l'Artugna 128 - Marzo 2013

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Anno XLII · Marzo 2013 · Numero 128 Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.

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Periodico della Comunità di Dardago, Budoia, Santa Lucia

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Anno XLII · Marzo 2013 · Numero 128 Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa LuciaSpe

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ercoledì 13 marzo intorno alle20 il tanto atteso annuncio. Gra-zie ai moderni mezzi di comuni-cazione, il mondo intero sta colfiato sospeso in attesa. In unapiazza San Pietro e via della Con-ciliazione gremite fino all’inverosi-mile, sotto la pioggia battente, siaspettava il fatidico annuncio do-po la cara, vecchia e bianca fu-mata. Chi sarà il nuovo Papa che115 cardinali hanno votato nel se-greto della Cappella Sistina? I va-ticanisti avevano tutto previsto:un ballottaggio sicuro tra l’italianoScola, arcivescovo di Milano eScherer, arcivescovo di San Pao-lo del Brasile. I book makers ac-cettavano scommesse su una ro-sa di 6 nomi (tra i quali non c’eraassolutamente Bergoglio) e poitutti che avevano attese e previ-sioni: ci vuole un giovane come ilfilippino Tagle per svecchiare ilmes saggio della Chiesa e portar-lo ai giovani, ci vuole uno tra isessanta e i settant’anni che co-nosca i meccanismi della CuriaRomana per fare una grande rifor-ma della Chiesa. Ci vuole un su-damericano o comunque un nonitaliano e non europeo per portareun’aria diversa nella Chiesa. Civuole un papa nero anche per darla licenza di profeti ai «Pitura Fre-sca». Non può comunque essereil cardinal Bergoglio per due moti-vi che assolutamente rendonoimpossibile la sua elezione: per-ché è stato il cardinal perdentenel precedente conclave dove sitrovava in competizione con Rat-zinger e perché ormai settantase-ienne è troppo in là con gli anniper avere l’energia necessaria peraffrontare le sfide che il nostrotempo pone alla Chiesa. Lo Spiri-to Santo, intanto, che è il veroelettore nel Conclave, se la ridevaascoltando tutti questi pronosticie aveva già deciso quale sarebbestato l’uomo che avrebbe dovutoguidare la Chiesa in questo tem-po di nuova evangelizzazione e diriforma non tanto delle struttureesterne (occorre anche quella)

All’interno della ristrutturata ex latteria di Budoia,trovano posto il Museo e la Mostra permanente sullastoria delle tre latterie del Comune che tanta importanzaebbero per la crescita economica e sociale dei nostripaesi nel secolo scorso.l’Artugna è stata incaricata dall’AmministrazioneComunale di curarne la realizzazione. È stato un lavorodifficile ma entusiasmante. Risalire alle origini di questerealtà analizzando la documentazione esistente ci hapermesso di fissare la memoria di un fenomeno unicodal punto di vista economico, sociale e culturale.La mostra, che verrà inaugurata prossimamente, sisviluppa su una ventina di pannelli. Nell’atrio, cinquesono dedicati all’analisi economica della nostra zonaall’inizio del XX secolo e alla spiegazione del processodi lavorazione del latte, nel casello sociale.L’esposizione prosegue nell’ampia sala, già stanzaper la trasformazione del latte. In una gigantografia aintera parete delle montagne budoiesi, si staglia lasequenza di vette interrotta dall’ampia Val Granda.Fra il verde dei boschi sono incastonati i pannelli chericostruiscono la storia delle tre Latterie Sociali. Completano lo spazio museale oggetti di culturamateriale esposti nella sala. Nella loro sede originariasono collocate le tre caldaie di rame che servonoper la dimostrazione didattica sulla lavorazione del lattefresco, proposta a scolaresche dallo stesso gestore,il Cansiglio Centro Caseario Allevatori, produttoredi latte da agricoltura biologica, che ha installatoil Bar Bianco negli ex locali della salatura e dellaconservazione del formaggio.

* * *

Le informazioni raccolte e quelle che riusciremo areperire (chi è in possesso di materiale puòcontattarci) ci daranno la possibilità di realizzareun volume per ricordare e non perdere la memoria diquesta importante storia di uomini e di cooperazioneche tanto può insegnare anche agli uomini di oggie di domani.

una storia

e di cooperazione

l’editoriale[ ]di Vittorina Carlon, Vittorio Janna e Roberto Zambon

M

di uomini

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la letteraPlevàndi don Maurizio Busetti

del

ma soprattutto della vita dei cri-stiani, chiamati a portare il mes-saggio di Cristo senza pesanti so-vrapposizioni, all’uomo d’oggi.Ed ecco il nome che si sceglie ilnuovo Papa: Francesco. NessunPapa aveva mai osato tanto. Si sache nei Papi «nomen, omen» ilnome è un programma, in questocaso un programma di Pontifica-to. Francesco il patriarca dei po-veri. Colui che si spoglia di tutti isuoi beni di fronte al vescovo diAssisi e sposa madonna Povertà.Il vero costruttore di pace: «Pacee Bene» sarà il motto suo e deisuoi seguaci. Colui che andrà dapapa Innocenzo III per mettersi aservizio della riforma della Chiesanon con programmi eclatanti, noncon linguaggio oltraggioso versonessuno non, come diciamo dallenostre parti, con muso duro e ba-reta fracada. Incomincia la riformada se stesso con uno stile sempli-ce, vivendo in povertà, annun-ciando la pace, predicando il Van-gelo «sine glossa» (senza una suainterpretazione o commento) macosì come sta scritto, rifiutandoperfino di fare dei suoi seguaci unOrdine religioso strutturato. L’Or-dine dei francescani verrà creatoin seguito dal suo grande succes-sore san Bonaventura. PapaFrancesco ha già cominciato a

lanciare segnali in questo sensofin dai primi istanti della sua ele-zione, rifiutando insegne, vesti-menti e mezzi Pontificali.Scegliendo una semplicità di ap -proccio con le persone: semplici-tà non affettata, studiata per l’oc-casione o per ricevere consensied applausi. Una semplicità che èstata la sua scelta di vita comesacerdote e vescovo in Argentina.Questo la gente lo ha capito subi-to e ha già cominciato a sentirlo ead amarlo come il suo Papa. Si èpresentato non come SommoPontefice della Chiesa Universalema come Vescovo di Roma. Èl’insegnamento del Concilio Ecu-menico Vaticano II: il Papa presie-de alla carità di tutte le Chiese inquanto è vescovo di Roma, la se-de vescovile dell’apostolo Pietro.Papa Francesco parlando il gior-no dopo la sua elezione ai cardi-nali ha detto che il discepolo diCristo non può fuggire dalla cro-ce. Gesù ha portato la croce. An-che per papa Francesco, dopo itripudi della sua elezione e del-l’inizio solenne del suo ministeropetrino arriva la croce. Il nemicodell’uomo ha già escogitato la ca-lunnia per gettare ombre oscuresul nuovo Papa. Durante il gover-no sanguinario di Jorge Rafael Vi-dela in Argentina, alla fine degli

anni ’70, l’allora padre provincialedei gesuiti, P. Jorge Mario Bergo-glio non avrebbe difeso dei pretisuoi confratelli perseguitati e tor-turati dal regime. Accuse infonda-te e false dicono anche AmnestyInternational e molte testimonian-ze, compresa quella del prete su-perstite di quella triste vicenda.Altre croci si faranno avanti per ilPapa soprattutto quando vorràimprimere il suo stile francescanoal papato. Non tutti lo capiranno,lo accetteranno e condividerannole sue scelte. Stiamo vivendo igiorni della Pasqua. Pasqua per ilcristiano è il passaggio. Passag-gio dalla morte alla vita, dall’im-pero del male alla luce del Som-mo Bene.Questo passaggio avviene attra-verso la Croce, segno della no-stra salvezza. Viviamo questi gior-ni, celebrando fruttuosamente laPasqua nella nostra vita, lascian-doci inondare dalla luce del CristoRisorto che vince le nostre tene-bre facendoci sperimentare lagioia e la pace del suo regnod’amore. Preghiamo anche per ilPapa che il Signore lo accompa-gni nel suo ministero al serviziodella Chiesa e per il bene del-l’umanità.

Buona Pasqua a tutti.

Habemus Papam: Georgium Marium Bergoglio

Franciscumqui sibi nomen imposuit

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la ruota della vita

[]

IMPORTANTE

Per ragioni legate alla normativasulla privacy, non è più possibile averedagli uffici comunali i dati relativial movimento demografico del comune(nati, morti, matrimoni).Pertanto, i nominativi che appaionosu questa rubrica sono solo quelliche ci sono stati comunicatidagli interessati o da loro parenti,oppure di cui siamo venutia conoscenza pubblicamente.Naturalmente l’elenco sarà incompleto.Ci scusiamo con i lettori.

Chi desidera usufruire di questa rubricaè invitato a comunicare i dati almeno ventigiorni prima dell’uscita del periodico.

NASCITEBenvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di...

Leonardo Zambon di Romano e Uhi – LondraElisa Furlani di Roberto e Mariarita Del Maschio – TriesteSilvia Vago di Fabrizio e Francesca Cancian – BudoiaElio Moretton di Andrea e Claudia De Silvestri – DardagoAzzurra Zambon di Michele e Deborah Ungaratto – DardagoFilippo Edoardo Quaia di Lorenzo e Marina Castelli – DardagoMassimo Miori di Riccardo e Tania Busetti – Riva del GardaFrancesca Zambon di Fabio e Maria Amelia Da Vitoria – DardagoAnnalisa Bernardis di Walter e Genny Baldassin – BudoiaVictoria Zambon di Fulvio e Morena Visentin – AvianoMattia Zambon di Massimiliano e Vera Disarò – Dardago

MATRIMONIFelicitazioni a...

Claudio Feller e Serena Chiesa – Besenello (Trento)

40° di matrimonio

Pietro Ianna e Rita Sandrin – Dardago

Nozze d’oro

Raoul (Mario) Tizianel e Teresa Busetti – Dardago

Nozze di diamante

Francesco Lacchin e Ermellina Signora – Gloucester (Inghilterra)

LAUREE, DIPLOMIComplimenti!

Laurea

Alida Cimarosti – Laurea in Amministrazione e Controllo, Direzione d’Impresa – Udine

DEFUNTIRiposano nella pace di Cristo.Condoglianze ai famigliari di…

Angela Bastianello di anni 91 – VeneziaLicia Bastianello di anni 90 – DardagoGiuseppe Bianchi di anni 90 – Santa LuciaErmanno Sola di anni 83 – DardagoAlbina Carlon di anni 92 – BudoiaCelestina Zorko di anni 93 – Santa LuciaMaria Dorigo di anni 86 – BudoiaAnna Carlon di anni 89 – BudoiaFiorina Zambon di anni 99 – DardagoBruna Zambon di anni 77 – MilanoCeleste Del Puppo di anni 84 – BudoiaOlga Zambon di anni 97 – DardagoGil Zambon di anni 51 – ParigiDanilo Bellet di anni 78 – VallenoncelloPierina Angelin di anni 87 – Budoia

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128anno

XLII

· marzo 2013

sommario

2 Editorialedi Vittorina Carlon, Vittorio Janna e Roberto Zambon

2 La lettera del Plevàndi don Maurizio Busetti

4 La ruota della vita

6 La Risurrezione di Umberto Coassindi Sergio Gentilini

8 Un secolo di vita di Antonietta Sansondi Daniela Cozzarin

Periodico della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia

In copertina.

Umberto Coassin, La Risurrezione, acrilicosu tavola di compensato (mm 2050x1020).

Autorizzazione del Tribunale di Pordenonen. 89 del 13 aprile 1973Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96.Filiale di Pordenone.

Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione diqualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza ilconsenso scritto della redazione, degli autori e deiproprietari del materiale iconografico.

Direzione, Redazione, Amministrazionetel. 0434.654033 · C.C.P. 11716594

Internetwww.artugna.blogspot.com

e-mail [email protected]

Direttore responsabileRoberto Zambon · tel. 0434.654616

Per la redazione Vittorina Carlon

Impaginazione Vittorio Janna

Contributi fotograficiArchivio de l’Artugna, Vittorina Carlon,Vittorio Janna, Francesca Romana Zambon

Spedizione Francesca Fort

Ed inoltre hanno collaboratoFrancesca Janna, Maria Antonietta Torchetti,Espedito Zambon, Francesca Romana Zambon

StampaSincromia · Roveredo in Piano/Pn

10 Tempi duri per un Sindacodi Alessandro Fadelli

13 Il Beato Marco fu a Dardago?di Walter Arzaretti

14 Rivive una storia di uomini e cooperazionedi Roberto De Marchi

16 Il ritorno dei cavaliérsdi Vittorio Janna Tavàn

20 Cent’anni fa, in Libiadi Vittorina Carlon

23 Una storia come tante…da non dimenticaredi Adelaide Bastianello

26 Una «Dardaghese» a Montecitoriodi Roberto Zambon

27 Giovanni Malisani Tenente degli Alpinidella Brigata Alpina Juliadi Luciano Bocus

29 Il ricordo di un suo alpinoa cura della Redazione

30 Suor Maria Venanzia,una vita per i «suoi» bambinidi Alberta e Gabriella Panizzut

32 Dalla mia finestra…di Paola Melocco

33 Applausi ai bimbidella Scuola dell’Infanziaa cura delle Insegnanti

35 L’angolo della poesia

36 ’N te la vetrina

37 Lasciano un grande vuoto...

38 25 anni del Collis Chorusdi Roberto Cauz

39 Come in un filmdi Bruno Fort

40 Cronaca

43 Inno alla vita

45 I ne à scrit...

46 Recensione, bilancio

47 Programma religioso

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Si tratta di un’opera che è il centroe il fulcro del nostro credere e delnostro «sentire cristiano»: la Risur-rezione del Cristo, evento decisivoper la storia dell’umanità intera,che la Chiesa, dopo secoli, procla-ma ancor oggi a Pasqua, in tutte lechiese del mondo: Surrexit spesnostra!Non est hic! Proclamano gli An-

geli alle sconfortate donne, Mariadi Magdala, Maria di Giacomo eSalome e altre con loro, recatesi alsepolcro, appena fuori le mura diGerusalemme: pie donne, già pre-senti ai piedi della Croce, che por-tano gli unguenti per completarel’unzione del corpo del Cristo. Esaranno proprio queste pie donnemirofore ad essere le prime testi-moni di quest’eccezionale avveni-mento.

Ed ecco come Coassin ce lepropone sull’ampia superficie delsuo dipinto. Appena giunte dinanzi al se-

polcro, con la pesante pietra ro-vesciata a terra e l’imboccaturaaperta, vestite di nero, simbolo dellutto, ombre scure fanno da con-trasto con tutto il resto del dipinto;basta alzare lo sguardo, salendogradualmente verso l’alto, per in-contrare il chiarore e lo splendoredivino della Luce che inonda e ab-braccia il Cristo risorgente. Anche gli alberi sembrano me-

ravigliati e forse quasi spauriti perl’avvenimento: in parte contorti,ma comunque protesi tutti inun’aura di colore rossastro. L’albe-ro di sinistra, colto nella sua robu-sta possanza e ben radicato alsuolo, sovrasta simbolicamente il

la Risurrezionedi Umberto Coassin

di Sergio Gentilini

Umberto Coassin,con quest’opera affronta

per la prima voltaun argomento di caratterereligioso per lui insolito,dopo essersi impegnato

nell’olio, nella graficae in svariate altre tecnicheartistiche, come il disegno,

la xilo e la litografia.

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Umberto Coassin, La Risurrezione, particolari.

sepolcro, presentando due buchineri alla base, sulle radici, comeocchi che scrutano l’osservatore eti guardano fin dentro, profonda-mente, quasi a interrogarti per unarisposta… che riguarda e spetta aciascuno di noi.Un albero vecchio dalle radici

profonde e ben radicato che rap-presenta la vita: l’albero non èmorto, ma è vivo e le sue ‘braccia’si alzano verso il cielo, in alto nelcielo verso la luce, come la vita diuna persona.Ed ecco il dipinto secondo l’Ar-

tista: simbolicamente in basso laparte terrena, il dato reale e uma-no, con le ‘tre Marie’ vestite a lutto(che l’occhio quasi abbina ai duebuchi neri nelle radici), e in alto, ilcielo, la parte celeste, verso cuianche l’albero protende i suoi ra-mi, e ben tre di questi in sembian-za di croce. Il nostro sguardo si in-nalza seguendo il Cristo immersoin un chiarore divino, intenso e dif-fuso, che abbraccia e circoscrive ilRisorto, che risplende e rifulge d’ir-resistibile luce nella pienezza dellasua gloria, in alto nei Cieli.Un impianto descrittivo e un la-

voro di grande impegno, pensati eben costruiti dal nostro bravo Um-berto Coassin, che ha operato sa-

pientemente per successive vela-ture: dal nero al marrone, al rossoe all’azzurro, che poi si va sper-dendo per diluirsi in una sorta dinebuloso marino chiarore, profon-damente luminoso, onde ottenereuna luce intensa e diffusa, quellavera luce che segue l’innalzarsi delCristo dalla terra, segno della suaumanità, al cielo, segno della suadivinità (Cristo, luce e fuoco vivifi-cante e salvifico).Pasqua, dunque, così ben rap-

presentata dal nostro pensoso edelicato artista, per degnamentecelebrare quella misteriosa realtà:la Festa delle feste, la nostra, la Fe-stività principe del nostro credere,nel terzo giorno successivo allamorte in croce. Il Christus della ‘passione’ (pa-

tiens) è ora glorioso (triumphans): idue volti del Dio salvatore, morte erisurrezione; lo scandalo della Cro-ce, patibolo infamante e vergognaper i primi secoli cristiani, discussae poi ammirata ed esaltata, simbo-lo di redenzione e profezia.Certamente l’Artista ha tenuto

ben presente il passo di Paolo chescrive «Se Cristo non è risuscitatoallora è vana la nostra Fede: Cristoè primizia di tutti coloro che risor-geranno».

