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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18 DICEMBRE 2011 NUMERO 357 CULT La copertina BACCALARIO e KINNEY Nuove tecnologie e libri per bambini ecco le e-storie del futuro Le recensioni SIMONETTA FIORI Quei racconti sulla bellezza degli adolescenti eccentrici All’interno L’intervista LUCA FRAIOLI Lo scienziato Hubert Reeves “Spiego le stelle ai miei nipoti” L’opera ANGELO FOLETTO Luca Guadagnino debutto lirico Un grande Falstaff senza birignao Il romanzo ALESSANDRO BARICCO Una certa idea di mondo: “Medici di corte e lezioni di libertà” Verde Natal, il menu è vegetariano I sapori LICIA GRANELLO e UMBERTO VERONESI Tutti i segreti del ladro di biciclette L’attualità LUCA RASTELLO È stato come trovare un tesoro. Inaspettato e sorprenden- te. Più di cinquecento pagine di quaderni di scuola di Re- nato Guttuso, fitti di appunti sull’arte, sull’architettura, sulla filosofia, densi delle passioni di un ragazzo che non poteva immaginare che sarebbe diventato un artista fa- moso, ricco, potente. Cercavamo immagini per un film documentario in occasione dell’imminente centenario della na- scita, quando l’anziana ma ancora vivace amica dell’artista, che ci aveva permesso di consultare le foto di famiglia nel suo piccolo e caotico appartamento alla marina di Bagheria, si è ricordata: «Ma ci sono anche dei quaderni di Renato!». Dopo un’affannosa ricerca tra i ricordi di una vita, Flora, la figlia del poeta Ignazio Butitta, l’amico da sempre di Guttuso, apre una vecchia scatola da cioccolatini e mostra a uno stupito Antonino Russo, docente universitario di lin- guistica e germanistica a Palermo, e a chi scrive, le pagine del gio- vane Renato, rimaste sconosciute per più di ottant’anni. (segue nelle pagine successive) GIANCARLO BOCCHI I n S. Maria Novella si conserva il quadro della Trinità. [...] Nel centro Cristo mentre dall’alto tende l’eterno padre con le braccia aperte per raccogliere il figlio. Dinanzi alla cro- ce Maria e Giovanni e presso le colonne scannellate il com- mittente in ginocchio insieme alla moglie. Questa è l’opera che ci rimane di Masaccio, il quale fu un innovatore del nuovo stile pittorico, perché rompendo la tradi- zione della scuola di Giotto, imita l’arte di Donatello per l’espres- sione, e introduce per la prima volta la prospettiva che ha appre- so da Brunelleschi. Piero della Francesca [...] L’ultima opera che volle lasciare a Borgo S. Sepolcro è il quadro della Resurrezione: Cristo dai grandi occhi sorge dal sepolcro, su cui poggia il piede sinistro, piantando sull’urna lo stendardo crociato. (segue nelle pagine successive) RENATO GUTTUSO Temi sui grandi maestri, nudi e falce e martello Nel centenario della nascita i quaderni di scuola di un ragazzo che è già artista Guttuso FOTO ARCHIVIO PASQUALINO - PALERMO Giovane Il Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 18DICEMBRE 2011

NUMERO 357

CULT

La copertina

BACCALARIO e KINNEY

Nuove tecnologiee libri per bambiniecco le e-storiedel futuro

Le recensioni

SIMONETTA FIORI

Quei raccontisulla bellezzadegli adolescentieccentrici

All’interno

L’intervista

LUCA FRAIOLI

Lo scienziatoHubert Reeves“Spiego le stelleai miei nipoti”

L’opera

ANGELO FOLETTO

Luca Guadagninodebutto liricoUn grande Falstaffsenza birignao

Il romanzo

ALESSANDRO BARICCO

Una certa ideadi mondo:“Medici di cortee lezioni di libertà”

Verde Natal,il menuè vegetariano

I sapori

LICIA GRANELLO

e UMBERTO VERONESI

Tutti i segretidel ladrodi biciclette

L’attualità

LUCA RASTELLO

Èstatocome trovare un tesoro. Inaspettato e sorprenden-te. Più di cinquecento pagine di quaderni di scuola di Re-nato Guttuso, fitti di appunti sull’arte, sull’architettura,sulla filosofia, densi delle passioni di un ragazzo che nonpoteva immaginare che sarebbe diventato un artista fa-moso, ricco, potente. Cercavamo immagini per un film

documentario in occasione dell’imminente centenario della na-scita, quando l’anziana ma ancora vivace amica dell’artista, che ciaveva permesso di consultare le foto di famiglia nel suo piccolo ecaotico appartamento alla marina di Bagheria, si è ricordata: «Ma cisono anche dei quaderni di Renato!». Dopo un’affannosa ricerca trai ricordi di una vita, Flora, la figlia del poeta Ignazio Butitta, l’amicoda sempre di Guttuso, apre una vecchia scatola da cioccolatini emostra a uno stupito Antonino Russo, docente universitario di lin-guistica e germanistica a Palermo, e a chi scrive, le pagine del gio-vane Renato, rimaste sconosciute per più di ottant’anni.

(segue nelle pagine successive)

GIANCARLO BOCCHI

In S. Maria Novella si conserva il quadro della Trinità. [...]Nel centro Cristo mentre dall’alto tende l’eterno padre conle braccia aperte per raccogliere il figlio. Dinanzi alla cro-ce Maria e Giovanni e presso le colonne scannellate il com-mittente in ginocchio insieme alla moglie. Questa è l’opera che ci rimane di Masaccio, il quale fu un

innovatore del nuovo stile pittorico, perché rompendo la tradi-zione della scuola di Giotto, imita l’arte di Donatello per l’espres-sione, e introduce per la prima volta la prospettiva che ha appre-so da Brunelleschi.

Piero della Francesca

[...] L’ultima opera che volle lasciare a Borgo S. Sepolcro è il quadrodella Resurrezione: Cristo dai grandi occhi sorge dal sepolcro, su cuipoggia il piede sinistro, piantando sull’urna lo stendardo crociato.

(segue nelle pagine successive)

RENATO GUTTUSO

Temi sui grandi maestri,nudi e falce e martelloNel centenario della nascita i quaderni di scuoladi un ragazzoche è già artista

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GLI APPUNTI

Sotto, alcune

pagine dei quaderni

di scuola di Guttuso

fitte di appunti

sull’arte,

sull’architettura

e sulla filosofia

(segue dalla copertina)

Racconta Flora Butit-ta: «Quando nel 1945morì la madre, Rena-to non poté parteci-pare ai suoi funerali.La casa fu liberata dal

proprietario e alcuni effetti personalivennero affidati al podestà. Dopoqualche tempo Renato tornò a Baghe-ria per ritirarli. Insieme al pittore Ga-rajo, io lo aiutai. Fu per questo che mi re-galò i suoi quaderni di scuola, per sdebi-tarsi». Per lei «sono solo un ricordo», maquegli otto quaderni ora ritrovati raccon-tano molto dell’artista siciliano, una par-te importante della sua esistenza, un pe-riodo tra i meno conosciuti, di certo il piùdeterminante per la formazione delle sueidee sull’arte e sulla vita. Anni di povertà e disperanza. Di forti ideali e di scelte obbligate.Di passioni e d’incertezze.

Tutto ha inizio a Bagheria, un paese di mil-le casette e una decina di sontuose ville nobi-liari, il giorno di Santo Stefano del 1911. MaGioacchino e Gina, i genitori, vogliono rega-lare al piccolo Aldo Renato Guttuso una set-timana di vita e lo registrano all’anagrafe diPalermo solo il 2 gennaio 1912.

Il primo ricordo di Guttuso bambino èdrammatico. Un colpo di lupara rimbombanel vicolo sotto casa, dietro corso Butera. Dalbalconcino, ornato di vasi di gerani, Renatovede un uomo cadere a terra, morto. La vio-lenza della sua terra gli entra dentro per la pri-ma volta, lasciando un’impronta indelebilesulla sua sensibilità. La seconda scoperta diRenato è quella di avere due genitori moltodiversi tra loro. La madre è una donna sem-plice, che vorrebbe imporgli un’educazionecattolica. Ogni giorno cerca di trascinarlo amessa, in Cattedrale. Il padre è invece un an-ticlericale, figlio di un garibaldino mazzinia-no, un uomo dai modi eleganti e raffinati cheama l’arte, scrive di teatro e di cinema. È unagrimensore e porta spesso con sé il figlio ingiro per i campi insegnandogli ad amare «l’u-manità dolente e disperata» della Sicilia.

Appena adolescente, Renato è di casa alcircolo anarco-socialista “Filippo Turati”,fondato da Ignazio Butitta a Bagheria, dovesi pubblica il foglio La povera gente e si orga-nizzano le manifestazioni dei braccianti. È lasua prima scuola di antifascismo, proprionegli anni in cui il regime di Mussolini si vaconsolidando. A dodici anni scopre davantialla nuova casa di corso Diaz, sempre a Ba-gheria, «una miniera di colori, segni e figure»:è la bottega di Emilio Murdolo, pittore di car-retti siciliani, suo primo maestro. Da quelmomento Renato inizia a sfogliare con pas-sione i libri d’arte del padre, futura fonte d’i-spirazione per i quaderni del liceo.

