tema della misurazio-ne del benessere della società, da quan-do nel 2007 ha istituito il Global Projecton Mesuring the Progress of Societies. Tra ipromotori dell’iniziativa c’era l’italianoEnrico Giovannini, all’epoca responsa-bile statistico dell’Organizzazione per lacooperazione e lo sviluppo economico,oggi presidente dell’Istat. «Il lavoro del-l’Ocse sulla misurazione del benesserecontinua - racconta Giovannini - e que-st’anno, in occasione dei suoi primi 50anni, l’Organizzazione ha cambiato ilproprio motto in: Better Policies for BetterLives. Un messaggio chiaro: servono po-litiche migliori per vite migliori e, affin-ché ciò sia possibile, sono indispensabi-li buoni indicatori che riescano a tenerconto del benessere della società».

Sono molti i Paesi che stanno lavo-rando per inserire nelle loro statisticheufficiali e nei conti nazionali indicatoridel benessere. Non per sostituire e pen-sionare il Prodotto interno lordo, ma perintegrarlo con quegli aspetti che un in-dicatore puramente economico nonprende in considerazione. Lo aveva

Anche l’Italia è al lavoro per rispondere alle richieste della Commissione Ue: definire entro il 2012 il set di misuratori della qualità di vita da affiancare al Pil. Sono al lavoro due commissioni: una interna all’Istat e una congiunta Istat-Cnel. Il presidente

dell’Istituto di Statistica, Enrico Giovannini, anticipa a Valori le novità che ci attendono.

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Dall’Ocse all’Istat:lavori in corsoper i nuovi indicatoridel benessere

OCSE Nel 2007 l’Ocse avvia un progetto per la creazione di nuovi indicatori del progresso: il Global Project on Measuring the Progress of Societies. Nell’ottobre 2009 a Busan (Corea),durante il terzo Forum mondiale dell’Ocse, l’istituto raggiunge una conclusione analoga a quella della commissione Stiglitz: serve un set di indicatori del benessere.

COMMISSIONE STIGLITZAll’inizio del 2008 il presidente francese Sarkozy ha creato un gruppo di lavoro per studiaredelle alternative al Pil. Era composto da 25 economisti, tra cui Stiglitz, Sen e Fitoussi, vari premi Nobel e lo stesso Enrico Giovannini. A settembre 2009 arriva il rapporto con cui la Commissione propone un set di indicatori invece del solo Pil.

COMMISSIONE EUROPEANell’agosto del 2009 la Commissione europea dichiara che il Pil è un indicatoreinsufficiente per misurare il progresso e dà appuntamento al 2012 ai governi perchépropongano delle alternative.

LA LUNGA MARCIA DELLE ALTERNATIVE AL PIL

Le due commissionistanno definendo le dimensioni del benessere e comemisurarle. I risultati a inizio 2012

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di Elisabetta Tramonto

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| economiasolidale |

chiesto la Commissione euro-pea due anni fa, nell’agosto del2009, quando aveva stabilito il2012 come scadenza per elabo-rare nuovi indicatori di benes-sere che integrino il “vecchio” Pil. Cistanno lavorando la Gran Bretagna, sot-to la forte spinta del primo ministro Da-vid Cameron, la Germania, l’Olanda, laSvizzera, il Belgio, il Lussemburgo, laSpagna. E anche l’Italia. Tra maggio egiugno sono state create due commissio-ni, una all’interno dell’Istat e una con-giunta Istat-Cnel (Consiglio nazionaledell’economia e del lavoro), per definireun set di indicatori del benessere. Ce neparla Enrico Giovannini.

Presidente, quali sono gli obiettividi queste due commissioni?

Quella Istat-Cnel sta discutendo il “cosa”:quali sono le dimensioni del benessere checontano per la società italiana, a partire dalrapporto della commissione Stiglitz, dalleraccomandazioni dell’Ocse e da quelle del-la Commissione europea. L’obiettivo diquesta commissione è creare un quadrocomplessivo che contenga le diverse di-mensioni del benessere. Poi, in realtà in pa-rallelo, entra in campo la seconda commis-

sione, quella dell’Istat, il cui compito è deci-dere come riempire questo quadro con daticoncreti: quali indicatori del benessere inse-rire (il numero di posti letto, la speranza divita, la disoccupazione, ecc.). La terza fasesarà poi la predisposizione congiunta di unrapporto sul progresso del Paese, che verràpubblicato nella seconda metà del 2012. Ilset di indicatori, invece, dovrebbe esserepronto per l’inizio dell’anno prossimo.

Da chi sono composte le due com-missioni?

La commissione Istat-Cnel è formata da rap-presentanti del mondo dell’industria, deisindacati, del terzo settore, ma anche dellasocietà civile, come il Wwf, Italia nostra, Le-gambiente, Sbilanciamoci; oltre a un paio dicomponenti dell’Istat. La commissione del-l’Istat invece è composta da professori uni-versitari, demografi, economisti e statistici.

Qual è l’aspetto nuovo, il cuore diquesti indicatori del benessere?

Dovranno tenere conto anche della soste-

nibilità ambientale e sociale, nonché delconcetto di vulnerabilità. La sostenibilità èimportante, ha a che fare con gli effetti deicomportamenti della generazione attualesulle future generazioni. Ma il pensiero peril futuro necessita un comportamento al-truistico, spesso frenato dal fatto che l’im-patto sul futuro è meno urgente rispetto alpresente. Come diceva Groucho Marx, poiripreso da Woody Allen: «Perché devo oc-cuparmi delle generazioni future? Loro co-s’hanno fatto per me?». Bisogna leggere ilfenomeno al contrario: quale effetto ha ilfuturo su di me? Quanto sono vulnerabile?Bisogna scontare i rischi che la generazioneattuale corre già oggi. Ad esempio: ho un la-voro e una famiglia, ma so che tra sei mesiverrò licenziato. Se oggi mi si chiede comesono le mie condizioni di vita, posso direche sono buone, ma se sconto il futuro, soche la qualità vita peggiorerà. Questa con-sapevolezza rende il mio futuro difficile, maanche il presente vulnerabile. È un fattorecomplicato da inserire tra gli indicatori delbenessere, perché ha a che fare con il calco-lo del rischio. Ma è fondamentale perché al-trimenti si dà la possibilità al politico di tur-no, di vantarsi per ciò che ha fatto in 5 anni,quando in realtà in questo lasso di tempoha distrutto capitale futuro..

IL MERCATO RENDE FELICI? O meglio: che rapporto esiste tra le relazioni economiche di mercato e il benessere degli esseri umani?La domanda alla base della conferenza “Market and happiness”,organizzata l’8 e 9 giugno scorsi dal dipartimento di Economiapolitica dell’università di Milano Bicocca, era intrigante e complessa.Così intrigante da richiamare centinaia di ricercatori, docenti e studenti da ogni parte del mondo. Così complessa da nonprodurre, com’è ovvio, risposte univoche. Ma le suggestioni non sonomancate e alcune delle più fascinose sono venute dalla rilettura di grandi classici quali Smith e Rousseau.

Per Joseph Henrichs, antropologo statunitense, il libero mercatopuò essere un luogo dove si sviluppano virtù morali, vantaggireciproci e capacità di cooperazione. A spiegare il perché, può aiutare la Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith, che ha elaborato una riflessione su come il commercio ponga le personein relazione reciproca secondo il principio della “giusta distanza”.Cioè il commerciante è costretto a sviluppare una serie di virtùmorali e relazionali per il semplice fatto di non essere né troppovicino, né troppo distante rispetto agli individui e agli oggetti con cui si relaziona.

Spostandosi dalla Scozia alla Svizzera si passa a Jean JacquesRousseau, che riflette sul rapporto tra felicità e competizione. Una parte del pensiero del filosofo ginevrino esamina la relazione

tra il nostro modo di essere felici e il nostro rapporto con gli altri. Se a un essere umano viene chiesto quale tra le due sia la situazione più desiderabile - un benessere economico pari a 30,ma inferiore a quello di tutti i suoi conoscenti, oppure un benessereeconomico pari solo a 20, ma con tutti i suoi conoscenti collocati a un livello inferiore - il nostro uomo molto probabilmente sceglierà la B. La competizione sociale è quindi in grado di far perdere di vistail proprio benessere individuale.

Dall’incrocio fra la rilettura di Smith e di Rousseau (studiosi di un tempo in cui filosofia ed economia non erano rigidamenteseparate) si rafforzano due dubbi emersi dalle relazioni iniziali dellaconferenza. Se si parte da ciò che dicono gli economisti tradizionali,ossia che una perfetta concorrenza di mercato garantirebbe il massimo del benessere, come limitare uno dei maggiori effettinegativi di questo sistema, ossia la diseguaglianza sociale e i suoidanni sul benessere? E ancora, com'è possibile realizzare quantoauspicato da Smith in un mondo in cui il mercato non puòstrutturalmente essere perfettamente concorrenziale e ispirato alle “giuste distanze”, vista la tendenza strutturale ai monopoli e alla rendita di posizione che il capitalismo reale storicamenteimpone a tutti i sistemi politico economici?

Appuntamento per gli approfondimenti fra due anni, alla prossimaedizione della conferenza. Massimiliano Lepratti

MERCATO E FELICITÀ LA PAROLA AI CLASSICI

Gli indicatori che integrerannoil tradizionale Pil dovrannotener conto della sostenibilitàambientale e sociale

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Federalismo fi scale e disuguaglianze territoriali: il ruolo dell’Economia Civile14-15 ottobre 2011

www.legiornatedibert inoro. i t

LUCA ANTONINI, GREGORIO ARENA, ALDO BONOMI, CARLO BORGOMEO, LUIGINO BRUNI, GIOVANNI D’ALESSIO, PIER PAOLO DONATI, GIULIO ECCHIA, GIUSEPPE FRANGI, CLAUDIO GAGLIARDI, ENRICO GIOVANNINI, MARCO GRANELLI, VINCENZO MANNINO, FRANCO MARZOCCHI, PIER ANGELO MORI, ANDREA OLIVERO, LUCA PAOLAZZI*, GIULIANO POLETTI, PIER LUIGI SACCO, CHIARA SARACENO, STEFANO ZAMAGNI, FLAVIANO ZANDONAI.

* In attesa di conferma

Per iscrizioni: Segreteria AICCON – tel. 0543.62327 – [email protected]

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iinternazionale La mappa delle grandi opere a spese dell’ambiente >58Guerra non convenzionale: che tempo farà? >60Alexander Langer 2011. Un premio a Dadoue, una vita per Haiti >64

| mega infrastrutture |

Grandi, grandissimee praticamente

inutiliN CLAMOROSO DIETROFRONT. Èquello che la Cina è stata co-stretta a fare lo scorso maggio

a proposito della Diga delle Tre Gole sul fiu-me Yangtze, il più grande impianto idroe-lettrico del mondo, costato oltre 25 miliar-di di dollari e completato nel 2008. “Se daun lato la diga delle Tre Gole è fonte dimolti importanti benefici, ci sono ancoraproblemi da risolvere con urgenza in ma-

teria di trasferimento dei residenti, prote-zione dell’ambiente e prevenzione dei di-sastri ambientali”, si sono clamorosamen-te sbilanciati i vertici del governo cinese.Sul mega sbarramento le autorità dell’exImpero di Mezzo hanno finalmente dovu-to ammettere quanto nugoli di ambientali-sti, ma non solo, denunciano da anni: i ma-stodontici impatti socio-ambientali eidrogeologici collegati alla realizzazione di

un impianto che ha messo in ginocchio unintero ecosistema e provocato lo sfollamen-to di circa due milioni di persone. I 18 milamegawatt di energia prodotti all’anno - il2% del fabbisogno cinese - non sembranopiù giustificare un tale stravolgimento delterritorio e la diga da progetto modello èdieventata un problema.

