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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 GENNAIO 2012 NUMERO 359 CULT La copertina MIGUEL GOTOR Scienziati, artisti e pensatori scelgono le teorie chiave del futuro La recensione STEFANO BARTEZZAGHI Quando un giallo ci fa capire la vita nel ghetto di Varsavia All’interno L’intervista MAURIZIO BONO Kathryn Stockett “Il mio bestseller su bianchi e neri dopo Via col vento” Opera ANGELO FOLETTO La Tosca espressionista in scena a Torino Il libro ALESSANDRO BARICCO Una certa idea di mondo: cos’è l’impegno per gli scrittori Rin-Tin-Tin, storia e leggenda di cane coraggio Spettacoli VITTORIO ZUCCONI Una giornata di Aleksej Navalnyj blogger anti-Putin L’attualità NICOLA LOMBARDOZZI BUENOS AIRES L a Biblioteca Nazionale di Buenos Aires non è più quel- la che aveva conosciuto Jorge-Luis Borges (1899- 1986) a Calle México, nel quartiere di San Telmo. È un edificio moderno nel quartiere della Recoleta che ri- corda vagamente il bunker antiaereo dello zoo di Berlino, e ha vi- cende poco meno militari, giacché il terreno su cui sorge era quel- lo della residenza di Perón, distrutta insieme ad altre vestigia del regime dopo il 1955. Dopo varie vicissitudini, fu alla fine inaugura- ta nel 1992 da Carlos Menem, quello che gli argentini chiamavano El Turco, trasformandolo a tutti gli effetti nel personaggio di una novella di Borges. Così come borgesiana è non solo la grande bi- blioteca, prefigurazione della Biblioteca di Babele, ma anche la storia che ho appreso girando per la biblioteca. (segue nelle pagine successive) MAURIZIO FERRARIS N on è imprudente supporre che arriverà il giorno in cui qualche giornale divulgherà la seguente do- manda: quali sono i tre libri che lei si porterebbe su un’isola deserta?, seguita da un’infinità di risposte più o meno ternarie. André Gide ha confessato di amare questo gio- co e ha ripubblicato alcuni dei suoi cataloghi — eminenti catalo- ghi ragionati, dove non si trovano solamente i nomi, ma anche il perché di ogni predilezione... Io ho provato a fare quel gioco più di una volta, con caratteri di corpo diverso, e ho preso a tal punto l’a- bitudine a quelle triplici ripartizioni di gloria che in mancanza di un altro che mi inviti a farlo, mi ci invito da solo. Comincio con un dubbio che non ha nulla di terribile: il nume- ro 3, sta a significare 3 titoli o 3 tomi? (segue nelle pagine successive) JORGE LUIS BORGES Commenti, poesie, riflessioni Sui frontespizi, ai margini, a pie’ di pagina Ecco i libri autografi dello scrittore argentino E la vera storia della sua Babele ritrovata biblioteca Borges La di ILLUSTRAZIONE DI TULLIO PERICOLI Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 15GENNAIO 2012

NUMERO 359

CULT

La copertina

MIGUEL GOTOR

Scienziati, artistie pensatoriscelgono le teoriechiave del futuro

La recensione

STEFANO BARTEZZAGHI

Quando un gialloci fa capirela vita nel ghettodi Varsavia

All’interno

L’intervista

MAURIZIO BONO

Kathryn Stockett“Il mio bestsellersu bianchi e neridopo Via col vento”

Opera

ANGELO FOLETTO

La Toscaespressionistain scenaa Torino

Il libro

ALESSANDRO BARICCO

Una certa ideadi mondo:cos’è l’impegnoper gli scrittori

Rin-Tin-Tin,storia e leggendadi cane coraggio

Spettacoli

VITTORIO ZUCCONI

Una giornatadi Aleksej Navalnyjblogger anti-Putin

L’attualità

NICOLA LOMBARDOZZI

BUENOS AIRES

La Biblioteca Nazionale di Buenos Aires non è più quel-la che aveva conosciuto Jorge-Luis Borges (1899-1986) a Calle México, nel quartiere di San Telmo. È unedificio moderno nel quartiere della Recoleta che ri-

corda vagamente il bunker antiaereo dello zoo di Berlino, e ha vi-cende poco meno militari, giacché il terreno su cui sorge era quel-lo della residenza di Perón, distrutta insieme ad altre vestigia delregime dopo il 1955. Dopo varie vicissitudini, fu alla fine inaugura-ta nel 1992 da Carlos Menem, quello che gli argentini chiamavanoEl Turco, trasformandolo a tutti gli effetti nel personaggio di unanovella di Borges. Così come borgesiana è non solo la grande bi-blioteca, prefigurazione della Biblioteca di Babele, ma anche lastoria che ho appreso girando per la biblioteca.

(segue nelle pagine successive)

MAURIZIO FERRARIS

Non è imprudente supporre che arriverà il giorno incui qualche giornale divulgherà la seguente do-manda: quali sono i tre libri che lei si porterebbe suun’isola deserta?, seguita da un’infinità di risposte

più o meno ternarie. André Gide ha confessato di amare questo gio-co e ha ripubblicato alcuni dei suoi cataloghi — eminenti catalo-ghi ragionati, dove non si trovano solamente i nomi, ma anche ilperché di ogni predilezione... Io ho provato a fare quel gioco più diuna volta, con caratteri di corpo diverso, e ho preso a tal punto l’a-bitudine a quelle triplici ripartizioni di gloria che in mancanza diun altro che mi inviti a farlo, mi ci invito da solo.

Comincio con un dubbio che non ha nulla di terribile: il nume-ro 3, sta a significare 3 titoli o 3 tomi?

(segue nelle pagine successive)

JORGE LUIS BORGES

Commenti,poesie, riflessioniSui frontespizi,ai margini,a pie’ di paginaEcco i libriautografidello scrittoreargentinoE la verastoriadella suaBabeleritrovata

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Repubblica Nazionale

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(segue dalla copertina)

Borges ha diretto la Biblioteca dal 1955 al 1973, no-minato alla caduta di Perón, di cui era un fermo an-tipatizzante, e dimissionato subito dopo il ritornodel generalissimo. Aveva scritto una poesia quan-do ricevette la nomina, in cui ironizzava sull’iro-nia di Dio che aveva pensato di dargli, insieme,

una miriade di libri e la cecità. Non è la sola ironia, perché per cac-ciarlo si sostenne che ne aveva rubati. Perciò, prima di andarse-ne, convocò uno scrivano che constatò la proprietà e fece la listadelle opere che dovevano essere ritirate dall’ufficio, perché ap-partenevano a Borges che le aveva portate lì per controllare i ri-ferimenti delle sue Opere complete, pubblicate durante la sua di-rezione, e per altri lavori del periodo (ad esempio il Manuale dizoologia fantastica, del 1957). Dei libri di sua proprietà ne lasciòun migliaio alla Biblioteca, perché Borges non rubava libri, macompiva l’azione simmetrica, regalandoli. A casa non ne tenevapiù di millecinquecento, molti li dava ad amici per far spazio anuove letture, e giunse sino ad abbandonare pacchi di libri neicaffè. Gli impiegati, peronisti, non si diedero molto da fare pertimbrare come «fondo Borges» e classificare questi libri (che si ri-conoscono perché sul frontespizio c’è la firma di Borges e la da-ta in cui li aveva comprati), che si dispersero come aghi in un pa-gliaio di novecentomila volumi.

Due giovani ricercatori, Laura Rosato e Germán Álvarez, im-piegati nella Biblioteca, con un lavoro di dieci anni li hanno re-cuperati. Il risultato è un grande catalogo: Borges, libros y lectu-ras raccoglie cinquecento titoli, gli altri, per il momento nonpubblicati, sono o doni di scrittori amici o libri che richiedevanolavori di restauro. Per ritrovarli nel pagliaio il trucco è stato, in unautore così iper-letterato come Borges, partire dalle sue opere,

guardare le fonti che citava, e di lì appunto andare a frugare. Poi,da un libro si trovavano gli altri, visto che ogni libro rinviava adaltri libri, come Pollicino. Abbiamo così le letture (e soprattuttole riletture) di Borges come ce le darebbe la cronologia dei siticonsultati dal nostro computer ma in modo molto più selettivoe sulla distanza cronologica di trent’anni e più. Come in un Webcartaceo Borges mette in dialogo autori disparati, con un siste-ma di rimandi: “Cf.”, “vide” (dove si amplia il concetto segnato),ma anche il “sed contra”, dove si crea l’opposizione. Questo leg-gere scrivendo, e scrivere leggendo, non ha niente di sistemati-co. Borges è per sua ammissione un lettore edonista. Si fa guida-re dal principio di piacere, che però molto spesso lo porta più aisaggi che non alla letteratura.