Intanto in casa Guttuso si tira la cinghia. Lamadre sogna «il figlio avvocato» e vede l’in-namoramento del ragazzo per l’arte comeun ostacolo alle proprie ambizioni. Gioac-chino, fine acquerellista, incoraggia invecela passione del figlio e gli suggerisce di fre-quentare gli altri artisti locali. Renato dàascolto alla madre, continua a studiare e no-nostante le difficoltà economiche vieneiscritto al liceo classico Umberto Primo diPalermo. Ma già a quindici anni inizia anchea scrivere di arte sul primo dei suoi quaderniora ritrovati, e apre il suo primo studio nelpiccolo abbaino che si affaccia sul terrazzinodi casa con vista sul golfo. Presto questo spa-zio angusto, ma panoramico e soleggiato, di-venta una “factory” frequentata dai giovaniartisti come Nino Franchina, Giuseppe Bar-

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La copertinaAutoritratti

bera, Nino Garajo, e anche da Topazia Allia-ta di Salaparuta, giovane ed esuberante du-chessa, che studia all’accademia d’arte e di-pinge con talento. I due diventano insepara-bili, e si innamorano. Renato si presenta alpadre di Topazia a Villa Valguarnera, e chie-de ufficialmente al duca il permesso di fre-quentare la figlia. Iniziano le incursioni deidue giovani a Palermo sulla veloce limousi-ne guidata dallo chauffeur sudanese del du-ca di Salaparuta. Non pensano ci siano gran-di differenze tra loro, ma quando il gruppo diartisti si riunisce sulla terrazza di corso Diaza parlare di arte e di futuro, la madre di Rena-to non può offrire loro che una piccola fettadi melone per ciascuno.

Il giovane, di idee antifasciste, a Palermo sitrova a fare i conti con un’altra realtà. Incon-tra un grande maestro di pittura nel futuristaPippo Rizzo, uno degli artisti di punta delmovimento di Marinetti, che predica la ri-volta contro Giotto, Raffaello e Tiziano. Ma ilgiovane Guttuso non la pensa allo stesso mo-do. Decine di pagine dei suoi quaderni sonodedicate non solo ai grandi della pittura an-tica, ma anche ai cosiddetti “minori”, che perlui “minori” non sono. I quaderni del liceo si

riempiono di più di cento tra schizzi, disegni,studi di figure, che ora attendono di essereesaminati in modo approfondito. Tutte le al-tre materie lo interessano assai meno e i votiin pagella sono appena accettabili. Renatovorrebbe disegnare e dipingere, dipingere edisegnare. Sono proprio i suoi quaderni a ri-portare quest’urgenza, questa pulsione. Il-luminano un mondo fatto di grandi passio-ni, ma anche di scelte difficili e non più rin-viabili. «Non è più il tempo — scrive — deigiardini di limoni, delle notti di luna e dei di-scorsi antichi dei contadini di Bagheria».Non è più il tempo di far convivere pacifica-mente il “libero pensiero” del padre e ilconformismo della madre. C’è una vita da«vivere accanitamente». Ma quale, e dove?

Il giovane Renato legge i discorsi di Leninsugli opuscoli dell’Avanti! diffusi clandesti-namente. Sui quaderni di scuola compareuna piccola falce e martello, vicino a figureindistinte e al disegno di un ometto trasfigu-rato alla George Grosz. Disegno autografo oforse frutto collettivo della “factory” baghe-rese. Compare anche un’annotazione, pro-babilmente dello stesso Renato, ma con cal-ligrafia stravolta: «Renato Guttuso Bagheria,

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Riflessioni sulla filosofia e sull’architettura, lunghi componimenti sui padrifondatori da Masaccio a Michelangelo. Ma soprattutto decine e decine di schizzi,bozzetti, studi di figure che segnalano l’urgenza di disegnare e di dipingereNel centenario della nascita, i primi passi di un ragazzodiviso tra la Sicilia, la lotta degli umili e la pittura

I miei quaderni di scuoladisegna meglio con la mano sinistra...».

Frequenta il coetaneo Franco Grasso, at-tentamente osservato dalla polizia politicafascista, animatore di un gruppo che si svi-lupperà nel Fuai, il Fronte unitario antifasci-sta d’ispirazione comunista. Ma poi, quan-do si iscriverà alla facoltà di legge per volontàdella madre, per usufruire dei servizi assi-stenziali e per poter partecipare alle esposi-zioni pubbliche deve accettare la tessera deiGuf, i Giovani universitari fascisti.

Sono gli eventi che decidono per il ven-tenne. Solo dopo alcune mostre nel conti-nente e il successo ottenuto da due opereesposte alla Prima Quadriennale di Roma,nel 1931, Renato decide che non diventeràmai un avvocato. Abbandonerà gli studi uni-versitari e partirà per la capitale. Ormai ha intesta una sola cosa: fare l’artista. E artista di-venterà, sarà l’artista di punta della sinistraitaliana, il pittore acclamato ma anche criti-cato, l’amico di Picasso ma anche il difenso-re del realismo, l’uomo che amava i trasgres-sori ma che trasgressore non era. Perenne-mente al bivio nei suoi primi vent’anni, scel-se infine il Pci.

GIANCARLO BOCCHI

LE MATITE

Nudi,

caricature,

una piccola

falce

e martello:

schizzi,

disegni

e studi

di figure

ritrovati

sui quaderni

di Guttuso

(Archivio Asb

Si ringrazia

Flora Butitta)

Nella foto

di copertina

Guttuso

nel 1930

nel suo studio

romano

GuttusoRenato

Repubblica Nazionale

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Tema: “I tre grandi maestriche hanno cambiato l’arte”

RENATO GUTTUSO

(segue dalla copertina)

In terra dormono le guardie, di cui una è profondamente immerso nel sonno e sembra divederlo russare. Anche qui il paesaggio è formato di montagne sparse di alberi e cespu-gli. Con questa opera si chiude la sua faticosa vita.

Raffaello[...] Egli pensò alla Sicilia perché anch’essa avesse qualche sua pittura. Fece per il Conventodello Spasimo dei frati di Monte Oliveto, a Palermo, un quadro ove dipinse lo spasimo di Cri-sto. La storia di questa tavola ha del miracoloso. Raffaello la spedì per nave ben chiusa; mala nave fu travolta da una tempesta e sbattuta dalle onde andò a frantumarsi sulla spiaggialigure. I genovesi videro una cassa, l’aprirono e vi trovarono il quadro intatto. [...]

Leonardo da Vinci [...] È l’unico che possa stare alla pari con Raffaello. Mentre la produzione di Raffaello è ab-bondante quella di Leonardo consta solo di otto opere, almeno quelle che noi abbiamo. Macerto molte altre opere egli dovette produrre, le quali se fossero a noi giunte ci avrebbero stu-pito. Egli ebbe un ingegno straordinario, perché non fu solo un insigne artista, ma anche in-gegnere, architetto, idraulico, matematico, fisico, naturalista, poeta, letterato. Egli quindi sidistrasse troppo dall’arte. Fu dotato di una strana caratteristica, cioè di non essere mai con-tento delle sue opere. [...] Mentre di ogni pittore possiamo trovare una derivazione, Leo-nardo non ha veramente alcuna educazione, tranne un po’ di Verrocchio. Infatti Leonardoquando era fanciullo molto prese dal maestro Verrocchio, il quale impose nell’arte un’or-ma profonda per essere stato anche il maestro del Perugino.[...]

Michelangelo Egli fu uno dei più grandi artisti del mondo, specialmente per il fatto che non essendo nato perl’arte, con lo studio divenne sommo nell’architettura, pittura, e specialmente scultura. A tre-dici anni lasciava la scuola di lettere si recava nella bottega del Ghirlandaio per impararsi il di-segno e la tecnica dell’affresco, e lì rimase per un anno. In seguito frequentò la scuola di scul-tura, che si impartiva nei giardini dei Medici, ricchi di statue. Egli è il solo pittore che può sta-re accanto a Raffaello e Leonardo. Ebbe infinite schiere di allievi, tra i quali il Vasari. A ot-tant’anni moriva pianto da tutta Roma che vedeva in lui spegnersi uno dei più grandi artistidel mondo. Ed ora dopo la luminosa triade formata da Raffaello, Leonardo, e Michelangelo,l’arte comincia a decadere e non dà alcun artista che possa stare accanto ad essi.

(Brani tratti dal quaderno n.1, 1927)

IL DOCUMENTARIO

I quaderni giovanili di Guttusoe molti filmati inediti sarannopresentati nel film documentariodi Giancarlo Bocchi La vita è arte,che andrà in onda in occasionedel centenario della nascita dell’artista

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Tronchesina e furgone. Sono i ferri essenzialidi un “mestiere” che si credeva fissatoper sempre nel bianco e nero di De Sica

E che invece, grazie al boom di un ciclismometropolitano anti-crisi e anti-smog, sta conoscendouna nuova primavera. Parola di un esperto del settore

L’attualitàRemake

«Stia tranquillo, non ci vorrà micamolto». Da buon piemontese, ilsignor Giovanni si rivolge a mecon un rigido “lei” di cortesia. Altavolo di un caffè di piazza, frontemercato, in una piccola città del

nord. Si discute di furti di biciclette, fra intenditori.«Mi creda, c’è meno attenzione, la gente ci bada me-no. Non è più il tempo che se ti rubano la biciclettaperdi il lavoro». Discretissimo sfoggio di cultura: nonc’è neanche bisogno di citare esplicitamente De Sica,fra gente di mondo. Del resto Giovanni ha l’età per ri-cordare il film e forse, frugando nell’infanzia, anche iltrio Lescano che cantava «Ma dove vai bellezza in bi-cicletta». «Certo, è anche che c’è più traffico, più biciin giro: un po’ la crisi, un po’ il fatto che oggi anche iComuni promuovono... Sa quell’iniziativa...». Bikesharing? «Quello. Ma perché in inglese?». Boh? Un

momento di silenzio, poi riprende: «Diciamo che c’ètendenza? E quindi aumenta la domanda».

