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la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 4 GENNAIO 2015 NUMERO 513 Cult La copertina. Noi, abituati a guardare l’orrore Straparlando. Enzo Bettiza, l’identità della parola Mondovisioni. L’Holiday Inn di Beirut L’attualità. Che cos’è il grafene e come cambierà il mondo, secondo il suo scopritore, Andre Geim Spettacoli. La scuola per giovani direttori d’orchestra di Riccardo Muti Sapori. Zuppe bollenti per freddi inverni L’incontro. Margarethe von Trotta Cinquant’anni fa Roald Dahl apriva la “fabbrica di cioccolato” più famosa Oggi il nipote dello scrittore ha ritrovato un capitolo inedito che qui pubblichiamo Con un commento del regista che lo ha (ri)portato sullo schermo La stanza segreta di Willy Wonka ROALD DAHL I RESTANTI OTTO BAMBINI furono di nuovo accom- pagnati nel lungo corridoio bianco insieme ai lo- ro genitori. «Mi chiedo come staranno adesso Augustus Pottle e Miranda Grope» disse Char- lie Bucket a sua madre. «Suppongo si siano dati una calmata», rispose la si- gnora Bucket. «Vieni, prendi la mia mano tesoro. Così: stringila forte e non lasciarla. E non fare scioc- chezze in questa stanza, capito? Altrimenti anche tu potresti essere risucchiato in uno di quei tubi spaventosi, o fare una fine addirittura peggiore. Chissà?». Il piccolo Charlie strinse la mano della signora Bucket mentre insieme percorrevano il lungo corri- doio. Presto giunsero a una porta sulla quale era scrit- to: STANZA DEL CARAMELLO ALLA VANIGLIA. «Hey, è qui che era andato Augustus Pottle, no?», disse Charlie Bucket. «No», rispose Willy Wonka. «Augustus Pottle è in Caramello al cioccolato. Questa è Vaniglia. Entrate tutti a dare un’occhiata». Si trovarono così in un’al- tra stanza cavernosa, e anche questa volta ai loro oc- chi apparve qualcosa di veramente magnifico. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE con una testimonianza di LUKE KELLY TIM BURTON L A VANIGLIA È MOLTO DIVERSAdal cioccolato, co- me ben sapeva Roald Dahl che ne era golo- so. Ma il capitolo alla vaniglia rimasto fuo- ri della Fabbrica di cioccolato sa anch’esso di cioccolato. Voglio dire che la sua costru- zione non è molto diversa da quella degli altri episo- di : improvviso paradiso del gusto, dove un paio di ra- gazzini viziati e saccenti trovano piacere e contrap- passo. Avessi potuto leccare quel capitolo, ci avrei ri- flettuto. Ma credo che la Warner mi avrebbe taglia- to lingua e fondi dopo aver fatto già colare centoven- timila litri di vero cioccolato nella scena del fiume e della cascata “fondenti” : le riprese erano durate al- cuni giorni, alla fine non ne potevamo più, l’odore del cioccolato era divenuto insopportabile. Non è stata che una goccia nelle riprese gigantesche che hanno occupato tutti e sette i set degli Studi di Pinewood, dove avevamo fatto “crescere” erba di zucchero, la- sciandola sgranocchiare ai ragazzini tra un ciak e l’al- tro. Non conosco l’effetto-vaniglia. Ma deduco che, se troppo cioccolato ci asfissia, gli zuccheri siano dolci trappole. Come insegna Hansel e Gretel. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE ILLUSTRAZIONE © QUENTIN BLAKE

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la domenicaDI REPUBBLICADOMENICA 4 GENNAIO 2015 NUMERO 513

Cult La copertina. Noi, abituati a guardare l’orroreStraparlando. Enzo Bettiza, l’identità della parolaMondovisioni. L’Holiday Inn di Beirut

L’attualità. Che cos’è il grafene e come cambierà il mondo, secondo il suo scopritore, Andre Geim Spettacoli. La scuola pergiovani direttori d’orchestra di Riccardo Muti Sapori. Zuppe bollenti per freddi inverni L’incontro. Margarethe von Trotta

Cinquant’anni fa Roald Dahl aprivala “fabbrica di cioccolato” più famosaOggi il nipote dello scrittoreha ritrovato un capitolo ineditoche qui pubblichiamoCon un commento del registache lo ha (ri)portato sullo schermo

La stanza segretadi Willy Wonka

ROALD DAHL

IRESTANTI OTTO BAMBINI furono di nuovo accom-pagnati nel lungo corridoio bianco insieme ai lo-ro genitori. «Mi chiedo come staranno adessoAugustus Pottle e Miranda Grope» disse Char-lie Bucket a sua madre.

«Suppongo si siano dati una calmata», rispose la si-gnora Bucket. «Vieni, prendi la mia mano tesoro.Così: stringila forte e non lasciarla. E non fare scioc-chezze in questa stanza, capito? Altrimenti anchetu potresti essere risucchiato in uno di quei tubispaventosi, o fare una fine addirittura peggiore.Chissà?».

Il piccolo Charlie strinse la mano della signoraBucket mentre insieme percorrevano il lungo corri-doio. Presto giunsero a una porta sulla quale era scrit-to: STANZA DEL CARAMELLO ALLA VANIGLIA.

«Hey, è qui che era andato Augustus Pottle, no?»,disse Charlie Bucket.

«No», rispose Willy Wonka. «Augustus Pottle è inCaramello al cioccolato. Questa è Vaniglia. Entratetutti a dare un’occhiata». Si trovarono così in un’al-tra stanza cavernosa, e anche questa volta ai loro oc-chi apparve qualcosa di veramente magnifico.

SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

con una testimonianza di LUKE KELLY

TIM BURTON

LAVANIGLIAÈMOLTODIVERSAdal cioccolato, co-me ben sapeva Roald Dahl che ne era golo-so. Ma il capitolo alla vaniglia rimasto fuo-ri della Fabbrica di cioccolato sa anch’essodi cioccolato. Voglio dire che la sua costru-

zione non è molto diversa da quella degli altri episo-di : improvviso paradiso del gusto, dove un paio di ra-gazzini viziati e saccenti trovano piacere e contrap-passo. Avessi potuto leccare quel capitolo, ci avrei ri-flettuto. Ma credo che la Warner mi avrebbe taglia-to lingua e fondi dopo aver fatto già colare centoven-timila litri di vero cioccolato nella scena del fiume edella cascata “fondenti” : le riprese erano durate al-cuni giorni, alla fine non ne potevamo più, l’odore delcioccolato era divenuto insopportabile. Non è statache una goccia nelle riprese gigantesche che hannooccupato tutti e sette i set degli Studi di Pinewood,dove avevamo fatto “crescere” erba di zucchero, la-sciandola sgranocchiare ai ragazzini tra un ciak e l’al-tro. Non conosco l’effetto-vaniglia. Ma deduco che, setroppo cioccolato ci asfissia, gli zuccheri siano dolcitrappole. Come insegna Hansel e Gretel.

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la Repubblica

DOMENICA 4 GENNAIO 2015 26LA DOMENICA

La copertina. La stanza segreta di Willy Wonka

LE IMMAGINI

LE ILLUSTRAZIONI IN QUESTE PAGINEE IN COPERTINA SONO STATE DISEGNATE

DA QUENTIN BLAKE APPOSITAMENTEPER IL CAPITOLO INEDITO “THE VANILLA

FUDGE ROOM”. PER ULTERIORIINFORMAZIONI SULLA STORIA DI QUESTO

CAPITOLO: WWW.ROALDDAHL.COM.“LA FABBRICA DI CIOCCOLATO”

È PUBBLICATO IN ITALIA DA SALANI(208 PAGINE, 12,90 EURO)

CHE PER I CINQUANT’ANNI DEL ROMANZOHA REALIZZATO UN’EDIZIONE SPECIALE

Ritornoalla fabbrica

di cioccolato

Golosissimo di dolciumi, Roald Dahl anticipò i tempicon il suo romanzo per bambini (celebre grazie ancheai due film che ha ispirato) al quale però furono tagliatealcune pagine.Le abbiamo recuperate. Eccone un assaggio

<SEGUE DALLA COPERTINA

ROALD DAHL

L CENTRO DELLA STANZA si trovava in-fatti una vera e propria montagna.Una colossale montagna dalla super-ficie frastagliata, alta quanto un edi-ficio di cinque piani e interamenteformata da caramello alla vaniglia,cremoso e di color marroncino. Lun-go il pendio della montagna e sino al-la sommità centinaia di uomini ar-mati di picconi e trapani erano inten-ti a staccare grossi pezzi di caramel-lo; alcuni, quelli che si trovavano più

in alto, su picchi pericolosi, erano uniti tra loro da una fune di sicu-rezza. Una volta staccati, gli enormi pezzi di caramello precipita-vano a terra rimbalzando sui fianchi della montagna; raggiunto ilpavimento venivano raccolti da gru su cui erano montate delle ru-spe che li depositavano dentro a dei carrelli. Questi (simili a carrel-li ferroviari, ma più piccoli) formavano una fila infinita e in conti-nuo movimento che trasportava il materiale sino all’estremità op-posta della stanza e attraverso un buco nel muro. «È tutto caramel-lo!» esclamò trionfalmente Willy Wonka.

«Possiamo arrampicarci sino in cima?» urlarono i bambini sal-tando su e giù.

«Sì, a patto che facciate attenzione», rispose Willy Wonka. «Sali-te lungo quel versante laggiù, dove non sta lavorando nessuno, perevitare che i pezzi di caramello vi cadano in testa».

I bambini si divertirono un mondo ad arrampicarsi su e giù lungoil fianco della montagna, e nel salire e scendere raccoglievano pezzidi caramello, rimpinzandosene.

«Adesso devo fare un giro su uno di quei carrelli», disse un bam-bino piuttosto arrogante di nome Wilbur Rice.

«Anch’io!» gli fece eco un altro, chiamato Tommy Troutbeck.«No, per favore non lo fate», disse Willy Wonka. «Quegli aggeggi

sono pericolosi. Vi potrebbero investire».«Wilbur, tesoro, guai a te!» disse la signora Rice (madre di Wil-

bur).«Non farlo nemmeno tu, Tommy» disse la signora Troutbeck (ma-

dre di Tommy). «Quest’uomo dice che è pericoloso».«Col cavolo!» esclamò Tommy Troutbeck. «Col cavolo!».«Wonka, vecchio pazzo!» urlò Wilbur Rice. I due ragazzi si di-

ressero di corsa verso uno dei carrelli che sfrecciavano, e ci sali-rono sopra arrampicandosi per sedersi proprio in cima al caricodi caramello.

«Ciao a tutti!» urlò Wilbur Rice.«Prima fermata Chicago!» urlò Tommy Troutbeck agitando le

braccia.«Su questo si sbaglia», disse Willy Wonka con un filo di voce.

«Escludo che la prima fermata sia Chicago».«È un vero maschiaccio il nostro Wilbur», disse il signor Rice (pa-

dre di Wilbur) con orgoglio. «Ne combina sempre una delle sue». «Wilbur!» urlò la signora Rice quando il carrello attraversò la stan-

za come un fulmine. «Scendi immediatamente da lì! Mi senti?».«Anche tu Tommy!» urlò la signora Troutbeck. «Andiamo, scen-

di! Chissà dove ti porterà quel coso!».«Wilbur!» urlò la signora Rice. «Scendi da quel… quel… santo cie-

lo! È sparito dentro un buco nel muro!».«Non ditemi che non li avevo avvisati», dichiarò Willy Wonka.