Ci sono letture filosofiche: da Anselmo d’Aosta che lo attraeper la prova ontologica, al libro della Anscombe su Wittgensteina quello di Augusto Guzzo su Giordano Bruno; Gentile sul pen-siero del Rinascimento italiano, Nietzsche (le Considerazioniinattuali) e soprattutto l’amatissimo Schopenhauer. Il che nonsorprende per un autore che considerava la filosofia un ramodella letteratura fantastica. Ma c’è anche il libro di Samuel Butlersui santuari del Piemonte e del Canton Ticino, quello di HoustonStewart Chamberlain (l’autore amatissimo da Wagner e da Hi-tler) su Goethe, quello di Max Brod su Kafka, e Jung e Hume, Plu-tarco e Poe, Strindberg e Tasso. Più una molteplicità di anonimi,di compilazioni, di minori. Molto Croce, ma soprattutto sulla let-teratura (Ariosto, Carducci...), le saghe nordiche e quelle orien-tali e la letteratura secondaria sull’argomento, e, sopra tutti, l’a-matissimo Dante, in molte edizioni e commenti.

Generalmente nella lingua originale dei libri (Borges leggevaoltre che in spagnolo in italiano, francese, tedesco, inglese e lati-no), le annotazioni non invadono mai il testo e consistono in unriuso giudizioso di quello che Gérard Genette ha chiamato «pa-ratesto», giacché si trovano sul frontespizio o alla fine del libro, eraramente sulla copertina, come in una edizione tascabile del-l’Amleto. Sono in gran parte nello stampatello minuscolo, le let-tere “come formiche” che Borges elesse come la propria grafìa.E dopo il 1954 e la cecità la scrittura è quella della madre LeonorAcevedo de Borges, che vediamo fotografata sulla copertina delcatalogo mentre scrive e postilla per il figlio nell’appartamentodi calle Maipú 994. Le annotazioni sono in apparenza imperso-nali, e consistono molto spesso nella scelta di espressioni, pro-prio come nei taccuini che Erasmo raccomandava di tenere aisuoi discepoli. Ma proprio nella loro impersonalità catturano l’i-dentità di Borges. Lui è quei libri e quelle citazioni ne definisco-no l’originalità. Lui è quel compendio incarnato.

In qualche caso, però, la pagina diventa lo spazio su cui ela-borare progetti di libri a venire. Come per esempio quando nelfrontespizio di un libro tedesco di occultismo troviamo il pro-

getto di un saggio che avrebbe dovuto uscire dopo la Storia del-l’eternità(1936), e che si troverà in parte in altre raccolte, soprat-tutto in Altre inquisizioni (1952). A volte invece nei frontespizi oin fondo ai libri Borges lascia tracce delle sue amicizie, per esem-pio The Principles of Mathematics di Russell, in cui scrive che è«regalo di Bioy Casares» (che sempre Borges considerò come ilsuo tutore logico), o degli amori, come quando annota la data diun appuntamento con Estela Canto al fondo di un’edizione del-l’Infernodi Dante, oppure ancora della vita pubblica, quando nelfrontespizio della Vita di Schopenhauerdi Wilhelm Gwinner tro-viamo la lista delle sue conferenze tra il 1949 e il 1952.

In un caso, poi, il libro diviene il supporto per una poesia ri-masta inedita sino a oggi. Si tratta dell’ultima pagina del quartovolume del libro del teologo Christian Walch sulle eresie e le lot-te religiose dopo la Riforma (1773, undici volumi) comprata du-rante il soggiorno europeo. La poesia data 11 dicembre 1923, po-co prima della partenza dall’Europa, e sembra contenere ironi-camente il giovane Borges, che si lascia andare ai sentimenti, ilBorges maturo, poco incline a esprimerli, ma appassionato dieretici, catari e guerre di religione, e soprattutto il Borges che ciha raccontato come i libri nascano da altri libri, e l’immediatez-za sia il frutto della mediazione:

la speranza/ come un corpo di ragazza/ ancora misterioso e ta-cito./ ancora non amato di amore/ e una chitarra che appassio-natamente muore e con sollievo/ dolorosa risorge/ e il cielo sta vi-vendo un plenilunio/ con il rimorso e la vergogna della/ insoddi-sfatta speranza e di non essere felici

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DOMENICA 15 GENNAIO 2012

Dopo il 1954 e la cecitàla calligrafia delle postille

è quella della madre Leonor

La copertinaOpere complete

Note a margine sulla mia Babele

MAURIZIO FERRARIS

BORGES

JORGELUIS

Sulla copertina dell’“Inferno” di Dante, sul frontespizio di “Moby Dick”,alla fine dell’“Amleto”. Lo scrittore argentino amava annotarei suoi commenti letterari o gli appunti per progetti futurisui volumi che avrebbe poi donato alla Biblioteca

di Buenos Aires. Dimenticati per anni tra archivi e vecchi scaffaliora riemergono insieme a una poesia inedita e a una lista davvero speciale

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 15 GENNAIO 2012

(segue dalla copertina)

Nel primo caso, penso (diremo) ai trenta e passa volumi dell’EncyclopediaBritannica, ai tre del Dizionario di Filosofia di Mauthner, e alle operecomplete di Schopenhauer, di Butler o di Shaw.

O (se preferite) ai sei volumi di Decadenza e caduta dell’Impero romanodi Gib-bon, alle opere complete di De Quincey o di Edgar Allan Poe, e ai Saggi di Michelde Montaigne. Ma è un inutile raggiro imbastire di queste liste. La drammaticitàdi questa domanda e le frugali circostanze di Robinson sembrano respingerle.Lo spettacolo di un naufrago su un’isola non si addice alla Biblioteca del Vatica-no o ai 386 volumi del Patrologiae cursus completusdi Padre Migne. Tre libri vuoldire tre tomi: deve volerlo dire.

Fatto un chiarimento, conviene procedere a un secondo, non meno assio-matico. Parlare dei tre libri che uno si porterebbe su un’isola deserta, non signi-fica parlare dei tre libri più importanti dell’universo e nemmeno dei tre libri piùmemorabili nell’esperienza personale. Né la storia generale della stirpe né la bio-grafia dell’individuo sono in gioco. L’importanza del Corano è indiscutibile, mal’inferno promesso nelle sue pagine è meno atroce di un’isoletta senz’altra bi-blioteca se non un esemplare del Corano. Il Martín Fierro è ammirevole, ma loso quasi a memoria, e poi a che serve portarsi un volume già assimilato, già con-sustanziale con il mio spirito?

In questi cataloghi di tre libri per tutta la vita c’è l’usanza di includere qualchefamoso romanzo o qualche libro di versi. Quelli che fanno così non si sono im-maginati il terrore e la solitudine dei giorni uguali di Robinson. Per quel tragicouomo in isolamento nulla è pericoloso quanto il ricordo. Libri di passione, libridi rapporti umani, non otterrebbero altro che farlo disperare. Niente libri cheimplichino il rapporto uomo-uomini; unicamente libri che implichino il rap-porto uomo-Dio, uomo-numeri, uomo-Universo. Niente libri che si lascino leg-gere facilmente e subito si esauriscano; unicamente libri che è necessario con-quistare poco a poco e che possono popolare gli anni identici.

Propongo finalmente questa lista:1) Un libro matematico (forse la Introduzione alla filosofia matematicadi Ber-

trand Russell, o altrimenti qualche buon testo di algebra, con molti esercizi).2) Un libro metafisico (forse Il mondo come volontà e rappresentazione di Ar-

turo Schopenhauer).3) Un libro di storia sufficientemente remota (forse Plutarco, forse Gibbon,

forse Tacito).Traduzione di Luis E. Moriones

Ha collaborato Francesca CarusoIl manoscritto La biblioteca di Robinson Crusoe di Jorge Luis Borges,

è stato fornito dall’Harry Ransom Center, centro di ricerca per gli studiumanistici dell’Università del Texas. Nato nel 1957, il centro colleziona diversi

manoscritti originali di scrittori: da James Joyce ad Arthur Miller

Io, Plutarco e Schopenhauerperduti su un’isola deserta

JORGE LUIS BORGES

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SU LA VITA DI SCHOPENHAUERSulla biografia del filosofo a opera di Wilhelm Gwinner

riporta la lista delle sue conferenze tra il 1949 e il 1952,

alternata a note in inglese e in tedesco

118: la vita è un discorso

216: capita di dimorare insieme in questo mio grigio...