Domanda di biciclette rubate: secondo i dati delleassociazioni di appassionati (Federazione italianaamici della bicicletta in testa) il 18 per cento dell’inte-ro parco bici circolante è composto da veicoli rubati,uno su cinque. Le grandi città registrano una mediadi venticinque furti al giorno, e molti di più se ne con-tano in provincia dove il mezzo è più usato e la viabi-lità più amichevole. Si può dire che la bicicletta ha so-stituito l’autoradio degli anni Settanta e Ottanta nel-le brame dei ladri di strada. E non c’è Comune che nonprovi a correre ai ripari promuovendo iniziative co-me la punzonatura del telaio, la richiesta di un pub-blico registro nazionale simile al Pra, l’istituzione dibacheche online e siti internet su cui rintracciare le bi-ci rubate dopo averle fotografate.

Intanto qui al bar si chiacchiera, stiamo certamen-te per parlare della civiltà dell’auto e della civica resi-stenza a pedali, ma il signor Giovanni mi tocca il brac-cio: «Guardi quello lì». Un uomo con un giaccone pe-sante lega la sua bici accanto alle altre alla transennache proteggono il marciapiede. Giovanni fa un gestodegno di Holmes quando stupisce Watson: «Mate-matico. Basta sapere i posti, come per andare a fun-ghi». Pochi secondi e l’uomo con il giaccone si allon-tana pedalando. Il signor Giovanni però mi fa notareche la sua bici è ancora lì, alla catena. Mi ha distrattocon un trucco da prestigiatore, la mia retina non hafermato un solo movimento sospetto, e ora Giovannifa sfoggio di pazienza spiegandomi la tecnica: «Vienein bici, la tronchesina sotto il giubbone. Lega la sua ac-canto a quella che ha scelto, poi zac! Un colpo solo ese ne va sull’altra. La sua la lascia anche per giorni,quindi, fra parentesi, si rilassi che non c’è proprio dafar denuncia. E poi è roba da piccolo cabotaggio: unao due bici al giorno». Basta un colpo? «Chiaramenteha individuato la catena debole: ce ne sono di ogni ti-po, ma mi creda: quella sicura al cento per cento nonesiste. Ci sono quei tubi a U che vanno di moda ades-so...». Archi rigidi. «Quelli» (come dire: «La smette diinterrompermi?»). «Sono duri per la tronchesina. Malì il punto debole è la serratura, si apre con il cacciavi-te. Pensi che all’inizio bastava una penna bic, che halo stesso esagono delle vecchie serrature».

Giovanni annusa l’aria e offre un bicchiere di vino:«Farà nebbia», dice. La nebbia gli piace, ma non perragioni professionali. È che gli ricorda la giovinezza

Ladribiciclette

di

LUCA RASTELLO

le biciclette rubateogni anno in Italia

2 mln

FONTI: EASY TRUST; EDICICLO; CENSIS; MINISTERO DEL COMMERCIO ESTERO; ANCMA

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qua nelle basse, storie di ragazze e biciclette: «Pren-devamo dei bei freddi, va’. Per andare a ballare».Adesso lo prende a lavorare, il gelo. «Eh sì, ma ho ilfurgone, non è così dura. Sa, ho scelto questo la-voro perché non è faticoso. Alla mia età capirà.Non ti fa ricco ma permette di sopravvivere. E poidà meno problemi: niente numeri di telaio, nien-te libretto di circolazione». Lui, quando fa notte, vain giro con un furgone. Punta una città non troppolontana da quella dove vive. Stanotte ha scelto Pa-

via. «Ma solo come direzione: mentre vado giro ipaesi sulla strada, se trovo lavoro prima chiudo lì e

torno indietro». Ha una certa età. Come i suoi colle-ghi più famosi e sfortunati: «Nonnofurto», per esem-pio, alias Francesco Cameriere, 74 anni, arrestato aRoma, o il pensionato settantunenne preso a Grosse-to. Ha le sue passioni: «Mi piace battere la Liguria, maanche Vercelli, la Lombardia. Poi vado matto per Sa-luzzo, Cuneo, Fossano. Ah, Arona! Bellissima!».

Non lavora nelle grandi città: «Lì il tasso di delin-quenza è alto e la gente si protegge di più. Nelle picco-le trovi porte più deboli. E girano più soldi, la merce èpregiata». Non usa attrezzature particolari: «Il valoredella merce è relativo. Conta la quantità. Se raccoglidieci, quindici bici in una notte allora è bonanza. Main media nei fai da tre a cinque». Tutto sta a indivi-duare il sobborgo giusto: «Palazzine nuove, giardinicondominiali, non troppo in centro». Poi scendere adare un’occhiata alle serrature: «Senza attrezzi. Nonè che girare con i ferri da scasso sia il massimo dellaprudenza...». Poi, recuperati gli arnesi, apre a colpo si-curo: «Se gira bene basta l’androne con quelle belle ra-strelliere. Ma poi ci sono le cantine, e lì non prendo so-lo le bici. Ci sono le precedenze: per esempio la carnevale di più. Il meglio è quando trovi un freezer: ti por-ti via anche quello. C’è chi lascia lo champagne e ci so-no bar e ristoranti che usano le cantine condominialicome magazzino».

Prende solo bici nuove: «Le più richieste sono quel-le eleganti da uomo con i freni a bacchetta». Non quel-le da corsa? «No, quelle vere si fanno fare dagli artigia-ni, mica si comprano rubate. Una volta mi è capitato:più una disgrazia che altro. Provo a portarla a un pen-sionato che chiamavamo “Bartali”, un patito. Quellola esamina e mi fa: “Se sai a chi darla prendi quel che tioffrono perché questa non la vendi mai più”. Pensa-vo volesse fregarmi, ma aveva ragione. L’ho data viaotto mesi dopo per 60 euro. Un disastro». Non vendepiù su piazza? «No. Ci sono i ricettatori. Non è obbli-gatorio dare a loro, ma se servono “pochi, maledetti esubito” solo loro te li garantiscono. Poi loro fanno lavagonata e portano la roba lontano. Corrono un ri-schio grande: sanno chi fornisce la merce ma non san-no da dove viene, devono cambiare piazza». Ho sen-tito anche all’estero. «Può darsi, ma a me non risulta,i colleghi che conosco sono tutti italiani e lavorare peruno straniero significa guadagnare poco. Ma nonpensi a organizzazioni, eh? Voi giornalisti cercatesempre qualche mafia, anche dietro alle patatine.L’organizzazione costa, ci sono settori che rendono dipiù. Sa qual è il massimo dell’organizzazione?». Dica.«Che a volte tiro sul furgone qualche collega, magarise trovo un palazzo che non posso fare da solo. E allafine si litiga sui prezzi di vendita. Sempre. Ecco, que-sto è il massimo dell’organizzazione».

Almeno si dividono le spese: benzina, manuten-zione, ferri... «E le decalcomanie: sa quelle che mettechi ti vende la bici. La rendono rintracciabile. Io le fac-cio fare e le sovrappongo. Se al ritorno mi fermano icarabinieri dico che sono stato a un mercatino dell’u-sato (dove non fanno ricevuta!)». Il rischio maggiore èper strada. «Sa, si ruba fuori provincia perché le vitti-me poi cercano nel capoluogo e a volte ti pinzano: unodi Alba mi ha preso. Io pensavo che avrebbero cerca-to a Cuneo, invece quello era furbo e mi ferma a PortaPalazzo, Torino: “Quella bici è di mio figlio”. Provo aportarlo a spasso: “L’ho appena comprata, ho dato 50euro, vuol mica che ci rimetta?” Ma era uno sveglio:“Io posso farti rimettere molto di più”. Mai più ad Al-ba, mi creda».

Giovanni, come ha iniziato? «Ho imparato da unamico che lavorava nelle cantine come me, ma spedi-va la merce in treno, allora costava poco. Io dovevoaspettare alla stazione con i tagliandi, ritirare, vende-re. Lui guadagnava tanto e io poco. Il salto è con l’ideadel furgone: mi sono messo in proprio. Adesso me lacavo». Si incupisce un poco, «Sa, per noi non c’è pen-sione, nessun ministro si commuove». Ma a lei la cri-si conviene, no, signor Giovanni? «Ah beh, con quelche costano i carburanti. Sa che quando ho sentito dinuovo la parola “Austerity” son tornato giovane?». Sicongeda — «Stia bene!» — va via a passi lenti, per unasera ha dato spettacolo e torna nella nebbia. Non miviene da augurargli buon lavoro, ma forse buona for-tuna sì.

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RUBATE & RITROVATE

Ai lati di queste pagine,alcune bici recuperate a Milano:in assenza di una “anagrafe”,il Comune pubblica le fotosul proprio sito per facilitarneil riconoscimento

le bici vendutein Italia nel 2010

1,7 mlndelle bici sono acquistatein Toscana e nel Nord

50 %

di euro il valore delle bicirubate ogni anno in Italia

300 mln

delle bici in circolazionein Italia è rubata

1 su 5

l’aumento dei furti di bici negli ultimi dieci anni

+10%

l’aumento degli italiani chevanno in bici rispetto al 2002

+11,9%

di italiani possiedeuna bicicletta

32 mln

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È stato un grande esploratore, un grande scienziato, un grande soldatoConsiderato eroe in mezza Europa, in Italia è quasi uno sconosciutoLa storia

Fuga di cervelli

BOLOGNA

C’è un fantasma che si aggira perBologna, sale nottetempo lescale dell’Osservatorio astro-nomico sul tetto di palazzo Pog-

gi, fa scricchiolare il parquet della Biblioteca uni-versitaria dove Ermanno Olmi girò la scena ma-dre di Centochiodi, apre e sfoglia senza essere vi-sto rari manoscritti ben custoditi, si sofferma sufavolose mappe turchesche del Mar Mediterra-neo. Nei giorni di temporale si aggira inquieto at-torno a una lapide col suo nome nella basilica diSan Domenico, un sepolcro che a dir dei frati con-tiene un cranio con una misteriosa sciabolata so-pra la tempia sinistra. Su quella pietra c’è il suonome: Luigi Ferdinando Marsili, soldato e scien-ziato, nato a Bologna il 10 luglio 1658 e mortosempre a Bologna l’1 novembre 1730 dopo unavita da romanzo.