«Sbaglio o i vostri figli non sono particolarmente obbedienti?».«Ma dove è finito?» gridarono contemporaneamente le due ma-

dri. «Cosa c’è dall’altra parte di quel buco?».«Quel buco», rispose Willy Wonka «conduce direttamente a quel-

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la Repubblica

DOMENICA 4 GENNAIO 2015 27

Come sonoriuscitoa salvareun classico

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Mio nonnoe il capitolonel cassetto

la che noi chiamiamo “Sala pestaggio e taglio”. È lì che il caramelloancora fresco viene rovesciato direttamente dai carrelli nella boccadi un’enorme macchina che lo sbatte contro il pavimento sino a far-lo diventare bello liscio e sottile. Dopo di che, grazie all’intervento diuna quantità di coltelli — chop, chop, chop — se ne ricavano qua-dratini di forma regolare pronti per essere venduti nei negozi».

«Come si permette!», urlò la signora Rice. «Mi rifiuto di con-sentire che il nostro Wilbur sia ridotto a piccoli quadratini di for-ma regolare».

«Lo stesso vale per Tommy!», gridò la signora Troutbeck. «Nes-suno dei miei ragazzi sarà mai esposto nella vetrina di un negoziosotto forma di caramello alla vaniglia! Abbiamo già speso troppo perla sua istruzione!».

«Proprio così», disse il signor Troutbeck. «Non abbiamo portatoqui Tommy perché finisse nella bocca della sua ripugnante macchi-na del caramello! Lo abbiamo portato qui perché fosse il suo cara-mello a finire nella bocca di Tommy! Lei ha capito tutto il contrario,non crede signor Wonka?».

«Direi proprio di sì!», disse la signora Troutbeck.«Calma, calma», mormorò Willy Wonka con tono rassicurante.

«Calma, calma, calma. Placatevi tutti per favore. Se i quattro ge-nitori interessati volessero gentilmente seguire il mio assisten-te, verranno condotti direttamente nella stanza dove i loro ra-gazzi stanno aspettando. Sapete, lì dentro abbiamo un enormesetaccio di metallo che serve proprio ad afferrare i bambini pri-ma che finiscano nella macchina. Li prende sempre. Almeno sinoa oggi li ha sempre presi».

«Speriamo», disse la signora Troutbeck.«Lo spero anch’io», disse la signora Rice.Dall’alto della montagna uno degli operai intonò a gran voce:«Otto bambini - dei pargoletti deliziosi. Ma due di loro hanno det-

to “col cavolo”, e ne sono rimasti solo sei».(Traduzione di Marzia Porta)

The Vanilla Fudge Room è un capitolo inedito di Charlie and the Chocolate Factory di Roald Dahl

© Roald Dahl Nominee Limited

© RIPRODUZIONE RISERVATA

<SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

TIM BURTON

LONDRA

LE ACIDULE CATTIVERIE

caramellate di Dahl miincantavano già da bambino.La fabbrica di cioccolato è anziil mio primo ricordo

d’infanzia. Da quando, piccolissimo, holetto il libro, ho cominciato a visualizzarlocome un film, senza neanche nutrire ilsospetto o la speranza che un giornol’avrei realizzato. Ai registi è riservatoquesto miracoloso potere dimaterializzare i sogni che abitano dasempre dentro di noi. Nel portare diecianni fa sullo schermo le pagine di Dahl,sono rimasto fedele ai miei primifantasmi, a tutto quel che aveva preso aanimarsi in me dall’infanzia. Il fatto piùfantastico è che quando abbiamocostruito la casetta del piccolo Charliesono andato a visitare la reale dimora diDahl, trovandola tale e quale la casareinventata sul set. Con qualche affinitàsupplementare a dove abito io a Londra.Ogni autore, d’altra parte, faassomigliare a se stesso quel cheinventa. Dahl si rispecchia non solonella casetta ma nell’intera fabbrica dicioccolato: è quella la sua casa, il suomondo parallelo, la sua Disneyland. Si èdetto spesso dei miei film che non sonoche fantasmi, sradicati da qualsiasirealtà: ma la realtà, per me, è ilfantasma. Non sono l’unico a esserneconvinto: a darmi ragione esistono lefiabe, come Alice o La fabbrica dicioccolato, ma anche vite da fiaba - in cuisogno e realtà non si urtano ma silegano intimamente - come quelle di EdWood o dei protagonisti di Big Eyes, orasugli schermi. A ciascuno la suaDisneyland, la sua fabbrica dicioccolato. “Willy Wonka, c'est moi?”.Probabilmente. Ma il fabbricante dicioccolato - e di sogni - è chiunque siapplichi, in modo più o meno bizzarro e“irreale”, a trasformare i suoi sogni inrealtà anziché aspettare tutta la vita -chop chop chop - che la realtà cominci aassomigliare ai suoi sogni. L’Eden deidolci di Dahl è una casa di correzione per

gli impiegatini del conformismo,per gli scolaretti dell’esistenza. È

una rosea, liberatoria discesaagli Inferi : Inferi gioiosi, comeLa sposa cadavere uscito lo

stesso anno. Durante leriprese della Fabbrica di

cioccolato, gliStudios volevanofarmi cambiaredialoghi per loro

troppo strambi. “Manon sono io, è Roald Dalh che liha scritti! Se volete cambiaretutto, perché farne un film?”. Èquesta la realtà di Hollywood,oggi. Vogliono tutti adattare i

classici, da Carroll a Dahl, macon sacro terrore : pronti a farli afettine - chop chop chop -,eliminando diligentemente tutto

quanto li ha fatti essere Carroll o Dahl.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LUKE KELLY

SONO PASSATI CINQUANT’ANNI dalla primapubblicazione di Charlie e la fabbrica dicioccolato, scritto da mio nonno. Un ro-manzo che per molti aspetti i lettori ditutto il mondo considerano l’opera piùrappresentativa di Roald Dahl. Il libro èstato tradotto in cinquantacinque lin-gue e ha ispirato due film, un’opera clas-sica e più recentemente un musical delWest End. La storia di Charlie, di WillyWonka e dei cinque biglietti d’oro sem-bra essere stata tramandata da una ge-

nerazione all’altra di lettori con entusiasmo e trepidazione. Una simile, festosa occasione ispira inevitabilmente una doman-

da: a cosa è dovuto il fascino duraturo di questo libro? Forse all’em-blematica attrattiva dei cinque biglietti d’oro – ormai entrati a farparte del linguaggio comune? Alle incisive personalità dei “fortu-nati” bambini che trovano i biglietti, descritte con l’intensità di uncaffè corretto? Allo stesso Wonka, il cui nome è diventato sinonimodi creatività? O piuttosto al meraviglioso impiego che Roald fa della

lingua? Al suo modo di attingere alle figure retoriche contenutenei tradizionali racconti per fanciulli, per riproporle con uno

stile assolutamente moderno e diretto — in grado di parla-re direttamente ai bambini, senza alcuna traccia di pa-

ternalismo e toni moraleggianti. O semplicemente almodo in cui Roald — che per tutta la vita amò la cioc-colata, e da ragazzo fu addirittura degustatore diquella del marchio Cadbury — descrive le delizie deidolciumi e della cioccolata (come dimenticare ilCioccocremolato delizia Wonka al triplosupergu-sto?). Se poi si pensa che Charliefu pubblicato perla prima volta nel 1964, ci accorgiamo che è statoanche un romanzo che ha precorso i tempi — con isuoi moniti riguardo all’obesità infantile e agli ef-fetti nocivi di un uso eccessivo della televisione;senza contare il suo messaggio, nel quale si affer-ma che una vita familiare intensa e piena di affetti

è più importante delle ricchezze materiali. EppureCharlie e la fabbrica di cioccolato rimane sopra ognialtra cosa un omaggio alla creatività — una dote cheindubbiamente accomuna Willy Wonka a Roald.

Il romanzo testimonia inoltre la grande passioneper i dolciumi che animò mio nonno durante tuttala sua vita, e con questo capitolo inedito vogliamooffrire agli amanti del suo romanzo una preliba-tezza, sotto forma di scene e personaggi mai in-contrati prima. Mio nonno conservava le bozze deisuoi scritti in uno schedario di legno all’internodella semplice casetta piena di sogni nella qualescriveva. Quelle bozze, che oggi sono conservate

nell’archivio del Roald Dahl Museum and StoryCentre di Great Missenden, Bucks, in Inghilterra,

ci permettono di ricostruire l’affascinante evo-luzione di ognuno dei suoi racconti. Delle

prime versioni di Charlie facevano parteanche diversi personaggi che non hannotrovato posto nella stesura definitiva delromanzo. Tra questi vi sono TommyTroutbeck e Wilbur Rice, che incontre-rete nella Stanza del Caramello alla vani-glia. Ritengo che scoprire una nuova sce-na e nuovi personaggi di una storia chetutti conosciamo e amiamo regali un’e-mozione da brivido. È dunque con grande

piacere che vi invito a tornare nella sor-prendente fabbrica di cioccolato di Willy

Wonka. Spero che questo gustoso, inattesobocconcino solletichi il vostro palato come ha

fatto con il mio.

(Traduzione di Marzia Porta)Luke Kelly è nipote di Roald Dahl

e direttore generaledel Roald Dahl Literary Estate

IL FILM

NELLA FOTO A DESTRA JOHNNY DEPPÈ WILLY WONKA NEL FILM DI TIM BURTON

“LA FABBRICA DI CIOCCOLATO” (2005)

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la Repubblica

DOMENICA 4 GENNAIO 2015 28LA DOMENICA

L’attualità. Fisico bestiale

ENRICO FRANCESCHINI

MANCHESTER

LE PARETI D’INGRESSO sono ricoperte dauna di quelle lunghissime equazioniche si vedono talvolta sulle lavagnedegli scienziati: numeri, lettere di va-ri alfabeti, parentesi tonde, quadre,graffe, radici quadrate. L’equazione èsuddivisa in “forze”, “materia” e“Higgs”, immagino un riferimento alcelebre bosone, sebbene non abbia laminima idea di cosa davvero sia. En-trare nella facoltà di Fisica della Man-chester University, una delle migliori

del mondo, dove hanno insegnato Alan Turing, decifratoredel Codice Enigma, e l’astrofisico Brian Cox, metterebbe sog-gezione a chiunque. Se poi a entrare è uno che in fisica, al liceo,non ha mai capito nulla, la situazione assume toni tragicomi-ci. Diventa un’impresa chiaramente disperata quando, salitoal secondo piano del venerabile istituto, varcato il corridoio in-titolato “gruppo della materia condensata”, bussato alla por-ta del professor Andre Geim, il malcapitato visitatore lo salu-ta in russo, sperando di guadagnare così benemerenze, vistoche fino ai trentadue anni d’età il futuro premio Nobel e “pa-dre” del grafene ha vissuto in quella che allora era chiamataUnione Sovietica, beccandosi invece una gelida, spazientitarisposta: «Mi dica dunque lei in che lingua vogliamo condurrel’intervista, inglese, russo o italiano?». Fortunatamente, quel-lo del Nobel venuto dal freddo non è gelo: è humour, un umo-rismo russo-ebraico-tedesco-inglese, frutto delle diverse radi-ci ed esperienze di una vita straordinaria. Non sempre ricono-sciute come spiritosaggini, le sue battute gli hanno procuratoqualche incomprensione, all’inizio della carriera accademica:ma stavolta lo scienziato prepara un cappuccino, ne offre unoal suo interlocutore (declino – ancora troppa soggezione) e siscioglie in un amabile sorriso. Paragonato a Newton (lo sco-pritore della gravità) e a Einstein (l’inventore della relati-vità), a cinquantasei anni Andre Geim ha tali e tanti estima-tori che si predice di Nobel farà in tempo a vincerne un altro,per una seconda scoperta. La prima sarebbe sufficiente a ga-rantirgli una fama imperitura: i suoi studi sul grafene, mira-coloso materiale che ha lo spessore di un atomo ma la resi-stenza di un diamante e la flessibilità della plastica, promet-tono di rivoluzionare il mondo come l’acciaio e appunto la pla-stica hanno fatto in precedenza. L’eureka moment, il mo-mento della scoperta, come ha ricordato lui stesso tante vol-te, venne quasi per caso, tirando fuori dal cestino dellaspazzatura i rimasugli di un esperimento che credeva finitomale. Ma prima sono venuti tanti anni di studi e ricerche, cheGeim continua a fare, insieme alla moglie, fisico pure lei, conl’ufficio di fianco al suo.

