Mensile Valori n. 108 2013

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Cooperativa Editoriale Etica Anno 13 numero 108. Aprile 2013. € 4,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento Contiene I.R. Nelle loro mani Poche grandi aziende reggono le fila dell’economia mondiale. E non solo Finanza > In Europa c’è chi inizia a introdurre qualche regola alla finanza. Non l’Italia Economia solidale > I giochi dei colossi del farmaco per guadagnare sempre di più Internazionale > Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna. L’austerity sta distruggendo i Pigs Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità PUBLISTAMPA / LARA LEONARDELLI

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Nelle loro mani Poche grandi aziende reggono le fila dell’economia mondiale. E non solo Finanza > In Europa c’è chi inizia a introdurre qualche regola alla finanza. Non l’Italia Economia solidale > I giochi dei colossi del farmaco per guadagnare sempre di più Internazionale > Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna. L’austerity sta distruggendo i Pigs

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| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 || ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |

CooperativaEditoriale EticaAnno 13 numero 108. Aprile 2013.€ 4,00

Poste Italiane S.p.A.Spedizione in abbonamento postaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB TrentoContiene I.R.

Nelle loro maniPoche grandi aziende reggono le fila dell’economia mondiale. E non solo

Finanza > In Europa c’è chi inizia a introdurre qualche regola alla finanza. Non l’ItaliaEconomia solidale > I giochi dei colossi del farmaco per guadagnare sempre di piùInternazionale >Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna. L’austerity sta distruggendo i Pigs

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

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entoquarantasette aziende controllano il 40% dei ricavi dell’azienda mondo. Mentre i Paesioccidentali e centinaia di milioni di persone fanno i conti con una crisi che non ha nulla da invidiare a quella del 1929, le grandi corporation continuano a macinare ricavi e profitti e,soprattutto, condizionano con le loro politiche le scelte dei decisori pubblici. Nelle primecento entità economiche a livello globale 44 sono aziende che realizzano un giro d’affaricomplessivamente molto più grande di Paesi come la Norvegia. La parte del leone la fannoancora i colossi finanziari, gli stessi che hanno originato e amplificato la crisi: Barclays, Ubs,Axa, Jp Morgan Chase, Goldman Sachs, Deutsche Bank, Credit Suisse, Nomura. Per loro nonè ancora cambiato nulla: incuranti delle nuove regole imposte in Usa, Europa e persino in Asia o delle campagne contro gli eccessivi compensi ai manager, i vertici di Credit Suisse o Deutsche Bank hanno deciso di incrementare ancora i bonus “per rimanere competitivi sul mercato”. Ma di quale mercato stanno parlando? Dello stesso salvato con oltre 30.000miliardi di dollari dai governi e Fmi, quasi tutti destinati a evitare il crack di banche,assicurazioni e operatori finanziari? La crisi, globale e profonda, corre il rischio di trasformarsi in declino perché, nel frattempo,il sistema si sta ristrutturando con l’affermazione di un capitalismo di Stato con una forteprogrammazione nelle politiche e negli investimenti. La sfida lanciata dalla Cina non ha bisogno di ulteriori commenti: Pechino ha definito i settori strategici sui quali investire a livello globale, nella convinzione che si affermerà il modello di pochi gruppi in grado di controllare tra il 60 e il 90% della produzione mondiale. La Cina vuole esserci ed è prontaa mettere in campo tutti gli strumenti finanziari indispensabili per sostenere logiche di espansione, sia per via interna che esterna, cioè mediante acquisizioni. Gli Stati Uniti, e in misura diversa il Regno Unito, continuano sulla strada del controllo deiflussi dell’abnorme sistema finanziario virtuale che è ancora nelle mani di cinque societàche detengono il 90% degli oltre 800.000 miliardi di derivati e prodotti connessi, senzadimenticare gli effetti di una politica energetica puntata sullo shale gas che sta assegnandoagli Usa una nuova inedita centralità nel campo dell’energia. Per ora fuori dai giochi risulta essere l’Unione europea, schiacciata dalle politiche di austeritye dall’incapacità di trasformare alcune linee di programmazione in azioni concrete. Senzaun’idea chiara di redistribuzione dei gravissimi squilibri all’interno dei Paesi più ricchi nonsarà possibile alcuna prospettiva reale di arginare il declino: l’aumento delle disuguaglianzetra i redditi è anche l’esito inevitabile di comportamenti che hanno premiato la ricerca di unarendita piuttosto che l’investimento produttivo. Meno investimenti produttivi e piùdisuguaglianze nei redditi hanno minato profondamente le economie avanzate. Un combinatodisposto assolutamente esplosivo: non solo risulta indebolita la domanda aggregata, ma tendono anche a indebolirsi i presupposti per la costituzione di una base produttiva ad alto potenziale di crescita, nella quale siano incorporati nuovi saperi e innovazione. In un contesto nel quale investire equivale ad andare alla ricerca della miglior posizione di rendita finanziaria, anche il sistema del credito risulta distorto venendo a mancare quellafondamentale attività di prestito alle imprese per la realizzazione di investimenti nel settore dei beni reali.

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Come se nullafosse successodi Andrea Di Stefano

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che a New York ben 50 mila individui(di cui 21 mila bambini!) dormono ogninotte nei centri di accoglienza. Molti dipiù di ciò che accadeva nel 2007 (+22%solo nell’ultimo anno).Dunque, da un lato, il mondo della fi-

nanza, che in pochi anni riesce a riassor-bire le pesanti turbolenze che l’hannocaratterizzato (dopo la Grande Depres-sione del ’29, il Dow Jones dovette aspet-tare il 1954 per far registrare un nuovorecord); dall’altro una devastazione so-ciale che non si arresta. Anzi simbolica-mente appare così vicina geografica-mente a quei centri finanziari che sonostati la prima e più importante causadello scoppio della crisi. In definitiva i due dati, ossia i “nu-

meri” della Borsa e quelli dei senza-tet-to, dicono chiaramente chi ha superatoo non superato la crisi, ma soprattuttocome essa è stata affrontata. Dietro ilmiracolo del Dow Jones non c’è, infatti,un’economia reale in piena ripresa, mala Fed (Banca centrale americana), chedal 2007 ha immesso oltre duemila mi-liardi di dollari nel sistema finanziarioe che ancora oggi acquista titoli di Sta-to e bond immobiliari per 85 miliardi almese. Si è così arrivati al paradosso diaffrontare una crisi generata da un ec-cesso di liquidità predisponendo nuo-ve iniezioni di liquidità, che hanno fi-

nito per incoraggiare le propensionispeculative dei mercati finanziari. La crisi, almeno da questo punto di

vista, non ha determinato alcun cam-bio di paradigma economico: è ancorala finanza, o meglio “la droga finanzia-ria”, il mezzo principale per tamponarele falle di un sistema economico chestenta a ripartire.A dimostrazione di ciò basta osser-

vare che l’“effetto ricchezza” non c’è, os-sia non sta avvenendo un incrementodi consumi figlio dell’aumento del reddi-to dei consumatori, bensì dipeso dai gua-dagni di Borsa di questi ultimi. L’effettoricchezza innalza, infatti, la propensioneal consumo delle famiglie agendo sulleloro aspettative, che, attualmente, vistala condizione dell’economia reale, ri-

mangono negative o quanto meno in-certe. Inoltre, anche laddove vi sonochiari segnali di ripresa, sono i profittiaziendali ad avvantaggiarsene, mentrepoco o nulla va ai salari. È ciò che PaulKrugmann sul New York Times ha defi-nito “il crescente scollamento tra pro-duttività e salari”. «Non solo i lavoratorinon riescono a condividere i frutti dellapropria produttività in aumento, macentinaia di miliardi di dollari si stannoaccumulando nelle casse delle impreseche, di fronte a una domanda debole deiconsumatori, non vedono alcuna ragio-ne per mettere quei dollari al lavoro». In altre parole i bilanci aziendali che

straripano di denaro non conducono anuovi investimenti, ma solo a maggioridividendi per gli azionisti. In definitivaazioni che salgono di prezzo e ripresache non c’è, o che quanto meno non è ingrado né di riassorbire a sufficienza ladisoccupazione creata dalla crisi, né adeterminare incrementi salariali. Il peg-giore dei mondi possibili per lavoratori eceto medio in genere. Ma anche un gio-co che non può durare a lungo e che con-durrebbe inevitabilmente a una nuovapesante ricaduta nei mercati finanziari. Al contrario serve consolidare la ri-

presa ridistribuendo ricchezza e ripor-tando la finanza al servizio dell’econo-mia reale.

Record inutiliIl prezzo socialedella ripresa americana

di Alberto Berrini

Recentemente, il 5 marzo scorso, il Dow Jones, il più vecchio indice diWall Street, ha fatto registrare il nuovo record storico. Il precedenterisale a ottobre 2007, poco prima che la crisi subprime, scoppiata

nell’estate di quell’anno, dispiegasse i suoi devastanti effetti. Lo stesso gior-no il Wall Street Journal, organo “ufficiale” dei mercati finanziari, segnalava

Mentre il Dow Jones arrivaai massimi dal 2007, a NewYork 50 mila persone vivononei centri di accoglienza

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Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altroche legno e derivati non provengano da foreste ad altovalore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da areedove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.Involucro in Mater-Bi®

globalvision 5

fotonotizie 8

dossier Nelle loro mani 14La rete del controllo 16Le prime della classe 17Il socialismo di mercato della prima potenza mondiale 20Se la mia Patria si chiama Multinazionale 22Ricchezza o pericolo? 24

valorifiscali 27

finanzaeticaFinanza senza regole. C’è chi dice “no” 28La Ttf non fa male alla Borsa 33Microcredito. Troppo micro e poco profit 34

megasocietà 38

economiasolidaleL’affaire Donepezil: guadagnare miliardi puntando sul 23 40Frutta e verdura farmaci del futuro 45Per essere belli non servono gli animali 47Il divano tricolore si è fermato a Chinitaly 49Etica, design, ambiente: tre idee anticrisi 50A Piazza d’Arti, L’Aquila che resiste 52

socialinnovation 55

internazionaleEuropa, non si uccidono così anche i “maiali”? 56Panunzi: «La soluzione all’austerity passa dalla Germania» 60Venezuela, gli orfani di Chávez 63

equocommercio 65

altrevoci 66

bancor 73

resistenze 74

Chi è il burattinaio che regge i fili del mondo?Relativamente poche grandi imprese, che,grazie a una vasta e solida rete di relazioni e aun giro d’affari superiore al Pil di molti Paesi,riescono a influenzare, non solo l’economiamondiale, ma anche la politica.

Lettere, contributi, informazioni, promozione,amministrazione e pubblicitàSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Napo Torriani, 29 - 20124 Milano - tel. 02.67199099 - fax 02.67479116e-mail [email protected] / [email protected] - www.valori.it

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aprile 2013mensilewww.valori.itanno 13 numero 108Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005editoreSocietà Cooperativa Editoriale EticaVia Napo Torriani, 29 - 20124 Milanopromossa da Banca EticasociFondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale,Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza,Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa,Federazione Trentina della Cooperazione, Rodrigo Vergara,Circom soc. coop., Donato Dall’Avaconsiglio di amministrazionePaolo Bellentani, Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Giuseppe Di Francesco, Marco Piccolo, Fabio Silva ([email protected]), Sergio Slavazzadirezione generaleGiancarlo Roncaglioni ([email protected])collegio dei sindaciGiuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzonedirettore editorialeMariateresa Ruggiero([email protected])direttore responsabileAndrea Di Stefano ([email protected])caporedattoreElisabetta Tramonto ([email protected])redazione ([email protected])Via Napo Torriani, 29 - 20124 MilanoPaola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini, Francesco Carcano, Matteo Cavallito, Corrado Fontana,Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro,Andrea Montella, Valentina Neri grafica, impaginazione e stampaPublistampa Arti graficheVia Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento)fotografie e illustrazioniDrenth/Hollandse Hoogte, John Harris (Contrasto); Arnd Wiegmann, Ben Job, Brendan McDermid, Vasily Fedosenko (Reuters)

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite,non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.chiusurain stampa: 27 marzo 2013in posta: 2 aprile 2013

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Il solare da recordnegli Emirati Arabi

È stata inaugurata a marzo la piùgrande centrale solare a concentrazione del mondo.L’impianto – Shams 1 – sorge negliEmirati Arabi Uniti e darà energia a circa 20 mila famiglie. È statocostruito in tre anni da un consorziocomposto dal gruppo Masdar di AbuDhabi, dalla francese Total e dallaspagnola Abengoa (costo, circa 600milioni di dollari). «La nostra regionedeve far fronte a un bisognocrescente di energia, e deve sforzarsidi ridurre la propria improntaecologica», ha spiegato Ahmed Al Jaber, presidente di Masdar. Il Medio Oriente, infatti, si è dasempre concentrato sullosfruttamento delle energie fossili,anziché sulle rinnovabili: ora,l’obiettivo di Abu Dhabi è di raggiungere il 7% di produzione“verde” entro il 2020.Sempre nel mese di marzo SiemensEnergy ha annunciato l’apertura in Danimarca di due importantilaboratori di ricerca e sviluppo nel settore eolico. Si tratta di un complesso che, per dimensioni e campi di applicazioni, si candida a diventare il più importante delmondo: le strutture permettonola realizzazione di test in scala realeanche per le pale più grandi in servizio (la cui lunghezza è di 75metri). «Così – ha dichiarato il presidente della divisione dedicataall’eolico di Siemens Energy, FelixFerlemann – ridurremo i rischi di problemi tecnici all’atto dellarealizzazione degli impianti». Le aziende sembrano dunquepuntare sempre più sulle fontirinnovabili. I dati economici, d’altraparte, dicono che i mercati legati ai biocarburanti e ad energie comesolare ed eolico raddoppierannoquasi il loro valore nel prossimodecennio, passando dai circa 249miliardi di dollari dello scorso annoai 426 miliardi del 2020. Le cifresono contenute in uno studio delcentro di ricerca Clean Edge (USA)secondo il quale – nonostante un 2012 difficile – in tutto il mondole potenze complessive di parchieolici e fotovoltaici hanno continuatoa crescere.

[A.BAR.]

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[L’inaugurazione dell’impianto Shams 1 ad AbuDhabi, il 17 marzo 2013].

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| fotonotizie |

I Gassotto la lente

Tre anni di lavoro capillareattraverso tutta la Lombardia,contattando 400 Gruppi d’acquistosolidale e analizzando i comportamenti di quasi la metà di loro, e le strategie d’acquisto e di consumo. Ma non solo. Il valoredella ricerca – condottadall’Osservatorio Cores, Gruppo di ricerca su consumi, reti epratiche di economie sostenibilidell’Università di Bergamo, seguitain collaborazione stretta con il Tavolo nazionale delle Reti di economia solidale – stainnanzitutto nella metodologia, cheha permesso di coinvolgere fino al 30% dei componenti dei Gas(1.613 persone), e nei contenuti dei dati raccolti, che hannoriguardato anche i backgrounddi provenienza etico-politica dei“gasisti” e le loro motivazioni. Una ricerca approfondita e in via di conclusione mentre scriviamo ma che già offre dati su cui riflettere:il 93,7% dei gasisti ha fatto parte di altre associazioni e negli ultimidue anni è stato politicamenteattivo in campagne di opinione(l’80% di loro partecipando a quellasull’acqua pubblica, il 64,1% a quelle contro il nucleare, il 51,7%sulla scuola pubblica, il 41,2%contro le mafie, il 35% sul lavoro e il 36,7% per i diritti degliimmigrati). Ben il 62% dei gasistiorganizza attività locali rivolte alla cittadinanza, con incontrisull’agricoltura sostenibile o per farconoscere i produttori. FrancescaForno, docente di sociologia deiconsumi all’Università di Bergamo,ci anticipa come l’analisi del mondoGas lombardo configuri esperienzeche vanno ben oltre una scelta di acquisti responsabili,prefigurando in essi una sorta di “palestra di democrazia”. Una ipotesi che andrà dimostrata a fine dell’indagine, e messa al vaglio da una sua prossima replicain Sicilia e Friuli Venezia Giulia.

[C.F.]

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[I membri del Gasotto alle prese con un baratto di vestiti e oggetti vari in cascina. I Gruppi di acquisto solidale non si riuniscono solo per “farela spesa” dai fornitori di frutta e verdura, ma spessoorganizzano altre attività insieme: culturali o, comein questo caso, di recupero per ritrovare buonepratiche].

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| fotonotizie |

Asma, l’inquinamento è come il fumo passivo

Negli ultimi anni si è fatto molto,giustamente, per vietare il fumonegli ambienti pubblici. Ma non basta. Per tutelare la salute,soprattutto quella dei più piccoli,bisognerebbe anche cercare di trasformare le nostre città in ambienti più sani, scoraggiando il traffico veicolare checompromette pesantemente l’ariache respiriamo. A suggerirlo è un rapporto pubblicato alla fine di marzo nell’ambito di Aphekom,un’iniziativa di durata triennalesull’inquinamento atmosferico,finanziata dal programmadell’Unione europea per la salute. La ricerca – pubblicata sulloEuropean Respiratory Journal –analizza la qualità dell’aria in diecicittà del Vecchio Continente. E per la prima volta stabilisce un legamedi causa-effetto tra l’inquinamentoatmosferico e l’insorgenza di asmacronica in età infantile (e non più,com’era stato fatto finora, soltantoalla comparsa di alcuni sintomi).Secondo la rilevazione di Aphekom, sui casi croniciinfluiscono specifici agenti tossicirinvenuti sulle strade intensamentetrafficate dove si affacciano le casedi buona parte dei cittadinidell’Unione. I dati dei ricercatoristimano che l’inquinamento sia allabase addirittura del 14% dei casi.Una percentuale simile a quella,compresa fra il 4 e il 18%, chesecondo l’Organizzazione mondialedella sanità si può imputare al fumopassivo. «Dovremmo tenere benpresenti questi dati per indirizzareal meglio le politiche ambientali e di pianificazione urbanistica», ha dichiarato Laura Perez, autricedello studio e ricercatrice presso lo Swiss Tropical and Public HealthInstitute.

[V.N.]

[Bambini che attraversano la strada a Ipswich, nellacontea di Suffork, in Gran Bretagna. Un volontario li aiuta, appena usciti da scuola, a evitare i pericolidelle macchine in arrivo. Ma esistono altri pericoliper la salute dei piccoli nascosti nel trafficocittadino: è l’inquinamento dei gas di scarico. Lo dimostra la ricerca citata in questa notizia]. JO

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dossier a cura diPaola Baiocchi, Andrea Barolini, Corrado Fontana, Valentina Neri

La rete del controllo > 16

Le prime della classe > 17

La Cina e il socialismo di mercato > 20

Se la mia Patria si chiama Multinazionale > 22

Fondi sovrani. Ricchezza o pericolo? > 24

Come la tela di un ragno, le grandi imprese tessono relazioni, che dannoloro potere, non solo economico.

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Poche decine di grandi impresetirano le fila dell’economiamondiale. Grazie a solide reti e a una ricchezza superiore al Pildi molti Stati. Un’influenza chesupera la dimensione economica

Nelleloro mani

REUTERS / VASILY FEDOSENKO

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dossier | nelle loro mani |

Il sistema economico globale altronon è che il mondo in cui viviamo. Icolossi che dominano le piazze bor-

sistiche sono gli stessi a cui affidiamo inostri risparmi, o gli stessi che ci riem-piono il carrello della spesa con i loroprodotti. Di questo mondo crediamo di

sapere tutto. E possiamo stupirci se rea-lizziamo che, in realtà, sono tante le do-mande a cui è difficile rispondere. Qualisoggetti tengono le redini del potereeconomico? Come sono collegati l’unoall’altro? Si può misurare il loro peso?Ha affrontato questi interrogativi uno

studio condotto alla fine del 2011 da Ste-fania Vitali, James B. Glattfelder e Ste-fano Battiston del Politecnico di Zurigo,dal titolo The Network of Global Corpo-rate Control. Un lavoro scientifico chegiunge a una conclusione: a governare ilsistema è un gruppo estremamente ri-stretto di società dall’enorme potere.

Poche, potenti e interconnessePartendo da un database di 37 milioni diaziende e investitori, gli autori dello stu-dio hanno estratto 43 mila multinaziona-li e hanno individuato tutte le partecipa-zioni azionarie che le collegano. Hannocosì ritagliato un nucleo di 1.318 aziendestrettamente interconnesse che con-trollano circa metà di tutte le multina-zionali. All’interno di questo nucleo cisono 147 entità (soprattutto banche, as-sicurazioni e fondi d’investimento) che,a livello prettamente numerico, sareb-bero solo una briciola del totale, ma, dasole, controllano il 40% dei ricavi opera-tivi della rete.

«Il nostro interesse è scientifico e nonvogliamo dare una lettura ideologica»,precisa Stefania Vitali. Ma sorgono moltequestioni. Una fra tutte: se le aziende so-no così dipendenti l’una dall’altra, cosasuccede se una di loro fallisce? Si tratta diuna lezione che avremmo dovuto impa-rare con la crisi finanziaria, che ha co-stretto i governi a intervenire di tascapropria per evitare che il tracollo di unacosiddetta too big to fail trascinasse consé l’intero settore. E ha fatto ripetere ai re-golatori di tutto il mondo (l’ultimo in or-dine di tempo è stato il presidente dellaFed di Dallas, Richard Fisher) che le gran-di banche dovrebbero suddividersi in unaserie di istituti più piccoli.

A cinque anni di distanza le societàfinanziarie fanno la parte del leone nelnucleo delle 147 aziende che reggono il si-stema. E sembrano tutt’altro che ridimen-sionate. Basti pensare che negli Stati Uni-ti – ha reso noto la Fed di Dallas – ci sono5.600 banche commerciali, ma il 69% degliasset è in mano soltanto a 12 di loro.

Stefano Battiston, in un altro studiopubblicato da Nature e promosso, comeil primo, dal progetto europeo Foreca-sting Financial Crises, ha elaborato un

La retedel controllodiValentina Neri

Uno studio del Politecnico di Zurigo disegna la trama del potere: un ristrettogruppo di imprese, grazie a una rete di partecipazioni e relazioni,controlla l’economia mondiale. In questo modo ottengono una massa di potere enorme, che ha influenze anche in ambito politico

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LE 50 AZIENDE CHE TIRANO LE FILA DEL MONDOSecondo lo studio del Politecnico di Zurigo queste sono le 50 aziende al centro della rete di interconnessioni che regge le fila dell’economia mondiale:1. Barclays2. Capital Group Companies3. Fmr Corporation4. Axa5. State Street Corporation6. JP Morgan Chase 7. Legal & General Group plc8. Vanguard Group Inc9. Ubs10. Merrill Lynch11. Wellington Management 12. Deutsche Bank13. Franklin Resources 14. Credit Suisse15. Walton Enterprises 16. Bank of New York Mellon 17. Natixis18. Goldman Sachs Group 19. T Rowe Price Group 20. Legg Mason 21. Morgan Stanley22. Mitsubishi

23. Northern Trust 24. Société Générale25. Bank of America 26. Lloyds TSB 27. Invesco28. Allianz30. Old Mutual 31. Aviva32. Schroders33. Dodge & Cox34. Lehman Brothers Holdings*35. Sun Life Financial36. Standard Life37. Cnce38. Nomura39. The Depository Trust Company40. Massachusetts Mutual Life Insurance41. ING42. Brandes Investment Partners 43. Unicredito Italiano 44. Deposit Insurance Corporation of Japan45. Vereniging Aegon46. Bnp Paribas47. Affiliated Managers Group Inc48. Resona Holdings Inc49. Capital Group International Inc50. China Petrochemical Group Company

* nel database del 2007 esisteva

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modello che spiega come le banche, oltreche troppo grandi, siano anche troppointerconnesse: ogni shock sul bilancio diun istituto è destinato a ripercuotersisugli altri. Ma questo principio non valesolo per gli istituti di credito. In un siste-ma che vive di partecipazioni incrociatesi può verificare molto più facilmente uneffetto domino che fa sì che una crisi sidiffonda a livello mondiale.

Le influenze sulla politicaPer giunta, si può davvero parlare di con-correnza se il mercato è dominato da unpugno di colossi dai ricavi astronomici?E soprattutto se, come accade innumere-

voli volte, le aziende più importanti in-vestono le une nelle altre e magari con-dividono alcuni membri del Cda? Se lemaglie della rete sono così strette, conti-nua Battiston, «possono nascere dellecondivisioni di interessi. E un gruppo disoggetti di questo peso può avere unagrande forza nell’affermare questi inte-ressi di fronte ai legislatori».

Una forza sproporzionata rispetto, adesempio, a quella dei lavoratori, o delle po-polazioni locali. Basta guardare alle ele-zioni presidenziali statunitensi. Stando aOpensecrets.org, per quelle del 2012 chehanno visto la riconferma di Obama le do-nazioni dei soli colossi petroliferi hannosuperato i 137 milioni di dollari. Quelle delmondo della finanza, delle assicurazioni edell’immobiliare hanno raggiunto i 646milioni. In entrambi i casi una netta mag-gioranza è andata ai repubblicani. «Ab-biamo quindi un gruppo di attori rilevan-ti da un punto di vista economico perché,se si trovano in difficoltà, devono esseresalvati tutti insieme. Lo sanno e quindi si

Le prime della classeUna carrellata delle prime multinazionali in termini di fatturato per ogni settore di attività

WALMART

Posizione nella classifica generale: 1Sede della holding: UsaComparto: grande distribuzioneIl colosso mondiale della vendita al dettaglio, con quasi 11 mila punti vendita in 27 Paesi, è anche primo della lista tratutte le multinazionali per fatturato: 422 miliardi di dollarinel 2011, 16 miliardi di utili e 2 milioni di dipendenti. Nel suoconsiglio di amministrazione c’è anche un ex presidente e Ceo di Coca-Cola, un ex presidente di Kpmg e l’attualepresidente e Ceo di Yahoo!, Marissa Mayer, nota per aver toltorecentemente ai propri impiegati la possibilità di svolgere il telelavoro. Walmart è stata spesso accusata di garantirsi il successo commerciale – e spese ridotte – attraversol’impiego di operai non specializzati o part-time,l’opposizione all’ingresso dei sindacati tra i dipendenti, la vendita di merce prodotta a basso costo in Paesi dove è frequente lo sfruttamento dei lavoratori e la loro mancatatutela (vedi Valori di marzo sulle fabbriche tessili inBangladesh e Pakistan), oltreché l’impiego di minori.

ROYAL DUTCH SHELL

Posizione nella classificagenerale: 2Sede della holding: OlandaComparto: petroliferoPresente in 90 Paesi del mondo,

è una delle famose Sette sorelle e seconda assoluta perfatturato tra le multinazionali: 378 miliardi nel 2011, con 20 miliardi di utile e 97 mila dipendenti. Integra attività di upstream (esplorazione, estrazione e raffinazione di petrolio e gas naturale) e downstream(commercializzazione e distribuzione al dettaglio e industriale) e un comparto chimico (Shell Chemicals), che tratta i derivati dagli idrocarburi. Ha accantonato altribusiness (energia nucleare, carbone, metalli, generazione di energia), investendo invece ultimamente in solare, eolico e idrogeno. Controllata dalle holding Royal Dutch PetroleumCompany dei Paesi Bassi (di cui è azionista la famiglia realeolandese) e The Shell Transport and Trading Company del Regno Unito, ha rinunciato solo di recente alletrivellazioni nell’Artico, ma rimane al centro delle critiche per lo sfruttamento e l’inquinamento del Delta del Niger e accusata in diverse parti del mondo di violazioni dei dirittiumani e danni all’ambiente.

STATE GRID

Posizione nella classifica generale: 7Sede della holding: CinaComparto: elettricità e infrastruttureDi proprietà della Repubblica Popolare di Cina, ha unfatturato che supera il bilancio pubblico di Corea del Sud,Austria e Turchia: 226 miliardi di dollari nel 2011, 4 miliardidi utili con un milione e mezzo di dipendenti. Opera in unsettore in pieno sviluppo: la realizzazione di reti di trasmissione di energia e le telecomunicazioni, in cui,secondo uno studio del Worldwatch Institute, ha investito3,2 miliardi dollari nel 2012 e nel 2013 potrebbe diventare il mercato più grande del mondo, superando gli Usa. Ha programmato investimenti per 601 miliardi dollari in infrastrutture di trasmissione elettrica da qui al 2020, di cui 101 miliardi saranno destinati alle tecnologie smartgrid, reti elettriche “intelligenti”. State Grid oggi promuove i temi della responsabilità sociale d’impresa sostenendo il valore di sviluppo dell’infrastrutturazione elettricamassiccia delle campagne cinesi.

LE TOP 200 IN CIFRE

1996 2011

Dipendenti 18.051.710 35.884.504

Fatturato (miliardi di $) 6.897,47 17.494,54

Profitti (miliardi di $) 253,66 576,61

VARIAZIONE TRA IL 1996 E IL 2011 DI DIPENDENTI, FATTURATO E PRODOTTI DELLE TOP 200

1996 2011

Dipendenti

Fatturato

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Profitti★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★ ★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★

★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★★

★★★★★★★★

In molti casi le grandiimprese hanno una ricchezzasuperiore a quella di alcuniPaesi. Impossibile nonpensare a un’influenza sulleregole stabilite dai governi

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dossier | nelle loro mani |

comportano di conseguenza. Per ultimo,sono molto importanti a livello politico equindi sono in grado di influenzare il pro-cesso di formazione delle regole del gio-co», riassume Battiston.

Più ricchi degli StatiLe potenze globali, in sintesi, sono poche.E private. Nella graduatoria delle prime100 economie del mondo, i primi nominon riservano sorprese (Usa, Cina, Giap-pone, Germania, Francia, Uk, Brasile, Ita-lia, ecc.), ma al 25° posto, fra Taiwan eNorvegia, si incontra un’impresa: Wal-mart. Al 28° e al 31°, Royal Dutch Shell edExxonMobil. Il Centro nuovo modello disviluppo, nel rapporto Top 200 - La cre-scita del potere delle multinazionali, hamesso in fila le prime 100 potenze mon-diali, tra Stati (in ordine di Prodotto inter-no lordo) e imprese (elencate per fattura-to). Risultato: nelle prime cento posizionile aziende sono 44 (vedi nella pagi-na seguente e la a pag. 38).

In quest’elenco l’Africa è pratica-mente assente. Compaiono invece i co-lossi dell’energia e delle materie primeche vivono delle sue risorse. Ma come sipuò comportare uno Stato di fronte adun’azienda che ha un fatturato superio-

re al suo intero Prodotto interno lordo?Angelica Bonfanti, ricercatrice all’Uni-versità degli Studi di Milano, ha analiz-zato diversi scandali (di cui ci siamo oc-cupati anche su Valori): uno fra tutti,quello di Shell nel Delta del Niger. «Unamultinazionale ha la possibilità di con-tribuire enormemente alla crescita di unPaese in via di sviluppo – spiega – se ri-spetta tutti gli standard in termini di tu-tela del territorio e del lavoro. Ma perchéle cose vadano bene deve esserci un’in-

tesa sinergica tra l’impresa e il Paese incui opera. Ci sono dei casi invece in cui lemultinazionali hanno la possibilità difornire un grosso ritorno economico inbreve tempo, ad esempio tramite le con-cessioni petrolifere. E dall’altra parte cisono governi strutturalmente dipen-denti dagli investimenti esteri che, purdi intascarne i proventi, magari sono di-sposti a chiudere gli occhi di fronte agravi violazioni dei diritti umani o a pe-santi danni all’ambiente».

