Adeste 11 domenica 15 marzo 2015

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Numero 11 del Settimanale di Pastorale e Informazione per la Comunità Italiana in Romania, in sinergia con Fondazione Migrantes C.E.I.

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ADESTE n°11/ ANNO 4°-15.03.2015

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IL 17 MARZO SI CELEBRA LA “GIORNATA DELL’UNITÀ NAZIONALE, DELLA

COSTITUZIONE, DELL’INNO E DELLA BANDIERA”. Una grande festa in occasione della ricorrenza del giorno di 154 anni fa in cui è stato proclamato il Regno d’Italia. Il 17 marzo 1861, approdo di un lungo e difficile percorso di unifi-

cazione nazionale e allo stesso tempo inizio della nostra Storia comune. La ri-correnza è stata istituita come festività civile, il 23 novembre del 2012 con la legge n. 222, con l’obiettivo di ricordare e promuovere i valori di cittadinanza e riaffermare e consolidare l’identità nazio-nale attraverso la memoria civica.

COME NACQUE IL REGNO D’ITALIA

Nel milleottocento l'Italia non era unita come la cono-sciamo oggi, ma divisa in tanti piccoli stati: il Regno Lombardo-Veneto, il Regno di Sardegna, lo Stato del-la Chiesa e il Regno delle Due Sicilie, i Ducati di Mo-dena, Massa e Carrara, di Lucca e di Parma, il Gran-ducato di Toscana. Tutti questi stati, fatta eccezione per il Regno di Sardegna che era governato dal Re Vittorio Emanuele I, erano sottomessi all'Austria. Questa situazione rendeva l'Italia una penisola poco sviluppata ed economicamente arretrata rispetto agli altri stati Europei. IL RISORGIMENTO E LE SOCIETÀ SEGRETE In questo clima iniziò il Risorgimento, cioè il periodo in cui gli abitanti della Penisola diedero vita alle ini-ziative per la sua riunificazione. Le persone che s'im-pegnarono per perseguire l'idea dell'Unità d'Italia si chiamavano patrioti. Ma queste idee di liberazione non potevano circolare liberamente e quindi i patrioti si riunirono in società segrete. La principale società segreta di quel periodo fu la Carboneria e i suoi com-ponenti si chiavano Carbonari. Svolgevano le loro atti-vità di nascosto per evitare che gli austriaci li arrestas-sero e imprigionassero. Di tutti i patrioti che s'impe-gnarono nel periodo risorgimentale si ricordano in par-ticolare Silvio Pellico, lo scrittore di "Le mie prigioni" il racconto del periodo in cui fu prigioniero degli au-striaci e Giuseppe Mazzini che fondò la Giovine Italia mentre era in esilio in Spagna, che auspicava un Italia indipendente e repubblicana. I MOTI RIVOLUZIONARI E LE TRE GUERRE D'INDIPENDENZA L'unificazione non fu un processo pacifico, ma la con-

seguenza dei moti rivoluzionari, cioè le battaglie con-tro lo straniero. Ma i moti non bastarono e furono ne-cessarie tre guerre d'Indipendenza per giungere all'U-nità d'Italia. La prima guerra d'indipendenza scoppiò nel 1848, il re di Sardegna, Carlo Alberto, su richiesta dei patrioti Lombardi dichiarò guerra all'Austria, inizialmente vit-torioso fu poi sconfitto e dovette lasciare il regno al figlio Vittorio Emanuele II. La seconda guerra d'Indipendenza scoppio nel 1859 ed ebbe come conseguenza la liberazione della Lombar-

IL REGNO D’ITALIA NEL 1861 ( prima

dell’annessione dello Stato Pontificio e

del Veneto)

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dia e della Sicilia. La liberazione della Sicilia avvenne con l'azione di Giuseppe Garibaldi che aveva un esercito di mille uomini, l'im-presa è ricordata come la "Spedizione dei mille". Nel 1861 venne dichiarato il regno d'Italia con capitale Torino. Ma l'Italia non era ancora del tutto liberata: mancavano il Veneto e il Lazio. Con la terza guerra d'Indipenden-za fu liberato il Veneto e ancora restava il Lazio. Nel 1871 i ber-saglieri giunsero a Roma e apren-dosi una breccia nelle Mura della città liberarono Roma. Con lo spostamento della capitale

a Roma fu così completato il processo di Unità. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora venten-ne studente e patriota genovese Goffredo Ma-meli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il così detto "Canto degli Italiani" nacque in quel clima di fervore patriottico che precedette la guerra contro l'Austria. L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia lo resero subito il canto più amato dell'unificazione: non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affidò pro-prio al Canto degli Italiani - e non alla Marcia Reale - il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsiglie-se. L'ufficializzazione del “Canto” quale inno na-zionale della Repubbli-ca Italiana, avvenne il 12 ottobre 1946.