Che lui fosse tornato lo si è capito qualche me-se fa, quando un vulcano spento s’è rimesso aborbottare in fondo al Tirreno. Un mostro som-merso, grande il doppio dell’Etna, forse il piùesteso del Mediterraneo, che gli studiosi hannochiamato “Marsili” in memoria dei suoi studi su-gli abissi del mare. Un risveglio a orologeria, chepare orchestrato apposta per celebrare, que-st’anno, i tre secoli dalla fondazione della suacreatura più bella, più celebre e più invisa: l’Ac-cademia delle Scienze — la prima in Italia — chetentò di rinnovare, sull’esempio dell’AcadémieFrançaise e della Royal Society, l’asfittico siste-ma universitario bolognese. Una celebrazionedovuta, dopo secoli di oblio, e destinata a esseresempre inadeguata rispetto all’enormità delpersonaggio.

E c’è da chiedersi come l’Italia abbia fatto a di-menticare un uomo che è allo stesso tempo In-diana Jones e James Bond, Erwin Rommel e Gu-glielmo Marconi; esploratore e agente segreto,stratega e scienziato. Uno che ha viaggiato inmezza Europa, al servizio di tante bandiere, rac-cogliendo materiali che oggi riempiono archivi diLondra, Parigi, Roma e Berlino. Un fenomeno,che ha combattuto battaglie storiche, pranzatocol Re Sole e Isaac Newton, affrontato mille temie sempre in modo geniale: piante, animali, fun-ghi, rocce, fiumi, fortificazioni, frontiere, diplo-mazia, correnti marine, coralli, astronomia. Unaquantità tale di cose, che è impossibile collocar-lo in una casella del sapere, non solo nella storiad’Italia, ma anche d’Europa.

Chiedete a un francese chi è Marsili e rispon-derà che è suo connazionale. Dirà «Mais par-bleu, Louis Ferdinand! Il fondatore dell’oceano-grafia, il primo a misurare il mare!». Fate la stes-sa domanda anche a un austriaco, e sentireteche Herr General Marsili, come il Prinz Eugen, fuartefice della riscossa occidentale sugli Ottoma-ni, il soldato che dopo la pace di Carlowitz sep-pe disegnare i confini più solidi che l’imperoasburgico avesse mai avuto. Provate con un un-gherese, e vi dirà: «Marsili? Certo, è un eroe na-zionale magiaro, colui che salvò da un incendioi libri di Mattia Corvino, il primo esploratore delDanubio e il primo a cartografare gli spazi fraPannonia e Transilvania». Persino un turco sa-prà darvi una risposta. «Ah Marsili, lo scoprito-re delle correnti del Bosforo! Marsili, uno dei pri-mi a descrivere in un trattato le qualità del caffè,la bevanda più turca che ci sia».

Bene. Ora provate a chiedere a un italiano chiera costui. Vi specchierete in un imbarazzato si-lenzio. Il buio sul Marsili è uno dei santissimi mi-steri di questo nostro Paese di santi, scienziati enavigatori. Persino a Bologna sono in pochissi-mi a conoscerlo e in tanti a snobbarlo. Il Nostrorompeva gli equilibri nel Settecento e li rompeanche oggi, post mortem. Dimostra che in tre se-coli poco è cambiato in Italia e persino all’ombradegli Asinelli. «Del governo di Bologna io non in-tendo nulla e anche per questo è opportuno es-serne lontano», scrive deluso dalla freddezzadella classe dirigente verso i suoi progetti di aper-tura al sapere d’Oltralpe. È il suo modo di am-monire: questa Italia che espelle i cervelli mi è in-comprensibile, non sta in Europa. Nella sua sfi-ducia è ricambiato: i cronisti di corte lo defini-scono pazzo, nottambulo, visionario. La fami-glia lo disconosce per aver dilapidato in libri lesue fortune. Osserva il geografo Franco Farinel-li: «Ci sono due tabù a Bologna. Uno è il 1977,quando Cossiga mandò gli “M 113” contro glistudenti, ci scappò il morto e il sindaco Zanghe-ri fu obbligato a dimettersi con un atto chespianò la strada all’eutanasia del Pci. L’altro tabùè Luigi Ferdinando Marsili».

Oggi in Italia la memoria del Grande è un affa-re controcorrente, gestito da una confraternita

Le

avventurestraordinarie

PAOLO RUMIZ

Repubblica Nazionale

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Trecento anni fa fondò a Bologna l’Accademia delle Scienze

È l’occasione per ricordare la sua vita e quanto tutti noi gli dobbiamo

interdisciplinare di “sedotti”, simile a quella rac-coltasi attorno alla figura del geografo Alexandervon Humboldt. Geologi come Giambattista Vai,storici della filosofia come Annarita Angelini,geografi come Farinelli, maghi della storia anticacome Gianni Brizzi, e ancora medici, studiosi distrategia, oceanografi. È con loro che puoi navi-gare a Bologna nell’arcipelago marsiliano disse-minato fra la biblioteca e il museo scientifico dipalazzo Poggi (ex residenza di lui) e altri luoghiancora. Nella sala dei suoi manoscritti preghere-te di essere dimenticati dal custode per restaresoli con favolose raffigurazioni di pesci del Da-nubio, uccelli migratori d’Anatolia, turbanti tur-chi di ogni foggia, monete romane, eserciti in mo-vimento, e ancora carte di città sotto assedio, pla-nimetrie del Nilo, disegni di fondali marini e roc-ce nel profondo delle miniere. E poi, nel museo, imodellini delle fortezze ideali, un concentrato discienze, ingegneria, balistica, idraulica. Modelliperfetti, da powerpoint, che hanno rivoluziona-to la strategia del Settecento.

Vi muoverete in un labirinto dove tutto è la-sciato in ordine perfetto ai posteri. Stefano Ma-gnani, studioso di storia antica: «A lavorare suquelle carte sembra che abbia voluto facilitare illavoro non tanto ai contemporanei, ma a quelliche sarebbero venuti». La Angelini azzarda unaspiegazione: «Il suo eccesso di lungimiranza lorendeva ostico, e lui ne era consapevole. Per que-sto era rassegnato a pensare solo al dopo». Ed èstupefacente pensare che tutto questo sia finitoin un grande buco nero per tre secoli, come acca-duto in parte a tantissimi grandi dell’epoca. Mal-pighi, Spallanzani, Volta, Guglielmini, Beccari,Cassini. Geni assoluti, tuttora più noti all’esteroche nell’Italietta. C’è da chiedersi come non gliabbiano ancora dedicato un film. Stanley Ku-brick non avrebbe esitato un attimo.

Sentite che biografia. Adolescente, viene di-sarcionato in un torneo davanti alla spasimante,in piazza Maggiore. Umiliato, scappa a Roma,dove Cristina Di Svezia, regina mangia-uomini,lo indirizza verso la scienza e le corti. Con l’am-basciatore di Venezia va a Istanbul, dove diventaspia d’alto bordo, si infila nelle stanze segrete delSultano e sonda i fondali del Bosforo, scopren-done le due correnti eguali e contrarie. Fornisceal Papa carte dell’impero ottomano corrette dalTurco, poi entra nell’esercito asburgico ma è fat-to prigioniero dai tartari e venduto come schiavo.Passa due anni incatenato a una palla di ferro inun paesino d’Erzegovina, dove si vocifera subi-sca sodomia, poi riesce a farsi assegnare al servi-zio del caffè presso gli ufficiali ottomani, imparala loro lingua e strappa informazioni nell’avan-zata su Vienna del 1683. Da allora, pare, non ci sa-ranno più donne nella sua vita.

Quando, liberato dagli austriaci, torna al servi-zio del Kaiser, è diventato uomo prezioso. Sa tut-to dei turchi, ne conosce la lingua, scrive sullo sta-to militare del loro impero. Partecipa all’assediodi Buda e strappa al saccheggio collezioni cora-niche uniche al mondo. Definisce i confini orien-tali d’Austria, setaccia il Danubio con un’équipedi esploratori, ne disegna flora e fauna, e scopre isegni del limesromano, così tanti che osserva: «Làdove costruivo un campo, un ponte o una strada,là i Romani l’avevano già fatto, e meglio di me».Torna dai viaggi con cassoni di reperti, e ha in te-sta un solo pensiero: mettere il sapere al serviziodel potere. Ma gli va male: quando lo spostano sulReno, la sua fortezza cade in mano francese. Perquesto lo degradano ingiustamente, gli spezzanola spada in pubblico, lo privano dei possedimen-ti. Ma per l’impero è un autogol, Marsili è il mas-simo esperto del tempo in fortificazioni.

Ritorna a casa e con caparbietà militare si im-barca in nuove sfide. Vuole svecchiare l’ateneo,parificarlo a quelli “di là dai monti”, chiamaregente dall’estero, spezzare il monopolio eredita-rio delle cattedre. È convinto che solo la ricercapuò rilanciare l’industria bolognese. Mobilita gliamici dell’Accademia degli Inquieti, costruisceuno staff, spende tutto ciò che ha per impiantareun laboratorio che per tutto il Settecento sarà lacosa più innovativa di Bologna e ancora oggi è unmuseo di sconvolgente modernità. Fonda l’Ac-cademia, ha dalla sua persino il Papa Lambertini,ma la città gli è contro, così torna all’estero, sullaCosta Azzurra a studiare il mare. E lì, come Gali-leo rovescia i cieli, lui ribalta l’abisso: intuisce chel’oceano non è un’immensità senza fondo e le ca-tene montuose di superficie continuano sott’ac-qua. Ad Amsterdam pubblica Histoire physiquede la mer, un capolavoro.