TABELLA

MAPPA

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TOYOTA MOTORS

Posizione nella classificagenerale: 8Sede della holding:GiapponeComparto: automotive

Tornato gruppo automobilistico leader nel 2011, dopo un breve sorpasso di Volkswagen-Bmw, produce circa 9 milioni di vetture l’anno e prende il nome dal fondatoreToyoda e ha base nella cittadina di Nagoya. Nel 2011 ha raggiunto i 221 miliardi di fatturato, 4 di utili e 317 miladipendenti. Dal 1998 utilizza bioplastiche per la realizzazione dei componenti interni dei suoi modelli e stainvestendo da anni nel campo e in alcune impresespecializzate nelle biotecnologie. Fece scalpore nel 2010 il richiamo di milioni di automobili per difetti seri allapedaliera, con un conseguente crollo in Borsa, acuito dalleaccuse di aver nascosto documenti su incidenti con feriti a bordo, formulate dal presidente della commissione dellaCamera Usa incaricata di indagare sui maxi-richiami. A Toyota il merito di aver lanciato la prima auto ibrida di successo planetario (Prius) che combina l’azionepropulsiva di un motore termico a benzina con un motoreelettrico.

JAPAN POST HOLDING

Posizione nella classifica generale: 9Sede della holding: GiapponeComparto: poste e trasporti, banche e assicurazioniDi proprietà pubblica (al 100% del ministero delle Finanzegiapponese), è di fatto il maggiore istituto di risparmio del Giappone, avendo allargato nel tempo la sfera delleproprie attività dalla logistica e dal trasporto postale al campo delle assicurazioni e delle banche. 203 miliardi di fatturato nel 2011. A quanto riportato dal quotidianolocale Nikkei, a fine 2012 è stato congelato un piano di privatizzazione della holding che avrebbe dovuto venderedue terzi della compagnia (patrimonio complessivo 11 trilioni di yen, ovvero 114 miliardi di dollari) e quotarla in Borsa entro il 2015, portando 7 trilioni di yen (87 miliardidi dollari) nelle casse del governo; soldi che avrebberodovuto finanziare la ricostruzione del dopo terremoto e del disastro nucleare di Fukushima del 2011.

AXA

Posizione nella classificagenerale: 14Sede della holding: FranciaComparto: assicurativo

Il gruppo assicurativo francese Axa è presente in 57 Paesi,principalmente in Europa occidentale, Americasettentrionale, Australia, India ed Estremo Oriente. 162miliardi di fatturato nel 2011, 3 di utili e 103 mila dipendenti. I settori di specializzazione sono le assicurazioni sullaproprietà e gli infortuni, vita, previdenza, risparmio e gestione patrimoniale.Axa è un gruppo nato dalla fusione di molte compagnie di assicurazioni a partire dal 1871: la sua internazionalizzazioneinizia nel 1955, con l’acquisto di una compagnia nel Quebec.Dal 2005 Axa adotta una politica di distribuzione di azionitra i suoi dipendenti che detengono dal 4 al 6% del capitale,che non basta a metterli al riparo da ristrutturazioni e licenziamenti. Nel 2012 Axa è stata in testa alla classificaitaliana per le sanzioni Isvap (l’autorità di controllo delle assicurazioni ora destinata a scomparire): oltre 2 milioni di euro per non aver rispettato le norme. Nel 2007ha firmato un partenariato con il Monte dei Paschi, al momento vacillante.

Nell’elenco delle prime 200 imprese nel mondo, per fatturato, stilato dal CentroNuovo Modello di Sviluppo, a fare la parte del leone sono gli Stati Uniti, che vantano 59 società; seguiti dal Giappone, a quota 24, e dalla Cina con 19 aziende. L’Italia comparenell’elenco con due colossi dell’energia e degli idrocarburi, come Eni ed Enel,rispettivamente al 23mo e al 56mo posto. Nel 2011 Eni ha fatturato 109,6 miliardi di euro,con un utile di 6,86 miliardi; mentre il volume d’affari di Enel ha raggiunto i 79 miliardi di euro. Le altre aziende italiane presenti nella lista fanno tutte parte, a vario titolo, del mondo della finanza. Alla 33ma posizione si incontrano le Assicurazioni Generali,precedute dalle concorrenti straniere Axa, Ing e Allianz. All’83mo posto invece c’è ExorSpa, la holding finanziaria controllata dalla famiglia Agnelli, che – accantonato il turismocon la cessione della quota di Alpitour – è azionista di maggioranza di Fiat e Juventus e detiene diverse partecipazioni internazionali tramite la holding lussemburgheseomonima. Si trovano invece nella seconda metà della graduatoria le due più grandibanche della Penisola, Unicredit e Intesa San Paolo. V.N.

MULTINAZIONALI MADE IN ITALY

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GENERAL ELECTRIC

Posizione nella classifica generale: 16Sede della holding: UsaComparto: manifatturiero

Stando a Forbes è la terza azienda più grande al mondodopo ExxonMobil e JP Morgan Chase. Fondata nel 1892, nel 2012 impiegava più di 300 mila persone, con un fatturato di 147,3 miliardi di dollari, profitti netti pari a 13,6 miliardi e una capitalizzazione di mercato di 213miliardi. I suoi prodotti spaziano dall’elettricità ai motoriaeronautici, dai software sanitari alle turbine eoliche,dall’illuminazione fino a tecnologie militari, reattori nuclearie finanza. Il suo Ceo, Jeffrey Immelt, nel 2012 ha intascato20,6 milioni di dollari: un netto aumento rispetto agli 11,4 milioni del 2011. E le critiche non mancano. Nel 2012General Electric ha lasciato all’estero 108 miliardi di dollaridi ricavi. Una pratica sempre più comune, che moltiadditano come un modo per sfuggire alle tasse negli Usa.Secondo Tax Justice Network, fra il 2002 e il 2011,General Electric avrebbe corrisposto al fisco americano,in media, solo il 2,3% degli introiti.

GLENCORE

Posizione nella classifica generale: 18Sede della holding: SvizzeraComparto: materie prime, minerarioCon un volume d’affari di 186 miliardi di dollari nel 2012,Glencore è il leader mondiale nello scambio di materieprime: nel 2010 controllava il 60% del mercato globale dellozinco, il 50% del rame e il 3% del petrolio. L’ultimo anno l’ha vista protagonista soprattutto per la difficile fusionecon la compagnia mineraria Xstrata. Un’operazione da oltre70 miliardi di dollari che deve ancora essere pienamenteconclusa: Glencore possiede già il 34% delle azioni di Xstrata, ma sta ancora aspettando il via libera delleautorità cinesi, previsto per la metà di aprile. Ma alcune Onglanciano l’allarme: nei Paesi in via di sviluppo le due impresenon tutelerebbero a sufficienza l’ambiente e le condizioni di lavoro. Temono inoltre che la fusione possamonopolizzare interi comparti, con pesanti conseguenzesulla fissazione dei prezzi delle materie prime.

AT&T

Posizione nella classifica generale: 30Sede della holding: UsaComparto: telecomunicazioniÈ la più grande compagnia telefonicastatunitense. Nel 2012 il volume d’affari

ha toccato i 127 miliardi di dollari, il profitto netto 7,3miliardi e ha più di 241 mila dipendenti. La rivista Fortune,nella sua ultima classifica annuale delle prime 500 societàstatunitensi, la colloca all’undicesimo posto. Un potereeconomico del genere le permette anche di farsi sentire a livello politico: stando ai dati forniti da Opensecrets.org,nel periodo compreso fra il 1989 e il 2012 AT&T ha speso in donazioni più di 50 milioni di dollari, divisi quasiequamente fra democratici (il 43%) e repubblicani (56%).L’azienda si è così piazzata al quarto posto nella graduatoriadei più importanti contributors del mondo politico a stelle e strisce.

LE PRIME 100 ECONOMIE MONDIALI PER PIL E FATTURATIPosizione Nazione/Impresa Pil/Fatturato Posizione Nazione/Impresa Pil/Fatturato Posizione Nazione/Impresa Pil/Fatturato

1 USA 14.526.550 35 Grecia 304.415 69 Nuova Zelanda 140.5092 Cina 5.878.257 36 Arab Emirati Arabi 302.039 70 Ucraina 137.9343 Giappone 5.548.797 37 Venezuela 293.268 71 Berkshire Hataway 136.1854 Germania 3.286.451 38 Sinopec Group 273.422 72 General Motors 135.5925 Francia 2.562.742 39 China National Petroleum 240.192 73 Bank of America Corp. 134.1946 Regno Unito 2.250.209 40 Finlandia 239.177 74 Samsung Electronics 133.7817 Brasile 2.090.742 41 Malesia 237.959 75 Kuwait 132.5698 Italia 2.055.114 42 Portogallo 229.154 76 Eni 131.7569 India 1.631.970 43 State Grid 226.294 77 Daimler 129.48110 Canada 1.557.040 44 Hong Kong 224.459 78 Ford Motor 128.95411 Russia 1.479.825 45 Singapore 222.699 79 BNP Paribas 128.72612 Spagna 1.409.946 46 Toyota Motor 221.760 80 Allianz 127.37913 Australia 1.237.363 47 Egitto 218.465 81 Qatar 127.33214 Messico 1.034.308 48 Israele 217.445 82 Hewlett-Packard 126.03315 Corea del Sud 1.014.482 49 Irlanda 206.985 83 E.ON 125.06416 Olanda 780.668 50 Cile 203.299 84 AT&T 124.62917 Turchia 735.487 51 Japan Post Holdings 203.958 85 Nippon Telegraph & Telephone 120.31618 Indonesia 706.752 52 Nigeria 202.576 86 Carrefour 120.29719 Svizzera 527.920 53 Filippine 199.591 87 Assicurazioni Generali 120.23420 Polonia 469.401 54 Chevron 196.337 88 Petrobras 120.05221 Belgio 467.779 55 Repubblica Ceca 192.030 89 Gazprom 118.65722 Svezia 458.725 56 Total 186.055 90 JP Morgan Chase & Co. 15.47523 Arabia Saudita 448.362 57 ConocoPhilips 184.966 91 McKesson 12.08424 Taiwan 429.845 58 Pachistan 176.870 92 GDF Suez 111.88825 Walmart Store 421.849 59 Volkswagen Group 168.041 93 Citigrup 111.05526 Norvegia 412.990 60 AXA 162.236 94 Hitachi 108.77627 Iran 407.382 61 Romania 161.629 95 Verizon Communications 106.56528 Royal Dutch Shell 378.152 62 Algeria 157.759 96 Bangladesh 105.56029 Austria 377.382 63 Fannie Mae 153.825 97 Nestlé 105.26730 Argentina 369.992 64 Perù 153.802 98 American International Group 104.41731 ExxonMobile 354.674 65 General Electric 151.628 99 Honda 104.34232 Thailandia 318.908 66 Kazakhstan 148.047 100 Vietnam 103.57433 Danimarca 309.866 67 ING Group 147.05234 BP 308.928 68 Glencore International 144.978 Paese Azienda

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Il 12° piano quinquennale di program-mazione economica cinese per il pe-riodo 2011-2015, da quando è stato

presentato, non ha smesso di far discu-tere gli osservatori del grande Paese.Perché segna lo spostamento dal para-digma “il Pil innanzitutto” verso la cre-scita qualitativa e il mercato interno, nelnome della sostenibilità ambientale, so-ciale, economica e politica.

Il Paese, che è stato finora il maggio-re esportatore mondiale in termini asso-luti, rivolge l’attenzione al mercato in-

terno dove si sta formando una classemedia sospinta dagli aumenti salariali(mentre gli stipendi italiani sono fermidagli anni ’90) e dai processi di urbaniz-zazione. La flessione nelle esportazioni,causata dalla crisi mondiale, viene decli-nata dalla “fabbrica del mondo” con unriposizionamento verso produzioni amaggior valore aggiunto, che richiedonouna minore intensità di mano d’opera.Anche perché, a causa della politica delfiglio unico, tra oggi e il 2025 la Cina pre-vede di avere 10 milioni di lavoratori inmeno all’anno.

La riconversione prevede ingenti in-vestimenti in ricerca e sviluppo, che nel2012 hanno raggiunto la quota record di

Il socialismo di mercatodella prima potenza mondialediPaola Baiocchi

La Cina cambia il suo paradigma produttivo: da primo esportatore mondialeora intende concentrarsi sul mercato interno e su una crescita qualitativa

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NESTLÉ

Posizione nella classifica generale: 42Sede della holding: SvizzeraComparto: alimentare

Quando si sente parlare di Nestlé salta subito alla mente il boicottaggio lanciato nel 1977, e proseguito per decenni,per protesta contro le sue martellanti campagne di marketing per l’uso del latte in polvere nei Paesi in via di sviluppo. Paesi in cui l’acqua spesso è contaminata e il latte artificiale ha provocato il decesso di migliaia di bambini. In questi mesi sono emersi altri scandali: dal documentario Bottled Life, che punta il dito contro il mercato dell’acqua in bottiglia, alla carne equina in alcuniprodotti confezionati. Ma il colosso alimentare svizzerocontinua a prosperare nonostante i danni d’immagine e la crisi. Nel 2012 ha registrato un utile netto di circa 11 miliardi di dollari, il +11,6% rispetto all’anno precedente.Cresce anche il volume d’affari, che supera i 96 miliardi.

CARDINAL HEALTH

Posizione nella classifica generale: 53Sede della holding: UsaComparto: chimico e farmaceuticoQuarant’anni fa era una piccola azienda di distribuzione di prodotti alimentari. Nel 1979 Cardinal Foods ha acquisitoalcune società distributrici di farmaci, assumendo il nomeCardinal Health. Da allora fornisce a farmacie e ospedalimedicine, guanti, camici, ferri chirurgici, sistemi di gestionedei dati dei pazienti. Nel 1991 il suo volume d’affari hasuperato il miliardo di dollari, dieci anni dopo si spartiva conAmerisourceBergena e McKesso il 90% della distribuzionefarmaceutica all’ingrosso. Nel 2012 il fatturato è arrivato ai107 miliardi di dollari, i profitti netti a 1 miliardo, i dipendentierano 32.500 in dieci Paesi. Lo scorso anno Cardinal Health èfinita nel mirino della Drug Enforcement Administration, che ha sospeso le licenze del suo centro in Florida, sospettato di aver permesso ad alcune farmacie di comprare quantitàeccessive di farmaci soggetti a restrizioni, soprattutto a basedi ossicodone.

ARCELORMITTAL

Posizione nella classifica generale: 74Sede della holding: LussemburgoComparto: metallurgico e mineraliNasce nel 2006, con l’acquisizione della franco-lussemburghese Arcelor per 26,9 miliardi di euro da partedell’indiana Mittal, il maggiore colosso mondialedell’acciaio. Nel 2012 aveva un fatturato di 84,2 miliardi didollari, per una produzione di acciaio grezzo di 88,2 milionidi tonnellate, il 6% dell’output mondiale. Lavorano perArcelorMittal 260 mila persone, ma un enorme potere è in mano a un uomo solo: il presidente e A.d. Lakshmi Mittal.Forbes lo colloca al 41° posto fra i miliardari più ricchi delmondo. Ma il suo patrimonio, oggi pari a 16,5 miliardi di dollari, negli ultimi due anni si è quasi dimezzato. Colpadella crisi, che ha abbattuto la domanda in Europa, facendocrollare le azioni del gruppo, declassate da Moody’s appenasopra il livello junk (spazzatura). Duro, alla fine del 2012, il braccio di ferro con l’esecutivo francese sull’ipotesi – poiscongiurata – di chiudere l’acciaieria di Florange.

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124 miliardi di euro (1.000 miliardi diyuan), con 3,2 milioni di unità occupatenel settore, mentre il valore della produ-zione aggregata di industrie ad alta tec-nologia ha superato i 1.240 miliardi di eu-ro (10.000 miliardi di yuan). Il focus delpiano quinquennale sarà sull’innova-zione e la modernizzazione, attraversoprocessi di ristrutturazione del sistemaproduttivo manifatturiero, sia a livellotecnologico che organizzativo, attraver-

so il rafforzamento dei “nuovi settoristrategici industriali” (vedi ) che do-vranno entro il 2015 passare dal valoreattuale del 3%, all’8% del Pil.

“Socialismo di mercato”Mentre la componente finanziaria dell’e-conomia occidentale non accenna a di-minuire, con cinque società finanziarie ecinque banche globali che detengono il90% dei titoli derivati che valgono oltre

800.000 miliardi di dollari (680.000 suimercati non regolamentati Otc e circa220.000 su quelli regolamentati), “la vi-sione scientifica dello sviluppo” – citan-do le parole dell’ex presidente Hu Jintao– ha suscitato molta ammirazione daparte degli economisti neokeynesiani,che hanno parlato apertamente della ne-cessità di studiarne i fattori di successo,e dall’altra parte ha scatenato le critichedegli economisti liberali.

Se, infatti, c’è chi legge in questo cam-biamento anche l’importante opportu-nità di sostenere la maggiore richiesta diimport di cui la Cina avrà bisogno, la for-mula della programmazione economicacentralizzata contrapposta alla “manoinvisibile del mercato” – per di più concomponenti innovativi come la pro-prietà collettiva delle fabbriche – famugugnare i think tank conservatoricome Eurasia Group, presieduto da IanBremmer che ha parlato di “fine delladottrina del libero mercato”. Uno dei ca-pisaldi dello sviluppo degli Stati Uniti,che vacilla sotto i nuovi dati: l’agenziaBloomberg, a febbraio, ha scritto che ilsocialismo di mercato della Cina ha su-perato gli Usa, nella somma delle im-portazioni ed esportazioni di beni.

BOX

CHINA RAILWAY GROUP

Posizione nella classifica generale: 95Sede della holding: CinaComparto: costruzioni

Da sola ha costruito 22 mila km di linee ferroviarie in Cina,circa il 95% del totale. China Railway Group è uno dei duecolossi delle infrastrutture controllati dallo Stato (l’altro è China Railway Construction Corporation). Oltre alleferrovie, nel 2007 aveva già realizzato 4.230 km di ponti,3.900 km di tunnel, 3.400 km di strade a scorrimentoveloce e 566 km di metropolitane. Secondo Fortune, nel 2012 il suo fatturato era di 71 miliardi di dollari e i dipendenti più di 294 mila. Per giunta lo Stato, per ridarestimolo alla crescita, mira a spendere in infrastrutturealmeno 10 miliardi di dollari al mese per tutto il 2013: piùdel doppio rispetto agli ultimi mesi del 2012. Ma il ministerodelle Ferrovie, travolto da alcuni scandali per corruzione,verrà incorporato dal ministero dei Trasporti. Sembra inoltreche l’esecutivo voglia aprire ai capitali privati.

BOEING

Posizione nella classifica generale: 114Sede della holding: UsaComparto: aerospazialeUn fatturato di poco meno di 68 miliardi di dollari, un utilenetto di 4,01 miliardi e 171 mila dipendenti. Sono i numeri(2011) di Boeing, primo colosso mondiale dell’aeronautica,che nel 2016 taglierà il traguardo del cent’anni di attività.Ma il suo primato, a lungo indiscusso, ha iniziato a vacillarenel 2000 con lo storico sorpasso dell’europea Airbus. In quella che negli anni ha preso la forma di una vera e propriacontesa commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, il 2012è stato l’anno della rimonta statunitense: Boeing è salitainfatti a quota 1.203 ordini e 601 consegne mentre Airbus si è fermata rispettivamente a 833 e 588. Per ora la crisisembra non aver danneggiato il settore dell’aeronautica,che continua a viaggiare su introiti miliardari graziesoprattutto al boom delle compagnie low cost e del trafficoin Asia e America Latina. Ma i prossimi anni non sarannoaltrettanto facili, visti anche i tagli alle spese militari.

Nel discorso di inizio anno il ministero dell’Industria cinese ha ribadito l’obiettivo da realizzare entro i prossimi due anni 5-8 società di elettronica, con vendite peralmeno 100 miliardi di yuan. L’obiettivo, da raggiungere attraverso fusioni, alleanze e acquisizioni anche all’estero, rientra nel piano più generale di Pechino di promuovereaziende di marca a più alto rendimento, riducendo la frammentazione produttiva, perallontanarsi da un’economia centrata attorno alla produzione elettronica a basso costo.Il dipartimento ha spiegato che tra gli obiettivi c’è anche quello di aumentare i livelli di concentrazione industriale di un’ampia gamma delle maggiori produzioni,comprese quelle dell’industria automobilistica, del cemento, della logistica-spedizione, dell’alluminio, delle terre rare, della medicina e del comparto agricolo. Nell’auto, ai 10 maggiori produttori dovrà fare capo il 90% della produzione cinese delsettore e lo stesso dovrà succedere nell’alluminio. Nella siderurgia la programmazioneprevede 10 top player con circa il 60% della produzione totale di acciaio entro il 2015 etre-cinque società competitive a livello mondiale. Nella logistica-spedizione i 10 maggioricostruttori di navi dovranno coprire il 70% o più della produzione cantieristica totale.

LA CINA PUNTA A CREARE GIGANTI DELL’INDUSTRIA I NUOVI SETTORI STRATEGICIINDUSTRIALI NEL PIANOQUINQUENNALE 2011-2015Si potrà contare su finanziamenti e incentivi grazieal sostegno governativo rafforzato, anche per le imprese estere, nei seguenti ambiti:• efficienza energetica / protezione ambientale:nuove tecnologie, sistemi di riciclaggio,modernizzazione dell’agricoltura;

• tecnologie dell’informazione: internet, cloudcomputing, comunicazione mobile, servizid’informazione;

• biotecnologie: prodotti (medicinali) fabbricatisecondo parametri biotecnologici;

• apparecchiature di alta qualità: aviazione eaeronautica, tecnologia satellitare, tecnicaferroviaria, impianti di produzione “intelligenti”;

• nuove energie: energia nucleare, impianti solaritermici, fotovoltaici ed eolici, tecnologie smart grid;

• nuovi materiali: materiali di costruzione moderni,compositi, fibre ad alte prestazioni;

• tecniche alternative di propulsione in ambitoautomobilistico: veicoli ibridi, elettrici e con cellea combustibile.

FONTE: O

SEC

, IL CENTRO DI C

OMPETENZA PER LA PROMOZIONE DEL COMMERCIO SVIZZERO CON L’ESTERO

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dossier | nelle loro mani |

Negli ultimi 150 anni il capitalismoha plasmato giuridicamente leattuali multinazionali, per con-

ferire una “personalità” autonoma a que-sti soggetti economici, tanto invasivi daessere in grado di modificare la nostra sa-lute e il nostro modo di pensare con i loroprodotti. Con i loro bilanci pari al Pil di in-tere nazioni, si permettono di guardaredall’alto in basso gli Stati, obbligate per

legge a considerare più importante di tut-to la bottom line, la riga in fondo. Quellache ad ogni trimestrale registra i profitti,realizzati sempre e comunque, ancheagendo al di sopra del bene comune.

A questa forma di potere assoluto, il23 febbraio 1972, Eugenio Cefis, presiden-te della Montedison, consacra un discor-so che tiene di fronte agli allievi dell’Ac-cademia militare di Modena, dal titolo:

“La mia Patria si chiama Multinazionale”.Il discorso ha una storia straordinaria,perché arriva nel 1974 nelle mani di PierPaolo Pasolini, che lo trova talmentesconvolgente da volerlo inserire comecardine tra la prima e la seconda parte diPetrolio, il romanzo sul potere che stascrivendo e che non riuscirà a portare atermine perché verrà ucciso il 2 novem-bre del 1975. Il discorso non sarà inseritonel libro dai curatori dell’edizione, uscita17 anni dopo la morte di Pasolini. E anco-ra oggi non è agevole rintracciarlo perchénon si trova in internet, anche se è un te-sto molto commentato e già pubblicatonel 1972 dalla rivista L’Erba voglio. Il di-scorso può essere richiesto al GabinettoViesseux di Firenze dove è conservatonel Fondo Pasolini, scrivendo una moti-vata lettera agli eredi del poeta.

Uno scritto semiclandestinoCos’ha di così straordinario questo testoda circolare ancora oggi semiclandestina-mente, 41 anni dopo esser stato pubblica-to? Tutto, a partire da chi lo pronuncia,ma anche i suoi contenuti eversivi, il luo-go e il momento in cui viene presentato.Perché in Italia è in corso la “strategia del-la tensione”, che l’ha già colpita con laStrage di Piazza Fontana nel 1969 e duetentativi di golpe – nel 1964 ad opera delgenerale dei carabinieri De Lorenzo e nel1970 per mano di Junio Valerio Borghese –e di fronte ai futuri quadri militari, Cefispone una serie di domande: «Come si svi-

Se la mia Patriasi chiama MultinazionalediPaola Baiocchi

Nel 1972 Eugenio Cefis tiene un discorso agli allievi dell’Accademia militare di Modena dal contenuto eversivo, che preconizza Stati al servizio delle corporation, che perdono ogni sovranità perché pongono limiti all’azione delle società commerciali. E un esercito professionale che fa politica

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«Ci sono capitalismi di Stato in sistemi economico-sociali di mercato (o quasimercato), come sono tutte le multinazionali occidentali. Poi ci sono le multinazionalicinesi attive in tutto il mondo, che sono le principali esponenti di questo cosiddettocapitalismo di Stato», così Giulio Sapelli, docente di Storia economica all’Universitàdegli Studi di Milano, sulle multinazionali di proprietà statale più attive, nel campopetrolifero-energetico, ma non solo.«Funzionano sostanzialmente in base a tre regole – continua Sapelli –: uno,dispongono di una liquidità illimitata: lo Stato stampa moneta come e quanto vuole.Due, soprattutto quando avvistano contratti lucrosi in certi Paesi, ricorrono al “lavoroportato” di migliaia di loro connazionali, che trasferiscono in tutto il mondo: ad esempio durante la crisi libica nessuno ha sottolineato che i cinesi hanno inviatosul posto 5 navi per portare via dal paese 40 mila dei loro connazionali che lì lavoravano. Tre, la Cina difficilmente opera in agreement, cioè in accordo con altremultinazionali, proprio perché dispone di questa liquidità illimitata. Le altremultinazionali a cui si può fare riferimento sono quelle degli altri cosiddetti Brics(Brasile, Russia, India e Cina), tipici di un’economia mista, con una forte proprietàstatale: pensiamo a Petrobras che mantiene una piccola quota privata, allamessicana Pemex, posseduta dallo Stato al 100%, pensiamo a societànazionalizzate di recente come quella dell’Ecuador e della Bolivia. Diverse sonoinvece le compagnie di Stato con partecipazione statale, come possono essere la nostra Eni o la francese Edf, quotate in Borsa, che lavorano con diversi limiti,nell’orizzonte del capitale finanziario e dei vincoli che pone loro la Borsa». C.F.

IL LAVORATORE ME LO PORTO DA CASA

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lupperà il rapporto tra queste società cheoperano su basi internazionali e gli Statisovrani che tendono sempre più a volercontrollare i fatti economici che si svolgo-no all’interno del loro territorio?». E anco-ra: «Ma l’attuale dimensione degli Stati ècompatibile con una politica efficace neiconfronti delle imprese multinazionali?».

La sua risposta sgombra il campo daogni ipotesi di controllo su queste so-cietà: «Non si può chiedere alle impresemultinazionali di fermarsi ad aspettareche gli Stati elaborino una risposta ade-guata sul piano politico ai problemi cheessi pongono». Dove verranno prese, allo-ra, le decisioni? La risposta mette i brividi,soprattutto pensando al golpe in Cile, chesolo un anno più tardi destituirà il gover-no di Salvador Allende, che aveva nazio-nalizzato le miniere di rame, fino ad alloracontrollate da imprese nordamericane: «I

maggiori centri decisionali non sarannopiù tanto nel Governo o nel Parlamento,quanto nelle grandi direzioni delle grandiimprese e nei sindacati, anch’essi avviati aun coordinamento internazionale».

A chi sarà affidato il compito di far ri-spettare le decisioni, se non fossero condi-vise dalle popolazioni? Dalle forze arma-te: «Anche dal punto di vista militarel’unica risposta possibile è quella di un al-largamento delle dimensioni del poterepolitico a livello almeno continentale». Unesercito, secondo Cefis, di professionisti,ai quali in chiusura così si rivolge: «Occu-patevi di politica. Non certo come milita-ri, come casta, ma come cittadini, per dareun senso alla vostra fedeltà alla Costitu-

zione Repubblicana». Il disegno contenu-to nel discorso è la negazione della nostraCostituzione e rappresenta, invece, il tas-sello di un altro progetto: bisogna ricorda-re che Pasolini scrive in Petrolio di Cefiscome mandante dell’omicidio di Mattei, alquale succede dopo la sua morte alla pre-sidenza dell’Eni, capovolgendone la visio-ne statalista. Ma bisogna anche ricordareche Cefis viene indicato come il fondatoredella P2, che la gestisce fino a quando èstato presidente della Montedison, in unappunto del Servizio segreto militare (Si-smi) rintracciato da Vincenzo Calìa, il pub-blico ministero che ha riavviato le indagi-ni sul caso Mattei nel 1994.

Come si trova l’Italia all’interno delle dinamiche industrialieuropee e internazionali? È un vaso di coccio tra vasi di metallo:in ritardo nell’adeguarsi al nuovo paradigma tecnologico, puressendo stata fino al 1985 in buona posizione, e con unparadosso legato alla qualità degli investimenti che limita lacrescita del Pil. Il paradosso è questo: «Il rapportoinvestimenti/Pil rimane stabile (o diminuisce) per i Paesieuropei che generano alta tecnologia e che hanno un rapportofra spese in ricerca e sviluppo e Pil superiore alla media, mentretutti gli atri Paesi, cioè quelli che incorporano le tecnologie,sono costretti ad aumentare gli investimenti».Ne parlano Roberto Romano e Stefano Lucarelli* in un loro saggiopubblicato sul Libro bianco della Cgil, da cui traiamo i virgolettati:«La correlazione “maggiori investimenti-minore spesa in ricerca esviluppo” è particolarmente evidente nell’analisi degliinvestimenti italiani. La crescita degli investimenti intervenuta allafine del millennio (2000) è direttamente proporzionale allo sforzodi adeguamento del tessuto produttivo nazionale allo scenarioeconomico europeo, anche se l’esito finale è un consolidamentodella struttura produttiva, ovvero un sistema produttivo cheopera nei settori supplier dominated, con dimensioni medio-piccole, dinamiche innovative finalizzate unicamente allariduzione dei costi e tecnologie adottate dall’esterno (acquisiteda specifici fornitori), con una scarsa appropriabilità dei risultati».L’ammodernamento del prodotto è avvenuto attraversol’acquisto di nuove macchine prodotte da imprese estere e di pari passo: «Le imprese italiane – salvo rari casi – non sonoentrate nei nuovi settori ai quali si rivolge la domandamondiale». Mentre la Cina punta nella divisione internazionale

del lavoro alla produzione di beni strumentali ad alto valoreaggiunto: “Il saldo della produzione industriale in generale e deibeni strumentali in particolare, tra il 1987 e il 2011, mostra conchiarezza la progressiva de-industrializzazione dell’Italiarispetto ai principali concorrenti internazionali. Quindi gli investimenti italiani generano un output inferiore agliinvestimenti europei, condizionando (negativamente)l’equilibrio macroeconomico”.In assenza di politiche economiche nazionali di indirizzo, il sistema italiano ha consolidato una significativa «resistenza al nuovo» con investimenti maggiori alla media dei Paesiindustrializzati europei e addirittura «l’orario di lavoro medioper addetto tra i più alti dei paesi europei e il più basso tasso di utilizzo degli impianti». È urgente la trasformazione delmodello di sviluppo che, secondo Lucarelli e Romano, «passaattraverso la programmazione della conoscenza edell’innovazione tecnologica pubblica, lo sviluppo di organismiad alta qualificazione con funzione di studio e valutazione delledecisioni politiche, l’industrializzazione della ricerca (pubblica)sia attraverso una regolazione dei finanziamenti privati, siariprogrammando le funzioni della Cassa Depositi e Prestiti permodificare la specializzazione produttiva. In sintesi, ènecessaria una struttura produttiva adeguata. Diversamente,ogni misura di aumento della domanda non farà crescere il Pilitaliano». Pa.Bai.