IL POETA MAMELI Goffredo Mameli dei Mannelli nasce a Genova il 5 settembre

1827. Studente e poeta precocissi-mo, di sentimenti liberali e repubblicani, aderisce al mazzinianesimo nel 1847, anno in cui partecipa attiva-mente alle grandi manife-stazioni genovesi per le riforme e compone Il Canto degli Italiani. Da quel momento in poi dedica la propria vita di poeta-soldato alla causa italiana: nel marzo del 1848, a capo di 300 volontari partecipa alle cinque giornate di Milano, tornato a Genova, collabora con Garibaldi e, in novembre, rag-giunge Roma dove, il 9 febbraio 1849, viene proclamata la Repubblica. Sempre in prima li-nea nella difesa della città assediata dai Fran-cesi, il 3 giugno è ferito alla gamba sinistra: morirà d'infezione a soli ventidue anni. Le sue spoglie riposano nel Mausoleo Ossario del Gianicolo.

IL MUSICISTA NOVARO

Michele Novaro nasce il 23 ottobre 1818 a Genova, dove studia composizione e canto. Secondo tenore e maestro dei cori dei Teatri Regio e Carignano di Torino nonché convinto liberale, offre alla causa dell'indipen-denza il suo talento com-positivo, mu-sicando deci-ne di canti patriottici e organizzando spettacoli per la raccol-ta di fondi destinati alle imprese garibaldine. Di indole modesta, non trae alcun vantaggio dal suo inno più famoso, neanche dopo l'Uni-tà. Muore povero, il 21 ottobre 1885, dopo aver affrontato difficoltà finanziarie e problemi di salute. Per iniziativa dei suoi ex allievi, gli vie-ne eretto un monumento funebre nel cimitero di Staglieno, dove oggi riposa vicino alla tomba di Mazzini

Vittorio Emanuele II di

Savoia primo re d’Italia

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I romeni parteciparono alla italiano. nascità dello stato Lo slogan mazziniano “nessuna nazione è veramente libera se non lotta per la liberazione delle altre”, ripresa da Garibaldi, ebbe un eco anche alle foci del Danubio. Da qui parte, nel 1860, verso

l’Italia, un gruppo di ufficiali inviati da Al. I. Cuza, principe dei Principati Romeni (come si usava denominare allora lo stato moderno romeno). Questi sono i coman-danti Iuliu Dunca e Pa-vel Cernovodeanu, i luogotenenti Gh.Angelescu e IonAl-giu, gli aiutanti Antonie Dumitrescu, Teodosie Paleologu e Al. Crupen-

ski1. Il diplomatico piemontese Annibale Strambio caldeggiava gli ufficiali romeni presso Cavour come amici dell’Italia, ansiosi di prendere parte alle mano-vre militari accanto agli italiani. I romeni sfoggiavano una perizia militare acquisita a Chalons. A Torino, sono guidati dal filoromeno Vegezzi Ru-scalla e presentati alle autorità militari piemontesi. Il 13 novembre 1860 il capitano Dunca scriveva al prin-cipe Cuza: “in assenza del ministro di Guerra, ci siamo presentati al segretario generale, il quale ci ha consegnato una raccomandazione al generale Manfredo Fanti, capo dello stato maggiore di Neapole, laddove ci avvieremmo domani per giungere alla ripresa di Gaeta, circondata dalle truppe piemontesi. Da queste parti, tutti ci considerano francesi, però al rivelare di essere romeni, originari dai Principati Uniti, ci chiedono del principe Cuza e allora ci riconoscono”. A Napli, i romeni sono ricevuti in udien-za solenne dal re di Napoli, secondo quanto riferisce la lettera inviata da I. E. Florescu al generaleAlliand di Torino, il 12 novembre 1860. Essi si distinguono nelle lotte di Gaeta, Messina, soprattutto Gh. Angele-scu e Ion Algiu, i quali vengono insigniti da Vittorio Emanuele II con l’Ordine militare della Casa di Sa-voia. Viene decorato anche Pavel Cernovodeanu, con Santo Maurizio e Medaglia commemorativa della Guerra di Indipendenza e Unità d’Italia, medaglie che riceveranno anche i capitani Dunca, Holban ed il luogotenente Crupenski. Un altro romeno, il capitano di artiglieria Pavel Popp, il quale agiva nel esercito di Parma e Modena, perma-ne nel esercito italiano e dopo gli eventi del 1860, di-