387: la Natura è diabolica, non divina

SU DANTESu La Divina Commedia le note sono in italiano

77: senza alcun sospetto: senza alcun timore

172: con corpo taurino e viso umano

3: è la spiegazione del Buti

283: dolce stil novo

2: Dolce color d’oriental zaffiro

SU MOBY DICKSul romanzo di Melville, edizione 1926, annota

457: agitavano le loro chiome di ferro

311: (in inglese) le tue analogie collegate

204: (in inglese) un’orribile allegoria

428: (in inglese) gli specchi gli rimandano

il suo stesso misterioso essere

SU JOHN DONNESulle poesie di John

Donne annota riferimenti

alla luna associata

alla regina Elisabetta I

e alla dea Diana

citando il sonetto 107

di Shakespeare

The mortal moon hath hereclipse endured(La luna mortale ha subìtola sua eclissi)

SULL’OCCULTISMOSu Das jenseits der Seele,un testo di occultismo

tedesco del 1919, segna

varie note per un progetto

di saggi: La biblioteca

totale; Gli eredi di Zenone;

La dottrina dei cicli

SU TAGORENote di Borges scritte dalla madre

sulla controcopertina dell’edizione

di Nazionalismo di Tagore del 1917

122: quelle frontiere erano vere

131: cos’è una Nazione?

133: una fiducia nel nostro futuro

SUI PRINCIPI DELLA MATEMATICA DI RUSSELComincia annotando nome e data: Jorge Luis Borges,

Buenos Aires 1939, regalo di Adolfo (Adolfo Bioy Casares)

Poi sotto prosegue con annotazioni in inglese

ix: simboli che non significano niente

v: la matematica e la logica sono identiche

350: il regredire infinito non nuoce

SULLE ERESIESul quarto volume del libro del teologo

Christian Walch sulle eresie e le lotte

dopo la Riforma scrive la poesia datata

11 dicembre 1923 e rimasta inedita:

“la speranza/ come un corpo di ragazza/

ancora misterioso e tacito/...”

L’INCONTRO D’AMORESu Browning: Background and Conflictdi F. R. G. Duckworth, edizione del 1931, è riportata

con la calligrafia di Estela Canto la data

di un appuntamento d’amore tra i due:

“Giovedì 2 agosto, luogo e ora (tre e mezzo) abituali

Ti sento intensamente e allo stesso modo ti amo”

Repubblica Nazionale

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MOSCA

Il dissidente più famoso di Russia vain ufficio di buon mattino. Passa lagiornata al computer e poi beve unabirra con gli amici. La sera resta

spesso in casa a guardare i Simpson in tvcon la moglie e i due figli. Non ha paura, ofa finta di non averne. Lo hanno messo incarcere per quindici giorni, «ma è stataquasi una vacanza», passata a giocare acarte e a mangiare tavolette di cioccolata. Imilitanti gliene hanno spedito quasi settechili. «Ragazzi affettuosi ma con poca fan-tasia, nessuno che abbia mandato un sala-me o qualche panino al tonno». Per il restogira per Mosca senza precauzioni partico-lari. «In autobus vedo che non mi ricono-sce proprio nessuno. Ogni tanto è arrivataqualche minaccia ma non è mai successoniente. Temevo che mi bucassero le gom-me dell’auto. Nemmeno quello».

Gioca un po’ Aleksej Navalnyj, avvocatodi trentasei anni, capelli biondi a spazzola,occhi blu e aria eternamente finto-imba-razzata. Sa bene di essere il leader naturaledella cosiddetta Primavera di Mosca e ilprimo nella lista non scritta dei nemici delCremlino. Gli fa piacere essere finito sullecopertine di Timee di Esquire, di essere in-vocato da mille blogger come il futuro pre-sidente del Paese. Ma ha ben chiaro chetutta la forza del suo personaggio consisteproprio in quell’aria normale, da cittadinoqualunque senza boria e senza etichettepolitiche. Il tutto ben completato dal suo fi-sico da ragazzone impacciato con le brac-cia decisamente troppo lunghe: «Non rie-sco mai a trovare una giacca della misuragiusta». Alle giacche, e ai vestiti in genere, citiene. Giubbotto di Abercrombie su scarpeda trekking la sera, grigio cappotto di ca-chemire e sciarpina inglese la mattina. An-che nelle manifestazioni di piazza lo ab-biamo visto sfoggiare un look personaliz-zato e molto curato. Lui dice che non c’èniente di male e soprattutto insiste che itempi sono cambiati, che non ha senso fa-re confronti con i dissidenti sotto il regimesovietico. «Era una società molto più pove-

ra e c’era un potere molto più violento. Quinon credo che nessuno di noi rischi di es-sere eliminato o di finire in un gulag». E seprovi a citare il caso di Mikhail Khodorkov-skij in carcere da anni con accuse palese-mente inventate, precisa: «Lui è un oligar-ca, che voleva fare politica. Un caso di re-golamento di conti interno. Quelli comeme denunciano tutto quello che non va. Epossiamo documentarlo, abbiamo le car-te. Per questo è difficile farci star zitti».

Basso profilo apparente e ostentata si-curezza. La “strategia Navalnyj” è tutta qui.La vedi fisicamente riprodotta nel suo uffi-cio di via Letnikovskaja. Un vecchio palaz-zo restaurato al ridosso delll’Anello deiGiardini che contiene il centro della capi-tale. Navalnyj fissa lo schermo con le gam-be allungate sul tavolo che da questa partiè considerata un’abitudine «molto ameri-cana». Il tavolo è grande e ha dodici sedieche evocano immagini di lunghe, demo-cratiche, riunioni operative. In realtà resta-no spesso vuote perché l’uomo è un deci-sionista che, qualche volta, diventa perfinoun po’ autoritario. Ma i suoi lo amano e gliperdonano tutto come da copione in tutti iritratti dei grandi leader. L’ufficio, in affit-to, è sede della sua creatura, il sito internet

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DOMENICA 15 GENNAIO 2012

Piazza e Web

NICOLA LOMBARDOZZI

L’attualità

“Sì, mi hannomesso in prigioneper due settimane,ma è stata quasiuna vacanza”

Aleksej Navalnyj,una giornatada dissidente

Trentasei anni, alto, biondo,sempre eleganteCon il suo blogè diventato il nemico

del Cremlinoe il leaderdella Primavera russaLo abbiamo incontrato:“Non ho paura”, dice,“i gulag non esistono più”

Repubblica Nazionale

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bizioni presidenziali. La stampa filogover-nativa ha già cominciato a demolire il per-sonaggio: qualcuno dice che è al soldo de-gli americani, sottolineando un lontanostage di sei mesi a Yale sponsorizzato da unaltro dissidente, lo scacchista Kasparov.Altri si lanciano in un complottismo vec-chio stile teorizzando che potrebbe inveceessere manovrato proprio dal Cremlinoper guidare la rivolta ma tenendola a bada.Lui ci ride sopra. «Delle due calunnie pre-ferisco la seconda perché mi sento profon-damente patriottico. L’America è affasci-nante ma non mi riconosco proprio in quelmodello. Anzi, quando sono tornato da Ya-

le ho imparato ad apprezzare di più la miagente, la cittadina militare di Butyn, vicinoa Mosca, dove sono nato. Perfino le acque,ora radioattive, del fiume che scorre vicinoa Cernobyl e dove passavo le vacanze esti-ve ospite della nonna paterna. A modo miorimango un po’ sovietico».

Ultima frase buttata lì per stupire. Comehanno stupito non poco le sue tirate nazio-naliste che hanno turbato molti democra-tici del fronte della contestazione. «Il na-zionalismo è importante. Se lotti contro lacorruzione lo fai per il bene del tuo paese.Ma i fanatici non mi piacciono. Li frequen-to, li rispetto. Tutto qui». Anche con la reli-gione cristiana ha un rapporto utilitaristi-co. «Ho capito quanto fosse importanteleggendo Mosca-Petuskij di Venedikt Ero-feev. Le note a pie’ di pagina mi facevanonotare che tutte le citazioni illuminanti ve-nivano dalla Bibbia. La Chiesa è fonda-mentale. Se non per la fede, certamente perl’immensa cultura che si porta dietro». E lavita del dissidente? «Una vita normale. Ca-sa, ufficio, una straordinaria moglie-ami-ca, due bambini che dicono che papà è uneroe. E un altro vantaggio impagabile: unlavoro che mi diverte moltissimo».

RosPil, un acronimo che sta per «segaturadi Russia» dove il termine «segatura» si ri-ferisce a un’espressione gergale che si po-trebbe tradurre in «ruberie ai danni delloStato». È stata la chiave del suo successo eadesso è alla base della sua strategia futura.

Tutto cominciò con la Svizzera. Un gio-vanissimo Navalnyj figlio di un benestanteex ufficiale dell’Armata Rossa aveva picco-le quote azionarie di colossi a partecipa-zione statale Vtb, Rosneft e Gazprom. Ro-ba insignificante ma il pedante neolaurea-to si interessava alle attività delle grandiaziende con l’entusiasmo di un grande fi-nanziere. E con la competenza di un ap-

passionato blogger con contatti e amiciziein tutto il mondo. Fu così che si scoprì l’esi-stenza a Ginevra di un’azienda, la Gunvor,di proprietà del miliardario Gennadj Tym-chenko amico personale di Vladimir Putin.Tutte le transazioni di gas e petrolio ven-duto dalla Russia in Occidente passano,non si capisce bene perché, da Gunvor. Unsistema, nemmeno troppo nascosto, didrenare incassi destinati allo Stato russo edi dirottarli direttamente per altri miste-riosi lidi. «Ma la cosa più sorprendente fucapire che quando ho messo le informa-zioni in Rete, la cosa interessava moltissi-ma gente. Non solo gli azionisti di mino-ranza delle aziende statali, ma ogni tipo dicittadino onesto».