* Roberto Romano, economista, lavora per il Dipartimento contrattazione CgilLombardia, con incarichi di ricerca; Stefano Lucarelli è ricercatore in Economiapolitica all’Università di Bergamo. Il saggio si intitola: “La struttura industrialeitaliana e il vincolo degli investimenti”.

IL COSTO DELLA DE-INDUSTRIALIZZAZIONE ITALIANA

«I centri decisionali nonsaranno più nei Parlamenti,ma nelle grandi imprese»

Il discorso di Eugenio Cefis non si trova on line. Lo pubblicheremo in versione

integrale sul sito www.valori.it

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«Il tema non è quello dell’uso diFondi sovrani come una sortadi cavallo di Troia per demoli-

re le economie dei Paesi competitori, ilproblema è come questi Fondi sovranipossano contribuire a creare una finanzainternazionale ancora più caotica e con-vulsa». Come dire – parafrasando questeparole di Alessandro Volpi, docente diStoria contemporanea e di Geografia poli-tica ed economica all’Università di Pisa – iFondi sovrani devono preoccuparci piùper la loro vocazione finanziaria e, talvol-ta, speculativa che per il rischio che siportino via i gioielli strategici dell’indu-stria e della produzione di altri Stati. Ita-

lia compresa. Ma che la recente nascita ecrescita dei Fondi sovrani, alimentati dal-le esportazioni di petrolio e materie pri-me, desti interesse, oltre a qualche timo-re, è innegabile.

Il sovrano fa moda Nel 2012, ricorda uno studio del Montedei Paschi di Siena, la presenza dichiara-ta di questi Fondi in Italia con nuovi in-vestimenti ha toccato una cifra superio-re a 1 miliardo e mezzo di euro (erano unterzo nel 2011), con partecipazioni azio-narie nel 36% circa delle società quotate(25% nel Regno Unito, tra il 17% e il 19%per la Francia e la Germania).

A luglio scorso la maison Valentino èpassata per 700 milioni di euro dalla so-cietà finanziaria britannica Permira alFondo sovrano del Qatar (Qatar Invest-ment Authority), ma già una quota di Fin-meccanica era stata rilevata dalla LibyanInvestment Authority, mentre il Fondosovrano Aabar di Abu Dhabi è il primoazionista della banca italiana Unicreditcon il 6,5%. C’è poi l’acquisto dei cantierinavali Ferretti da parte di un conglome-rato controllato dal governo cinese e l’im-pegno massiccio in Italia del norvegeseGovernment Pension Fund - Global (vedi

), con investimenti in azioni per 4,7 mi-liardi sparsi in un’infinità di aziende, aiquali si aggiungono 6,3 miliardi in obbli-gazioni e 4,2 in titoli di Stato.

I nostri asset principali, come si dice,sono quindi partecipati o di proprietà ditemibili Stati stranieri? Beh, nella so-stanza è così. Ma è anche vero che l’enor-me liquidità posseduta dai Fondi sovraniqualche beneficio l’ha pure portato, spe-cialmente nel periodo più nero della crisidella finanza, tra 2007 e 2008. «Un esem-pio classico – sottolinea Mauro Meggio-laro, analista, fondatore di Merian Re-search – è quello di Ubs, la banca svizzerasalvata dal Fondo sovrano del governo diSingapore con 7,8 miliardi di euro, o quel-lo del colosso americano Citigroup, sal-vato dal Fondo sovrano degli EmiratiArabi con 7,5 miliardi di dollari».

Finanza oscuraTuttavia l’indispensabilità delle risorsedei Fondi sovrani è oggi diminuita. Alpunto che diverse istituzioni internazio-nali (vari governi e l’Fmi) pensano o at-tuano già (per l’Italia il DL 21/2012) dei cor-rettivi alla loro natura di per sé ibrida, percautelarsi dalla difficoltà di «capire quan-to l’azione di questi fondi sia legata a di-namiche di mercato e quanto invece a lo-giche di natura in senso lato politica»,sottolinea il professor Volpi. Se sul pianodella politica interna i SWF (SovereignWealth Funds) sono spesso strumenti distabilizzazione del quadro economico na-zionale, come contromisura alla volatilitàdei prezzi delle materie prime di cui i Pae-si proprietari dei Fondi sono esportatori,«sul versante della politica estera – conti-

BOX

Ricchezzao pericolo?diCorrado Fontana

Fondi sovrani statali, neonati, eppure dalle enormi risorse economiche,penetrano mercati e industrie, investendo in altri Paesi. Hanno salvato le banche dalla crisi, ma la loro vocazione finanziaria e l’oscurità dei meccanismi ora preoccupano

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Da segnalare come una mosca bianca nella galassia dei Fondi sovrani è quellonorvegese (Government Pension Fund). Oggi primo per capitalizzazione (656 miliardi di dollari), ha un comitato etico per decidere di comprare o scartaredeterminate imprese in base a criteri etici: qualche anno fa scartò Finmeccanica perun sospetto di investimenti in armi nucleari, riammesso però proprio all’inizio di quest’anno, mentre qui l’impresa veniva travolta dalle inchieste su casi di sospettacorruzione internazionale. Il Government Pension Fund si caratterizza per un forteinvestimento sul mercato italiano e per la centralità dei temi di responsabilitàsociale. In proposito alcune recenti decisioni del fondo hanno fatto notizia: quella piùrecente è stata cedere tutte le partecipazioni detenute in aziende coinvolte nellaproduzione di olio di palma, a causa dell’impatto che questo business ha sulleforeste tropicali primarie (23 aziende, tutte con sede in Asia, accusate di compartecipazione al disboscamento). Ma tra 2011 e 2012 il fondo aveva giàattuato una diminuzione progressiva dei propri investimenti nelle imprese consideratea impatto negativo sulle foreste asiatiche (meno 1,2 miliardi di investimenti).

MAMMA LI NORVEGESI!

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nua Volpi – la funzione di questi Fondi èfare investimenti strategici, puntare adacquisire partecipazioni in società chehanno un ruolo importante nel mante-nimento dell’apparato produttivo. Quinasce quindi un problema intorno al ca-rattere di strategicità: cosa si deve con-siderare strategico? E quindi, come rego-lare gli interventi di questi Fondi che nonrispondono solo al mercato ma anche al-la politica?». Questioni che si intersecanoal tema della scarsa trasparenza con cuimaturano le decisioni di operatori natispesso nell’ambito di sistemi politici le-gati a oligarchie con ampi poteri, comequello cinese o russo, di Singapore o delKuwait: «L’elemento di perplessità – se-condo Meggiolaro – è quanto riescano acondizionare le politiche degli altri Paesi…avendo così tanti capitali».

Statalizzazione eterodirettaNormativa cercasi, insomma, per opera-tori finanziari aggressivi, talvolta equipa-rati ai famigerati hedge funds o a privateequity, e ricchissimi, la cui azione pone an-che altri temi di riflessione. Può accadereinfatti che Fondi sovrani di Paesi emer-genti, espressione di concezioni economi-che differenti da quelle delle cosiddettedemocrazie avanzate, gestiti direttamen-te o indirettamente da Stati stranieri, ac-quisiscano le stesse imprese che un altrogoverno aveva precedentemente deciso diprivatizzare in un’ottica di liberalizzazio-ne. Contraddicendola, perciò. Ma non solo.Capita che il modello statalista dei Fondisovrani attecchisca dove un tempo non sa-rebbe successo: in questa linea di direzioneparrebbe muoversi oggi il Fondo strategi-co italiano e l’azione della Cassa depositi eprestiti, con la partecipazione in impresein difficoltà («una stagione tutta mercati-sta si è sostanzialmente chiusa», concludeAlessandro Volpi). Oppure può accadereche l’attivismo dei Fondi sovrani venga vi-sto come una minaccia concreta all’inte-grità del sistema produttivo nazionale: daqui gli scudi alzati ad esempio dalla Fran-cia alle invasioni di campo nei propri set-tori strategici (energia, armamenti); e perfinire il caso degli Stati Uniti riportato daun rapporto Consob del 2012: nel 2005 “laDubai Ports World controllata dal Fondo

sovrano Dubai World, tentò un’acquisizio-ne ostile della Peninsular and OrientalSteam Navigation Company (P&O), so-cietà che gestiva i principali porti degli Sta-ti Uniti (compresi quelli di New York e del

New Jersey), mediante un’offerta pubblicadel valore di circa 5,7 miliardi di dollari”,con ciò determinando un problema politi-co e un interessamento del Congresso de-gli Stati Uniti e del presidente Obama.

PRIMI 30 FONDI SOVRANI PER PATRIMONIO GESTITO [dati ad aprile 2011]

Paese Fondo sovrano Patrimonio gestito[miliardi $ Usa]

% cumulatasu totale

1. Uae - Abu Dhabi Abu Dhabi Investment Authority 625 15,72. Norvegia Government Pension Fund - Global 530 29,03. Cina Safe Investment Company 347 37,74. Cina China Investment Corporation 332 46,05. Singapore Government of Singapore Investment Corporation 315 53,96. Cina - Hong Kong Hong Kong Monetary Authority Investment Portfolio 293 61,47. Kuwait Kuwait Investment Authority 202 66,48. Singapore Temasek Holdings 140 69,99. Cina National Social Security Fund 120 72,910. Uae - Dubai Dubai World 100 75,411. Russia National Welfare Fund 88 77,612. Qatar Qatar Investment Authority 80 79,613. Australia Australian Future Fund 71 81,414. Libia Libyan Investment Authority 70 83,115. Algeria Revenue Regulation Fund 61 84,716. Brunei Brunei Investment Agency 39 85,717. US - Alaska Alaska Permanent Fund 39 86,718. Korea del Sud Korea Investment Corporation 37 87,519. Malesia Khazanah Nasional 36 88,520. Kazakistan Kazakhstan National Fund 30 89,221. Kazakistan Samruk Kayna National Welfare Fund 29 89,922. Venezuela National Development Fund 27 90,623. Francia Strategic Investment Fund 26 91,224. Russia Reserve Fund 25 91,825. Azerbaijan State Oil Fund 24 92,426. Uae - Abu Dhabi Mubadala Development Company 23 93,027. Irlanda National Pensions Reserve Fund 22 93,628. Uae - Abu Dhabi International Petroleum Investment Company 21 94,129. Canada Alberta’s Heritage Fund 15 94,430. US - New Mexico New Mexico State Investment Council 15 94,7

Totale 3.767 94,7

CHE NUMERI!• 4.600 miliardi di dollari • patrimonio complessivo dei 64 Fondi sovrani monitorati nel 2011. Il Pil della Germania di allora ne valeva 3.600;

• 76% • è la percentuale del patrimonio complessivo di tutti gli SWF che viene amministrata da Fondi asiatici o del Medio-Oriente, i quali rappresentano circa il 60% di tutti fondi istituiti;

• 50% • circa metà del patrimonio complessivo amministrato dai Fondi sovrani è gestita dai primi 5 in classifica per patrimonio gestito. Ai primi 10 fa capo addirittura il 75% del totale;

• 2010 • è l’anno in cui, dopo un crollo avvenuto nel 2009, i Fondi sovrani hanno ripreso massicciamente a indirizzare verso la finanza la maggioranza relativa (quasi il 40%) dei propri investimenti, con partecipazioniin hedge fund e fondi di private equity, nonché in società di gestione dei mercati di strumenti finanziari (tra le quali il London Stock Exchange londinese, partecipata dal Fondo sovrano di Dubai e dal Fondo del Qatar);

• 11 • è il numero di Fondi sovrani, sui 64 esistenti esaminati a luglio 2012 da Consob, che fornisconopubblicamente (in tutto o in parte) i dati di dettaglio sulle partecipazioni detenute in società quotate.

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| valorifiscali |

contenuta nella “lettera agli italiani”(www.beppegrillo.it/2013/02/lettera_agli_italiani.html). Si tratta di poco piùdi un elenco di 20 titoli, i cui contenutisono mancanti o recuperabili in parteda dichiarazioni di diversi esponentidel movimento.

Quelli di più immediato interesseper la finanza pubblica sono meno diuna decina ed è davvero difficile ri-scontrare una logica comune, o anchesemplicemente un ragionamento che litenga insieme in un quadro sufficiente-mente coerente. Alcune di queste pro-poste sono di stampo “socialdemocrati-co-radicale”, in particolare il reddito dicittadinanza e il ripristino dei fondi ta-gliati alla scuola e alla sanità. Tuttavianon mancano richiami alla più classicae facile retorica anti-fisco della destra(abolizione di Imu sulla prima casa e diEquitalia). Questo variegato insieme ècondito da proposte generaliste (misu-re per le piccole e medie imprese) e dal-le ormai classiche idee anti-sistema(abolizione dei contributi ai partiti, deifinanziamenti diretti e indiretti ai gior-nali e delle Province). Non si capisce co-me queste proposte si collochino nelcontesto della crisi, né come possanocontribuire a risolverla.

Una cosa, tuttavia, è certa: la realiz-zazione, anche solo in parte, di questo

programma comporterebbe un rilevan-te incremento del deficit e del debitopubblico. Ad essere generosi, le pro-poste anti-sistema possono generaremaggior gettito per 1 miliardo di euro,mentre l’abolizione dell’Imu sulla pri-ma casa costa, da sola, 4 miliardi. E ilreddito di cittadinanza, nella versionepiù plausibile del reddito minimo ga-rantito, ha un costo stimato non infe-riore agli 8 miliardi. Sembra implausibi-le che le altre proposte della “lettera”,tra cui la legge anti-corruzione e quellasul conflitto di interessi, l’informatizza-zione e la semplificazione dello Stato,possano colmare un simile divario.

Ora, il Movimento cinque stelle hacertamente ragione a denunciare l’as-surdità delle politiche di austerità. Marimane il fatto che l’entità del debito

pubblico italiano non permette ulte-riori aumenti di queste dimensioni. Co-me scrisse all’indomani del trattato diMaastricht un economista eretico co-me Luigi Pasinetti: seppure «non hasenso imporre una velocità predeter-minata» al processo di riduzione del de-bito pubblico, «non c’è dubbio che allasua espansione si debba porre un fre-no». E si noti che questo problema nonpotrebbe venire ignorato neppure sel’Italia uscisse dall’euro, come adom-brato nella proposta di referendumcontenuta nella lettera, perché comun-que il debito italiano dovrebbe esserefinanziato (in una moneta più debole,tra l’altro, e quindi con tassi di interes-se ancora maggiori).

Ma non ci sono solo gli aspetti con-tabili a destare più di un dubbio. È dav-vero difficile giustificare che un movi-mento fondato su ideali di giustizia e didemocrazia radicale partecipi (e, anzi,alimenti) alla campagna denigratoriacontro Equitalia, fondata perlopiù sudati falsi e manipolati, e alimentata dachivuole continuare tranquillamente anon pagare le tasse. Se il M5S studiasseun po’ di più, si renderebbe conto che ipoteri di Equitalia, che tanto scandalodestano da noi, corrispondono a quelliche le autorità fiscali posseggono, e datempo, nei Paesi civilizzati.

Cinque stelleIdee chiare cercasi

di Alessandro Santoro

Il Movimento 5 stelle ha ottenuto un indubbio successo elettorale ed èprotagonista di questa fase politica. Nelle dichiarazioni del suo leadere dei suoi parlamentari appare interessato esclusivamente a realizza-

re il suo programma. Tuttavia non è semplice capire di quale programma sistia parlando, visto che in rete ne esistono diverse versioni. Quella più nota è

Pochi i punti sulla finanzapubblica: confusi e per unaumento di deficit e debito

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finanzaeticaR

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La Ttf non fa male alla Borsa > 33Microcredito. Troppo micro e poco profit > 34

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| riforme europee |

Un membro della sezione giovanile del PartitoSocialista svizzero manifesta indossando unamaschera del presidente del colosso farmaceuticoNovartis, Daniel Vasella, e lanciando banconotefalse. Al numero uno della compagnia è statoaccordato un pagamento da 78 milioni di dollariper ottenere l’esclusiva sulle sue consulenze.Goccia che ha fatto traboccare il vaso, dando il via alle proteste.

C’è chi dice “no”

Finanzasenzaregole

Per Antonio Vigni sono giorni con-vulsi. Sentito dalla procura nel-l’ambito dell’infinita inchiesta sui

disastri del Monte dei Paschi di Siena e ac-cusato dagli inquirenti di associazione adelinquere per truffa ai danni della ban-ca, manipolazione del mercato e falso inprospetto al pari dell’ex numero uno del-la Rocca Giuseppe Mussari, l’ex direttoregenerale dell’istituto senese vive ormaicostantemente sotto le poco invidiabililuci della ribalta. Ma ad alimentare lecronache giornalistiche attorno al suonome, ultimamente, non sono state solole pur inquietanti vicende del Monte. Lanotizia, a modo suo impressionante, l’hariferita a febbraio Il Sole 24 Ore renden-do note le cifre del primato.

Dal Glass-Steagall all’europea ai bonus dei manager: il VecchioContinente lancia le riforme.Germania e Francia si muovono, la Svizzera sorprende tutti. E l’Italia resta indietro

diMatteo Cavallito

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Alla fine del 2011, l’ultimo anno per ilquale sono disponibili numeri e compa-razioni, il dimissionario Vigni, grazie auna buonuscita a sei zeri, si è portato acasa 5,4 milioni di euro. Tradotto: è statoil banchiere più pagato d’Italia. Il recordfa discutere, al pari del podio nazionale.Scorrendo la classifica stilata dal libro“Banchieri e compari” di Gianni Dragoni,citato ancora dal quotidiano di Confin-dustria, si trova un’emblematica meda-glia d’argento: Alberto Nagel. L’ex nu-mero uno di Mediobanca, già travoltodall’imbarazzante affaire del “papelloLigresti”, ha intascato nello stesso annoquasi 3 milioni di euro (2,93 per la preci-sione) precedendo in graduatoria il col-lega di Piazzetta Cuccia Renato Pagliaroche, più modestamente, ha dovuto ac-

contentarsi di 2,59 milioni. Pier France-sco Saviotti (Banco Popolare) e FedericoGhizzoni (UniCredit) se ne sono portatia casa un paio e spiccioli.

La guerra dei bonusI numeri saranno forse poca cosa nelquadro del trend globale (vedi ), madi certo alimentano il dibattito. Perchéil momento, si sa, è certamente decisivo.

La svolta è arrivata a marzo dall’Unio-ne Europea con l’approvazione di unariforma particolarmente sentita. A par-tire dal 2014 i banchieri dovranno fare iconti con un tetto massimo ai loro bo-nus che, secondo i piani, non dovrannosuperare il doppio dello stipendio fissoe, in ogni caso, dovranno passare attra-verso l’assenso degli azionisti. La rifor-ma, fortemente sostenuta dal ministrodelle finanze irlandese Michael Noonan,presidente di turno della Ue, e dal com-missario europeo al Mercato interno e aiServizi finanziari, Michel Barnier, dovràora trovare la ratifica dei singoli gover-ni nazionali in un contesto, manco a dir-lo, già tormentato.

La guerra, ovviamente, l’ha già scate-nata Londra, da sempre impegnata nellastrenua difesa degli interessi della City edei suoi 144 mila impiegati. Il sindacodella capitale britannica Boris Johnsonsi è già scagliato contro Bruxelles de-nunciando i gravi danni alla competiti-vità delle società Uk, mentre il premierDavid Cameron ha tenuto toni più bassima ha comunque promesso di difenderegli interessi della principale industrianazionale.

La vera novità, in compenso, è arriva-ta dal Paese più insospettabile, la Sviz-zera, dove un recente referendum (vedi

) ha imposto sorprendenti limitazio-ni ai sistemi di retribuzione dei mana-ger. In Italia, il Codacons ha reagito allanotizia chiedendo l’applicazione di unaconsultazione analoga rimarcando la

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La classifica la guida Jamie Dimon di Jp Morgan, ma sono in molti a passarsela piùche bene. Lo sostiene una ricerca della società Aquilar, citata a giugno dal FinancialTimes, parlando di un aumento medio dell’11,9% nei compensi dei 15 banchieri più pagati di Usa ed Europa. Cifre inferiori, ma trend in crescita anche in Italia dovenel 2011, secondo un’indagine di Uil-Credito ripresa da Il Sole 24 Ore, gli stipendi dei più importanti manager bancari sarebbero aumentati del 36,2% toccando quota26 milioni. A novembre l’agenzia Ansa, ripresa da Il Fatto Quotidiano (che ha citatoulteriori dati sulle retribuzioni top che differiscono in parte dalle cifre riprese dal Il Sole 24 ore), ha esteso il calcolo alle dirigenze (consiglieri, dirigenti e sindaci)parlando di una spesa complessiva di 134 milioni per i primi 8 gruppi bancari italiani.Secondo i dati Intesa Sanpaolo avrebbe speso 28,3 milioni, contro i 20,8 di Mediobanca e i 18,7 di Unicredit. Cifre che fanno da contraltare ai dati sullesvalutazioni complessive del comparto (26 miliardi secondo la Consob) e ai previstiesuberi del personale (20 mila dipendenti).

BANCHIERI, STIPENDI DA SOGNO

LE RIFORME FRANCESI IN 20 PUNTIQuesti, in sintesi, i punti fondamentali della Loi de séparation et de régulation des activités bancaires presentati a dicembre in unarelazione firmata dal ministro delle Finanze di Parigi Pierre Moscovici.1. Obbligo di separazione delle attività di investment banking da quelle

retail attraverso la creazione di entità separate. 2. Vietare alle banche di investire in fondi hedge o di concedere loro

finanziamenti senza garanzia.3. Regolamentare e limitare le operazioni di proprietary trading.4. Proibire alle controllate attività speculative come trading ad alta

frequenza e le operazioni sul mercato dei derivati sulle materieprime agricole.

5. Rafforzare la capacità dell’Autorità di vigilanza di monitorare e intervenire sulle attività delle banche vietando eventualmentealcuni tipi di transazioni.

6. Richiedere alle banche di sviluppare anticipatamente piani di recupero in caso di crisi.

7. In caso di programma giudicato insoddisfacente l’autorità puòimporre alle banche un piano diverso.

8. In caso di fallimento di una banca, l’autorità potrà intervenire con misure eccezionali quali ad esempio la revoca degliamministratori e la nomina di commissari.

9. L’autorità avrà in caso di fallimento il potere di caricare perdite su creditori e azionisti con l’obiettivo di proteggere il denaro dei correntisti.

10. Obbligo delle banche di finanziare un fondo di garanzia da utilizzarein caso di default.

11. Creare una nuova autorità, il Conseil de stabilité financière,responsabile di monitorare e prevenire lo sviluppo del rischiosistemico.

Antonio Vigni, ex dirigentedi Mps, è stato il banchierepiù pagato in Italia nel 2011.Al secondo posto c’è AlbertoNagel, ex numero uno di Mediobanca, travoltodallo scandalo Ligresti

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necessità di affidare le decisioni suicompensi agli azionisti stessi. Per il mo-mento, ovviamente, si resta in attesa diuna risposta.

Le riforme di Francia e GermaniaPer capire che aria tiri in Europa bastaandare Oltralpe. François Hollande loaveva promesso già in campagna eletto-rale e, almeno per ora, sembra intenzio-nato a mantenere l’impegno. La Franciaintende frenare la speculazione a comin-ciare dallo stop a proprietary trading eaffini. La legge, all’esame del Parlamen-to, prevede la separazione delle attivitàretail (le operazioni con la clientela) dal-le operazioni di tipo speculativo. Di fattosi tratta del vecchio Glass-Steagall Act,introdotto negli Stati Uniti nel 1933 eabolito nel 1999 durante la seconda am-ministrazione Clinton.

Ma il piano francese va oltre: il pro-getto presentato dal ministro dell’Econo-mia Pierre Moscovici (vedi ) preve-de il blocco alla speculazione sui derivatilegati alle materie prime agricole e lostop all’high frequency trading, le opera-zioni algoritmiche che sfruttano i mar-gini di prezzo in intervalli di tempo mi-nimi e che possono generare volatilità einstabilità per i mercati. L’aspetto è par-ticolarmente significativo, soprattuttoin relazione allo stesso principio di se-parazione delle attività.

L’idea, come noto, è già stata promos-sa a livello europeo dal governatore del-la Banca di Finlandia e consigliere Bce,

SCHEDA

I CEO PIÙ PAGATI DEL 2011

Nome Banca Stipendio 2011 Stipendio 2010 Variazione

1 James Dimon JP Morgan 23.060 20.776 +11%

2 Bob Diamond Barclays 20.072 nd nd

3 John Stumpf Wells Fargo 17.915 17.568 +2%

4 Lloyd Blankfein Goldman Sachs 16.160 14.114 +14%

5 Alfredo Sáenz Banco Santander 16.140 16.736 -4%

6 António Horta-Osório Lloyds Banking Group 15.679 nd nd

7 Vikram Pandit Citigroup 14.857 nd nd

8 James Gorman Morgan Stanley 12.969 14.854 -13%

9 Stuart Gulliver HSBC 10.471 nd nd

10 Stephen Hester Royal Bank of Scotland 9.101 11.537 -21%

11 Joseph Ackermann Deutsche Bank 9.005 8.548 +5%

12 Brian Moynihan Bank of America 7.482 1.220 +513%

13 Francisco González Bbva 7.362 8.071 -9%

14 Sergio Ermotti Ubs 6.989 nd nd

15 Brady Dougan Credit Suisse 6.561 12.230 -46%

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12.

Dati in milioni di dollari Usa.

12. Attribuire a questa nuova autorità poteri più ampi a cominciare dallapossibilità di imporre ulteriori requisiti patrimoniali.

13. Prevenire lo sviluppo di bolle speculative, consentendo al Conseil de stabilité financière di controllare la politica di concessione delcredito delle banche.

14. Aumentare la trasparenza dei costi di assicurazione per i contraentidei prestiti.

15. Consentire ai consumatori di scegliere liberamente l’assicurazionesul prestito.

16. Porre un tetto massimo alle commissioni esigibili dalle banche ai clienti che incontrassero difficoltà nei pagamenti (ad esempio il massimo scoperto).

17. Facilitare l’esercizio del diritto all’apertura di un conto che permettaa chiunque l’accesso a servizi finanziari di base gratuiti.

18. Consentire a soggetti terzi di rivolgersi alla Banque de France per permettere ai soggetti interessati di aprire un conto.

19. Ridurre la durata della procedura di risoluzione dei casi di sovraindebitamento.

20. In caso di procedimento per eccessivo indebitamento si introduce la possibilità di congelare gli interessi sul debito a partiredall’apertura della pratica.

[Per approfondire: www.economie.gouv.fr/files/projet-loi-reforme-bancaire.pdf]

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Erkki Liikanen, per le banche le cui ope-razioni di investimento (tra le quali ècompreso l’high frequency trading) su-perino i 100 miliardi di euro di controva-lore o abbiano un peso non inferiore al15-25% delle attività totali. Il Regno Uni-to ha già avviato un piano in tal sensomentre la Germania ha promosso unalegge in linea con i medesimi parametri.E gli effetti anti-speculazione non do-vrebbero tardare a manifestarsi.

L’ipotesi l’ha lanciata di recenteBloom berg, citando le valutazioni dell’a-genzia di rating Fitch. Il piano dovrebbeinteressare Deutsche Bank, la principalebanca del Paese, così come Commerz-bank, Landesbank Baden-Württemberge la filiale tedesca di Unicredit per un to-tale di una decina di istituti o poco più.Ma per alcuni di questi, nota l’agenzia dirating, i costi della ristrutturazione orga-nizzativa, che implicano la costituzionedi unità separate per la gestione degli in-vestimenti più complessi, dovrebbero ri-velarsi troppo onerosi e, in definitiva,non sostenibili. Risultato: piuttosto chesostenere i costi di separazione, moltebanche dovrebbero abbandonare le atti-vità più rischiose.

Italia in ritardoDiversi mesi or sono il presidente delMonte dei Paschi di Siena, AlessandroProfumo, aveva sottolineato lo scarsoimpatto della proposta Liikanen sugliistituti italiani, per i quali l’investmentbanking continua a rappresentare una ri-sorsa marginale (basti pensare alla scarsa

esposizione sui derivati, vedi Valorin. 102,settembre 2012). Ma questo, ovviamente,non basta a sollevare l’Italia dalla respon-sabilità di una scarsa politica anti-specu-lazione. Per capirlo basta guardare allaversione tricolore della Tobin Tax, entra-ta in vigore a inizio marzo. La norma col-pisce in modo estremamente marginale iltrading ad alta frequenza (tassato a unquinto dell’aliquota sugli scambi ordinaridi azioni) ed esclude le operazioni specu-

lative intraday (su cui si basa l’high fre-quency stesso) nonché la maggior partedelle transazioni in derivati. Assumereuna posizione speculativa sui futuresdelle materie prime, per intenderci, restain Italia un comportamento totalmentetax free.

Un passo avanti importante è arri-vato invece dalla Spagna. A marzo Ma-drid si è detta pronta a introdurre ilprincipio del voto vincolante degli azio-nisti sul compenso totale dei managerbancari (sia per i bonus che per la com-ponente fissa). L’operazione, ha ricorda-to il Financial Times, si affianca ad un’al-tra norma che imporrebbe alle aziendequotate in borsa di rendere noti i datisugli stipendi all’authority di controllonazionale.

| finanzaetica |

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Un risultato simile, probabilmente, nonse lo aspettava nemmeno ThomasMinder, l’imprenditore di Sciaffusa cheaveva promosso la raccolta firme per il referendum. A marzo il 68% degliSvizzeri ha detto sì alla legge che imponeun tetto agli stipendi dei manager dellesocietà private quotate in borsa.Risultato: stop alle buonuscite milionarie

e ai bonus legati alle operazioni di acquisizione e, soprattutto, potere decisionale agliazionisti chiamati a esprimersi sulle retribuzioni (il vecchio principio del Say on Pay).Molti, di recente, i casi clamorosi che avevano fatto discutere l’opinione pubblicaelvetica: i 15 milioni di franchi guadagnati dall’ex presidente della Novartis, DanielVasella, ma anche i 12,5 milioni intascati dal numero uno di Roche Severin Schwan e gli 11,2 milioni guadagnati da Paul Bulcke della Nestlé.