In particolare sono i periodi di siccitàa preoccupare, visto che incidono in mo-

di Luca Manes

18 mila Megawatt di produzione l’anno, la Digadelle Tre Gole sul fiume Yangtze è il più grande

impianto idroelettrico del mondo.La Cina ha ammesso che la Diga delle Tre Gole, decantata come progetto modello, è invece diventata un problema:ha messo in ginocchio un intero ecosistema e provocato lo sfollamento di circa due milioni di persone.Come molte grandi opere costosissime, localizzate nei Paesi in via di sviluppo e finanziate da Banca mondiale.

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pera. Dal 2002 a oggi le diverse istituzioni fi-nanziarie internazionali hanno già investi-to quasi un miliardo di dollari nella riabili-tazione delle centrali e della esistente lineadi trasmissione elettrica di Inga-Kolwezi,ma la fine dei lavori ancora non si vede e neiprossimi mesi la richiesta di un nuovo pre-stito potrebbe essere discussa dai direttoriesecutivi della Banca mondiale.

Danni all’ambiente, mancati benefici e debitiEppure l’istituzione con sede a Washingtonè in prima fila tra i possibili finanziatori. Legrandi opere infrastrutturali in Africa sonoormai il suo pane quotidiano, se è vero chesolo lo scorso anno ha erogato circa 4 mi-liardi di dollari per la centrale a carbone diMedupi, in Sud Africa. Anche nel settoreestrattivo i progetti modello - come l’oleo-dotto Ciad-Camerun, i cui proventi dove-vano essere destinati a sanità e istruzione esono finiti a ingrossare gli arsenali del presi-dente Idriss Deby - si sono spesso rivelaticlamorosi flop annunciati, almeno dalla so-cietà civile internazionale. Anche in quelcaso la Banca ha fatto mea culpa, sia per leconseguenze negative sull’ambiente cheper i mancati benefici arrecati alle poverecittadinanze locali, per poi continuare nelbusiness as usual come già accaduto con ledighe. Al 1818 di H Street le ricette nonsembrano cambiare mai. Forse perché sonomolto più forti gli interessi dei Paesi ricchi edelle loro multinazionali che quelli dellerealtà più povere del Pianeta. .

do molto pesante sui livelli del bacino ar-tificiale formato dalla diga, che oscilla trai 145 e i 175 metri durante il corso del-l’anno. Tutto ciò destabilizza le spondedel fiume e provoca frequenti crolli. Se-condo gli esperti locali, il processo di ero-sione interessa metà della superficie delbacino e ben 180 chilometri di rive sonoa fortissimo rischio. Si parla già di altri 300mila cittadini da evacuare quanto prima,e non è detto che possa bastare. Insomma,pare che il gioco non valga la candela.

Dighe e Banca mondiale: un amore longevoEppure di grandi dighe al mondo se ne co-struiscono sempre di più. Tra i principalisponsor finanziari e politici di questo tipodi progetti - ma anche di altre mega opereinfrastrutturali di enorme impatto comeoleodotti e gasdotti - c’è senza dubbio laBanca mondiale. La relazione tra i ban-chieri di Washington e il settore idroelet-trico dura ormai da molti anni. Ha avuto isuoi alti e bassi, dovuti essenzialmente amotivi contingenti ma, se ci passate l’e-spressione, il loro amore non è mai sfiori-to, anzi. Certo, negli anni Novanta le cosenon sembravano andare per niente a gon-fie vele. Le proteste e i ricorsi legali controle grandi dighe si sprecavano, sul solcotracciato dagli attivisti indianiche, dei mega sbarramenti nel-la valle del Narmada, non nevolevano proprio sapere. Sim-bolo di quella lotta fu l’opposi-

zione al finanziamento di 450 milioni didollari per la costruzione dell’impianto diSardar Sarovar. La Banca fu “costretta” aistituire una commissione indipendente,la famosa, per essere la prima nel suo ge-nere, Morse Commission. Il risultato diquasi due anni di lavoro fu che nel 1993 laBanca si vide obbligata ad abbandonare ilprogetto. Un evento che, per come si erasviluppato, non aveva precedenti nellastoria dell’istituzione.

L’operato della Commissionemondiale delle dighe Spinta dalla società civile globale, nel 1998la World Bank fece anche di più: istituì unaCommissione mondiale sulle dighe, che

nel dicembre del 2000 rese pubblica lasumma di tutti gli impatti e gli effetti ne-gativi dei mega sbarramenti sparsi per ilmondo. Tanto per citare due dati eclatan-ti: il 75% dei progetti non aveva raggiuntol’obiettivo di produzione elettrica prefissa-to e, soprattutto, le persone sfollate a cau-sa di queste opere si calcolavano tra i 40 egli 80 milioni. La Commissione, di naturaindipendente, fu prima di tutto un’espe-rienza unica di democrazia, visto che rap-presentanti di governi, imprese, organiz-zazioni non governative e movimenti dibase d’opposizione alle dighe effettuaronoricerche e analisi, si sedettero allo stesso ta-volo e discussero vis a vis.

In due anni, anche grazie al lavoro dicoordinamento del segretariato della Com-missione con sede a Città del Capo, in SudAfrica, furono organizzate audizioni in ogniContinente e realizzate diciassette revisionitematiche, otto casi di studio particolari e

due casi Paese più generali. Tra i principi in-novativi, che il rapporto stabilì nelle sueraccomandazioni rivolte ai finanziatori, al-le imprese e ai movimenti indipendenti,c’era l’invito affinché nella pianificazione enella valutazione delle grandi dighe gliaspetti sociali e ambientali dovessero averein futuro pari importanza rispetto a quellieconomici e finanziari.

Purtroppo la Banca, non solo non diedeseguito alle rivoluzionarie raccomandazio-ni della Commissione, ma, passata la buria-na, tornò a finanziare le dighe in manieramassiccia. Nell’ultimo decennio sono stati211 i progetti idroelettrici sostenuti in tuttoil Pianeta, per un investimento di oltre 210miliardi di dollari.

Lavori infinitiTra questi la diga di Nam Theun, in Laos.Costata un miliardo di dollari - la Bancaha messo a disposizione oltre 150 milioni,tra prestiti e garanzie - ha danneggiatouno dei più importanti immissari del fiu-me Mekong e messo a rischio i mezzi disussistenza di almeno 100mila persone(oltre 6mila rilocate in maniera molto ap-prossimativa).

Nonostante la World Bank abbia deglistandard socio-ambientali molto stringenti,ci sono molte realtà della società civile cheaffermano che lo studio di va-lutazione dell’impatto am-bientale sia macchiato da gra-vi irregolarità. L’energiaprodotta da Nam Theun 2 - val

la pena rammentarlo - è destinata in buonaparte alle confinanti industrie thailandesi,per cui nel caso specifico i benefici per la po-polazione locale sarebbero ben pochi.

Un po’ quanto accadrebbe se andasse inporto il faraonico progetto di Grand Inga,nella Repubblica democratica del Congo.Una diga immensa, capace di produrre 40mila megawatt, due volte la portata delleTre Gole in Cina, ma molto più onerosa acausa delle lunghe linee di trasmissione pre-viste. I costi partono da 80 miliardi di dol-lari, ma l’esperienza delle altre dighe Inga 1e 2 e della loro ristrutturazione, attualmen-te in corso proprio su sostegno della Banca,spingono gli addetti ai lavori a non esclu-dere ingenti aumenti dei costi in corso d’o-

WORLD BANK: LA “STRUTTURA OMBRELLO”

L’ISTITUZIONE PUÒ CONTARE su oltre 7mila membri permanenti dello staff, a cui siaggiungono, in media, 4 mila consulenti l’anno. Una forza lavoro dislocata tra Washington, al numero 1818 di H Street - dove si trova la sede centrale - e i 109 Paesi dove l’istituzioneopera in maniera stabile e continua. In realtà la Banca è una sorta di “struttura ombrello” al cui interno operano cinque enti creati nel corso degli anni. I più importanti sonol’International Development Association, che effettua prestiti ai Paesi a medio reddito e a quelli più poveri, e l’International Finance Corporation, che sostiene con i suoi crediti il settore privato. Il totale del budget annuale è ormai calcolato intorno ai 30 miliardi di dollari.

Fondata insieme al suo gemello Fondo monetario internazionale in occasione dellaConferenza di Bretton Woods del 1944, il suo obiettivo primario è ridurre la povertà neiquattro angoli del Pianeta. Sebbene l’istituzione rientri nel sistema delle Nazioni Unite, operain totale indipendenza rispetto all’Onu.

40-80 milioniLE PERSONE SFOLLATE

75%I PROGETTI CHE NON HANNO RAGGIUNTO GLI OBIETTIVI DI PRODUZIONE ELETTRICA STABILITI

211 I PROGETTI IDROELETTRICI FINANZIATI DA BANCA MONDIALEIN TUTTO IL PIANETA NEGLI ULTIMI 10 ANNIPER UN INVESTIMENTO DI OLTRE 210 MILIARDI DI DOLLARI

I NUMERI DELLE DIGHE

Tra i principali sponsor finanziarie politici delle mega opereinfrastrutturali di grandeimpatto c’è Banca mondiale

I proventi dell’oleodotto Ciad-Camerun, destinati a sanità e istruzione, sono serviti per l’arsenale del presidente Deby

Il bacino artificale formato dalla diga ha un’altezzavariabile tra i 145 e i 175 metri, durante il corso

dell’anno. Questo destabilizza gli argini del fiume.

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GRANDI OPERE A SPESE DELL’AMBIENTEa cura di Luca Manes

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LESOTHO HIGHLANDS WATER PROJECT (LHWP),Dopo quello delle Tre Gole in Cina, è il piùgrande progetto di gestione delle acque al mondo nell’omonimo statarello nella parte meridionale del continente africano. Un’opera disegnata per soddisfare i bisogniidrici ed energetici del Sud Africa all’epocadell’apartheid, negli anni Ottanta, e chearriverà a compimento dopo più di undecennio. Un complesso sistema di dighe e tunnel che ha scombussolato un Paese la cui principale risorsa è l’acqua e che inveceda qualche anno a questa parte deve fare i conti con un preoccupante aumento deiperiodi di siccità. Ma il LHWP è stato anchesinonimo di corruzione, tanto che all’inizio delnuovo Millennio una decina di multinazionalioccidentali – tra cui l’italiana Impregilo –sono finite a processo per una brutta storiadi mazzette milionarie a ufficiali pubblici.

BUJAGALI (UGANDA)La piaga della corruzione ha investito anche il progetto di mega sbarramento di Bujagali in Uganda, attualmente in fase di completamento. I ritardi per la suarealizzazione erano, infatti, legati a un giro di bustarelle che, una volta scoperto, ha di fatto portato all’azzeramento del consorziocostruttore. La Banca mondiale è però tornataalla carica e la diga sta ora sorgendo alle fontidel Nilo Bianco. Eppure l’organismo di indagineindipendente della stessa World Bank avevaammonito che l’opera è ad alto rischio. Dopoaver segnalato l’elevata presenza di impattiambientali, l’ente ha ammonito che “non ci sono prove evidenti che la diga possa avereun impatto economico positivo sulle famiglie a più basso reddito. Sarebbe meglio prendere in considerazione la costruzione diun’infrastruttura più piccola e meno rischiosa”.