Umberto Coassin nasce aDardago nel 1938.Ha iniziato la sua carrieraartistica come autodidatta,perfezionandosi pressola Scuola Internazionaledi Grafica a Venezia,dove ha studiato la tecnicadel nudo con RainerG. Mordmuller, xilografia egrafica contemporanea conFranco Vecchiet, acqua rellocon Matilde Dolcetti e IvaniF. R. de Castilho, litografiacon Marcello De Vecchi,olio con Cesco Magnolato,acrilico con Mario Pauletto,nonché il linguaggio delcolore con Andreas Kramer.Attualmente vive e lavoraa Budoia.

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Nel Comune di Budoia, il 17 gen-naio 1913 nasceva AntoniettaSanson, figlia di Teresa e France-sco, ultima di cinque figli.Come tante ragazze di Budoia

e della Pedemontana di allora, la-

di Daniela Cozzarin

la lontananza dai familiari e per lanon sempre serena accoglienza ri-cevuta.Si sposò il 15 gennaio 1938

con Liberale Carlon, uomo cono-sciuto e stimato per il suo impe-gno sia nella vita politica che so-ciale del paese.Da questo matrimonio salda-

mente fondato sull’amore e il ri-spetto reciproco nacquero tre figli:Angela, Gioconda e Silvano.Nella sua vita Antonietta si è

spesa in modo completo, genero-so e tenace per il benessere dellasua famiglia. Il lavoro ha caratte-rizzato la sua vita, prima nell’attivi-tà agricola al fianco del marito finoagli anni Sessanta e poi a Romadove, insieme a lui e ai figli Angelae Silvano ha contribuito nella ge-stione dell’attività di un bar neipressi di San Giovanni in Latera-no. I compiti di Antonietta eranomolteplici dovendo gestire la casae provvedere ai bisogni di tutti icomponenti di questa famiglia al-

un secolo di vita di

SansonAntonietta

sciò il paese in giovane età allavolta di Venezia e poi di Milano do-ve lavorò nelle case dei «signori»per poter aiutare economicamen-te la famiglia d’origine. Anni cheAntonietta ricorda molto critici per

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largata. A Roma, infatti, nacqueroanche le due nipoti, figlie di Ange-la e del genero Achille le quali, conemozione, ricordano ancora i tantibei momenti trascorsi in queglianni, in compagnia di entrambi inonni.Nell’anno 1977 i coniugi Carlon

rientrarono a Budoia per trascorre-re serenamente la loro vecchiaia.Tornarono a vivere in via Dei

Pozzi, accanto alla loro secondo-genita Gioconda, il genero Pietro ei loro quattro figli che tuttora in

molti momenti della giornata sonopresenti nella vita di Antonietta perogni suo bisogno.Il figlio Silvano si sposa con Ri-

nangela e nei dieci anni di matri-monio ha tre figli. Purtroppo nelsettembre del 1988 Silvano muoree Antonietta e Liberale pur strin-gendosi accanto alla nuora e ai ni-potini, vivono forse il momento piùdifficile della loro esistenza, ma an-che questa volta l’amore dellacoppia, l’affetto delle figlie, la vici-nanza di tanti parenti e amici, e

non ultima la fede, gli permettonodi colmare quel grande vuoto la-sciato dal figlio.Nel 2001 si spegne serena-

mente anche Liberale, assistito fi-no all’ultimo giorno da Antoniettae dalle figlie.A tutt’oggi Antonietta vive nella

sua casa, e pur essendo così an-ziana, ha mantenuto integro l’en-tusiasmo nel ricevere visite e nelloscambiare qualche parola con lepersone a lei care.Si può sicuramente affermare

che l’accoglienza è stata la carat-teristica che da sempre l’ha con-traddistinta, i dolcetti pronti in ognimomento, sopra il tavolo in cuci-na, rimangono il simbolo di un de-siderio inesauribile di convivialità edi condivisione.Da anni le fa compagnia e l’as-

siste Ina, signora ucraina, che nonsolo provvede ai bisogni materiali,ma in parte, anche a quelli affettivie per questo la famiglia le è rico-noscente.Una delle nipoti sente di espri-

mersi a nome anche degli altri ot-to, dicendo: «Nonna Antonietta haavuto la fortuna in questi 100 annidi essere attorniata da tante per-sone che con il loro affetto l’hannosostenuta e amata, che non l’han-no mai lasciata sola ad affrontarele avversità della vita, ma non èpossibile dimenticare tutto quelloche lei per prima ha saputo dare aifigli, ai nipoti e ora ai pronipoti. Laringraziamo per l’esempio, che ciha offerto, di generosità, di tenaciae di dedizione agli altri».I festeggiamenti per i cento an-

ni di Antonietta si sono svolti indue momenti: il primo, nel giornodel suo compleanno, che ha vistola partecipazione del Sindaco, dialcuni Assessori comunali, delParroco e di numerosi compaesa-ni. Il secondo, la domenica suc-cessiva, al quale hanno partecipa-to tutti i componenti della famigliae soprattutto i pronipoti che rap-presentano la continuità, stringen-dosi intorno a lei in un brindisi be-naugurale.

A sinistra. Antonietta e Liberale con la nipotina Daniela lungo le vie di Roma.

Sopra. Momenti di festa con i pronipoti, le figlie Angela e Gioconda, la nuora Rinangela e i generiPietro e Achille.

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gli inizi del 1810 – si era, val lapena di ricordarlo, sotto la domina-zione napoleonica, all’indomanidella guerra con l’Austria e dellagrande battaglia dei Camolli del1809 – i nostri paesi sono agitatida una difficile situazione, venutasia creare in febbraio.1 Da Treviso,capoluogo della Prefettura del Ta-gliamento comprendente allora ilPordenonese e il Trevigiano, eranoinfatti arrivati un giorno quattrogendarmi con il preciso compito diarrestare tre dardaghesi, i fratelliPietro e Giovanni più un terzo dinome Matteo, dei quali tacciamoper discrezione i cognomi e i so-prannomi, regolarmente annotatinel documento dal quale traiamole notizie che seguono.2 Quali im-putazioni pesassero sui tre non lo

sappiamo, visto che le carte al ri-guardo sono mute: forse erano im-plicati nel contrabbando di sale otabacco, all’epoca assai diffusodalle nostre parti; o forse avevanocommesso furti, anch’essi alloracomunissimi, oppure erano refrat-tari alla sgraditissima leva obbliga-toria imposta da Napoleone, o ri-sultavano colpevoli di qualche altroreato. Sia come sia, i quattro gen-darmi trevigiani arrivano nei nostripaesi per eseguire l’arresto, comestabilito dalla corte di giustizia, esubito si rivolgono al sindaco diBudoia, Francesco Cardazzo det-to Schiavon, perché indichi lorodove sono le case dei tipi da cattu-rare. Il sindaco chiama allora il cur-sore comunale, Gio Batta Angelin,e lo manda a scortare gli sbirri fino

tempi duri

di Alessandro Fadelli

alle case dei rei, dove però non siriesce a trovarli (erano stati forseavvisati da qualcuno, insospettitoda tutto quel movimento, e pru-dentemente si erano dati alla mac-chia, protetti da familiari e amici?).Mentre i gendarmi se ne tornanocon le pive nel sacco a Treviso, co-minciano i problemi per il sindacoe il cursore, colpevoli di aver «colla-borato» con la giustizia, rompendocosì l’antica e collaudatissima «so-lidarietà di paese», quella fitta retedi connivenza e omertà che in pas-sato generalmente regnava nei no-stri villaggi per coprire i piccoli etalvolta anche i grandi reati.3

Il giorno seguente infatti Pietro,evidentemente assicuratosi dellapartenza dei temuti gendarmi, ri-spunta fuori, va infuriato dal curso-

per un Sindaco

A

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pessima, considerazione per i Bu-doiesi, ritenuti rozzi e violenti. Nonche non ci fosse un fondo di veritànelle considerazioni del Variola (lodimostrano altri spiacevoli casi del-l’epoca, qui non ricordati), ma sen-za dubbio c’era una notevole esa-gerazione nelle sue parole, chebollavano indiscriminatamente tuttigli abitanti dei nostri paesi comebrutali, maneschi e pericolosi perle colpe di qualche scalmanato odelinquente. Senza contare chenemmeno gli Avianesi, giusto perguardare in casa sua, erano deglistinchi di santo, stando ad altri epi-sodi davvero poco edificanti avve-nuti sia nello stesso periodo, sia inquelli precedenti e seguenti... Ma,si sa, i vicini di casa sono semprepeggiori di noi!In filigrana, si avverte comun-

que il difficile e contrastato pas-

re, lo assale con insulti, parolacce ebestemmie di ogni sorta e minac-cia di ammazzarlo perché ha gui-dato gli sbirri dritto fino a casa sua.Chiede poi allo spaventatissimoGio Batta di riavere una cherubina(carabina?) che, secondo lui, si tro-vava nella sua camera ma che erasparita dopo la spiacevole «visi ta»dei gendarmi, intendendo che glifosse stata sequestrata dagli stessio dal cursore. Non contento di ciò,Pietro sfodera un coltello – quasitutti i maschi adulti all’epoca neavevano uno sempre a portata dimano – e gli taglia minaccioso ilcollo del mantello, senza comun-que spingersi oltre. Il povero curso-re comunale, atterrito, scappa agambe levate e si rifugia nella bot-tega dei fratelli polcenighesi Rossiesistente a Budoia; testimoni delparapiglia e delle minacce eranostati, secondo il documento, Flami-nio Romano (in realtà un Roman,originario di Poffabro), agente deipredetti Rossi, e il budoiese Dome-nico Sanson. Tutto finito? Certamente no:

Pietro, davvero imbufalito, va conpropositi altrettanto bellicosi e ven-dicativi da Giuseppe Rigo dettoCaporal di Dardago, anziano diComune (una sorta di odierno as-sessore: ne venivano nominati duenei comuni sotto i tremila abitanti,com’era allora quello di Budoia), ri-tenuto anch’egli complice del sin-daco e del cursore nella delazionecontro di lui. Vede uscire di casa ilpovero Giuseppe e lo affronta, im-bracciando uno schioppo carico –a dimostrazione di un suo davverocospicuo «arsenale»... – e riem-piendo anche lui di minacce dimorte per la «collaborazione» congli sbirri. Un certo Domenico, cheera insieme con lui, gli fece abbas-sare lo schioppo e tentò alle buonedi farlo acquietare, riuscendo for-tunatamente nell’impresa primache l’alterco degenerasse in unfatto di sangue, e così il facinorosoPietro si era finalmente allontanato,sempre ricolmando però il Rigo ditremende intimidazioni. Testimone

del fattaccio è questa volta Osval-do Bastianello, che conferma pa-rola per parola quanto accaduto. Conseguenza di tutto questo

putiferio è che nei giorni seguenti ilsindaco, il cursore e l’intera muni-cipalità (ossia l’amministrazione lo-cale budoiese) non riescono più adormire sonni tranquilli, anzi, inti-moriti dalle minacce di morte piùvolte proferite da Pietro nei loro ri-guardi, se ne vogliono addiritturaandare dal paese con le famiglieper preservare le loro esistenze, la-sciando il comune totalmente privodi governo. Interviene allora il pre-occupatissimo podestà di Aviano,cantone amministrativo nel qualeBudoia era stata da poco ricom-presa, il quale si rivolge diretta-mente al Prefetto del Dipartimentodel Tagliamento, il nobile lombardoCarlo Del Majno, per chiedere con-siglio e soprattutto aiuto concreto(massiccio intervento di gendar-mi?) contro le prepotenze di Pietroe soci. Interessante è quanto so-stiene nell’occasione il podestàavianese, certo Variola, il quale, difronte a persone d’una violenza lapiù sfacciata e capaci di tutto intra-prendere, dà la colpa... al passato:secondo lui infatti in quella Comu-ne (Budoia) si è a lungo vissutosotto il regime feudale di conti de-boli e pusilamini (sic: pusillanimi!),tanto che nessuno può scordarsile massime apprese fin dall’infan-zia, e molti così conservano quel-l’aria minacciosa e violenta che fuinsinuata nella lor anima dal silen-zio delle leggi in cui erano tenutesotto un debole governo. In queste pesantissime affer-

mazioni del podestà avianese silegge una forte critica, se non ad-dirittura disprezzo, sia verso i contidi Polcenigo, feudatari ritenuti in-capaci di instillare nei loro sottopo-sti il giusto rispetto per la legge e ilnecessario timore verso la Giusti-zia, sia verso l’ormai trapassataRepubblica di Venezia (che, a dir ilvero, non era stata proprio un mo-dello di equità e di controllo socia-le); emerge anche una scarsa, anzi

Sopra. Eugenio di Beauharnais (1781-1824),principe francese.Nominato vicerè d’Italia da Napoleone Bona-parte (di cui era figliastro) nel 1805, trasferì lasua residenza nella Villa Reale di Monza.Storica fu la sua sconfitta alla guida dell’eserci-to francese il 16 aprile 1809 nei Camolli, tra Sa-cile, Fontanafredda e Brugnera, in una sangui-nosa battaglia che lo vide soccombere sotto gliattacchi delle truppe austriache condotte dal-l’arciduca Giovanni d’Asburgo.

A sinistra. Mappa ottocentesca di Budoia dalCatasto austriaco.

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saggio dall’antico regime, dal feu-dalesimo dei conti di Polcenigo edalle antiche forme di autogestionedei villaggi (per secoli fatte di meri-ghi, vicinie di capifamiglia, votazio-ni tramite ballottazioni), definitiva-mente soppresse quattro anniprima (1806), alle nuove forme am-ministrative di stampo napoleoni-co, basate invece su precise leggiscritte e con un complesso intrec-cio di poteri e di compiti (sindaci,anziani di Comune, consigli comu-nali, giudici di pace e cancellieri delcenso, prefetti e viceprefetti, dipar-timenti, distretti e cantoni...). Unpassaggio necessario verso la mo-dernità, ma non compreso e nonaccettato da moltissimi, ritenutocom’era soltanto un’ingiusta limi-

tazione di prerogative millenarie atutto vantaggio di poteri opprimen-ti e lontani, sia fisicamente che psi-cologicamente. Nella vicina Coltu-ra ad esempio si era scatenatal’anno prima una querelle non dapoco, con un’autoconvocazionedel tutto illegittima della defunta vi-cinia, ormai eliminata dal nuovo or-dinamento, per discutere e delibe-rare su questioni di proprietàcomunali, come sempre s’era fat-to; convocazione che aveva giu-stamente mandato su tutte le furieil Prefetto di Treviso per l’isprezzoalle leggi rivelato dai Colturani, ri-chiamati a seguire d’ora in poi levie regolari (leggi sindaco e consi-glieri comunali) per la risoluzionedei loro problemi, pena sanzionidavvero pesanti contro i testardisostenitori dei vecchi sistemi di au-togoverno.4

A subire i più diretti e fastidiosieffetti di questa «resistenza» controle novità napoleoniche erano spes-so i nuovi amministratori locali, coni sindaci in testa, nonché i funzio-nari comunali preposti all’applica-zione delle norme, come le guardiee i cursori. Nel 1809 ad esempio ilsindaco di Prata doveva denuncia-re alcune persone, fra le quali Al-morò Gozzi, fratello dei famosiscrittori Gasparo e Carlo, per di-leggio, maltrattamento e minaccienei suoi confronti. Nello stesso an-no proprio il sindaco di Budoia siera lamentato con il Prefetto di Tre-

1.Sui primi dell’Ottocento nei nostri paesi cfr.A. Fadelli, Storia di Budoia, Pordenone2009 [ma in realtà 2010], soprattutto pp.75-77, nonché N. Roman, Nell’età napoleo-nica Dardago diventa Comune, l’Artugna,XXIV (1995), 74, pp. 4-5, utile per compren-dere la tormentata evoluzione amministrati-va dell’epoca. Più in generale, E. Pessot,1805-1813. Treviso e il Dipartimento del Ta-gliamento. Amministrazione pubblica e so-

NOTE

viso perché riteneva che la sua vitafosse addirittura insidiata dal com-paesano Antonio (nuovamenteglissiamo sul cognome...), uomotorbido e cattivo.5 C’erano dunquedei pesanti precedenti al caso del1810, che avevano evidentementeesasperato il primo cittadino budo-iese, stufo di rischiare la vita per lagestione del Comune. Ma il tempo e l’azione repressi-

va, anche severa, contro i dissen-zienti avranno alla fine ragione dei«resistenti», e così sindaci e comu-ni potranno nei decenni seguentilavorare in pace. Quasi sempre...

cietà in epoca napoleonica, Treviso 1998, eG. Frattolin, Istituzioni pubbliche e classe di-rigente a Pordenone nel XIX secolo, Porde-none 2006. 2.Il documento è in Archivio di Stato di Treviso,Prefettura di Treviso, Prima serie, b. 909.3.Per il periodo veneziano, si vedano i molticasi menzionati in F. Bianco, Contadini, sbir-ri e contrabbandieri nel Friuli del Settecento,Pordenone 1995; per una generale solleva-zione del popolo di Dardago e poi di Budoianel 1779 contro gli sbirri venuti ad arrestareAngelo Parmesan vedi A. Fadelli, Ucciso «in

occasione di sbiraglia». Un delitto impunitoa Mezzomonte nel 1778, «La Mont. Rivistadi studi su Mezzomonte», 3 (1998), pp. 37-50, alle pp. 49-50.4.Ne abbiamo parlato più diffusamente in A.Fadelli, Nell’anno della battaglia ai Camolli.Noterelle archivistiche sul Friuli Occidentalenel 1809, «La Loggia», n. s., 12 (2009), pp.93-103, precisamente alle pp. 99-100. Inquell’articolo compare un cenno anche alcaso avvenuto a Prata. 5.La notizia è sempre nel predetto fondo ar-chivistico trevigiano, b. 875.

Monete napoleoniche.