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Periodici

BONUS, LA RIVOLUZIONE DELLA SVIZZERA

Mentre all’estero molti Paesilanciano progetti di riforma,in Italia ci si nasconde dietroallo scarso coinvolgimentonell’investment banking. Nefa le spese anche la Tobin tax

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| finanzaetica | la tassa all’opera |

La Tassa sulle transazioni finan-ziarie (Ttf) in salsa italiana – quel-la cioè introdotta dalla legge di

Stabilità 2013 e che si applica ai trasferi-menti di proprietà di azioni e strumentifinanziari partecipativi, alle operazionisu derivati e altri valori mobiliari, non-ché all’high frequency trading – è opera-tiva (in parte) dal 1° marzo scorso. E, neiprimi giorni di scambio, non ha determi-nato alcun effetto sugli scambi di PiazzaAffari. Né in termini di volumi di scam-bio, né secondo il giudizio degli operato-ri di Borsa.

La Tobin Tax, insomma, finora non siè rivelata affatto catastrofica per la piaz-za finanziaria italiana e le fughe in massapaventate dai suoi detrattori non si sonoverificate. A onor del vero va detto che lanormativa non si applica a tutti gli scam-bi azionari. L’imposta dello 0,12% colpi-sce, infatti, solo chi acquista azioni di so-cietà con capitalizzazione superiore ai500 milioni di euro e con sede in Italia. Sitratta, dunque, di una tassa circoscrittadi fatto alle “big” quotate a Milano. Inol-tre, le operazioni su titoli derivati saran-no tassate solamente a partire dal 1° lu-glio prossimo. La normativa, poi, prevedeuna tassazione sul netto delle posizioniin chiusura di giornata. Il che, tradottodal linguaggio tecnico, significa che se siacquistano 100 titoli e se ne rivendono al-trettanti entro la stessa giornata, si evitadi incorrere nella Tobin Tax.

Tali caratteristiche hanno suscitatoforti critiche da parte degli attivisti cheda anni si battono per l’introduzione diuna tassa sulle transazioni finanziarie,che la giudicano troppo poco stringente.D’altro canto, i detrattori dell’impostapotrebbero sfruttare la stessa osserva-zione per affermare che, se non c’è statoun calo dei volumi, è proprio grazie al fat-to che la Tobin tricolore è di fatto annac-quata, aggiungendo che in ogni caso è ne-cessario aspettare qualche mese prima dipoterne giudicare appieno l’impatto.

Chi ha fatto di piùAndiamo allora a vedere cosa succede do-ve la tassa è stata applicata e da più tem-

po. Uno studio effettuato da LeonardoBecchetti, docente all’Università TorVergata di Roma, ha esaminato i titoliquotati alla Borsa di Parigi dallo scorsomese di agosto a oggi. Da quando cioè èentrata in vigore la tassa sulle transazio-ni introdotta dal governo francese. I ri-sultati evidenziati nel rapporto indicanoun calo del 25% della volatilità intraday(ovvero di ciascuna singola sessione) edel volume delle transazioni.

Ma l’impatto sui prezzi degli asset, co-sì come quello sulla liquidità, sono risul-tati nulli. Anche in Francia, conclude il do-cente, sono risultati perciò infondati gliallarmi lanciati dalle banche e dai gestoridi patrimoni mobiliari. «La nuova impo-sta – prosegue il paper firmato da Bec-chetti – rende inoltre molto costoso il tra-ding ad alta frequenza (high frequencytrading), il che genera un effetto beneficolimitando le attività speculative».

Fin qui le esperienze “nazionali”. Abreve, in ogni caso, gli 11 Paesi europeiche hanno aderito alla cooperazionerafforzata per introdurre una tassa sul-le transazioni a livello comunitario do-vranno conformarsi a una direttiva eu-ropea che, a giudicare per lo meno daltesto licenziato dalla Commissione diBruxelles che dovrà essere ratificatodall’Europarlamento, risulta particolar-mente avanzata. Se, come sono certi iresponsabili delle campagne interna-zionali a favore della Tobin Tax, anche“a regime” l’imposta europea non com-porterà fughe di investitori, diventeràmolto difficile, per i governi che hannopreferito non unirsi all’iniziativa, spie-gare la loro posizione di fronte all’opi-nione pubblica.

La Ttf non fa malealla BorsadiAndrea Barolini

Entrata in vigore il 1° marzo scorso, la tassa sulle transazioni finanziarieitaliana nei primi giorni di applicazione non ha colpito i volumi di scambio. Le previsioni cupe dei detrattori, dunque, almeno per ora si stanno rivelandodel tutto infondate. E in Francia l’impatto sui prezzi è risultato nullo da agosto

Anche la versione francesedella tassa, in vigore da agosto, non ha inciso suiprezzi degli asset. E aiuta a limitare le speculazioni

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| finanzaetica | microfinanza |

Da un lato continua la stretta alcredito da parte delle banche,dall’altro aumenta (vertigino-

samente!) il ricorso alla microfinanza.Dell’importanza di questo strumento si èaccorta anche la politica: gli eletti allaRegione Sicilia del Movimento cinquestelle si decurteranno lo stipendio peralimentare un fondo regionale per il mi-crocredito a sostegno delle micro-impre-se (in discussione). Sono 9.300 i piccoliprestiti erogati nel 2011, 106,7 milioni dieuro, con un aumento del 42% dal 2010 cheimpressiona. A rivelarlo è il 7° Rapporto sulmicrocredito in Italia, pubblicato a marzonel volume “Fiducia nel credito. Esperien-ze di microcredito per l’impresa ed il socia-le”. «Pensavamo che il 2011 sarebbe stato ilpunto più profondo della crisi, ma proba-

bilmente il limite dovrà spostarsi nel 2012,se non addirittura più avanti», commentaNunzio Pagano, partner della C. Borgo-meo&co e coordinatore del Rapporto. In-somma il microcredito come “ammortizza-tore finanziario” e indicatore economico.

Nessuna regola...Dietro questo aumento del 42% della mi-crofinanza si intravede una fotografia delsettore con diversi punti critici, a partiredalla sua disomogeneità. Secondo Paga-no, infatti, «il microcredito è la somma diun numero incredibile di esperienze. Sia-mo arrivati a contarne 216, dalle iniziativedelle parrocchie a quelle delle università,delle province, degli altri enti locali e dellefondazioni bancarie. All’interno del mi-crocredito sociale ci sono operazioni cheriguardano il sostegno dei redditi familia-ri e iniziative che anticipano addirittural’erogazione degli ammortizzatori sociali(non esisteva negli anni passati). Oppureopzioni destinate ai lavoratori interinali.

Troppo microe poco profitdiCorrado Fontana

Domanda e offerta di microcredito crescono, lo certifica un rapporto appenapubblicato. Ma ci sono troppi piccoli promotori, pochi strutturati eprofessionali. E così il mercato italiano perde 30 milioni di fondi europei

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di Corrado Fontana

PerMicro e Banca Etica: due operatori importanti per il microcredito in Italia. Due modi diversi di intendere e di applicare questo strumento

Con 16 milioni di euro di microcrediti previsti per il 2013 e 12agenzie sparse per il Paese, PerMicro è l’operatore professionalespecializzato in microfinanza più significativo sul mercato italiano.Dalla parte di PerMicro numeri notevoli: dai 19 milioni di euro

di microcrediti erogati fino a oggi (17 milioni negli ultimi tre anni) a quel 5% scarso del totale distribuito sotto l’ombrelloprotettivo di un fondo di garanzia, fino alla crescita del 100% nel numero di microcrediti erogati tra 2011 e 2012, passati da 760 a 1477. Tra i suoi soci, oltre al Fondo europeo degliinvestimenti, Bnl e UbiBanca.Con Banca Etica ha in comune l’idea dell’utilità del microcreditoper l’economia e il vantaggio sociale che esso comporta, nonchéla convinzione che il microfinanziamento non possa prescinderedalle attività di accompagnamento e assistenza tecnica, prima,

Tra business e (social) business

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| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 35 |

| finanzaetica |

Nel microcredito imprenditoriale esistesempre il tema del finanziamento allestart-up, ma cominciamo a registrare pro-grammi destinati alle imprese esistenti».E, considerato che un’impresa esistentedovrebbe essere bancabile, c’è di che in-terrogarsi. Come pure sul fatto che «unacerta quota dei programmi di microcredi-to è rappresentata da piccole finestre chesi aprono e si chiudono, durando magari

un anno o meno, senza dare modo alla do-manda di percepire lo strumento e pren-dere confidenza con le sue regole». Ungrande limite, questo sottolineato daNunzio Pagano, che autorizza a parlare di“diffusa fragilità” per iniziative che quasimai si presentano come prodotti struttu-rati. E non solo, dato che si tratta perlopiùdi programmi di natura locale e dimensio-ne provinciale (diocesi, camere di com-

mercio, comuni più importanti), nati in unmercato con pochissimi soggetti a carat-tere nazionale e dedicati: «Nel nostro Pae-se esistono ad oggi oltre 100 operatori, madi questi si possono considerare “specia-lizzate” (ovvero dedite unicamente al mi-crocredito) circa 35 realtà», spiegava qual-che mese fa a Italia Caritas GiampietroPizzo, presidente della Rete italiana di mi-crofinanza (Ritmi).

... ma poco creditoInsomma, la mappa del microcredito ita-liano è frammentata e disorganica. E perquesto paga un alto prezzo in termini dirisorse: ben 30 milioni di euro resi dispo-

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I MICROCREDITI CONCESSI DA BANCA ETICA

Socio-assistenz.Micro-impreseTotale

La mappa del microcredito in Italia è frammentata,quasi nessun operatore è specializzato. E le banchetradizionali lo consideranoun’attività in perdita

FONTE: BILANCIO SOCIALE BANCA ETICA2011

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I MICROCREDITI CONCESSI DA PERMICRO

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€ 10.000.000€ 11.000.000

Previsione 201320122011201020092008

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1.452.219

1.283.212

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...E GLI IMPORTI EROGATI

MC Fam MC Imp

durante e dopo l’erogazione. Ma le differenze tra i due principaliattori del mercato di casa nostra si colgono già dalle parole usateper individuare i loro interlocutori: “cliente” o “beneficiario”. Andrea Limone, amministratore delegato di PerMicro, infatti, ha ben chiaro il concetto che il microcredito sia innanzitutto unostrumento finanziario (innovativo e a finalità sociale). E che «il tasso d’interesse non è un elemento rilevante», anche se «in Italia questo è un tema ancora preponderante». Non è rilevante, ci dice, perché si calcola su cifre basse,innanzitutto, e perché «se si fa microcredito nell’ottica dellasostenibilità economica e per essere al servizio dei cosiddetti“non bancabili”, allora bisogna stabilire un prezzo che corrispondaalla somma tra il costo di funding (la raccolta, ndr), quello di default atteso e quello delle pratiche amministrative

e di gestione: da questa somma deriva il tasso d’interesse, che non può essere certamente del 4%. Soprattutto per i costielevati di monitoraggio e di selezione, che devono essere svolti,secondo noi, dagli enti erogatori e non da soggetti esterni». Un approccio che marca qui una distanza rispetto al pensiero di Gabriele Giuglietti, vicedirettore di Banca Etica, che racconta le diverse metodologie dell’istituto di credito, che «ha fattosempre i suoi interventi di microcredito attraverso una relazione con soggetti di riferimento come Caritas, associazioniquali Acli e Arci, o enti pubblici. [...] A differenza di quantoaccade alla maggior parte delle banche, noi consideriamo la conoscenza sociale ricavata dal mondo associativo e parrocchiale un bagaglio informativo importante e anche una garanzia».

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nibili per il nostro Paese dal Fondo euro-peo degli investimenti (Fei) e stanziatidalla Banca europea degli investimenti.Denaro pubblico che potrebbe arrivareattraverso Sefea (Société Européenne deFinance Ethique et Alternative) se nonfosse che, chiarisce Fabio Salviato (presi-dente di Febea - Fédération Européennedes banques Ethiques et Alternatives), «inItalia non esiste ancora una società fi-nanziaria o una banca per il microcreditoche abbia capitali adeguati e un’équipestrutturata e organizzata per gestire unascala di almeno 10 mila microcrediti, solotanti operatori piccoli a livello locale».

Ci sarebbero PerMicro, società specia-lizzata (1.477 microcrediti per circa 8 milio-ni di euro erogati nel 2012), e Banca Etica,

che però non fa del microcredito il suo co-re business (103 microcrediti per 766 milaeuro erogati nel 2011). Ma la domanda in-soddisfatta va ben al di là delle loro attua-li possibilità. «Secondo una ricerca del Fei,su 100 potenziali richieste di microcreditoin Europa – prosegue Salviato – la rispostamedia tocca il 10%. Il miglior risultato èquello della Francia con il 17%. L’Italiaspunta un misero 0,34%, pur essendo loStato che l’indagine individua come il piùbisognoso di microcredito». La domanda èallora: perché l’offerta italiana non si è an-cora strutturata adeguatamente?

Troppe falle nello scafoLe ragioni sono diverse: il primo motivo èche le banche, strumenti essenziali del mi-

crocredito, generalmente lo consideranoun investimento in perdita e quasi mai sene fanno dirette promotrici. E del restomargini di profitto non ne restano pernessuno, o quasi, laddove i programmi dimicrocredito sono portati avanti da sog-getti che profit non possono essere (entilocali, diocesi), attraverso prodotti finan-ziari coperti da ogni rischio tramite fondidi garanzia, e puntando comunemente atenere i tassi d’interesse al minimo richie-sto dalla banca, quando non addiritturasotto. In questo tipo di operazioni difficil-mente si può contemplare il costo di un’a-deguata attività di selezione e monitorag-gio della clientela (secondo PerMicro) o deibeneficiari (secondo Banca Etica), nonchéil loro accompagnamento, con un’assi-stenza tecnica professionale. Mettetecipoi la presenza costante degli enti pubbli-ci, spesso non percepiti come soggetti a cuisi deve restituire il denaro; la scarsa cultu-ra del mid-management delle banche sulmicrocredito; e pure l’attesa per i decretiattuativi all’articolo 111 sul microcreditodel Testo unico bancario, che definirannoi requisiti per gli operatori professionali e,forse, nuovi criteri di valutazione del me-rito creditizio per ridurre la platea dei“non bancabili”. Insomma, i punti da cuipartire per migliorare questo mercatonon mancano di certo.

| finanzaetica |

| 36 | valori | ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 |

Secondo un rapporto della Microcredit Summit Campaign al 31 dicembre 2009erano 3.589 gli istituti di microfinanza operativi in tutto il mondo, capaci di raggiungere oltre 190 milioni di clienti (di cui più di 128 milioni, circa il 67%,risultava al di sotto della soglia di povertà assoluta, ossia meno di 1 dollaro al giorno,prima di ricevere l’erogazione del prestito). D’altra parte, come sottolineato da un rapporto di Bankitalia del luglio 2011 (Inclusione finanziaria, le iniziative del G20 e il ruolo della Banca d’Italia), l’esclusione finanziaria riguarda ormai circa 2 miliardi e mezzo di individui, e 450 mila imprese a livello globale. Secondo uno studio della Commissione Europea del 2008 (Financial Services Provision andPrevention of Financial Exclusion), in Italia ben il 16% della popolazione risultaesclusa dai principali servizi finanziari. Mentre nell’Europa a 15 il dato, riferisce SocialWatch, era pari nello stesso momento al 7%. Infine, secondo European MicrofinanceNetwork (i cui dati sono aggiornati al settembre del 2010), in Italia l’82% degli istitutidi microfinanza fa parte del mondo del non-profit. Se la Francia è per tutti il modello da seguire, Sabina Siniscalchi della FondazioneCulturale Responsabilità Etica precisa però che «in generale, dove esiste unanormativa nazionale che facilita e snellisce le procedure, e abbina il prestito ad attività non finanziarie come l’accompagnamento, il tutoraggio e il reinserimentonel sistema creditizio tradizionale, il microcredito funziona». A.B.

MICROCREDITO D’EUROPA

SITI INTERNET

www.borgomeo.it, Borgomeo&cowww.febea.org, Febeawww.bancaetica.it, Banca Popolare Eticapermicro.it, PerMicrowww.microfinanza-italia.org, Ritmiwww.fcre.it, Fondazione Culturale Responsabilità Etica

0 300 600 900 1200 1500

Prevenzioneusura

Sostegnoal lavoratore

Sostegnoalla famiglia

1.482270

1741.183

155

20

818

427162

4580

LE FINALITÀ DEI MICROCREDITI SOCIALI CONCESSI NEL 2011

Nord Centro Sud Multiregionale0 100 200 300 400 500 600 700

Prevenzioneusura

Impreseesistenti

Start-upo avvio lavoro

autonomo

Start-upo imprese

esistenti

97228

0225

50

32278

574

2194

7567

1572

00

… E QUELLE DEI MICROCREDITI IMPRENDITORIALI (2011)

Nord Centro Sud Multiregionale

FON

TE

: FIDU

CIA

NE

L CR

ED

ITO. ES

PE

RIE

NZ

E D

I MIC

RO

CR

ED

ITO

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ED

IL SO

CIA

LE.

VII R

AP

PO

RTO

SU

L MIC

RO

CR

ED

ITO IN

ITALIA

(2011)

Page 37: Mensile Valori n. 108 2013

| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 37 |

Page 38: Mensile Valori n. 108 2013

Se fossimo degli alieni che prima disbarcare sulla Terra volessimoconoscere quali Paesi sono i prin-

cipali attori economici, faticheremmo alocalizzare il Wal Mart Land, la 25ma eco-nomia del Pianeta, che per fatturato è unpo’ meno importante del Pil di Taiwan, maè superiore al Pil della Norvegia.Noi sappiamo che Wal Mart è una societàche si occupa di grande distribuzione ecompra in tutto il mondo, imponendo lesue condizioni. Soprattutto in Paesi dovela somma della produzione nazionale nonraggiunge nemmeno un terzo del suo fat-turato. Lo stesso per le altre megasocietàche occupano la classifica delle prime cen-to economie: il potere di ricatto che gliconferisce la grandezza di scala non è, almomento, valicabile, ma costringe i Paesifornitori a lavorare per loro, senza metter-li in grado di uscire dalla miseria.

Più ricchedegli Stati

di Paola Baiocchi

| numeridellaterra |

| 38 | valori | ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 |

USA

3.28

6

GERMANIA F

781

OLANDA

293

VENEZUELA

370

378

Royal Dutch Shell ARGENTINA

229

226

State Grid PORTOGALLO

207

222

Toyota Motor IRLANDA

203

204

Japan Post CILE

154

152

General Electric PERÙ

1.55

7

CANADA

1.41

0

SPAGNA

2.56

3

FRANCIA

2.25

0

REGNO UNITO

2.0

91

BRASILE

1.03

4

MESSICO

14.5

27

Page 39: Mensile Valori n. 108 2013

FONTE: “TOP 200. LA CRESCITA DEL POTERE DELLE MULTINAZIONALI”, CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO, GIUGNO 2012 - ILLUSTRAZIONE BASE CARTINA: DAVIDE VIGANÒ

| megasocietà |

| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 39 |

Pil del Paese [2011, in miliardi di dollari]

Fatturato dell’impresa [in miliardi di dollari]

5.87

8

CINA GIAPPONE GERMANIA F

5.54

9

GIAPPONE GERMANIA F

735

TURCHIA S

528

SVIZZERA

459

SVEZIA

448

ARABIA SAUDITA

413

422

NORVEGIA Walmart

310

355

ExxonMobil DANIMARCA

304

310

BPGRECIA

158

168

Volkswagen ALGERIA

162

162

AXAROMANIA

140

145

Glencore NUOVA ZELANDA

138

134

Bank of America UCRAINA

127

134

Samsung QATAR

133

132

Eni KUWAIT

104

105

Nestlé VIETNAM

2.0

55

ITALIA

1.63

2

INDIA

1.48

0

RUSSIA

1.23

7

AUSTRALIA State Grid Toyota Motor General ElectricJapan Post Volkswagen Glencore SamsungBank of AmericaBP AXA Eni NestléARGENTINA DANIMARCA GRECIA PORTOGALLO IRLANDA CILE ALGERIA ROMANIA PERÙ NUOVA ZELANDA UCRAINA QATAR KUWAIT VIETNAM

Page 40: Mensile Valori n. 108 2013

| 40 | valori | ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 |

Italiani & medicine, amore malato > 44Per essere belli non servono gli animali > 47Il divano tricolore si è fermato a Chinitaly > 49A Piazza d’Arti L’Aquila che resiste > 52

economiasolidaleREUTERS / BRENDAN MCDERMID

Page 41: Mensile Valori n. 108 2013

A spasso davanti al quartier generale di Pfizer a New York, il colosso farmaceutico con un fatturato che nel 2012 ha sfiorato i 60 miliardi di dollari.

| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 41 |

| big pharma |

Nella roulette del casinò targatoBig Pharma puntare sul nume-ro 23 ha fruttato davvero un bel

tesoretto alla Pfizer e alla Eisai. Non chei due colossi farmaceutici (statunitenseil primo, giapponese il secondo) avesse-ro disperato bisogno di denaro: Pfizer èla più grande società al mondo nella ri-cerca e produzione di farmaci, con i suoi58 miliardi di dollari di fatturato (tantoper capirci: 13 miliardi in più del Pil del-la Tunisia). Ed Eisai si colloca comunquetra le prime 25 aziende del settore. Ma

La Pfizer ha raddoppiato la doseconsigliata di una medicina anti-demenza per non perdere il brevetto e i relativi profitti. Il tuttocon l’avallo dell’Agenzia delfarmaco Usa, nonostante gli effetticollaterali e i dubbi di molti neurologi

guadagnare miliardipuntando

sul 23

L’affaireDonepezil:

di Emanuele Isonio

Page 42: Mensile Valori n. 108 2013

| economiasolidale |

pecunia non olet e il motto vale ovun-que. Per cui, quando il brevetto di unodei loro prodotti più redditizi stava perscadere, le due ditte hanno pensato a co-me tenere alla larga la concorrenza deiproduttori di medicine generiche perqualche altro anno. Una soluzione a no-ve zeri (di fatturato), ottenuta però sul-

la pelle dei pazienti e minando la credi-bilità del sistema di controllo e prescri-zione dei farmaci.

Una pillola campione d’incassiLa vicenda è questa. Ed è stata denun-ciata nelle settimane scorse dal presti-gioso British Medical Journal. Il Donepe-zil (prodotto da Eisai e commercializzatoda Pfizer con il nome di Aricept) è un au-tentico leader tra i trattamenti della de-menza causata dall’Alzheimer: due mi-liardi di dollari di vendite, ogni anno esolo negli Stati Uniti. Dose raccomanda-ta: 10 milligrammi. Almeno fino a quan-do il brevetto miliardario non è giuntoquasi al capolinea. Un pericolo da scam-pare come la peste per i proprietari dellamolecola, terrorizzati dal crollo del prez-zo del prodotto e dei margini di guada-gno. A quattro mesi dalla scadenza l’i-deona: convincere la Food and Drugadministration (l’agenzia del farmacostatunitense) ad approvare un nuovo (ecurioso) dosaggio: 23 milligrammi. Tredi-ci in più del precedente. Un numero pri-mo, ma non un numero a caso: ventitré è,infatti, una quantità impossibile da otte-nere ingerendo due pillole da dieci milli-grammi o quattro da cinque. In questomodo il brevetto sarebbe stato salvo peraltri tre anni.

La diga inesistente della FdaRimaneva da convincere la Food andDrug administration dell’effettiva uti-lità di raddoppiare il dosaggio consi-

| 42 | valori | ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 |

0

10

20

30

40

50

Marked MarkedModerate ModerateMinimal MinimalNoChange WorseningImprovement

P=NS vs ARICEPT 10 mg for overall score

Patients continued on ARICEPT 10 mgPatients increased to ARICEPT 23 mg

Perc

enta

ge o

f pat

ient

s at W

eek 2

4 (L

OCF)

Adapted from Farlow MR et al. Clin Ther. 2010;32:1234-1251.n=1367 in the ITT-LOCF analysis

ARICEPT 10 E 23 A CONFRONTO:CAMBIA LA DOSE, NON L’IMPATTO SULLE FUNZIONI GLOBALI... (METODO CIBIC+)

Adapted from Farlow MR et al. Clin Ther. 2010;32:1234-1251.

Patients increased to ARICEPT 23 mg

CognitiveDecline

CognitiveImprovement

–1

5432

*P<0.001

10

6

LS m

ean

(+SE

) cha

nge

from

bas

elin

e

0 6 12 18 24Settimana

*

Patients continued on ARICEPT 10 mg

CAPACITÀ COGNITIVE:MIGLIORAMENTI LIMITATI NEL TEMPO (METODO SIB)

Quello delle ricerche scientificheè un settore delicatissimo per l’impatto che può avere sulla salute pubblica. Ma, per suanatura, è anche esposto a enormi pressioni.Come ad esempio quella di non pubblicare i risultati se vanno contro l’interesse delcommittente. Per questo il British MedicalJournal, insieme a molte altre associazioni(tra cui l’italiana NoGraziePagoIo), ha promosso una petizione: chiedere

che i volontari che si sottopongono a una sperimentazione abbiano la certezza che la ricerca verrà pubblicata, qualunque siano i risultati ottenuti. «La non pubblicazione equivale a negare il progresso scientifico, tradisce la fiduciadei volontari, altera le evidenze con una ricaduta negativa sulle decisioni cliniche»,spiega Iain Chalmers, responsabile della James Lind Alliance. Fatto ancor più grave,visto che fin dal 1964 la storica dichiarazione di Helsinki redatta dall’Associazionemedica mondiale impone che «i risultati positivi e negativi vanno ugualmentepubblicati». «Senza un’iniziativa concreta autori, comitati etici, istituzioniaccademiche e finanziatori non modificheranno lo status quo», commenta GiovanniPeronato, responsabile dell’unità di Reumatologia dell’ospedale San Bortolo di Vicenza e membro dell’associazione NoGraziePagoIo. «Un passo concreto lo ha fatto il National Institute of Health britannico, vincolando una parte delfinanziamento delle ricerche alla loro effettiva pubblicazione. Ha ottenuto il successonel 98% dei casi». La petizione può essere firmata al sito www.alltrials.net. Em.Is.

L’APPELLO DEL BRITISH MEDICAL JOURNAL: «PUBBLICARE LE RICERCHE, QUALUNQUE SIANO I RISULTATI»

L’agenzia del farmaco Usa ha autorizzato la nuova dosedel Donepezil, nonostantevantaggi molto dubbi. Le uniche certezzeriguardano l’aumento deglieffetti collaterali

FONTE: PFIZER

FONTE: PFIZER

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| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 43 |

gliato. Una missione impossibile, alme-no stando ai grafici della stessa Pfizer.«L’impatto sulle funzioni globali è chia-ramente identico tra i due dosaggi», spie-ga Guido Rodriguez, professore ordina-rio di Neurofisiopatologia all’universitàdi Genova e uno dei massimi esperti ita-liani di Alzheimer. «Anche i vantaggi a li-vello cognitivo sono minimi, tanto cheper misurarli è stata usata una scala cheanalizza condizioni già molto compro-messe. Probabilmente era l’unica chemostrava una qualche differenza». Ep-pure dalla Fda il disco verde è arrivato.La motivazione dice tutto: «Anche se lostudio non lo dimostra direttamente –scrive Russell Katz, direttore della divi-sione di neurologia della Fda – secondome è forte la sensazione che il dosaggioda 23 mg ha molto probabilmente un ef-fetto sul funzionamento complessivo.Credo che lo sponsor abbia dimostratoche il dosaggio di Aricept 23 è efficace.Pertanto approverò la commercializza-zione».

Un via libera che giustifica sospetti.Tanto più che la Fda ha accettato ancheun foglietto illustrativo secondo il qualeil nuovo dosaggio avrebbe vantaggi “inentrambe le misure effettuate”. Un’af-fermazione palesemente falsa. Ma ci so-no voluti diciotto mesi per modificarla.Nel frattempo il nuovo Aricept 23, graziea una sapiente campagna informativaverso medici e pazienti, ha preso il largo:negli Usa viene rimborsato sia dallo Sta-to, sia dalle assicurazioni private e nei

primi sei mesi di vendite ha fatto segna-re 68 mila prescrizioni. Un boom ottenu-to nonostante effetti collaterali tutt’al-tro che secondari: «L’Aricept porta consé una selva di drammatici disturbi, checrescono all’aumentare della dose», de-nuncia Rodriguez. «Sono le analisi dellastessa Pfizer ad ammetterlo»: quadrupli-cati i pazienti che segnalano nausea, tri-plicati i casi di vomito, raddoppiati quel-li di diarrea e anoressia.

Farmaci anti-Alzheimer: «Soldi sprecati»Ma non è solo la questione di dosaggio asuscitare lo sconcerto di molti esperti. Sot-to accusa è più in generale l’uso della cate-

goria di medicinali di cui il Donepezil faparte. «Abbiamo sperato che fossero utilia migliorare la qualità di vita dei malatid’Alzheimer, ma abbiamo poi scoperto chei farmaci anticolinesterasici non servonoquasi a nulla», confessa Rodriguez. «Sonoutili solo al 50% delle persone affette dademenza e la ricerca ha dimostrato che illoro effetto è limitato a 6-8 mesi. Dopo, lamalattia continua a progredire. Illudere ipazienti e i familiari è immorale».

Ed è anche un problema di costi. In Ita-lia gli anticolinesterasici vengono sommi-

| economiasolidale |

L’atto d’accusa fa tremare i polsi: aver orientato e manipolato il contenuto di tredici articoli scientifici. Prezzo per il lavoro: 210milioni di dollari in diritti e compensi, accreditati sui conti correntidi esperti e consulenti. A puntare il dito è il Senato degli Stati Unitid’America, che in un suo rapporto ha messo sotto inchiesta la Medtronic, un’azienda specializzata in apparecchiature medicali.Oggetto dell’indagine è una proteina (nome in codice: InFuse)pensata per stimolare la crescita delle ossa e approvata undicianni fa dalla Food and Drug Administration per fondere le vertebre in caso di mal di schiena non trattabile altrimenti. Secondo il dossier del Senato Usa, i medici avrebbero occultatogli effetti secondari dannosi dell’InFuse, enfatizzandone in modoeccessivo i benefici. Inoltre avrebbero redatto il rapporto usato

poi dalla Fda per dare il via libera al prodotto concordandonei contenuti direttamente con Medtronic.Dal canto suo, la ditta nega ogni addebito. I medici, tutti affiliati a prestigiose università americane, anche. Ma, almeno negli Usa, il fatto che, nel redigere i loro rapporti, i medici avessero celato i legami con l’industria e i vari conflittid’interesse è già di per sé un atto d’accusa. Tanto più chel’introduzione dell’InFuse non è stata senza conseguenze per la salute dei pazienti: alcuni sono deceduti, molti altri hannosofferto di infiammazioni o segnalato problemi neurologici e indebolimento delle ossa. Effetti secondari che sia la ditta sia i medici coinvolti conoscevano. Ma che, nelle loropubblicazioni, erano tutti accuratamente celati. Em.Is.