Nacque così RosPil. Ogni giorno da treanni Navalnyj e la sua squadra mettono inRete tutti gli investimenti di denaro pub-blico decisi dal governo. Dai fondi per il re-stauro del Teatro Bolshoi a quelli perl’informatizzazione degli uffici o delle nuo-ve reti stradali. E attendono che dalla Retegiungano segnalazioni, denunce, docu-menti. Dmitri Volov, avvocato; KonstantinKalmikov, politologo e Lubov Fedeneva,esperta giurista, dai loro ufficetti a fiancoalla stanza del capo, analizzano, verifica-

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DOMENICA 15 GENNAIO 2012

no, pubblicizzano ogni irregolarità. «Il no-stro è un vero e proprio studio legale checombatte la corruzione. Solo prove e do-cumenti, altro che politica. Più gente capi-sce il marcio che c’è nel paese, più genteavrà voglia di scendere in piazza per man-dare via questo governo». Un lavoro dun-que, e anche redditizio. «È incredibilequanta gente ci mandi sottoscrizionispontanee. Possiamo raccogliere anchecentomila dollari in una settimana. Perchése continui a ripetere sempre e soltanto laverità prima o poi la gente ti crede e ha fi-ducia in te». Ed eccolo, finalmente, il segre-to: «Bisogna avere lo spirito di un’azienda.

EROE

La rivista Esquirededica la copertina

a Aleksej Navalnyj

Sotto,

fotomontaggi

per screditare

il blogger: accanto

alla foto originale,

quelle costruite

in cui Navalnyj

è col magnate

Boris Berezovsky,

con Putin

e con un alieno

In Russia c’è una altissima richiesta di ve-rità. E noi dobbiamo continuare a produr-la come fosse un qualsiasi prodotto indu-striale». Lo stesso vale per la contestazionemontante, l’obiettivo è insistere, senzaprogrammi futuri, tirando fuori il marcio einvocando il cambiamento. «Quando leg-go interviste a oppositori di qualsiasi partedel mondo, vedo che la domanda più scon-tata è: cosa farebbe se fosse presidente? Eb-bene, io non mi sono mai fatto questa do-manda e continuo a non farmela. Non miinteressa chi cambierà le cose. Voglio soloche le cose cambino». Forse un po’ limita-tivo ma non è il momento per sfoggiare am-

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“Abbiamolo spirito

di un’aziendaC’è richiesta di verità:noi dobbiamo produrla”

“L’Americaè affascinante,ma dopo Yale inizioad apprezzarela mia gente”

DMITRY

TERNOVSKIY

Piccolo

imprenditore,

blogger

e fotografo

Ha dichiarato

guerra alla

“mentalità russa”

con il progetto

“Un Paese

senza stupidità”

ANTON

NOSSIK

Considerato

il padre della

blogosfera russa,

è direttore

di una holding

online e gestisce

la piattaforma

di blogging

più famosa:

LiveJournal

ILYA

YASHIN

Arrestato

a dicembre

per le proteste

di piazza

A 28 anni

è uno dei giovani

leader

del movimento

di opposizione

Solidarnost

BOZHENA

RYNSKA

Giornalista

glamour

diventata eroina

della rivolta

34 anni, è nota

nel cyberspazio

per le cronache

sugli oligarchi

russi e i suoi post

su Facebook

YEVGENIA

CHIRIKOVA

Ambientalista,

lega la sua fama

alla protesta

contro

la costruzione

di un’autostrada

per proteggere

la foresta

di Khimki,

a nord di Mosca

Gli altri attivisti

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DOMENICA 15 GENNAIO 2012

Un soldato americano trova un pastore tedescoin una trincea durante la Grande guerrae lo chiama come un pupazzetto francese

Incomincia così la storia e la leggenda di uno dei più grandi eroidi Hollywood. Ora consacrato in una biografia degna di un divo

SpettacoliStelle a quattro zampe

Nacque nel 1913 comepupazzetto di lana e daallora abbaia in eterno,o almeno da un secolo,che non è l’eternità, maè già qualcosa. Il pastore

tedesco dalle prodigiose abilità atleti-che e dall’inflessibile coraggio, il caneche sconvolse Hollywood quando vin-se un Oscar che poi gli fu negato per nonoffendere gli attori umani molto più“cani” di lui, aveva preso il nome di unpupazzetto portafortuna da otto fran-chi che le donne e i bambini francesi re-galavano ai loro poilus, i loro uominispediti a morire nelle macellerie uma-ne della Prima guerra mondiale: Rin-Tin-Tin. Insieme con il certificato di

adozione che portava nel tascapane eavrebbe portato con sé tutta la vita perricordarsi di essere anche lui un trova-tello solitario, l’aviere americano del135esimo squadrone, Leland L. (Lee)Duncan, teneva sempre in tasca il pu-pazzetto di Rin-Tin-Tin che un bambi-no gli aveva lanciato quando era sbar-cato dalla nave insieme con il contin-gente yankee nel 1918. Perché fosse locharmant fétiche grazie al quale dellebombe e dei proiettili on se fiche, recita-va la filastrocca propiziatoria e bugiar-da: «Con questo bel feticcio, delle bom-be me ne infischio».

Ma la promessa dovette apparire ve-ra al soldato quando s’imbatté per casoin un canile militare tedesco sulla Mo-sella appena bombardato dal quale unanidiata di lupacchiottini tremanti ma

incolumi, raggrumati attorno a una ca-gna famelica e agitata, lo guardava congli occhi supplicanti e indifesi dei cuc-cioli. Era il settembre del 1918, la guerraormai agli spasmi finali della sconfittatedesca. Duncan ne raccolse due, unmaschio e una femmina. Chiamò unoRin-Tin-Tin e l’altra Nénette, che era labambolina fidanzata del pupazzetto. Eda quel ménage à trois fra orfani di uo-mo e di cane sarebbe nata una stella delcinema che avrebbe brillato per mezzosecolo. E ancora non è spenta.

L’ha riaccesa una scrittrice giornali-sta dello snobbissimo New Yorker, Su-san Orlean, che aveva a proprio creditogià vari bestseller e che in questi giorniha pubblicato la prima biografia uffi-ciale, tra fatti e leggende, di questo ani-male attore che per tre generazioni, dal-

la prima umiliante particina nella pel-liccia di un cane da slitta quale certa-mente un pastore tedesco non è, nel1922 accreditato nei titoli con il nomesbagliato di Rin Tan, avrebbe poi pro-dotto ventidue feature film, lungome-traggi. In più di dieci anni di carriera,Rinty, come alla fine sarebbe stato co-nosciuto e chiamato dai colleghi uma-ni prima di andare in pensione comeistruttore della Croce Rossa, avrebbesalvato donne e bambini, cavalleggeriin divisa blu dagli allora sanguinari“musi rossi” Comanche e minatori se-polti vivi. Ma avrebbe soprattutto sal-vato dalla morte lo Studio dei fratelliWarner, la Warner Brothers, che il suc-cesso immenso delle avventure di Rintystrappò alla bancarotta.

Di lui si disse che fosse morto dolce-

mente da grande divo sul prato della ca-sa di colui che lo aveva salvato in trincea(Nénette, la sorella, si era arresa moltogiovane a una polmonite) tra le bracciadella bellissima e biondissima JeanHarlow che ne strinse il corpo nero e ar-genteo fino all’ultimo respiro. Ma se lamorte legale del fiero lupo con il nomeda pupazzetto porta la data del 1932,esattamente ottant’anni fa, non si deveneppure pronunciare quella parola aSusan Orlean e agli eredi della moglie diDuncan, che ancora litigano per i dirit-ti residui, anche se lei si stancò di esseresempre seconda al cane e lo lasciò perseguire una celebre cantante, HelenReddy, nelle tournée.