Tornerà a Bologna solo per morire, col nome di“Cavalier d’Aquino”, all’insegna del motto “Nihilmihi”. Nulla è per me, tutto per la collettività; nelsenso che la cultura è cosa pubblica, non un affa-re di pochi. Mai insegnamento fu più attuale.MARSILI

L’ACCADEMIA

La visitadel principeereditariodi Polonia,FedericoCristiano,nel 1742all’Accademiadelle Scienzedi Bologna,fondatada MarsiliDentroil medaglionecentraleil ritrattodi LuigiFerdinandoMarsili

LUIGI FERDINANDOdi

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D

Novanta città solo negli ultimi quattroanni: da Parigi a San Pietroburgo,da New York a Berlino. Ogni città,un teatro, ogni teatro un palcodiverso, diversi i camerini

e gli applausi. E prima e dopolo spettacolo, i riti, una lingua stranieraascoltata alla radio, la troupe che diventafamiglia. E un “divo” che prendei suoi appunti di viaggio

SpettacoliDietro le quinte

a Sarajevo si è spostato a Parigi, da Budapest aMarsiglia. Si è perso nei trentacinquemila me-tri quadri del gigantesco Teatros del Canal diMadrid, ha varcato il celebre portone del Lin-coln Center di New York, si è immerso nellafolla festante dei teatri russi, si è commossosul proscenio del leggendario Berliner En-semble di Bertolt Brecht. «Con i miei com-pagni abbiamo girato il mondo, da Mon-treal a Istanbul, e un conto è vederlo da tu-rista, o in televisione, un conto è vedere ilmondo dal palcoscenico». Toni Servillo,l’icona degli adorati Il Divo e Gomorra,cinquantadue anni senza tempo e senzavezzi, attore e regista sempre con pensie-ro, rigore, bravura, intelligenza, raccon-ta il teatro come «la sola vecchia arte cheti costringe ancora a girare per paesi ecittà, lasciandoti per di più sempre inpegno qualcosa».

È una delle eccellenze italiane chepiù hanno girato il mondo. Gli ultimiquattro anni, un tempo lunghissimoper un attore, li ha trascorsi intournée, e ha cambiato più di novan-ta città, diciannove all’estero, settan-taquattro in Italia, con un Goldonianticonvenzionale e divertente, laTrilogia della villeggiatura. Raccon-ta che «viaggiare con il teatro è un’e-sperienza speciale. Significa anda-re per villaggi, entrare nelle case,conoscere persone, aprire porte sualtre culture e scoprire che non corrispon-dono all’idea globale che ogni giorno ci danno i me-dia, quel mondo dove tutto è uguale e indistinto. Se all’esteroci vogliono, è per vedere l’unicità italiana, scenografie e costu-mi che attribuiscono al nostro modo di essere, comportamen-ti che sono nostri, per ascoltare la bellezza della nostra lingua.

Il piacere del teatro è che porta in giro la specificità di un pae-se, di una cultura, ti fa incontrare altre culture e altre identità erifugge quella gran polpetta anonima che è il mondo visto dal-la tv. Il teatro non appiattisce, non rende tutto uguale, marca ledifferenze ed è quello che rende ogni tournée un’avventurastraordinaria».

Non per punitiva austerità, ma perché sostiene che «basta eavanza», Toni Servillo l’affronta solo con una valigia e uno zai-no. «La valigia con il minimo indispensabile per i cambi e lo zai-no per i libri, i copioni e la radio. Sono un ascoltatore compul-sivo. La tv è orrenda e uguale dappertutto, la radio ti fa capirein che paese sei: a Istanbul senti la musica turca, a New YorkCentral Park in the Dark, a Sarajevo ascolti quella lingua che èun concentrato di cultura islamica, balcanica, greca e mace-done. Quello che nello zaino non manca mai è un diario perappuntare pensieri e niente più, cose che mi vengono in men-te dagli incontri con le persone, coi luoghi». Se ci si attiene allacronaca, la prima cosa, spiega Servillo, che un attore fa appe-na arrivato in una città, è visitare il teatro. «Perché recitare nonè una cosa irreale, ma qualcosa di tremendamente fisico. Lamia abitudine è guardare innanzitutto la relazione che c’è trasala e palcoscenico. Ci sono teatri costruiti in modo che il pal-coscenico sia il luogo da cui gli attori suggeriscono un’idea delmondo agli spettatori. Parlo di quel modo dolcissimo del pavi-mento di legno di scorrere verso la platea, un’inclinazione pro-porzionata che anche fisicamente crea l’abbraccio, favoriscela condivisione, non la distanza che induce l’attore solo all’esi-bizione. Nel nostro lungo girovagare sicuramente il BerlinerEnsemble di Berlino è un teatro fatto così. Ma uno dei vertici dibellezza, in questo senso, per me resta il Théâtre des Célestins

valigiaattoredell’

La

ToniServillo

ANNA BANDETTINI

IN VOLO

A sinistra, ancoraappunti sul teatrodi Toni Servillo:“Ho capito benei russi per la primavolta vedendolirecitare L’albergo

dei poveri di Gorkij”

NEW YORK

A destra,pensieri in libertàsul mododifferente di viverel’esperienzateatrale nei paesidell’Est,da Budapesta Varsavia,e a New York:“Una cittàche macina teatrocontinuamente”

PARIGI E ISTANBUL

Gli appuntiche Servillo prendein tournéecon gli schizzidelle cittàattraversate:qui a destra,annotati anchei nomi di tuttii membridella troupe

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“Quanto a bellezzail mio preferito restail Théâtre des Célestins

di Lione, mentre detestogli hangar modernie nel nord della Spagnane abbiamo trovatiparecchi: pare di perdersicome in corridoi dell’Inps”

di Lione che anche per i grandi artistiparigini è stato ed è il luogo dove verificare

i loro lavori. E parlo di artisti come Louis Jouvet,Gerarde Philippe, Sarah Bernhardt: un teatro all’i-

taliana dove tutto è di grande semplicità eleganza, ric-chezza, un piccolo tempio teatrale che invoglia a intense vici-nanze».

Dietro ogni viaggio, dice Servillo, c’è la storia di molte perso-ne: tecnici, accompagnatori, artisti... Per la Trilogia della villeg-giatura si è mosso un cast formidabile di diciassette attori. «Sia-mo stati in tournée quattro anni. Un tempo lunghissimo du-rante il quale ti muore un padre, ti nasce un figlio, ti separi dauna donna. Anche il personaggio che porti in giro si informa diqueste cose e crea una qualità speciale». Si diventa una famigliadi girovaghi, come è raccontato nel film-documentario di Mas-similiano Pacifico 394 (proiettato domani a Roma al Teatro Val-le Occupato): una famiglia che condivide serate, spostamenti,alberghi e i riti della tournée, anche i più triti, dall’urlare ogni se-

ra in coro «merda!» prima di entrare in scena dovunque tu sia alleggere le recensioni due giorni dopo il debutto. «Angelo Curtidella nostra compagnia, i Teatri Uniti, che con il Piccolo ha pro-dotto la Trilogia, a ogni debutto sparge anche sale sul palcosce-nico in funzione apotropaica. Io? Io no, ma lo lascio fare. Maimettersi tra un rito e le sue possibili conseguenze».

Non per snobismo, ma per ragioni di comodità, a Toni Ser-villo viene dato sempre il camerino più vicino al palcoscenico.«I miei preferiti sono i vecchi teatri all’italiana che hanno i ca-merini direttamente sul palcoscenico, così se lasci la porta leg-germente aperta quando non sei di scena sei comunque nellospettacolo perché senti arrivare le voci degli altri attori. Dete-sto gli hangar, e nel nord della Spagna ne abbiamo trovati mol-ti, dove i camerini sono o sottoterra o all’ottavo piano e per rag-giungere il palcoscenico devi percorrere quei lunghi corridoiche sembra di perdersi nei meandri dell’Inps».

Quello che gli attori aspettano con più trepidazione intournée sono gli applausi, specie all’estero dove sono il conno-tato per decifrare umori e reazioni. «I russi sono passionali co-me li conosciamo e in più hanno l’abitudine di lanciare fiori, distudiare parole italiane e di gridarle ad alta voce mentre ap-plaudono. I francesi alla seconda uscita cominciano a ritmarel’applauso tutti assieme ed è emozionante. I tedeschi aggiun-gono all’applauso lo sbattere dei piedi sull’impiantito dellaplatea per cui si ha la sensazione che tremi tutto il teatro. Gliamericani si alzano in piedi e fanno un applauso, massimo due,come gli inglesi, e poi basta, due ringraziamenti e via. L’ap-plauso più strano è l’ungherese perché è circolare, muore e ri-prende. Sono tutti segno di un’identità nazionale che è belloconoscere. Così come è straordinario avvertire nei paesi del-l’Est la necessità del teatro. Lì gli artisti sono ancora chiamati“artisti del popolo” e senti che sono vissuti come testimoni diun poeta che ti aiuta a capire come stare nel mondo».

Sono cose così che rendono il viaggio inevitabilmente qual-cosa di più della recita serale o dell’agenda fitta di incontri mat-tutini, lezioni, masterclass, interviste che ogni tournée si portadietro. È un labirinto di tracce, luoghi, personaggi, parole chesi legano imprevedibilmente: «Per me a Montreal sono stati iluoghi di Barney, a Mosca la casa di Majakovkij e di Cechov. Èstata l’emozione forte della prima volta al Berliner Ensemble, ilteatro di Brecht, dove ho recitato commosso e spaventato. Èstato a San Pietroburgo il Teatro Studio di un grande artista co-me Lev Dodin, o Parigi, perché Parigi è una città gemella per noiitaliani: è Goldoni, Strehler, les italiens, gli attori italiani». Sta alviaggiatore, all’attore, alla sua passione, trovare un percorso traqueste tracce, ricucire la necessità di questa erranza che rega-la il teatro. «Ed è quasi sempre qualcosa di immateriale, comeper esempio, la gioia che ho provato a New York dove il nostroGoldoni, dalla profondità del Settecento, è stato visto come unpoeta che raccontava ai newyorchesi il momento che stavanovivendo, una società al tramonto arroccata nel bon ton e neiprivilegi e spazzata via dalla crisi. Ma il bello del teatro è proprioquesto: dovunque tu sia, amplia lo sguardo, sempre avendo alcentro l’uomo. Se non mi avesse portato il teatro in giro per ilmondo, io non mi sarei mosso. E dunque sono grato a questoobbligo di viaggiare, di avere la possibilità di incontrare altri dasé. Perché capendo che non siamo tutti uguali, capisco un po’più me stesso».