IL SENATO USA ACCUSA: 210 MILIONI PER ORIENTARE 13 ARTICOLI SCIENTIFICI

Due banner che campeggiano nei siti internet dellastatunitense Pfizer e della giapponese Eisai

Page 44: Mensile Valori n. 108 2013

nistrati gratis dalle unità di valutazione Alzheimer. «Ci sono poineurologi senza scrupoli che non inviano i propri pazienti ai cen-tri pubblici per non perdere le loro laute parcelle. Prescrivono lo-ro stessi i farmaci che diventano un vero salasso per le famiglie».30-40 mila euro è la cifra spesa in media per un familiare affettoda Alzheimer. «È il momento di chiederci se non sia meglio dareai parenti dei malati i milioni spesi in medicine inutili», osservaRodriguez. Un dubbio che si sono posti i vertici del Nice (Na-tional Institute for Health and Clinical Excellence), l’omologobritannico della Fda. L’agenzia inglese già da anni ha limitatol’uso degli anticolinesterasici a un piccolo numero di pazienti,raccomandando di non prescriverli ai malati con forme mode-rate di Alzheimer. Troppo basso il rapporto costi-benefici. Scel-ta mantenuta nonostante le enormi proteste delle associazio-ni di pazienti, sostenute da oltre cento parlamentari. «In Italiaaccadrebbe la stessa cosa», osserva Rodriguez. «Colpa di unamancanza di cultura medica e della cattiva informazione.Quando in un articolo si danno notizie scorrette, si alimentanofalse speranze. I media dovrebbero avere più coraggio. Solo cosìpossiamo sperare di sconfiggere le lobby».

| economiasolidale |

| 44 | valori | ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 |

Aleggerlo attentamente, ci sono parecchie notizie inte-ressanti all’interno dell’ultimo rapporto sull’uso deifarmaci in Italia, che l’Aifa (Agenzia italiana del farma-

co) ha presentato nelle settimane scorse a Roma. Incrociandonumeri, tabelle e costi economici viene alla luce un legame trafarmaci, medici e pazienti tutt’altro che virtuoso.

Troppe pillole. Usate maleCapita ad esempio di scoprire che in Italia si spendono ogni an-no quasi 140 euro a testa solo per acquistare le prime cinque ca-tegorie di farmaci più prescritti (50 euro per i medicinali car-diovascolari, 29 per quelli dell’apparato gastrointestinale, 24per gli antidepressivi, 22 per i farmaci per il sangue, quasi 14 percurare le affezioni respiratorie). Una spesa complessiva di qua-si 20 miliardi (22 confezioni pro capite solo nei primi nove mesidel 2012), «che non potrà calare più di tanto» secondo Luca Pani,direttore generale dell’Aifa. Ma il problema è che, spesso, il con-sumo non è giustificato. Per rendersene conto, bisogna intrec-ciare questi dati con quelli relativi alla distribuzione regionale

Italiani & medicine,amore malatodiEmanuele Isonio

Dall’ultimo rapporto Aifa sull’uso dei farmaci in Italiaemerge un consumo spesso slegato da motivazionimediche. I pericoli per la salute sono dietro l’angolo

Gli Stati Uniti saranno pure la culla delle opportunità e il paradisodel merito. Ma per quanto riguarda i finanziamenti delle ricerchesanitarie la realtà appare molto diversa. Tanto da allarmare in maniera crescente la comunità scientifica. Un esempio su tuttiarriva dal National Institute of Health, il più grande entefinanziatore di ricerca biomedica del mondo. 460 mila progetti di ricerca finanziati nell’ultimo decennio, per circa 200 miliardi di dollari. Il suo slogan? “Finanziare la miglior ricerca, fatta dai migliori scienziati”. Attività senz’altro meritoria. Ma duericercatori – Joshua Nicholson e John Ioannidis – hanno rivelato(e denunciato su Nature a fine 2012) che i criteri di assegnazionesono quanto meno opinabili. Hanno infatti scoperto che i fondierano erogati soprattutto in favore dei membri delle studysection dell’NIH (le commissioni di scienziati che suggerisconoquali progetti meritano di essere sovvenzionati), a prescinderedal numero di citazioni ricevute dai loro lavori. Al contrario, il 60% degli autori di articoli influenti e molto citati (oltre le millesegnalazioni) non ricevevano finanziamenti.Ma non è solo una questione di persone: i due ricercatorihanno scoperto che i progetti di ricerca dei membri delle studysection dell’NIH indagavano ambiti assai analoghi a indaginigià finanziate: una corsa all’omologazione, che premia progettisimili tra loro e lascia fuori idee innovative e potenzialmenterivoluzionarie. Un problema comprensibile se chi può riceverefondi dall’NIH è anche giudice dei progetti da approvare. In treparole: conflitto di interessi. E intanto, il circolo vizioso lasciafuori gli autori più citati: che non ricevono fondi e al tempostesso non possono influenzare il processo di ripartizione del denaro. Inutile dire chi sia, da ultimo, a farne le spese. Em.Is.

C’È PUZZA DI CONFLITTO (DI INTERESSI)AL NATIONAL INSTITUTE OF HEALTH

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| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 45 |

| economiasolidale |

della spesa farmaceutica. Emergono, infatti, differenze note-voli da regione a regione: 55 euro di spesa per le statine (tra i ri-medi più usati per le affezioni cardiovascolari) in Sicilia controi 33,5 di Bolzano e i 40 della Toscana. 11 euro per i farmaci delsangue spese da ciascun cittadino calabrese a fronte di unamedia italiana che, tolta Calabria e Sicilia, viaggerebbe sotto i6 euro. 25 euro per le medicine del sistema nervoso centralespese in Abruzzo, a fronte di una media nazionale di 18. «Biso-gna esser chiari su questo punto», osserva Pani. «Non ci sonocause epidemiologiche tali da motivare simili differenze».

I motivi vanno quindi cercati altrove. Perché il consumo difarmaci è spesso figlio di comportamenti che di medico hannoben poco. «È solo frutto di un atteggiamento prescrittivo delquale sono ugualmente responsabili i medici, che consiglianomedicine con troppa leggerezza, e cittadini che fanno pressio-ne per ottenerle».

Abitudini sotto accusaUn’abitudine che allarma gli addetti ai lavori, consapevoli cheuna medicina assunta in modo errato è spesso peggio della ma-lattia che dovrebbe curare. «L’aderenza (ovvero la tendenza diun paziente ad assumere i farmaci così come prescritto dal me-dico) è molto bassa, soprattutto tra gli anziani». Ma anche i me-dici hanno le loro responsabilità e spesso non sanno dare indi-cazioni adeguate per sospendere i farmaci: «Togliere le medicinea un paziente è un’arte importante quanto saperli dare», spiegaPani. Ecco perché, agli occhi degli esperti Aifa, non è ad esempiogiustificato l’utilizzo massiccio delle pillole per i disturbi ga-strointestinali (168 dosi giornaliere prescritte ogni mille abitan-ti). «Un consumo così diffuso di inibitori della pompa protonicanon ha senso rispetto alla diffusione delle patologie che dovreb-bero curare. Ma se si sospendono drasticamente potrebberoprodurre preoccupanti reazioni di rimbalzo».

A questo si aggiunge un altro dato: gli italiani, quando ac-quistano i farmaci da banco (quelli per i quali non è necessa-ria alcuna ricetta) finiscono per comprare sempre lo stessoprincipio attivo. Probabilmente senza rendersene conto. Ilrapporto Aifa rivela che il 22% tra i primi 50 farmaci Otc con-tiene paracetamolo. Un antipiretico (ma non antinfiammato-rio) ampiamente usato e tollerato. Ma un consumo inconsa-pevole potrebbe portare a conseguenze molto gravi. «Già oggi– denuncia Pani – le reazioni avverse a farmaci Otc presi erro-neamente sono la quarta causa di morte negli Usa».

Depressione in agguatoUna delle poche note positive riguarda l’uso di antibiotici. An-cora sproporzionato rispetto al resto dell’Unione europea main calo del 6,4% rispetto al 2011 (-18% la spesa). A preoccuparedovrebbe invece essere un’altra notizia, annunciata durante laconferenza stampa di presentazione (ma forse sottovalutatadalla folta platea di giornalisti presenti): «Da qui al 2020, la de-pressione sarà la prima causa di disabilità in Italia». Una frec-cia in più nell’arco di chi implora di cambiare modello di “svi-luppo”.

C’è un settore del made in Italy che ha una serie di pro-mettenti caratteristiche: è sperimentale, ma legatoalla nostra tradizione agricola e culinaria. Riguarda

la salute e l’alimentazione, in cui abbiamo già una rendita di po-sizione, essendo uno dei Paesi base della dieta mediterranea,ma potrebbe coinvolgere settori industriali avanzatissimi, co-me la biorobotica. Si tratta della nutraceutica, neologismo tranutrizione e farmaceutica (vedi ), che sta interessando mol-to, non solo il mondo accademico, ma anche le case farmaceuti-che, che da anni segnano il passo nella ricerca delle nuove mo-lecole, lamentandone il costo, e nella nutraceutica si trovano difronte a principi attivi naturalmente sintetizzati, sui quali c’èancora molto da scoprire.

I vegetali sono, infatti, dei forzieri di una serie di sostanzeche, fino a poco tempo fa, erano poco note e ora si stanno stu-

BOX

Ortaggi:farmaci del futurodiPaola Baiocchi

Le sostanze vegetali sono forzieri naturali ricchi disostanze utilissime per prevenire le malattie,conservandoci in buona salute. E c’è chi studia comequesti alimenti possano trasformarsi in medicinemolto promettenti

NUTRACEUTICAIl neologismo nutraceutica, nato dalle parole nutrizione efarmaceutica, ha un padre e una data di nascita: è stato utilizzato perla prima volta nel 1989, in un articolo, dal medico Stephen De Felice,fondatore e presidente della Fondazione per l’Innovazione nellamedicina. Il termine è entrato ora in molti dizionari come la Treccaniche dà questa definizione: «Sostanza alimentare che agiscepositivamente sulle funzioni fisiologiche dell’organismo, favorendone il benessere e contrastando i processi degenerativi». Anche i ministeri della Sanità hanno cominciato ad occuparsene: peresempio Health Canada, il ministero federale della Salute canadese,definisce il nutraceutico «un prodotto isolato o purificato da alimentiche viene generalmente venduto in forma di medicinali, di solitonon associati al cibo». Una definizione, insomma, che colloca ilnutraceutico tra gli integratori o i farmaci a discapito dell’altra parolache lo compone, la nutrizione.

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| economiasolidale | nutraceutica |

diando grazie a nuove tecnologie. So-stanze epigeneticamente attive, comel’acido alfa lipoico, che favorisce unadattamento della trascrizione genicacellulare all’ambiente, aiutando la dife-sa contro il cancro o le patologie dege-nerative, ed è contenuto in piante comeil cavolo o il broccolo. «A Pisa – spiegaVincenzo Lionetti, medico ricercatoredella Scuola superiore Sant’Anna – l’Isti-tuto di Scienze della vita è una realtàunica in cui agrobioscienziati, in gradodi seguire la parte iniziale della filiera,dal pre al post raccolto, dialogano stret-tamente con biomedici e medici. Nontutti i vegetali ne contengono le stessequantità e qui gli agronomi o i fisiologivegetali possono intervenire, perché lecolture si orientino verso vegetali piùricchi di elementi nutraceutici, in modoche diventino alimenti funzionali o d’u-so sanitario».

Agricoltura sanitariaSpingere verso un’agricoltura più quali-ficata ha molte implicazioni, che potreb-bero avere ricadute positive sui territo-ri: attorno alla figura dell’agricoltore,riqualificata dalle nuove conoscenze econ l’introduzione di sensori bioroboticie software in grado di monitorare le con-centrazioni di nutraceutici nella piantae lo stato del terreno, si potrebbe atti-

vare un indotto industriale ad alto va-lore aggiunto. E attirare giovani versole campagne, con un tipo di agricolturabasato su selezioni naturali e incroci,non su Ogm.

«Noi siamo favorevoli alla sommini-strazione degli elementi nutraceutici at-traverso l’alimento funzionale – riprendeLionetti – cioè a un cibo che contenga con-centrazioni misurabili di principi attivi, ela cui efficacia terapeutica, potenziata dalcontatto con la matrice di origine, sia sta-ta dimostrata con accuratezza in vivo».Per questo è stata immessa sul mercatouna pasta con un alto contenuto di Beta-Glucano, anti-ossidante contenuto nel-

l’orzo, testata come efficace nel ridurre glialti livelli di colesterolo nell’uomo.

L’Istituto di Scienze della vita ha incorso un altro studio per verificare l’ipo-tesi che il Beta-Glucano, con il giusto do-saggio, sia in grado di potenziare la riser-va plastica del cuore, cioè la fisiologicacapacità del tessuto cardiaco di riparar-si. Chi ha avuto un infarto potrebbe, in-somma, curarsi con un bel piatto di pa-stasciutta! Una strada che a secoli didistanza ci riporta alle affermazioni diIppocrate, il padre della medicina occi-dentale, che nel IV secolo a.C. diceva: «Fache il cibo sia la tua medicina e che la me-dicina sia il tuo cibo».

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LA DIETA MEDITERRANEA DIFENDE LA SALUTE E ANCHE IL TERRITORIONel 2010 l’Unesco ha inserito la dieta mediterranea nel patrimonio culturale immaterialedell’umanità. All’importante riconoscimento ha fatto seguito, lo scorso marzo, la pubblicazionesulla rivista scientifica New England Journal of Medicine di uno studio, durato cinque anni,sulla dieta mediterranea, che ne afferma il ruolo significativo nel ridurre almeno del 30% il rischio di infarti, ictus e diabete di tipo 2.Lo studio specifica che si deve pensare alla dieta mediterranea nel suo vero significato di “stiledi vita”, quindi di correlazione tra tutti gli elementi, considerati importanti alla stessa maniera.Molta frutta, molta verdura, cereali, legumi, pesce, poca carne rossa, olio d’oliva, un moderatoconsumo di alcol, attività fisica: sono, in sintesi, i segreti della dieta mediterranea.Un italian style che potrebbe a pieno titolo rappresentare uno straordinario motore di attrattiva turistica, che molte Regioni stanno pensando di valorizzare con leggi ad hoc. Ma che soprattutto avrebbe bisogno di uno stop al consumo di territorio per usi urbanistici, in favore della conservazione del territorio e del paesaggio.

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| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 47 |

| economiasolidale | normative europee |

Addio test sugli animali, almenoper i cosmetici venduti in Euro-pa. È questo il risultato ottenuto

l’11 marzo scorso, dopo un lungo iter legi-slativo: quindici anni per arrivare a unanormativa europea unica nel suo genere.Da quella data l’Unione europea ha sanci-to il divieto totale di importazione e com-mercializzazione di prodotti cosmetici te-stati su animali. Il commissario europeoalla Salute e protezione dei consumatori,Tonio Borg, l’ha definito «un importantesegnale sul valore che l’Ue attribuisce albenessere animale».

Stimato tra i 70 e i 90 miliardi di euroall’anno, il mercato di prodotti cosmeticie da igiene personale dell’Unione euro-pea è il più grande al mondo, circa trevolte quello statunitense. Da solo costi-tuisce metà del mercato globale di questiprodotti. Germania, Francia, Regno Uni-to, Italia e Spagna rappresentano circa il70% del settore nel Vecchio Continente.Secondo dati della Commissione Ue unconsumatore europeo utilizza almenosette cosmetici al giorno e le grandi in-dustrie cosmetiche offrono un portafo-glio di circa diecimila prodotti, mentre le

piccole e medie imprese 160. In mediaogni giorno in Europa si vendono tra i100 e i 300 mila cosmetici.

Una strage silenziosaNonostante i dati ufficiali siano limitati,le stime (seppure conservative) parlanodi circa 100 milioni di animali utilizzatiogni anno nel mondo per la sperimenta-zione in tutti i campi (farmacologia, ri-cerca medica, prodotti chimici e cosme-si). Circa 12 milioni nell’Ue. Quasi tuttisono uccisi o muoiono a seguito dei testalla fine della sperimentazione.

Solo per i cosmetici ogni anno in Euro-pa venivano usati circa novemila animaliall’anno. Almeno fino al 2009, quando fuintrodotto un primo parziale divieto: iproduttori di cosmetici non potevano piùcondurre test sugli animali sul territorioeuropeo, ma potevano tranquillamenteeseguirli in altri Stati e commercializza-re i singoli ingredienti o il prodotto fini-to in Europa.

La svolta, il divieto totaleI cosmetici testati prima dell’11 marzopotranno rimanere in commercio, men-tre i nuovi ingredienti dovranno esseretestati con le moderne tecniche alterna-tive per ottenere un’autorizzazione alcommercio in Europa.

La Commissione si è anche impegna-ta a finanziare ulteriormente lo sviluppodi alternative ai test su animali e a pro-muovere questa misura in altre regionidel mondo. Tra il 2007 e il 2011 l’Unione eu-

Per essere bellinon servono gli animalidiGaia Angelini

Dall’11 marzo in Europa è entrato in vigore il divieto di test sugli animali per i cosmetici. Un iter legislativo duratoquindici anni: da una parte gli animalisti, dall’altra l’industria della bellezza

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ropea ha investito 238 milioni di euro sul-la ricerca e lo sviluppo di metodologie al-ternative ai test sugli animali e investi-menti futuri saranno promossi tramiteHorizon 2020 – il programma europeo diricerca per il periodo 2014-2020 – ancora infase di negoziazione. Ci sono anche pro-getti specifici guidati dalla CommissioneEuropea e da alcune industrie cosmeti-che, come Seurat (Safety Evaluation Ulti-mately Replacing Animal Testing 2011-2015), un progetto da 50 milioni di euro nelcampo della tossicologia.

Ci si aspetta che a breve altri Paesiseguano l’esempio europeo, dal momen-to che l’industria cosmetica mondialedovrà comunque produrre cosmeticisenza testarli su animali per il mercatoeuropeo. Israele ha annunciato recente-mente l’introduzione di una legislazionesimile, mentre l’India e la Corea del Sudla stanno considerando.

Normalmente non sono espressa-mente richiesti test su animali in fase diautorizzazione di un prodotto o dei suoiingredienti. Test con tecniche alternati-ve sono accettati nella maggior partedei Paesi. La Cina rimane oggi l’unicomercato al mondo che richiede obbliga-toriamente di testare cosmetici finitisugli animali.

Una scelta eticaLa Direttiva Cosmetici costituisce so-prattutto una risposta etica: non sacrifi-care animali per la produzione di prodot-ti di bellezza. Infatti introduce il divietodi test sugli animali in questo campo sen-za aspettare che tutte le alternative perla produzione di nuovi ingredienti perprodotti di bellezza e pulizia personalesiano disponibili. Una scelta etica che ap-plica l’articolo 13 del Trattato di Lisbona,che identifica il benessere animale comeun valore europeo da tenere in conside-razione nello sviluppo delle politiche edella legislazione Ue.

Negli ultimi decenni almeno 400aziende nel mondo hanno scelto di pro-durre cosmetici con ingredienti non te-stati su animali, indipendentemente dalleregolamentazioni vigenti. Normalmenteaderiscono a uno standard internaziona-le volontario di certificazione. Il più fa-moso è il Leaping Bunny Standard, la coa-lizione per l’informazione ai consumatorisui cosmetici, che si occupa di certificareprodotti sul mercato globale come non te-stati su animali.

Nel campo dei cosmetici, l’Ue è partedi Iccr (International Collaboration onCosmetics Regulation), una piattaformainternazionale insieme a Stati Uniti, Ca-nada e Giappone, finalizzata alla coope-razione nel campo delle alternative allasperimentazione animale.

La Commissione Europea si è impe-gnata a cercare la massima collaborazio-ne con i partner commerciali al fine diesportare il modello europeo appena in-

trodotto e promuovere i test alternativinei vari campi di ricerca.

Al momento resta una sola area gri-gia riguardo all’utilizzo degli animali peri test su cosmetici venduti sul mercatoeuropeo: un’azienda potrebbe ottenereun’autorizzazione al commercio di de-terminati ingredienti per prodotti noncosmetici eseguendo test su animali e inun secondo momento richiedere il loroutilizzo nei cosmetici. Un meccanismoche permetterebbe di aggirare il divietoappena entrato in vigore. La Commissio-ne europea ha promesso di risolvere talepotenziale conflitto. Attendiamo ulte-riori sviluppi. E vigiliamo.

| economiasolidale |

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Fino al 2009 in Europavenivano sacrificati circa9.000 animali per i test suicosmetici. Dall’11 marzo sipossono usare solo test inlaboratorio, per i quali serveancora molta ricerca. L’Ue ha promesso investimenti

La copertina dell’Annual Report 2012 di Seurat(Safety Evaluation Ultimately Replacing AnimalTesting 2011-2015), progetto guidato alla Commissione Europea e da alcune industriecosmetiche.

LE LEGGI EUROPEEIN DIFESA DEGLI ANIMALIArticolo 13 del Trattato dell’UnioneEuropea (Trattato di Lisbona): riconoscegli animali come esseri senzienti e prevedel’obbligo di tenere in considerazione il lorobenessere nella formulazione e applicazione della politica e legislazioneeuropea.

Direttiva sulla protezione degli animaliutilizzati a fini scientifici (2010/63 /UE):ha come fine ultimo la sostituzione dell’usodegli animali nella sperimentazione conmetodi alternativi, la riduzione del numerodi animali utilizzati dalla sperimentazione,il miglioramento della cura e la sistemazione degli animali utilizzati.

Direttiva Cosmetici (76/768/EEC e le sue 7 revisioni): prevede la proibizionedi importazione e commercializzazione di prodotti testati su animali a partire dalladata dell’11 marzo 2013.

Ecvam: Laboratorio di referenzadell’Unione europea per le alternative alla sperimentazione animale basato al Joint Research Center (Jrc), DipartimentoRicerca della Commissione europea. È uno strumento attuativo della Direttivasulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici; promuove la ricerca e validazione di alternative ai test su animali in tutte le scienze mediche. È un centro di referenza internazionale per la validazione di test alternativi.

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| economiasolidale | made in Italy a rischio/puntata 3 |

La storica (e nobile) tradizione del di-vano italiano rischia di morire così:capannoni semiabbandonati, ma-

gazzini fatiscenti, condizioni di lavoro daOttocento, lavoro clandestino, prezzi im-possibili da sostenere rispettando la legge.Una situazione inconcepibile, se si hannonegli occhi e nelle orecchie le pubblicitàpatinate, a base di sconti, show room sfa-villanti e dive più o meno note. Eppure, asentir descrivere la realtà quotidiana dagliaddetti ai lavori, i divani made in Italy deimarchi più noti nascono esattamente inqueste condizioni. Figlie di politiche com-merciali assurde e della concorrenza cine-se ormai radicata nei distretti italiani.Concorrenza sleale, a chilometri zero.

Costi bassi con il dumpingBasta ascoltare i racconti dei piccoli pro-duttori per capire come funzionano lecose: «Da anni ci troviamo a dover com-battere con terzisti cinesi che produco-no divani con costi per noi inconcepibilie con committenti senza scrupoli. Nonsiamo competitivi solo perché rispettia-mo le regole», denuncia Elena Ciocca diEtica Divalia, che, insieme a ManuelaAmadori, anche lei terzista a Forlì, ha de-nunciato una situazione ormai insoste-nibile e ha reso possibile una storica sen-tenza (vedi ). L’aspetto paradossale èche, diversamente da altre volte, in que-sto caso il dumping si è diffuso nel no-stro Paese, nelle stesse aree storicamen-

te dedicate alla produzione di divani: danord a sud, da Forlì a Prato, fino a Mate-ra (quest’ultima conta una comunità ci-nese di oltre tremila persone).

«Si pubblicizzano divani “fatti a manoin Italia”, venduti a 199 euro, a 399 euro e a499 euro», osserva Pasquale Natuzzi, pre-sidente del gruppo leader del settore (vedi

), uno dei pochi “big” a condannarele storture del sistema e a realizzare “in ca-sa” i propri prodotti. «Non è possibile farequesti prezzi per oggetti che richiedonomolta manodopera, soprattutto nel no-stro Paese, dove il costo del lavoro e lapressione fiscale sono alle stelle».

Il modo per lucrare è sconcertante,ma tutto sommato semplice: le ditte ci-nesi hanno rilevato magazzini (e spessopersino i macchinari), prendendo poicontatti con i grandi gruppi dell’arreda-mento. Questi ultimi hanno colto l’occa-sione per far realizzare i propri prodottia prezzi inferiori rispetto a quelli pagatiai terzisti italiani, aumentando i proprimargini di profitto. In fondo basta impa-rare a non farsi troppe domande.

Ma le risposte non sono comunque dif-ficili da immaginare: «Le ditte cinesi pos-sono offrire prezzi molto bassi – spiegaMarinella Meschieri, responsabile legno earredo di Fillea Cgil – perché fanno ampioricorso al lavoro nero e grigio». Lavoratori

BOX

TABELLA

Il divano tricoloresi è fermato a ChinitalydiEmanuele Isonio

Nei distretti dell’arredo le ditte cinesicontinuano a crescere. I grandimarchi li usano per abbattere i costi eaumentare i profitti. I terzisti italianiperdono ordini e in dieci anni il numero di dipendenti è dimezzato

LE PRIME 300 AZIENDE ITALIANE PER FATTURATO [dati di bilancio 2011]

DENOMINAZIONE COMUNE PROVINCIA FATTURATO 2011

Natuzzi Spa Santeramo in colle BA 464.931.885

Poltrona Frau Spa Torino TO 111.901.000

Club House Italia Spa Roma RM 64.552.766

Minotti Spa Meda MB 56.803.056

Consofa Società Consortile Arl Matera MT 48.024.450

Flexform - Spa Meda MB 47.819.190

Jumbo Collection Srl Cantù CO 29.987.761

Moroso Spa Tavagnacco UD 27.133.970

Max Divani Società Altamura BA 22.739.176

Polo Group Srl Altamura BA 19.110.692

FONTE: OSSERVATORIO GRANDI IMPRESE E LAVORO

INDUSTRIA DEL LEGNO - ANALISI 2013

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totalmente ignoti all’Inps oppure con con-tratti part time, ma in realtà utilizzati peril doppio o il triplo delle ore. «E poi non ri-spettano quasi nessuna delle norme sin-dacali, ambientali, di sicurezza e usanomateriali spesso di bassa qualità». La crisiche spinge le famiglie ad acquistare pro-dotti guardando solo al prezzo fa il resto.

Addetti dimezzati in dieci anni«Fa rabbia pensare che basterebbero piùcontrolli per stanare le aziende scorrette»,osserva Giovanni Rossi, di Fillea Cgil. «Civogliono regole certe per la tracciabilitàper mettere un freno a un fenomeno chesta mettendo in serio pericolo le aziendesane», aggiunge Pasquale Natuzzi.

I crudi dati rendono l’idea di una fi-liera che sta morendo. Già prima dell’e-splosione della crisi, fra il 2001 e il 2007, sisono persi quasi 600 milioni di fatturato,222 milioni nel mercato interno e con unmercato internazionale quasi dimezzato(dal 31% del 2000 al 16 del 2006). E la ten-denza è ovviamente continuata. «Negliultimi sei anni – rivela Rossi – hannochiuso oltre trecento imprese nel di-stretto industriale della Puglia-Basilica-ta (dove si produce il 70% di tutti i diva-ni fatti in Italia). Gli addetti in dieci annisono passati da 10 a 5 mila».

Luci e ombreMa non c’è solo la concorrenza cinese intrasferta a rendere incerto il futuro del di-vano italiano. Come in altri settori, i pro-blemi irrisolti di organizzazione aziendalee di carenza di formazione hanno acuito ilproblema. «A partire dal 2001 – osservanoi tecnici dell’IPI, l’agenzia governativa disupporto del ministero dello Sviluppoeconomico per le politiche industriali – so-lo le imprese di maggiore dimensione econ attività di esportazione organizzatasono state in grado di affrontare le turbo-lenze dei mercati». Senza contare che «allapolverizzazione produttiva ha fatto se-guito una frammentazione della distribu-zione, che ha eroso quote di mercato per icanali distributivi tradizionali».

Un’analisi che trova d’accordo anche ilfronte sindacale: «Molte realtà imprendi-toriali medie e piccole – spiega Meschieri –non hanno saputo guardare ai mercati

esteri e hanno sottovalutato l’importanzadell’innovazione. C’è un problema cultu-rale da superare, in cui le imprese si guar-dano l’un l’altra come nemici anziché co-me possibili alleati».

E poi c’è l’accesso (negato) al credito.«O puoi offrire garanzie enormi o i finan-ziamenti te li scordi, a prescindere dallaqualità del progetto» prosegue Meschieri.

Nonostante lo scenario negativo, ipunti di forza ci sarebbero pure. A parti-re da una capacità di design e a un’atten-

zione alla qualità dei prodotti delle azien-de italiane che senza dubbio possonocontribuire ad attirare l’attenzione deinuovi mercati sul made in Italy. «Dobbia-mo puntare su qualcosa che i cinesi nonriescono a fare, investendo sull’innova-zione di processo e di prodotto» com-menta Rossi. I casi virtuosi in tal sensonon mancano (vedi ). Ma, senzauna strategia condivisa, rischiano di es-sere poche luci in un settore industrialesempre più simile a un deserto.

ARTICOLO

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Etica, design, ambiente: tre idee anticrisidiEmanuele Isonio

“Basta fare capolavori. Bisogna essere dei capolavori”. L’Italia che resiste,nel settore del divano in crisi, sembra aver fatto sua questa frase di Car-melo Bene. Le strade per riuscirci possono essere diverse. Ma i risultati

sono simili. Almeno per la possibilità di vedere il futuro con una speranza in più.

Giovani talenti per l’arredoHa deciso di puntare sui designer più talentuosi la padovana Lago, azienda di Villa delConte guidata da uno dei dieci fratelli dell’omonima famiglia. Nella loro fabbrica, rea-lizzata secondo i criteri di bioarchitettura, ospitano 4-5 volte all’anno workshop constudenti e progettisti. I loro prodotti rispecchiano un modo nuovo di fare reddito: «Delprofitto da solo non me ne importa un fico», spiega il capo designer, Daniele Lago. «Ogeneriamo valore culturale, estetico, spessore o Cina e India ci mangiano». Da qui l’i-dea di pubblicizzare le loro creazioni non solo nei loro trenta negozi monomarca in giroper il mondo. Ma anche in appartamenti selezionati da Nord a Sud. Le candidature si

Nonostante la fase di recessione, alcune aziende provano a innovare. E i risultati, in termini di visibilità e fatturati, sembrano dar loro ragione

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possono proporre sul sito dell’azienda(www.lago.it). In cambio di forti scontisull’arredo, il proprietario di casa dovràospitare conferenze e convegni. I risultatiper ora danno ragione alle scelte fatte:Borsa Italiana ha inserito l’azienda tra letrenta migliori per crescita e redditività.