Rin-Tin-Tin è immortale. Un po’ ap-passito e svanito nella nebbia delle ge-nerazioni che lo hanno venerato come

VITTORIO ZUCCONI

Anche i cani vanno in paradiso

CON NÉNETTE

Sotto, i pupazzetti di Rin-Tin-Tin e Nénettee, accanto, i due pastoritedeschi salvatida Lee Duncan

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spettatori prima al cinema e poi in tele-visione con i suoi serial Le avventure diRin-Tin-Tin per tutti gli anni Cinquan-ta, è ancora vivo sul sito a lui dedicato dauna signora texana che ne ha coltivatoil dna e ha prodotto una lunga sequeladi cloni naturali. Ovviamente — e spe-rando che la Orlean, fanatica animali-sta che tiene in casa un cane di oscuropedigree, otto gatti, dieci galline, quat-tro anatre, cinque uccelli in gabbia e unacquario brulicante di pescetti tropica-li, non ci legga — anche Rinty è stato inrealtà molti cani diversi, tra discenden-ti diretti (l’ultimo è Rin-Tin-Tin VIII, ro-ba da far invidia ai Borboni e ai Savoia)e i venti animali, tutti stupendi, utilizza-ti nei film e nei telefilm.

Né furono tutti cani straordinari, co-me era il fondatore della dinastia che at-

tirò l’occhio del produttore Darryl Za-nuck quando un cameraman che ave-va creato un cinepresa per la slow mo-tiongli mostrò la sequenza di Rinty chesaltava agevolmente una siepe altaquasi quattro metri. Il primogenito ederede della corona, Rin-Tin-Tin II, ebbeil malinconico onore di essere citato dalLos Angeles Timesquando permise a unladro di svaligiare di notte la casa di Le-slie Duncan, continuando a dormiretranquillamente. «Casa svaligiata men-tre eroico cane dorme» titolarono caro-gnescamente i redattori del Times.

Ma la presa che questo cane origina-riamente non bellissimo, perché ai mi-litari del Kaiser che li allevavano inte-ressava più la forza e la resistenza che labellezza, e via via perfezionato, esercitòsull’immaginazione, sul cuore, sulle

emozioni di bambini americani e nonamericani, non ha conosciuto rivali.Neppure Lassie, la “ragazzina” (questosignifica il suo nome) che pure fu la suapiù accanita rivale, lo scalzò da quel tro-no che nel 1929 gli valse quell’Oscar poifrettolosamente ritirato. Dozzine di al-tri animali, come lo scimpanzé di Tar-zan, Cita, scomparso pochi giorni or so-no all’improbabile età di ottant’anni,come Zanna Bianca, Fortecuore, Klon-dike, Kazan il Meraviglioso, Tuono eimmancabilmente Fulmine, tentaro-no di scalzarlo dalla vetta di quelle col-line dalle quali ogni suo film e telefilmterminava, con la silhouette stagliatacontro il cielo. La stessa autrice dellabiografia, la Orlean, ha raccontato sulNew Yorker lo scorso agosto di non sa-pere esattamente che cosa l’avesse

spinta a consumare sette anni dellapropria vita per ricostruire, latrato perlatrato, la storia del cane chiamato co-me un pupazzetto. Non lo aveva maineppure visto al cinema né in tv, neglianni Cinquanta quando era appena na-ta, ma ricordava una statuetta di quelcane con la lingua penzoloni, alta diecicentimetri e che ornava la scrivania diun nonno gelido e distante con i bam-bini, ma devotissimo agli animali. È sta-to guardando un documentario in tv,nel quale alcune vecchie sequenze conRinty erano inserite, che l’Orlean ha«sentito una scossa dentro» e si è lan-ciata sulle orme di quelle zampe.

Non arriva fino ad affermare che Rin-Tin-Tin sia immortale, che il suo spiritoviva reincarnato negli almeno sei uo-mini e nell’allevatrice che giurano di es-

sere la versione bipede del cane e forsepotrebbero giovarsi di qualche affet-tuosa consulenza terapeutica. Ma Su-san viaggia negli studi delle televisioniper promuovere il libro, e insinuare chesì, c’è qualcosa in quell’animale strap-pato dal destino alla morte in guerra cheva oltre il divismo, la solita antropo-morfizzazione degli animali nelle fiabee nel cinema che Disney avrebbe porta-to al trionfo di sorci parlanti e paperi pe-tulanti, la nostalgia per l’America inno-cente dei “buoni” contro i “cattivi”, o ilrancore per un nonno freddo e distan-te. Qualcosa che soltanto chi ha acca-rezzato un cane molto malato ma an-cora con gli occhi pieni di fiducia versinoi umani, mentre il veterinario lo«metteva a dormire», può capire.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL LIBRO

Si intitola Rin-Tin-Tin: the Lifeand the Legend la biografia scrittada Susan Orlean (Simon & Schuster,324 pagine, 26,99 dollari)da cui sono tratte molte delle immagini che illustrano queste pagine

RINTY, RUSTY E RIP

Nell’altra pagina, una foto autografata dal tenenteRip (James Brown), dal giovane Rusty (Lee Aaker)e dall’impronta di Rinty. Sotto da sinistra, Rin-Tin-Tin IIIcon maschera antigas e insieme a Lee Duncan

DISCHI E FUMETTI

A destra e in basso, duenumeri della rivista a fumettidedicata a Rin-Tin-TinSotto, la copertina del discoLe avventure di Rin-Tin-Tincon le canzoni della serie tv

ATTORE

Sopra, il cane con Claudia Drake ne Il ritornodi Rin-Tin-Tin (1947). A sinistra, Rinty mentre saltadurante il suo addestramento

PROTAGONISTA

Il manifesto di Clash of the Wolves (1925) con Rin-Tin-Tine Charles Farrell. Sotto, una scena del film in cui Farrellferito manda il coraggioso cane a cercare aiutoA sinistra, Rinty con il suo addestratore Lee Duncan

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Il mondo salvato da una mappa

Tuttocominciò in Kenya. «Il Paese andava a pic-co e volevamo fare qualcosa. Tutti avevano uncellulare e così abbiamo creato un softwareperché le persone potessero riferire con unsms eventuali violenze nei seggi durante leelezioni del 2008», racconta oggi Erik Her-sman, cofondatore di “Ushahidi” (“Testimo-nianza” in lingua kiswahili), il primo pilastrodi quel fenomeno noto come crisis mapping,ovvero le mappe digitali che, aperte e accessi-bili a tutti, hanno cambiato per sempre il mon-do degli interventi umanitari. Attraverso i so-cial network, gli sms, i satelliti, in tempo realeo quasi si acquisiscono informazioni, foto e vi-deo dal luogo di un disastro che filtrati su unamappa serviranno poi a chi dovrà interveniresul campo per portare i primissimi soccorsi.

«Nel corso di un’emergenza le prime 72 ore-sono le più critiche, quelle in cui occorrono so-prattutto informazioni: conoscere le aree piùcolpite, i bisogni della popolazione, i percorsida indicare ai soccorritori», spiega Erica Mat-

tellone, esperta di interventi umanitari dell’U-nicef. «Da quando ci sono i software geografi-ci di Google o di Ushahidi, open source moltosemplici da utilizzare, riusciamo ad avere lecoordinate di un disastro anche in poche ore.Le informazioni sulle zone più colpite delGiappone devastato da terremoto e tsunamile abbiamo ricevute da Crisis Mappers nel gi-ro di due ore». Crisis Mappers è il network fon-dato da Jen Ziemke (della Carroll University,Wisconsin) e Patrick Meier (della Tufts Uni-versity), entrambi giovani studiosi di relazio-ni internazionali ed esperti nell’applicazionedelle nuove tecnologie in situazioni di conflit-to e di crisi umanitarie. Sono loro a coordina-re la produzione di mappe create da volontarisparsi in tutto il mondo. «Non abbiamo un uf-ficio, non siamo registrati da nessuna parteeppure siamo presenti in più di 140 paesi», cidice Jen Ziemke. «Siamo gli animatori di orga-nizzazioni o singole persone che subito dopoun disastro si incontrano e lavorano insiemevirtualmente». I volontari possono esserehacker, programmatori, geografi, esperti di si-

stemi Gis o web manager. A loro volta devonoperò poter contare sul lavoro di persone nonesperte ma che, ad esempio, conoscono la lin-gua del luogo in cui è avvenuto il disastro. Do-po il terremoto di Haiti, due anni fa, a tradurrele richieste di aiuto che arrivavano in creolo ea indicare ai soccorritori come muoversi per lestrade di Port-au-Prince, sono stati gli haitia-ni della diaspora, e primi tra tutti, gli addetti al-la sicurezza e i bidelli che lavorano nel campusdi Meier. «Ci vogliono le conoscenze di tuttiper georeferenziare correttamente i dati»,spiega Hersman. «Inoltre, per avere le crisismaps aggiornate in tempo quasi reale bisognapoter delegare compiti precisi a un gran nu-mero di persone». I volontari smistano segna-lazioni e studiano video e foto ricevute dai so-cial network, qualche volta sconvolgenti, perricavarne informazioni fresche oppure con-ferme di episodi che poi localizzano su mappemolto sofisticate come quelle satellitari diGeoEye, Esri e Nasa, o più semplici come quel-le di Google e di OpenStreetMap.