OLEODOTTO CIAD-CAMERUNI proventi dell’opera finanziata dalla BancaMondiale sarebbero dovuti andare alla sanitàe all’istruzione, ma il presidente Idriss Deby li ha utilizzati per l’acquisto di armi.

GRAND INGA (REPUB. DEMOCRATICA DEL CONGO)Una diga immensa, capace di produrre 40mila megawatt, due volte la portata delleTre Gole in Cina, ma molto più onerosa acausa delle lunghe linee di trasmissionepreviste. Terza diga sul fiume Congo, i suoicosti partono da 80 miliardi di dollari, mal’esperienza delle altre dighe Inga 1 e 2 edella loro ristrutturazione attualmente incorso proprio su sostegno della Banca,spingono gli addetti ai lavori a prevedereingenti aumenti dei costi in corso d’opera.Dal 2002 ad oggi sono già stati spesi unmiliardo di dollari nella riabilitazione dellecentrali e della esistente linea ditrasmissione elettrica di Inga-Kolwezi, mala fine dei lavori è lontana e nei prossimimesi la richiesta di un nuovo prestitopotrebbe essere discussa dai direttoriesecutivi della Banca mondiale.

DIGA DI PAK MUNIn Asia la Banca mondiale ha garantito240 milioni di dollari per questa diga,terminata nel 1994, in Thailandia, unadelle tante opere sorte su affluenti delMekong o sullo stesso grande fiume cheattraversa numerosi Paesi della regione.Pak Mun è uno dei casi esaminati dagliesperti della World Commission on Dams,che hanno potuto riscontrare come tuttele promesse e i tentativi di salvare almenouna parte delle abbondanti riserve ittichedel corso d’acqua non abbiano sortito gli effetti sperati, con tutti i prevedibiliimpatti negativi sull’economia dellecomunità locali.

DIGA DI BUMBUNA (SIERRA LEONE)I banchieri di Washington si sono impegnatianche nel sostegno di questa diga, terminatanel 2009. Le problematiche riscontrate sono simili al caso ugandese (contadinisfollati, energia destinata soprattuttoall’export e cittadinanza locale che rimanespesso al buio), con l’aggiunta di casi di malfunzionamento segnalati dalle realtàlocali. A costruire Bumbuna è statal’impresa italiana Salini, da decenni moltoattiva nel Continente Nero nel compartoidroelettrico.

CENTRALE A CARBONE DI MEDUPI (SUD AFRICA)4 miliardi di euro erogati nel 2010 da Bm

CHIXOY (GUATEMALA)Ancora più drammatica la storia di questoimpianto. Il finanziamento della WorldBank arrivò nel 1978, mentre lo sbarramento fu completato nel 1983, non prima che gli squadroni della morteche spadroneggiavano all’epoca nellazona del Rio Negro avessero trucidatooltre 400 persone della comunità Maya di lingua Achì in quattro singoli episodi,mettendo così fine a ogni possibileprotesta nei confronti della controverseprocedure di reinsediamento. I costi finali del progetto, inoltre, duplicarono (da 1,25 a 2,5 miliardi di dollari), minando la fattibilità economica dell’opera, in cui c’è da registrare il coinvolgimentodell’allora Cogefar-Impresit. Ancor oggi la centrale non fornisce la quantità di energia inizialmente prevista.

DIGA DI NAM THEUN (LAOS)Costata un miliardo di dollari e finanziata per 150milioni dalla Banca mondiale, la maggior partedell’elettricità prodotta serve alla Thailandia.

DIGA DELLE TRE GOLE SUL FIUME YANGTZE

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IL PROGETTO IDROELETTRICO DI YACYRETA Terminata nel 1993 la diga sbarra il fiume Paranà, al confine tra Argentina e Paraguay, ed è uno dei casi piùeclatanti di mancate compensazioniadeguate per cittadinanza sfollata a causa della realizzazione della diga. Le nuove abitazioni fornite si sono rivelate ben presto del tutto inadeguate ai bisogni della famiglie rilocate, per non parlare della mancanza di fognature e altri servizi essenziali, tanto che le cattive condizioni igieniche hannoprovocato la diffusione di varie malattie.

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zioni Haarp (High Frequency Active AuroralResearch Program), una delle quali è localiz-zata in Alaska, dove si svolgono segrete ricer-che militari riguardanti la ionosfera (vedinella pagina seguente). Non sono solo gli Sta-ti Uniti a condurre ricerche in questi campi: inun elenco sicuramente non completo trovia-mo l’Agenzia spaziale europea, gli israeliani, irussi e potenze emergenti come India e Cina.

A questo punto chi di noi è preoccupatodi avere comportamenti responsabili nei con-fronti dell’ambiente per non aumentare l’im-patto umano sui cambiamenti climatici,qualche domanda e molte richieste di chiari-mento deve porle, alla comunità scientificacivile e alle istituzioni più autorevoli, chesembrano completamente disinteressarsi del-l’argomento: il clima è un sistema chiuso, èpossibile che esperimenti per indurre modifi-che del meteo, anche molto localizzate, nonportino conseguenze dannose e imprevedibi-li per tutto il Pianeta? Ridurre o aumentare ar-tificialmente le precipitazioni può mettere inginocchio le economie e minacciare la sussi-stenza delle popolazioni: chi può garantirciche queste forme di guerra non convenzio-nale non vengano adottate anche per scopi difinanza speculativa?

Nella definizione di meteorologia spa-ziale (Space Weather) si spiega che sono stu-di che riguardano “le condizioni del Sole,del vento solare, della magnetosfera, iono-sfera e termosfera che possono influenzarele prestazioni e l’affidabilità dei sistemi tec-nologici spaziali e terrestri e possono mette-re in pericolo la vita o la salute umana”. Sia-mo sicuri che manipolazioni di questiambiti non diano luogo a strumenti troppopericolosi per essere perseguiti? .

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ARE NOIOSE? FACCIAMO

PIOVERE», ha dichiara-to poco tempo fa Ber-

nie Ecclestone, il boss della Formula 1, che,per tenere svegli gli spettatori e attirare nuo-va pubblicità, ha proposto dieci minuti di ac-quazzoni artificiali, con preavviso per i piloti,durante le gare. L’uscita per ora non ha avu-to conseguenze nell’ambiente automobilisti-co, ma controllare le condizioni atmosferichein particolari situazioni è al centro di moltiinteressi, soprattutto militari.

L’Air Force statunitense il 17 giugno1996 ha pubblicato uno studio dal titoloWeather as a Force Multiplier: Owning theWeather in 2025 (Meteo come moltiplicato-re della forza: possedere il tempo nel 2025).Commissionato dal dipartimen-to della Difesa e con la premessache le modificazioni del tempohanno implicazioni non inferioria quelle dell’utilizzo dell’atomo,

Possedere il meteo è un concetto ambizioso e non senzaconseguenze: è giusto che restino segrete sperimentazioni che potrebbero esseredannose per il Pianeta e per la salute umana? È giusto che ambienti come laionosfera siano considerati territori di conquista e comando?

Condotte in segreto, alimentano la paura e il sospetto.

di Paola Baiocchi

Che tempo farà?

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Quellericerchemilitari così pococivili

La Difesa sta svolgendo ricerche in campi che sono sempre staticivili e questo ha molte criticità

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Fabio MiniLa guerra dopo la guerra. Soldati,burocrati e mercenarinell’epoca della pace virtualeEinaudi, 2003

Durschmied ErikIl Generale Inverno.Come i capricci del clima hanno vinto le guerrePiemme editore, 2005

LIBRI

di Paola Baiocchi

QUANTO COSTANO I CAMBIAMENTI CLIMATICI?

LA COMPAGNIA DI RIASSICURAZIONE Munich Re redigeannualmente un report sulle conseguenze delle catastrofi naturali. Il rapporto 2010 fotografa uno degli anni più caldi dal 1850, conprecipitazioni da record e un’ulteriore diminuzione della calottaartica. L’estensione media della banchisa polare artica ha raggiuntonel mese di settembre il terzo valore più basso dal 1979, quando è iniziata la raccolta dei dati. Il 2010 è stato l’anno con il secondomaggior numero di catastrofi naturali dal 1980: sono stati 960 glieventi disastrosi documentati nel 2010, mentre la media dell’ultimodecennio è di 785 eventi all’anno. Le perdite totali ammontano a circa 150 miliardi di dollari. www.munichre.com

L GENERALE FABIO MINI ha un lungo curriculum denso diincarichi: portavoce del capo di stato maggiore dell’E-sercito e della Difesa, ufficiale addetto alla pubblicainformazione della Nato, ha comandato la Brigata Le-gnano durante l’operazione Vespri siciliani in Siciliacontro la criminalità organizzata. È stato addetto mili-tare a Pechino per tre anni, ha avuto il comando delKfor, il contingente internazionale in Kosovo e moltoaltro ancora. Da tempo Fabio Mini avverte che la guer-ra ambientale è una realtà, a dispetto della convenzio-ne Enmod dell’Onu del 1977, che proibisce l’uso mili-tare e ostile delle modificazioni ambientali.

Generale, negli ultimi venti anni c’è stato un in-cremento degli eventi atmosferici catastrofici e iclimatologi prevedono che l’aumento continuerànei prossimi vent’anni. C’è già lo zampino degliesperimenti sul meteo?

Questi eventi stanno colpendo proprio chi conduce le spe-rimentazioni, non credo che le rivolgano contro se stessi.

Perché gli Stati Uniti nel 1996 hanno pubblicatoOwning the Weather?

È stato un avvertimento e un annuncio di potenza tecno-logica, nel conseguimento di risultati nel campo delle mo-difiche meteo.

C’è una separazione profonda tra la ricerca civilee quella militare, non le sembra pericolosa? So-prattutto ora, in epoca di privatizzazione della Di-fesa e della Ricerca?

La Difesa sta svolgendo ricerche in campi che sono sem-pre stati civili e questo ha molte criticità: intanto perchérestano segrete, poi perché le ricerche militari vanno avan-ti con meno pregiudizi, ma ne anticipano gli impieghi an-che se distruttivi e prima di averne conosciuto tutte le con-seguenze. Haarp sta svolgendo ricerche finanziate dalla

| internazionale | guerra non convenzionale | | internazionale |

ta, per esempio, la dispersione nell’atmosferadi polveri di carbonio per mezzo di aerei sen-za pilota e invisibili ai radar. Più volte leggen-do il rapporto bisogna ricordarsi che quelloche si ha per le mani è un documento ufficia-le degli Stati Uniti (vedi ), perché alcu-ni passaggi sembrano la sceneggiatura di unfilm di 007: soprattutto nelle parti in cui si im-maginano, con un certo entusiasmo, alcunisviluppi delle nanotecnologie per creare simu-lated weather - condizioni meteo simulate -con nuvole fatte di microscopici computer in-terconnessi tra di loro, che potrebbero avere“una vasta gamma di proprietà” e “un poten-ziale per operazioni psicologiche che, in mol-te situazioni, sarebbe fantastico”.