La legalità in salottoElena Ciocca e Manuela Amadori, le dueimprenditrici che hanno permesso di farprocessare alcuni imprenditori italiani ecinesi scorretti, hanno deciso di imbocca-re una strada diametralmente opposta.Consapevoli che le loro denunce avrebbe-ro fatto terra bruciata tra i loro vecchicommittenti, hanno creato “Etica Divalia”.Due i capisaldi: rigoroso rispetto delle re-gole e la scelta di puntare sul made in Italyal 100%. «Per riuscirci – spiegano – rifiu-tiamo tessuti esteri, tranne che per il pel-lame, conciato però in Italia. E poi colla-

boriamo con altri artigiani e falegnamidella zona, anch’essi in difficoltà». I diva-ni vengono venduti senza intermediari(www.eticadivalia.it), per ridurre i costi(«abbiamo preso contatti anche con alcu-ni Gruppi d’acquisto solidale»). E così rie-scono a offrire un prodotto di altissimo li-vello a prezzi paradossalmente inferioririspetto a molte rinomate griffe.

Fare impresa con la naturaC’è poi chi ha scelto di differenziarsi pun-tando sul mercato estero con prodotticreati partendo da materiali naturali. Co-me La Cividina, nata nel ’76 e riconvertita-si nel nuovo millennio. «Abbiamo scelto distare sul mercato con il nostro marchio,collaborando con i designer che realizzanohotel, navi da crociera e uffici» spiega il ti-tolare Fulvio Bulfoni. «Il 98% del nostrofatturato è diviso tra Europa, Cina, HongKong, Singapore, Thailandia e Stati Uniti.

L’idea di proporre divani realizzati con ma-terie prime ecocompatibili ci sta dando unvalore aggiunto». Per ora i loro fatturativedono rosa: nel 2012 hanno segnato +15%.

Una scelta analoga è quella di PassoniNature, impresa di San Giovanni al Nati-sone (UD), nata come ramo d’azienda e poidivenuta autonoma. Da quattro anni, i lo-ro divani vantano numerose certificazio-ni: «I tessuti e i rivestimenti, creati con fi-bre naturali (lana, canapa, cotone, lino)hanno il marchio Ecolabel» spiega l’ammi-nistratore Tommaso Passoni. «Le struttu-re interne sono in legno massello certifi-cato FSC. Le imbottiture sono fatte congomme a base di acqua, soia e oli essenzia-li». Un’avventura iniziata da poco ma i pri-mi segnali sono confortanti. «Soprattuttoall’estero c’è molta attenzione a questi te-mi» prosegue Passoni. Aspetto importan-te: i costi per produrre divani naturali nonsono più alti di quelli tradizionali.

«Il successo di alcune aziende – com-menta Domenico Sturabotti, direttoredella Fondazione Symbola – è dato dallaloro innovatività, dal loro poter essere as-semblati in diverse varianti, dal loro esse-re unici e riconoscibili, dal risparmio dimaterie prime e dalla riduzione dell’im-patto ambientale che li caratterizza, dallacapacità di comunicare queste novità equalità. Sono loro che rimarranno in piedidopo la crisi».

Passoni Nature La Cividina

Era tutto cominciato, quasi quattro anni fa, grazie al coraggio di due artigiane romagnole,Elena Ciocca e Manuela Amadori, messe in ginocchio dalla concorrenza sleale delle aziendecinesi e di grandi marchi del divano che rendeva impossibile per loro competere sui costi di produzione. Dalla loro denuncia, raccolta anche dalle telecamere di “Report”, è scaturitoun processo che, a luglio 2012, ha portato alla condanna a un anno di reclusione per quattroimprenditori forlivesi colpevoli di aver violato le norme sulla sicurezza sul lavoro. Insieme a loro, sono stati condannati a un anno e nove mesi anche due artigiani cinesi. In più, sonostati riconosciuti i danni alla Camera di commercio locale e ai Comuni di Forlì, Bertinoro,Castrocaro, che si erano costituiti parte civile. Una condanna considerata storica da molti terzisti. Ma anche dal gruppo Natuzzi, che perl’occasione, acquistò una pagina del Corriere della Sera per ringraziare le due artigiane. «La sentenza che ha condannato quattro aziende italiane in concorso con i loro subfornitoricinesi finalmente individua non solo nei terzisti scorretti ma anche nei loro committenti il volano dell’illegalità» commenta Pasquale Natuzzi, amministratore delegato del gruppo.«È un primo passo, un segnale che ci spinge a non perdere tutte le speranze. Le nostreaziende hanno carte importanti da giocarsi in Brasile. Cina, India, Russia, Usa e MedioOriente. Ma ce la faremo solo se tutto il made in Italy sopravviverà».

Reparti di taglio e cucito, stabilimento Natuzzi di Laterza (Taranto)

DAL CORAGGIO DI DUE DONNE UNA SENTENZA CONTRO LA CONCORRENZA SLEALE

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| economiasolidale | 6 aprile, quattro anni dopo |

«Q ui all’Aquila ormai par-liamo sempre di un “pri-ma” e un “dopo”: è facile

intuire a cosa ci riferiamo». Esordiscecosì Ciro Cannavacciuolo, fino a poco fapresidente del circolo Arci La Queren-cia. “Prima”, il circolo era attivo nel cen-tro storico de L’Aquila con le sue propo-ste musicali e teatrali, le conferenzededicate alla legalità, la collaborazionecon l’università. “Dopo” il 6 aprile 2009c’è stato il periodo nella tendopoli, incui i volontari del circolo hanno fattoda mediatori affinché gli immigrati ir-regolari, che rischiavano di restare dei“fantasmi”, venissero soccorsi e accolti.Una volta archiviati i mesi più duri, laraccolta fondi nazionale lanciata dal-l’Arci ha permesso a La Querencia distabilirsi in un container all’interno diun terreno messo a disposizione dal Co-mune in via Ficara.

Ed è qui che la storia de La Querenciasi incontra con quella de Il Sicomoro, do-po un percorso diverso, ma parallelo.

Anche Il Sicomoro, associazione e botte-ga di commercio equo e solidale, avevasempre avuto la propria sede nel centrode L’Aquila. Poi il terremoto, la totale di-struzione della bottega e la difficile ricer-ca dei fondi per tentare di ricostruirla.Un obiettivo che è stato radicalmente ri-dimensionato a causa di una serie di dif-ficoltà normative e dei costi lievitati adismisura. Anche Il Sicomoro, a quelpunto, si è stabilito in un container nel-lo spazio di via Ficara. Uno spazio che èstato ribattezzato, non a caso, Piazzad’Arti. Sulla piazza si affacciano il Mu-seo sperimentale d’arte contemporanea,la Comunità XXIV Luglio che lavora conle persone disabili, la Casa del teatro, Legambiente e una decina di altre realtàdel mondo della sostenibilità, della cul-tura e del Terzo settore, che si mettonoin gioco in una serie di progetti comuni.È stato ribattezzato proprio “La Cittàche sPiazza” un ciclo di incontri a temamusicale, teatrale e ludico, che prose-guono ormai da diversi mesi. «Ci siamo

A Piazza d’ArtiL’Aquila che resistediValentina Neri[foto di Paola Baiocchi]

Dopo 4 anni il centro storicode L’Aquila è un cumulo di macerie. Due protagonistidell’altra economiaraccontano la città oggi

Il 6 aprile 2009 il terremoto de L’Aquila. Valori lo aveva raccontato con un dossier di copertina a dicembre dello stessoanno. Siamo tornati a vedere cos’è cambiato, poco purtroppo. E raccontiamo le storie di chi sta cercando di ripartire

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chiamati a raccolta – continua Ciro – pertrovare il modo di resistere. Resistere al-la diaspora che si è manifestata con le co-siddette new town che ci hanno privatodel centro storico che era il cuore pul-sante della città».

Bisogna tener presente, infatti, cheuno degli ostacoli principali che si tro-vano di fronte queste realtà, che lavo-rano proprio sui legami sociali, è quellodi aver perso la propria città. E, di con-seguenza, tutti i tradizionali luoghi diaggregazione. Il centro storico de L’A-quila (vedi ) è ancora uno scenariodi macerie delimitate dalle transenne.Subito dopo il sisma tutti gli sforzi sonostati veicolati nel progetto C.A.S.E. cheha ridato un’abitazione a 15 mila aquila-ni ma, dall’altro lato, si è limitato a co-struire da zero nuove zone residenziali.Ma una città vera e propria non è fattasolo di case. Vive anche di servizi, nego-zi, vie di comunicazione, luoghi di ritro-vo e coesione sociale. «La cosa più graveè che lentamente stiamo iniziando ad

abituarci», racconta la presidente del-l’associazione Il Sicomoro, AnnamariaDe Luca. «I disagi della vita post-sismaall’inizio ci lasciavano spiazzati, mentreora sono la nostra quotidianità. È comenascere un’altra volta: il nostro passatoci appare quasi come un qualcosa diestraneo». Annamaria nel centro de L’A-quila è nata e ha lavorato per tanti anni.Non stupisce, dunque, il fatto che anchea distanza di quattro anni vederlo inqueste condizioni sia «un dolore fortis-simo. Ma il programma di ricostruzione– continua – non ci aiuta perché non cidà nessuna speranza. La città è talmen-te in degrado, un degrado che si aggra-va sempre di più col passare del tempo,che a molti ormai viene da chiedersi chesenso abbia ritornarci in futuro. Ma noidobbiamo tornare nel centro de L’Aqui-la. Dobbiamo andare continuamentenelle strade in cui siamo cresciuti echiedere a gran voce di poter tornare,perché ne abbiamo il diritto: è la nostracittà».

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| economiasolidale |

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Piange il cuore ad attraversare il centro storico de L’Aquila: sono pochissimi i negoziche hanno potuto riaprire, quelli chiusi hanno le vetrine coperte di bigliettini di turistie amici della città che esprimono il loro dispiacere per un terremoto che non ha precedenti nella gestione dissennata della ricostruzione. Sui negozi sbarrati sonofitte le locandine dei corsi più disparati, molti di teatro.Si può percorrere solo il corso principale, mentre sono transennate tutte le vielaterali. Interi quartieri moderni sono abbandonati e, pericolosamente fratturati, si sporgono da costoni argillosi. Tutta la città è come appena uscita da un bombardamento, con bastioni di sostegno e ponteggi, i segni di ripristino sono sporadici.La vita si è trasferita altrove, nelle new town che circondano L’Aquila, nei grandi centri commerciali della periferia dove il traffico è caotico e lo sviluppo urbanodisordinato.Arrivando alla Basilica di Collemaggio sembra tutto a posto e si tira un sospiro di sollievo vedendo la meravigliosa facciata gotica intatta.Ma è la luce al suo interno a dare un aspetto straniante che tradisce l’assenza del transetto, crollato e sostituito da un tetto trasparente. Pa.Bai.

IL TEMPO SI È FERMATO AL 6 APRILE 2009

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| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 55 |

| socialinnovation |

insolvenza dei clienti, assenza di per-sonale qualificato e nessuna supply-chain. La maggior parte degli investi-tori evita casi come questo. Chi puòquindi aiutare i tre imprenditori india-ni a comprendere meglio i rischi, a di-minuire l’interferenza dei vincoli ester-ni, a reperire i capitali necessari percrescere e, nello stesso tempo, miglio-rare le condizioni di vita della popola-zione povera dell’area rurale attraver-so l’accesso alla rete elettrica?

In questo dilemma di impresa chia-mato pioneer gap, lo scalino del pio-niere, entra in gioco l’impact investor.Le stime di JP Morgan e della Fonda-zione Rockefeller riportano un poten-ziale profitto per gli impact investordai183 ai 667 miliardi di dollari, a fronte diun capitale investito che va dai 400 ai1.000 miliardi di dollari nei prossimi die-ci anni. Al momento si contano circa200 impact fund in tutto il mondo.

Ma che cos’è l’impact investment?Sono nuovi strumenti finanziari, an-che di natura pubblica, per raccoglierefinanziamenti privati destinati alleimprese sociali capaci di produrre unimpatto sui commons, i beni comuni insenso lato, all’interno di sistemi econo-mici rischiosi. La remunerazione non ègarantita, ma è legata al raggiungi-mento di un impatto “sociale” come la

riduzione della povertà o la realizza-zione di economie più inclusive. I set-tori su cui si stanno concentrando so-no le energie rinnovabili (vedi Valoridimarzo 2013), la mobilità, la sanità e i ri-fiuti nei Paesi poveri.

Come misurare le ricadute sociali diun investimento è oggetto di studio in-ternazionale. Engaged Investment, im-presa sociale inglese impegnata nellosviluppo etico del mercato finanziario,ha lanciato EngagedX, il primo indiceopen source e collaborativo, costruitodalle competenze degli operatori chestanno lanciando investimenti sociali,con una filosofia in stile wiki: maggioreè la trasparenza con cui saranno analiz-zati i dati finanziari aggregati e mag-giore sarà la trasparenza nella remune-razione attesa dalle imprese sociali.

In Italia ci sono pochi attori nel-l’impact investing: Human Founda-tion, Fondazione Oltre e il neonatoOpes Impact Fund. Un fondo non pro-fit fondato da Fem, Acra, Ctm altro-mercato, MicroVentures e FondazioneMaria Enrica. Ha già radunato innova-tori di primo piano nel proprio advisoryboard e convinto Fondazione Cariplo aun investimento iniziale. Intende sup-portare le imprese sociali nella primafase di vita, per colmare il pioneer gap.Elena Casolari, la presidente, auspicauna raccolta di 8 milioni di euro da tra-sformare in investimenti con tagli dai50 mila ai 400 mila euro nei prossimi treanni. La disponibilità di partenza del-l’impact fund è di natura filantropica.Per non creare distorsioni sul mercato,Opes investe nelle imprese sociali sele-zionate da Acra e Fem (e da altri partnerinternazionali non profit) attraverso:una donazione per sostenere le fasi didue diligence e di definizione delle me-triche di impatto; una parte in capitale,con l’acquisto di azioni societarie; e unaparte con un finanziamento a breve as-sociato a un grace period adeguato.Opes non si dedicherà alle start-up maa imprese sociali già avviate. I primisettori in cui ha intenzione di investiresaranno la sanità e le rinnovabili, in In-dia e Uganda.

diAndrea Vecci

Tre imprenditori sociali indiani, a partire dagli scarti del riso, produco-no e distribuiscono energia pulita nell’area più rurale dell’India. Han-no installato due impianti pilota, che riforniscono 800 clienti. Nono-

stante l’attività sia promettente e ci sia una grande richiesta, hanno speso tuttii loro risparmi. E devono affrontare una serie di sfide: infrastrutture carenti,

Strumenti che raccolgonofondi da privati per impreseche abbiano impatti sociali

Impact investorAttenzioneallo scalino

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| 56 | valori | ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 |

internazionaleDRENTH / HOLLANDSE HOOGTE / CONTRASTO

an c

«La soluzione al rigore? Passa da Berlino» > 60L’inesorabile (e ineguale) ascesa dell’Africa > 61Venezuela, gli orfani di Chávez > 63

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| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 57 |

| eurozona in crisi |

non si uccidono cosìche i “maiali”?

Europa,

Un panorama dell’isola di Cefalonia, in Grecia.L’emiro del Qatar sta acquistando numerose isoledell’arcipelago delle Echinadi, con l’obiettivo di regalarne una a ciascuno dei suoi 24 figli. E di costruirci qualche reggia. Anche questo è lo specchio della crisi.

Non c’è dubbio che l’emiro del Qa-tar Hamad bin Khalifa Al Thanisia di questi tempi un uomo pie-

no di problemi. Capo di governo da quasi18 anni e storico finanziatore dell’emit-tente televisiva Al Jazeera, l’instancabilebusinessman ha da poco speso tre milionie mezzo di euro per acquisire cinque isoledell’arcipelago greco delle Echinadi e rim-pinguare così la collezione iniziata loscorso anno quando, con un esborso daquasi 5 milioni, si era appropriato dei1.200 acri di Oxia, l’isola più grande dellazona. Secondo la stampa greca l’obiettivodell’operazione sarebbe chiaro: donareun’isola a ciascuno dei 24 figli avuti dalletre mogli. Sfortunatamente, tuttavia, l’ar-cipelago ellenico in questione, che com-prende anche l’omerica Itaca, presentaappena 18 isole, non sufficienti, quindi, asoddisfare le ambizioni dell’intera proge-nie. Ma i problemi, per il povero Al Thani,non finiscono qui. La legge greca, infatti,impone ai proprietari delle isole di co-

L’austerity europea stadistruggendo le economie dei Piigs.Dai drammi della Grecia alla crisioccupazionale, le ricette della Troika si rivelano sempre più indigeste

diMatteo Cavallito

Page 58: Mensile Valori n. 108 2013

| internazionale |

struire edifici abitabili non superiori ai250 metri quadrati. Il che, a prima vista,rappresenterebbe comunque un buonmargine di manovra. Solo che, fa notare ilTelegraph, un simile spazio equivarrebbea malapena alla dimensione che l’emiroaveva pensato per il suo bagno. Vale a di-re, circa un quarto dello spazio riservatoalla cucina. L’operazione immobiliare, in-somma, inizia già tra infinite difficoltà.

A risolvere l’impasse, forse, ci penseràil premier ellenico Antonis Samaras, che afebbraio era volato a Doha per avviare idecisivi colloqui d’affari. Sul piatto ci so-no 5 miliardi di euro di un business planche comprenderebbe il restyling dellostesso aeroporto di Atene. Quanto alle seiisole mancanti non dovrebbero esserciparticolari problemi. A settembre il go-verno greco ha preparato un elenco di 40esemplari da cedere in concessione ai fa-coltosi affittuari per i prossimi decenni.

L’infinita tragedia grecaL’incredibile vicenda degli arcipelaghirappresenta solo l’ultimo capitolo dellavasta letteratura sull’infinita crisi greca.Storie tragicomiche di un Paese allo stre-mo, cronache di un’emergenza contabileche l’austerity continua a declinare trafarse e tragedie. Il sistema sanitario, haraccontato lo scorso ottobre un reporta-ge del New York Times, è ormai al collas-so. Circa 600 mila disoccupati avrebberogià perso la propria assicurazione sani-

taria e si troverebbero costretti a pagaredi tasca propria le cure mediche. Il che,nella maggior parte dei casi, equivale arinunciare a ogni trattamento. Atene,che da tempo fronteggia la carenza difarmaci anti tumorali e anti Hiv, deveancora 5 milioni di franchi alla CroceRossa svizzera, principale esportatore disangue per le trasfusioni. In attesa che ilgoverno saldi il debito, Berna ha decisodi cautelarsi dimezzando le forniture en-tro il 2020.

Nel corso del 2013, dicono le previsioniEurostat, l’economia greca si contrarràdel 4,4% confermando così un trend re-cessivo che dura dal 2008. Il tasso di di-soccupazione, che all’inizio dello scorsoanno viaggiava attorno al 20%, si aggiraormai al 27%. Il rapporto debito/Pil, incompenso, è migliorato e i costi di finan-ziamento a dieci anni, un chiaro indica-tore di rischio sui mercati finanziari, so-no letteralmente crollati bruciando quasi800 punti base (8 punti percentuali). Un

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PER APPROFONDIRE

www.voxeu.org/article/panic-driven-austerity-eurozone-and-its-implications

Crescita 2012 -2,4%

Crescita 2013 (stime) -1,0%

Disoccupazione 2012 9,6%

Disoccupazione 2013 11,7%

Debito/Pil al terzo trim. 2011 119,9%

Debito/Pil al terzo trim. 2012 127,3%

Interessi a 10 anni 4.66%

Variazione ultimo anno (in Bps) -24

Crescita 2012 +0,7%

Crescita 2013 +1,1%

Disoccupazione 2012 15,1%

Disoccupazione 2013 14,7%

Debito/Pil al terzo trim. 2011 103,6%

Debito/Pil al terzo trim. 2012 117,0%

Interessi a 10 anni* 3.67%

Variazione ultimo anno (in Bps)** -316

Crescita 2012 -1,4%

Crescita 2013 -1,4%

Disoccupazione 2012 23,6%

Disoccupazione 2013 26,2%

Debito/Pil al terzo trim. 2011 66,7%

Debito/Pil al terzo trim. 2012 77,4%

Interessi a 10 anni 4.75%

Variazione ultimo anno (in Bps) -38

Roma (Rome)

Roma

ITALIA

Dublin

Dublino

IRLANDAMADRID

Madrid

SPAGNA

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| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 59 |

sostanziale paradosso che, secondo l’e-conomista belga e docente della LondonSchool of Economics Paul De Grauwe,nascerebbe da un clamoroso errore divalutazione del celebre “panico dei mer-cati”. E che caratterizza oggi tutto il clubdelle periferie europee.

Piigs in sofferenzaPer capire quanto se la passino male i co-siddetti “maiali” (dalla traduzione foneticadell’acronimo “Piigs” - Portugal, Ireland,Italy, Greece, Spain) basta rilevare i datisull’economia reale (nelle in questepagine). Il tasso di disoccupazione è in pe-ricoloso aumento in Spagna e in Portogal-lo. In Irlanda, dove pure l’economia è tor-nata a crescere grazie a un regime fiscalefavorevole alle imprese, nonché a qualcheinvestimento di successo nella green eco-nomy (vedi Valori n. 107, marzo 2013), laquota dei senza lavoro si è ridotta di poco.In Italia la percentuale dei disoccupati èormai in linea con la media europea (11,7%contro 11,9). In sintesi i numeri di un co-stante peggioramento.

«Chi avesse ancora bisogno di unaprova del mancato funzionamento del-l’austerity dovrebbe visitare il Portogal-lo”, ha scritto di recente la capo econo-mista di Maverick Intelligence, MeganeGreene, sulle colonne di Bloomberg. Li-sbona, ha ricordato la Greene nella suaspietata analisi, ha seguito le indicazionidella Troika (Ue, Bce, Fmi) e, a differenza

della Grecia, ha attuato un intenso pro-gramma di privatizzazioni che ha interes-sato, tra le altre, le grandi compagnie sta-tali Edp-Energias, Ren-Redes EnergeticasNacionais e Ana-Aeroportos de PortugalSa. Ma le prospettive di sviluppo restanomisere di fronte al peso di due fattorichiave: l’eredità di un decennio di scarsacrescita e le difficoltà nel promuoverel’export con un sistema di imprese di di-mensioni troppo ridotte. Due clamoroseanalogie con la situazione italiana.

Ad aggravare il quadro ci sono poi idati sulla contrazione del credito che inEuropa si è ridotto sul fronte delle im-prese di 100 miliardi negli ultimi sei me-si. Un segnale tanto di cause quanto dieffetti, secondo Fausto Panunzi, ordina-

rio di Economia politica presso l’Univer-sità Bocconi di Milano. «La crisi – spiega –si è aggravata talmente tanto che la que-stione centrale non è più solo la contra-zione del credito in sé ma anche quelladella domanda. Le famiglie non spendo-no e le imprese seguono a ruota. In so-stanza è tutto bloccato».

Una via d’uscita, al momento, staprovando a fornirla la stessa Troika che,all’inizio di marzo, ha annunciato l’in-tenzione di estendere le scadenze per larestituzione dei prestiti contratti da Ir-landa e Portogallo (67 e 78 miliardi ri-spettivamente). I negoziati sono tuttorain corso. Ma parlare di svolta nel pianodi austerità Ue è ancora terribilmenteprematuro.

SCHEDE

| internazionale |

Crescita 2012 -6,4%

Crescita 2013 -4,4%

Disoccupazione 2012 20,8%

Disoccupazione 2013** 27,0%

Debito/Pil al terzo trim. 2011 163,7%

Debito/Pil al terzo trim. 2012 152,6%

Interessi a 10 anni 10.70%

Variazione ultimo anno (in Bps) -778

Crescita 2012 -3,2%

Crescita 2013 -1,9%

Disoccupazione 2012 14,7%

Disoccupazione 2013 17,6%

Debito/Pil al terzo trim. 2011 110,4%

Debito/Pil al terzo trim. 2012 120,3%

Interessi a 10 anni 5.93%

Variazione ultimo anno (in Bps) -832

* Calcolato sul titolo benchmark 2020, fonti:Financial Times 13/3/2013, BloombergBusinessweek (“Ireland Enlists Pensioners in Bond Crusade: Euro Credit” 21/3/2012), nostreelaborazioni. Il dato sulla variazione annuale è calcolato a 51 settimane (13/3/2013 rispetto a 21/3/2013).

** Novembre 2012, ultimi dati disponibili.

FONTI: BLOOMBERG, 13/3/2013, EUROSTAT FEBBRAIO 2013, EUROSTAT GENNAIO 2013, STANDARD & POOR’S, NOSTRE ELABORAZIONI.

Athina (Athens)AteneGRECIA

Lisboa (Lisbon)

Lisbona

PORTOGALLO

La crisi dello spread nasce dal panico irrazionale dei mercati. Lo stesso panicoche avrebbe erroneamente indotto i decisori europei a promuovere in seguitopolitiche sbagliate e distruttive a danno delle economie nazionali. Lo sostiene unarticolo pubblicato a febbraio dal docente della London School of Economics PaulDe Grauwe e dalla ricercatrice dell’Università di Leuven Yuemei Ji. I Paesi chehanno subito i maggiori incrementi dello spread hanno applicato le ricette diausterity più pesanti provocando le recessioni più intense. Eppure, negli ultimimesi, sono stati proprio questi Paesi ad essere maggiormente premiati dalmercato in termini di riduzione degli spread. A rassicurare gli operatori, in altreparole, non sarebbero stati i fondamentali economici quanto piuttosto la decisionedella Bce di intervenire sul mercato stesso (ovvero di non abbandonare i Piigs allaspeculazione). Un segnale di come la soluzione della crisi finanziaria passassedall’intervento sul mercato piuttosto che dai piani di austerità.

L’AUSTERITY? UN ERRORE DI VALUTAZIONE

Page 60: Mensile Valori n. 108 2013

«Finora abbiamo accettato ilrigore in cambio dello scu-do Bce. Ma cosa accadrebbe

se un Paese decidesse di deviare dal per-corso di risanamento dei conti pubblici?Draghi potrebbe ancora acquistare i suoititoli? E come reagirebbe la Germania?».Sono questi i primi interrogativi chiave se-condo Fausto Panunzi, ordinario di Eco-nomia politica presso l’Università Bocconidi Milano. La situazione europea, spiega, ègrave. Ma alle condizioni attuali, special-mente per l’Italia, «si può fare ben poco».

Professore, in Europa si sta diffondendo un sentimento anti-austerity. Possiamoaspettarci un cambio di rotta in futuro?Difficile dirlo, di certo Angela Merkelnon vorrebbe attenuare l’austerity per-ché potrebbe scontarlo in termini eletto-rali. Il punto è che qualsiasi soluzione de-ve ottenere l’ok di Berlino, ma questooggi non è possibile perché esiste un’a-simmetria di interessi tra la Germania ei Paesi periferici dell’Ue.

Come a dire che alla Germania non serveuna politica fiscale espansiva, giusto?I tedeschi hanno fatto alcune riforme, tracui quella del mercato del lavoro già più di10 anni fa, riducendo i costi per le impresee rendendo più competitiva la loro produ-zione rispetto agli altri Paesi europei. Og-

gi, anche se l’economia mostra qualche se-gno di rallentamento, continuano a trar-ne vantaggi in termini di export.

Anche perché, come ha sostenuto MorganStanley, l’euro risulta sufficientementesvalutato per i tedeschi mentre è tuttorasopravvalutato per la maggior parte dellealtre economie dell’area. Esatto, e qui torniamo al problema dellamancanza di sincronia e dell’assenza di unobiettivo comune europeo. Come lo stessoDraghi ha dichiarato, la Bce non ha tra isuoi obiettivi il controllo del tasso di cam-bio. In definitiva siamo all’ennesimo para-dosso: l’euro è in crisi eppure si rivaluta ri-spetto ad altre valute impedendo cosìall’export di rilanciarsi e alla crisi della do-manda aggregata di mitigarsi.

Quindi che fare? Riforme strutturali?In Italia ce ne sarebbe certamente biso-gno perché esse sono indispensabili perfare ripartire la crescita. Ma sono cose chesi possono realizzare sul medio-lungo pe-riodo. Servirebbero privatizzazioni e libe-ralizzazioni, una riforma della giustizia,un investimento volto al miglioramentodella qualità dell’istruzione e quindi delcapitale umano dei lavoratori italiani.Sappiamo però che è difficile realizzareriforme in una fase di recessione, primaoccorre risolvere l’emergenza.

Si potrebbe iniziare con la riduzione della pressione fiscale?Ovviamente una riduzione della pressio-ne fiscale è auspicabile, ma il problema ècome conciliarla con i vincoli europei. Sipotrebbe ridurre la spesa, cosa che in Ita-lia non è mai stata veramente fatta. Cer-

to, la riforma delle pensioni ha ridotto laspesa previdenziale futura, ma il resto? Sipotrebbe ridurre la spesa sanitaria cheperò costituisce un capitolo in mano alleregioni ed è politicamente molto sensibi-le. Oppure le spese per l’istruzione cheperò in Italia sono già piuttosto basse ri-spetto alle media europea e che avrebbe-ro effetti negativi per la crescita. La veritàè che oggi possiamo fare ben poco.

Negli Usa c’è stata una risposta moltorapida alla crisi, in Europa è accaduto il contrario. Come mai? C’è stata una sottovalutazione dei problemi?Non è tanto un problema di diversa con-sapevolezza quanto di tempestività diintervento. La Bce non è intervenuta inmodo deciso fino all’estate scorsa e il ri-corso alla leva fiscale è tuttora di fattobloccato dai trattati europei, come il Fi-scal Compact. Questo stallo ci porta a ri-flettere sull’architettura istituzionaleeuropea e a porci una domanda: può esi-stere un’unione monetaria senza unacontemporanea unione fiscale?

Lei che dice?Sarei cauto a dire di no in modo assoluto.Ma questa unione non è attualmente so-stenibile. Per lo meno se la Germanianon accetterà di essere più flessibile.

| internazionale |

«La soluzione all’austeritypassa dalla Germania»diMatteo Cavallito

L’opinione di Fausto Panunzi: soloBerlino può condurre l’Europa fuoridal vicolo cieco della dieta del rigore. Ma interessi contrastanti bloccanoqualsiasi soluzione

| 60 | valori | ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 |

Fausto Panunzi,ordinario di Economiapolitica presso l’Università Bocconi

Page 61: Mensile Valori n. 108 2013

| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 61 |

| internazionale | prossimi emergenti |

Investire in Africa, oggi, è ancora dif-ficile. I costi possono risultare più al-ti anche del 40% rispetto alle previ-

sioni iniziali. Ciò per ragioni logistiche(spesso si devono importare gli equipag-giamenti, pagando pesanti dazi dogana-li), culturali (in Africa si parlano 2-3miladialetti) e politiche (la corruzione dilagae la governance lascia spesso a desidera-re). Eppure, nonostante tali problemi en-demici, il Continente attrae un numerocrescente di aziende occidentali.

I dati, infatti, non lasciano spazio adubbi. Nel 2012 la sola Africa subsaharianaha registrato una crescita media compre-sa tra il 5 e il 7%. In un Paese come il Gha-na il boom previsto inizialmente (+8%) è

stato rivisto a un +15% pochi mesi dopola prima stima. E, pur ancora a livelli in-capaci di estirpare le enormi sacche dipovertà e fame, anche il Pil procapite loscorso anno è cresciuto in tutto il conti-nente di oltre il 3%.