Il terremoto di due anni fa ad Haiti è stato il

terribile banco di prova in cui il crisis mappingha definitivamente rovesciato il rapporto trale organizzazioni tradizionali del soccorsoumanitario (Onu e Croce Rossa in testa) e i vo-lontari. Durante l’emergenza venne fornitoun numero gratuito (il 4636) a cui inviare smscon richieste di aiuto: arrivarono 80mila mes-saggi. «Scaricando terabyte su terabyte di im-magini post-terremoto e rettificandole conquelle pre-terremoto, il contributo di CrisisMappers è andato oltre ogni aspettativa», scri-vono oggi in un rapporto gli analisti dell’Onuassieme alla Harvard Humanitarian Initiati-ve. Durante i terribili giorni di Haiti per la pri-ma volta l’Ocha, l’organizzazione dell’Onuche coordina gli interventi umanitari, delegòdi fatto il lavoro di monitoraggio della situa-zione a centinaia di volontari, e così in soletrentacinque ore il network di Crisis Mappersriuscì a produrre la mappa più realistica dellatragedia in corso. Quella stessa mappa diven-ne la fonte più utilizzata dai soccorritori du-rante il primo mese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

GUIOMAR PARADA

Dal terremoto di Haiti al conflitto libico, cellulari e socialnetwork sono diventati strumenti per raccogliere richiestedi aiuto dalle vittime di disastri naturali o guerre. Ecco comegrazie a migliaia di cyber-volontari cambieràper sempre il volto dell’emergenza umanitaria

Sanjana Hattotuwa

Ict 4 Peace Foundation

TEXAS 2011Le persone che fuggonodagli incendi individuano su GoogleCrisis Response Map il centrodella Croce Rossa più vicino

HAITI 2010Subito dopo il terremoto vienereso operativo un numerogratuito (4636) a cui inviaresms con richieste di aiuto:ne arrivano 80mila

LIBIA 2011Nel corso del conflitto l’Onu chiedea Crisis Mappers una mappain tempo reale sulle condizionidi vita dei civili

Quello che finoa un paio di anni fa richiedevadei super esperti,oggi è realizzatoda volontariche raccolgonouno tsunamidi informazioni

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SupernodoCrisis map Gis Microtasking Vig

“Un tesoro digitalecreato dai cittadini”

RICCARDO LUNA

Chitrova una mappa trova un tesoro: con Internet è ancorapiù vero. Come racconta Maurizio Napolitano, tecnologodella Fondazione Bruno Kessler e portavoce italiano della

Open Knowledge Foundation.Milioni di persone nel mondo usano Google Maps: cosa c’era

prima?«Le mappe digitali nascono fra gli anni Ottanta e Novanta co-

me strumento per tecnici sotto il nome di Gis. Il passaggio al webè stato naturale: prima di Google Maps esistevano i servizi offertida Microsoft (Virtual Earth), Yahoo (Yahoo Maps), Mapquest,Map24. Nel 2004 è arrivato Google Maps che si è distinto comeservizio gratuito e interoperabile».

Qual era la situazione italiana?«L’Italia in Google Maps nella versione vettoriale (rappresen-

tazione delle strade e altri elementi) era praticamente vuota. Ave-vamo solo i confini... La prima città è stata Torino per le Olimpia-di invernali del 2006».

Google Maps è un grande successo. Perché nel 2004 nasce an-che OpenStreetMap?

«In Google Maps uso un servizio ma non posso usare i dati perfare le analisi come voglio. OpenStreetMap nasce con l’idea vi-sionaria di Steve Coast di avere una mappa del mondo creata daivolontari, come Wikipedia ma per le mappe. Questo ha permes-so di superare alcuni limiti di Google Maps. Il caso di Kibera è unodei più clamorosi».

Cos’è Kibera?«È una bidonville di 15mila abitanti a Nairobi, che non appare

su nessuna mappa. Su Google Maps appare il nulla a meno chenon passi in modalità foto aerea. Per questo un gruppo di volon-tari ha dato vita al progetto MapKibera.org: hanno insegnato adabitanti del posto a crearsi la propria mappa, a usare il Gps e tut-ti gli strumenti che OpenStreetMap offre. Su OpenStreetMapquindi appare questa bidonville con tanto di toponomastica disentieri che l’attraversano, “negozi”, infermerie, luoghi di culto».

Chi sono i nuovi cartografi, questo esercito di volontari?“«In OpenStreetMap sono attivi 500mila utenti. Spesso sono

solo escursionisti o ciclisti. O blogger. Rientrano nel fenomenodei citizen as a sensor».

Una mappa aperta a tuttie aggiornata in tempo realegrazie alle informazioni inviatedai cittadini e geolocalizzateda volontari esperti

Ovvero Geographic InformationSystem, un sistema informaticoche permette l’acquisizione,l’analisi e la visualizzazionedi dati geografici

Affidare a singole personecompiti precisi che sommaticorrispondono a una moledi lavoro altrimenti irrealizzabile in tempi brevi

Volonteered GeographicInformation: nel campodella geografia il nuovo mododi acquisire dati per produrremappe dinamiche

Nel mondo degli interventiumanitari, una persona(o organizzazione) in gradodi fare da ponte tra altre o quandoaltri collegamenti falliscono

GIAPPONE 2011A sei giorni dal terremoto, graziea 4.000 segnalazioni, viene creatala mappa dei rifugi e dei luoghidove ricaricare i cellulari

SUDAN 2011Grazie alle immagini del progettoSatellite Sentinel vengonoindividuate fosse comuniche il governo voleva occultare

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OSSA

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L’intervista

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I saporiPoveri ma belli

Più amata del cavolo, dal quale si differenzia per le suefoglie rugose e croccanti, è ottima in ricette semplici

(bollita, stufata, in minestra) o abbinata

con cereali e carni.Come nella golosa cassoeula,piatto forte lombardo durante la stagione più fredda

«Intornointorno, i verzieri fortemente distinti dal verde cupo delle ficaie...».C’è verde e verde, puntualizzava Giosuè Carducci in Confessioni e batta-glie. Il verziere, inteso come orto, ruba, insieme al nome, il colore della ver-za, che pur essendo verdura d’inverno, sfoggia un verzolino chiaro comefosse una primizia (avete presente le tenere zucchine da fiore?).Detta anche cavolo di Milano, la brassica oleracea sabauda è molto cara

ai milanesi, se è vero che il quadrato intorno a piazza Fontana — allora, Porta del Ver-ziere — nel Settecento era sede del mercato ortofrutticolo, con tanto di via dedicata (evia Verziere è ancora lì). Perché la verza — dal latino viridis, verde — costava poco e riem-piva molto, senza dare problemi se non il rischio di gozzo, dato dalla presenza della goi-trina (neutralizzata in cottura) e qualche gonfiore di troppo (superabile con la doppiabollitura). Nei secoli, dai verzieri veneziani all’alto Canavese, la verza ha goduto di po-polarità larghissima, nei campi e nelle dispense. Più amata del cavolo, dal quale si dif-ferenzia soprattutto per le foglie rugose e croccanti, è stata destinata a ricette semplici:bollita, stufata, in minestra. Povera, ma non banale, soprattutto quando il portafogliopermetteva di fare una spesa più sostanziosa, per sposarla con carni, cereali, formaggi,frutta secca. Risultato, una messe di ricette golose, alcune delle quali basilari nella storiadella cucina lombarda (e non solo), dal riso con le verze alla verza ripiena, fino alla stori-ca cassoeula, preparata in modi differenti, a seconda del contesto e soprattutto delle pos-sibilità economiche. Nato per utilizzare le parti meno nobili del maiale — orecchie e pie-dini, cotiche e costine — il bottaggio di maiale è stato arricchito con salsicce e verzini(i sa-

lami dedicati), pur senza tradire mai la sua origine contadina. Un piatto che ha seminatofratelli in tutta Europa, pur se adattato ai gusti locali, come nel caso delle francesi Potée(che utilizza carni miste) e Choucroute (con crauti, mele e ginepro) della tedesca Sauerk-raut (con la verdura fermentata) e del fiammingo Hochepot, cotto con porri e patate.

Per evitare che l’utilizzo “grasso” della verza crei qualche senso di colpa, basta ri-cordare come gli antichi Romani la gustassero all’inizio dei banchetti così da aiutarelo stomaco ad assorbire meglio l’alcol, pratica ancora in uso nell’Est europeo per ri-parare i guai della vodka. La dietistica del terzo millennio attribuisce questa attivitàmeritoria alla presenza del gefamato, efficace gastroprotettore. In aggiunta alla pro-verbiale ricchezza in vitamine anti-influenza e sali minerali, poi, la verza funzionacome disinfettante e antinfiammatorio, tanto che il succo delle foglie frullate conpoco miele è considerato un vero toccasana contro il mal di gola.