La frontiera sopra le nostre testeLa parte più strategica di Owning the Weathercomunica che la “modifica della ionosfera permigliorare o interrompere le comunicazioni èrecentemente diventata oggetto di ricerca at-tiva”. È immediato il collegamento con le sta-

INTERVISTA

Owning the Weather spiega quali sono i con-cetti, le capacità e le tecnologie che gli Usastanno esplorando e sulle quali vogliono ag-giudicarsi l’egemonia, necessaria perché“mentre gli sforzi offensivi di modifica delmeteo sarebbero certamente presi dagli Sta-ti Uniti con grande cautela e trepidazione, èchiaro che non possiamo permettere che unavversario ottenga le stesse capacità”.

Meteo artificiale“Gli interventi - scrive il rapporto statuniten-se - potrebbero essere programmati per modi-ficare il tempo in un considerevole numero dimodi, come influenzare le nubi e le precipita-zioni, l’intensità delle tempeste, il clima, lospazio o la nebbia”. Tra le tecniche più sicuree più convenienti nella relazione causa-effet-to per aumentare le precipitazioni lo studio ci-

Gli interventi potrebbero essereprogrammati per influenzare le nubi, le precipitazioni o l’intensità delle tempeste

Per scaricare Weather as a Force Multiplier:Owning the Weather in 2025:

csat.au.af.mil/2025/volume3/vol3ch15.pdf

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Debellato il vaiolo, ma non nei laboratori

A GUERRA VIENE COMBATTUTA inmolte forme e quella batteriolo-gica non è una novità: nel IV se-

colo a.C. Tucidide attribuisce lo scoppio del-l’epidemia di peste nella quale morì anchePericle, all’avvelenamento dell’acqua deipozzi ad opera degli spartani. Non sappia-mo se siano stati i nemici degli ateniesi adiffondere la malattia, mentre è certo chenel 1763 gli inglesi distribuirono intenzio-nalmente agli indiani Delaware coperte in-fettate dal vaiolo, provenienti da un Fortedove era in corso un’epidemia: in una lette-ra indirizzata a un suo sottoposto, il gene-rale Jeffrey Amherst, dichiara di approvareil piano per decimare gli indiani, aggiun-gendo di "utilizzare qualsiasi altro metodoutile a estirpare questa esecrabile razza".

Il vaiolo, che ha contribuito alla scon-

fitta dei nativi americani, dopo decenni divalida collaborazione internazionale è sta-to debellato nel 1977. Ma ne restano anco-ra centinaia di campioni vivi in due labo-ratori di massima sicurezza negli Stati Unitie in Russia (prima Urss), che li hanno rice-vuti dall’Organizzazione mondiale per lasanità (Oms). L’Organizzazione raccoman-da la distruzione degli stock dal 1986, te-mendo la possibilità del rilascio accidenta-le (e non) del virus: l’ultimo caso registratodi vaiolo, nel 1978, ha avuto origine pro-prio da un incidente di laboratorio, ma gliStati Uniti si oppongono.

Alla 64ma Assemblea mondiale della sa-nità riunita a maggio a Ginevra, il tema èstato ripresentato, ma si è rinviata la deci-sione della distruzione al 2014, anche se nelfrattempo nessuno è autorizzato a procede-re con ricerche sul virus vivo.

A Monica Zoppè, biologa ricercatrice

di Paola Baiocchi

La malattia è eradicata dal 1977, ma restano centinaia di campioni vivi del virus negli Usa e in Russia.

L

HAARP E LA IONOSFERA

CON IL TERMINE IONOSFERA si intende la regione dell’alta atmosfera che si estende da 50 a 1000 km circa sopra la superficie terrestre in cui la densitàdi elettroni e ioni liberi raggiunge valori fisicamente rilevanti tali da influenzaresensibilmente l’indice di rifrazione delle radioonde. Tale ionizzazione è prodottaprincipalmente dalle radiazioni ultraviolette e, in misura minore, dai raggi Xprovenienti dal Sole. A causa della sua estrema sensibilità nei confronti di fenomeni atmosferici di vario tipo, la ionosfera può essere utilizzata come un sensibile indicatore di variazioni atmosferiche. Haarp, il programma di studiofinanziato da Us Air force, da Us Navy, dalla University of Alaska e dal Defenceadvanced research projects agency (Darpa), gestisce un sito a Gakona nell’Alaska.Haarp è in grado di inviare onde radio nella ionosfera: le onde, colpendo la ionosfera, la riscaldano causando delle perturbazioni, simili a quelle provocatedalla radiazione solare. Le ricerche di Haarp riguardano le comunicazioni radio a lunga distanza e le comunicazioni con i sottomarini, per le quali l’uso di onderadio riflesse dalla ionosfera sembrano essere fondamentali. Pa. Bai.

del Cnr, abbiamo chiesto se conservare ilvaiolo abbia qualche valenza scientificao possa, invece, far intravvedere la vo-lontà di Big Pharma: «Non c’è nessunanecessità di salute pubblica nel mante-nere gli stock: il virus non è necessarioper curare l’infezione nel caso di un’epi-demia, e anche per il vaccino si utilizza ilvirus vaccinia, un parente del vaiolo, chenon è mortale per l’essere umano. Alcontrario mantenendo i campioni vivi cisi espone al rischio di un rilascio, acci-dentale o intenzionale (non dimenti-chiamo, per esempio, che le famose ‘let-tere all’antrace’ del 2001 furono opera diun ricercatore autorizzato). La popola-zione, non più vaccinata da molti anni,sarebbe esposta al rischio di contagio. Aquel punto – conclude Monica Zoppè –chi avesse i vaccini pronti avrebbe in ma-no la situazione». .

Acquadepurata:“basta” la luce

NA LAMPADA A RAGGI ULTRAVIO-LETTI da 40 watt. Per inten-derci, poco meno di quanto

consuma un comune lampadario per usodomestico. E dal peso di otto chili scarsi.È difficile immaginare che questa sia la de-scrizione - certo un po’ semplificata - di uninnovativo metodo per la depurazionedell’acqua di cui beneficiano 300 milapersone nella regione indiana dell’Andh-ra Pradesh. Ma a certificarlo è l’Ufficio eu-ropeo dei brevetti, che a maggio ha pre-miato il professor Ashok Gadgil, padre diquesto dispositivo.

Nato in India, ma da anni in Califor-nia, dapprima per frequentare e poi perinsegnare all’università di Berkeley, Gad-gil già da tempo studiava le potenzialitàdisinfettanti della luce. Ma nel 1993 un’e-pidemia di colera (che si trasmette proprio

di Valentina Neri

tramite l’acqua contaminata) ha provoca-to la morte di circa 10 mila persone inAsia: e lui è tornato al suo Paese natale perintraprendere una lunga sperimentazionecol collega Vikas Garud.

La sua lampada emette raggi ultravio-letti che si trasmettono tramite l’acqua,vengono assorbiti dal Dna degli agentipatogeni e ne bloccano la riproduzione.Fermando, così, il propagarsi della ma-lattia. Ma la componente davvero rivo-luzionaria è un’altra: a differenza di altridispositivi simili non c’è bisogno di com-plicati sistemi di pompe, perché la lam-pada, collocata sopra le cisterne, sfruttala forza idrostatica e la gravità. E consu-ma talmente poco da poter essere ali-mentata anche dalla batteria di un’autoo da un pannello solare.

Il punto è proprio questo. I metodi di

Una lampada a raggi ultravioletti per bloccare la riproduzione

degli agenti patogeni. Un dispositivo efficiente, che può esserecollegato alla batteria di un’auto nei villaggi non collegati alla rete elettrica.

approvvigionamento e depurazione del-l’acqua esistono da decenni, ma nei Paesiin via di sviluppo ciò che serve davverosono soluzioni semplici, efficaci, a bassocosto e gestibili dai cittadini in prima per-sona, svincolandoli dalla dipendenza dal-le Ong internazionali.

C’è bisognodi progetti sempliciCome le 1.700 PlayPump che fornisconoacqua a oltre 2 milioni di persone in Afri-ca: sono giostre per bambini collegate acondotte che estraggono l’acqua dal sot-tosuolo e la conservano in cisterne.

Oppure la Life Saver Bottle dell’inge-gnere statunitense Michael Pritchard, chea prima vista sembra poco più di una co-mune borraccia, ma è in grado di filtraretutto ciò che supera i 15 nanometri: bat-teri, virus, funghi, parassiti. Ottenendo inpochi secondi acqua sterile. Una bottigliapuò sanificare fra i 4 e i 6 mila litri d’ac-qua. Mentre la tanica arriva a 25 mila litri,sufficienti per una famiglia di quattro per-sone per tre anni, al costo di mezzo cen-tesimo di dollaro al giorno.

Capita anche di non dover combatte-re “solo” contro la scarsità di risorse e lecondizioni ambientali. Ne sa qualcosaRajendra Singh, che diverse volte negli ul-timi vent’anni si è trovato ai ferri corti coni governi che vedevano con sospetto il suointervento. Ma sono stati i fatti a parlare.E questo ex medico ayurvedico, senzaaver studiato ingegneria, ma sfruttandosemplicemente le conoscenze tramandatedalla tradizione, negli anni è diventato unvero e proprio punto di riferimento per lapopolazione. E la sua Ong Tarun BharatSangh offre consulenza e aiuto a chi hadeciso di non stare più a guardare e inter-venire in prima persona per il diritto uni-versale all’“oro blu”. .

U

NOTA

ALCUNE DELLE STORIE contenute nell’articolosono raccontate nel documentario “Flow - For love of water” (2008), diretto da Irene Salina e premiato in diversi festivalinternazionali. Il film supporta la campagnaArticolo 31 (www.article31.org) che chiedealle Nazioni unite di aggiungere allaDichiarazione universale dei diritti umani un nuovo articolo sul diritto all’acqua.

NUMERI SIGNIFICATIVI

TALVOLTA I NUMERI SONO UTILI a capire anche problemi complessi e lontani dalla nostraquotidianità. Attualmente sono 884 milioni le persone che non hanno accesso all’acquapotabile: come dire la somma degli abitanti di Usa, Canada, Unione europea e Australia. E sono 1,7 miliardi quelle che non hanno a disposizione i servizi sanitari di base. Dimezzarequeste cifre è l’obiettivo del Millennio al quale Oms e Unicef hanno dedicato il decennio2005-2015. Per riuscirci sono necessari 11,3 miliardi di dollari ogni anno: un altro numeroche può spaventare. Ma, ci insegnano gli economisti, le risorse (seppur scarse) ci sono:tutto sta nello scegliere come allocarle. Negli ultimi due anni il Regno Unito ha speso quasisei volte tanto per salvare due banche; gli Stati Uniti hanno sborsato 50 miliardi per la solaGeneral Motors; e si potrebbe continuare a lungo. Volendo fare un calcolo solo economico(fermo restando il fatto che il valore delle vite umane non si può tradurre in cifre), risolverel’emergenza idrica significa evitare a ragazzi e adulti lunghi tragitti per procurarsi l’acqua(guadagnando ore di scuola e lavoro), diminuire le spese sanitarie, favorire l’agricoltura.Insomma, risollevare le economie di interi Paesi. Secondo le stime di Oms e Unicef, ogni dollaro investito allo scopo ne può fruttare da un minimo di 3 a un massimo di 84.