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La risposta è sì! E la si può ricavare dall’atto di cresima diCarlo Domenico Cristofori, che l’arciprete di Aviano donAgostino Andreussi certifica nel 1904 dai registri dei cresi-mati del suo archivio in occasione del processo svoltosi aVenezia. Dal documento si evince che il sacramento fuimpartito il 21 giugno 1643 (370 anni fa!) a un ragazzo ne-anche dodicenne; ma esso è anche la prova indiretta del-la frequentazione con la nostra Dardago dell’ora BeatoMarco. Il parroco di Aviano riporta infatti il nome del padri-no di cresima, che è un sacerdote. Crediamo di averlo giàscritto in passato che questo «santolo» di Padre Marco fuil nostro pievano dell’epoca, e si chiamava don FiorentinoFiorentini. Non ne avevamo però tratto la deduzione dellapresenza di Marco d’Aviano, adolescente, a Dardago: lascelta di un tale testimone per la cresima del ragazzo cidice infatti della consuetudine di rapporti che la famigliaCristofori aveva con questa comunità. Dal particolare si ri-cava anche qualcosa di più: e cioè che il tramite del rap-porto sia stato lo zio prete di Padre Marco, don CristoforoCristofori, pievano di Vigonovo dal 1637 al 1671 (e primaparroco di San Leonardo di Campagna, oggi Valcellina):lui stesso avrà suggerito (o scelto) «il M.R. Pievano di Dar-dago» (così il documento) come padrino della cresima im-partita ad Aviano al piccolo Carlo (il confratello, vicino dipieve, era probabilmente anche un suo amico o condi-scepolo).

Appare dunque plausibile esclamare: quante volte ilbeato avrà preso le strade e i sentieri che, partendo dallanatia Somprado, conducevano (e conducono) a Dardagoe nei paesi della pieve! In una delle poche superstiti lettereal fratello don Giovanni Battista (lui pure sacerdote e suc-ceduto allo zio nella guida della pieve di Vigonovo, dal1671 al 1702) Padre Marco scrive, il 18 giugno 1686 –con riguardo ai numeri di fanti e cavalli che compongonol’armata imperiale «in vicinanza di Buda» (la rocca della ca-pitale ungherese sarà presa dagli austriaci di lì a poco, il 2settembre) – che non si «capirebbe nelle campagnied’Aviano et altre confinanti». Indizio prezioso a confermadella presenza del beato (in anni giovanili) pure nel territoriodell’antica pieve dardaghese.

Possiamo così a buon diritto invocare oggi PadreMarco come beato «nostro»! E lo facciamo volentieri edoverosamente ricordandosi il 27 aprile il decimo anni-versario della sua desiderata bea tificazione, il cui iter, negliultimi tempi, le nostre comunità cordialmente appoggia-rono condividendo l’anelito dell’indimenticabile padre Ve-nanzio Renier, che molto affetto, ricambiato, mostrò a tut-ti noi. Anche a Budoia, Dardago e Santa Lucia egli fuannunciatore convinto e convincente delle virtù del «suo»beato e godette dell’accoglienza e amicizia dei nostri sa-cerdoti (ricordiamo quella con don Alfredo, don Franco,don Adel, e con don Maurizio in quel di San Martino) e,

il Beato Marco di Walter Arzaretti

specie a Budoia, della popolazione. Lo potemmo cono-scere, grazie a una certa periodicità di visite, pure comeconfessore e predicatore infiammato, alla scuola di santi-tà di Padre Marco. A cinque anni dalla morte (17 giugno2008), il suo affetto permane e si fa preghiera benedicen-te per queste comunità in Paradiso, nella compagnia delbeato che, con semplicità e fede, ricordiamo ogni 13agosto nella messa della memoria liturgica e che più volteabbiamo celebrato nelle nostre chiese dove il culto a lui èfavorito dall’esposizione in ciascuna di un’opera che lo ri-trae, doni del Comitato per la beatificazione. A ulteriore di-latazione della devozione, che fu come «ufficializzata» dal-la Chiesa con l’atto compiuto da Papa Giovanni Paolo IIdieci anni fa, il 27 aprile 2003, pubblichiamo le foto del di-pinto di Elio Poloni conservato nella cappella feriale «Do-mina mea» a Budoia e di quello di G. C. Bigai nella cap-pella feriale di Santa Lucia.

fu a Dardago?

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A nome dell’Amministrazione co-munale rivolgo a tutti i presentiun saluto ed un ringraziamento,per esserci in questa giornata im-portante per la nostra comunità,la vostra presenza così numero-sa è evidente testimonianza cheoggi stiamo celebrando un risul-tato di anni.Vorrei rivolgere un particolare

ringraziamento a tutti coloro chehanno creduto in questo progetto,a cominciare dagli ex soci della lat-teria di Budoia che circa 10 anni fahanno donato l’edificio al Comune,affinché trovasse nuova vita come

centro di promozione del territorio.Ringrazio le precedenti Ammini-strazioni comunali presiedute daAntonio Zambon, che han no av-viato questo percorso ottenendodalla Regione Friuli Venezia Giulia ilfinanziamento e progettando la ri-strutturazione dell’edificio al fine dipromuovere i prodotti locali.

Questo edificio è parte dellamemoria diretta delle famiglie diBudoia, poiché ogni famiglia hacontribuito con il proprio fare a co-struire la storia di questo edificio.Per quanto possa essere strano

non è un edificio «vecchio», inquanto non è passato nemmenoun secolo dalla sua realizzazione,ma è un edificio che testimonia untempo, che per quanto recente, or-mai è passato, non c’è più; e que-sto edificio è stato testimone di unpassaggio della vita economica esociale della comunità di Budoia.L’idea di costituire una latteria

sociale risale al 1927, grazie allavolontà di parte della popolazionedi Budoia motivata dalla figura diGio Batta Scussat, che ha rappre-sentato la guida di tutto il proces-so, facendosi interprete del pro-

rivive una storiadi uominie cooperazione*di Roberto De Marchi

Nelle foto, alcuni momenti significativi dell’inaugurazione con le autorità comunali e regionali, l’esponente del Parlamento europeo, Debora Serracchiani, eil presidente del Centro Caseario Cansiglio, Mirko Breda.

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getto edilizio e di costituzione dellacooperativa stessa, e trovando an-che la morte nell’impegno a rag-giungere il risultato da lui ambito.Il messaggio, che guidava la

comunità di Budoia all’epoca,era: usciamo dalle case e met-tiamoci assieme, perché solouscendo dalle case e mettendociassieme riusciamo a superare inostri limiti individuali e migliora-re il processo produttivo inve-stendo in tecnologia (ed oggi leattrezzature della latteria sonoqui esposte), ed investendo inconoscenza: la figura del casarocome competenza tecnica cheguida le lavorazioni. Ed ecco chequesto investimento collettivo hacome ritorno il beneficio per tutti.E così le famiglie di Budoia,

stando assieme e condividen-do questo edificio, hanno attra-versato tutte le fasi, compresequelle durissime del dopoguer-

ra, fino ad un passato recentedove si è esaurito un modo difare allevamento e agricoltura,concludendosi così il ruoloeser citato da questo edificio.E da questo punto si parte con il

progetto di recupero e rifunzionaliz-zazione dell’edificio, ma il messag-gio rivolto alla comunità è semprelo stesso che ha animato la conce-zione della struttura negli anni 20del ‘900: uscire dalle case e pro-muovere il territorio e la comunità!Questo è il messaggio rivolto

agli agricoltori ed alle associazioniaffinché colgano le opportunità of-ferte da questa scatola magica alcui interno possono essere pro-mossi e venduti i prodotti della Pe-demontana pordenonese, azioneche può essere condotta con faresinergico insieme ai cuochi e tuttaquella cultura della ristorazioneche fa parte di questo territorio.Vi è uno spazio dedicato al-

l’esposizione delle attrezzaturedella latteria ed un allestimentomuseale curato con molta serietàe precisione (come sempre) dalperiodico l’Artugna, che verrà reso«dinamico» attraverso delle dimo-strazioni pratiche, curate dai ge-stori della Cooperativa Cansiglioche eseguiranno delle attività di-dattiche per le scuole. Al piano superiore entro l’anno

verrà allestita la mostra perma-nente dei funghi, elemento chepremia il lavoro portato avanti inpiù di 50 anni dalla Pro loco Budo-ia, che su questo tema legato allavalorizzazione dell’ambiente hacostruito un importante elementoidentitario per la nostra comunitàed una riconoscibilità oltre gli stes-si confini regionali.La mostra permanente, la sala

riunioni e mostre sarà elemento diattività non solo durante la festadei funghi ma per una serie di op-portunità che possono essere col-te, anche come centro per la for-mazioni dei micologi.

Ringrazio tutti coloro che han-no partecipato a questo progettoed invito ciascuno di noi ad «usci-re dalle case» per contribuire alsuccesso di questa struttura e diBudoia.

* Discorso tenuto dal Sindaco in occasionedell’inaugurazione della ristrut turazionedell’ex latteria di Budoia (9 marzo 2013).

Vista del punto vendita del nuovo Bar Bianco.

A sinistra. Nell’ex sala per la trasformazione del latte, una gigantografia delle montagne, che ricorda ilduro lavoro dei nostri avi, e una serie di pannelli, che ricostruisce la storia delle tre latterie del Comune.

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alla lontana Cina alla globaliz-zata Cina: la storia e l’evoluzionedella sericoltura sembra procede-re con lineare coerenza. Eppuredai tempi di Confucio (2600 a.C.)– da quando cioè è fatta risalire, intermini leggendari, la scopertadella seta – ai giorni nostri, la pro-duzione del prezioso tessuto haattraversato numerose vicissitudiniche hanno proclamato, di volta involta, di Paese in Paese, il predo-minio della sua lavorazione.Se un’aura di mistero ancora

avvolge l’arrivo in Italia, è tuttaviaacclarato che tra le prime localitàsericole settentrionali vi furono Bo-logna (XIII secolo) specializzatanella produzione di tessuti leggeri,Venezia per i drappi più pesanti,Genova e Trieste per i velluti.

cavaliérs

Fu però da Firenze nel XV seco-lo che l’attività si perfezionò a talpunto che condizionò l’espansionenel resto d’Italia tanto che la nostrapenisola, fino al XVII secolo, arrivòa detenere il monopolio dell’arteserica.Quando però la produzione di

seta si diffuse nel resto d’Europa,e quando si assistette all’industria-lizzazione automatizzata della sualavorazione, iniziò il declino italianoed il primato fu ceduto alla Germa-nia, all’Inghilterra e, soprattutto, al-la Francia.In Italia non cessarono comun-

que la bachicoltura, specie nellecampagne, e l’esportazione dellematerie prime in quei Paesi neiquali l’industria della seta comin-ciava ad espandersi.

di Vittorio Janna Tavàn

Gelsicoltura e bachicoltura: una nuova ed «antica» opportunità di lavoro

1. Uova e baco in successive fasi di sviluppo.2. Baco che comincia a filare il bozzolo.3. Bozzolo e sezione di bozzolo con crisalide.

1.

2.

3.

il ritorno dei

D

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Fu solo tra le due guerre mon-diali che anche questa attività ces-sò il suo vigore a causa dell’inur-bamento e delle modificazioni delcontesto socio-economico: un di-rottamento degli ambiti produttividall’agricoltura all’industria, l’av-vento delle fibre artificiali come ny-lon e poliestere.

UNA CONCRETA OPPORTUNITÀIMPRENDITORIALE

Oggi il monopolio è «ripassato» al-la Cina che può contare sulla di-sponibilità di manodopera a bassocosto e determinare così il prezzointernazionale della seta, control-lando il 90% del commercio inter-nazionale della materia prima ed il70% della produzione mondiale.Seppur penalizzata dall’impossi-

bilità di un approvvigionamento au-tonomo, l’Italia rimane comunquefra i Paesi più importanti al mondoper la produzione e l’esportazionedi tessuti pregiati di seta.Sacrificata è soprattutto la filie-

ra a monte (produzione di seme-bachi, allevamento e filatura) ma èproprio in queste fasi che si staassistendo in Italia ad un risveglia-to interesse e alla riscoperta dellepratiche di allevamento.Certamente non su scala indu-

striale ma limitata a quella artigia-nale di piccole imprese agricole odi singoli – l’investimento iniziale èmolto basso – che possono cosìtrovare una possibile fonte di inte-grazione del proprio reddito.La gelsicoltura e la bachicoltura

sono consigliate anche a chi di-spone di strutture inutilizzate perl’allevamento di altri animali e a chipuò unire l’attività produttiva aquella di fattoria didattica o è inse-rito in un circuito turistico rurale.Le esigenze di questa attività

aderiscono infatti perfettamente aquelle di un’agricoltura ecocom-patibile, in linea con le richiestedelle politiche europee che so-stengono economicamente le ini-ziative ed auspicano una diversifi-cazione delle colture a sostegnodell’ambiente agricolo in alternati-

va alle colture dominanti ed ecce-denti. Il gelso è infatti adatto alla rifo-

restazione in quasi tutti i tipi di ter-reni, compresi quelli marginali ecollinari, limita l’erosione del suoloe non necessita di trattamenti conantiparassitari, tutt’al più con pro-dotti biologici o mezzi meccaniciperché il baco da seta risente diqualsiasi prodotto chimico utilizza-to sulla pianta.«La bachicoltura oggi può esse-

re svolta in maniera razionale especializzata – sostiene Silvia Cap - pellozza, ricercatrice dell’Unità diApicoltura e Bachicoltura di Pado-va –. Il gelso viene allevato in im-pianti dedicati, la forma d’alleva-mento è di media altezza perun’agevole raccolta e l’allevamen-to non occupa più gli spazi abitati-vi dalla famiglia come un tempo».La bachicoltura è inoltre consi-

derata una fonte di opportunitàper il recupero e la valorizzazionedi un patrimonio culturale tecnico-scientifico che si sta inesorabil-mente perdendo. Dal punto di vi-sta dell’utilizzo, infine, il filo dellaseta ricavata dai bachi, oltre al set-tore tessile dove trova le applica-zioni più evidenti, è impiegata incampo chirurgico da secoli comemateriale di sutura, in virtù dellesue proprietà meccaniche e di nonrigetto da parte del sistema immu-nitario. Se l’ambito bio-medicalefornisce numerose altre opportuni-tà di impiego (in ottica ad esem-pio), vi sono altri campi che utiliz-zano la fibroina, la proteina fibrosaprodotta dai bachi. Recenti studiscientifici stanno valutando la pos-sibilità di utilizzo nel campo del-l’elettronica e dell’optoelettronica. Idispositivi basati su filamenti natu-rali saranno infatti il futuro prossi-mo della tecnologia che ci permet-terà di trasmettere infor mazioniattraverso le fibre di seta: un’«elet-tronica verde» a basso impattoambientale, biodegradabile, eco-sostenibile che sostituirà per sem-pre gli inquinanti e oramai superatimateriali come la plastica e il silicio.

Era noto anche al Tassoallorché scrisse: «il verme, checavaliero in queste parti ènominato».Nella tradizione veneto-friulana(invero anche in altre partid’Italia), è così chiamato il bacoda seta. L’origine non è deltutto chiarita ma più fonti sonoconcordi nell’identificareil pittoresco appellativo conla postura che il baco assumeprima della muta e durante la«salita al bosco»: solleva infattila parte anteriore del corpoed il torace ricorda una grossatesta, come di un cavalierein sella; l’immagine èulteriormente rafforzatadall’aspetto corazzato conferitodagli anelli del suo corpo e dalcornetto che sporge dalla parteposteriore.Un’altra ipotesi giustificala denominazione al fatto che –al pari del Cavaliere d’Italia(uccello) il cui corpo è issato sulunghe gambe – anche il baco,durante l’allevamento,è posto in alto, sul «cavallone»o «castello» composto daigraticci sormontati.

la curiosità del nom

e

La miracolosa immagine di Maria Vergineprotettrice del raccolto delle Gallette.Questa icona veniva collocata negli ambientiabitativi predisposti per l’allevamento dei bachi.

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UN MESE ALL’ANNO CON DEGLI OSPITI SPECIALI...dalle testimonianze di Angelo Janna Tavàn e Fernando Del Maschio

I bachi da seta un tempo erano, peramore o per forza, «componenti»stessi delle famiglie dei nostri paesi.

Te li ritrovavi dappertutto, in cuci-na, nel granaio, se non, addirittura incamera da letto.

Quando la primavera rilasciava iprimi tepori e i rami del gelso produ-cevano le foglie si correva da AnicetoBesa a Santa Lucia per acquistare lasaméntha, ovvero le larve (o le uova)da allevare a baco.

Era lui infatti, verso la metà di apri-le, che si occupava della nascita deibachi nella soffitta della sua filanda ri-scaldata da una stufa. Ogni famigliane acquistava un quarto di oncia,mezza oncia, un’ontha intera (50.000esemplari circa) o più, secondo lepossibilità.

Portati a casa si sistemavano suun foglio di carta ed erano nutriti confòie de morèr (foglie di gelso) tritatefinemente, (anch’esse, a volte, com-prate e trinciate con uno speciale ap-

parecchio), posizionate su una cartaforata di copertura, di modo da per-mettere il passaggio dei bachi e la so-stituzione del «letto» sottostante.Que sta operazione, praticata ciclica-mente per mantenere l’igiene, per-metteva di togliere i bigàth (bachi an-neriti dudhi in vacia a causa dellostato di macilenza) e di eliminareeventuali muffe, cause di possibiliepidemie.

Erano quindi trasferiti ed «allarga-ti» sulle grisiòle, arelle con telaio in le-gno e fondo cannucciato, poste nellestanze di casa con un clima mite dovecontinuavano il loro ciclo biologico.

Dopo circa cinque giorni (durante iquali il baco dormiva e si nutriva incontinuazione), iniziava la prima mu-ta, ovvero il cambio della pelle, conti-nuamente sostituita per adattarsi allenuove dimensioni del corpo.