Gli racconto di essere arrivato a Mosca come corrisponden-te di Repubblica, nel 1990, proprio quando lui stava lascian-dola come emigrante. «Tutti i gusti son gusti», commenta, dinuovo un po’ acido, tra un sorso di cappuccino e l’altro. Ma luiperché se ne andò? Ricordo che se c’era una cosa che funzio-nava, in Urss, era la comunità scientifica, in particolare la fisi-ca, il ramo legato alle conquiste spaziali e all’industria milita-re. Geim, per di più, viveva e lavorava in una delle “cittadelledella scienza”, luoghi riservati ai migliori studiosi, con più agiche nel resto del paese. «Se avessi saputo che cosa mi aspetta-va in Occidente, me ne sarei andato ancora prima», risponde.«Non mi riferisco a denaro o comfort personali, ma alla miaproduttività come scienziato, che diventò di colpo molto piùalta. È vero, la scienza aveva un posto di rilievo in Urss. Ma c’èsempre stato un problema di efficienza. Il programma spa-ziale costava agli Stati Uniti, all’epoca della guerra fredda, l’unper cento del Pil. All’Urss costava il cinquanta per cento. E neiprimi anni Ottanta, quando ho cominciato il mio lavoro di fisi-co, a Mosca era già iniziato il declino che ha portato un decen-nio dopo al crollo dell’Unione Sovietica, quindi le cose funzio-navano ancora peggio, anche per noi scienziati. Io volevo farericerca. Per la ricerca servivano fondi ed efficienza di costi. Ilposto per farla, mi resi conto, non era la Russia».

Gli domando come fu l’impatto con l’Inghilterra. «Facile edifficile al tempo stesso. Facile per le succitate ragioni: tuttofunzionava bene e i fondi alla ricerca erano generosi. Difficileper problemi linguistici, il mio inglese era povero, e anche perqualche incomprensione culturale. Ricordo una cerimonia dibenvenuto in cui lo speaker si disse felice di avere finalmenteun russo in questa facoltà. Un russo, gli chiesi io, e chi è? Ma èlei, mi risposero ridendo. Solo che io non mi sono mai sentitorusso. In Russia ero schedato fin dal passaporto come “tede-sco”, un tedesco del Volga, come ci chiamava Stalin, una delletante minoranze discriminate dell’Urss. E inoltre un ebreo,per parte di nonna materna. Sono cresciuto con due insulti nel-le orecchie: nazista e giudeo, non male come accoppiata. Po-tevo sentirmi sovietico, ma l’Unione Sovietica ben presto non

ci fu più. E allora cos’ero?». Un europeo? «Sì, ma è un’identitàculturale, non nazionale. Gli Stati Uniti d’America sono ce-mentati da una lingua comune, l’inglese. L’Europa purtroppono, e ci vorranno generazioni prima che diventi davvero uni-ta». Non resisto a chiedergli il suo giudizio su Gorbaciov: ha fat-to bene o male al proprio paese? «So che ha molti ammiratoriall’estero, ma cercate di capire perché ne ha pochi in patria. Èstato un pasticcione. Ha creduto di poter fare la democraziarapidamente e poi di ottenere una specie di Piano Marshalldall’Occidente per fare anche il capitalismo. Doveva fare il con-trario, invece, come la Cina, prima l’economia di mercato, poila transizione alla democrazia, e oggi la Russia sarebbe più de-mocratica di com’è. Ora c’è Putin, che non piace all’Occiden-te, ma piace al novanta per cento dei russi. Chiedetevi il per-ché anche di questo. E lasciate passare cinquant’anni. Poi ve-drete che la Russia sarà più civile e democratica. Il guaio del-l’Occidente è che pensa di poter imporre il proprio modello, co-struito nell’arco di secoli, a qualsiasi paese in pochi mesi o an-ni. E passi imporlo alla Russia: vorrebbe imporlo ancheall’Afghanistan, all’Iraq, alla Siria. Una follia».

Gli dico che parla come Kissinger: forse dovrebbe scrivereanche di affari internazionali, non solo di fisica. Ma era la fisi-ca l’oggetto del nostro appuntamento. Allora, pensa davveroche il grafene cambierà il mondo? Sospira. È una domanda stu-pida, lo sento, ma dovevo farla, è quel che l’uomo della strada(specie a cui appartengo) vorrebbe sapere. «Il grafene ha sta-bilito un nuovo paradigma». Cioè? «Ha aperto un portone, unastrada. Oggi si lavora su molti materiali che possiamo chia-mare fratelli e sorelle del grafene, materiali di cui fino a pocotempo fa, fino al 2007, nemmeno conoscevamo l’esistenza. Insette anni sono stati fatti passi da gigante. Allora c’erano cen-to aziende che facevano ricerche sul grafene, ora ve ne sonotante migliaia. Ha sicuramente il potenziale di cambiare ilmondo come lo ha cambiato la plastica». Stephen Hawking,l’astrofisico che ha scoperto il Big Bang e i buchi neri, prediceche vedremo fantastiche scoperte nei prossimi dieci anni.«Non sono un fan di Stephen Hawking. Lui ormai fa l’indovinoe dice cose senza pezze d’appoggio. Io dico semplicementequesto: se lei prende una matita e tira una riga su un foglio, poila ingrandisce un’infinità di volte con un microscopio, vedràtracce di grafene. L’uomo ha avuto sotto il naso per cinque-cento o mille anni questa scoperta che ora può cambiare ilmondo, ma non se n’era mai accorto. Siamo circondati di po-tenziali scoperte simili. Dobbiamo solo imparare a vederle». Aproposito di cambiamenti, lei si sente cambiato dal Nobel?Geim prepara un altro cappuccino. Riflette. «No e sì. Sono lastessa persona di prima, uno scienziato, non mi sento più ar-rogante. Ma grazie al Nobel ho conosciuto tanta gente famo-sa, ricca e potente e ho così potuto scoprire che non sono per-sone molto intelligenti. Ecco questo forse avrei preferito nonscoprirlo. La razza umana non è fatta di creature molto intel-ligenti. Io amo gli individui, ma non ho un gran rispetto dellarazza umana nel suo complesso».

Visto che non siamo animali tanto intelligenti e che abbia-mo di fronte ogni tipo di problemi, il cambiamento climatico,il deficit di risorse energetiche, le guerre, le malattie, l’estre-mismo, lei pensa che sopravvivremo? «No». Altro sorso di cap-puccino. Oddio, ma è una notizia spaventosa. «Non sopravvi-vremo nella nostra forma attuale», riprende. «Ci evolveremoin un’altra forma». Sospiro di sollievo (mio). «Ci stiamo giàevolvendo. La nuova forma si chiama “società globale”. È unacreatura infinitamente più complessa del vecchio Homo Sa-piens. Gli esseri umani sono contenuti al suo interno come mi-nuscoli atomi, come le molecole che compongono una mate-ria. Grosso modo l’Homo Sapiens è durato cinquantamila an-ni. Vedremo cosa diventerà questa nuova creatura, la societàglobale, tra altri cinquantamila anni. Non lo vedremo io e lei,ma i figli dei figli dei nostri figli». Anche il professor Geim hauna figlia, quattordicenne. Che consigli dà alla sua bambina?E ai bambini, ai ragazzi, ai giovani di oggi? «Un consiglio ba-nalissimo. Per avere successo, bisogna lavorare duramente,molto duramente. Mia figlia va a una scuola privata qui a Man-chester ed è una delle prime della classe. Qui si calcola tutto inpercentuali, per cui lei sa di essere nel cinque per cento al topdella scuola come risultati accademici. Ma per avere successonon basta, bisogna essere nei piani alti di quell’uno per centoal top». Mi vengono in mente le tiger momche costringono i fi-gli a un’infanzia infelice di solo studio, ma il premio Nobel mitranquillizza: «Mia figlia è una ragazzina normale, ha hobby,fa sport, gioca con le amiche. L’abbiamo portata con noi fin sulmonte Etna e sullo Stromboli, l’estate scorsa, e si è divertitamoltissimo. Avete vulcani e montagne meravigliose, in Ita-lia». A questo punto siamo diventati amici: il premio Nobel in-siste di nuovo per offrirmi un cappuccino, scherza sulla buro-crazia italiana e confessa che l’Amarone è il suo vino preferi-to. Mi sento come se avessi superato l’esame (di fisica). Sareiquasi tentato di chiedergli di spiegarmi, prima di andarmene,cosa diavolo è esattamente il bosone di Higgs.

LA SCOPERTAÈ STATO SCOPERTO

NEL 2004 DAI DUE FISICIANDRE GEIM E KONSTANTIN

NOVOSELOV DELL’UNIVERSITÀDI MANCHESTER

CHE NEL 2010HANNO PRESO IL NOBEL

CHE COS’È?È UN MATERIALE COSTITUITO

DA UN UNICO STRATODI ATOMI DI CARBONIO.

HA LA RESISTENZADEL DIAMANTE

E LA FLESSIBILITÀDELLA PLASTICA

LE CARATTERISTICHECONIUGA LA PECULIARITÀDI ESSERE UN MATERIALEESTREMAMENTE LEGGERO

CON ECCEZIONALIPROPRIETÀ

DI RESISTENZAMECCANICA

È il Nobel che ha scoperto (“rovistando per casonella spazzatura”) questo rivoluzionario materialeL’abbiamo incontrato e la scoperta l’abbiamo fatta noiparlando di tutto tranne che di scienza. “L’umanità non è intelligente e non sopravviverà così com’è”

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la Repubblica

DOMENICA 4 GENNAIO 2015 29

FOTO

DI J

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ES

Andre GeimMisterGrafeneLA STRUTTURA

GLI ATOMI SI DISPONGONOIN CELLE BIDIMENSIONALI

ESAGONALI FORMANDOUNA STRUTTURA A NIDO

D’APE CHE LO RENDEUNO DEI MATERIALI

PIÙ SOTTILI AL MONDO

COME CONDUTTOREÈ DUECENTO VOLTE

PIÙ FORTE DELL’ACCIAIOE COME CONDUTTORE

DI ELETTRICITÀE DI CALORE

FUNZIONA MEGLIODEL RAME

PER I TRANSISTORÈ TALMENTE SOTTILE

CHE PUÒ ESSERE USATOPER TRANSISTOR

A BASSISSIMO CONSUMOPER CELLULARI E PALMARI

DA RICARICARE SOLOUNA VOLTA AL MESE

NEI COMPUTERPUÒ ESSERE UTILIZZATO

PER REALIZZAREMICROPROCESSORI

AD ALTISSIMA VELOCITÀCHE MANDERANNO

IN PENSIONEQUELLI AL SILICIO

CELLE SOLARIPER LA STRUTTURA

MONOATOMICACHE LO RENDE TRASPARENTEE LA GRANDE CONDUCIBILITÀ

TERMICA PUÒ ESSEREIMPIEGATO NEI PANNELLI

FOTOVOLTAICI

MI DEFINIVANO UN TEDESCO DEL VOLGA,NON MI SONO MAI SENTITO RUSSO.STO MOLTO MEGLIO IN INGHILTERRA,

E NON SOLO PER I SOLDI. GORBACIOV? UN PASTICCIONE.I COLLEGHI? NON SONO UN FAN DI HAWKING:DICE COSE SENZA PROVE, ORMAI FA L’INDOVINO

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DOMENICA 4 GENNAIO 2015 30LA DOMENICA

Anche se oggi i motivi di sospetto sono assai diversi da allora,quando Spoon River sfondò, con manifesto orrore della poten-te stampa parrocchiale, dei pulpiti di prateria, ma anche dei fra-stornati, smilzi, arcigni arbitri del gusto delle riviste letterarie,oltre che di innumerevoli associazioni di perbenismo militante.