Difesa, ma dice che non avranno applicazioni militari. Iomi chiedo: quale amministrazione farebbe questo? Ren-diamo trasparenti queste ricerche e poi sarà la gente a va-lutare se sono giuste o no. Finché restano nel chiuso ali-mentano il teorema della paura: e se la gente è spaventatapaga per non aver paura oppure chiude gli occhi.

Utilizzare ingenti risorse per la ricerca militare, lesottrae ad altri campi come l’educazione.

La scelta di come utilizzare le risorse è fondamentale, so-

prattutto quando scarseggiano. È fantastica la prospettivadi utilizzare la ionosfera come conduzione per girare in-torno alla Terra con le comunicazioni, senza passare per lospazio. Ma immettere delle onde radio, quando sappiamoche già i cellulari possono provocare il tumore, non po-trebbe indurre uno scompenso di vasta portata?

Sembra letteratura di fantascienza.Attenzione, perché certi letterati sono solo persone piùinformate.. Il generale

Fabio Mini.

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COSTI DELLE CATASTROFI NATURALIGRANDI E DEVASTANTI (1980-2010)PERDITE COMPLESSIVE E ASSICURATE NELLE CATASTROFI NATURALI “GRANDI” E “DEVASTANTI” (VALORI ADEGUATI AL 2010)

1980 1985 1990 1995 2000 2005

Perdite totali

Di cui danni assicurati

Tendenza: perdite totali

Tendenza: danni assicurati

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Etica, è andato all’associazione haitianaFddpa (Fos pou defann dwa payzans aysien,cioè Forza per la difesa dei diritti dei con-tadini haitiani).

Contadini attivi Elane Printemps “Dadoue”, nataa Môle Saint Nicolas (nel NordOvest dell’isola) durante la ditta-tura Duvalier, a soli vent’anni de-cise di lasciarsi alle spalle la vita si-cura e privilegiata del convento dellesuore teresiane per aiutare i suoi compaesa-ni a migliorare le proprie condizioni di vi-ta. A Dofiné (nella quinta sezione della pro-

vincia di Verrettes, nel dipartimento del-l’Artibonite), un’area di montagna partico-larmente arida e isolata, nel 1985 fonda unascuola primaria, il primo centro d’istruzio-ne della zona, e attiva programmi di alfabe-tizzazione dei bambini e, poi, degli adulti.La popolazione di questi villaggi inizia cosìa sentirsi parte del tessuto sociale, attivan-dosi per trovare soluzioni concrete in grado

di affrontare la miseria e l’assenzadello Stato. Nasce l’organizza-

zione laica locale dei contadi-ni, la Fddpa, impegnata nellalotta per il recupero della ter-ra, tuttora nelle mani dei

grandi proprietari terrieri, pro-tetti dai governi che si sono suc-

ceduti. Una battaglia lunga e diffici-le per un gruppo sociale con poche risorse,ma capace di creare una fitta rete di solida-rietà e scambio tra le diverse realtà rurali, fa-vorendo progetti agricoli sostenibili, av-viando sistemi di irrigazione, nel tentativodi incentivare la produzione per l’auto-consumo e sviluppare - attraverso il lavorocollettivo - vivai per la riforestazione. Ob-biettivo: garantire il sostentamento, con-trastando l’esodo verso le città che, spesso,si traduce in una vita di sussistenza condot-ta in immense bidonville.

Donne in prima linea È un movimento ad alto tasso di mobilita-zione femminile l’Fddpa. Le donne si sonoorganizzate al suo interno in cooperativesostenute dal microcredito e nate per la ge-

N IMPEGNO che si èespresso in modoampio, prima e oltre

lo sforzo di ricostruzione del dopo terre-moto, con i programmi di alfabetizzazionee la creazione di pozzi, per generare unnuovo assetto politico che favorisca le mi-noranze nel contesto haitiano: per trovareun ponte - come direbbe Alexander Langer- diventando cittadini attivi attraverso pic-cole azioni e soluzioni alternative». CosìSarah Trevisiol, della Fondazione Alexan-der Langer Stiftung, sintetizza in parte ilsenso dell’assegnazione del premio di que-st’anno che, sostenuto da Banca Popolare

Premio Alexander Langer 2011 all’associazione haitiana Fddpa,in memoria di Elane Printemps “Dadoue”. Un premio alla cittadinanzaattiva che resiste ai grandi proprietari e lotta per il riscatto delle minoranze.

Un premio a DadoueUna vita per Haiti

stione di beni di prima necessità: un pani-ficio, l’allevamento di piccoli animali, lalavorazione di prodotti agricoli, il piccolocommercio.

Ma non solo. Un’attenzione particolareè stata data ai corsi di formazione profes-sionale e alle borse di studio, nonché allescuole e ai programmi di alfabetizzazione,estesi anche a Katienne e Fondòl. In cam-po sanitario, poi, Dadoue ha avviato uncentro mirato principalmente alla cura deimalati di Aids, mentre l’Fddpa insegna allapopolazione l’importanza delle normeigieniche, offre vaccini e distribuisce far-maci a costi simbolici negli ambulatori cli-nici di Fondol, Dofiné e Malingue, cercan-do al contempo di recuperare e integrare isaperi della medicina tradizionale, per nonperdere il contatto col territorio. Dadoue siè inoltre sempre presa cura personalmentedi bambini svantaggiati, orfani o con si-

tuazioni familiari difficili, accogliendolinella propria casa.

Effetto terremotoHaiti non dimenticherà facilmente il 12gennaio 2010, giorno in cui un sisma si è ab-battuto sull’isola provocando distruzione(ancora ben visibile) e migliaia di morti (al-cune stime parlano di 260 mila persone). Unterremoto che ha risvegliato l’attenzione delmondo e delle grandi organizzazioni inter-nazionali (vedi Valori n. 86). Di fronte a unasostanziale assenza del governo e all’ineffi-cacia di quella parte dei soccorsi internazio-nali d’emergenza che ha ignorato le reti so-ciali locali, Dadoue e diversi movimenticivici dell’isola hanno gridato la loro de-nuncia. L’Fddpa ha nel frattempo organiz-zato una campagna per raccogliere fondi esostenere la popolazione colpita dal sisma,accompagnando associazioni mediche este-

re verso le località più colpite o isolate, re-candosi a curare gli sfollati nei campi auto-gestiti dalle reti popolari e organizzando ladistribuzione di prodotti alimentari localitra la popolazione terremotata.

Assieme all’istituto Idepac (Institutodominicano de educacion para la accioncomunitaria) e alla Rete di solidarietà in-ternazionale “Radié Resch” di Padova,l’Fddpa é impegnata attualmente nell’in-stallazione di pannelli fotovoltaici per l’au-toproduzione di energia elettrica e nella co-struzione di pozzi per garantire l’accessoall’acqua potabile.

Uno sforzo, quello dell’associazione edella sua fondatrice, che non si è mai fer-mato, insomma, ma che di Dadoue ha do-vuto fare a meno dal 24 aprile del 2010,quando la donna è rimasta uccisa in un’ag-gressione a scopo di rapina a Cité Soleil, bi-donville alla periferia di Port-au-Prince. .

Formazione professionale, borse di studio,alfabetizzazione degli adulti e scuole per i bambini, sono alcune delle attività della Fddpa, premio Alexander Langer 2011.

«U

IN INTERNET

Fondazione Alexander Langer Stiftungwww.alexanderlanger.org Rete Radie Resch www.reterr.it

MOLTI INCONTRI NELLA BOLZANO “EUROMEDITERRANEA”

LA MANIFESTAZIONE EUROMEDITERRANEA, quest’anno dal 30 giugno al 2 luglio, è l’annuale momento di sintesi dei molti filoni d’impegnosociale della Fondazione Alexander Langer, ed è anche teatro della consegna del Premio internazionale Alexander Langer 2011 ai rappresentantidell’Fddpa: per l’occasione sono infatti venuti in Italia Jean Bonnélus, attuale presidente di Fddpa, sua moglie Martine Mercier, responsabiledella rete di cooperative di donne, e Silius Pierre, coordinatore del sistema educativo. Euromediterranea 2011 ha inoltre rivolto particolare attenzioneall’impegno della Fondazione per la convivenza nei Balcani: dal 2005 è attivo il progetto Adopt Srebrenica, promosso in partenariato conl’associazione Tuzlanska Amica in Bosnia Erzegovina, con l’obiettivo di costruire legami duraturi tra il Sudtirolo, la Bosnia Erzegovina e la città diSrebrenica, promuovendo a Srebrenica un processo di confidence building (costruzione di fiducia, ndt) e di dialogo tra giovani dei diversi gruppi, perfavorire la crescita di una cultura di pace e di trasformazione nonviolenta dei conflitti, contribuendo alla nascita di un centro interculturale di incontro,ricerca e documentazione. A ciò si aggiunge anche un’altra attività importante della Fondazione, sempre in tema di mediazione dei conflitti, checonsiste nella partecipazione alla realizzazione del master dell’università di Bologna per “Mediatori dei conflitti: operatori di pace internazionali”, natoa partire dalla proposta di Langer, avanzata al Parlamento Europeo nel 1992, di istituire un Corpo civile di pace europeo da inviare in aree di conflitto.Alcuni studenti usciti dal master vengono poi messi al lavoro nel campo della mediazione interetnica locale anche in Italia, nel Sudtirolo.

ALEXANDER LANGER

NATO A VIPITENO in Alto Adige, il 22 febbraio 1946. Dal 1978 viene eletto per tre legislature in Consiglio provinciale di Bolzano nella lista Neue Linke/Nuova sinistra prima, e in quella VerdeAlternativa dal 1988. Negli anni ‘80 è tra i promotori del movimento politico dei Verdi in Italia e in Europa. Eletto deputato al Parlamento europeo nel 1989, diventa primo presidente del neo-costituito Gruppo Verde e s’impegna soprattutto per una politica estera di pace, per relazioni più giuste Nord/Sud ed Est/Ovest, per la conversione ecologica della società,dell’economia e degli stili di vita. Dopo la caduta del muro di Berlino aumenta via via il suosforzo per contrastare i contrapposti nazionalismi, sostenendo le forze di conciliazioneinteretnica nei territori dell’ex-Jugoslavia. Al censimento del 1981 e 1991 Alexander Langer, che si era sempre dichiarato di madre lingua tedesca, rifiuta di aderire al censimento nominativo che rafforza la politica di divisione etnica. Con questo pretesto, nel maggio ‘95, viene esclusodalla candidatura a Sindaco di Bolzano, la sua città. Si toglie la vita il 3 luglio 1995, a 49 anni.

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di Corrado Fontana

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| news |altrevoci

OCSE,«SNOBBATE LE REGOLE ANTI-CORRUZIONE»

Bisogna porre i Paesimembri dell’Ocse sottopressione, affinché si impegnino a rispettare laconvenzione anti-corruzioneemanata dallo stessoistituto internazionale. A chiederlo è TransparencyInternational, associazioneche si batte per la trasparenza e la legalità,che ha sottolineato come,fino ad ora, solamente un pugno di Stati possa diredi aver ottemperato alledirettive dell’organismo diParigi. Su 37 Paesi firmatarisolamente sette (tra i qualila Germania, l’Italia e gli Stati Uniti) applicano«seriamente» il documento.Un rispetto solo «moderato»delle consegne è statoinvece riscontrato in novecasi, tra i quali figuranoquelli di Francia, Belgio e Svezia. Per gli altri si tratta di una bocciatura.L’organizzazione nongovernativa ha pubblicatoanche un rapporto nel qualesi sottolinea come sul temanon siano stati effettuatipassi in avanti nel corsodell’ultimo anno. «Il dato cheabbiamo constatato rischiadi suggerire un pericolosostop nella lotta allacorruzione», ha specificatoin un comunicatol’associazione, la cui sede è nella capitale dellaGermania, Berlino.