Seguivano altre 3 mute (da noi lechiamavamo dhormìdhe) a distanzadi 8 giorni l’una dall’altra; l’ultima era

caratterizzata da un sonno più pro-lungato in preparazione alla succes-siva chiusura nel bozzolo.

Le grisiòle erano quindi posiziona-te nelle soffitte per permettere la ma-turità del baco e la sua «salita al bo-sco» ovvero la fase di arrampicatasulle estremità di rametti di gelso (gri-solóns) o fili di paglia di segale postiallo scopo di concedergli un punto lu-minoso e con un buon numero di ap-pigli dove cominciare la filatura.

Era questa una fase alquanto deli-cata (la cosiddetta «quinta età» chedura circa sette giorni), minacciatadalle insidie di topi e panteganeghiotte di cavaliérs.

Non a caso un tempo si usava in-fatti far benedire della crusca con oliospargendola poi nei granai con lasperanza che i roditori fossero attrattipiù dal cereale che dai bachi.

Durante la «quinta età» l’insetto,prima di chiudersi in bozzolo, rifiuta-va di alimentarsi per spurgarsi dalle

UNA TRADIZIONE «TUTTA»NOSTRA

Il territorio della Pedemontana edella Piana pordenonese non è in-fatti nuovo a queste colture e nonsono mancati, nella storia, esempidi filande di notevole pregio.Basti pensare che l’attività seri-

ca nei nostri paesi è documentatagià nel corso del XVI secolo laddo-ve si tratta ampiamente di coltiva-zione di gelso e di commercio deibozzoli. Sorsero ovunque complessi in-

dustriali che segnarono l’economiaed il panorama rurale di questa ter-ra così sospesa tra l’agricoltura el’industria, tra la tradizione e lamodernità.Simone Follini (Simon Folin nei

documenti) fu il primo, in tutta laPatria del Friuli, ad ottenere dalla

A sinistra. Un tratto del rujàl in località Triòi.

Sopra. Disegno del tracciato del rujàl fatto co-struire nel 1670 da Simone Follini per condurrel’acqua al filatoio di Dardago che passerà poi,nel 1711, in eredità a Giovanni Battista Follini.Quest’ultimo, nel 1775, farà richiesta di utilizza-re l’acqua anche per muovere un mulino dagrano.

Serenissima, nel 1670, l’investitu-ra necessaria per l’utilizzo di alcu-ne scoladizze, acque provenientidal Monte Cavallo, incanalate inun acquedotto (il rujàl) e destinatea muovere un orsoglio «alla bolo-

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BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

CNR-IBIMET, L’arte di allevare il baco da se-ta, Firenze, 2011.

DON MATTEO PASUT, Virginia Turchetto, L’ul-tima filanda (4a ristampa), Azzano Decimo,2012.

INGRID FELTRIN, Museo del baco da seta, inInsieme con fiducia, 54, 16-18, 2011.

MARILISA DA RE, ANTONIO ROS, FRANCESCOVECCHIES, La seta a Sacile (a cura di), Co-mune di Sacile, Pordenone, 1996.

LICIA BASTIANELLO, Corrispondenza in l’Artu-gna, 35, 25, 1981.

VITTORINO PIANCA, Museo del Baco da seta(a cura di), Città di Vittorio Veneto, Cone-gliano, 2003.

http://sitoentecra.it (sito web del Consiglioper la Ricerca e la Sperimentazione inAgricoltura).

sostanze di rifiuto. Quindi saliva i ra-metti di gelso e cominciava la costru-zione di un’impalcatura secernendola spellaia (bavéla) per ancorarsi agliappigli e sostenere il futuro bozzolo.

Con la «salita al bosco» il baco co-minciava quindi a filare la seta produ-cendo una bava (che si solidificavaall’aria) con un moto continuo del ca-po intorno al corpo fino ad ispessirel’involucro e a chiudersi interamentein esso.

L’operazione durava dalle 24 alle72 ore, al termine della quale le galé-te sane (i bozzoli giallo dorati o bian-chi) erano separate dalle falòpe (boz-zoli non formati completamente perla morte del baco) e da quelle dóple(bozzoli con due bachi), meno presti-giose per la difficoltà a trovarel’estremità del filo di seta.

I bozzoli «buoni» erano quindistaccati, ripuliti dalla bavéla (utilizza-ta poi dalle donne per imbottire cu-scini e sedie) e venduti a privati, a

prezzo «chiuso» e pagamento imme-diato, o all’essiccatoio bozzoli di Sa-cile, a prezzo «aperto» con accontoiniziale e saldo finale dopo la vendita.

Spesso si «rivendevano» anchead Aniceto Besa ed al ritorno qualcu-no si concedeva la fermata da Riseta(negozio De Carli) a Santa Lucia perun bicchiere di vermuth bianco dolcecon i savoiardi – delizia dei bambini –o per uno di vino per gli adulti al «gri-do» de «se refarón co’ la galéta».

Gli ultimi bachi da seta a Budoiafurono allevati, negli anni ’70, dalmaestro Umberto Sanson per glialunni della scuola elementare a tem-po pieno, in una sorta di laboratoriodimostrativo delle vecchie proceduredi bachicoltura.

Sempre a Budoia è ancora ricor-data la figura di Emilia De Roia, per-petua di don Alfredo Pasut, e storicaoperaia filandiera in Cordenons.

gnese». L’edificio sorgeva vicinoalla piazza di Dardago, nei localiche, in tempi più recenti, diventòsede dell’ufficio postale (oggi hacessato l’attività).Come per gli opifici ottocente-

schi di Caneva, Stevenà, Polceni-go e Dardago, in generale tuttal’area della Pedemontana era con-siderata produttrice di eccelse se-te in virtù dell’acqua utilizzata checonferiva al prodotto una lucen-tezza particolare. Il sorgere e laspecializzazione delle attività inqueste zone fu favorita anche dal-la tradizionale esperienza nell’am-bito della filatura e della tessituradei canapi, come nel caso della Fi-landa Vecchia Besa a Santa Luciadi Budoia esistente dal Settecento.Molti toponimi attuali risentono

poi di queste antiche coltivazioni; ilPonte dei Moreri a San Martino di

I disegni rappresentano la ‘carta forata’ utilizza-ta per la nascita e l’allevamento dei bachi da se-ta. La grandezza dei fori variava secondo l’etàe la dimensione dei cavaliérs.

Sopra. Spelatrice manuale per togliere la bave-la dai bozzoli.

Campagna, Morera a San Giovan-ni di Polcenigo ed Aviano, Col deMorer a Santa Lucia di Budoia eSan Giovanni di Polcenigo, Cam-po dei Morari a Range, Campo delMoraro a Caneva.Una terra dunque vocata alla

bachicoltura che meriterebbe diessere riscoperta ed essere anco-ra praticata.Lontani sono i tempi in cui i no-

stri vecchi si affidavano all’espres-sione se refarón co’ la galéta («cirifaremo con i bozzoli») per confi-dare nel ricavato della vendita qua-le copertura di insoluti economici oricambio di favori, ma questa attivi-tà potrebbe essere ancora un’otti-ma, preziosa ed alter nativa inte-grazione al reddito, oggi più chemai indebolito dalla precarietà del-la situazione economica interna-zionale.

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Cent’anni fa, in Libia

Se non fosse per la località, sem-brerebbe un’ordinaria corrispon-denza tra un emigrante e la sua fa-miglia: le amorevoli rassicurazioni aifamigliari sulla propria salute e laprofonda speranza che siano al-trettanto buone le condizioni di tuttii parenti. C’è un benevolo rimpro-vero a non pretendere troppe infor-mazioni, perché il lavoro è incom-bente, e, tra i saluti, assicura i suoicari di ritrovarsi insieme in allegrianei giorni di san Martino, davanti adun bicchiere di vino novello.

La citazione del luogo, Merg, edella data, 14 agosto 1913, scrittasulla foto-cartolina postale, ci ri-conduce, invece, alla guerra libicadel 1911-’13.L’emittente è Giomaria Ange-

lin, Biuti Pelat, figlio di Giuseppedi Valentino e di Agata Carlon, natoa Budoia il 14 giugno 1891, arruo-lato nel Battaglione «Tolmezzo». Sirivolge al fratello maggiore, Valenti-no, al padre Giuseppe e alla suanumerosa famiglia composta didieci fratelli.

Fratello carissimo. Io sto bene e co

sì spero

di te e tutta famiglia. Vi mando que

sto

grupetto soltanto e non pretendete

tante cose

perché siamo al lavoro e non si pu

ò fare

di meglio. Per mio conto non ho n

iente

di nuovo da dirti. Per ora mi trovo

sempre qui

a Merg. Vi mando tanti saluti e bac

i,

figlio e fratello

Giomaria.

Saluti a tutti parenti e amici e arriv

ederci

presto a bevere il vino nuovo tutti

assieme.

di Vittorina Carlon

Sopra. Enrico Angelin.

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e nelle boscaglie di Tecniz, altriquattro militi. «E ciascun nome in pietra si

scalpelli», scrisse il D’Annunzio, inriferimento ai caduti nell’impresalibica.In questo elenco non figura for-

tunatamente alcun budoiese.Furono, invece, diversi i soldati

del Battaglione «Tolmezzo» che ri-masero feriti,1 tra cui Angelo Fort,nato a Santa Lucia il 27 aprile1892, alpino dell’8° Reggimentoche fu insignito di Medaglia diBronzo, perché nell’attraversarel’Uadi Bumsafer, mentre si espone-va arditamente per incitare i com-pagni con l’esempio, cadde feritoad una gamba. (Ettangi, Cirenaica,18 giugno 1913). Ricordiamo pureEnrico Angelin, figlio di Angelo e di

La foto lo riprende insieme conuna trentina di soldati alpini, appar-tenenti sia allo stesso battaglionesia ad altre forze militari alpine. Biuti, come gli altri giovani del

«Tolmezzo», lasciò i suoi affetti perpartecipare alla conquista di nuoveterre per un’Italia affamata di colo-nialismo, e sbarcò a Tripoli nel set-tembre 1912, quando oramai eragià stato firmato il trattato di pacetra Italia e Turchia, ma rimaneva dacompletare la penetrazione in Tri-politania e in Cirenaica, luoghi incui non tutti i capi arabi avevanoaccettato la sottomissione.Nell’ottobre 1912, dopo un pe-

riodo d’intenso allenamento allamarcia nel deserto, il suo Batta-glione si unì agli altri – il Feltre, il Su-sa, il Vestore – per costituire l’8°Reggimento Alpini Speciale al co-mando del colonnello AntonioCantore. Adattandosi a combatte-re tra le dune, Giomaria avanzòcon gli altri soldati contro le tribùberbere e in opposizione ai musul-mani alla conquista dell’Altipiano diGorian, luogo in cui, alla fine di feb-braio 1913, cadde la neve che die-de al giovane l’illusione di trovarsitra le sue montagne. Il 20-21 mar-zo fu impegnato a Megarba, men-tre il 23, giorno di Pasqua, nellasanguinosa battaglia di Assabache segnò la fine della resistenzadei ribelli in Tripolitania.Giorni d’intenso logorio. Biuti fu

pure coinvolto il 15 aprile nella bat-taglia di Ograd e il 18-19 giugnonell’operazione per la conquistadell’altipiano di Ettangi, quartieregenerale del nemico, com bat ti -men ti che normalizzarono tutti icollegamenti nei territori della Cire-naica. Prese parte, quindi, agliscontri di Mdauar, il 18 luglio, e diEl Merg il 18 agosto, esattamentequattro giorni dopo la spedizionedella sua cartolina. Nel rivolgersi ai suoi cari, il gio-

vane, infatti, aveva ragione a so-stenere di non pretendere da luitante cose perché siamo al lavo-ro e non si può fare di meglio. Il suo contributo militare nella

guerra libica cessò il 16 settembre,a Tecniz, luogo in cui l’8° Reggi-mento degli alpini respinse e di-sperse notevoli masse di beduini.I primi giorni di novembre, il

Battaglione «Tolmezzo» fu rimpa-triato e con lui il nostro Biuti Pelat,come egli stesso aveva anticipatoai suoi cari.

***Furono molto aspri i conflitti nel

teatro libico di Cirenaica e Tripoli-tania, tra le nostre truppe e quelleturche appoggiate da arabi e be-duini: esplosero in modo partico-larmente cruento a Assaba, in cuimorirono sette soldati del Batta-glione «Tolmezzo» tra i quali gliavianesi Giovanni Basso (soldato)e Giuseppe Patessio (caporale), aEttangi in cui ne perirono quattro,

Alpini al lavoro in Libia.

Libretto pubblicato in onore al Battaglione Tolmezzo (1912-1913).

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dal Diariodi don Romano

Carlon Lucia, nato a Budoia nel1890, che fu colpito a una gambae, rientrato in Italia, nonostante il fe-rimento fu nuovamente impiegatocome tanti altri giovani soldati nellaGrande Guerra in cui morì durantela battaglia sul Carso.

Fu proprio per onorare la gran-de prova di eroismo data dal Batta-glione Tolmezzo e dal suo coman-dante colonnello Antonio Can toredell’8° Reggimento Alpini che fupubblicato un opuscolo, curato da

1.Il Battaglione ebbe feriti 10 Ufficiali e 111uomini di truppe.

2.Alfonso Capecelatro (Marsiglia 1824-Ca-pua 1911).

3.Si tratta di Basso Antonio Giuseppe di Lo-renzo di Antonio e di Rigo Santa, nato inDardago, il 19 marzo 1891. Sarebbe inte-ressante riuscire a individuare qualche pa-rente e magari ricevere documentazioneper approfondire questo tema.

NOTE

vari enti e associazioni della provin-cia udinese. Opuscolo che Valenti-no, fratello di Giomaria, conservòintatto tra i suoi ricordi e che giunsea noi tramite il nipote Luciano.Così recita:

«Settembre 1912-novembre 1913Al valoroso Battaglione reduce dal-la guerra di Libia, al quale va il plau-so del Friuli» per le vittorie de’ beinomi selvaggi per citare l’espres -sione dannunziana. E prosegue.«Friulani! Il Battaglione Alpini ‘Tol-

mezzo’, fiore della gioventù friula-na, bello possente incrollabile fa-scio di energie fisiche e morali, perla grandezza d’Italia fece in Libia ri-fulgere le virtù della stirpe. Ottobattaglie, otto vittorie!Quando la fama le annunziava almondo, in ogni cuore friulano eraun palpito d’orgoglio. […]»

***

E Giomaria continuò a servire laPatria pure lui nella Grande Guerra.

Preghiere per la Pace

Don Romano Zambon annotòperiodicamente nel suo Diarioi momenti più ardui della guerraitalo-turca (1911-’12), invitandoi fedeli alla preghiera peril conseguimento della Pace. Un mese circa dall’inizio delleoperazioni belliche control’impero turco per l’occupazionedella Libia, il 13 novembreil pievano radunò i suoiparrocchiani ai piedi dell’altaredella Beata Vergine della Saluteper affidare alla Madre celestei soldati partiti per Tripoli eper invocare la cessazionedella guerra; il giorno seguenteaffidò alla Madonnai primi soldati periti nella guerradi Tripoli, in cui le perdite subitedall’esercito italiano furono moltoelevate. A Natale il sacerdote commentò:Predicai parlando di GesùBambino, Principe della Pace.Di questa Pace tutti anche oggisentono il bisogno: gli individui,le famiglie, la società. Altrettantoannotò a Capodanno del 1912:

tra i voti da me fatti pel nuovoanno, ricordai quelli fattidal Cardinale Capecelatro,2 circala fine e l’esito felice della guerraitalo-turca.Ma don Romano ripresefiducioso ancora il tema dellaPace, il 14 aprile, in occasionedell’Ottava di Pasqua, dopoil Vangelo tenni io stessodal pulpito il discorso della Pace.Le trattative iniziarono soloa metà luglio.Il 16 settembre, il pievano esultòfinalmente con immensa gioia:Ebbe luogo la Pace! anche seil trattato di Losanna, chericonosceva la sovranità dell’Italiasulla Libia, fu stipulato un mesedopo, il 18 ottobre 1911.Le invocazioni alla Madonna dellaSalute non s’interruppero, perchéil 18 settembre don Romanochiese la protezione pel soldatoBasso Antonio3 residente aTripoli, e due giorni dopo, lessel’ordine del Vescovo pel canto delTe Deum per la pace conchiusacon la Turchia.

E il 27 ottobre 1912 il sacerdoteinvitò a pregare per i defunti dellaLibia, con esequie al Catafalco.Il Trattato di Pace era statofirmato, ma rimaneva da attuarela sottomissione di alcuni territoridelle regioni nordafricane dellaCirenaica e della Tripolitania;per tale motivo gli interventimilitari si protrassero finoall’autunno del 1913.La resistenza araba continuòperò per molti anni ancora.