Non più solo risorse naturali L’Africa, insomma, «ha superato relativa-mente bene la crisi», ha constatato a giu-gno 2012 la Banca Africana per lo Svilup-po nel rapporto Prospettive economicheper l’Africa. Ma, soprattutto, decisivo perla regione potrebbe essere il fatto che lerisorse naturali non sono più l’unico car-burante dell’economia. È vero, infatti, chei livelli di crescita più alti sono ancora re-

gistrati dai produttori di materie prime:dal petrolio (in Congo, Gabon, Nigeria,Ciad), ai prodotti minerari (come il ramein Zambia), a quelli agricoli (il cotone inBenin, Burkina Faso e Mali; il caucciù inLiberia). Ma è altrettanto vero che le eco-nomie camminano ormai sulle loro gam-be, anche per ragioni demografiche.

La mortalità alla nascita in Stati comeil Senegal è calata negli ultimi anni a un rit-mo cinque volte più sostenuto rispetto aquello dell’India. Secondo Jean-JosephBoillot, autore del libro Chindiafrique (unacrasi tra Cina, India e Africa), il continentepotrebbe accogliere nel 2030 quasi un ter-zo della popolazione mondiale tra i 15 e i 24anni. Entro il 2035, inoltre, la popolazionesubsahariana sorpasserà quella della Cina.E, nel 2050, Etiopia, Congo e Nigeria figure-ranno tra gli otto Paesi più popolosi delmondo. La traduzione economica di tuttociò è che l’Africa può cominciare ad avva-lersi di quella che fu la vera “benzina” deiPaesi industrializzati (la stessa che soffia,ora, nelle vele di quelli emergenti): una cre-scente massa di giovani lavoratori.

Cresce il numero di salariati, e così, perla prima volta, l’Africa conta sulla prospet-tiva di una discreta domanda interna. Unostudio di McKinsey (The Rise of the AfricanConsumer) conferma che, nel 2020, i consu-matori africani spenderanno 300 miliardidi euro in più rispetto a oggi (dato legatoanche alla prevista urbanizzazione).

L’interesse delle multinazionaliLe prospettive di sviluppo non sono sfug-gite alle multinazionali occidentali, chepianificano massicce operazioni, sfidan-do anche la concorrenza cinese e medio-rientale. Nestlé – riferisce un’analisi del

L’inesorabile (e ineguale)ascesa dell’AfricadiAndrea Barolini

Nel 2030 ci abiterà un terzo della popolazione mondiale di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Pur tra grandi diseguaglianze, crescerà una domanda internae si formerà una middle class. Che è già nel mirino delle multinazionali

[Prodotto interno lordo, in miliardi di dollari]FONTE: «LES ÈCHOS» / BANQUE MONDIALE, COE-REXECODE

1.000

5.000

9.000

13.000

17.000

21.000

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205020252005

UE

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21.911

19.287

NEL 2050 L’AFRICA RAGGIUNGE L’EUROPA…

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20.000

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2.653

8.800

AFRICA

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20.000

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5.598

21.876ASIA

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10.921

24.438AMERICA LATINA

… MA IL PIL PER ABITANTE RESTA DEBOLE

Page 62: Mensile Valori n. 108 2013

quotidiano francese Les Echos – investirà1,5 miliardi di dollari; Coca-Cola 12 miliar-di entro il 2020. Danone ha scalato il ca-pitale della Centrale del latte del Maroc-co; aziende cinesi costruiscono strade apedaggio e imprese libanesi, saudite e qa-tariane sono attive nei business dei su-permercati e degli alberghi. Il totale degliinvestimenti stranieri in Africa è cresciutolo scorso anno di 30 miliardi di dollari ri-spetto a dodici mesi prima (e solo il 16% diessi è ancora legato alle risorse naturali).Per il continente si potrebbe trattare diun’enorme opportunità. Ma i problemi del-l’Africa sono ancora giganteschi: per que-sto occorrerà scongiurare una nuova era dicolonizzazione, stavolta economica.

Se, infatti, il Pil dell’Africa – secondo idati della World Bank –raggiungerà i 19.287miliardi di dollari nel 2050 (poco meno dei21.911 miliardi dell’Ue, vedi ), il datoper abitante resterà ben distante da quellidi altre macro-regioni emergenti. Il Pil pro-capite passerà, infatti, dagli attuali 2.600dollari a 8.800, mentre nell’Asia emergentee in America Latina, dove il dato è oggi pa-ri rispettivamente a 5.600 e 11 mila dollari,si raggiungeranno i 21.900 e i 24.400 dollari(vedi ). Metà della popolazione sub-sahariana, inoltre, vive ancora con meno diun dollaro al giorno, e il 25% deve accon-tentarsi di meno di 2 dollari.

Le multinazionali si dichiarano inte-ressate a una nascente middle-class. Mase il mondo ricco farà di nuovo l’errore didimenticare gli ultimi, stavolta ne pa-gherà a caro prezzo le conseguenze, an-che economiche.

GRAFICO

GRAFICO

| internazionale |

| 62 | valori | ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 |

L’avvenire dell’Africa dipende da una serie di fattori. Oggi, infatti, gli squilibri interni

sono ancora causati da problemi endemici (povertà diffusa, fame, mancanza

di infrastrutture, sistemi sanitari inefficienti se non del tutto assenti). Ma nel prossimo

futuro, il crescente interesse economico delle grandi aziende occidentali nei confronti

del continente potrebbe generare un’ondata di speculazione potenzialmente distruttiva.

Un “assaggio” di cosa potrebbe accadere se non si vigilerà sui comportamenti delle

multinazionali è contenuto in un rapporto pubblicato un paio di anni fa dal think tank

californiano Oakland Institute, secondo il quale solamente nel 2009 i big della

finanza globale hanno acquistato 60 milioni di ettari di territorio africano. Più

o meno l’estensione di un Paese come la Francia. Una cifra in aumento esponenziale

rispetto ai 4 milioni annui registrati fino al 2008. L’obiettivo? Convertire le colture

alimentari in campi di fiori da recidere o in piantagioni per biocarburanti. In questo

modo si può far diminuire l’offerta globale di cibo, farne impennare i prezzi

e ottenere il margine utile per centrare enormi guadagni dalle oscillazioni.

L’Africa, poi, è fortemente esposta agli squilibri legati ai cambiamenti climatici:

in particolare la crescita del livello dei mari minaccia numerose zone costiere

occidentali: un’area che complessivamente, nel 2050, potrebbe arrivare ad ospitare

250 milioni di abitanti (più di 4 volte la popolazione italiana attuale).

Ancora, per l’Africa sarà fondamentale alimentare il settore manifatturiero: nel 2010

– secondo quanto riportato dal mensile Alternatives Economiques – il valore aggiunto

del comparto sul Pil africano è stato pari solamente al 10,4% (contro il 21,7%

dell’insieme dei Paesi in via di sviluppo). In rapporto alla popolazione, inoltre, il dato non

supera i 30 dollari annui per abitante (meno di un decimo della media dei Paesi in via

di sviluppo), con le sole eccezioni delle Seychelles (che arrivano a 1.295 dollari),

Mauritius (804), Sudafrica (581) e Swaziland (451). A.Bar.

LA RICETTA PER UNA CRESCITA INCLUSIVA

ALGERIA

TUNISIA

LIBIA

SUDAN

MAURITANIA

LIBERIA

SUD AFRICA

NAMIBIA

ZAMBIA

GABON

NIGERIA

TANZANIA

KENYA

MOZAMBICOMAURITIUS

ZIMBABWE

UGANDA

RWANDA

REP. DEMOCRATICADEL CONGO

I NUMERI DELL’AFRICAPOPOLAZIONE• 1,07 miliardi, è il numero di abitanti attualidel continente, che diventeranno 2 miliardinel 2050.

• 200 milioni è il numero di cittadini di etàcompresa tra i 15 e i 24 anni. Cifra destinata a raddoppiare entro il 2045.

• 40% è il tasso di urbanizzazione attuale.

CONSUMI• 85 milioni di famiglie vantano un redditoannuale superiore ai 5 mila dollari. La cifra crescerà a 130 milioni entro il 2020.

• 84% è la quota di popolazione che prevedeun miglioramento della propria condizioneeconomica nei prossimi due anni.

FONTI: O

NU, O

CSE

DIECI PAESIPROGETTANOFONDI SOVRANI

Per gestire al meglio le risorse derivanti dalle esportazioni, undici Paesi africani stannoipotizzando la creazione di fondi di investimentosovrani. Tra gli altri, Sudafrica, RepubblicaDemocratica del Congo, Tanzania, Tunisia e Kenya. Che potrebbero unirsi agli attuali dieciStati che già ne possiedono uno. Il primo Paesea dotarsi di un sovereign fund è stato il Botswana, nel 1994. Oggi il fondo gestiscecirca 6 miliardi di dollari, in gran parte derivantidai proventi delle esportazioni di diamanti, rame e nichel. Ma i più grandi, attualmente,sono quelli della Libia e dell’Algeria: entrambiraggiungono circa i 60 miliardi di dollari.

Paesi già dotati

Paesi che ne progettano la creazione

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La storia me la raccontò alla finedel 2005 Jesús Garrido Pérez, de-putato socialdemocratico del par-

lamento venezuelano e storico opposito-re del suo governo. All’epoca il presidenteChávez stava conducendo la sua batta-

glia contro il latifondo secondo l’ambizio-so programma di ridistribuzione dellaterra e lotta alla povertà. Gli espropri,spiegava il governo, colpivano la grandeproprietà. Ma le operazioni, denunciavaal contrario il deputato, avevano finito in

realtà per coinvolgere soprattutto le pic-cole e medie imprese e, talvolta, “i sempli-ci campesinos”.

Le accuse erano pesantissime: vessa-zioni, sequestri, estorsioni, persino unomicidio. Antonio Gallo, un imprenditoreagricolo figlio di immigrati veneti, mi ri-ferì che la sua proprietà di Yaracuy era or-mai stabilmente occupata dalla GuardiaNacional e che nella sua regione il gover-no stava progressivamente distruggendola coltivazione della canna da zucchero.L’obiettivo, aggiungeva Garrido, era quel-lo di costringere il Paese a importarneuna crescente quantità da Cuba e dare co-sì un po’ di ossigeno all’agonizzante eco-nomia del regime castrista. Era la verità?Non ho più sentito le fonti dell’epoca, nonho potuto interpellare le controparti e, so-prattutto, non sono mai andato in Vene-zuela a controllare di persona. In altre pa-role non ho idea di come sia andata afinire la storia degli expropriados, né di

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| internazionale | la morte del leader |

Venezuela,gli orfani di Chávezdi Matteo Cavallito

Nicolás Maduro contro Henrique Capriles Radonski. Sarà una sfida ristretta a duecandidati quella che animerà le elezioni presidenziali venezuelane previste per il prossimo 14 aprile. Maduro, leader del Partido Socialista Unido de Venezuela,fedelissimo di Chávez e già presidente ad interim, è favorito dai sondaggi ma l’esitoelettorale non appare comunque scontato. Capriles, numero uno del partito di opposizione Primero Justicia e ammiratore dichiarato dell’ex presidente brasilianoLula (che però è stato uno storico sostenitore del chavismo), è stato accusato di appoggio al golpe del 2002 ma un processo lo ha successivamente assolto. Alle scorse elezioni di ottobre, alla guida della coalizione Mesa de UnidadDemocrática, ha ottenuto oltre il 44% dei consensi, un risultato di tutto rispetto. Alle elezioni di aprile si presenteranno altri cinque candidati – María Bolívar (Pdupl),Reina María Sequera (Poder Laboral), Eusebio Méndez (Nuvipa), Julio Mora (Udemo)e Fredy Tabarquino (Joven) – a cui i sondaggi attribuiscono comunque consensi minimi.

IL FUTURO DEL PAESE SI DECIDE IL 14 APRILE

Il campione del “socialismo del XXI secolo”, scomparso lo scorso 5 marzo, ha sposato una linea che lo ha portato, da un lato, a instaurare rapporti diplomatici anche controversi; dall’altro, ad adottare politiche economiche che hannoabbassato nettamente il tasso di povertà, ma che da altri punti di vista lasciano pensare a grandi occasioni mancate

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| internazionale |

quanto vi fosse di vero, o eventualmentedi falso, nelle denunce dell’opposizione enelle rassicurazioni ufficiali fornite all’e-poca dal governo di Caracas. Ma la vicen-da mi sembra a modo suo emblematica.Perché lo scontro che evidenziava alloraresta significativo ancora oggi, con il Pae-se tuttora diviso nei giudizi sul suo de-funto leader.

Un leader controversoHugo Chávez è morto il 5 marzo scorso, acinque mesi di distanza dalla sua quartavittoria elettorale consecutiva. 14 anni dipresidenza nel segno della “rivoluzionebolivariana” e del “socialismo del XXI se-colo”. Ma anche 14 anni di divisioni, tra ilclamore dei successi e le accuse di auto-ritarismo. Una parte del Paese, la mag-gioranza a giudicare dagli esiti delle ele-zioni e dai sondaggi, promuove la suapolitica. Un’altra, non necessariamente“da destra”, ne contesta i metodi e i risul-tati denunciando i fiumi di retorica chene accompagnano il mito.

«Quasi tutti i leader di sinistra in Ame-rica condividono gli ideali di giustizia so-ciale di cui parla Chávez , ma quasi nes-suno approva i suoi metodi», mi spiegònell’agosto del 2005 una giornalista di ElNacional, il principale quotidiano dell’op-posizione. In quei giorni, Caracas stavainiziando i colloqui con il presidente uru-guayano Tabaré Vázquez per l’avvio di unprogramma di raffinazione del petroliovenezuelano negli impianti della Ancap,la compagnia statale di Montevideo. Se-condo gli oppositori si trattava dell’enne-simo tentativo di usare il petrolio comearma politica per influenzare le scelte del-le altre nazioni del Subcontinente. Per isuoi sostenitori, al contrario, Chávez sta-va avviando una vera e propria rivoluzio-ne diplomatica che avrebbe condotto l’A-merica Latina alla piena emancipazioneeconomica.

La storia, ovviamente, è piena di con-traddizioni. Chávez è salito alla ribalta laprima volta nel 1992, guidando un fallitocolpo di Stato contro il governo del pre-sidente Carlos Andrés Pérez. Viene arre-stato, poi amnistiato. Sei anni dopo sipresenta alle elezioni. E vince. Nell’apri-le del 2002 è a sua volta vittima di una

congiura, ma il golpe, guidato da PedroCarmona Estanga, fallisce miseramente.La televisione privata del Paese appog-gia l’operazione. Finirà sotto il sostanzia-le controllo del governo. Negli anni suc-cessivi el presidente stringerà rapporti diamicizia con i grandi leader progressistidel Continente, da Cristina Kirchner aLula, ma anche con un discreto manipolodi impresentabili come il presidente ira-niano Ahmadinejad e il dittatore bielo-russo Lukashenko. Si ritroveranno tutti,commossi, al suo funerale.

Luci e ombre dell’economiaIn una Caracas listata a lutto il delfino Ni-colas Maduro e il leader dell’opposizioneHenrique Capriles hanno già iniziato laloro battaglia politica in vista dell’appun-tamento elettorale del 14 aprile (vedi ).L’obiettivo è la presidenza del Paese. Lasfida è il futuro di un’economia nazionalepiena, manco a dirlo, di contraddizioni.Nel 2002, ricorda un rapporto ufficialedella Comisión Económica para AméricaLatina y el Caribe (Cepal), il tasso di po-vertà in Venezuela raggiungeva il 48,6%,quello della popolazione indigente il22,2%. Nel 2011 le percentuali erano scese

rispettivamente al 29,5 e all’11,7. Ma al suc-cesso dei programmi di sviluppo fanno dacontraltare altri fattori di instabilità.

L’inflazione viaggia attorno al 20% erappresenta tuttora un problema signi-ficativo di fronte al rischio di una fuga dicapitali. I numerosi accordi di coopera-zione economica firmati da Chávez nelcorso degli anni non hanno avuto ungrande impatto sugli investimenti stra-nieri passati, secondo la Banca Mondiale,dal 2,9% all’1,7% del Pil dal 1999 al 2011. Lacapitalizzazione delle compagnie quota-te alla borsa di Caracas, ha sostenuto ilWall Street Journal, è passata dal 7,6%del Pil del 1999 all’1,6% del 2011.

Infine il petrolio, risorsa numero unodel Paese. Nel dicembre del 1998, quandoChávez divenne presidente, il barile digreggio viaggiava attorno agli 11 dollari.Oggi siamo sopra quota 90. Ma il Vene-zuela, dicono i numeri, non ha saputo ap-profittare in pieno del boom petrolifero.Nei 14 anni della presidenza Chávez, laproduzione interna di greggio è calata da3,2 a 2,5 milioni di barili quotidiani e il Pae-se si è trovato costretto a importare pro-dotti raffinati. Come a dire che Caracasvende il petrolio negli Stati Uniti, ma si ri-trova a comprare benzina “yankee” a prez-zo maggiorato. Le esportazioni di refineddagli Usa al Venezuela, ha riferito l’ex ana-lista di Glencore Stephen Schork, sonopassate dai 6.600 barili giornalieri del 2004agli 85 mila odierni. Il segnale, forse, di unagrande occasione sprecata.

BOX

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IL PAESE IN CIFRENome: Repubblica Bolivariana del VenezuelaPopolazione: 28,4 milioniCapitale: CaracasPil pro capite: 13.200 $Tasso di crescita 2012: 5,7%Rapporto debito Pil: 49% Tasso d’inflazione: 20,9% Disoccupazione: 8% Alfabetizzazione*: 93%Popolazione sotto la soglia di povertà: 31.6% Tasso di povertà: 29.5%**Tasso di indigenza: 11.7%**Mortalità infantile: 20,18 per milleSperanza di vita: 74 anni

* percentuale della popolazione con più di 15 anni di età in grado di leggere e scrivere**dati Cepal su report del governo venezuelano.

FONTE: C

IA - WORLD

FACTBOOK, FEBBRAIO 2013.

Il bilancio dei tanti anni di governo del leadervenezuelano è controverso.Il consenso è rimasto alto,ma tra numerose ombre

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| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 65 |

| equocommercio |

di sviluppo (relativi al 2011). Quello cheemerge è uno scenario in assoluta con-trotendenza: una crescita continua.

Cresce il numero delle organizza-zioni coinvolte nel sistema, aumentatenel 2011 del 13% rispetto all’anno pre-cedente, per un totale di 1,24 milioni dipersone, raggruppate complessivamen-te in 991 organizzazioni di 66 Paesi nelmondo. La maggior parte, poco più di unmilione, fa parte del sistema in qualitàdi membro di una cooperativa.

Migliorano le prospettive commer-ciali: grazie all’aumento delle vendite dimaterie prime Fairtrade, i produttoriagricoli dei Paesi in via di sviluppo rie-scono a incrementare le proprie entrate(+30% nel 2011 sul 2010) e, parallelamen-te, ad accrescere il valore dell’investi-mento a favore dell’emancipazione del-le comunità locali. Infatti il margine diguadagno aggiuntivo assicurato alleorganizzazioni per incentivare progettidi sviluppo (Fairtrade premium) ha toc-cato i 61,1 milioni di euro per il periodopreso in considerazione (+26% sull’an-no precedente). Il Fairtrade Premiumviene investito per l’implementazionedel business delle organizzazioni e peril miglioramento dei processi produtti-vi (principalmente nelle cooperative),ma anche in progetti educativi e nellecomunità (specie nelle organizzazioni

di lavoro dipendente, attraverso il JointBody, l’organismo formato da una rap-presentanza dei lavoratori e dell’azien-da creato per decidere la destinazionedi questi fondi).

Tra tutte le materie prime Fairtra-de, il report evidenzia una performance

particolarmente positiva per lo zucche-ro, la cui crescita è stata significativagrazie all’aumento delle aziende chehanno scelto di utilizzarlo nelle ricettedi snack e barrette in abbinata con il ca-cao. Una scelta che ha avuto un impat-to diretto sull’aumento delle organizza-zioni di produttori dei Paesi in via disviluppo coinvolte nel sistema che, a fi-ne 2011, hanno raggiunto quota 69 (nel2006 erano solo 16), distribuite in 15 Pae-si. Sono stati ben 37.200 i produttori dizucchero a beneficiare del premio Fair-trade, per un valore di 7,4 milioni di eu-ro nel 2011.

«Questa ricca serie di dati – ha di-chiarato Harriet Lamb, Ceo di Fairtra-de International – mette in luce i no-stri punti di forza, come l’impegnoglobale a favore delle piccole organiz-zazioni, ma anche gli aspetti che dob-biamo potenziare, come il migliora-mento delle condizioni dei lavoratoridipendenti e il percorso verso un sala-rio più dignitoso».

Grazie a dati di prima mano, le testi-monianze riportate e le oltre 100 tra car-tine e grafici, il documento rappresental’istantanea più ampia e approfondita adisposizione del pubblico sul circuitoFairtrade e sui suoi benefici.

www.fairtrade.net/impact_studies1.html

In piena crisiIl commercio equocresce

a cura di Fairtrade Italia

Si chiama Monitoring the scope and the benefits of Fairtrade ed è il report recentemente pubblicato da Fairtrade International (l’organiz-zazione internazionale responsabile dello sviluppo degli standard di

certificazione del commercio equo) sui benefici e l’impatto del circuito delcommercio equo Fairtrade per le organizzazioni di produttori dei Paesi in via

Le prospettive del settoremigliorano nonostante ledifficoltà dell’economiaglobale. E si tinge di rosaanche il futuro dellecomunità di produttori

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ENI CEDE ALLA CINA IL 20% DEI GIACIMENTI SCOPERTI IN MOZAMBICO

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altrevoci

ACQUA, BOMBA A OROLOGERIA CHE MINACCIA L’INDIA

In India, l’80% delle acque utilizzate finisce senza alcuntrattamento nei fiumi e nelle falde freatiche. Ovvero in quelle che costituiscono le principali fonti di approvvigionamento di acqua potabile per milioni dipersone nel Paese. A denunciarlo è uno studio pubblicatodalla Ong Centre for Science and Environment (Cse),secondo il quale le città indiane, in continua espansioneormai da molti anni, producono ogni giorno 40 miliardidi litri di acqua utilizzata a fini domestici o industriali. A consentire tale comportamento, sottolinea il Cse, sonoda un lato norme contraddittorie, dall’altro la mancanzadi sensibilizzazione della popolazione.Ma i problemi idrici per gli indiani sono anche dipesi dal cambiamento climatico: sono milioni le persone nellaregione occidentale di Maharashtra colpite dallapeggiore siccità degli ultimi 40 anni. Le riserve di acquapotabile hanno raggiunto livelli allarmanti, i capi di bestiame non riescono a sopravvivere, e vengonodistrutti i raccolti. Le autorità hanno disposto a febbraiola circolazione tra i villaggi più colpiti di 2 mila camion-cisterna. Ma i centri abitati in crisi sono ormai più di 10 mila: secondo l’agenzia Afp scarseggia anche il cibo,aumentano i casi di malattie legate alla disidratazione, e perfino gli ospedali rischiano la chiusura.

[A.BAR.]

PECHINO RESPIRA ITALIANO

Un pallido sole offuscato dallo smog nel cielo di Pechinoe la città avvolta da una densa cappa di quegli inquinantiche soffocano molte grandi aree urbane del colossocinese: queste immagini hanno fatto il giro del mondonegli ultimi mesi. E a gennaio 2013 l’inquinamentoatmosferico era tale che le autorità invitavano la popolazione di una decina di centri urbani a non uscire di casa per i livelli di polveri sottili. Se montano le proteste dei cittadini per le conseguenzeambientali di una crescita economica tanto violenta,il governo cinese ha deciso di correre ai ripari. Da un latoattivando strumenti di monitoraggio ambientale e pubblicando in tempo reale le rilevazioni di Pm 2,5registrate da 35 centraline nella capitale, dall’altroacquisendo nuova tecnologia per proteggere la salutedei cinesi. Anche l’Italia è coinvolta: il 13 marzo scorso è stato siglato un accordo di cooperazione tra la Commissione scientifica e tecnologica di Pechino e l’azienda bresciana Hsd Europe per la fornitura di 120mila filtri nasali Sanispira® al Ministero di Scienza e Tecnologia cinese. Una strategia “micro” per un problema “macro”, visto che i filtri non sono altro chedue piccoli coni che, introdotti nelle narici, proteggono in modo quasi invisibile, da smog, allergie e contagi.

[C.F.]

AI NO TEEM IL FONDO SOLIDALEDI ADESSO PASTA!

Più che una transazione economica è stata una festaquella che si è svolta a “Fa la Cosa Giusta!” tra i promotoridel progetto “Adesso Pasta!” e i rappresentanti del Distretto dell’economia solidale della Brianza(Desbri). Un’occasione per mostrare i risultati concretidi un’idea diversa di fare agricoltura. Motivodell’incontro: la consegna di un fondo di solidarietà di 3.513 euro, ottenuti grazie all’accordo di fornituracondiviso del grano che, da settembre 2010, coinvolge40 Gruppi d’acquisto solidale di tutta Italia e la cooperativa agricola biologica La Terra e il Cielo.L’accordo prevede l’applicazione di un prezzo giusto che i Gas pagano al produttore per avere un grano di altaqualità, remunerando al tempo stesso in modo equo il lavoro svolto (finora sono stati acquistati quasi 176mila euro di pasta). Nel patto è inoltre previsto che il 2%del valore degli acquisti effettuati (l’1% alimentato daiGas e l’altro 1% da La Terra e il Cielo) finisca in un fondodi solidarietà per progetti di sovranità alimentare.I promotori di “Adesso Pasta!” hanno deciso di contribuire,con la somma finora raccolta, alle spese legali delmovimento No Teem, impegnato in Tribunale e presso la Commissione europea contro la costruzione dellanuova Tangenziale Est esterna di Milano che, lungo il suopercorso, devasterebbe migliaia di ettari di suolo fertile.

[EM.IS.]

È stato firmato a Pechino da Paolo Scaroni, Amministratore delegato di Eni, e Zhou Jiping, suo pari ruolo di Petrochina Company Limited, società controllata da China National Petroleum Corporation (Cnpc), un accordo per la vendita da parte di Eni a Cnpc del 28,57% delle azioni della società Eni East Africa,titolare del 70% della partecipazione nell’Area 4, nell’offshore del Mozambico. Con questa operazione,Cnpc acquisisce indirettamente la partecipazione del 20% nell’Area 4, mentre Eni rimane proprietariadel 50%. Le rimanenti quote nell’area sono detenute da Empresa Nacional de Hidrocarbonetos de Mocambique (Enh, 10%), dalla coreana Kogas (10%) e dalla portoghese Galp Energia (10%). A largodelle coste africane, tra il 2011 e il 2012, l’Eni ha annunciato il ritrovamento di una serie di giacimenti“giant” di gas metano, valutati in grado di produrre potenzialmente 1.416 miliardi di metri cubi di gas.Il comunicato dell’Eni riporta che «il completamento della transazione è soggetto al verificarsi di alcunecondizioni di prassi tra le quali l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni da parte delle Autorità del Mozambico. Il completamento della transazione deve essere perfezionato». Il prezzo concordato è pari a 4.210 milioni di dollari.Contestualmente, Eni e Cnpc hanno firmato un accordo preliminare di cooperazione finalizzata allosviluppo dell’estrazione di shale gas nell’area denominata Rongchang, che si estende per circa 2.000chilometri quadrati nel Sichuan Basin, in Cina.

[PA.BAI.]

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| LASTNEWS |

L’ISLANDA NON È TENUTAAL RIMBORSO DEI RISPARMIATORI STRANIERI

CRESCE IL MERCATO DELLE ARMI. E LA CINA È SEMPRE PIÙ LEADER

Nel corso del quinquennio 2008-2012, le esportazioni di armi convenzionali nel mondo sono cresciute del 17%rispetto ai flussi registrati nei cinque anni precedenti. Un aumento sul quale ha avuto una forte influenza la clamorosa espansione delle vendite da parte dellaCina, le cui esportazioni sono aumentate del 162%rispetto al periodo 2003-2007. Lo segnala lo StockholmInternational Peace Research Institute (Sipri) nel suoultimo rapporto pubblicato a metà marzo. Il successodelle armi cinesi ha così permesso a Pechino di scalzare il Regno Unito dal quinto gradino della classifica globale e di entrare nella Top Five degli esportatori per la primavolta dalla conclusione della Guerra Fredda. In totale,l’export della Cina rappresenta il 5% del mercatomondiale, contro il 6% della Francia (4%) e il 7% dellaGermania, terza nella graduatoria. A dominare il mercatosono sempre gli Stati Uniti (30%) seguiti a ruota dallaRussia (26%). Nella classifica delle importazioni, dominal’India, con il 12% dell’import globale. Seguono Cina(6%), Pakistan (5%), Corea del Sud (5%) e Singapore(4%). Rispetto al quinquennio precedente le importazioni del Nord Africa sono cresciute del 350%. Gli acquisti del Vecchio Continente si sono invece ridotti del 20%.

[M.CAV.]

IRAQ, PER KBR UN AFFARE DA 40 MILIARDI

39,5 miliardi di dollari, praticamente 4 miliardi all’annodall’inizio della guerra ad oggi. È il “bottino” intascato in Iraq da Kbr, colosso dell’ingegneria di base a Houstonincorporato, fino al 2007, nella più nota Halliburton.Mentre ricorre il decimo anniversario dell’invasioneirachena da parte degli Stati Uniti, che pose fine al regime di Saddam Hussein, ma scatenò al tempostesso un’ondata di violenza tra le fazioni locali in lotta,ricorda il portale Usa International Business Times(IBTimes), l’azienda texana si conferma il contractor piùricco del maxi business dell’occupazione e dellaricostruzione irachena. Una vittoria per distacco davantialle kuwaitiane Agility Logistics e Kuwait Petroleum Corp(l’azienda di Stato del greggio), rispettivamente argentoe bronzo con un ricavo complessivo di 13,5 miliardi di dollari. In totale, la spesa pubblica statunitense per le operazioni appaltate ai privati in Iraq è costata ai contribuenti 138 miliardi di biglietti verdi. Secondouna recente analisi del Financial Times, a spartirsi metàdella torta (il 52% per la precisione) sarebbero stateappena 10 imprese. Nelle stime del Watson Institute for International Studies della Brown University, i costitotali del conflitto (che non includono i benefit per i veterani) ammontano a circa 1,7 trilioni di dollari.

[M.CAV.]

SOGNANDO LAS VEGAS A MANILA

Il governo delle Filippine punta forte sul gioco d’azzardocon l’obiettivo di incrementare il turismo e di creare nuoviintroiti per le casse dello Stato. Lo ha raccontatol’Economist, ripreso da Business Insider. Inaugurato nel mese scorso, il Solaire Manila rappresenta solo il primodella lista di quattro casinò che il governo avevaannunciato di voler aprire nello spazio di un quadriennio,un’operazione avviata negli anni passati grazie allosviluppo di trattative poco trasparenti che potrebbero averspalancato a pochi fortunati le porte di un businessmultimilionario. Le licenze, osserva infatti il settimanalebritannico, sarebbero state distribuite durante il penultimo mandato presidenziale, quello di GloriaMacapagal Arroyo, senza fare ricorso a un’astacompetitiva bensì tramite un procedimento tuttora pocochiaro che, si sospetta, avrebbe favorito un grupporistretto di alleati del capo del governo. Benigno Aquino III,l’attuale presidente, sembra intenzionato a procederesulla stessa linea nella speranza di permettere al suoPaese di fare concorrenza alle consolidate Las Vegasd’Oriente come Singapore e Macao. I casinò delle Filippine,ad oggi quasi tutti controllati dallo Stato, generano ricaviannuali per 1,4 miliardi di dollari che il Governo spera di innalzare a 5 o 7 entro il 2016.