Oggi, tra le migliaia di studenti universitari che assumono“poesia” in dosi massicce mi sembra assai difficile che qualcunolegga ancora l’Antologia di Spoon River. Non credo che i work-shop di poesia aggregati alle università e ai college privati la in-seriscano nei loro programmi, se non come fenomeno di inte-resse storico minore: un libro scritto da un vecchio avvocatobohemien, che in tempi bui divagava declamando sul conflittotra materialismo e idealismo: un conflitto ritenuto ormai obso-leto, tanto che probabilmente molti, in quei laboratori di poe-sia, lo considerano da tempo risolto in maniera soddisfacente.

È assai probabile che gli studenti, asettici energumeni esu-beranti e ardenti, quarantadue denti e capelli a spazzola, bendecisi a inseguire l’arte della poesia con tanto di taccuino e reti-cella, flaconcino di veleno, etichette e spilloni, tendano ad ac-cantonare Masters semplicemente perché in vita ha avuto tan-to successo. Come ho già notato, negli Usa moltissimi studentisi ingozzano religiosamente di poesia moderna, pur sostenen-do con insistenza che le opere poetiche così devotamente lettee divorate da tanta gente siano per ciò stesso prive di valore. Ez-ra Pound, per esempio, può essere apprezzato solo da pochi, os-sia da eserciti di cultori della cultura che ogni giorno si fanno

strada attraverso i suoi Cantos, ostentando estatica compren-sione. Di Masters ho sentito dire che “ha avuto troppo successoper essere onesto”. Osservazione che ha del patetico, in bocca aun illuminato rappresentante di un Paese notoriamente non av-verso al successo in qualsiasi campo della vita. Eppure, è grazieall’ironica onestà di Masters che il suo Spoon River è diventatocosì popolare tra i suoi detrattori. Sembra che gli americani ami-no molto essere presi a calci nei loro punti più sensibili. E qualeluogo può essere più sensibile dell’arida, grande spina dorsaledel Middle West?

Appena uscita, l’Antologia di Spoon Riverfu acquistata e let-ta da molti per diverse ragioni, per lo più estranee al fatto indu-bitabile che quella era poesia. Molti lessero il libro per negargliquesta qualità; altri, avendo scoperto che essenzialmente lapossedeva, la contestarono a voce ancora più alta. Davanti aquei versi arrabbiati, sardonici, toccanti, una delle principalireazioni era del tipo: «Ma sì, può darsi che effettivamente ci siagente meschina e corrotta, fanaticamente cupa, rispettabile fi-no alla follia, malevola e scontenta in qualche piccola città del-l’Illinois – ma non dove viviamo noi!», «L’Est è l’Est, l’Ovest è l’O-vest, ma il Middle West è terribile!». Detto per inciso, non a ca-so negli Usa i luoghi più belli e più emozionanti sono invariabil-mente designati come atipici, non veramente americani. EdgarLee Masters, tipico uomo del Middle West, ne parlava con co-gnizione di causa; ma nel suo odio per l’arcigno, avvilente puri-

tanesimo nel quale aveva dovuto dibattersi e ribollire c’era – népiù né meno – qualcosa di ingannevole. «Ci conosce troppo be-ne, quel bugiardo!» era un atteggiamento molto comune.

Personalmente amo molto gli scrittori venuti dal Middle We-st negli anni dell’inizio della prima guerra mondiale. A prescin-dere dai luoghi comuni letterari sulla “vitalità da pionieri”, la“ruvida onestà”, l’”umorismo terragno”, le “imperiture tradi-zioni popolari” eccetera, è vero che personaggi come i radicali egli iconoclasti delle piccole città di provincia, i giornalisti spor-tivi, i collaboratori del Reedy’s Mirror, i chiassosi e avvinazzatipredicatori e atei di Chicago, i cantastorie e i professionisti scal-cagnati hanno dato un apporto rude e benefico a una lingua chestava morendo in piedi – anzi, neppure sui propri, di piedi.

C’era soprattutto Edgar Lee Masters, missionario bilioso,caparbio oratore da comizio, contorto e magniloquente, acu-to nei particolari dei suoi ironici ritratti, prodigo di astrazionienfatiche, verboso ma anche conciso fino al grottesco: un uo-mo con un carattere che non avrebbe messo in vendita nep-pure per un patrimonio.

Nella sua raccolta di poesie, a parlare sono i morti della cittàdi Spoon River, che dal cimitero sulla collina recitano i loro one-sti epitaffi. O piuttosto, parlano con tutta la sincerità di cui so-no capaci. Perché nella loro vita terrena sono stati sconfitti peressere stati onesti – e ciò li ha resi a volte acrimoniosi; o al con-trario, disonesti – e di conseguenza ora sospettano delle moti-vazioni di chiunque altro. In vita non erano riusciti a far pace

con il mondo. Ora, da morti, cercanodi far pace con Dio, magari senzaneppure crederci.

Qui giace il corpo di… Segue il no-me, inciso con indifferenza dal mar-mista. Masters interrompe l’iscrizio-ne per subentrare, dopo il “qui gia-ce”, con la sua versione aspra, dolen-te e compassionevole di una veritàvariegata. Non si era mai illuso che laverità fosse semplice e univoca, convalori chiaramente definiti. Sapevache le vere motivazioni dell’affac-cendarsi degli uomini sulla terra so-no complesse e confuse, che l’uomo simuove misteriosamente quando siarrabatta per farsi valere, che il cuo-re non è solo un muscolo, una pompada sangue, ma anche una vecchia pal-la umida e lanosa nel petto, dentro“l’orrendo fondaco di stracci e ossa”,per citare Yeats: ricettacolo di errori,

tremenda costrizione che vive della sua ferita. E quel che più con-ta, sapeva che nelle persone la poesia esiste sempre – anche senon è sempre delle migliori.

Ha scritto della guerra tra i sessi. Dell’abisso tra gli uomini,creato dalle leggi degli uomini. Dell’incompatibilità tra quelliche trascorrono insieme le loro brevi vite per convenienza eco-nomica o solitudine, l’abissale e sempre crescente distanza dalprimo, grave, casuale desiderio fisico materno. Non che i moti-vi di convenienza economica o di una voluttà occasionale, manon per questo meno urgente, non possano di per sé condurrea uno stato di tranquillità tra due persone sperdute. Ma chi lavuole, la tranquillità? Meglio bruciare che sposarsi, se il matri-monio spegne le fiamme.

Ha scritto sullo spreco; su come l’uomo sperpera la sua vita-lità nel perseguire ciniche futilità, sulle sue aspirazioni quandoobbedisce alle cattive leggi, teologie, istituzioni sociali e discri-minazioni; sulle ingiustizie, avidità e paure, costantemente erancorosamente convalidate da tutti gli umani che in passatone hanno sofferto, anche fino a morirne.

Ha scritto sulla dilapidazione dell’uomo, ma ad alta voce, mal-destramente, appassionatamente, ha reso omaggio alla possi-bile grandezza di ciò che era avviato allo spreco.

Traduzione di Elisabetta Horvat © Estate Dylan Thomas

Apologia

L’anniversario. 1915-2015

DYLAN THOMAS

di Spoon

a raccoltadi brevi poemetti in versi liberi dal

titolo Spoon River Anthology di Edgar Lee

Masters, quarantacinquenne avvocato di

Chicago, fu pubblicata nel 1915. Il pubblico

americano ne fu profondamente colpito, tanto che il li-

bro andò a ruba, divenendo il primo best-seller del “Ri-

nascimento poetico” iniziato nel Middle West dallo

stesso Masters. Il ricordo di quel sensazionale succes-

so durò a lungo, tanto che tuttora il libro è considerato

– se e quando lo è – con profonda diffidenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L

LA COLLINAIMMAGINATA

DA EDGARLEE MASTERS

UN SECOLOFA DIVENTÒNEGLI ANNIUN LUOGO

LETTERARIOUNIVERSALEMA QUALCHETEMPO DOPO

VENNEDIMENTICATA.

QUI DYLANTHOMASSPIEGA

PERCHÉINVECEIL SUO

VALOREÈ ETERNO

L’AUTORE

DYLAN THOMAS,POETA, SCRITTOREE DRAMMATURGO

GALLESE (1914-1953),

SCRISSE QUESTO TESTO

PER LA BBC COMEINTRODUZIONEALLA LETTURARADIOFONICA

DI ALCUNI VERSIDALL’ANTOLOGIADI SPOON RIVER,

AVVENUTAPOI NEL 1955.

IL TESTO, CHE NON È MAI

STATO STAMPATO, È CONSERVATO

DALL’HARRYRANSOM CENTERDELL’UNIVERSITÀDI AUSTIN (TEXAS)

River

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DOMENICA 4 GENNAIO 2015 31

L’altra facciadel sognoamericano

VITTORIO ZUCCONI

L 1915, L’ANNO NEL QUALE un oscuro

avvocato dell’Illinois riuscì a pubblicare

una raccolta di versi liberi chiamata Spoon

River Anthology, era per gli Stati Uniti il

tempo dickensiano di tutto il meglio

visibile e tutto il peggio invisibile. Mai come in

quegli anni l’America aveva esercitato sul resto

del mondo una forza magnetica tanto

irresistibile. Dieci milioni di immigrati si erano

riversati sulle sue coste, tre dei quali italiani,

dall’inizio del secolo, raggiungendo in

quell’anno il culmine. Due terzi degli abitanti

di New York erano nati in altre nazioni. E

mentre l’Europa già inceneriva la propria

gioventù nella fornace della guerra, l’America

lontana e ancora indifferente l’accoglieva e

celebrava se stessa, nel primo film epicamente

sciovinista della storia del cinema, La Nascita

della Nazione. Nessuno lo poteva ancora

prevedere, ma istintivamente,

epidermicamente, si avvertiva che quello

appena cominciato sarebbe stato il “Secolo

Americano”.

La voce dei morti che si alzò da un

immaginario, eppure reale, cimitero del

MidWest per raccontarsi nelle pagine di Edgar

Lee Masters piombò come un secchio d’acqua

gelata sulla compiaciuta retorica del luminoso

destino dell’America. Le confessioni

dall’oltretomba dei defunti ormai liberi dagli

imperativi delle menzogne squarciarono non

soltanto i sudari delle convenzioni e del

perbenismo di quel mitico Midwest che si

considerava lo scrigno delle virtù americane. In

quei versi c’erano i tratti di quella che da allora

in poi si sarebbe chiamata l’altra faccia del

sogno americano. La sconfessione della

sacralità equanime della Legge, ammessa dal

giudice corrotto che si dichiara più colpevole di

Hod Putt che ha mandato a morire, anticipa il

fondato cinismo di chi vedrà legioni di

miserabili, e mai nessun milionario, spediti sul

patibolo. Il lamento di Serepta Mason, la donna

che vide la propria esistenza gelata dal “vento

amaro” della malevolenza e dai pettegolezzi

per il solo suo essere donna, coincide con la

sentenza della Corte Suprema che nega il voto

alle americane e riprende il filo della “Lettera

Scarlatta”. L’Antologia di Masters fu accolta

malissimo, dall’America della “Progressiva

Era”, come un insulto, poi venerata e

canonizzata nella lettura obbligatoria per i

liceali nell’America umiliata dalla Grande

Depressione e oggi è tornata nella penombra,

ignorata o evitata dalle scuole superiori, spesso

con il pretesto di una lingua, di una metrica, di

una poesia non abbastanza letteraria e alta.