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23

1939. Scoppia il secondo conflittomondiale. Nonno Toni spera dinon dover partire per la guerra:confida sul fatto di avere già 44anni, di essere il capofamiglia,inoltre una guerra lui l’ha già fatta,tanto è vero che è un reduce dellaprima guerra mondiale, partito asoli diciassette anni. Quindi spe-ra… invece una mattina arriva ‘lacartolina’… richiamato. Fanteria.Destinazione: Palermo.È disperato e preoccupato: de-

ve lasciare il padre anziano, la mo-glie, due figli grandicelli e due piùpiccoli, un’attività commerciale,l’attività di contadino ed infine, maper questo non meno importante,il suo impegno di nontholo di donRomano. Che fare? Non può cer-to scegliere o dire di no. A chi meglio chiedere consiglio

se non proprio al suo pievano? Edon Romano lo rassicura: «Va’ To-ni, parti tranquillo, soi ca mi a var-dà i canais e la fameja, no sta pre-occupate. Va’ e fa’ el to dhover.»E così Toni, tranquillizzato, par-

di Adelaide Bastianello

te. Fortunatamente il suo impegnonon è di lunga durata ed il nonnofarà ritorno da Palermo dopo cin-que o sei mesi. Come promesso, don Romano

mantiene fede al suo impegno etutte le sere puntualmente si pre-senta da Cariola, e con la sola suapresenza rassicura la famiglia: aRosina che, come tutte le giovani,sta preparando il suo corredo dasposa don Romano dispensa isuoi consigli…«attenta, il lavorodeve essere bello dal rovescio co-me dal diritto!»Finalmente ‘la Sicilia’ non ha più

bisogno del nonno e Toni torna acasa sano, salvo e cosa più impor-tante: per sempre, tuttavia il conflit-to è ancora lontano dall’essereconcluso ed i tedeschi fanno faticaa ritirarsi specialmente nel nord-est. Il lavoro nei campi riprende, la

botega è sempre aperta e le incur-sioni della guerra s’inaspriscono.Di giorno i tedeschi vengono aperlustrare le case seminando ter-rore tra le persone per la crudeltà

una storia

da non dimenticaredelle loro azioni; di notte scendo-no dalle montagne i partigiani cherazziano tutto quello che trovanonelle case, portando via sia viverisia uomini o donne per aiutare altripartigiani nascosti sui monti ed imalcapitati, volenti o nolenti, nonpossono opporsi per timore di al-tre, più pesanti rappresaglie. Ilnonno avendo, oltre ad una riven-dita, anche una bella stalla con ot-to mucche che forniscono latte,burro e formaggio è più facilmentepreso di mira per i rifornimenti ali-mentari; di conseguenza le ‘visite’notturne dei partigiani sono quasiquotidiane e le provviste razzia-te… abbondanti. Una mattina, verso la fine di

febbraio del 1945, come accadetutti i giorni appena alzato, nonnoToni svolge il suo primo impegnodella giornata: andà a sonà dì; poilasciato suo padre a governà elstale, va con la careta dho de leGrave a restelà foia, tranquillo per-ché la moglie aiutata dai due figlipiù giovani manda avanti la bote-

come tante…

Nel particolare ingrandito di una foto del 1946 si vedono i smurath (ruderi) della vecchia osteria, in piazza a Dardago, dopo l’incendio effettuato per rappresaglia.

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ga e adempie tutti gli altri numero-si compiti quotidiani della famiglia. All’improvviso, sono circa le no-

ve del mattino, fulminei arrivano inpiazza i tedeschi. Da un camion eda un paio di camionette scendo-no rapidi una quindicina di soldatie con i fucili puntati invadono labotega. Immaginatevi lo sgomen-to, il terrore di nonna Catina, dei fi-gli e dei presenti: «Che succede,cosa vorranno, cosa faccio ora?»Che cosa può essere passato nel-le loro menti in quei primi attimi?Che angoscia può provare unamadre che vede due dei suoi figlipiù giovani in quella situazione digrave pericolo? Tra i militari è presente anche il

famigerato ‘boia’ e questo non la-scia presagire niente di buono vi-sta la pessima reputazione che siè guadagnato in quegli anni dipresenza nei nostri paesi, tanto dameritarsi il soprannome di ‘boia’ovvero giustiziere, fucilatore, ese-cutore, assassino (dalle varie testi-monianze ascoltate nel corso deglianni queste definizioni gli si addi-cono tutte!) Il mistero è presto svelato:«…fuori tutti, il negozio deve

essere bruciato e all’interno anchela giovane figlia, colpevole di esse-re segretamente fidanzata con ilcapo dei partigiani…», oltre a ciòl’accusa che viene rivolta è che «inquesta osteria si dà aiuto e ospita-lità ai partigiani».Questo è il verdetto di colpevo-

lezza, senza se e senza ma, sen-za processi, senza difesa, senzapossibilità di replica. Non importase questo poi non corrisponde averità, perché la ragazza che cer-cano in realtà è un’altra ragazza diDardago più grande e matura dilei, non importa se Rosina è trop-po giovane, non importa se gli‘aiuti’ vengono estorti, rubati:questa è la sentenza, una senten-za senza appello.Qualcuno corre a chiamare il

pievano, don Nicolò; si fa avantianche Bondio Ponte e Carlo More-al, persone in grado di dialogare

con i tedeschi e naturalmente non -no Gigi. Tutti cercano di spiegare alcapitano, di fargli comprendereche tutto ciò non corrisponde alvero, è troppo giovane la ragazza,ha solo diciassette anni! L’impresaè ardua, la trattativa lunga e difficile.La gente del paese è tutta rintana-ta in casa, nessuno osa uscire pertimore di essere portato via o di

In pochi lo conoscevano col suonome anagrafico, per tuttiera il sadico ed efferato «boia»che disseminava il terrorenei nostri paesi.Alfred Donnenburg, natoil 22 gennaio del 1916 aWuppertal in Germania, è statoinfatti un ufficiale nazista,colpevole di eccidi e torturenel territorio della Pedemontanapordenonese.Laureato in Medicina conspecializzazione in Odontoiatria,divenne tenente della Luftwaffee della Sicurezza agli inizi degli

il «boia» chiamato

cadere in disgrazia dei tedeschi. Dopo lunghe, difficili e intermina-

bili trattative o le argomentazionisono convincenti o per la vita di Ro-sina è previsto dall’Alto un progettodiverso, sta di fatto che si arriva adun compromesso con i tedeschi:la ragazza sarà ri spar miata, matutta la casa va bruciata e subito.Quindi vengono ammassati sul-

anni ’40. Fu nominatocomandante del presidio diRoveredo in Piano dove guidòla repressione antipartigianatra la fine del 1944 e l’apriledel 1945.In questo periodo si distinseanche con il soprannome diFoghìn per le sue barbarieincendiarie ai danni di abitazionied edifici appartenenti aipartigiani ed ai loro sostenitori.Rientrato in Germania al terminedella guerra, conclusela sua carriera come primariodi Odontoiatria dell’Ospedale

Sono passati circa dodici anni dal quel terribile momento. Antonio Vettor Cariola, nella foto, ha realiz-zato il suo sogno. Anche in lui come in tutta la comunità – dopo gli anni tremendi della guerra – forte èil desiderio di rinnovare, di ripartire. Bruciata la vecchia Osteria «Là da Moreàl» ora c’è l’Albergo, Bar,Ristorante Montecavallo che per tutti diverrà «Là da Cariola».

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battivo del nonno, immagino chenon si saranno neppure spenti gliultimi fuochi dell’incendio che giànella mente prendeva forma la rico-struzione, il suo nuovo progetto:l’Albergo Montecavallo. Questo so -gno si realizzerà con successo do-po circa dodici anni…Questa è una storia come tan-

te. Ogni famiglia a Dardago e inItalia può raccontare testimonian-ze anche molto più crudeli, brutalie dolorose di questa. Il mio vuolesolo essere il racconto di un tragi-co fatto accaduto nella mia fami-glia, un fatto che viene alla menteogni volta che guardiamo le fotodel matrimonio di mamma, perchélì si può vedere l’osteria bruciata.I ricordi e le narrazioni di queste

testimonianze non devono maispegnersi, perché la mia genera-zione che ha avuto la fortuna dinon aver vissuto, almeno qui inItalia, i momenti tremendi e orribiliche la guerra porta inevitabilmentecon sé, ha il dovere di farsi porta-voce per le generazioni future af-finché le guerre continuino a nonavvenire. MAI.Parlarne sempre per non di-

menticare.

di Colonia, prima di ritirarsiin Renania, nel nord del Paese,dove morì nel 2005.Dai primi anni del 2000 è statosotto inchiesta dalla Procuramilitare di Padova con l’accusadi «violenza privata contro privatinemici mediante omicidio».L’incriminazione è avvenuta dopo70 anni dalla fine del conflittoquando fu riconsiderataed analizzata la documentazionesecretata e Donnenburgfu identificato con precisione.

pericoloso per la sua persona. Così, angosciato, tormentato,

come un leone in gabbia osservada lontano la distruzione di tuttociò che lui aveva creato negli annicon sacrificio, pazienza e determi-nazione.Conoscendo il carattere com-

Foghìn

la piazza, sotto il Balèr, sedie, tavo-li, bicchieri, masserizie varie, il ban-co, le camere da letto e tutto quan-to si può portar fuori dalla casa,mentre i tedeschi attendono chetutto sia pronto. Quando il trasloco è terminato i

soldati spargono paglia un po’ovunque ed accendono il fuoco.La famiglia, sotto il Balèr, stretta alsuo plevan, assiste angosciata edimpotente al rogo: vede ardere,bruciare, andare in fumo la suaabitazione, il suo lavoro, i sacrificidi tanti anni, a causa di un malinte-so, di una soffiata errata, della fe-rocia della guerra, per fortuna chealmeno si è riusciti ad avere salvala vita di un’innocente!Nel frattempo Toni, dho de le

Grave mentre che ’l sea, vede dalontano le fiamme ed il fumo alzar-si alti nel cielo e si domanda chemai stesse accadendo a Dardago,s’incammina veloce verso il pae-se, veloce quel tanto che gli per-mettono la careta e le vacie, ma èpresto raggiunto da un ragazzo in-viato di corsa da nonno Gigi perinformarlo dell’accaduto e per dir-gli di non muoversi e non raggiun-gere il paese, perché può essere

23 novembre 1946. La sposa Rosina Vettor Cariola apre il corteo nuziale accompagnata dal fratelloAgostino. Dietro lo sposo Camillo Bastianello Thisa. Sullo sfondo i muri dell’osteria portano ancora isegni dell’incendio.

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una «Dardaghese»a Montecitorio

Le elezioni del 24 e 25 febbraioscorso hanno portato alParlamento una Deputata diorigini dardaghesi: GiannaMalisani capolista del PartitoDemocratico.

Non è un avvenimento moltofrequente; anzi, deve essere laprima volta che ciò accade nelComune di Budoia.1

Chi è Gianna Malisani?Riportiamo moltosuccintamente il suocurriculum.È nata a Udine il 7 febbraio 1954.Dopo aver frequentato il LiceoClassico «Stellini», si è laureatain Architettura a Venezia.Lavora alla Soprintendenza per ibeni architettonici del FriuliVenezia Giulia ed è Assessorealla Gestione Urbana delComune di Udine. Per i dardaghesi, Gianna è lafiglia di Teresa ParmesanDanùt; i suoi nonni maternierano Paolo Parmesan, figlio diLuigi, e Luigia Bocus Friz, diGiomaria.Quando era piccola, Giannatrascorreva diverse settimaneogni anno a casa della ziaAttilia.La storia della sua famiglia ècaratterizzata da alcunimomenti molto tristi. Pochimesi prima della nascita diGianna, moriva tragicamente ederoicamente il papà, TenenteGiovanni Malisani.

Sulla «Voce del Pastore»,il bollettino parrocchiale diDardago, nel marzo 1954vennero ricordati questi fatti. Vent’anni dopo, in un incidentestradale nei pressi di Rivolto,persero la vita Luigia Bocus(nonna e madre di Gianna eTeresa) e il fratello AntonioBocus. Erano diretti a Udine.l’Artugna riportò questo tragicoevento nel novembre 1974.In questo numero LucianoBocus Friz e Giuseppe ZambonModola ricordano la figura delTenente Giovanni Malisani,papà della neo Deputata.

1.Anche il Senatore Democratico dello Statodel Vermont (USA), Patrick J. Leahy, avevaorigini nel nostro Comune. I nonni materniPietro Zambon Vialmin e Vicenza Buriganaemigrarono negli Stati Uniti all’inizio del’900. (cfr l’Artugna n. 38, anno 1982).

NOTE

di Roberto Zambon

...dalla «Voce del Pastore», marzo 1954

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Il Tenente Giovanni Malisania Madonna di Campiglioper un corso di specializzazionedi roccia (anno 1950).

La Seconda Guerra Mondiale eraterminata. Il Ten. Giovanni MalisaniGiovanin, ritorna dalla prigionia. Sulsuo diario, il 27 luglio 1945, annota:«Finalmente, dopo due anni, rive-do il suolo italiano alle ore 17,05precise. Al Brennero sono scesodal treno e ho baciato un pugno diterra. Dopo mezz’ora si riparte allavolta di Verona». Dopo l’esperienza della guerra edella prigionia, Giovanni Malisani diUdine, classe 1921, desiderava la-sciare l’Esercito, per dedicarsi alsuo lavoro. I suoi superiori lo pre-garono insistentemente di ripren-dere la carriera militare e lui rimase. Aveva tutte le doti di un vero co-mandante alpino; era un uomo for -te, instancabile, esperto di mon - tagna, rocciatore. Era caparbio,au to revole, ma altruista e con ungrande cuore come hanno testi-moniato molti Alpini dardaghesiche prestarono il servizio di levanella Compagnia da lui comanda-ta: la famosa 6a, «La Bella».Nel 1948 conobbe Teresa Parme-san che divenne in seguito sua

TENENTE DEGLI ALPINI DELLA BRIGATA ALPINA JULIA

Giovanni Malisani

moglie. Venivano spesso a Darda-go, a casa nostra, dai nonni e zii diTeresa.Io mi affezionai subito, avevo 12anni e lui mi voleva molto bene. Miraccontava tutte le sue vicende eavventure passate in guerra e inprigionia e mi insegnava le tecni-che per salire in montagna. Per meera come un fratello maggiore.Ottobre 1953. Le nostre forze mili-tari del nord est vennero convo-gliate verso il confine con la Jugo-slavia di Tito: era ancora aperta la«Questione di Trieste» e i rapporti

La piccola Gianna era spesso ospite della prozia Attilia Bocus, a Dardago, nelle case dei Rosit.

di Luciano Bocus

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acciaio. Ce l’aveva fatta! Purtrop-po, subito dopo, una trave o unmasso lo colpì violentemente allegambe. Il Tenente fu sommersodalle acque ma, con le poche forzeche gli rimanevano, riemerse e al-zò un braccio per aggrapparsi allafune. Uno degli Alpini, il caporaleArmando Ranucci, marchigiano, siallungò per soccorrere il suo Te-nente: le due mani si strinsero. Fuun attimo. Anche Ranucci caddein acqua e i due uomini furono tra-volti dalle rapide. I corpi furono re-cuperati nel tardo pomeriggio delgiorno dopo, un paio di chilometripiù a valle.Finiva così, tragicamente, la vita diun grande uomo e di un vero uffi-ciale degli Alpini.I funerali si svolsero in forma solen-ne nella caserma di Cividale del

tra i due Stati erano molto tesi. IlTen. Malisani con la sua Compa-gnia doveva accamparsi nelle vici-nanze di Attimis. Il 29 ottobre, venne allestito l’ac-campamento nel greto del Malina,un torrente che, a ricordo d’uomo,era sempre asciutto.Improvvisamente il tempo peggio-rò e un’abbondante pioggia caddeincessantemente.Alle nove di sera il ten. Malisani e glialtri ufficiali si allontanarono dall’ac-campamento per una riunione coni comandi superiori. Dopo pochiminuti li raggiunse di corsa unaguardia per avvisarli che, all’im-provviso, l’accampamento era sta-to raggiunto dalle acque che scen-devano tumultuose nel torrente. Glialpini erano riusciti a mettersi in sal-vo con quasi tutta l’attrezzatura. Ma un mezzo militare, con sei alpi-ni a bordo, era rimasto in baliadell’acqua. Gli uomini erano riuscitiad assicurarlo alla riva con unacorda di canapa ma c’era il rischioche questa si rompesse. Era ne-cessario intervenire. Senza pen-sarci due volte, il Ten. Malisani pre-se una fune d’acciaio, ne assicuròun capo alla riva e se la mise a tra-colla: pesava 50-60 kg. Con gran-de coraggio e forza d’animo scesenell’acqua tumultuosa e, aggrap-pandosi alla corda di canapa, riu-scì a raggiungere gli alpini in peri-colo e ad agganciare la fune di

1899

LUIGIA113

1901

AUGUSTA

1858

LUIGIPARMESAN

TERESAZAMBON

1887

LUIGIAMARIA

1891

ANGELO

1893

SILVIO

1895

ROMANA

1898

PAOLO

1901

EUGENIO

1904

PASQUALE

MARIAIANNA

1824

ANGELOPARMESAN

MARIAPELLEGRINI

1798

GIOMARIADANUT

PARMESAN

TERESA

1921

GIOVANNIMALISANI

1954

GIANNA

Teresa Parmesan, madre dell’Onorevole GiannaMalisani, con la cugina Fernanda Zambon.

Le origini dardaghesi di Gianna Malisani

Lapide commemorativa a Nimis.

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29

Il ricordo

1.Teresina Parmesan Danùt, figlia di Paolo edi Luigia Bocus, di Dardago.

NOTE

1818

GIOMARIAFRIZ

BOCUS

1819

ANTONIAMARIN

ZAMBON

1841

SANTO

1838

LUIGIA BASTIANELLO

1874

GIOMARIA

1878

AGATAPINAL

ZAMBON

1903

ATTILIA

1911

ANTONIO

1914

GENOVEFFA

1905

VALENTINO

1906

ADAMO

di un suo alpino

Giuseppe Zambon Modola,classe 1928, è commossoquando ricorda la figura delTen. Giovanni Malisani.«’l era pì che un pare: al meportava ’n tel palmo de la man.Era più che un padre: miportava nel palmo della mano».Questo è il primo commento sulsuo comandante. Negli anni1949/50, Bepi faceva il serviziomilitare nella 6a Compagnia,detta «La Bella», del BattaglioneTolmezzo.«Nella Caserma Del Din, aTolmezzo, c’erano diversi alpinidi Dardago e di Budoia, eil Tenente, che era fidanzatocon la Teresina Danut,1 avevauna certa simpatia per noi cheeravamo compaesani dellamorosa. Mi ricordo di UgoZambon Curadela, di MarioBastianello Carnitha, di FerneZambon…Era benvoluto, però, da tuttii suoi alpini. Durante le marce,se qualcuno era in difficoltà,lui era capace di prenderglilo zaino per fargli riprenderefiato. Sapeva comandare e farsiobbedire senza ricorrere allepunizioni.Nella Compagnia c’era untenentino appena arrivato dallaScuola Militare. Seguivascrupolosamente tutte le regolee le punizioni fioccavano.Più di qualche volta, Malisanilo consigliava di buttar viail manuale: «Gli alpini devicapirli, bisogna saperli prendere

dal verso giusto» gli diceva.Mi ricordo che avevo ricevutoun permesso: non vedevo l’oradi tornare ma non avevo i soldiper il viaggio. Il Tenentemi diede i soldi necessariraccomandandomi di salutarglila «nonna» Agata. Quando giunse il momentodel congedo, il Tenente miconsigliava di rimanere:«Bepi resta sotto le armi, quiti trovi bene; fuori son tempigrami e non si trova lavoro». Ma io non ero tagliato perquella vita e tornai a casa.«’l era, propio, pì che un pare:al me portava ’n tel palmo dela man».