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IN SCENA

Qui sopra e in alto, alcuni momenti della Trilogia della villeggiatura di Goldoniportata in scena dai Teatri Uniti in più di novanta città del mondo. Nella fotogrande al centro, sempre Servillo durante lo spettacolo. Sulla valigiache tiene in mano i loghi di alcuni dei teatri che hanno ospitato lo spettacolo

MOSCA

E SAN PIETROBURGO

Nelle foto in questapagina, Servilloin viaggio in diversecittà: dall’alto in sensoorario, a Mosca, Berlinoe San Pietroburgo

BILBAO, CRACOVIA

E BERLINO

Sopra, le locandinedella Trilogiadella villeggiaturanei teatri di Bilbao(in alto), Cracoviae Berlino (a destra)

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Il nipote di Mazinga Z gattonacontento. Si chiama iCub, è na-to in Italia e possiede una pellebianca di plastica semitraspa-rente. L’unica sensibile al toc-co, costruita con la stessa tec-

nologia degli schermi per smartpho-ne. La sua voce è la sintesi di decine divoci umane, mentre il suo cervello imi-ta i processi dei nostri neuroni. La pas-sione di iCub sono le palline colorate.Le guarda a lungo con la mano aperta,immobile, poi le colpisce lentamenteper spingerle via. Gesti vagamentemaldestri, imprecisi, insicuri. Eppurenon c’è dubbio: è proprio il nipote diMazinga Z. Fa parte dell’unica catego-ria di robot, la più inutile ai fini com-merciali, capace di prendere decisioniautonome. Ed è il frutto più maturo diun sogno cominciato a Tokyo ses-sant’anni fa e che ora ha contagiatobuona parte dell’Occidente.

«Nel dopoguerra, dopo la resa, gli in-generi giapponesi furono costretti adabbandonare l’industria bellica», rac-conta Shigeoki Hirai dell’Istituto di ro-botica di Chiba, «riversandosi in quel-la automobilistica e in parte nella ri-cerca a lungo termine. La robotica mo-derna, da noi, nasce così». E nasconocosì i manga e le serie animate legate ai

robot, dal bambino di ferro Astro Boyapparso nel 1952 fino al mastodonticoGundam arrivato nel 1979. Che non acaso erano invincibili e armati fino aidenti, personificazione di una rivinci-ta possibile partendo dall’unico cam-po dove i giapponesi avevano mano li-bera. Un settore sul quale sono stati in-vestiti a fondo perduto miliardi e mi-liardi nel corso degli anni. Anche se l’u-nico vero risultato tangibile fu il domi-nio dell’immaginario collettivo.

Guardando iCub, costato duecen-tomila euro all’Istituto italiano di tec-nologia, viene da chiedersi quale sia ilvero futuro degli automi pensanti. Al dilà delle presentazioni alla stampa, del-le esibizioni nelle fiere, degli show te-nuti con regolarità da Asimo dellaHonda o dai robot dal volto umano co-me Hrp-4c, Repliee, Actroid-Der, Ge-minoid HI-1. Oscillano tutti fra dueopposti: fanno sognare le magie diAstro Boy, quando in realtà sono co-stretti in una quotidianità difficile, pie-na di limiti, dove una semplice corsa oil riconoscere una pallina blu rappre-sentano un successo.

«Sono ancora fragili e in ambienticomplessi, Fukushima ad esempio,del tutto incapaci di operare», spiegaGiorgio Metta, a capo delle ricerche al-l’Iit. «Le scienze cognitive ci diconoperò che una vera intelligenza artifi-

ciale deve avere un corpo umano perassomigliarci. Perché la nostra intelli-genza è legata al corpo che abbiamo».Ma c’è anche un altro motivo che ren-de iCub e i suoi fratelli importanti.Quella dei robot umanoidi capaci dicompiere scelte è la promessa di un’in-terazione fra noi e le macchine del tut-to diversa. Se Wii e iPhone hanno avu-to successo usando come linguaggiogesti e tocco, facile immaginarsi cosapotrebbe succedere se il dispositivoche abbiamo in casa si mettesse anchea camminare e a parlare. Peccato cheper far diventare realtà commercialeuna macchina umana servano alme-no altri quarant’anni.

«La difficoltà maggiore sta nel co-struire delle unità di calcolo che fun-zionino come dei neuroni», raccontaGiorgio Metta. «Si chiama ingegnerianeuromorfa. Ma siamo ancora alle fa-si iniziale della ricerca. Per ora iCub èin grado di riconoscere e di interagirecon una serie di oggetti su un tavolo,può parlarne e indicarli, capisce dellefrasi semplici. Dietro ci sono algoritmidi riconoscimento automatico dellecose e delle parole. Anche sulla vocestiamo facendo ricerca: abbiamo adesempio registrato diverse persone le-gando il parlato ai movimenti della lin-gua e delle corde vocali. E su questo ab-biamo costruito un algoritmo che aiu-

ta iCub a esprimersi meglio». Intanto, altrove, si sta preparando

un invasione di robot ma di generecompletamente diverso. Sono le altredue categorie di automi, quelle chenon pensano, non prendono decisio-ni, eseguono solo sequenze comples-se di ordini. Eppure sono le uniche arappresentare un mercato di unaqualche rilevanza. I primi sono i robotindustriali, impiegati nelle catene dimontaggio o nelle fabbriche, che se-condo la International Federation ofRobotics ammontano a circa un milio-ne di unità per un giro d’affari di5,7 miliardi di dol-lari. Dopo il 2009,anno nero conun calo delle ven-dite di quasi il cin-quanta per cento,ora il settore ha ri-preso a respirare.Grazie a Cina e Coreadel Sud, dove gli acqui-sti sono triplicati. Solo aSeul e dintorni ne hannoordinati 23.500, superan-do per la prima volta ilGiappone. Primato signifi-cativo ma effimero. Il prossi-mo anno sarà infatti la voltadella Cina. La Foxconn, multi-nazionale da 60 miliardi di dolla-

Io, RobotAutomower

Il rasa erba robotizzatoe intelligentedella Husqvarna

Kr15

Robot dell’italiana Kukaper le fabbriche e le catenedi montaggio

NextTroppo umano

Ci sono quelli che eseguono ordini nelle fabbriche. Ci sono quelli che tagliano prati, guidanosonde spaziali e operano negli ospedali. Ma quelli che stanno nascendo nei laboratoripiù avanzati del mondo, Italia compresa, sono molto di più: si muovono, pensano e sbaglianoEcco come a separare noi da loro è rimasto solo un algoritmo

Halluc II

Opera dell’istituto di ChibaPuò camminare e muoversiin tutte le direzioni

Robowarden

Robot guardia carcerariaprogettato in Corea del Suddall’Università di Kyonggi

Da Vinci

Robot chirurgo della SurgicalRobotics. Permette di operarea distanza

Spykee

Robot giocattolo della MeccanoDotato di webcam, può muoversianche a distanza via Rete

Bimby

Il robot per cucinare più famosoin circolazione. Lo costruiscela tedesca Vorwerk

G-Dog

Robot venduto in kit di montaggiodalla giapponese HpiÈ programmabile via computer

Aibo

Il cane robot della Sony lanciatonel 1999. È stato in produzionefino al 2006

Una vera intelligenzaartificiale deve avere un corpo umanoPerché la nostraintelligenza è legataal nostro corpo

Roomba

Il dispositivo automaticoper le puliziedella americana iRobot

Nexi

Parla e comunica attraversole espressioni del voltoÈ opera del Mit Media Lab

Manoi Pf01

Uno degli ultimi robotprogrammabili sul mercatodella giapponese Kyosho

GIORGIO METTA

Capo delle ricerchedell’Istituto italiano di tecnologia

‘‘

JAIME D’ALESSANDRO

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Robot Androide CyborgIl termine nascein Cecoslovacchia nel 1920Deriva dalla parola robota,lavoro forzato. Fu usatoda Karel Capek nel drammateatrale I robot universalidi Rossum

Essere artificiale con sembianzeumane. Deriva dal greco andros,uomo, per definire una macchinache ha il nostro aspettoQuello dell’androide è un mito anticoLa parola è usata per la prima voltanel 1270 dal teologo Alberto Magno

Organismo in parte biologicoe in parte meccanico-sinteticoIl termine risale al 1960 ed è natoin ambito medico per descriverei potenziamenti del corpo umanoderivanti dall’uso delle nuovetecnologie

Intelligenza artificialeL’abilità di una macchina di compiere ragionamenti similia quelli della mente umanaL’espressione è del 1956, operadel matematico John McCarthye diede vita a un nuovo campodi ricerca scientifica

Ingegneria neuromorfaNata alla fine degli anni Ottantagrazie allo scienziato americanoCarver Mead, è una disciplinache si ispira alla biologiaper progettare sistemi digitalievoluti come costruire computerpartendo dai neuroni umani

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ri che produce fra gli altri iPad, iPhone,PlayStation 3 e Kindle, questa estate haannunciato di voler aumentare il nu-mero di automi. L’idea è di farli passa-re dalle attuali diecimila unità a circatrecentomila per il 2012, con l’obietti-vo di raggiungere il milione entro il

2014. Raddoppiando quindi in tre sta-gioni la quantità di robot industrialipresenti sulla faccia della Terra. Conun impatto sull’occupazione tutto daverificare.