La venerazione, e la considerazione per le

«storie», come andrebbero ridefinite, dei morti

sulla collina di Spoon River si sarebbero

protratte più a lungo fuori, che dentro gli Stati

Uniti, anche per il merito della stupidità

censoria del fascismo che ne aveva proibito la

pubblicazione, rendendone la lettura,

carissima fra i tanti a Cesare Pavese, e la

traduzione pericolose. E costringendo la prima

versione in italiano fatta da Fernanda Pivano a

nascondersi sotto la grottesca dizione di

S.River, quasi fosse un santo.

Sarebbero stati il Giovane Holden, gli autori

maledetti della Beat Generation, i Kerouac e i

Ginsberg, a raccogliere la voce dei morti

viventi di Spoon River e raccontare, senza più

l’espediente dell’oltretomba, gli spettri di una

nazione non più timorosa di evocarli. Ma

nessuno che ascolti quelle voci, e percorra le

strade del Midwest nel gelo cimiteriale degli

inverni, le potrà più dimenticare.

© RIPRODUZIONE RISERVATAPIT

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DOMENICA 4 GENNAIO 2015 32LA DOMENICA

A scuoladaMuti

ANNA BANDETTINI

RAVENNA

NON SI SA PERCHÉ

c’è questa ma-nia di imma-ginare il diret-tore d’orche-stra come undespota, «unmatto che sisbraccia daun podio»,brontola di-vertito Ric-

cardo Muti. «“Dirigere”, diceva Toscanini,“può farlo anche un asino. Ma fare musica èun’altra cosa”». È qualcosa di astratto e con-creto insieme, spiega con passione commo-vente il venerato maestro, è studiare, se-guire le tracce intricate dello spartito, il mo-do in cui le note sono scritte, apparentate...Sta all’interprete poi trovare il percorso diqueste tracce, non smarrirsi, seguirle conintelligenza, pensiero, piacere. «Dirigerenon è una cosa naturale — dice — Io vorreitrasmettere come si fa».

Per la prima volta, il numero uno dei di-rettori, insegnerà la sua arte. Settantatrèanni, sempre trascinante, lucido, non orto-dosso, Muti condurrà un’accademia sulla di-rezione dell’opera italiana: prima master-class in luglio al Ravenna Festival diretto daCristina Muti Mazzavillani, sua moglie. È ba-stato l’annuncio su internet perché le do-mande per le selezioni fioccassero da Usa,Argentina, Turchia... e da mezzo mondo ar-rivassero offerte di ospitalità delle sessionifuture. Come nel 2004 con l’orchestra Che-rubini, anche la scuola sarà per i giovani a cuiMuti guarda con attenzione, generosità, for-se segreta inquietudine, come un passaggiodi testimone. «La verità è che oggi la dire-zione si studia poco e male. Un diplomato diflauto o un cantante pensano di potersi im-provvisare direttori. Io vorrei trasmetterequello che ho imparato dai miei maestri, An-tonino Votto, Bruno Bettinelli, Vincenzo Vi-tale», dice nello studio della casa di Ravenna,luogo squisitamente privato, una sorgentedi energia con quella vista sul bel giardino ei tanti ricordi, foto, libri, partiture originali,oggetti preziosi come il vestito di Casanovache Sutherland indossava nel film di Fellini,il luogo da cui parte per girare il mondo: dagennaio Chicago con la sua Symphony Or-chestra, marzo la tournée internazionalecon la Cherubini, aprile la Germania con iBerliner poi Vienna e Russia con i Wiener...

Maestro, da cosa si comincia per dirigere?Dalla bacchetta?«Quando ero direttore dell’orchestra di

Filadelfia ricevetti un voluminoso manualeper studenti sulla direzione d’orchestra. Al-la seconda pagina lo chiusi perché mi stavaconfondendo. La gesticolazione ufficiale,che serve per battere il tempo, è l’abc ma nonbasta sbracciarsi per stare su un podio. Equanto alla bacchetta, per me non è mai sta-to un feticcio. So di direttori che arrivano inteatro con lussuosi astucci e bacchette di-verse a seconda del repertorio. Io ho semprela stessa che mi fanno a Filadelfia da quandodirigevo lì».

Lei come ha imparato?«Io sono diventato direttore per caso. Una

serie di porte aperte del destino. Studiavomusica parallelamente al liceo, ma mio pa-dre voleva il famoso pezzo di carta, l’univer-sità, cosa che io ho fatto. Per ognuno dei cin-que figli aveva deciso un indirizzo. A me toc-cava di fare l’avvocato».

E invece?«Incontrai Nino Rota e decisi di studiare

musica seriamente. Andai a Napoli, mi sonodiplomato al Conservatorio in pianoforte colgrande Vincenzo Vitale. Fu il direttore, Ja-copo Napoli, a chiedermi a bruciapelo se vo-levo dirigere l’orchestra degli allievi. Fecidue prove con successo. A quel punto mi dis-se: se vuoi diventare un direttore, da doma-ni studi composizione. Ed è quello che ho fat-to. Che hanno fatto Karajan, Toscanini, DeSabata... Ed è la prima cosa che chiedo ai gio-vani: conoscere la composizione, poi sapersuonare il pianoforte e avere un buon baga-

se all’orchestra, “quando non ho diretto ave-te eseguito quello che volevo? Dipende dachi è colui che in quel momento non dirigesul podio”, fu la riposta. Ecco il carisma: lapresenza. Credo sia un misto di tempera-mento, sapienza, tecnica. Se non ce l’hai e tisforzi di esibirlo, ti fai nemica l’orchestra».

E a quel punto è finita.«Un’orchestra sono cento persone, due-

cento con il coro: un popolo. Ci sono dentroreazioni emotive diverse, l’abilità del diret-tore sta nel creare una sensibilità collettiva.Molto è anche una questione di chimica, al-trimenti non si comprende come un diretto-re amatissimo in una orchestra è poi magariodiatissimo in un’altra».

A lei è successo?«Immodestamente credo di no. Con la Fi-

larmonica di Vienna abbiamo un rapportoche dura da quarantaquattro anni ed è l’or-chestra più difficile del mondo. Con la Scalasono stati diciannove anni bellissimi, fran-tumati, credo, per altri motivi».

Nella scuola lei lavorerà sull’opera italia-na. Perché?

Spettacoli. Venerati maestri

glio culturale sono le tre cose essenziali senon vuoi essere un vigile urbano ma tra-smettere una idea musicale».

L’idea musicale è quello che distingueuna direzione da un’altra?«Sì. È lo studio di una partitura che richie-

de settimane, mesi, certe volte anni. Per meè come un processo di innamoramento. Met-to lo spartito sul pianoforte, la tengo lì, lo pro-vo al piano, poi senza, poi di nuovo al piano.È come costruire una casa. Ma poi devi sapertrasmettere le sensazioni che scopri in quel-la casa e qui ci vuole tecnica, sensibilità cul-turale e quella cosa strana che è il carisma».

Che cos’è il carisma?«Non lo so. So che quando un direttore at-

traversa la pedana per raggiungere il podio,l’orchestra capisce già se c’è l’ha o no. CarlosKleiber, di cui sono stato amico, mi raccontòche a Tokyo dirigeva la Filarmonica di Vien-na nel Cavaliere della rosa, e c’era un puntoin cui non era contento dell’orchestra. Unasera, due, la terza decise in quel punto di nonfare alcun gesto, di stare fermo. Finalmenteascoltò quello che chiedeva. “Perché”, chie-

QUANDO MI CHIAMARONOA FILADELFIA RICEVETTIUN VOLUMINOSO LIBRO SU COMESI DEVE DIRIGERE. ALLA SECONDA

PAGINA LO CHIUSI: MI CONFONDEVA.LA GESTICOLAZIONE È L’ABC: SERVEA BATTERE IL TEMPO. MA NON BASTASBRACCIARSI PER STARE SU UN PODIO

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Il numero unodei direttorid’orchestraspiega ai giovanii suoi segreti

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DOMENICA 4 GENNAIO 2015 33

1. I movimenti gestualiGesti codificati della mano destrache servono per “battere” il ritmo:2/4, 3/4, 4/4... È l’“abc”

2. Il pianoforteSaper suonare il piano è utileper studiare una partiturama anche per provare con i cantanti

3. La composizioneUn buon direttore deveconoscere l’armonia, il contrappunto, la strumentazione

4. Gli studi umanistiUn buon bagaglio culturale è necessario per comprendereun autore contemporaneo o del passato

5. Il carismaÈ qualcosa di astratto,indefinito una sommadi professionalità, rigore, talento

La bacchettaLa bacchetta è un bastoncinolungo da 25 a 60 centimetri,utile per indicare il tempoe gli attacchi all’orchestracon gesti codificati. È in legnoleggero, oppure in fibra di vetroo di carbonio. L’impugnaturaha un pomello “a pera”tradizionalmentedi sughero oppure di legno

5regoledel podio

«Studieremo il Falstaff. Sono sempre col-pito dall’approssimazione e dalla mancanzadi serietà con cui l’opera italiana viene ese-guita e ascoltata. Penso ai tanti abusi codifi-cati dalla tradizione, libertà inammissibilicon Mozart o Wagner, tagli, cambiamentiper i cantanti o i melomani, parola che odioperché la mania è sempre una patologia. In-segnerò che in Verdi c’è una verticalità trasuono e parola, sono una in funzione dell’al-tra. In Italia la musica deve voltare pagina findalla scuola primaria: basta col piffero, inse-gniamo ai bambini a camminare nella fore-sta dei suoni».

I suoi direttori di riferimento?«Toscanini, avendo studiato con Votto

suo allievo, per il rispetto dell’autore. Ka-rajan per la scoperta delle possibilità del suo-no. Furtwängler per il coraggio di improvvi-sare, per i momenti di libertà».

Dei giovani chi la convince?«Andris Nelsons mi pare uno bravo, a tut-

ti auguro comunque di fare la famosa gavet-ta. Io iniziai, pensi, con l’orchestra militarececoslovacca, nella Praga del ‘66. Quando mi

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L’ACCADEMIA

L’“ITALIAN OPERA ACADEMY”È LA PRIMA MASTERCLASSPER DIRETTORI D’ORCHESTRAREALIZZATA DA RICCARDO MUTI.LA SESSIONE D’AVVIO DEDICATAAL “FALSTAFF” DI VERDI SI SVOLGERÀAL TEATRO ALIGHIERI DI RAVENNA DAL 9 AL 26 LUGLIO 2015PER IL “RAVENNA FESTIVAL”.DUE LE CLASSI DI INSEGNAMENTO(GRATUITE PER GLI ALLIEVI SCELTI):DIRETTORE D’ORCHESTRA E MAESTROCOLLABORATORE. PREVISTI AUDITORI.LE DOMANDE DEVONO ESSEREPRESENTATE ENTRO IL 31 GENNAIO 2015.INFO WWW.RICCARDOMUTIMUSIC.COM

L’ORCHESTRA

NELLA FOTO GRANDE:MUTI CON L’ORCHESTRA CHERUBINIIN PROVA AL TEATRO ALIGHIERIDI RAVENNA

prendeva la nostalgia, facevo su e giù da-vanti all’ambasciata italiana. Tempo fa ci so-no tornato con i Wiener, accolti in quella stes-sa ambasciata con un gran ricevimento chemi ha fatto ripensare con tenerezza a queglianni in cui ero uno sconosciuto».