Friuli, dove prestava servizio. La-sciava la moglie Teresa che era inattesa della loro primogenita. Nelfebbraio del 1954 nacque Giannache ricorda, con il nome, il suoeroico papà.Al Ten. Giovanni Malisani venneroconferiti un Encomio solenne mili-tare e la Medaglia d’Oro al ValorCivile della Fondazione Carnegie.Vicino al luogo della tragedia fueretto un monumento con una la-pide che ricorda il sacrificio del Te-nente Malisani e del Caporale Ra-nucci. Molti furono i trofei per garedi sciatori e di rocciatori dedicatialla sua memoria.La figura del Tenente Malisani è ri-cordata in vari libri sugli Alpini dellaJulia e anche nel Museo della Bri-gata nella Caserma Di Prampero aUdine.

a cura della Redazione

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arianna era rimasta incinta do-po un periodo di tre mesi trascorsoa Venezia per un intervento ad unocchio; in quella città il marito lavo-rava come scalpellino e la donnadovette subire i rimproveri dellasuocera, che vedeva aumentare lebocche da sfamare.Amalia si rivelò subito una bim-

ba di carattere, intelligente, curiosadi conoscere. La maestra delle ele-mentari era Jone Landi Patrizio, diorigine senese; frequentò fino allaterza elementare ma il desiderio disapere la portò a leggere molto,abitudine condivisa con molti fami-gliari appassionati lettori, chi dipoesia, chi del melodramma, tuttidelle vite dei santi e di romanzi diavventure. Amalia leggeva e rileg-geva Cuore, si commoveva sem-pre all’episodio Dagli Appennini alleAnde, quando Marco, da Genova,si imbarca alla volta del Sud Ameri-ca (Argentina), e forse la scelta divita che avrebbe fatto in futuro ha lesue origini in questa storia.

In alto. Suora Maria Venanzia con la piccolaGabriella Panizzut.

Trascorse la sua infanzia sere-namente nella sua numerosa fami-glia e dimostrò subito un particola-re attaccamento alla religioneCattolica, ma i genitori, pur essen-do praticanti e religiosi, temetterouna ipotetica «vocazione». Quan-do Igina si sposò e seguì il marito,maresciallo dell’esercito, a Bolo-gna, Amalia venne mandata pres-so questa nuova famiglia, per aiu-tare la sorella che aveva unabimba, Aurora, ed aspettava il pic-colo Sergio. L’intento era di distrar-la e farle vedere una grande città;ma accompagnando i bambiniall’asilo dalle suore, la ragazza raf-forzò il suo desiderio di appartene-re alla Chiesa.Come ultimo tentativo i suoi de-

cisero di mandarla a «servizio»dall’avvocato Vitozzi a Venezia, inCalle dei Avocati, su interessa-mento della zia Giovanna. La retri-buzione era misera, ma i «signori»regalavano anche vestiti dismessi,infatti il fratello Riccardo con una

Suor Maria Venanzia,una vita per i «suoi» bambini

di Alberta e Gabriella Panizzut

Amalia Panizzut nacqueil 27 gennaio del 1911 a Budoia,da Marianna Del Maschioe Giovanni, ultima di sette figli:Umberto, Riccardo, Igino(morto a quattro anni), Ines,Igina, Marco e Amalia appunto.

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giacca dell’avvocato ha accompa-gnato all’altare la figlia Noemi (Al-berta).Aveva avuto anche una simpa-

tia particolare, forse un amoreadolescenziale, per un ragazzodella famiglia Cardazzo (de Marti-gnol), poi il giovane si trasferì in To-scana e probabilmente anchequesta delusione contribuì a raffor-zare la vocazione. A questo punto la famiglia non

si oppose più e Amalia partì perParma per far parte delle PiccoleFiglie dei Sacri Cuori di Gesù e Ma-ria, un istituto religioso femminile didiritto pontificio fondato a Parmadal sacerdote Agostino Chieppi.Tra le principali attività delle PiccoleFiglie ci sono l’assistenza agli orfa-ni e ai bambini abbandonati, l’istru-zione e l’educazione cristiana dellagioventù, la cura agli infermi e aglianziani. Oltre che in Italia, le suoresono presenti in Cile, Congo, Perù,Svizzera e Turchia.Diventata Suor Maria Venanzia,

durante la Seconda Guerra Mon-diale fu mandata a Villa Minozzo,un Comune in Provincia di ReggioEmilia che ottenne la Medagliad’Oro alla Resistenza. Raccontavasempre di un soldato che chiesealle suore la carità di un po’ di fari-na in uno strano contenitore: unpezzo di stoffa con le frange, l’«as-sorbente igienico» di allora.Finita la guerra la assegnarono

a Potenza, nel Rione Chianchetta.Parlava con i familiari della sua sof-ferenza per non avere un titolo distudio, infatti doveva svolgere solomansioni umili, non poteva inse-gnare ai bambini degli asili. Cova-va il sogno di andare in missione,ma la mamma si ammalò di unmale allora incurabile e che davamolta sofferenza; ebbe il permes-so di rimanere lungamente a casae amorevolmente la accudì fino al-la morte. Dopo la perdita dell’amata ma-

dre si sentì libera di intraprendere ilsuo sogno: partire in nave da Ge-nova per andare in Sudamericacome Marco. Per lei la meta era il

Cile, sede di missione delle suoreChieppine. Come regalo, dalla fa-miglia, volle una chitarra, uno spar-tito di «O’ sole mio» e partì; fucommovente per Alberta sua nipo-te e il marito Umberto vedere lasuorina salire sulla motonave Giu-seppe Verdi nel viaggio inauguraledella rotta Genova-Valparaiso conla sua piccola valigia e mescolarsialla moltitudine di persone. Duran-te il tragitto si curò di mettere sem-pre i fiori freschi sull’altare dellacappella a bordo della motonaveed ebbe il tempo di confezionarsiun maglione, infatti il viaggio durò22 giorni. A Santiago trovò una realtà diffi-

cile, un disastro morale e fisico so-prattutto a carico dei bambini ab-bandonati o orfani. Si dedicò a loroper molti anni con tutte le sue forzee con l’entusiasmo e l’allegria chenon la abbandonarono mai. Inse-gnava, cuciva, dipingeva sulla stof-fa, pregava, rallegrava l’ambientecon il suono della sua chitarra. Per-se la vista da un occhio sforzando-si di cucire anche al buio per forni-re da vestire ai «suoi» bambini.Avrebbe potuto trascorrere gli ulti-mi anni della sua vita in Italia, maqui si sentiva in prigione, la sua feli-cità era stare in mezzo alle perso-ne che avevano bisogno di lei, interra di missione, e lì morì, il 19 giu-gno 1988 forse per disturbi cardia-ci, nel sonno. Una suora vicino alsuo letto la sentì sussurrare: «Diomio misericordia». Al funerale par-teciparono molti Italiani che inquella terra avevano avuto occa-sione di conoscere la sua bontà egenerosità, arrivarono con duepullman. La sua sepoltura in unprimo momento fu in un luogo po-co appropriato e i familiari offrironouna cospicua somma di denaro einteressarono l’Ambasciata d’Italiaaffinché la salma riposasse in unluogo decoroso dove si potesseleggere il suo nome e fermarsi peruna preghiera.

Sopra. Suor Amalia con Giovanna Panizzut eRamiro Panizzut.

In alto. Da sinistra, in piedi: Giosuè e Amalia(prima di prendere i voti); sedute Maria e RosinaPanizzut.

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alla mia finestra vedo il profilo della montagna: là sonole case di Dardago, un bel paese sotto una famosa mon-tagna, il Piancavallo.Penso che erano altri tempi, che eravamo più giovani

e anche più poveri. Non avevamo tutte le comodità cheoggi abbiamo.Noi eravamo una bella famiglia. Il nostro papà «Sior

Piero Melocco», come lo chiamavano tutti in paese, eravenuto da Venezia in un momento veramente brutto,1944. Era scappato dagli orrori della guerra e si era rifu-giato a Dardago, che allora era un piccolo centro ma da-va la sensazione di essere un luogo riparato e sicuro. Eraun paese dove la gente si conosceva per nome e doveognuno, a modo suo, collaborava affinché quella fosseuna comunità serena ed unita in quei momenti così diffici-li. A Dardago mio padre Piero ritrovò quella serenità equella pace che aveva perduto a Venezia, in una Veneziadove lui aveva lavorato per anni e dove aveva conosciutola mamma mia, Linda Zambon, di Dardago. A Venezia sierano innamorati e sposati ed avevano avuto due figli:Guerrino e Rina.Ma la guerra non ha mai guardato in faccia nessuno e,

senza complimenti, ha cominciato a creare problemi unpo' a tutti. Mio Padre e la sua famiglia erano in pericolo aVenezia e quindi hanno dovuto cercare un riparo altrove.Fu così che un giorno del 1944 decisero di trasferirsi aDardago, in casa della nostra nonna materna. Io e mia

sorella Bruna venimmo alla luce in questo paese. Per lanostra povera nonna fu una vera «invasione della casa»ma, come ogni famiglia con dei bambini, fu anche per leiuna gioia, un modo per sentirsi uniti e per poter goderedella presenza dei nipoti e della sua amata figlia Linda.La comunità dardaghese era piccola ma aveva biso-

gno di tanti piccoli lavori e sostegni. Mio papà «Sior Piero»era sempre lieto di mostrare la sua disponibilità. Lui era unraffinato intagliatore ed un incisore del legno, un artigianoed un artista di rara abilità e a Dardago egli fece tante co-se per la comunità e per la nostra Parrocchia che avevaben 700 anni. Egli riparò e restaurò i banchi, i confessio-nali e sistemò e creò altre cose per poterla abbellire. SuorAidana, che era quella che lo sapeva affrontare con un belsorriso, gli diceva: «Sior Piero, abbiamo bisogno del suoaiuto per il nostro asilo. »E mio padre rispondeva: «Mi diaqualche minuto per organizzarmi e mi raccomando mimetta da parte un paio di Ave Maria nel mio armadio!» Ri-dendo la suora si allontanava dicendo: «Beh, il solito pa-gamento! Chissà che un giorno non le tornino utili!» «Sì,non si sa mai!» concludeva il mio papà.Come passano in fretta certi anni e come volano via

anche le persone a noi più care: la mia mamma e lo stes-so papà non ci sono più e così la mia nonna e mio fratelloGuerrino. Tutti andati. Andati a riposare ai piedi dellamontagna. Ora siamo rimasti in pochi ma ci vogliamo an-cora bene e siamo uniti nel ricordo dei nostri cari. Mi sonoancora vicine le mie sorelle Rina e Bruna.Vorrei ricordare anche lo zio di mio padre, Giovanni

Melocco. Era un uomo magro ed allegro. Non si sposòmai e lavorò con il papà per tanti anni. Anche lui era unbuon artigiano ed un uomo pieno di buona volontà. Noigli eravamo affezionati e, anche lui, era una parte impor-tante della nostra bella famiglia.Ora il sole sta calando e dalla mia finestra vedo l'om-

bra che sta avvolgendo la montagna e con lei anche Dar-dago e i tanti ricordi ad esso legati.Mi piacerebbe poter dire quanto bene ancora voglio a

questo mio Paese, a mio Padre, a mia Madre e a tuttiquelli con cui ho condiviso questi ricordi. Mi piacerebbepoter condividere questo amore per la terra che ci haospitato e cresciuto e mi piacerebbe dire un semplice«grazie» a tutto il paese perché mi ha riempito il cuore digioia e di splendidi ricordi. Vorrei anche poter condividerequesti sentimenti di amore con i miei figli, come una veraeredità spirituale, e spero che un giorno loro stessi possa-no essere grati per l'ospitalità e l'amore che abbiamo ri-cevuto in questa terra.

dalla miaSTORIE DI FAMIGLIE

finestra…di Paola Melocco

La famiglia Melocco sul sagrato. Da sinistra. Bruna, Rina, Linda, sior Pieroe Paola.

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Desiderando inserirequest’iniziativa nell’ambito delProgetto Annuale «Dalla famiglia,alla scuola, alla società» cheprevede, come tappa iniziale,la conoscenza del contestoambientale, i bambini, in varieuscite nel territorio, hannoscoperto le case, i negozi,la chiesa, la piazza, l’ambientenaturale, il bosco e il torrenteArtugna. Qui hanno potutoraccogliere i materiali per lapre parazione dei lavori di Natale. Per i presepi, sono stati affrontatidue percorsi, uno con

le insegnanti di sezione e uno conl’insegnante di religione.Il primo, partendo dal raccontoNeveade (Nevicata) di EmanueleBertossi, ha inserito il presepe nelcontesto di un paesaggioinnevato dove, in una capanna trale case del paese, nasceil Bambino. Ogni alunno hadisegnato la propria casa suisassi: gli stessi, un tempo utilizzatiper la costruzione dei tipici edificidi questi paesi.Il percorso sviluppatodall’insegnante di religione èiniziato con la spiegazione

La Scuola Statale dell’Infanzia di Dardago si è classificata al 2° posto del «Concorso presepidelle scuole del Friuli Venezia Giulia» di Villa Manin di Passariano.La premiazione si è tenuta venerdì, 1 febbraio, all’Auditorium Re gionale di Udine.Tale premio è frutto dell’impegno delle insegnanti e dei piccoli alunni che hanno lavorato settimaneper progettare e realizzare i presepi. A loro i complimenti e i ringraziamenti della Redazione.

Applausi ai bimbidella Scuola dell’Infanzia

Classe dei «medi» accanto al presepioinnevato.

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L’essenziale natività,collocata all’interno del tino(la brentela) in cui venivapigiata l’uva con i piedi,richiama il lavoro sapientedel vignaiolo.

Le spighe che traccianola scia della Cometaalludono alla vita contadinadei campi.

Il tronco – grotta cheproviene dai sentieridella pedemontana, ricordai boscaioli che là siprocuravano la legna.

I sassi raccolti nel gretodell’Artugna ricordanole vecchie case del paesecostruite, con sacrificio,pietra su pietra.

dell’origine francescana delpresepe (Greccio, 1223) per poiaffrontare il racconto evangelicodella nascita di Gesù (Lc 2, 1-24)valorizzando, così, il significatocristiano del Natale. Il presepio, che significamangiatoia, rappresentandogli aspetti più famigliari ed umani,crea sentimenti di meraviglia,stupore e partecipazioneaffettuosa.Per la raffigurazione della nascitadi Gesù è stato scelto di utilizzarei materiali che richiamano la vita ei simboli del vissuto della nostragente, riferito a un passato nontanto lontano, ma troppo spessodimenticato, un tempo, in cui lavita contadina, il contatto con lanatura, i lavori artigianali davanograndi significati alle piccole cosedella gente comune.Il Figlio di Dio, Gesù, nasce in unafamiglia semplice e povera: unpapà falegname e una mammadedita alla cura della casa, checustodivano nel silenzio del cuoreun mistero straordinario,

Dio che si fa bambino.L’incanto del presepio rivive conil lavoro delle piccole mani deibambini che toccando,scoprendo, raccogliendo eincollando i materiali naturalihanno trasmesso ai personaggie all’ambientazionela loro emozionante fantasia emeraviglia.

A CURA DELLE INSEGNANTI

I materiali utilizzati perrappresentare i personaggi:spezie, bacche, fruttasecca, semi, legno..,richiamano l’ambientenaturale con il quale l’uomosapeva vivere con maggiorarmonia e rispetto.

’N te la brentela

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L’angolodella poesia

Nomi, sorgenti, luoghi di campane, giorni di neve.Piccole storie estinte a cui voltar le spallenel largo del mondo.Qui il mio sguardo.

Spiriti inchiodati chissà perchè e per comein angoli dormienti. Eppure gemme fiorenti.Sussulto di incupite stagioni a verdeggiare.Diviene monte, diviene paese.Mi è permesso tornare.

Valle tenera, terra confinata.Cenni di cristallo, pensieri custoditi,in anime antiche murati,di colpo premono.Sono fontane gorgoglianti e scioltecome le cantilene.Figure improvvise, scaturite, emerse,lasciate aperte alle pagine color seppiadel sillabario.

Segrete le parole sulle pietre.Aperte al cielo le primule e le viole.Liete le mani, gli occhi, il sorrisonel sussulto del gioco che brilla.Nel conta e ricontadel sole e la rosa, di lucciole e regine,di chitarre e contadini.Fanciulle e le trecce disciolte.

Leggero è il discendere del tempoall’indietro.È una danza di sagra, di lumi e di vento.Traboccante di canti, di storie e disegni di stelle.E poi tremore al finire del giorno.Non voglio andare a dormire.

Intanto chiamavo gli anni «domani».E sapevo di miele.Erano basse le nubi di brina.Dimesso era il soleconfinato al pallore dell’inverno,con le sere svelte a venire.Una macchia d’inchiostrosui versi inventati.Il ritmo della voce che leggesvogliata, distratta.Col fumo dei camini.(Le braci si consumano nei veli dei mattini).

Piccole fortezze, dalla memoria contese,dolcemente violate.