I robot di servizio invece, altra cate-goria delle macchine non pensanti,valgono 3,2 miliardi di dollari l’anno enel 2010 ne sono stati venduti oltre duemilioni. Si va dai tagliaerba automati-ci agli aspirapolvere intelligenti, fino airobot giocattolo, agli aerei senza pilo-ta dell’esercito, alle sonde e ai rover

spaziali, ai dispositivi impiegati negliospedali che vengono tutti guidati

a distanza. Estensioni dei nostriocchi e dei nostri arti, come il ro-

bot chirurgo Da Vinci. Permet-te di eseguire un’operazioneanche se medico e pazientenon si trovano nello stessoluogo. «Quella della medici-na e dell’assistenza persona-le ai pazienti è un settore pro-mettente», sottolinea Shi-geoki Hirai. «I robot umanoi-

di, invece, sono ancora moltodistanti dalla produzione di

massa». Però continuano a farsognare, che in fondo è sempre

stata lo loro funzione principale.La stessa di Mazinga Z, Goldrake e

Gundam.

QuinceSonda robotica costruitadalla giapponese FuRo e usatanella centrale di Fukushima

KobianComunica imitando le espressionidel volto. Lo ha costruitola Waseda University di Tokyo

EccerobotSviluppato dall’Universitàdel Sussex,ha la struttura internadi ossa e muscolidi un essere umano

AsimoIl robot più sofisticatoCostruito dalla Honda nel 2000,è alla terza versione

BigDog Progettato dalla BostonDynamics per il trasportodi oggetti su terreni scoscesi

iCubRobot bambino capacedi apprendere costruitodall’Istituto italiano di tecnologia

GL

OSSA

RIO

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DOMENICA 18 DICEMBRE 2011

Il menù delle feste può diventare un innoal piacere anche senza zamponi e macinati,

faraone e frattaglie. Basta trasformarele verdure (e se non si è puristi anche i formaggi e il pesce)in regine dei nostri piatti. Cosa che tante ricettedella cultura mediterranea già fanno. Da sempre

I saporiAlternative

Verde NatalB

iancoNatale. Ma nel senso di maccheroni ai formaggi, purè,cavolfiori al gratin, fonduta, panna cotta. Oppure rosso cele-brazione: ma nel senso di pizzette, chips di barbabietola, ri-sotto al radicchio, peperonata, bavarese ai frutti rossi. Neigiorni in cui macellerie e pescherie vivono la loro massimagloria, tra super arrosti e macinati per farciture, faraone e frat-

taglie, zamponi e baccalà, una parte ormai consistente di italiani — uno sudieci, secondo le ultime statistiche — si allena ai fornelli per trasformareverdure e formaggi nei protagonisti assoluti di cenone e dintorni.

Sacrificare la rassicurante opulenza di cotechini e brasati in favoredi piatti che non prevedono la morte di animali potrebbeapparire una diminutio gastronomica. Errore:evitando pregiudizi e pigrizie, ci si af-faccia su una miriade di ricettestrepitose. Si potrebbe direche il Natale vegeta-riano è una que-stione di colori: ilmenù delle festepuò diventare can-dido o multicolor,perché le verdure tut-to consentono, a pat-to di trattarle bene. Delresto, sfogliando l’infi-nito catalogo delle ricet-te tradizionali italiane,trovare piatti che esalti-no la base della dieta me-diterranea è facile comefare surf alle Hawaii.

Si dribblano i carrelli deibolliti per sposare la causadei ravioli di magro, il capito-ne in favore della parmigianadi melanzane, il cotechino perla mozzarella in carrozza, sen-za abdicare a patate al forno ecaponata. Certo, la definizionedi menù vegetariano va trattatacon attenzione, visto che al suointerno l’unica ripudiata, senza see senza ma, è la carne, mentre sulpesce si apre il primo discrimineche si traduce in possibilità per i na-poletani di godere per intero delmenù di magro della vigilia. Poi esi-stono i vincoli dei vegetariani pro-priamente detti — né carne né pesce— con uova e formaggi a farla da pa-droni. Ma il vero cimento, senza arriva-re agli estremi dei “crudisti” (nessun ci-bo scaldato sopra i 45° di calore, praticache riduce allo zero quasi assoluto la mediazione culinaria), riguarda ilmenù di Natale dei vegani, refrattari alle proteine di qualsivoglia animale,vivo o morto che sia. Quindi, niente latte e latticini, niente uova e nemme-no miele. Una sfida che l’alta gastronomia planetaria ha saputo raccoglie-re e vincere molto più di quanto succeda in Italia, malgrado il nostro van-taggio in termini di materie prime. Così, da Parigi a Hong Kong, da Tokyo aBarcellona, i ristoranti di “pure food”, lontanissimi dalle ricette punitive diun tempo, sanno attrarre i clienti a prescindere dai vincoli dietetici grazie apiatti ad alto tasso di golosità, tanto che nella New York del multilinguismoalimentare solo un frequentatore su quattro di veg-restaurant si dichiaravegetariano. Da noi, al contrario, i menù vegetariani sono ancora sinonimodi cibo tristanzuolo e di scarsa soddisfazione. Se volete sconfiggere la diffi-denza, provate la ricetta che lo chef vegetariano Pietro Leemann ha ideatoper voi. In caso la prepariate per il cenone di Capodanno, le lenticchie au-gurali sono le benvenute. Basta non soffriggerle con la pancetta.

Vegetariano ma goloso, è l’altro cenoneLICIA GRANELLO

SATPREM CUCINA NATURALEVia Piave 8TorinoTel. 011-4366680Sempre apertoMenù da 30 euro

JOIA Via P. Castaldi 18MilanoTel. 02-29522124Chiuso domenicaMenù da 50 euro

LA ZUCCASanta Croce 1762VeneziaTel. 041-5241570Chiuso domenicaMenù da 35 euro

TRATTORIA SALE E PEPEVia Capoluogo 19Stregna (Udine)Tel. 0432-724118Chiuso martedì e mercoledìMenù da 30 euro

CENTRO NATURAVia degli Albari 6BolognaTel. 051-235643Chiuso domenica seraMenù da 25 euro

I ristoranti

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“Maggese”

Pietro Leemann è lo chef del ristorantevegetariano “Joia”di Milano, stella Michelin Nei suoi piatti, ingredientinaturali e biologici,preparati in manieraoriginale e squisita, come nella ricetta creata per i lettori di Repubblica

LA RICETTA

Per le sfoglie

Preparare una polenta di saraceno e una di mais. Cuocerle 15’, distenderle sottili

sopra a un foglio di carta da forno. Seccare in forno a 100°C per due ore

Per la salsa

Grattugiare la rapa e marinarla 12 ore con gli

agrumi, lo zafferano e il sale. Strizzarla bene e far

addensare il liquido aromatico portandolo a ebol-

lizione con la maizena sciolta in poca acqua

Per le verdure

Sbollentare il radicchio 30’’ e raffreddarlo, pulire

i carciofi,tagliarli a spicchi e arrostirli. Grigliare la

zucca a fette, cuocere la mela 15’ in forno a 210° e

tagliarla a tocchi, pelare la scorzonera dolce e

cuocerla 15’ in acqua salata e acidulata

Per il pesto

Cuocere i porri 30’’ in acqua bollente, raffreddarli, frullarli con olio e sale. Velare i

piatti col pesto e scaldare 2’ a 200°. Appoggiare le verdure con la salsa, guarnire

con le cialde e le erbe fritte. Rifinire il piatto con la liquirizia sciolta nell’acqua

Per la sfoglie

200 gr di acqua

25 gr di farina di grano saraceno

25 gr di farina bramata

Per le verdure

100 gr di radicchio trevigiano

2 carciofi

100 gr di zucca di Hokkaido

1 mela

100 gr di scorzonera dolce

100 gr di cavolo rosso

Per il pesto di porri

200 gr di porri

40 gr di olio extravergine d’oliva

Ingredienti per 4 persone

Per la salsa

1 rapa grattugiata

il succo di un’arancia

e la sua scorza

il succo di mezzo limone

5 gr di timo

1 bustina di zafferano

4 gr di maizena

Per la guarnizione

10 gr di liquirizia in polvere

20 gr d’acqua

20 gr di foglie

di sedano verde

e di foglie

di porro fritte

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ANatale menù rigorosamente vege-tariano per me, Susy e per tuttal’ampia tribù: sette figli e quindici

nipoti. La scelta vegetariana èprima di tutto etica: chi

ama davvero glianimali nonli mangia.Poi di re-sponsabi-lità sociale:il consumodi carne è ilprimo re-

sponsabiledell’ingiusti-

zia alimentaredel pianeta. In-

fine, di salute: ivegetariani vi-

vono meglio epiù a lungo.

Ma non rinun-cio al piacere e al

gusto, ed ecco infat-ti il nostro menù. Per

antipasto bruschetti-ne di verdura, insalata

russa e humus di ceci ecurcuma. Come primo

ravioli di magro, amatis-simi e quasi immancabi-

li. Come secondo innan-zitutto verdure cotte e cru-

de: carciofi in tegame,crocchette di patate (so-

prattutto per i bambini),scelta di torte salate (porri e

zucchine, spinaci ed erbette,carciofi). Poi insalata di finoc-

chi e arance, e trevigiana conmelograno. Per chi non vuole ri-

nunciare al piatto principale:rombo alla mediterranea o spigo-

la al forno (ma io eviterò anche ilpesce, come vuole l’etica vegeta-

riana autentica). Infine, nel rispetto della tradizione nata-

lizia: mandarini e frutta secca e panettonee pandoro con crema pasticcera e, ovvia-mente, crema al cioccolato. Quest’ultimaomaggio speciale per me, che sono ungrande sostenitore della bontà assoluta delcioccolato.