Quando si capisce di essere diventati unvero direttore d’orchestra?«Posso solo dire che andando avanti, capi-

sci che non c’è bisogno di fare tanta confu-sione sul podio. In teoria si potrebbe dirige-re anche solo con gli occhi. A me talvolta èsuccesso. Come i dicevano i romani “Rem te-ne, verba sequentur”, se c’è la sostanza le pa-role verranno. Una frase che farebbe bene atanti nostri politici».

A questo proposito: e la storia di lei allaPresidenza della Repubblica? Avrebbedavvero lasciato il podio per il Quirinale?«Ma perché mai? È una pura invenzione.

Mi ha divertito però un signore che per stra-da qui a Ravenna mi dice: “Maestro sarebbestato bello però: voleva dire che in questopaese cambiava musica”».

CI SONO DUECENTO PERSONE,CON IL CORO, IN UN’ORCHESTRA:UN POPOLO. CON EMOTIVITÀDIVERSE. L’ABILITÀ È CREARE

UNA SENSIBILITÀ COLLETTIVA. QUESTIONEDI CHIMICA, ALTRIMENTI NON SI CAPISCECOME MAI UN DIRETTORE MOLTO AMATODA UNA PARTE SIA ODIATO DA UN’ALTRA

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DOMENICA 4 GENNAIO 2015 34LA DOMENICA

SERGIO PENNACCHINI

AGUARDARLO SEMBRA UNA DI QUELLE CUFFIE con microfono che si usanoper comunicare al computer. Solo che questo strano apparecchio,creato da un team di inventori svedesi famoso per aver realizzatouna sedia a dondolo che ricarica l’iPad, non è per uomini, ma per ca-ni. Si chiama No More Woofe traduce, sostiene il team nordico, ogniverso del vostro cane in un pensiero preciso. “Ho fame”, “chi sei?”,“voglio giocare” e altri semplici concetti per farci capire, senza mar-gine di errore, cosa vuole esattamente il nostro amico a quattrozampe. Sembra fantascienza, o uno scherzo molto ben congegna-to, fatto sta che No More Woof ha già raccolto più di 20.000 dollarida appassionati che hanno prenotato questo gadget prima ancorache arrivi nei negozi. Quando (e se) ci arriverà, No More Woof co-

sterà circa trecento dollari e sarà in grado di riconoscere almeno quattro tipi di versi del vostro ca-ne. Ma l’idea svedese è solo l’ultima espressione, forse la più estrema, di come la tecnologia indos-sabile, quella degli smartwatch e dei bracciali per il fitness, abbia puntato gli occhi su un altro set-tore, un altro mercato da conquistare: gli animali domestici. Un’industria che vale oltre novanta

miliardi di dollari l’anno e che, stando a uno studio del Financial Times, non conosce crisi: dal1994 a oggi è cresciuta costantemente, senza sosta. Anche durante la crisi economica.

«Solo in Nord America ci sono ottanta milioni di animali domestici che vengono, nel 90per cento dei casi, considerati come veri membri di famiglia. Milioni di persone che non

vogliono altro che il bene dei loro cuccioli». Davide Rossi, ingegnere, poco più ditrent’anni, introduce così Fitbark, un piccolo dispositivo da montare sul collare

dell’animale in grado, tramite sensori, di calcolare l’attività fisica che il cane

svolge durante il giorno. «La tecnologia può ave-re un ruolo davvero fondamentale nell’aiutarcia riconoscere i bisogni dei nostri amici a quattrozampe e a soddisfarli», spiega. Dopo un passatoin Ferrari e su piattaforme petrolifere in MedioOriente, Davide Rossi è volato a New York doveha fondato la sua startup. Fitbark, che dovreb-be arrivare nei negozi nei primi mesi del 2015,comunica i dati raccolti a un’applicazione persmartphone. Potremo condividere i risultaticon il nostro veterinario e confrontarli con i datireali di altri cani come il nostro. «In questo mo-do si ottiene un riferimento reale, concreto, persapere con più precisione se l’animale sta beneo ha bisogno di fare più attività». Già oggi sulmercato ci sono diverse soluzioni simili a Fit-Bark. Tra le tante, citiamo Whistle e Voyce. Deidue, Voyce sembra quello più evoluto: oltre amisurare l’attività fisica e le calorie bruciate,analizza anche battito cardiaco e frequenza re-spiratoria. Entrambi, come FitBark, permetto-no con un tocco del dito di inviare i dati al vete-rinario di fiducia, che così potrà avere un’ideadi come sta il vostro cucciolo anche da remoto.

Presto sullo schermo dello smartphone po-

tremo anche controllare cosa stanno facendo inostri animali mentre non ci siamo, oppure dar-gli da bere o mangiare. Il merito è di prodotti co-me Romeow, frutto dell’inventiva di un gruppodi giovani imprenditori italiani. Presentato al-l’ultima Maker Faire di Roma, la fiera dei makere degli inventori, somiglia a una macchinettaper il caffè. Solo che dai due beccucci non esce ungustoso espresso, ma acqua e cibo per cani e gat-ti. Il design è estremamente curato, come ci siaspetta da un prodotto made in Italy, con mate-riali di pregio. Romeowè dotato anche di una te-lecamera e di un microfono per comunicare conl’animale dall’applicazione dedicata. Un ulte-riore modo per assicurarsi che abbia mangiatoe stia bene. «Per lavoro devo partire molto spes-so, con Romeowposso farlo senza pensieri e conla sicurezza che il mio gatto avrà tutto quello dicui ha bisogno», racconta Alessandro Affronto,fondatore di Purple Network, la società che l’hacreato. Dovrebbe arrivare in commercio nel cor-so del prossimo anno, ma sugli scaffali dei ne-gozi troverà un’agguerrita concorrenza. Pet-Net Smart Feeder, in arrivo nei primi mesi del2015, è un dispenser di cibo che si controlla via

SI CHIAMA “NIENTEPIÙ ABBAI”: È UN PICCOLOCASCO IN GRADO,SECONDO I CREATORI,DI LEGGERE IL PENSIEROE L’ABBAIARE DEI CANIE TRADURLO IN INDICAZIONI UTILIPER I PADRONI. PER ORA È SOLO UN PROTOTIPO

No More Woof

UN COLLAREPER MISURAREL’ATTIVITÀ FISICADEL VOSTRO CANEE RESTARE SEMPRECONNESSI CON LUI.POTRETE CONTROLLARLOIN TEMPO REALETRAMITE UN’APPLICAZIONESU SMARTPHONE. GIÀ DISPONIBILENEGLI STATI UNITI, COSTA 99 DOLLARI

Whistle

Next. Animal factory

iPet

58 miliardi di dollariÈ IL VALORE RECORD DEL MERCATO DEL CIBO E DEGLI ACCESSORIPER ANIMALI DOMESTICI NEGLI STATI UNITI NEL 2014,TRE MILIARDI IN PIÙ RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE

UN DISPENSER DI CIBO PER GATTIE CANI, CHE SI PROGRAMMAVIA APP E PERMETTE DI TENERESOTTO CONTROLLOL’ALIMENTAZIONE DEI NOSTRIANIMALI. ALL’ORAE NELLE DOSI DA VOI SCELTE

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E VERRETE AVVERTITITRAMITE UN SMS

PetNet

Dall’apparecchio che ne traduce i versialle app per misurare come stanno:così la tecnologia rivoluzioneràla vita dei nostri amici a quattro zampe

È UN DISPENSER DI CIBO E ACQUA CHESI CONTROLLADA REMOTO

TRAMITE UN’APPPER IPHONE. FRUTTODI UN’IDEA TUTTA ITALIANA E, NON A CASO, IL DESIGNÈ PARTICOLARMENTE FUNZIONALEED ELEGANTE. HA ANCHETELECAMERA E MICROFONO

PER INTERAGIRE CON L’ANIMALE

Romeow

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DOMENICA 4 GENNAIO 2015 35

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smartphone e ha un’applicazione che consigliala dieta migliore a seconda delle esigenze del vo-stro animale o in base alle indicazioni del vete-rinario. Petzila, presentato all’ultimo Consu-mer Electronic Show di Las Vegas, invece, è unascatola di plastica che consente di “premiare” adistanza cani e gatti con biscottini da elargirecon un tocco sull’iPhone. Ha una videocame-ra per vedere in tempo reale cosa sta fa-cendo il vostro cucciolo. La camera sipuò usare anche per scattare foto efare piccoli video, da condividerepoi sull’applicazione ufficialeche è strutturata come unsocial network dedicatoagli amanti degli ani-mali. Petcube, in-vece, è una te-lecamerache sic o n -

nette alla rete wifi di casa e permette di teneresotto controllo i propri cuccioli quando siete fuo-ri: c’è anche un puntatore laser per giocare conloro a distanza. Per le gite al parco ci sono ani-mali radiocomandati per far correre il vostro ca-ne, e se avete paura di perderlo non c’è da preoc-cuparsi: ci sono tantissimi collari con sensoreGps integrato per sapere sempre dove si trova.Tra i tanti citiamo Dog Tracker: costa circa 250euro, tanti per un collare, ma consente di verifi-care costantemente la posizione del vostro ca-ne, indicando anche i confini di casa. Così, se percaso Fido dovesse uscire senza permesso, ver-rete subito avvertiti dalla app.

Per le passeggiate, invece, c’è chi sta speri-mentando l’uso di droni come dog-sitter. Si pro-gramma il percorso e il drone porta a spasso ilcane. Un po’ eccessivo, ma sembra non esserciun limite a questa rivoluzione tecnologica. Oforse sì, come conclude Davide Rossi: «La tec-nologia fine a se stessa non serve a nulla. Un’i-dea funziona se aiuta a essere persone migliori.Non si tratta di aiutare gli animali, ma di inse-gnare ai padroni a essere più attenti».