Fisso è lo sguardo ai giorni fragili.Ombra con ombra. Pena e abbandono.Temi bambina dal cuore accaloratoil buio della notte e il vento.L’ignoto è così gelido!China e taciturna alla tristezza e ai suoni.In disparte giochi e fuggi.Vieni primavera!Vieni che si stemperano i fiati di cristallo.

Si disperde indietro il tempo,si adagia una scena diversa.È giorno. È caldo. È quasi sera.Profumo dei gigli sull’orto.Scricchiola il balcone.Luci di tramonto svelano la curva della via.

Din. Don. Rito di campane.Tocco e silenzio. Un colpo al cuore.Din, Don. Il cielo doloroso sulla strada polverosa.Din. Don. Ti arride lieve il sospiro appeso a un filo.Din. Don. Il cielo appassionato con la luna ricamata.

Valle tenera, giardino oltre la porta.Fu tuo, fu mio quel sollievo che dilata l’anima?

Arriva sferragliando la vecchia corriera bludal muso camuso.Sulla strada polverosa.L’ultima della sera.– Torna gioia! Torna! –

LAURA MORO

Piccole fortezze

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’N te la vetrina

I Carlon Favre

I novelli sposi Ermenegilda (Gilda) Del Maschio eVincenzo (Cencio) Carlon Favre.

Cencio e Gilda nel cortile della loro casa.

Adriano Carlon, uno dei figli di Cencio e Gilda, motoristain aeronautica, accanto all’aereo S79, all’aeroportoGandurrà di Rodi, nel 1941.

Le nozze di Adriano e Leda Rasi, alla chiesa dei Frari,a Venezia, il 25 aprile 1949.

Adriano con i figli Oscar e Andrea, a Milano, nel 1958. La famiglia nel cortile di casa, negli anni Settanta.

Foto di proprietà di Oscar Carlon Favre.

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Lasciano

l’Artugna porge le più sentitecondoglianze ai famigliari

Bruna Zambon

Cara mamma, il tuo ricordo saràsempre vivo nei nostri cuori.

I TUOI FIGLI FLAVIO E MARIA GRAZIA LORENZINI

un grandevuoto...

Fine anni Cinquanta. Alcuni membri del «Gruppo delle Donne di AzioneCattolica» sul sagrato della Chiesa di Budoia.Prima fila. Da sinistra. Don Alfredo Pasut, ?, Teresina Gislon, signora Tucci,Benvenuta Del Maschio Ariet, … Del Maschio.Seconda fila. Veronica Carlon, Amabile Angelin Carlon, Maria Del Maschio,Luigia Santin.Terza fila. Caterina Carlon Burigana, Caterina Mezzarobba Piai,Gilda Del Maschio, Argelia Vettor Panizzut.

(Proprietà di Milena Burigana, trasmessa da Antonietta Torchetti).

Anni Cinquanta. Giovanni Besa Coda con il pronipote Mario e la sorellaRosa (moglie di Angelo Dedor Soela), nel cortile della sua casa in via Comina Santa Lucia.

15 dicembre 1938, nel cortile della canonica di Dardago, Rossanda BocusFrith col thanpedon, le theste e ’l restel assieme a Romano Zambon Pinal,nipote del plevàn, vestito con la divisa da Balilla.

(Proprietà degli eredi di Vittoria Santin).

Natale De Marchi

A tre anni dalla scomparsa di NataleDe Marchi (Natalino) la moglie, i nipotie la famiglia lo ricordano con affetto.

FAMIGLIA RIGO

ANNIVERSARIO

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Venticinque anni! Penso, in tuttasincerità, che sia proprio un beltraguardo per un’associazione eancor di più per un coro. Il coro è una metafora della no-

stra esistenza. Come nella vita, nelgruppo è basilare l’«equilibrio»: levoci devono amalgamarsi affinchénessuna prevarichi le altre, le se-zioni devono distinguersi affinchésiano riconosciute per la loro me-lodia, che però ha la giusta impor-tanza solamente se rapportata al-le altre, i solisti devono ricamarecon la loro unicità timbrica la basecorale, ma senza quest’ultima nonbrillerebbero, il direttore deve tra-smettere il sentimento ed esigererispetto. Se un coro emoziona l’ascolta-

tore vuol dire che ha gli equilibrigiusti come del resto dovrebbeesserlo una società che vuol vive-re bene. Purtroppo in un mondo solo

apparentemente «globale», dovetutti dovrebbero lasciare spazioagli altri, constatiamo che, ancheinconsapevolmente, ognuno dinoi talvolta si chiude in se stessosfuggendo al dialogo e alla ricercadi soluzioni condivise. Evidente-mente nella vita manca il collantefondamentale che esiste nel coro:la musica, linguaggio universaleche insegna a vivere e tollerare.E per questo che dopo cinque

lustri di esistenza tutti i protagoni-

del Collis Chorus

sti che ne hanno fatto parte devo-no andare fieri del Collis Chorus.«In primis» chi ha voluto e fondatoil gruppo, perchè se non ci fossestato l’amico Fabrizio Fucile nonsarei qui a scrivere questo artico-lo. E poi a seguire, in ordine di im-portanza, i direttori, i presidenti, iconsiglieri, i coristi ed i musicistiche negli anni si sono avvicendati.Non ho fatto un conto preciso, maritengo che le persone che hannofatto parte di questa stupenda av-ventura, comincino davvero adessere numerose, soprattutto serapportate alla piccola comunitàdi «Santa Lucia» da dove tutto ènato.Se poi, come me, si ha avuto la

fortuna di ricoprire nel tempo tutti ivari «ruoli» elencati e dopo averguardato sempre tenacemente

di Roberto Cauz

a

ssoc

iazioni

associa

zion

i

25 anni

avanti per superare difficoltà eraggiungere traguardi, si è decisodi fermarsi anche per guardare in-dietro, si scoprono l’orgoglio e leemozioni per ciò che si è dato eciò che si è ricevuto da questasplendida avventura. Cose chegelosamente custodirò nel cuoree che potrò raccontare agli amicied ai miei figli esclamando: c’eroanch’io!Voglio quindi ringraziare tutti

coloro che in questi anni mi hannoaiutato ed hanno condiviso fatichee gioie, augurando ad Anita, neoeletta presidente, un buon lavoroed al Collis lunga vita!

Alcuni dei momenti più significati del concerto. I due attori Valentina De Carlo e Silvio Pasqualettohanno narrato la storia del coro e presentato i vari brani riproposti durante la serata.

Gli orchestrali, il coro e il direttore Roberto De Luca (sulla destra), protagonisti della serata musicalenella Pieve di Santa Maria Maggiore.

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Se penso a quello che provoquando canto mi viene in menteun bel film che ho visto anni faal cinema: Billy Elliott.Anch’io, come il protagonista, incerti momenti, a prove o duranteun concerto, «sparisco».È una sensazione di grandebenessere, di pienezza, un veromassaggio dell’anima.Se penso alle emozioni che hovissuto in tutti questi anni non

Come in un film

È stata un’esperienzaindimenticabile in cui è emersaancora una volta la partegoliardica che ha semprecaratterizzato il gruppo tant’è chea distanza di anni nella memoriadei più, di quella gita, è rimastoindelebile quel gioco tra amici.Per non parlare del sogno checoltivo da anni di fare una grossavincita alla lotteria per fardiventare i coristi dei professionisti

di Bruno Fort

pubblico delle grandioccasioni ha gremito la Pievedi Santa Maria Maggiore diDardago il giorno 26 dicembre2012 alle ore 17.00 in occasionedell’anniversario per il 25° annodi attività del «Collis Chorus».

Una magia avvolgeva tuttii coristi perché siamo riuscitia trasmettere quel «pathos» chesolo l’armonia di voci e la musicasentita riesce a infondere.Abbiamo ripercorso i 25 annidi attività presentando i brani checi hanno caratterizzato nellevarie fasi del nostro percorsocon la presenza di due attori che

in un dialogo molto avvincentehanno raccontato la nostra storiain un susseguirsi di aneddotie ricordi molto graditi da tuttii presenti.Il momento più toccante è statoquando prima dell’iniziodel «Fantasma dell’Opera» eroimmobile con lo sguardo fissoverso il pubblico. La sala immersa nel buio,silenziosa e trepidante.In attesa.Poi… la musica, il virtuosismodegli orchestrali, la direzioneimpeccabile, il coro…L’applauso liberatorio dellaplatea. Qualcosa di unico da vivere.Per pochi istanti. Da portare dentro di sé.Per sempre.

posso non ricordare le telefonateche mi faceva Fabrizio in ufficioda Mestre, all’indomani dellaprova infra-settimanale. Volevasapere tutto: i presenti, gli assenti,i brani che avevamo eseguito,le eventuali difficoltà ed io cercavocon dovizia di particolari disoddisfare la sua sete di «Collis»perché poi il tutto veniva trascrittoin un quaderno speciale. Se penso invece a quella voltache partiti in corriera da SantaLucia di buon mattino alla voltadella capitale per strada abbiamoforato un pneumatico e peringannare l’attesa, mentregli autisti riparavano la gomma,abbiamo improvvisato una gara«al fazzoletto» con il foulard diFrancesco che aveva al collo.

e girare tutto l’anno a far concerti.Lo so che è un sogno ma anchei sogni aiutano a vivere.Ma anche tornare a casa tardidopo un concerto e trovare sullaspecchiera del corridoio un post-itgiallo con una scritta in grande:Grazie per la serata. Bravi! Anchequesta è una grande emozione.Il coro nella sua storia ha vistopassare tante persone che sonocome delle luci: alcune sispengono da sole, altre sonointermittenti, alcune le spegniamonoi, ed altre sono sempre fisse edilluminano la nostra vita.Questo è il «Collis Chorus».

il

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CronacaCronaca

Lucio Fassiner a Roma

Sono trascorsi 70 anni dai terrifi-canti fatti accaduti a Cefalonia du-rante la seconda guerra mondiale,avvenimenti che Lucio Carlon Fas-siner, classe 1922, ebbe modo di

Grecia. Lucio non l’ha riconosciu-to e non ebbe mai avuto modo diconoscerne il nome.Quest’esperienza romana è statacondivisa anche dal figlio Daniele edal nipote Rocco, figlio di Tiziana.Ricordiamo che nel 2011 Lucio fuinsignito di medaglia d’argento, of-ferta dal suo Reggimento ai Reducidell’Acqui, a Pordenone, che si ag-giunse a quella d’onore assegnatanella Giornata del Ricordo a tutti iCittadini italiani deportati e internatinei lager nazisti, nel 1943-45.

I parla de nealtre

Ci ha fatto piacere trovare sul Mes -saggero Veneto dell’8 gennaio2013 un bell’articolo sul nostro pe-riodico.L'autore, Sigfrido Cescut, dopoaver ricordato che l’Artugna hasuperato il traguardo dei quaran-t’anni di pubblicazioni, si compli-menta con la redazione e si soffer-ma sulla «missione» del periodico:Si può ben dire che l’Artugna sia lavoce della comunità di Dardago, di

Festa co’ i Salesiania Santa Luthìa

Gli ex allievi del Don Bosco di Por-denone, promuovono ogni annovarie manifestazioni. Tra queste, ilTrofeo Don Bosco è una delle piùimportanti e significative. Ogni an-no, una statuina in bronzo, conuna reliquia del Santo, viene con-segnato a una parrocchia in cui sisvolgono attività ispirate alla vita eall’insegnamento del grande sale-siano.Per la tredicesima edizione, il tro-feo è stato consegnato a SantaLucia, in occasione dei cinquan-t’anni dalla morte del compaesa-no Mons. Domenico Comin, sale-siano vescovo in Equador.La cerimonia si è svolta il 17 feb-braio con la Santa Messa presie-duta da don Silvio Zanchetta, di-

Budoia e di Santa Lucia,... svolge ilcompito, oltremodo prezioso, dimantenere in contatto con il pro-prio paese d’origine, tante personeemigrate a Milano, Venezia e in al-tre località lontane, anche all’este-ro, dall’Australia alla Svizzera.Segue un dettagliato resocontodegli articoli pubblicati sull’ultimonumero.Un grazie sincero a Sigfrido Ce-scut per questo «pezzo»… non ri-chiesto.

raccontare nel suo articolo «Cefa-lonia: ricordo di un’odissea», pub-blicato nel n. 92, aprile 2001 delnostro periodico.«Il dramma della guerra è spaven-toso – concludeva così il suo arti-colo – per tutto ciò che questacomporta: perdita di vite umane,distruzioni, odio ecc., senza rag-giungere alcun risultato positivo».A seguito della visita di un genera-le nella sua abitazione per un’inter-vista sull’eccidio di Cefalonia del1943, in questi giorni, Lucio haevocato con lucidità la sua odis-sea in qualità di testimone, anchepresso il tribunale militare del Celiodi Roma.L’obiettivo era identificare uno de-gli imputati dell’esercito tedescoaccusato di carneficina del 317°Reggimento Acqui, stanziato in

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CAMERA

Lista BUDOIA DARDAGO SANTA TOTALE %LUCIA

Partito Democratico 174 106 116 396Sinistra Ecologia a Libertà 20 10 6 36Centro Democratico 7 3 2 12

Coalizione Pierluigi Bersani 201 119 124 444 29,58

Il Popolo della Libertà 123 101 33 257Lega Nord 64 70 20 154Grande Sud 1 1Fratelli d'Italia 3 8 3 14La Destra 3 1 4

Coalizione Silvio Berlusconi 194 180 56 430 28,65

Movimento 5 Stelle 181 143 83 407 27,12

Scelta Civica 80 38 40 158UDC 5 3 1 9Futuro e Libertà 1 1

Coalizione Mario Monti 86 41 41 168 11,19

Fare per fermare il declino 16 5 3 24 1,60

Rivoluzione Civile 12 3 7 22 1,47

Forza Nuova 2 2 2 6 0,40

Voti 692 493 316 1501

Bianche 7 5 2 14

Nulle 19 14 8 41

SENATO

Lista BUDOIA DARDAGO SANTA TOTALE %LUCIA

Partito Democratico 169 106 112 387Sinistra Ecologia a Libertà 21 5 7 33Centro Democratico 9 4 2 15

Coalizione Pierluigi Bersani 199 115 121 435 30,76

Il Popolo della Libertà 118 96 35 249Lega Nord 56 67 14 137Fratelli d'Italia 5 9 4 18La Destra 4 2 6

Coalizione Silvio Berlusconi 183 174 53 410 29,00

Movimento 5 Stelle 160 125 72 357 25,25

Con Monti per l'Italia 80 39 40 159 11,24

Rivoluzione Civile 14 3 8 25 1,77

Fare per fermare il declino 14 4 2 20 1,41

Forza Nuova 3 1 2 6 0,42

Movimento Sociale Fiamma 1 1 0 2 0,14

Voti 654 462 298 1414

Bianche 6 4 2 12

Nulle 21 11 7 39

In tei Prath

Nei primi giorni di marzo, DaniloBellet di Vallenoncello era andatoa tagliare legna, come facevaspesso, in tei Prath, in un bosco diproprietà della moglie Renata An-gelin Pelat. Non vedendolo rinca-sare, nella tarda serata i famigliarisi sono allertati. Il figlio Franco haraggiunto Budoia e, scattate subi-to le ricerche, con le forze dell’or-dine si è messo a cercare il padre.In poco tempo, il corpo di Danilo èstato rinvenuto purtroppo senzavita accanto a una catasta di le-gna: un infarto l’ha ucciso. Era unapersona molto stimata e benvolu-ta nel quartiere pordenonese. ARenata e al figlio Franco le nostresentite condoglianze.

La ciasa dei Alpins

Finalmente il Gruppo Ana «BepiRosa» di Budoia ha la sua sede. È stata firmata un’apposita con-venzione con l’Amministrazionecomunale che concede in como-dato d’uso agli alpini un’aula alpianoterra dell’ex scuola di Darda-go, certamente funzionali alle esi-genze del Gruppo.L’inaugurazione della nuova sedeavverrà domenica 28 aprile.

Son dudhi a votà

Il 24 e il 25 febbraio si sono svoltele elezioni politiche per eleggere iDeputati e i Senatori della XVII le-gislatura. Nel nostro Comune su1938 aventi diritto (940 maschi e998 femmine), si sono recati alleurne 1556 elettori (77,45%). Que-sto l’esito del loro voto.

Nóvi consiliérsa la Pro Loco

Il 15 febbraio i soci della Pro Locohanno eletto il nuovo consiglio di-rettivo per il periodo 2013-2014.

Il nuovo presidente è Renato Po-letto coadiuvato da due vice: Ales-sandro Baracchini e Maurizio Car-lon. Il segretario è Mario Povoledo.Questi i nomi dei consiglieri: RosaPia Bravin, Marina Carlon (cassie-re), Oscar Carlon, Luigi Deodato,Gianna Lorenzin, Nadia Modolo,Luigino Morson, Riccardo Poletto,Michele Zambon.Al nuovo consiglio, gli auguri di unproficuo lavoro.

rettore del Don Bosco e animatadai giovani e ragazzi delle nostreparrocchie e dagli ex allievi sale-siani. Dopo il rito sul sagrato c’èstato il lancio di palloncini conte-nenti messaggi a don Bosco scrittidai bambini del paese.

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Nadhal in tei bói,a Buduoia

La filatelia è quella grande realtàche al di sopra di ogni barriera po-litica, sociale e religiosa, riesce atenere in contatto fra di loro unamoltitudine di persone sparse inogni continente di questo nostrocaro Mondo, aggiornandole conti-nuamente con sempre nuove in-formazioni.Da questo, l’idea di alcuni volonta-ri di Budoia di portare una notagioiosa nel Natale 2012, reso me-no allegro a causa dell’inagibilitàdella nostra Chiesa, presentandouna vasta e interessante collezio-ne filatelica dal tema: Natale nelMondo. Una paziente ricerca hafatto mettere insieme emissionipostali dei regimi comunisti, dalContinente Nero, dal cuore del-l’Asia musulmana e tibetana, non-ché dagli stati di fede protestantedell’Oceania, per finire con le dueAmeriche e l’Europa.Questi piccoli quadrettini hannoportato in giro per il mondo la ri-produzione delle opere dei grandiMaestri italiani e stranieri, facen-doli così conoscere anche a quel-le persone che per varie ragioninon possono visitare chiese omusei. Si spera che con l’aiuto dei solitivolontari di poter presentare per ilprossimo Natale una nuova inte-ressante tematica il cui titolo po-trebbe essere «L’uomo e le ali».