Se avete in programma la prima trasgressione alimentare dell’anno, organiz-zate una gita nei luoghi della casseoula, perché questo è il suo momento: le ver-ze migliori, infatti, sono quelle raccolte dopo le gelate. In caso di digestione dif-ficoltosa, gli esperti suggeriscono un bicchierino di grappa, sperando che il ge-famato funzioni.

Verde di primaveranel cuore dell’inverno

LICIA GRANELLO

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ZuppaVerza tagliata a listarelle,fagioli borlotti, patate a tocchetti a bollireSi serve con un girod’olio, pepe nero e pane raffermo passato in forno con il parmigiano

CassoeulaOrecchie, piedini, costine,cotenna, salsicce e salami “verzini” cottiseparatamente e poi assemblati con le verze appassite nel burro. Cottura lenta

nella cassoeula

InvoltiniFoglie sbollentate,raffreddate in acqua e poi asciugate, pronte da farcire con riso cotto,verdure, formaggio e salsicciaCottura in padella con pomodoro

RipienaVerza intera bollitaquindici minuti, cuore tritato con paneammollato, formaggio, uova e carne rosolataUna volta farcita, si chiude nel canovaccio e si fa ribollire per un’ora

TortinoVerza e patate a pezzilessate insieme, raffreddate, ridotte in purea, mescolate con uovo,pangrattato, parmigianoCottura in forno in teglia imburrata

Verza

RisoVerze in strisciolinesottilissime, aggiunte a un soffritto di lardo e cipolla e coperted’acqua. A metà cottura,aggiungere croste di parmigiano pulite e poi il riso

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Gli indirizzi

DOVE DORMIRE

HOTEL SAN MARTINO (con ristorante stellato)Viale Cesare Battisti 3TreviglioDoppia da 120 euro con colazione

HOTEL LA SOSTA (con ristorante)Via Sciesa 3 Località Cisano (Villa d’Adda)Tel. 035-4364232Doppia da 75 euro con colazione

HOTEL SETTECENTO (con ristorante)Via Milano 3 Località Presezzo (Bonate)Tel. 035-466089Camera doppia da 65 euro colazione inclusa

DOVE MANGIARE

ANTICA OSTERIA DEI CAMELÌVia Marconi 13 Località Ambivere (Villa d’Adda)Tel. 035-908000Chiuso lunedì e il martedì seraMenù da 40 euro

COLLINAVia Ca’ Paler 5Almenno San BartolomeoTel. 035-642570Chiuso lunedì e martedìMenù da 35 euro

TRATTORIA DEL TONEVia Roma 4 Località Curno (Bonate)Tel. 035-613166Chiuso martedì e mercoledìMenù da 30 euro

DOVE COMPRARE

AZIENDA AGRICOLA BIOLOGICAEL FRUTEROVia Parscera 56Villa d’AddaTel. 035-794250

BIO FARM SPINETOVia delle Seradine 103MartinengoTel. 0363-908864

BIO AZIENDA CANTALUPOParco del fiume BremboBonate SottoTel. 329-1920898

GASTRONOMIA CONTIViale Cesare Battisti 8 Treviglio Tel. 0363-48120

Zuppetta di verze e parmigianocon ravioli di anatra germanaIngredienti per la farcia:

mezza anatra germana; 1 carota; 1 gambo

di sedano; 1 scalogno; 1 bicchiere di vino

Fortana; 1 mazzetto di erbe aromatiche;

100 gr. di burro; sale; pepe

Procedimento per la farcia:

rosolare l’anatra con metà burro,

bagnare col vino e far evaporare

Aggiungere verdure, erbe, sale, pepe

Coprite con acqua e cuocere un’ora,

spolpare, tagliare a pezzettini e frullare

il fondo di cottura. Cuocere a fuoco dolce carne e fondo, fino a completo assorbimento,

aggiungere il burro rimanente e far riposare in frigo. Confezionare i ravioli

(300 gr. di farina e 150 gr. di foglie di verza frullate con 200 ml. di acqua)

Ingredienti per la zuppetta:

200 gr di verza verde croccante; 100 gr. di Parmigiano Reggiano grattugiato;

50 gr. di burro; 4 fette di culatello; 1 cucchiaio di extravergine; sale; pepe

Procedimento per la zuppetta:

Rosolare la verza col burro, aggiungere acqua, salare, cuocere a fuoco dolce mezz’ora

Rosolare in antiaderente il culatello a tocchetti

Preparazione del piatto

Coprire il fondo del piatto con la verza scolata e il Parmigiano, disporre i ravioli

cotti in acqua, poi il culatello e infine il brodo della verza. Rifinire con un filo d’olio

Massimo Spigaroli è lo chefpatron dell’Antica CortePallavicina, splendidorelais-fattoria con ristorantestellato che si trovanella campagna parmense,dove il territorio vienedegnamente celebrato,come in questa ricettaideata in esclusivaper i lettori di Repubblica

Bottaggio d’ocaLa più poderosa tra le varianti della versione italiana del potage francese(minestra) prevede l’oca a pezzi, rosolata e cotta con le verzeappassite a strati

PizzoccheriLa tagliatelle valtellinesi di grano saraceno si cuociono in acqua e verze a pezziPoi si dispongono a strati con Parmigiano,formaggio di malga e burro fuso

Con il pesceMaccarello affumicatosu un letto di fogliedi verza stufate

Sulla strada

Perdendosi nei vicolidi Bergamo Alta

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA RICETTA

PAOLO BERIZZI

Quando arrivi a Bergamo dall’autostrada la prima im-magine che ti sbatte addosso è la vetrina della cosa piùbella che vedrai: lo skyline della Città Alta. La maiusco-la non è orgoglio campanilista, si scrive proprio cosìperché il centro storico, oltre che cuore cittadino, è unacittà nella città. Ecco: tutto ciò che si trova e che si muo-ve all’interno delle mura veneziane che la circondano,è un piatto succoso. Passeggiare la mattina presto, o lanotte, nei vicoli medioevali. D’inverno, con la foschia.Sfiorare i portoni dei palazzi eleganti. Sbucare in Piaz-za vecchia e sentire il fruscìo ovattato della fontana delContarini. Poi perdersi di nuovo nelle stradine, con losguardo a caccia della prossima suggestione. Una nonbanale e buona abitudine (tenuta in vita dai turisti) èraggiungere Città Alta evitando l’auto: in funicolare,oppure percorrendo gli scorlazzini, le scalinate che dapiù punti la collegano alla parte bassa della città. A par-te gli incanti della basilica di Santa Maria Maggiore e delDuomo (la cripta merita il viaggio), chiedete della po-chissimo visitata fontana del Lantro — un gioiellinonascosto — , del lavatoio, del Pozzo bianco. Dopo unpranzo sociale, vero, al Circolino (tornarci d’estate sot-to il pergolato), fatevi tutte le mura: a piedi, mangian-do il gelato alla stracciatella della Marianna. Vi verrà vo-glia di rituffarvi in un centro storico che essendo anco-ra intatto nelle architetture e nelle vetrine (a parte unpaio di innesti brutali), merita già di suo. Imbucatevinelle officine artigiane, seguite i passi degli anziani,memorizzate le insegne delle botteghe. Chi volessespunti non convenzionali può cliccare www.berga-mo4u.com. Samuela Giroldi e Roberto La Monica, dueinnamorati persi (di Bergamo), hanno messo su unportale per turisti non ortodossi. Prima di ripartire, unsalto all’osteria D’Ambrosio, in città bassa. Chiedetedella Giuliana, e vi sentirete già a casa.

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Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 46

DOMENICA 15 GENNAIO 2012

L’ex ragazza emigrata a Parigi perchéin fuga dal Benin, oggi a New Yorkcanta con Bono e con Santana e vienecorteggiata da Obama e da MandelaOra, passati i cinquant’anni, ripensa

a come la sua favolaincominciò: “Devo tuttoa mio padre, era luia portare in casa librie musica. Dischi inglesi,francesi e anche italiani

Imparai ‘Standby Me’ ascoltandoAdriano Celentano...”

NEW YORK

Molti anni dopo, difronte al plotone diesecuzione dei suoiincubi, Angelique

Kidjo si sarebbe ricordata di quandosuo padre le fece scoprire Volare. «Mache meraviglia. Ma che dolcezza.Voooolareee: Oh Oh! Caaaantareeee:oh oh oh...». Il blu dipinto di blu le illu-mina il viso: scacciando la lacrimucciache non riesce a trattenere. Sì, la donnache oggi canta con Bono e Carlos San-tana, la diva corteggiata da Barack Oba-ma e Nelson Mandela, non è più la ra-gazzina che sculettava sulle scene di Pa-rigi ai ritmi travolgenti dell’afrobeat:ma a cinquant’anni e passa AngeliqueKidjo, la cantante africana più famosanel mondo, torna piccina piccina rico-struendo l’avventura straordinaria chel’ha portata dal Benin a New York.