USA, CAUSEMILIARDARIECONTRO BANCHEE IMPRESE

Secondo il sitocorporatecrimereporter.comsono almeno dieci le causerelative al False Claim Actche potrebbero concludersicon maxi-rimborsi da oltre un miliardo di dollari ciascuno.Tale legge federalepermette a qualsiasicittadino di denunciare le dichiarazioni ingannevolida parte delle aziende:queste, se ritenutecolpevoli, devono restituireallo Stato tutti i soldi che -si calcola - gli hannosottratto, con un compensoanche per chi hadenunciato la frode.E un patteggiamento da un miliardo di dollari,secondo Patrick Burnsdell’associazione TaxpayersAgainst Fraud, non è piùuna circostanza cosìinsolita. Attualmente, sonocoinvolte in contesegiudiziarie a nove zerisoprattutto banche e società farmaceutiche.Burns avverte: alle grandiaziende conviene correre al tavolo dei patteggiamenti,perché gli americani - che con la crisi finanziaria hanno pagato in prima persona i lorocomportamentiirresponsabili - sonosempre più consapevoli. E sempre meno propensi a “lasciar correre”.

TUMORI E TELEFONINI: IL RISCHIO RADDOPPIA SE LE AZIENDE “PAGANO” LE RICERCHE

Negli studi sul rapporto tra cellulari e tumori, il fattore determinante potrebbe essere quellodei condizionamenti economici. Delle grandi aziende su chi fa ricerca. Mentre tutti i giornali sparavano la notiziadella (timida) retromarcia dell’Oms, che hadefinito “potenzialmente cancerogeni” i telefonini, un gruppo di epidemiologi italiani,guidati da Angelo Levis, ha evidenziato un aspetto ben più interessante: gli studieffettuati “in cieco” (in cui, cioè, i ricercatorinon sono a conoscenza se un soggetto facciaparte del gruppo degli esposti a un fattorecancerogeno o del gruppo di controllo) e non finanziati dalle aziende mostrano una correlazione positiva tra uso prolungatodei cellulari e aumento dei tumori del nervoacustico. Gli studi non “in cieco” invece nonmostrano correlazioni. E finiscono quindi per assolvere i telefonini.

I ricercatori italiani, spulciando i dati degli studi pubblicati finora, hanno scoperto che le ricerche che danno esito negativo sonobasate su gruppi eterogenei di popolazione e considerano periodi di esposizione troppobrevi. Spiega Valerio Gennaro, epidemiologodell’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro: «Se si scompongono i dati e si concentra l’attenzione sulla popolazionealtamente esposta (oltre le 4 ore al giorno di uso dei cellulari), per un periodo maggiore di 10 anni, si nota che il rischio di tumori cerebrali monolaterali raddoppiarispetto agli altri».

SEC, UN NUOVADISCIPLINASUGLI INFORMATORI

In diverse occasioni la Sec statunitense è stataaccusata di non essereabbastanza incisiva. Ma il 25 maggio è stataapprovata la nuovadisciplina sugli informatori,che dovrebbe segnare unasvolta, rivedendo moltenorme proposte in seguitoal Dodd-Frank Act. Il whistle-blower program prevede un bonus per i dipendenti di un’azienda che si affidano dapprima ai canali “interni” per relazionare su un’attivitàsospetta e in seguito fanno rapporto alla Sec. Una misura che risponde ai reclami dei gruppiindustriali, che temevano di vedere vanificati i propriinvestimenti milionari nei sistemi interni. E un notevole ampliamentodei poteri dell’authority, chefinora poteva ricompensaregli informatori solo nei casi di insider trading, e solo per il 10% del totale dei risarcimenti accordati. Ora, invece, la percentualepuò salire fino al 30% in caso le sanzioni superinoil milione di dollari. La presidente MarySchapiro è stata moltochiara: tali collaborazionisono preziosissimesoprattutto perchél’agenzia, di per sé, harisorse limitate. Ma nonmancano le controversie:hanno espresso un votocontrario i due commissarirepubblicani, che temonoche le ricompense possanodare origine a un’ondata di denunce difficili da verificare e gestire.

FRANCIA:COMMISSIONED’INCHIESTA SUIPRESTITI TOSSICI

L’Assemblea nazionalefrancese ha concesso il vialibera all’istituzione di unacommissione d’inchiestasui cosiddetti prestiti“tossici” concessi alleamministrazioni locali negli anni precedentiall’esplosione della crisiglobale. La decisione è stataassunta all’unanimità dalla commissione Finanzedel parlamento transalpino.Al nuovo organismo sarà chiesto di studiare, ha spiegato il deputatosocialista ClaudeBartolone: «le condizionialle quali le linee di credito,i finanziamenti strutturati,così come altri prodottipericolosi sono staticoncessi dagli istituti di credito alla collettività.Ovvero non solo alleamministrazioni, ma anchealle imprese pubblichelocali». Dovrà essere inoltrefornita un’indicazione circal’impatto di tali strumentifinanziari sui conti statali.La Corte dei Conti di Parigi,nei suoi rapporti pubblicatinel 2009 e nel 2010, ha stigmatizzato la scarsatrasparenza dei contrattisiglati dalle banche e dagliamministratori territoriali.Nel febbraio scorso il dipartimento di Seine-Saint-Denis ha annunciatol’intenzione di denunciaretre istituti di credito per taleragione, sottolineandocome in alcuni casi i tassi di interesse sianopassati in breve tempodall’1,47% al 24,2%.

IL RINCARODELLE MATERIEPRIME SPINGE IL CIBO LOW COST

I prezzi delle commodities(beni alimentari e carburanti)sono stati preda di unaimpennata, che - alimentatain gran parte dai movimentispeculativi dell’alta finanza -si è fatta sentire pesantementenelle tasche dei consumatori.E, spiega un’analisidell’agenzia Bloomberg, gli statunitensi hanno benpoca fiducia nella ripresadalla crisi: tendono a rimandare gli acquistiimportanti e, per le piccolespese, affollano le corsie dei grandi magazzini Wal-Marte le migliaia di McDonald’ssparsi in tutto il Paese. Per la prima volta negli ultimitre trimestri le prospettive di spesa nei fast food hannosuperato quelle deiristoranti; e, a partire daaprile, l’indice di Bloombergche misura l’andamento dei grandi centri commerciali(principalmente Wal-Mart,Costco e BJ’s) ha segnato un +3%. Nello stessoperiodo, l’S&P 500 è calato del 4%.

NINTENDO, APPLEE BLACKBERRY:SCONTROFRA TITANI

Videogiochi e smartphon si spartiscono una fettaenorme del mercatotecnologico. Colossi comeNintendo e Blackberry, finorainattaccabili, hanno trovatoun nuovo concorrente capacedi invadere ogni campo:Apple, attraverso il boomdelle vendite di iPhone e di accessi ad App store.Dan O’Leary, fondatore di N-space (che sviluppagiochi per Nintendo DS e Wii)ha dichiarato sul suo blogche il mercato dei videogiochista subendo profondicambiamenti a causa diiPhone, costringendo O’Learya numerosi licenziamenti. Perquanto riguarda Blackberry,invece, la concorrenza di iPhone e Android (la piattaforma su cui si basa il software di iPhone)si fa sentire nelle casse di RIM (concorrente diAndroid). L’azienda canadese ha annunciato un calo del 12% nei ricavi del primotrimestre 2012 rispetto ai tre mesi precedenti.

NO LOGO DOVE LA BENZINA COSTA MENO

Il distributore è piccolo e la fila delle macchineche aspettano di fare benzina si attorciglia, ma nessuno si inquieta. Le automobili sonotante come quando viene annunciato unosciopero dei benzinai e ci precipitiamo a farescorte per non restare a piedi. Ma è unagiornata normalissima e la coda c’è perché si tratta di un benzinaio “no logo” e qui si risparmiano 10 o 12 centesimi al litro perbenzina o gasolio; i proprietari del distributorehanno scelto di non affiliarsi in esclusiva a unacompagnia, ma di comprare i carburanti dalmigliore offerente.

Al posto però di un’insegna generica - questidistributori si chiamano anche pompe bianche -qui siamo a Pisa e la scelta non poteva che cadere sul simbolo più amato nella cittàdella Torre: la croce bianca in campo rosso che “garriva” sulle bandiere della Repubblicamarinara e ora è il simbolo del Pisa calcio. Su internet si possono trovare gli elenchi divisiper regione dei benzinai no logo. Non sono visti molto di buon occhio dalle compagnie, che vorrebbero solo gestori o dipendenti, e non proprietari indipendenti dei distributori,ma sono molto amati dai consumatori che a conti fatti risparmiano 5 euro ogni 50 litri.

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UN VIAGGIO DENTRO E FUORINEL MONDO DI UN TRENTENNE

Un titolo che incuriosisce.In copertina uno stranofiguro, ammiccante, un po’angelo e un po’ maledetto.Riflette in parte questoromanzo, il primo diLeonardo Pagliazzi, che datempo si dedicava airacconti. Una storia che saessere fresca e inquietaallo stesso tempo. Unascrittura leggera,scorrevole, che conduceagilmente tra i pensieri delprotagonista. Un trentenneche si ritrova alle prese conil suo passato e con unpossibile futuro. Che vuolecambiare e forse lo fa, maforse no o forse troppotardi. «Lorenzo non cambia,ma aggiunge a sé stesso,un tassello importante. Untipo di amore che avevacercato, sempre,sbagliando», spiegal’autore. È la storia di un viaggio,dentro e fuori, tra pensieri,ricordi, amicizia, affetti,amore, gioia e delusione.Le donne di questoromanzo - le mamme, ledonne che Lorenzo haamato, quelle che incontranella sua vita - emergonocome creature diverse,positive, in netto contrastocon i personaggi maschilitormentati e spessonegativi.

LEONARDO PAGLIAZZIL’ITALIA FINISCE A CASALPUSTERLENGO Liux, 2011

CAMMINATE PER TUTTI I GUSTI RISPETTANDO IL PAESAGGIO

“Il camminare è un’arte: si impara praticandola”. Un incipit immediato eminimale che ben si adattaa questo volume che, inmodo accurato ma intuitivo,propone 35 escursioni: dallepiù semplici, che chiunquepuò sperimentare a livelloricreativo, a quelle piùcomplicate alle qualiconviene dedicarsi solo se si è esperti. Sono tuttecollocate nel territorio di confine tra Italia e Svizzera compreso fra due grandi laghi, il Larioa est e il Ceresio a ovest, e per ciascuna è disponibileun corredo di foto,indicazioni precise dei tempidi percorrenza, del dislivello e di ciò che si puòincontrare sul sentiero.Perché l'importante, ci spiega l’autore, non è tanto arrivare alla meta,quanto apprezzare e (soprattutto) rispettare il percorso: osservare con discrezione le piante e gli animali che lopopolano, ridurre il piùpossibile il proprio impattosul territorio, sapersiinserire nel cammino dei tanti altri che prima di noi hanno calpestato lo stesso terreno.