28,5 miliardi di dollariLA CIFRA SPESA DAGLI AMERICANI NEL 1994PER ACCUDIRE I LORO ANIMALI. DA ALLORA È STATA UNA CRESCITACOSTANTE, SENZA MAI UN ANNO IN NEGATIVO

8,5 miliardi di euroÈ QUANTO ABBIAMO SPESO NEL 2014IN ITALIA, FRANCIA, INGHILTERRA,GERMANIA E SPAGNA PER GLI ANIMALIDOMESTICI. LA CIFRA È IN CRESCITADEL 2% RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE

8,7 miliardi di dollariÈ QUELLO CHE BC PARTNERS,FONDO D’INVESTIMENTO PRIVATO EUROPEO,HA PAGATO PER ACQUISTARE PETSMART,LA CATENA DI NEGOZI AMERICANADEDICATA AGLI ANIMALI.È LA VENDITA PIÙ IMPORTANTE DEL 2014PER IL FINANCIAL TIMES

Voyce

NOSTALGIA DEL VOSTROPICCOLO AMICOO TIMORE CHE POSSACOMBINARE QUALCHE GUAIO IN CASA?PETCUBE È UNA TELECAMERAPER CONTROLLARE DA REMOTO COSASTANNO FACENDO I VOSTRI ANIMALIQUANDO SIETE VIA. HA ANCHE

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DEL VOSTRO AMICOA QUATTRO ZAMPE, SONY HA CREATOUN ACCESSORIO CHE PERMETTEDI MONTARE SUL SUO DORSO UNA PICCOLA TELECAMERA.FACILISSIMO DA USAREANCHE PER I PIÙ INESPERTI

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DA ALTRI APPASSIONATICOME IN UN SOCIAL NETWORK

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DOMENICA 4 GENNAIO 2015 36LA DOMENICA

LICIA GRANELLO

DICONO CHE GLI UOMINI italiani preferiscono la pasta. E se propriobisogna usare il cucchiaio, almeno che sia per tortellini e zup-pe di pesce. Le donne, invece, sono di natura “minestrone”,vuoi perché eternamente a dieta, vuoi per il piacere tuttofemminile di coccolarsi la scodella, tenendola tra le mani. L’u-nica eccezione temporale coincide con le feste di fine anno,quando temperature gelide e sovraccarico calorico mettonoin pari i desideri alimentari di maschi e femmine, dando spa-zio a brodi e vellutate. La questione non si limita all’identitàdi genere. Tendenzialmente l’uomo occidentale privilegiapiatti forti, forse come una conferma di virilità, che si parli dicarne (rossa) o tagliatelle, lasciando alle donne il primato di

dolci, verdure e cereali. Ma il resto del mondo non la pensa così. Dalla Russia alla Poline-sia, le zuppe campeggiano a pieno titolo nella top ten di gradimento, senza distinzione disesso, età, status sociale, convinzioni etiche o religiose. Perché a differenze delle pasteasciutte – tutte comunque connotate daun’indiscutibile concretezza nel piatto –possono essere declinate secondo l’interopentagramma del gusto.

Così, la distinzione verticale maschi-fem-mine si frantuma in miriadi di piatti, figli diculture enormemente lontane tra loro, ep-pure devote al culto della minestra, dal soa-ve nonnulla della zuppa di miso giapponese– che introduce i pasti come una piccola pre-ghiera gastronomica - alla tenacia carnivo-ra del borscht (che perde la “t”, passando ilconfine tra Ucraina e Russia).

Le variabili risultano infinite anche all’in-terno della stessa tradizione culinaria, dovel’elenco delle ricette misura la ricchezza del-la biodiversità alimentare. Se gli orti del Me-diterraneo mandano in passerella il trionfodelle verdure, spese da sole o sposate con leproteine animali - come nella gloriosa mine-stra maritata napoletana – il continenteamericano si divide tra le sopas del sud (il so-lo Perù conta oltre duemila ricette di zuppe)e le chowder del nord, con crostacei e mollu-schi in prima fila (ma insaporite col bacon).

Le zuppe degli altri.Dal borscht alle sopassenza dimenticare il gumbo

La tradizione Nella cucina

tradizionale cinese, gran parte delle zuppe

servite in piccole ciotole con appositi cucchiai

di ceramica, arriva a fine menù,con la funzione specifica

di pulire lo stomaco e rendere il pasto appena

assunto più digeribile

Il libro L’autrice inglese Jane Price

ha scritto per l’editore Guido Tommasi “Pane e Zuppa”,

goloso giro del mondogastronomico in bilico

tra minestre squisite e i buoni pani — ma anche

crostini, crackers — con cui accompagnarle

Il granchio Firma i menù dei locali del Fishermans Wharf

– la storica marina di San Francisco – la zuppa

di granchio (crab chowder),declinata al maschile (classica)

e al femminile (she-crab chowder),

con le uova aranciate a regalare colore e fragranza

A proposito di minestre maritate, guai a di-menticare il gumbo della Louisiana, splen-dido esempio di cucina cajun che mette in-sieme carne, riso, verdure e frutti di mare, iltutto abbondantemente speziato.

Gli Stati Uniti sono anche la patria dellezuppe industriali, così annidate nel tessutosociale del paese da diventare oggetto dellerielaborazione grafiche di Andy Wharol. L’i-nossidabile presenza delle lattine di Camp-bell’s in tutti i supermercati di ogni ordine egrado dall’Alaska alla Florida ben testimo-nia il rapporto strettissimo tra la necessitàalimentare e la sua fruizione rapida, tipicodella quotidianità alimentare americana.

Ma è la cucina orientale a regalare allezuppe una valenza straordinaria, connubiomillenario di nutrizione e farmacopea. Assi-milando il concetto di yin e yang - buio e luce,caldo e freddo, femminile e maschile – all’a-limentazione quotidiana, minestre e affinivengono trasformati in simboli virtuosi dinutriceutica. Un brodo arricchito con zenze-ro, ginseng e datteri – alimenti yang – curail troppo yin del raffreddore, mentre la mi-nestra di spinaci – fortemente yin – raffred-da i bollori della febbre. In caso di guarigio-ne rapida, mettete la ricetta nell’armadiet-to delle medicine di fianco all’Aspirina.

CON L’ARRIVODEL FREDDO

LA ZUPPA METTED’ACCORDO TUTTI:

UOMINI E DONNE,DALL’ITALIA

AL GIAPPONEED È PROPRIO

L’ORIENTEA CREARE

UN MILLENARIO,PERFETTOCONNUBIO

TRA NUTRIZIONEE FARMACOPEA

All’orientaleSopra, versionetailandese della zuppa di polloNella foto grandezuppa di pollo con spaghetti cinesi e, a destra, zuppa di gamberetti

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Sapori. Al cucchiaio

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DOMENICA 4 GENNAIO 2015 37

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

4 PEZZI DI MOCHI (POLPETTINE DI AMIDO DI RISO)100 GR DI TARO (TUBERO) IN 4 PEZZI / 100 GR DI FUNGHI SHITAKE IN 4 PEZZI

35 GR DI TOFU FRITTO IN 4 PEZZI / 20 GR DI TACCOLE BABY IN 4 PEZZI

100 GR DI KONNYAKU (GELATINA) IN 4 FETTE / 200 GR DI POLLO IN 4 PEZZI

CAROTE E DAIKON PER DECORAZIONE

1 PEZZO DI ALGA KOMBU ( 5 CM X 10 CM)1 MANCIATA DI KATSUOBUSHI (TONNETTO ESSICCATO GRATTUGIATO)800 ML DI ACQUA

Questo piatto, nato intorno al XIV secolo, vie-ne cucinato nel periodo di Capodanno, perpurificare il corpo, preparandolo all’annonuovo. Come primo passo della ricetta, oc-

corre bollire l’acqua con il kombu, aggiungere il kat-suobushi lasciandolo in infusione per un minuto efiltrare. Arricchire il brodo così ottenuto (dashi)con un cucchiaio di soia Usukuchi, uno di mirine uno di sake, aggiustando di sale. Aggiunge-re in sequenza taro, funghi Shitake, tofu,konnyaku, carote, daikon, taccole, pollo sen-za pelle e i mochi, lasciando sobbollire per 15‘ circa, prima di versare la zuppa nelle ciotole.

GIAMPAOLO VISETTI

PECHINO

N CINA, COME NEL RESTO dell’Asia, lazuppa resta il pasto quotidiano delpopolo. È un piatto unico e labollitura di acqua e ingredientigarantisce la distruzione di germi e

veleni. Cinesi, indiani e giapponesi damillenni si nutrono di zuppe lungo tuttoil giorno, dalla prima colazione all’ultimopasto del tardo pomeriggio. Lafrequenza del consumo di questepietanze semplici è tale che ognivillaggio e ogni regione hanno creatomigliaia di ricette, inscindibilmentelegate al territorio. A differenza dellaRussia, dove la Solyanka a base di carne eil Borsch a base di barbabietola rossadominano sempre uguali tra SanPietroburgo e Vladivostok, le zuppeasiatiche rivelano le sostanziali diversitàdi ogni luogo e l’ossessione collettiva peril cibo, superiore al culto di italiani efrancesi. Le minestre, più di ogni altropiatto, esprimono l’anima contadina opescatora della gente, educata a buttarein pentola ciò che la campagna o il mareoffrono nelle diverse stagioni. Cucinaeconomica, tutta di sostanza, ma affattoestranea alla raffinatezza dei palati piùesigenti. Il luogo comune associaerroneamente la Cina al riso, più diffusonel Sudest asiatico. A Pechino e nelleregioni del Nord, il pasto-simbolo è laciotola di zuppa, quasi sempre arricchitacon i tagliolini tirati a mano. La pasta simangia con i bastoncini, succhiandolaassieme agli altri ingredienti solidi. Più ilrisucchio è rumoroso, più i commensalidimostrano di gradire la ricetta. Il liquidosi consuma alla fine, bevuto dalla tazzacome fosse un tè bollente, o dosato concucchiai curvi in porcellana. Nellacapitale le dinastie imperiali hannoimposto ricche zuppe con carne dimaiale e brodo di pollo, verdure e tofu,cavolo, germogli di bambù e zenzero.Lungo le regioni costiere, a Shanghai e aGuangzhou, i chioschi di strada noncessano di fumare a causa di pentoloni incui bollono gamberetti, pesci e granchi,sempre abbinati a cipolle e aglio. Nelleoccasioni speciali un vero culto, oggicontestato dagli amanti degli animali, èriservato alla pinna di squalo, al cetriolodi mare e alla tartaruga, consideratirimedi prodigiosi dalla medicinatradizionale. Nelle terre più poveredell’interno e del Sud, a partire dalSichuan, dominano invece le infuocatezuppe di pollo, con peperoncino, funghisecchi, legumi e mais, spesso agrodolcicon l’aggiunta di salsa di soia e crenverde. In Asia la cucina è sempre, primadi tutto, una farmacia che punta asfamare, ma pure a curare. Le zuppe sono il farmaco perantonomasia e il piccante èproporzionale alla necessità diproteggere circolazione e intestino.Poche minestre al mondo sono completecome quella preferita anche da MaoZedong, con pomodoro, maiale, soia,peperoncino e vermicelli: brucia dapiangere, ma una tazza basta fino algiorno dopo.

Quelle ciotoleinfuocatetanto amateanche da Mao

LO CHEF

GIAPPONESETRAPIANTATO A MILANO, IL MAESTRO HARUOICHIKAWA GUIDACON LORENZOLAVEZZARI LE CUCINE DEL RISTORANTEIYO, FRESCO DI STELLA MICHELIN.SUA LA ZUPPAIDEATA PER I LETTORI DI REPUBBLICA

Zoni, il piatto tradizionale giapponeseper purificarsi con l’anno nuovo

La ricetta

8piatti bollenti

Clam ChowderNEW ENGLAND, USACipolla e sedano nel burro,poi farina, brodo vegetale,l’acqua delle vongole, panna,alloro e patate a rondelle. Infine, dentro le vongole

THE PERFECT BUN

LARGO DEL TEATRO VALLE 4ROMA

TEL. 06-45476337

ÄrtsoppaSVEZIA

Piselli gialli secchi lessati.Poi, carne di maiale, cipolla,timo e zenzero. A fine cotturasenape e porri. Carne servitacon la zuppa o a parte

BJÖRK

LOCALITÀ TORRENT DE MAILLOD 3QUART (AO)TEL. 0165-774912

CanjaBRASILE

Pollo bollito con cipolla, poisfilettato. Brodo sgrassato e filtrato, prima di aggiungerecarote e patate, infine il riso.In ultimo, prezzemolo tritato

FLORIPA

VIA VARIANTE CISA 65 SARZANA (SP)TEL. 0187-029578

BouillabaisseFRANCIA

Fumetto con cipolla, porro,aglio, timo, olio e zafferano.Dentro, pesci e crostacei. Colato il brodo, si serve con crostini e salsa rouille