«Sono diventata pazza quando horealizzato, solo da grande, che cosahanno davvero significato i miei geni-tori per me», dice pensando a quel pa-dre che riempiva la casa di libri e canzo-ni. «Ma vi rendete conto? In una societàcosì conservatrice come quella africa-na a casa mia c’erano libri, musica, di-scussioni. Mio padre ne aveva con sésempre uno: tu li divori i libri, gli dicevo,mica li leggi. E c’erano pile di romanzi esaggi dappertutto. Lui continuava a ri-petermi: io non potrò proteggerti persempre, posso donarti soltanto gli stru-menti, le armi. E i libri sono la chiave delmondo, devi leggere se vuoi cammina-re nel mondo, devi leggere se vuoi im-parare a vivere lontano di qua. Lo saiche cos’è la cultura romana? Lo sai chi

erano i greci e gli egiziani? Bisogna co-noscere le culture degli altri per capirela propria».

Le statue delle regine Yoruba chesvettano dai piedistalli del Metropoli-tan sembrano prendere vita e rincor-rersi come in una versione decisamen-te più pensosa del film Una notte al mu-seo. Angelique ha cantato qui, sotto levolte del museo più ricco e maestosodel mondo, per celebrare “Heroic Afri-cans: Legendary Leaders, Iconic Sculp-tures”, l’esibizione curata da Alisa La-Gamma che il New York Times ha mo-destamente definito «la mostra che vifarà cambiare la percezione che avetefin qui avuto dell’arte africana». E cioè:l’arte africana che non ha storia, l’arteafricana che non sa cos’è il realismo,l’arte africana che si potrebbe riassu-mere, in fondo, nella parola “primiti-va”, e via di pregiudizio in pregiudizio.E già: pezzo dopo pezzo, la mostra met-te insieme quattro secoli di storia e di ar-te di cui non sospettavamo neppure l’e-sistenza.

Angelique sfiora le curve della balle-rina del suo Benin — che sembra unoscherzo di Alberto Giacometti e inveceè l’opera di un misterioso artista delXVII secolo — e sorride di tanta gran-dezza passata. Però si vede che non rie-sce ancora a liberarsi da quell’incuboprivato. «Quando è morto mio padreavrei voluto mollare tutto. Non riuscivoa superare il senso di colpa di non esse-re stata accanto a lui. Mio padre avevauna voce stupenda. È stato lui che mi hainsegnato a cantare. Era lui che portavain casa la musica inglese, la musicafrancese. E la musica italiana. Domeni-co Modugno. Adriano Celentano. Perme inglese o italiano erano lo stesso:due lingue sconosciute! RicordateStand by Me? La imparai cantando suCelentano: Pregherò. Solo dopo scopriiun certo Wilson Pickett».

Il ritratto dell’artista da giovane, inAfrica, prende davvero un altro colore.«Sono dovuta fuggire ai tempi della dit-tatura. Mio padre era un intellettualeche aveva fatto lo sgarbo di non stare colregime militare e comunista. Diceva:non ho paura per me ma per te. Sei trop-po impulsiva. Ti metterai nei guai. Ab-biamo meditato la fuga per un anno in-tero. Sono scappata ai tempi dell’uni-versità. E per sei anni non ho potuto te-nermi in contatto direttamente con lui.Io a Parigi. Mio fratello rimasto in Africama anche lui scappato. Era lui a fare datramite. Mio padre era terrorizzato dal

fatto che potessi fare qualche follia: tor-nare, ad esempio. E farmi arrestare. Macome mi mancava la mia casa. A Parigiero un’emigrante: e io non immagina-vo davvero cosa volesse dire emigrazio-ne. Laggiù nel Benin la mia famiglia eraun’isola di libertà. Quanti ragazzi si rac-coglievano di sera intorno alla nostratavola. Anche la mamma era un’artista:teatro. E casa nostra era l’unico posto ditutto il paese dove potevi parlare libera-mente di politica. Con i miei si potevaparlare persino di sesso! In Africa! Neglianni Sessanta! Diceva papà: non vogliosentire soltanto tre parole qui dentro.Razzismo. Xenofobia. E oscenità».

L’ultimo lavoro di Angelique, Oyo,ha rischiato di beccarsi l’ennesimoGrammy dedicato alla musica world:come il precedente Djin Djinprodottoda Tony Visconti, l’uomo che inventòDavid Bowie. Ma il premio più bello sel’è fatto lei stessa. Regalandosi quellascaletta in cui ha miscelato tradizione

africana e musica classica, Summerti-me e Samba Pa Ti. Nessuno aveva maiprovato a riempire di parole il classicodi Santana. «Papà lo metteva semprementre la mamma era in cucina. Il suomodo di corteggiarla. Lei faceva fintadi ritrarsi: non sta bene. E poi si abban-donavano come due fidanzatini». Neldisco, e dal vivo, Angelique canta comeuno strumento: sembra il “vocalese”che inventarono negli anni Quaranta igiganti del jazz e invece è arte africanapura. «Ogni volta che sento una canzo-ne l’afferro per le parole. La culturaafricana è una cultura orale. È la paro-la tramandata che conta: per questouna stessa melodia per me può rivive-re solo col canto, o canto e chitarra, ocanto e percussioni. La melodia servea trascinarsi dietro il racconto, la testi-monianza».

La diva venuta dall’Africa ha messo leparole perfino sul capolavoro della mu-sica d’Occidente: le Variazioni Gold-berg. Ma finora è rimasto un segreto.«Dovevo partire per un tour in Europaquando mio padre si ammalò di tumo-re. Mi precipitai ma lui mi ricacciò: nonè questo il tuo posto, sei nata con un do-no e lo devi coltivare. Io: ma come fac-cio a lasciarti? Non volle saperne, mi co-strinse a ripartire. La notizia della suamorte mi sorprese a migliaia di chilo-metri. Ebbi la forza di finire il tour sol-tanto perché me l’aveva ordinato. Masubito dopo, che disastro. Non vivevopiù». E qui si riaccende l’ultima magiad’Africa. «Una notte mi appare in so-gno: la vuoi smettere?, mi dice, la vuoismettere? I tuoi pianti continuano atrattenermi qui nel purgatorio. Mi lasciandare, amore mio, mi lasci riposare inpace? Mi lasci andare, uccellino mio, milasci andare? Mi sono svegliata e mi so-no messa d’istinto al pianoforte: le ma-ni volavano su Bach, la voce inseguiva levariazioni».

L’ex ragazza che fuggì dall’Africa og-gi vive nel cuore di Brooklyn: tra milleconcerti e i viaggi per conto di Unicef,Oxfam e un’altra mezza dozzina di noprofit. «L’America è la mia nuova casa.Barack Obama? Facile criticarlo: maavete idea del paese che ha ereditato? Epoi diciamolo: quante critiche sottosotto nascondono l’odioso razzismo?Tutti a dire Obama qui e Barack qua. Sidice President Obama, no? Nessunochiamava il presidente Bush soltantoBush o soltanto George». Piccoli indizidi grande importanza: cose che puoiavvertire, appunto, soltanto a pelle.

«Amo l’America ma in Africa devo tor-nare appena posso. Ottobre a Tunisi.Dicembre in Senegal. E certo: il mio Be-nin. L’Africa per me è vita. L’Africa èenergia. Adesso tutti a parlare di Prima-vera araba: ma anche quella è Africa. Eda lì riparte la nostra riscossa. L’Africa èpiù di un continente: è così grande, fedicosì diverse, linguaggi che non si parla-no. Vedrete adesso. Le cose cambiano ein Occidente se ne accorgono solo a gio-chi fatti. Incapaci di guardare sotto lasuperficie». Oddio: farà mica la predicaterzomondista? Però ha ragione, chi l’a-vrebbe mai sospettato questo risvegliod’Africa? Dalla rivoluzione del Magh-reb al Senegal del suo collega YoussouN’Dour che si candida a presidente perriscattare il paese.

«Dall’Arab Spring all’Africa Springnon sarà così facile: però c’è già tutto unmovimento inarrestabile. La chiave an-che qui sono i giovani. E la rivoluzionevera si chiama Internet. La Rete uniscesituazioni prima impensabili. Come fi-nirà? Va bene l’aiuto dell’Occidente:dalla Tunisia all’Egitto. Ma adesso la-sciateli camminare con i loro piedi. La-sciateli sbagliare da soli. L’Occidente ciha raccontato per una vita che il colo-nialismo era finito. Ma il disastro qui inAfrica è stato proprio colpa del colonia-lismo senza fine. Che differenza fa se in-vece di regnare loro fanno regnare le lo-ro multinazionali? Finanziando le dit-tature che hanno strangolato il conti-nente. Vista corta: un’Africa forte oggisarebbe stato l’alleato migliore perl’Europa in recessione, no?». È propriovero che la vita è sempre una questionedi punti di vista. Angelique sorride, riac-cenna Volare. E poi scompare nel nerodipinto di nero del Metropolitan.

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