MARZIO SAMBRUNITRA LARIO E CERESIO 35 ESCURSIONI TRA LOMBARDIAE SVIZZERA ITALIANAGuide Macchione, 2011

“OPERAZIONE TOMBOLA” PER DIECI VALOROSIDOPO SESSANTASEI ANNIUN INCONTRO GRAZIE AL WEB

Certe vicende portano con sé un tale caricorocambolesco e avventuroso da sembrare fatteapposta per diventare un romanzo. È il casodella storia di cento uomini e donne provenientida tutt'Europa che nel 1945 diedero vitaall'“Operazione Tombola”, scendendodall'Appennino Reggiano al suono di unacornamusa scozzese per attaccare il quartiergenerale nazista a Botteghe d'Albinea,garantendo un appoggio fondamentale alladiscesa degli Alleati e alla fine della guerra.Sessantasei anni dopo, dieci di loro si ritrovanotramite internet e riescono a riprendere le fila di vicende che credevano ormai perdute. Un libro che nasce da ricerche storiche durateanni e che alla narrazione affianca tre mappe,quaranta foto d'epoca, una ricca bibliografia, le biografie dei quaranta personaggi principali e la ricostruzione di tutti i nomi dei battaglioniimpegnati nell'operazione.

MATTEO INCERTI E VALENTINA RUOZIIL BRACCIALE DI STERLINE. CENTO BASTARDI SENZAGLORIA. UNA STORIA DI GUERRA E DI PASSIONI Alberti, 2011

IMPARARE A RICICLAREIN TUTTELE LINGUE

Rifiutarsi: è questa la parola attorno alla quale si sono riuniteun’azienda (Novamont),un’associazione no profit(La Fenice), gli enti pubblicidi Novara, il centro culturaleMIR di Novara e una casaeditrice (Lineadiaria di Biella) per chiedere ad Antonio Ferrara, CinziaCavallaro e ValentinaMartegani di mettere in campo la loro fantasia e la loro professionalità. Ne è nata una favola,tradotta in otto lingue e accompagnata daillustrazioni che anch’essegiocano con i materiali, con i frammenti e con gli scarti. In queste pagineè un bambino, Filippo, a insegnare alla propriafamiglia e ai lettori chechiunque, tramite pochisemplici accorgimenti, puòdare il proprio contributoper trovare una via d’uscitaa problemi apparentementeinsormontabili: perché “per fortuna ci sono dei pazzi scatenati [...] che pensano di salvare il mondo con un chicco di mais e un seme di girasole, gente che non ci dorme la notte, a furia di pensare a comefar sparire la plastica dal mondo, a come evitare di lavorare il petrolio, a come conservare la Terra e non sprecarne le risorse”.

ANTONIO FERRARARIFIUTARSI Lineadaria, 2011

MERCATO DROGATOVIAGGIO NEI NARCOSTATI

Eroina e cocaina valgono160-170 miliardi di dollaril’anno, la sola eroina circa il 2% del Pil mondiale.Narconomics, che condensain meno di 200 pagine una fitta documentazione di stampo giornalisticorealizzata a quattro mani,racconta di criminalispregiudicati e conflitti, ma è capace di fornire laradiografia dei narcostati piùfamigerati al mondo e quellosguardo globale che unsingolo articolo d’inchiestanon riuscirebbe a offrire. E così si viaggia dallaColombia dei narcos ai portiafricani, alle pendici andinefino ai Balcani lungo le rottedella cocaina; mentrel’eroina nasce in Asia,soprattutto Afghanistan, e invade tutto il continenteattraverso Uzbekistan,Tagikistan e Kirghizistan perpoi dilagare. Storie e cifreche dimostrano come siaproprio la droga a costituirele fondamenta dell’economiacriminale: “la benzina delmotore mafioso”. E di mafiesi parla approfonditamentenella seconda parte del libro, con un capitolosull’Europa, inondata da fiumi di stupefacentiattraverso le piazze di Spagna e Olanda, e unosull’Italia, dove le inchieste e i sequestri mostrano lo strapotere, soprattutto, di ‘ndrangheta e camorra.

STEFANIA BIZZARRI, CECILIAFERRARA, ENZA ROBERTAPETRILLO, MATTEO TACCONINARCONOMICS Lantana, 2011

ECOINNOVARE:L’AMBIENTE OFFRE GRANDIOPPORTUNITÀ

“Atlante” è la parola piùadatta: c’era bisogno diqualcuno che, con precisioneaccademica e impegnodivulgativo, aiutassesoprattutto le imprese più piccole a orientarsi frasovvenzioni europee, enti di certificazione e metodi di valutazione dell’impattoambientale. Con questo testosi veicola un messaggio di fondo: l’ecoinnovazione è un’opportunità da cogliere al più presto. Spesso gliimprenditori temono di nonessere in grado di sosteneresacrifici economici in nomedella tutela dell’ambiente,ma, in realtà, ecoinnovazionesignifica anche ottimizzare i processi riducendo i costi e instaurare relazioni virtuose con associazioni e comunità locali. In sintesi,dare un significato a quella“responsabilità socialed’impresa” che, altrimenti,rischierebbe di restaresoltanto una definizioneastratta. Bisogna esserepronti ad analizzare tutto il ciclo di vita del prodotto e intervenire efficacemente in ogni singola fase. Ma i benefici effettivi si possono toccare conmano, lo dimostrano le storie di chi ce l’ha fatta: dal Mater-Bi di Novamont, al greenpallet di Palm, ai pannolinimonouso biodegradabili di Wellness Innovation Projecte molti altri ancora.

SERENELLA SALA, VALENTINACASTELLANIATLANTE DELL'ECOINNOVAZIONEFrancoAngeli, 2011

ENERGIA DAL SOLEE NON DALL’ATOMOSOLUZIONI RINNOVABILIDALLA NATURA

Mario Agostinelli, portavoce del Contrattomondiale per l’energia e il clima, RobertoMeregalli, garante di «Beati i costruttori di pace», e Pierattilio Tronconi, autore di saggidi politica energetica e industriale, fin dal titoloevocano l’incidente nucleare di Fukishima, ma,com’è lecito aspettarsi da tre personalità cosìrilevanti, vanno ben al di là dell’“onda emotiva”.Foto, tabelle, grafici, dati e, soprattutto, le lorolucide analisi (supportate da una nutritabibliografia) spiegano ciò che i potenti dellaTerra sembrano non aver ancora compreso a sufficienza: l’acqua, le foreste e il Sole nonpossono fare la fine di carbone, petrolio e gas,diventando pure merci soggette alle leggi di mercato e, perciò, al dominio di pochi.Questo perché la risorse naturali sono un benelimitato sul quale l’uomo può intervenire solofino a un certo punto: può utilizzarle e ripartirlein modo più o meno efficiente, ma non puòscegliere di farne a meno. Per questo, unosviluppo davvero equo e sostenibile - che nonminacci ulteriormente l’equilibrio del Pianetacon scelte rischiose come il nucleare - non puòrestare un ideale astratto, ma deve diventare al più presto l’imperativo che guidi le politicheadottate da tutti i governi.

MARIO AGOSTINELLI, ROBERTO MEREGALLI, PIERATTILIO TRONCONICERCARE IL SOLEEdiesse, 2011

UN ANNO A IMPATTO ZEROIL DOCUREALITY CHE SMASCHERA

Voi rinunceresteall’ascensore per fare 24 piani di scale a piedi? E alla carta igienica? E all’automobile? Ebbene, lo scrittore newyorkese ColinBeavan ci ha rinunciato perun anno intero. E, con lui,anche la sua famigliaformata da: moglie shopping-dipendente, figlia in età da pannolino e caned’appartamento. Il documentario No impactman, di Laura Gabbert eJustin Schein, pubblicatodalla casa video-editriceMacroticonzero (Mt0) e inuscita a luglio nelle librerie,racconta una missione quasiimpossibile. Una famiglia chesceglie di vivere nel cuore di New York senza elettricità,senza macchina, senza tv e nuovi acquisti, senzaspazzatura ma solo con il riciclo, con cibo e curenaturali. Insomma, un annodi vita “ecologicamentecorretta” per contribuire alla salvezza del pianeta. Un docureality provocatorio,divertente, illuminante,perché fa riflettere sulletrappole del sistemaconsumistico da cui tuttidipendiamo, ma in cuiciascuno di noi con un po’più di consapevolezza puòfare la differenza. No impactman è stato selezionato al Sundance Film Festival, il più innovativo e importantefestival internazionale di cinema indipendente.

LAURA GABBERT E JUSTIN SCHEINNO IMPACT MAN (DOCUREALITY) Macroticonzero (Mt0)

| economiaefinanza | A CURA DI CORRADO FONTANA, MICHELE MANCINO E VALENTINA NERI | [email protected] | | A CURA DI CORRADO FONTANA, VALENTINA NERI ED ELISABETTA TRAMONTO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A [email protected] | narrativa |

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VIVERE VEGANO: A FIRENZENASCE IL PRIMO GAS

Il loro esperimento è appena cominciato, ma nemmeno gli organizzatori credevano di suscitare tantoentusiasmo fin da subito.«L’idea di un Gas vegano è nata da un piccolo nucleodi sei-sette persone, che in parte già partecipavanoalla Onlus Progetto VivereVegan», racconta DoraGrieco. E prosegue: «Ma al pranzo di presentazionedi metà maggio il numero di partecipanti ha superatoogni aspettativa». E ora peri promotori di Gasvegando,operativo a Firenze, è il momento delle riunioniper coordinarsi e stilare la lista dei produttori a cui appoggiarsi, che saràpresto resa disponibile nel loro sito internet. Una scelta che dovràessere accurata perché, ci spiega ancora DoraGrieco, un Gas vegano deveimporsi un doppio livello di garanzie. I prodottiinnanzitutto devono essere locali, stagionali e a Km zero; e, inoltre,completamente privi di derivati animali in tutte le fasi di produzione. Quindi non solo ciboprodotto da aziende cheevitano perfino i concimianimali: ma anche vestiarioe detergenti, per una spesavegan a tutto tondo.

www.gasvegando.org

LA GUIDA: FA’ LA COSA GIUSTA!NEL 2012 IN SICILIA

Spesso la buona volontà da parte dei consumatorinon basta. E non è facile, in concreto, scegliereacquisti che siano davvero“responsabili”. Unasoluzione potrebbe arrivaredalla guida “Fa’ la cosagiusta! Sicilia” (Terre di Mezzo editore), un vero e proprio catalogo di botteghedi commercio equo, Gas,produttori biologici, impreseche hanno rifiutato di pagareil pizzo, associazioni, fontid’informazione alternativa e molto altro ancora. Tutto nella splendidaTrinacria. Un primo passo in direzione di unappuntamento importante:dopo il successo delle ottoedizioni milanesi (l’ultima, lo scorso marzo, ha visto la partecipazione di 70 milapersone), nella primaveradel prossimo anno Fa’ lacosa giusta!, la kermessededicata al consumo criticoe alla sostenibilità, sbarcheràsull’isola. Un’occasione di incontro e di confronto per la quale sta già lavorandoa pieno regime un comitatopromotore di tutto rispetto,costituito da Addio Pizzo,Arci Sicilia, Legambiente,Banca Etica e altreassociazioni attive per promuovere stili di vita sostenibili.