LA CABANE

VIA DELLA ROCCA 10TORINO

TEL. 011-0378308

BorschtUCRAINA

Salsiccia rosolata e bollitacon barbabietole grattugiate.Poi, carote, patate, cavolo e salsa di pomodoro. Si offrecon panna acida a parte

BAIKAL CAFÈ

VIA AUSONIO 23 MILANO

TEL. 333-2434799

HariraMAROCCO

Cuocere cipolle e agnello, poi ceci, lenticchie, curcuma,zenzero, prezzemolo,coriandolo. Infine, farinacon acqua e salsa di pomodoro

SEFNAJ

CORSO GIULIO CESARE 25TORINO

TEL. 388-3532222

Cullen SkinkSCOZIA

Haddock affumicato (simileal merluzzo), bollito con alloro, porro, cipolla rosolati, poi patate e latte. Si serve con cipollino tritato

SCHOLARS LOUNGE

VIA DEL PLEBISCITO 101/BROMA

TEL. 06-69202208

PhoVIETNAM

Brodo a base di ossi di manzo o pollo, profumato grazie a zenzero, cannella e anice stellato, servito conspaghetti di riso (noodles)

VIETNAM MON AMOUR

VIA ALESSANDRO PESTALOZZA 7MILANO

TEL. 02-70634614 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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DOMENICA 4 GENNAIO 2015 38LA DOMENICA

Figlia di un pittore, nata a Berlino, ha vissuto in Francia e a lungo

anche in Italia. Ha iniziato come attrice ma presto è diventata

una regista dura e coraggiosa. “Ingmar Bergman mi disse che vo-

leva smettere di girare, ma vedendo il mio Anni di piombo aveva

ritrovato la spinta per continuare”. Conserva ancora un legame

forte con il nostro paese, anche se i suoi ultimi lavori hanno avuto

maggior fortuna altrove: “La

forza economica della Germa-

nia non suscita simpatia, ma

forse non sono i tedeschi a esse-

re meno incisivi in campo cultu-

rale: sono gli altri che hanno

meno voglia di ascoltarci”

von TrottaELENA STANCANELLI

FIRENZE

ARGARETHE VON TROTTA HA UN LEGAME forte col nostro paese, par-la italiano molto bene, ha vissuto qui a lungo. «Ero a Roma an-che il giorno della caduta del Muro, tanto per dire». È una don-na bella e minuta. L’ho incontrata a Firenze, al Festival inter-nazionale di cinema delle donne. In quell’occasione si è visto il

suo ultimo film, Hannah Arendt, quasi inedito in Italia. «Una strana scelta del-la distribuzione», mi spiega. «È uscito soltanto per un giorno, il Giorno dellamemoria, l’anno scorso. Meglio così», ride, «ci hanno creduto così poco cheper fortuna neanche l’hanno doppiato... almeno quello!». Ha ragione, sareb-be stata una barbarie. Barbara Sukowa, che interpreta la filosofa con super-ba intelligenza, parla in un americano molto sporcato dal tedesco. Così comela cerchia degli intellettuali suoi amici passa dall’una all’altra lingua, a se-conda dell’intensità della conversazione. Hannah Arendt ha avuto successoovunque, dal Festival di Toronto, dove è stato presentato, a tutti i paesi in cuiè stato distribuito. Tranne che da noi, appunto.

Figlia di un pittore, Alfred Roloff, la von Trotta è nata a Berlino durante laguerra, settantadue anni fa, e dopo aver studiato arte, germanistica e lingueromanze, si è trasferita a Parigi negli anni Sessanta. Ha iniziato a lavorarenel cinema come attrice, per Fassbinder e per Volker Schlöndorff, che poisposerà. E insieme al quale dirigerà il suo primo film, Il caso Katharina Blum,tratto da un romanzo di Heinrich Böll. Nel 1981, quando esce Anni di piom-bo — il suo film che racconta la storia delle due sorelle, Christiane eGudrun Ensslin, la terrorista morta nel 1977 nelcarcere di Stammheim insieme agli altri com-ponenti della banda Baader-Meinhof — diven-ta una regista di culto. «Ero in giuria a un fe-

stival», racconta. «Il presidente era IngmarBergman. Lui mi aveva voluto, insieme aJeanne Moreau e Suso Cecchi d’Amico. Mi preseda parte e mi disse che qualche tempo prima avevapensato di lasciare il cinema. Era stanco, demo-tivato, non gli piaceva più niente. Poi aveva vi-sto Anni di piombo. Non solo lo aveva ama-to moltissimo, ma gli aveva dato il corag-gio di continuare, l’entusiasmo per ri-prendere a lavorare. Quasi non ci credevo,

lo ascoltavo e pensavo lo dicesse per lusingarmi. Considero Bergman il miomaestro, da sempre, immenso, inarrivabile. Due anni più tardi, gli chieseroper il festival di Göteborg quali fossero i suoi dieci film preferiti. Tra Fellini eKurosawa mise, di nuovo, Anni di piombo». Protagonista del film era Barba-ra Sukowa (scopro che si pronuncia Sùkowa) e non si può parlare del cinemadella von Trotta senza parlare di questa attrice, che è parte di lei. «Abbiamoappena finito di girare il nostro settimo film insieme. Del resto anche Berg-man lavorava sempre con gli stessi attori, Fellini aveva Mastroianni. Sono de-gli alter ego, delle proiezioni. Eppure tra me e Barbara non è stato facile all’i-nizio. In Anni di piombo lei si comportava in modo scostante. Era violenta,rabbiosa. Soltanto dopo ho capito che faceva così per via del suo personaggio.Era diventata una specie di terrorista, era diventata Gudrun Ensslin. Infattiquando abbiamo girato Rosa L. si è trasformata nella Luxemburg. BarbaraSukowa è una delle attrice più intelligenti che conosca. Non avrei potuto fa-re Hannah Arendt con nessun’altra. Quando si prepara, legge tutto quelloche ho letto io, e anche di più. In Rosa L. c’è un discorso contro la guerra, cheio avevo trovato negli scritti politici della Luxemburg e l’avevo messo nellasceneggiatura. Barbara è venuta e mi ha detto: “Ne ho trovato un altro, se-condo me è più bello”. Ed era vero, così abbiamo usato quello che aveva tro-vato lei. Quando hanno proiettato il film in Israele, durante questo discorsosulla pace la gente in sala ha iniziato ad applaudire. È stato incredibile: paro-le scritte contro la Prima guerra mondiale sembrava parlassero della loro si-tuazione, di questi anni». E infatti la Sukowa per quell’interpretazione ha vin-to la Palma d’oro a Cannes nell’86.

Sono gli anni in cui la von Trotta vive nel nostro paese, anni di grandi acca-dimenti storici che non possono non influenzare la sua opera. Nel 1988 esceun film fascinoso girato a Pavia, Paura e amore. Scritto con Dacia Maraini, in-terpretato da Fanny Ardant, Greta Scacchi e Valeria Golino, tre cechoviane,malinconiche sorelle. «Lo aveva prodotto Angelo Rizzoli il quale era reducedalle sue faccende giudiziarie. È stato il primo film che ha prodotto quando èuscito dal carcere. Mi chiesi perché in quella situazione volesse fare un filmcon una tedesca. Forse per tenersi un po’ in disparte, laterale rispetto allarealtà italiana. Non a caso il suo secondo film l’avrebbe poi fatto con Mi-chalkov. Adesso penso che Rizzoli, in quegli anni, avesse paura dell’Italia, de-gli italiani. Avremmo dovuto fare un altro film insieme, ma lui ha avuto di nuo-vo problemi con la giustizia. Era il 1992, e l’Italia era sotto assedio. Dopo gli at-tentati in cui morirono Falcone e Borsellino, io e il mio compagno di allora (ilproduttore Felice Laudadio) ci chiedemmo cosa fare, come esprimere la no-stra rabbia. Eravamo cineasti, e dunque avremmo fatto un film. Facemmo Illungo silenzio, lavorando tutti gratis. Il film non è mai uscito. Era la storia diun magistrato ucciso dalla mafia e facemmo un’anteprima a Palermo. In uncinema, il Lux, che era già stato bruciato due volte dai mafiosi. Tra il pubblicoc’era la vedova del giudice Terranova che mi aveva dato il suo testamento, per-ché lo usassi nel film. E la moglie di Bonsignore, un funzionario della Regioneanche lui ucciso dalla mafia. Lei si è alzata in piedi e ha detto “mio marito nonera giudice, era solo un impiegato normale ma è stato assassinato anche lui”.Poi si è guardata intorno e ha aggiunto “e tutti voi sapete chi l’ha ammazza-

to”. La gente si è spaventata, così i gestori, i distributori. E il film è sparito. Illungo silenzio è stato il mio ultimo progetto italiano. Sono tornata in Germa-nia, e ho fatto un film sul Muro: La promessa. L’ho scritto insieme a Felice Lau-dadio e al mio amico Peter Schneider». Anche la mattina in cui cadde il Muro,Margarethe von Trotta era in Italia, a Roma nella sua casa di via del Pellegri-no. «Qualche settimana prima avevo parlato con la mia cara amica ChristaWolf, la scrittrice scomparsa alcuni anni fa. Ci vedevamo ogni tanto, e parla-

vamo del nostro paese, del futuro, delle nostre speranze. Cin-quant’anni, mi disse lei, non ci vorranno meno di cinquant’anni pri-ma che il Muro possa essere abbattuto. Quella notte tra l’8 e il 9 no-vembre del 1989, mi addormentai ignara di tutto. La mattina com-prai il giornale e quasi svenni. Poi sono scoppiata piangere». Si com-muove ancora mentre racconta, le trema la voce. «Singhiozzavo,e la gente mi guardava, chiedevano se avessi bisogno di aiuto, for-

se pensavano che avessi delle terribili pene d’amore». Le chiedo del suo ultimo film, appena finito di montare, pro-tagonista sempre Barbara Sukowa. È una biografia? «No,

per un po’ basta con donne che hanno fatto la storia. Sta-volta parlo di me, della mia famiglia. Si intitolerà Ich bin

der Welt abhanden gekommen (Sono ormai perdu-to al mondo), come un famoso lieder di Mahler.

Musicalmente fratello dell’adagetto dellaquinta Sinfonia, quello usato da Visconti inMorte a Venezia». Ancora un riferimento, l’en-nesimo, all’Italia. Non le sembra che, in corri-spondenza dell’esplosione economica, la Ger-mania abbia perso un po’ della sua potenza cul-turale? Come se lo spiega? «Mi sa che esser for-ti economicamente non susciti gran simpatia.Ma forse non siamo noi a essere meno incisivi,sono gli altri ad aver meno voglia di ascoltarci».

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DOPO GLI ATTENTATI A FALCONEE BORSELLINO ESPRESSI LA MIA RABBIACON IL LUNGO SILENZIOLAVORANDO GRATISALL’ANTEPRIMA DI PALERMO LE REAZIONISPAVENTARONO TUTTI E IL FILM SPARÌ

LA MIA PROSSIMAOPERA SI CHIAMERÀ

SONO ORMAIPERDUTO

AL MONDO,COME UN FAMOSOLIEDER DI MAHLER

STAVOLTAPARLERÒ DI ME,

DELLA MIA FAMIGLIA:PER UN PO’ DI TEMPO

BASTACON LE DONNE

CHE HANNO FATTOLA STORIA

L’incontro. Combattenti

M

Margarethe

OGNI AUTORE HA UN SUO ALTER EGO E LA MIAÈ BARBARA SUKOWA. LEI DIVENTA LA PERSONACHE INTERPRETA: QUANDO FECE LA TERRORISTAENSSLIN ERA VIOLENTA CON TUTTI. SI PREPARAA FONDO E ALLA FINE NE SA ANCHE PIÙ DI ME