[M.CAV.]

La Corte di giustizia dell’Efta – l’Associazione europea di libero scambio a cui aderiscono oltre ai Paesi Ue anche Islanda, Norvegia e Liechtenstein – esenta in modo definitivo il popoloislandese dal risarcimento dei risparmiatori stranieri che avevano investito nei conti Icesave,sfumati dopo il tracollo del 2008 di alcuni istituti di credito dell’isola. A garantire i rimborsi deidepositi restano i rispettivi Paesi, che hanno dovuto versare ai correntisti alcuni miliardi di euro.Nella sentenza si legge: «La Direttiva Ue sulla garanzia dei depositi non prevede l’obbligo per un Paese e le sue autorità di assicurare la compensazione se il sistema stesso di garanzie suidepositi non è in grado di ottemperare ai propri obblighi in caso di una crisi di sistema», avallandocosì la linea di difesa del governo islandese che sosteneva di non dover pagare le conseguenze di un crac bancario come quello del 2008, dovuto a una crisi finanziaria internazionale.La sentenza costituisce un importante precedente in Europa per quanto riguarda le garanzie dei depositi in caso di crisi, e si aggancia con la questione cipriota dove il 40 per cento circa dei 70 miliardi di depositi attuali è straniero. In definitiva, stabilisce che uno Stato non può esseresempre il garante ultimo al cento per cento. Anche se la sentenza non è vincolante per la giustiziaeuropea, gli esperti di Bruxelles stanno studiando le implicazioni che la decisione della Corte Eftapotrebbe comportare in futuro.

[PA.BAI.]

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Dai prolifici autori di Decoro Urbano e Italia 2013 nasce SeeJay, versione beta di un progetto di informazione che vuole aggregare i dati disponibili in Rete attraverso un monitoraggio di social network, siti di informazione e blog. Il servizio è attualmente attivo su invito (si compilaun piccolo form sulla homepage e arriva rapidamente una mail di istruzioni) e si offre comeausilio di comunicazione per siti internet, operatori dell’informazione, aziende e pubblicheamministrazioni. Più che il servizio, segnaliamo la logica cui si ispira: i dati sono già presenti,quello che occorre è organizzarli. Il dibattito si può aprire sulle forme di controllo e verifica.Propagare un’improbabile notizia in Rete non è impossibile. Mentre il controllo della veridicitànella carta stampata è da sempre affidato al singolo giornalista e alla reputazione della testatae la validità della notizia può al più soggiacere all’eco mediatico che procura (pur essendo vera,verosimile o totalmente infondata), in Rete il controllo è affidato a un pubblico potenziale di milioni di utenti-cittadini. Difficile raccontare che i supermercati di Atene sono oggetto di esproprio da parte dei cittadini affamati se uno, dieci o cento blogger spiegano dalla capitalegreca che la realtà che vedono e vivono è diversa. Il dato è sempre numerico, come accadevacon le vendite dei giornali, ma i ruoli sono cambiati: da utenti si è diventati attori e controllori.

BONIFICANDO FIUMI SACRI

1.556 milioni di dollari per avviare un progettocomplesso di bonifica delle acque sacre del Gange. Il governo indiano e la Banca Mondiale hanno annunciatoil provvedimento straordinario destinato ad analizzare e quindi bonificare gli oltre duemila chilometri che il fiume sacro percorre attraversando cinque regioniindiane. Il progetto prevede la formazione sul campo di personale destinato ai futuri monitoraggi e lo sviluppodi buone pratiche per riportare le coltivazioni su areeattualmente non utilizzabili a causa dell’inquinamentodelle acque. Pesano sulla situazione di degrado, ben più dei rituali sacri e delle cerimonie funebri svolte nellearee prospicienti le acque, gli scarichi industrialiincontrollati che hanno lentamente avvelenato il fiume,rendendo difficili persino le abluzioni sacre. Indicativo delle potenzialità della green economy e della sua progressiva penetrazione nel mercatofinanziario istituzionale, il finanziamento di un miliardodi dollari concesso dalla Banca Mondiale per il progetto.

IL TEMPO DURO DELLE BUGIE

Tempi duri per le bugie on line. Lo sviluppo della Rete e dei suoi utenti/artefici modifica assetti comunicativiradicati nel tempo. E il marketing insegue, con unacostante assenza di linee guida etiche. Gli ultimi in ordine cronologico a essere messi sulla graticolamediatica sono stati i candidati presidenti degli StatiUniti: in tempo quasi reale le loro affermazioni nei talkshow televisivi venivano analizzate da ricercatori e software automatici. Le promesse non mantenute e le accuse indimostrabili venivano rapidamentesmascherate. Lo chiamano fact checking. E sul fronteelettorale interno dire bugie per un candidato politicoUsa può essere più problematico che scatenare una guerra. Più difficile in Italia, finché ha gioco ed ecomediatica chi la spara più grossa.Sono nati Truth Teller, progetto del Washington Post,l’archivio Snopes e ora Blt, start up Usa dell’italianissimoFranco Salvetti che scova commenti commissionati sui social network, praticamente l’edizione rivista e aggiornata del tormentone dei “publiredazionali”, falsiarticoli altrettanto falsamente indipendenti pagati da aziende e società di comunicazione, ma presentaticome fossero notizie giornalistiche o commenti.

FINANZA EDUCATIVA E GAMING

Il gioco educativo che simula la crisi finanziaria grecaviene lanciato per una scommessa e riceve migliaia di ordini sul web; i corsi di formazione per capire cosa sia la finanza; i siti in cui investire virtualmente percomprendere le proprie attitudini al rischio e all’investimento (economie etiche incluse, anche se l’approccio è più simile al gioco d’azzardo) che ancheBorsa di Milano ha messo on line. La finanza non è piùuna sconosciuta e, anche se ormai “spread” è una paroladi uso comune, il livello medio di conoscenze sul temaresta piuttosto imperscrutabile. Nato in ambito nonprofit, il progetto Financial Entertainment negli Usavuole avvicinare il grande pubblico ai temi della finanza e insegnare a utilizzare correttamente carte di credito, a basarsi sul budget effettivamente disponibile e a gestire correttamente le tasse. Il target cui si rivolgesono perlopiù i ragazzini, perché non ripetano gli erroridei genitori, finiti travolti dalle periodiche crisi. Il progetto è basato su una serie di videogames che possono essere richiesti da scuole e organizzazioni per diffonderli ai loro associati.

SEEJAY, IL SITO CHE AGGREGA

| FUTURE |

a cura di Francesco Carcano | per segnalazioni scrivete a [email protected]

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| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 69 |

| TERRAFUTURA |

IL SALONE DEL MOBILE NON DIMENTICA LA SOSTENIBILITÀ

LA PESCA È “SLOW” AL PORTO DI GENOVA

“Il mare è di tutti”: è questo il tema della sesta edizionedi Slow Fish, che animerà il porto antico di Genova dal 9 al 12 maggio. A organizzare la manifestazione,dedicata al mondo del mare e degli ecosistemi acquatici,sono Slow Food e la Regione Liguria, in collaborazionecol ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Una kermesse del genere non può cheprevedere un grande mercato ittico: ma la suaparticolarità è che gli espositori si sono impegnati a non vendere tonno rosso, pesce spada, squalo e salmone, specie che sono a rischio di estinzione. E tra le bancarelle si potranno conoscere i Presìdi del mare, vale a dire le storie di chi ha scelto di portareavanti una pesca responsabile e rispettosa dellabiodiversità e dell’ambiente. Non mancheranno inoltre i percorsi didattici, le degustazioni guidate da chef di fama internazionale, i Laboratori dell’acqua e le Cucine di strada dedicate alle specialitàgastronomiche locali.www.slowfood.it/slowfish

LA RISPOSTA AL DISAGIO SOCIALEÈ LA CREATIVITÀ

Chi vive a Trieste avrà di sicuro fatto l’abitudine a vederedi tanto in tanto, abbandonati nei cestini o agli angolidelle strade, gli ombrelli che non hanno retto alla bora.Ma c’è chi dopo la pioggia li va a recuperare persmontarli e trasformarli in frisbee, aquiloni, mantellineper cani, borse per la spesa. Si tratta di Lister, una cooperativa sociale che impiega soprattutto personeche provengono dall’area del disagio mentale, del recupero dalla tossicodipendenza e della marginalitàsociale. Persone che non solo ottengono un’opportunitàlavorativa, ma hanno anche modo di sviluppare le loroabilità espressive. La creatività, infatti, non si ferma agli ombrelli: «Ricicliamo di tutto: le cravatte ad esempiodiventano segnalibri, portaocchiali o trousse – spiega il responsabile, Pino Rosati – mentre i vestiti usatiservono per costruire borse e accessori». I Listerjeanssono uno dei pezzi forti: con il denim si confezionanocappotti e borsoni oppure si rivestono divani e cuscini.«Riceviamo talmente tanti capi usati – racconta Pino –che da tempo non abbiamo bisogno di acquistare nulla,salvo ago e filo».www.listersartoriasociale.it

A TRANI I TARALLI LI SFORNANO I DETENUTI

Nella casa circondariale di Trani ormai da una decinad’anni a preparare i pasti è un gruppo di detenuti. A seguirli e formarli è la cooperativa Campo dei Miracoli,che dal 2007 ha deciso che il loro lavoro era ormaimaturo per uscire dalle mura della struttura. Da allora, quindi, nella cucina del carcere si confezionanoanche le specialità pugliesi per eccellenza, i taralli. «I primi ad acquistarli – racconta il presidente dellacooperativa Salvatore Loglisci – sono stati gli agenti di polizia penitenziaria, che sanno che usiamo soloingredienti di qualità». In seguito i taralli hanno attiratol’attenzione di Ipercoop e del circuito equo e solidale di Ctm altromercato. I detenuti, assicura Loglisci, sono assunti col contratto collettivo delle cooperativesociali che prevede ferie, contributi e tutte le tutele del caso. Ma, una volta terminata la pena, la loro stradaspesso non è facile: «Nonostante le loro competenze e la loro voglia di cambiare vita, a volte faticano a trovaresbocchi lavorativi adeguati perché si trovano a fare i conti con un periodo economicamente difficile per tutti, ma anche con i pregiudizi nei confronti di chi ha vissuto un periodo di detenzione»[email protected]

a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a [email protected]

Quella dal 9 al 14 aprile a Milano è la settimana del Salone del Mobile, un contenitore di eventi di respiro internazionale in cui, a partire dallo scorso anno, anche la sostenibilità è riuscita a ricavarsi uno spazio. Merito di Best Up, associazione per la promozionedell’abitare sostenibile, e di Cascina Cuccagna, l’innovativo progetto di recupero di unacascina agricola nel cuore della metropoli lombarda. È proprio la Cascina a ospitare gli eventie le esposizioni che rientrano nella cornice di Goodesign, il cui filo conduttore è “Lavorarebene abitare meglio”: un lavoro che rispetta e valorizza le persone, i luoghi e le culture – spiegano gli organizzatori – è strettamente collegato a una vita improntata alla giustizia,alla coesione sociale e al rispetto dell’ambiente. Fra le tante proposte, l’installazione “Who’s out is out / Who’s in is in” a forma di gabbia, in cui gli autori terranno alcuneperformance legate all’arte, al design, alla musica e al cibo, promuovendo i principidell’autoproduzione. O ancora il lavoro degli architetti Giulio e Valerio Vinaccia, impegnati da anni nel Sud del mondo.www.bestup.it

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| 70 | valori | ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 |

| NARRATIVA |

LA VITA TI IMPONE SEMPRE UNA SCELTA

a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a [email protected]

UN SEGRETO DI STATO CHE DURA DA 33 ANNI

Graziella De Palo e Italo Toni erano due giornalisti rapiti e uccisi a Beirut in Libano nel settembre del 1980mentre facevano un’inchiesta sul traffico d’armi e i rapporti tra l’Organizzazione per la liberazione dellaPalestina (Olp), i vertici dei servizi segreti italiani e alcune industrie della guerra. Di questa storia non se ne parla mai, troppo scomoda per le pesantiresponsabilità di alcuni apparati dello Stato. Solo il primo marzo del 2010 è stata data la possibilità ai famigliari di consultare alcuni documenti nella sededell’Aise (ex Sismi) senza poterne fare copia a tutela deirapporti internazionali con l’Olp. Un “intrigo silenzioso” a cui ha dato voce Nicola De Palo, cugino di Graziella, conun libro coraggioso che ripercorre tutte le tappe di unavicenda molto complessa e difficile da ricostruire a causa le numerose omissioni di Stato. Ci sono, infatti,ancora 80 documenti rimasti secretati, decisivi percapire delle responsabilità politiche e morali a montedella morte dei due giornalisti. Una storia inquietantedove convergono altre oscure vicende, dalla P2 fino allastrage di Bologna, che racchiudono “lo spirito grigiodell’Italia degli anni Settanta e Ottanta”.

Nicola De PaloOmicidio di Stato

Armando Curcio Editore, 2012

LA VERITÀ DI AGCASULL’ATTENTATO AL PAPA

Ali Agca, l’uomo che il 13 maggio del 1981 attentò allavita di Papa Karol Wojtyla, racconta in prima personaquella vicenda, svelando i reåtroscena di una vita segnata dal fanatismo islamico. Questo libro si legge come un tragico romanzo, dall’odio che contraddistinguevail piccolo Ali nel povero villaggio turco di Yesiltepe finoall’ingresso nella setta dei Lupi grigi, passando per gliaddestramenti militari nell’Iran degli Ayatollah da cui,secondo Agca, arriverà l’ordine di attentare alla vita del Papa. Prima di giungere all’appuntamento finale di Piazza San Pietro, Agca fa tappa a Sofia, assistito dalla rete europea dei Lupi grigi nei vari passaggi da Belgrado a Parigi, da Zurigo a Roma dove visiterà i musei vaticani, mentre l’arma per l’attentato gli verràconsegnata alla Stazione centrale di Milano. Agcaracconta nel dettaglio anche l’incontro con il ponteficeavvenuto due anni dopo l’attentato nel carcere romanodi Rebibbia. A Wojtyla, in cambio della promessa delsilenzio, svelerà i mandanti dell’attentato e racconteràuna storia dove rispunta il terzo segreto di Fatima.

Ali AgcaMi avevano promesso il paradiso

Chiarelettere, 2013

DUE PERSONAGGI DA FIABAPER RACCONTARE LA REALTÀ

“Che cos’è la felicità? Tra le tante risposte che l’uomo si è dato, senza arrivare mai al centro del problema, valela pena prendere in considerazione anche quella cheespongono due esseri che la sanno lunga proprio perchécontano poco o nulla”. Inizia così l’introduzione al libro“Alfred e Jack”, scritta da Federico Roncoroni, figura di riferimento per il mondo della lingua, della letteraturaitaliana e della didattica, saggista, studioso di poeti e scrittori dell’Ottocento e del Novecento. I due esseriche la sanno lunga sono Alfred e Jack, da cui ha origine il titolo. Si tratta di uno spaventapasseri e un pupazzo di neve, che si danno il cambio su un campo di granoturco, l’uno d’estate e l’altro d’inverno. Non si incontreranno mai lungo tutta la narrazione, ma hannoun amico in comune: un corvo chiamato Vox, vocenarrante del racconto. Sarà lui che, scrive Roncoroni:“Porterà ciascuno dei due amici alla consapevolezza di sé e all’accettazione del proprio destino e li guiderà,con tecnica maieutica, a scoprire cos’è la felicità e,soprattutto, come e perché ognuno ha una sua forma di felicità”. Una storia delicata, con un tocco poetico e la capacità di andare fino in fondo all’anima, dei suoiprotagonisti e di chi legge. Insieme al libro c’è anche un cd con letture interpretate del romanzo.

Lucia Valcepina, Lux BradaniniAlfred e Jack

Fabbrica dei Segni editore, 2012

Paolo GrugniLa geografia delle piogge

Laurana Editore, 2012

Paolo Grugni con “La geografia delle piogge” si conferma uno scrittore di rango. La storia che racconta fa riflettere su un grande tema della vita: la ricerca di senso. Mauro Casagrande, ex giornalista d’inchiesta del Corriere della Sera, quel senso lo ha smarrito insieme alle tante veritàche il sistema nasconde. A riportarlo nella realtà ci pensa Federica, la sua fidanzata, avvocatopenalista che si deve occupare di un caso di infanticidio. L’imputata però rifiuta la difesa e chiedesolo di leggere una lettera in udienza, affidata alla penna di Casagrande che nel frattempo campavendendo libri in rete in società con Stefano, amico bibliotecario in perenne crisi matrimoniale. L’ex giornalista scopre inoltre che il bar dello zio Nino a Paderno Dugnano è taglieggiato dalla’ndrangheta e lo convince a denunciare gli estorsori. Il protagonista capisce così che, fuori o dentroil sistema, la vita ti chiede sempre di scegliere. E poi c’è la vita vissuta dai libri con le speranze e le delusioni condensate nelle dediche che l’autore inserisce nella storia. Un vero colpo da maestro.

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| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 71 |

| ECONOMIAEFINANZA |

a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a [email protected]

LA NUOVA ERA SI CHIAMA CAPITALESIMO

Il titolo è la sintesi tra capitalismo e feudalesimo e sta a indicare non la fine di un sistema ma la suatrasformazione, proprio come è accaduto conl’affermazione del feudalesimo dopo il declino del mondo antico. Il “capitalesimo” si presenta dunquecome un sistema radicato e capillare di controlloassoluto su un territorio frammentato. Il potere dellafinanza è esercitato dai feudatari, vassalli e valvassori,marchesi e baroni, a discapito della massa sempre piùsterminata di poveri. L’economia reale è in grado di generare una ricchezza pari a circa 70 mila miliardi di dollari, ma l’ingegneria finanziaria ha creato un valorevirtuale di scambi che vale trenta volte tanto. Il mondo poggia su un piedistallo di carta,una contraffazione che è ormai strutturale e causaprincipale della trasformazione del capitalismo. Le regole tanto invocate non sono mai arrivate perl’inerzia della politica che ha lasciato ai feudatari la gestione e la difesa di questo sistema. E i nuovi baroni,grazie ai mezzi economici e alle conoscenze, continuanoa trarne grandi vantaggi.

Paolo GilaCapitalesimo

Bollati Boringhieri, 2013

SOLDI E BELLEZZA UNA STORIA TUTTA ITALIANA

“Il cambiavalute e sua moglie” di Quentin Massys in copertina è l’immagine perfetta per rappresentare un argomento come quello dei soldi. Già inserito nellamostra di Palazzo Strozzi “Denaro e bellezza” (2012),questo quadro racchiude una storia che ha nell’Italia, da Lucca a Siena e da Firenze a Venezia, lo scenarioprincipale. È in queste città infatti che nascono le primebanche, società di assicurazione, assegni e obbligazioni.Le banche risolvono il problema del trasferimento di denaro da un paese all’altro con l’invenzione dellalettera di cambio consentendo ai commercianti di riscuotere una somma di danaro senza che la monetavenga fisicamente spostata. Le monete italiane (fiorini e ducati) dominano per secoli i commerci mondiali sia per la fiducia di cui godono sia per il pregio artistico del conio. Il viaggio nei soldi è costellato di personaggigeniali e intraprendenti: dal matematico Fibonacci, cheper primo introduce in Occidente lo zero, a Luca Pacioli,che diffonde gli strumenti della contabilità utilizzatiancora ai nostri giorni, fino a John Law, lo scozzese che dà vita alla prima bolla finanziaria della storia, quelladella Compagnia del Mississippi.

Alessandro Marzio Magno L'invenzione dei soldi. Quando la finanza parlava italiano

Garzanti, 2013

L’AVIDITÀ NON PORTA VANTAGGI A NESSUNO

La conseguenza principale dell’aver sostituito la competizione e la rivalità alla cooperazioneamichevole, alla fiducia, al rispetto e alla condivisione, è che la disuguaglianza nel mondo è aumentataesponenzialmente. I poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Questa situazione non è peròimmutabile. Si ha la guerra solo se la si sceglie, ma la società può optare anche per la pace, così comepuò scegliere la cooperazione anziché la rivalità. Il problema è che il mondo nel nuovo millennio non ha preso la via della solidarietà e cooperazione,rendendo queste ultime opzioni impopolari e oneroseanche per chi è animato da nobili intenzioni, perciò le persone si convincono che questo sistema sia l’ordinenaturale delle cose. Bauman sottopone le convinzioni(false) dell’uomo medio, come ad esempio l’inevitabiledisuguaglianza tra le persone, alla verifica della realtà.Nell’avidità non c’è vantaggio, eppure abbiamo credutoche l’arricchimento di pochi fosse l’unica via per il benessere di tutti.

Zygmunt BaumanLa ricchezza di pochi avvantaggia tutti. Falso!

Laterza, 2013

Joseph E. StiglitzIl prezzo delladisuguaglianza

Einaudi, 2013

Sono anni che il premio Nobel Joseph Stiglitz lo va dicendo: la disuguaglianza del reddito negli Usa ha raggiunto livelli insostenibili. Prima della crisi finanziaria l’1 per cento dei cittadini si è accaparrato oltre il 65 per cento dei guadagni del reddito nazionale totale e anche se il prodotto interno lordo (Pil) cresceva, la gran parte dei cittadini non solo non ne aveva benefici ma vedeva erodere ulteriormente il proprio tenore di vita. Nel 2010 l’1 per centoguadagnava il 93 per cento del reddito aggiuntivo creato nella cosiddetta “ripresa”, godendo dei migliori servizi e senza preoccuparsi del fatto che quel destino privilegiato era strettamentecollegato al restante 99 per cento che faticava a tirare avanti. Una situazione assecondatadall’azione dei mercati e dalle sterili manovre politiche. Stiglitz, partendo dalla sua autorevolevisione economica, lancia un appello all’America affinché ritorni agli ideali economici e politici che l’hanno resa un grande Paese, il luogo delle opportunità capace di rispondere alle aspettativedei suoi cittadini.

LA RIPRESA NON DISTRIBUISCE LA RICCHEZZA

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| ANNO 13 N. 108 | APRILE 2013 | valori | 73 |

| bancor |

compiuto, più di quanto fecero i Grecinella poesia, l’arte e la filosofia o i Ro-mani nel diritto”. In quegli anni l’Italiasoffriva gli orrori della guerra e la finedi un regime sciagurato, quello di Mus-solini, cui Croce aveva in origine guar-dato con speranza e al quale, da sena-tore, diede anche un voto di fiducia,nonostante l’orrore dell’eccidio Mat-teotti avesse innescato in lui un profon-do turbamento che lo portò, di lì a poco,a interrompere lo storico sodalizio conGiovanni Gentile. La sua fu una fiducia“condizionata”, per il bene dell’Italia, pertenere il Duce sostanzialmente prigio-niero di se stesso: l’auspicio era che Mus-solini se ne andasse, ma senza scosse, almomento opportuno, giacché la suapermanenza al potere era condizionataal beneplacito dei liberali.

A distanza di quasi un secolo, l’Italia,che esce dal ventennio berlusconiano eda quasi un decennio di crisi economi-ca, attraversa simili travagli, non aven-do espresso nelle urne nessuna ipotesidi governo stabile: anzi, più della metàdei nostri concittadini ha manifestato ilproprio disgusto per il sistema politicoo con l’astensione o con il sostegno almovimento di Beppe Grillo, il cui veroscopo, ancor prima della governabilità,è la cancellazione dei partiti, di tutti ipartiti, e di quello che hanno rappre-

sentato nell’ultimo ventennio. Il fascinodi un siffatto messaggio, dove la nauseaper la corruzione e il malaffare preval-gono sul tatticismo politico, potrebbeaddirittura risultare vincente qualora,con qualsiasi sistema elettorale, si tor-nasse al voto appena dopo il disbrigodel tipico ingorgo istituzionale di iniziolegislatura, nel quale i partiti appariran-no al solito come quelli che si spartisco-no poltrone e privilegi e gli “amici” delcomico genovese, senza auto blu e conun reddito netto poco più che popolare,come gli unici interpreti di una nuovamorale indispensabile alla gestione del-la cosa pubblica.

A quel punto, con lo spread verosi-milmente di nuovo alle stelle, saranno ipochi esponenti rimasti dei partiti tradi-

zionali a dover dare una fiducia, magaricondizionata, a un governo monocoloredei Cinque stelle che, di lì in avanti, saràchiamato a governare e legiferare. Nonsolo su finanziamento ai partiti o bandalarga, ma anche e soprattutto su comegestire ogni anno mille miliardi di spesapubblica e di relativo gettito fiscale; o sucome rifinanziare i duemila miliardi didebito pubblico; o ancora su come af-frontare i rapporti internazionali, daiconflitti “biblici” che affliggono il MedioOriente alla corsa all’armamento da par-te di Iran e Corea del Nord, dagli scambiglobali delle merci alla guerra delle valu-te, dalla riforma dei mercati dei capitalialla vigilanza sul settore bancario.

Tutti crediamo che Grillo abbia avu-to più di una ragione nel denunciare ildegrado del nostro sistema politico;molti pensano sia nell’interesse del Pae-se – e anche nel suo – convergere versouna fiducia, condizionata sì, ma co-struttiva, a un governo riformista. Mol-ti vedono invece nella sua intransigen-za l’unica speranza per riuscire in Italialì dove altri movimenti, come quelli de-gli indignados o di Occupy Wall Street,hanno oggettivamente fallito. Da partemia, spererei nella prima soluzione, matemo che tra le letture di Grillo ci sia po-co Benedetto Croce e tanto altro.

[email protected]

Politica (e storia)Perché non possiamonon dirci “grillini”

dal cuore della City Luca Martino

Considerato il fondatore del liberalismo italiano, esponente tra i più illustri dell’idealismo e dello storicismo, Benedetto Croce scrisse inetà avanzata un breve saggio dal titolo “Perché non possiamo non

dirci cristiani”, nel quale il filosofo laico e agnostico riconosceva al Cristiane-simo di aver rappresentato “la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai

Il M5S è a un bivio: o unafiducia condizionata a ungoverno o l’intransigenza

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I cittadini si ribellanoOre contateper i superbonus

diMauro Meggiolaro

| resistenze | Donne e uomini, imprese che si indignano, protestano, resistono alla crisi

Il Financial Times ha un inserto che si chiama how to spend it (comespenderlo, il denaro). Pagine e pagine di consigli su come liberarsi dal-la liquidità in eccesso: ville in Toscana, vini pregiati francesi, orologi

tempestati di diamanti, centri benessere esclusivi e borse in pelle umana.Un vademecum mensile per i supermanager che incassano superbonus efanno sballare il coefficiente di Gini (che misura la diseguaglianza nelladistribuzione del reddito). I comuni mortali, che spesso fanno fatica amettere insieme il pranzo con la cena, giustamente si incazzano. E spessoottengono importanti risultati. In Svizzera il 3 marzo scorso il 68% dei cit-tadini ha votato a favore di un’iniziativa per frenare le remunerazioni deitop manager delle imprese quotate. “Iniziativa popolare contro le retri-buzioni abusive”, l’hanno chiamata senza mezzi termini. A far traboccare il vaso è stata la buonuscita dell’amministratore dele-

gato di Novartis (settore farmaceutico) Daniel Vasella: 60 milioni di euroin comode rate da 10 milioni all’anno. Vasella ora ha dichiarato che ri-nuncerà alla liquidazione che, dice, avrebbe comunque devoluto in be-neficenza. Intanto, grazie al risultato del referendum, le società quotatein Svizzera dovranno sottoporre al voto vincolante degli azionisti i pianidi remunerazione dei manager e non potranno più pagare buonuscite. Sul tema si sta muovendo anche l’Unione europea. A Bruxelles la

stragrande maggioranza dei membri dell’Ue si è dichiarata disponibi-le a sottoscrivere un accordo politico per ridurre le paghe dei mana-ger. In Olanda il governo ha già imposto un tetto ai bonus nel 2010 e sista muovendo per limitare i bonus al 20% della remunerazione di ba-se. Anche in Gran Bretagna si stanno approvando norme per dare agliazionisti un voto vincolante sulle paghe dei manager. In Italia, a partire dalla stagione assembleare 2012, gli azionisti pos-

sono esprimere un voto consultivo sui piani di remunerazione dei ma-nager delle società quotate. Per ora, a parte pochi casi (come quello del-la Fondazione Culturale Responsabilità Etica con Eni ed Enel), i piccoliazionisti non hanno approfittato di questa possibilità. In assemblea sipresentano quattro gatti e i grandi fondi pensione di emanazione sinda-cale come Cometa (metalmeccanici) o Fonchim (chimici) stanno a guar-dare. Nel frattempo Alessandro Profumo esce da Unicredit con 40 mi-lioni di euro di liquidazione. Qualcuno ha abbaiato, certo, ma chi avrebbedovuto parlare ha taciuto. In Svizzera, come minimo, avrebbero indettoun referendum.

Per inviare commenti e proposte: http://zoes.it/meggiomaurotwitter: @meggio_mFacebook: https://www.facebook.com/pages/Mauro-Meggiolaro/115383048506446

Fatti La fuga di notizia sulla buonuscita di Daniel Vasella, Ceo del colossofarmaceutico Novartis, ha fatto scoppiare l’indignazione dei cittadinisvizzeri, che hanno presentato una proposta per un referendum contro le superpaghe dei manager. La proposta è stata accolta e il referendum,che si è tenuto il 3 marzo 2013, ha visto la vittoria schiacciante (68%) del “Sì” in tutti i cantoni. Il risultato del referendum porterà a una serie di limitazioni per le superpaghe dei manager.

Storia Il tema delle superpaghe dei manager ha fatto breccia in Svizzerasoprattutto grazie a enti come Ethos, fondazione per lo svilupposostenibile con sede a Ginevra. Dal 2005 Ethos si presenta come azionistacritico alle assemblee delle imprese quotate svizzere per conto dei grandifondi pensione pubblici e chiede che le società sottopongano al votoconsultivo degli azionisti i piani di remunerazione. Ora, grazie al referendum, il voto sarà vincolante e varrà per tutte le società quotate.

Numeri In Svizzera hanno sede alcune tra le più grandi multinazionali dellaterra come Novartis, Nestlé, Roche, oltre alle grandi banche UBS e CreditSuisse. I loro manager sono tra i più pagati al mondo. Pur essendo solomarginalmente toccati dall’attuale crisi, i cittadini svizzeri hanno votato in grande maggioranza per essere ascoltati come azionisti in assembleasulle paghe dei supermanager. “La relazione degli svizzeri con gli ultra-ricchi” sta per cambiare, ha scritto il Financial Times. “La cultura svizzeratrova disdicevole l’ostentazione della ricchezza”.

Abzockerinitiative

La copertina di febbraio 2013dell’inserto how to spend itdel Financial Times

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