[email protected]

A STRETTO CONTATTO CON GLI ALPACA E ALLA FINE UN MAGLIONE

Gli alpaca, com’è noto, offrono una delle lanepiù pregiate in assoluto. E per giunta sonomolto docili, pascolano liberi senza rovinare il terreno e quasi non hanno bisogno di recinzioni. Ma in Italia abbiamo ben pocaconfidenza con questi animali: in tutto il mondo ce ne sono 3 milioni, ma il 90% si trova in Perù e importarli è molto difficile per motivi sanitari. A partire dal 1997, grazie a una collaborazione con l’università di Perugiae con l’ente di ricerca Enea di Roma,Maridiana Alpaca gestisce un appezzamento di una trentina di ettari nella valle del Niccone,fra Umbria e Toscana. E non si tratta di un“semplice” allevamento di alpaca: ci sonoanche due casali in pietra in affitto per chivuole passare una vacanza immersa nel verde.«I nostri ospiti - spiega il fondatore, GianniBerna - entrano in contatto diretto conl’allevamento: i bambini, ad esempio, hanno a disposizione un parco giochi in cui possonoaccarezzare gli animali, dar loro da mangiare,portarli in giro». E, nel frattempo, gli adultipossono far visita al negozio per dareun’occhiata ai capi d’abbigliamento prodottidalle piccole aziende tessili locali, che acquistano la fibra proprio da Maridiana Alpaca.

www.alpaca.it

LEGALITÀ:UNA RACCOLTAFONDI PER CASACAPONETTO

Nel pieno centro storico di Corleone c’è una casa ditre piani che per anni è statadi proprietà della famigliaGrizzaffi, nipoti di Riina. Ma nel 2006 è intervenuta la giustizia, che l’haconfiscata e due anni dopol’ha affidata alla Cooperativasociale “Lavoro e non solo”.Da allora si chiama CasaCaponnetto, dal nome delmagistrato che ha lottatocontro la mafia al fianco di Giovanni Falcone e PaoloBorsellino. Accoglie le centinaia di giovani cheogni estate arrivano datutt’Italia per partecipare ai campi antimafia: significa,spiega il responsabile per la legalità dell’Arci Toscana,Maurizio Pascucci:«La mattinata è dedicata alle attività agricole dellacooperativa, il pomeriggio alletestimonianze e alle visite. In serata si lascia spazioall’aggregazione: dal calcetto,al cineforum, al mangiare un gelato. Tanti momenti che rompono il muro di isolamento e silenzio che la mafia ha imposto suilavoratori della cooperativa».Ma le attività devono esserefinanziate e la casaristrutturata e ammodernata.A tale scopo, inutile dirlo,servono fondi. Sonointervenuti l’Arci e la Cgildella Toscana, Banca Etica,Legacoop e Unicoop Tirreno,con una raccolta fondi cheproseguirà per un anno con ilmotto “Io amo la vitamina L”e si declinerà in 180 eventifra cene, incontri emobilitazioni tramite internet.

www.siciliavostra.it

| terrafutura | A CURA DI VALENTINA NERI | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A [email protected] |

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| A N N O 1 1 N . 9 1 | L U G L I O / A G O S T O 2 0 1 1 | valori | 73 |

| ipotesidicomplotto |

di Luigi Grimaldi

UANTO PESA SPATUZZA? E quanto pesano i fratelli Graviano? Non in chili, ma incredibilità. Hanno pesi molto diversi. Gran parte del mondo dell’informa-zione da tempo alimenta una truffa, cercando di convincere il pubblico ita-

liano del fatto che le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e quelle dei Graviano abbiano lo stes-so peso. Anzi, i Graviano sarebbero gli “arbitri” della credibilità di Spatuzza. Non è così.

I Graviano - Filippo e Giuseppe - sono due mafiosi in “servizio permanente effettivo”, ca-pimafia di grosso calibro, pezzi da 90 pluriergastolani e, soprattutto, né pentiti né collabo-ratori di giustizia. Solo mafiosi. Non hanno mai spezzato il vincolo dell’omertà sancito conil giuramento dell’iniziazione mafiosa: siglato con il sangue e il fuoco nel rito della “santi-na”. Questo è il punto. Un punto che ha conseguenze importanti anche dal punto di vistagiudiziario perché l’imputato può menti-re; il collaboratore di giustizia no.

Il diritto di mentire da parte dell’impu-tato è un dato acquisito per il nostro ordi-namento giuridico. E, infatti, le regole chegovernano le procedure dibattimentali nonprevedono l’obbligo del giuramento perl’imputato. Obbligo invece previsto per i te-stimoni, compresi i collaboratori di giusti-zia, e i consulenti. Spatuzza e i Graviano nonhanno affatto lo stesso peso.

Qualcuno si è forse interrogato sul fattoche chi, come i Graviano brothers, nega l’e-sistenza di Cosa Nostra e la propria affilia-zione mafiosa è impossibilitato a rendere di-chiarazioni convergenti con quelle di unpentito, che sostiene esattamente il contra-rio, senza autoaccusarsi? I due boss sannotutto dei rapporti tra Forza Italia e Cosa No-stra. Ma, pur potendolo fare, hanno decisodi non mentire quando davanti ai giudicihanno scelto di avvalersi della facoltà di nonrispondere (altro privilegio negato ai penti-ti) alle domande su Silvio Berlusconi e Mar-cello Dell’Utri.

Ergastolani silenti (ma finoa che saranno imputati e nonpentiti potranno sempre cam-biare versione senza alterare la

M.....ate controVangeloTitolare articoli o servizi dei te-legiornali con frasi del tipo “IGraviano smentiscono Spatuz-za” o Filippo Graviano: “Mai in-contrato Dell’Utri” è un ingan-no, una calcolata menzogna.

Ricordiamo l’editoriale diAugusto Minzolini al Tg1 dell’11dicembre 2009 (al processo Del-l’Utri, le rivelazioni di GaspareSpatuzza “sono smentite” da Fi-lippo Graviano): «Le parole diSpatuzza? Minchiate!». PerMinzolini quello che dice Spa-tuzza sono “minchiate” e quel-lo che dice il mafioso Graviano,ancora a capo di una girandoladi prestanome, è Vangelo. È

chiaro da che parte penda la bilancia del ga-rantismo: il “pentito” giura e non ha dirit-to di mentire (e se non creduto rischia gros-so); l’imputato ha diritto di mentire e dinon rispondere, non giura per potersi di-fendere come meglio crede. E il direttore delTg1 quale diritto sta esercitando fingendodi non sapere da quale parte penda la bi-lancia? Giuro che non lo so. .

Q

I Graviano sono due mafiosi in“servizio permanente effettivo”.Non possono essere d’accordocon Spatuzza senza accusarsi

Il giuramento è obbligatorio per i testimoni, i collaboratoridi giustizia e per i consulenti. Non per gli imputati.

Da che parte pende la bilancia del garantismo?

Giustizia

propria attendibilità di un grammo) aiquali, curiosamente, nessuno ha toccatol’impero economico fatto di imprese edili,immobili, stazioni di servizio.

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I valori, quando si fondano sulla fiducia e sulla credibilità di chi li possiede e li coltiva,si possono riassumere in una parola, in un segno, in un colore.

Dire è comunicazione d’intenti e di progettualità, trasmissione di idee, di conoscenza, d’esperienza.Fare è la sintesi dell’attività, energia verso nuove imprese, capacità di ascolto e di offrire risposte.

Ai nostri clienti e a quelli che lo diventeranno è dedicato il nostro lavoro quotidiano: un lavoro dove il dire e il fare sono tutt’uno e sintesi di una filosofia dell’operare.

UN’IM

PRES

A AL

MES

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Il rendimento in borsa di Abbott Laboratories negli ultimi dodici mesiconfrontato con l’indice Dow Jones (in arancio)

L’AZIONE IN VETRINA ABBOTT

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DEL

MES

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Abbott Laboratories www.abbott.com Sede North Chicago - Illinois - Usa Borsa NYSE - New York Stock Exchange

Rendimento negli ultimi 12 mesi +5,16%

Attività Abbott è una delle dieci più grandi aziende farmaceutiche del mondo. Fu fondata a Chicago dal medico Wallace Calvin Abbott nel 1888.

Azionisti Azionariato diffuso.

Perché interessa agli azionisti responsabili? Oltre ad essere oggetto di iniziative contro i test sugli animali per la sperimentazione di prodotti farmaceutici, Abbott è stata coinvolta in passato in alcune controversie relativamente al pricinge alla sicurezza dei suoi prodotti.

Numeri 2009 2010

Ricavi (miliardi di dollari) 30,76 35,16Utile (miliardi di dollari) 5,74 4,63Numero dipendenti oltre 90.000

Una mozione per salvare gli scimpanzè

| action! |

2010 Ago Set Ott Nov Dic 2011 Feb Mar Apr Mag Giu

Calvert Investments www.calvert.comSede Bethesda - Maryland, Usa

Tipo di società Società di gestione del risparmio. Calvert è uno dei pionieri negli investimenti socialmente responsabili (SRI) a livello mondiale. Il primo fondo SRI fu lanciato nel 1982.

Patrimonio gestito ca. 14 miliardi di dollari in circa 50 fondi

L’azione su Abbott Nel novembre del 2010 Calvert ha presentato una mozione per l’assemblea degli azionisti 2011 di Abbott Laboratories per chiedereall’impresa di eliminare gradualmente i test sui scimpanzé nella ricercafarmaceutica. La mozione è stata ritirata alcuni mesi prima dell’assembleaperché Abbott ha deciso di dialogare con Calvert e di pubblicare un programma per l’uscita dai test.

Altre iniziative Negli ultimi mesi Calvert ha promosso iniziative per integrare i Consigli di Amministrazione delle imprese Usa con donne e rappresentanti di minoranze etniche, monitorare i contributi delle imprese ai partiti e ridurre gli impatti ambientali dei giacimenti di Anglo American in Alaska.

ABT 51,2914 GIU 2011: ^DJI 12076,11

20%

15%

10%

5%

0

-5%

NA NUOVA SFIDA per gli azionisti attivi.Dopo le mozioni sui cambiamenti cli-matici, i contributi politici e i com-

pensi dei manager, ora tocca ai diritti degli anima-li. Degli scimpanzé per la precisione. Nel novembredel 2010 la società di gestione Calvert, uno dei pio-nieri dell’azionariato responsabile negli Stati Uniti,ha preparato una mozione per chiedere al colossofarmaceutico Abbott Laboratories di interromperegradualmente la sperimentazione di nuovi medici-nali sulle scimmie. In collaborazione con l’associa-zione animalista The Humane Society of United States(Hsus), Calvert ha proposto ad Abbott di adottareun piano dettagliato, con scadenze precise, per ter-minare i test. Per evitare che la mozione venissemessa ai voti nel corso dell’assemblea degli azioni-sti 2011, Abbott si è subito dimostrata disponibileal dialogo con gli azionisti attivi. La mozione è sta-ta ritirata e la società farmaceutica ha fatto partireun programma per studiare test alternativi che nonprevedano l’uso dei primati. "Negli Usa oltre 1.000scimpanzé sono sottoposti regolarmente a test cheprovocano notevoli sofferenze", ha dichiarato re-centemente Hsus. "Con le nostre campagne e l’im-pegno degli azionisti queste pratiche diventerannopresto un brutto ricordo del passato". .

Ua cura di Mauro Meggiolaro