FORTUNATO RUI

1942-2012

El marciàt a Dardàc

Non avrà il prestigio dell’anticomercato del bestiame che si svol-geva all’ombra del grande Balérma anche il piccolo mercato setti-manale di Dardago comincia amuovere i primi passi e a crescereassieme al più giovane albero del-la piazza.

Sabato 3 novembre 2012, i settantenni del Comune hanno festeggiato il tra-guardo raggiunto. Dopo la Santa Messa nella chiesa di Dardago, celebrata dadon Maurizio, è seguito un momento conviviale tra i molti ricordi di una vita.L’appuntamento è per il… prossimo traguardo.

Frutta, verdura e pesce (diretta-mente da Chioggia) sono una bel-la opportunità che l’Amministra-zione comunale ha concesso aidardaghesi.Una comodità per tutti, ma soprat-tutto per le persone più anzianeimpossibilitate a spostarsi in altrimercati o nei centri com merciali,per poter avere a disposizione pro-dotti freschi e una maggiore varietàdi scelta.

Un’angolo della mostra filatelica: «Natale nel Mondo».

Puntualmente ogni martedì mattina in piazza a Dardago il piccolo mercato anima la comunità (foto diRoberta Zambon Marin).

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inno alla vita

Ciao a tutti, sono Mariarita Del Maschio e vi presento miafiglia Elisa. Abitiamo a Trieste, la bambina si chiama ElisaFurlani ed è nata il 19 ottobre 2012. Io e il papà Robertosiamo molto felici di questa meravigliosa novità. Vi invio lafoto, vi ringrazio e vi auguro un bellissimo 2013.

Il 28 febbraio 2013 è nato Massimo, a Riva del Garda, perla gioia di mamma Tania Busetti e di papà Riccardo Miori.Anche i nonni Jeannie e Arnaldo Busetti Caporal sonoestremamente felici assieme allo zio Stefano e prozia Olga.

Ciao e Buona Pasqua a tutti!Sono Maya Zambon Rosit, figlia di Massimiliano e Vera Di-sarò. Vi presento il mio fratellino Mattia nato lo scorso 5marzo. Continuerà la tradizione di falegnami di famiglia?

Panevin doimilaetredese

Il panevin epifanico di Dardago sisvolge, come da tradizione, connotevole partecipazione di pubblicoche, osservando la direzione intra-presa dal fumo, ricava gli auspiciper l’anno a venire. Si ringraziano gliorganizzatori e i collaboratori cheogni anno rendono possibile e rin-novano questo nostro antico rito.

’Sto an, un madho sol

Alla tradizione dei madhi non si ri-nuncia mai. Nemmeno se, in viaeccezionale, la chiesa si riempie dimolti fedeli in più rispetto agli annipassati e lo spazio antistante l’alta-re è occupato per l’esibizione delCollis Chorus in occasione dei 25anni di attività. Anziché 10 madhi inrappresentanza delle vie del paese,quest’anno si è scelto di addob-barne solo uno grande per tutto ilpaese. L’ap pun ta mento con le sin-gole personalizzazioni è solamenterimandato al prossimo Natale.

Auguri dalla Redazione!

Il Madho del 2012.

Sopra. Il profilo delle persone messo in risaltodalla luce del panevin.(le foto sono di Francesca Romana Zambon).

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innoalla vita

I 90 anni di nonna Cencia.

Domenica 30 dicembre ci siamo stretti attorno alla nonna Cencia per festeggiare i suoi 90 anni di vita.Dopo la Santa Messa per ringraziare il Signore per i doni ricevuti e ricordare le persone care che non ci sonopiù, la nonna ha spento le novanta candeline e ci siamo dati l’appuntamento per i prossimi compleanni echissà a Dio piacendo ai 100...Auguri da tutti i tuoi pronipoti Bianca, Nicola e Alessandro.

9 febbraio 1963 – 9 febbraio 2013. Raoul Mario Tizianel e Te-resina Busetti hanno festeggiato il loro 50° anniversario dimatrimonio. Hanno festeggiato una vita insieme attorniati daparenti e amici. Felicitazioni e congratulazioni.

A Gloucester, in Inghilterra, il 14 gennaio 2013, Ermellina Si-gnora e Francesco Lacchin hanno festeggiato il loro sessan-tesimo anniversario di matrimonio assieme ai figli Rudy e So-nia, alla nuora Vanda e ai nipoti e pronipoti. Congratulazioni!

Agnese Mazzarolo, figlia di Valeria Zambon e di GiuseppeMazzarolo ha ricevuto il battesimo nella chiesa di Dardago, il20 gennaio 2013. Madrina e padrino sono gli zii EleonoraZambon e Marco Bonacin. Congratulazioni a genitori, zii,nonno Danilo e bisnonna Teresina.

Serena Chiesa e Claudio Feller hanno celebrato il loro matri-monio sabato 5 gennaio 2013 nell’innevata Besenello, pic-colo borgo di una valle trentina. Eccoli felici dopo la cerimo-nia in un’immagine scattata tra i filari di vite, l’antico simbolodi unione e di prosperità.

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I ne à scrit...

Cari amici della Redazione,eccoci anche quest’anno al consue-to appuntamento in cui rinnoviamola nostra gratitudine e ammirazioneper l’amore e l’impegno che investitenel realizzare la bella rivista l’Artugna.Essa riesce a ridurre la distanza fanoi e l’amata Dardago a cui dedi-chiamo questa poesia:

Un luogo è molto più della sommadelle sue parti fisiche;è un deposito di ricordi,un archivio di tutto ciòche è successo entro i suoi confini.Kate Morton

Grazie ancora e buon lavoro!Con affetto,

PIETRO, PIERINA, LEONIDA, ANNA ZAMBON

Carissimi Pietro e sorelle,sempre gentilissimi e generosi. Gra-zie per la bella dedica.

Fiume Veneto, 21 gennaio 2013

l’Artugna · Via della Chiesa, 133070 Dardago (Pn)•

[email protected]

Gentile Redazione,innanzi tutto desidero augurarvi unfelice 2013 e ne approfitto per espri-mere tutto il mio apprezzamento perla rivista che è sempre così bella ericca di notizie e notiziole, grazie adun impegno costante, serio e pro-fessionale di tutti coloro che vi lavo-rano. Non vi nascondo che a metàgennaio incomincio a guardare concuriosità la casella della posta in at-tesa di ricevere la rivista che sfogliosubito con gioia.Ed è proprio leggendo che ho sco-perto l'articolo «un bel lunare» e per-tanto vi chiedo, cortesemente, a chimi posso rivolgere per acquistarneuna copia da regalare alla mia mam-ma che è originaria di Santa Lucia.

25 gennaio 2013

Gentile Redazione de l’Artugna,desideriamo porgere i nostri più sen-titi ringraziamenti per il servizio, nel-l’ultimo numero, dedicato alla mo-stra di pittura di nostro padre AngeloModolo, in particolare la nostra sen-tita riconoscenza a Vittorina Carlonper il suo articolo.

I FIGLI

Carissimi, grazie a voi che ci avetedato l’opportunità di parlare di vostropadre. Vi auguriamo di continuare afarlo conoscere oltre i nostri confini.

Dardago, 28 febbraio 2013

Gentilissima Redazione,tante grazie per l’Artugna. L’aspetta-vo giorno per giorno e il 21 gennaioera nella mia posta. Ho subito apertoe con grande emozione ho visto lamia lettera pubblicata, poi quella fotodel prof. Carlo e anche il mio atto diBattesimo ben documentato.Ho sorriso. vedendo l’ora esatta dinascita e ho pensato al giovane dot-tore che ha dovuto alzarsi presto e

Munsingen, 30 gennaio 2013

Grata per qualsiasi indicazione siatein grado di fornirmi, vi saluto cara-mente e vi auguro un buon lavoro.

NADIA MARAVIGNA

Gentile signora Nadia,grazie per gli auguri, che contrac-cambiamo, e per il cortese e graditoapprezzamento per il nostro lavoro.Cerchiamo di impegnarci sempre dipiù, perché i lettori continuino ad at-tendere «con curiosità» l’arrivo del’Artugna. Abbiamo provveduto aprocurare e a spedirle una copia del«Lunare di Santa Lucia».

Auguri vivissimi di Buon Anno a tutta lacomunità de l’Artugna.

SILVANA ZAMBON – ROMA

Grazie e Buon Anno.GASTONE BURIGANA – VENEZIA

In memoria del mio caro marito Pasquali-no Zambon Canta.

PASQUITA MAIORANO – SARONNO

Auguri di buon anno a tutta la redazioneche con impegno e sensibilità aiuta amantener vivo il legame con i luoghi anoi cari.

DONATELLA ANGELIN – MILANO

In ricordo dei miei nonni Gino Zambon eRomana Basso e di mio papà GirolamoZambon.

FABIO ZAMBON – BELLEGRA (ROMA)

l’Artugna, sempre letta con grande at-tenzione e piacere.

VERENA ZAMBON – TORINO

In ricordo di Ferdinando, Anna, Elisa,Marcella e di Natale De Marchi.

RIGO CARLA – BUDOIA

Vi ringrazio per l’Artugna e vi auguroBuon Anno.

PIETRO FORT – AIRDRIE (SCOZIA)

Grazie! È sempre una gioia leggere l’Ar-tugna. Un saluto a tutti.

LAURA CARLON SACCON – PADOVA

Sono nipote di Leone Busetti Caporal edi Genoveffa Zambon. Scrivete le ricettedardaghesi! Grazie.

LAURA TRADATI – MILANO

[...dai conti correnti]

venire su de Fantin per assistere allamia nascita. Ho fatto leggere l’Artu-gna ai miei figli, nipoti, sorella e ami-ci. Una bella lode per il vostro lavoro!Per me sarà un bellissimo ricordo!Se tutto andrà bene ci vedremo aPasqua, a Budoia.

CARLA DEL MASCHIO

Cara Carla, siamo noi a ringraziartiper aver fatto conoscere l’Artugna atante persone.

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Situazione economica del periodico l’ArtugnaPeriodico n. 127 entrate uscite

Costo per la realizzazione 3.900,00

Spedizioni e varie 300,00

Entrate dal 09.12.2012 al 09.03.2013 5.146,00

Debito precedente 949,00

Totale 5.146,00 5.249,00

bilancio

«L’amore accanto» è un romanzoaffascinante e particolare in cui illettore si sente coinvolto dalla sto-ria della protagonista.Lo stile diretto, incalzante, elegantee armonioso rende il romanzo av-vincente, e, per la fluidità che lo ca-ratterizza, si legge tutto d’un fiato.«La vicenda si svolge a Venezia in

un bellissimo palazzo gotico, af-facciato sul Canal Grande, doveabita Dafne, una illustre scrittricedal carattere imperioso…».È da leggere per scoprirne pianpiano tutti i dettagli e i diversi signi-ficati. Il lettore non se ne pentirà.Il libro è acquistabile nelle librerie.A Venezia, a «La Toletta Librerie».

L’amoreaccanto

Antonio ZanchetStudio LT2Venezia, 2009

recensione[ ]

Le nostre tre parrocchie organizzano una

GITA A ROMA DAL 27 AL 31 AGOSTO 2013.

La gita vedrà il primo giorno la visita di Orvieto con la splendidaCattedrale che conserva il corporale del miracolo di Bolsena.A Roma verranno visitati i principali monumenti della Città Eternasia quelli religiosi che quelli dell’antichità romana.Avremo modo il mercoledì 28 di partecipare all’udienza colPapa Francesco nell’Aula Paolo VI, ci sarà un’escursione in notturnaa piazza Navona e centro. Concluderemo con una escursionea Subiaco famoso centro monastico benedettino immerso inun panorama mozzafiato. Si concluderà la gita visitando la CappellaSistina dove è stato eletto il Papa e i musei vaticani.

LA QUOTA DI PARTECIPAZIONE È DI 640 EURO SU ALMENOQUARANTA PARTECIPANTI.

Il viaggio sarà effettuato su pullman gran turismo.Il prezzo comprende tutti i servizi. Stanza singola 27 euro a notte.Hotel tre stelle vicino a piazza San Pietro, quindi nel centro della Città.Le iscrizioni si raccolgono da subito in parrocchia. Il programma piùdettagliato lo si può ritirare in parrocchia. Verranno esposti programmianche in Chiesa.

CON LA PARROCCHIA A ROMA E DAL PAPA

La voce del silenzio

È timido, è semplice,è piemontese…Chissà se gli basterà essersichiamato Francesco per seppellirela pompa della Chiesa e la societàdei consumi, entrambe degeneratea livelli insostenibili. Di sicurouno che al suo primo affaccio dalbalcone si mette in ginocchioe riesce a fare tacere per quasimezzo minuto la folla di Roma puòessere capace di qualsiasi impresa. Mezzo minuto di silenzio, cioè dispiritualità, qualcosa di molto piùampio della religiosità. Le parole trasmettono emozionie pensieri.Il silenzio, sentimenti.Erano anni che lo aspettavamo.Anni orribili di applausi ai funeralie di minuti di silenzio inquinati dacoretti da stadio…Questo terrore di entrarein contatto con se stessi,contrabbandato per empatia edespansività.Questo bisogno di buttare sempretutto fuori, per paura di sentireche cosa c’è dentro, fra la panciae la testa. Il cuore.Il gesuita Francesco ha mandatonel mondo il suono dimenticatodel silenzio.Per trentadue secondi:in televisione un’eternità…una Roma improvvisamente emiracolosamente afona nongli ha sporcato il primo efondamentale discorso a boccachiusa.Ora il suo cammino puòcominciare…Massimo GramelliniLa Stampa, 14 marzo 2013.

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DOMENICA DELLE PALME Dardago Budoia Santa LuciaIngresso di Gesù in Gerusalemme

• Benedizione dell’Ulivo, sagrato piazza sagrato Santa Messa di Passione 11.00 9.30 9.30

• Apertura della solenne Adorazione – 17.00 – Eucaristica delle 40 ore

• Santa Messa Vespertina – 18.00 –

LUNEDÌ SANTO

• Solenne Adorazione Eucaristica e Santa Messa – – 16.00/17.00

MARTEDÌ SANTO

• Santa Messa 9.30 – –• Solenne Adorazione Eucaristica 10.00/11.30 – –

MERCOLEDÌ SANTO

• Santa Messa – 9.30 – Solenne Adorazione Eucaristica – 10.00/11.30 –• Solenne Ador. Eucaristica per le tre Comunità 20.30/21.30 – – e confessioni

GIOVEDÌ SANTOUltima Cena di Gesù, istituzione dell’Eucaristia

• Santa Messa Vespertina, per le tre comunità; 20.15 – – rito della lavanda dei piedi; riposizione del SS. Sacramento all’Altare del Sepolcro; raccolta salvadanai «Un pane per amor di Dio» e presentazione comunicandi

VENERDÌ SANTORicordo della morte di Gesù. Digiuno e astinenza

• Via Crucis in chiesa 15.00 – _

• Azione Liturgica, adorazione della Croce, – 17.30 – Santa Comunione per le tre comunità

• Solenne Via Crucis per le tre comunità lungo le vie – – 20.15 [in caso di maltempo, la Via Crucis si svolgerà nella Chiesa di Santa Lucia]

SABATO SANTOVigilia di Pasqua, attesa della Risurrezione

• Benedizione del fuoco ed accensione del Cero Pasquale sul sagrato, Veglia Pasquale e Santa Messa di Risurrezione 20.30 22.00 20.30

DOMENICA DI PASQUA DI RISURREZIONE

• Santa Messa Solenne 11.00 10.00 10.00

• Santa Messa Vespertina – 18.00 –

LUNEDÌ DI PASQUA

• Santa Messa 11.00 10.00 10.00

SettimanaSanta

programma religioso

CONFESSIONI Lunedi Santo – – 16.15/17.15 Mercoledì Santo 20.30/21.30 10.00/11.15 _ Sabato Santo – 15.00/17.00 18.00/19.00

Santa Comunione per anziani ed ammalati durante la settimana.

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Per vestire a festa la tavola nel periodo pasquale,ancor oggi, è in uso decorare le uova.Un tempo i santoli – oltre alla fugatha fata in ciasa –regalavano ai figliocci uova sode colorate: rosseottenute con le bucce di cipolla, verdicon le ortiche, marroni con i fondi del caffè.Non tutte venivano consumate. I ragazzi neriservavano alcune per il gioco del «tiro all’uovo».Dopo Messa o nel pomeriggio, i giovani conqualche adulto si ritrovavano per la singolaresfida. Posizionate a terra le uova, in baseal numero dei partecipanti, a debita distanza ea turno, si lanciava la moneta per cercaredi conficcarla nell’uovo.A volte il soldo (quasi sempre fuori corso) venivada qualcuno affilato per incastrarlo meglio.Quando un giocatore riusciva ad infilarlo, si usavascuotere tre volte l’uovo per assicurarsi chela moneta fosse ben piantata. Solo allora la postain gioco era vinta.I più abili, i più fortunati potevano vincere molteuova: in un solo giorno ne mangiavano più chein un intero anno.Con un po’ di buona volontà, perché non provareancor oggi a riprendere questo gioco in famiglia? Sono cambiate solo le monete, dalle «aquilette»della Monarchia alle «lire» della Repubblica,agli «euro» dell’Europa…

Ma la tradizione rimane immutata.

la tradizione

di Flavio Zambon Tarabìn Modola

del gioco delle uova