NessunarinunciaUMBERTO VERONESI

A tavola

LIBRERIA BRACVia dei Vagellai 18 rFirenzeTel. 055-0944877Chiuso mercoledìMenù da 30 euro

IL MARGUTTAVia Margutta 118RomaTel. 06-32650577 Sempre apertoMenù da 38 euro

UN SORRISO INTEGRALEVicoletto San Pietro a Maiella 6NapoliTel. 081-455026Chiuso domenica seraMenù da 25 euro

IL GIARDINO SEGRETOVia Antonietta De Pace 116Gallipoli (Lecce)Tel. 0833-264430Chiuso mercoledì seraMenù da 15 euro

IL MIRTO E LA ROSAVia Principe di Granatelli 30PalermoTel. 091-324353Chiuso domenicaMenù da 25 euro

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DOMENICA 18 DICEMBRE 2011

Anche nelle sale italiane è la vocedel “Gatto con gli stivali” che hasbancato i botteghini in AmericaEppure lui, adolescente timido

nella Spagna franchista,non avrebbe maiscommesso di farcela“Ok, i miei filmnon sono stati tutticapolavori”, ammette,“ma non possoobbligare

chi lavora tutto il giornoa vedersi sempre Fellini”

ROMA

«Ero un adolescen-te timido. Pienodi sogni e con lacertezza che non

si sarebbero mai realizzati. Questo midava un senso di ansia terribile. Misembrava di essere in un tempo e inun luogo che non avevano nulla a chefare con me e non sapevo come uscir-ne». Erano gli anni Settanta, nellaSpagna franchista. Nulla, allora, la-sciava presagire che José Antonio Do-minguez, figlio della periferia di Ma-laga, una carriera da calciatore preco-cemente stroncata da un incidente alpiede, sarebbe diventato il divo Anto-nio Banderas. Il triste prologo si è tra-sformato in una favola hollywoodia-na a lieto fine.

Oggi, scavallati i cinquant’anni,l’attore spagnolo è in forma sma-gliante e colonizza il Natale cinema-tografico di mezzo mondo. Da noi ètrino. In versione Gatto con gli stivaliper il pubblico ragazzino e gli orfanidella saga di Shrek. Emiro assetato dipetrolio, con Jean-Jacques Annaud

porta nelle sale una favola sull’Islamin stile Lawrence d’Arabia, Il principedel deserto. Mentre il pubblico d’essailo può ancora scovare in La pelle cheabito, il thriller morboso che ha se-gnato il ritorno sul set con il mentorePedro Almodovar. «Ho passato l’ulti-mo anno in giro per il mondo a farepromozioni. Non ricordo altro cheaeroporti. Il mio regalo di Natale que-st’anno sarà evitare piste di decolloper qualche settimana e stare con lamia famiglia». A dispetto di un’eti-chetta da latin lover — «inspiegabileper uno, come me, che ha fatto un nu-mero record di personaggi gay» —Banderas è un marito dalla fedeltà di-sarmante. Nel 1995, presentando ilfilm Two Much/Uno di troppo,spiazzò gli squali del gossip lanciatisulla storia d’amore con la collegaMelanie Griffith ammettendo serio ecandido: «Sono innamorato, mi stoseparando da mia moglie Ana Leza.Cerco di gestire la situazione con cor-rettezza. Non voglio ferire nessuno,ma so quel che sento: un sentimentovero e profondo». Sedici anni dopo,l’attrice di Qualcosa di travolgente èrimasta la sua consorte, madre di Stel-la del Carmen. «Siamo ancora inna-morati. Malgrado gli alti e bassi, le liti,io e Melanie siamo fatti per stare in-sieme e insieme siamo felici». Il moti-vo per cui le donne amano così tantoquesto spagnolo dagli occhi neri for-se è anche la percezione della reci-procità del sentimento: «Delle donneamo la sensibilità, il cuore, la consa-pevolezza che esistono gli altri. Odiola politica hollywoodiana che noncomprende quanto una donna possaessere sensuale a cinquant’anni. Amole nonne, le madri, le sorelle. Le vorreial potere, in tutto il mondo».

La fedeltà è una regola di vita cheBanderas applica anche all’amicizia.Nel ’98, all’epoca di Zorro, raccontavadi «attendere una chiamata da Almo-dovar per un film tratto da un noirfrancese». La chiamata per girare Lapelle che abito è arrivata tredici annidopo. E lui ha detto subito sì. Il risul-tato è un ruolo con il quale il regista,che vent’anni fa lo scovò cameriere inun bar madrileno e gli diede la sua pri-ma particina in Labirinto di passioni,dopo averlo prestato a Hollywood loconsegna oggi alla maturità cinema-tografica. «Devo tutto a Pedro. Ognivolta che in un’audizione mi chiede-vano con chi avevo lavorato e facevo il

suo nome, tutto girava per il verso giu-sto». Va anche detto che a dispetto delsuccesso la filmografia d’oltreoceanodi Banderas si è arricchita di un nu-mero di pellicole che si possono con-siderare pacificamente pattume ci-nematografico. «Okay, non sono statitutti capolavori, ma Hollywood mi hadato la possibilità di fare film comePhiladelphia. I film hanno scopi di-versi, tutti legittimi. Non posso obbli-gare un operaio che lavora tutto ilgiorno in cantiere a portare la sua ra-gazza a vedere 8 e 1/2 sgranocchiandopopcorn, gli viene un attacco di cuo-re. Vuole qualcosa che lo diverta e lofaccia uscire con il sorriso. Ma ci sonoanche persone che a un film chiedonodi riflettere sul significato della vita. Eci sono vie di mezzo. Come attore mipiace giocare su tutti i tavoli».

Da regista e produttore, però, pre-ferisce andare in profondità. E dopoaver consegnato un’opera non trop-

po riuscita (El camino de los ingleses,su un gruppo di adolescenti a Mala-ga), ora si prepara a girare Solo, sultrauma di un militare spagnolo di ri-torno dall’Afghanistan, «una storia difantascienza lontana dai canoni hol-lywoodiani, una riflessione sulla soli-tudine e sulla guerra, quasi un mono-logo teatrale».

Il teatro è una delle grandi passionidi Banderas. Figlio di un poliziotto e diuna maestra, a quattordici anni restafolgorato dal palcoscenico. Fondacon un gruppo di amici una compa-gnia itinerante e gira l’Andalusia conspettacoli di strada e improvvisazio-ni. «Il teatro mi ha fatto scoprire unmondo diverso da quello che cono-scevo». Ma il teatro è anche il ricordodi uno dei momenti più difficili dellasua carriera. «Era il 1988, e io mi ritro-vavo a Madrid senza un lavoro e sen-za soldi. Macinavo provini e non suc-cedeva mai niente. Mi sentivo perso.Ora per i giovani ci sono più possibi-lità di accesso, ma allora in Spagnac’erano soltanto due canali televisivie il teatro era dominato dalle famigliee dai piccoli clan». Immaginate dun-que che soddisfazione aver portatovent’anni dopo sul palcoscenico diBroadway, e con straordinario suc-cesso, il musical tratto da 8 e 1/2. «Fel-lini è uno dei miei grandi maestri. E seoggi mi guardo allo specchio, mi rive-do a braccetto con tutti i miei perso-naggi in un girotondo che s’allargasempre di più, come nell’ultima sce-na del suo film».

Artista a tutto tondo, capace di co-niugare alto e basso, commerciale eavanguardia, in politica ha un cuoreliberal. Del gatto con gli stivali, perso-naggio a cartoni nato in Shrek 2 e oggiprotagonista nel film in cui quattro-cento animatori trasformano Bande-ras in un felino dal marcato accentospagnolo, dice: «E pensare che arriva-to a Hollywood mi dissero che avreipotuto avere solo ruoli da malavito-so». In realtà il gatto di Banderas è uncartoon fuorilegge che ricorda tantoZorro, eroe d’infanzia dell’attore cheha portato al cinema due volte. «Unadelle prime immagini cinematografi-che che ricordo è uno Zorro versioneTyrone Power. Nel piccolo cinema diMalaga con il pavimento in legno unmanipolo di ragazzini attende cheZorro appaia sullo schermo, e poi tut-ti a battere i piedi per terra fino a fartremare la sala».

Di strada, da allora, ne ha fatta pa-recchia. Anche geograficamente. «Hol’animo da esploratore, mi innamorodei luoghi e della gente. Mi sono ritro-vato in Tunisia a girare Il principe deldesertonei giorni della rivoluzione deigelsomini. Appena arrivato ho trova-to un paese sedato, mi ricordava laSpagna di Franco, la mia adolescenzatriste. D’improvviso è successo tutto.Ho pianto vedendo sfilare le donne e igiovani. Penso che siano pronti per ilfuturo, un futuro di cui vorrei far par-te anch’io». Ambientato negli anniTrenta, il film di Annaud racconta loscontro tra due sultani, uno progres-sista e uno tradizionalista, sullo sfrut-tamento dei giacimenti petroliferi,metafora di un mondo arabo divisotra le pressioni del capitalismo occi-dentale e quelle del fondamentali-smo religioso. «Nelle mie origini an-daluse c’è molta cultura araba. Quan-do arrivo in un paese arabo sento unforte senso d’appartenenza. Perciòsono stato doppiamente felice di po-ter prendere parte a una favola-kolos-sal in cui, finalmente, gli arabi non so-no terroristi e il mondo è visto con i lo-ro occhi».

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L’incontroLatini

Adoro starecon la mia famigliaNon ho mai capitoquesta famada dongiovanni:avete presentequanti gayho interpretato?

AntonioBanderas

ARIANNA FINOS

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