verrà generale-maggiore. Tra i 1000 di Garibaldi c’era-no anche 47, e poi 71 volon-tari organizzati nella così detta Legione Magiara. Tra questi 20 erano romeni. Essi hanno preso parte alle lotte di Calatafimi, Volturno, Monreale, Palermo.

Tutti gli uomini di una nazione sono chiamati, per la leg-ge di Dio e dell’u-

manità, ad essere uguali e fratel-li” (Giuseppe Mazzini). Ed è appunto chiamandoli “fratelli” che Mameli (convinto e coerente mazziniano) rivolge agli Italiani il Canto a loro dedicato. Oggi l’Italia, lungi ormai dall’essere “calpesta e derisa”, è una realtà fuori discussione; come fuori discussione sono l’unità della Patria, la sua indipendenza, la sua democra-zia, la sua Costituzione repubblicana. Per questo, oggi, può risultare difficile comprendere fino in fondo l’emo-zione e la speranza che quel “fratelli” era in grado di su-scitare nei patrioti risorgimentali. Ma nel 1847, quando il ventenne Goffredo Mameli scrisse il Canto degli Italiani (è questo il titolo originale di Fratelli d’Italia), l’Italia come la conosciamo noi era ancora un sogno, un’utopia. La Penisola era politica-mente frammentata in una congerie di stati e staterelli, soggetti ai governi oscurantisti e illiberali imposti nel 1815 dal Congresso di Vienna. “L’Italia”, sosteneva sprezzantemente Metternich, era solo “un’espressione geografica”. Il Canto degli Italiani, invece, già con quel “fratelli” iniziale, dichiarava che l’Italia aveva il dovere morale di essere unita e che per i suoi figli era giunta l’ora di tornare ad essere popolo. Tutto l’Inno è improntato al messaggio mazziniano. Inna-zitutto, l’unità d’Italia. Puntigliosamente illustrata rievo-cando significativi momenti storici delle sue diverse aree“dall’Alpi a Sicilia”. E la stessa ampiezza dello sguardo suggerisce che il “fondersi insieme” non deve tradursi in un appiattimento che dimentichi o sopprima il grande patrimonio delle diverse realtà regionali. Diceva Mazzini, “l’istituzione repubblicana è la sola che assicuri questo avvenire”. E l’Inno è profondamente re-pubblicano: la Lega Lombarda, Ferrucci, il Balilla, i mo-delli d’azione che Mameli elenca nella quarta strofa, so-no sì esempi di lotta contro lo straniero, ma sono anche l’istituzione repubblicana che combatte il governo mo-narchico. Così come tra le glorie di Roma (ricordate con qualche concessione alla retorica, come voleva lo spirito dei tempi) viene esaltato “Scipio”, il condottiero repubbli-cano Scipione l’Africano, e non Giulio Cesare o un impe-ratore. Sotto il profilo puramente estetico è inevitabile rilevare delle pecche tanto nei versi che nella melodia dell’Inno. Ma a dispetto delle sue lacune artistiche, Fratelli d’Ita-lia riesce inequivocabilmente a coinvolgere emotivamente gli ascoltatori, a far vibrare quel sentimento di apparte-nenza a una nazione che nasce da una lunga storia co-mune e che spinge a superare le diversità e le divisioni. Ne era ben cosciente Giuseppe Verdi, che nel 1864 lo in-serì con la Marsigliese e il God Save the King nel suo Inno delle Nazioni. E ancora oggi, a più di centocin-quant’anni dalla sua nascita, con la sincerità dei suoi intenti, con il suo impeto giovanile, con la sua manifesta commozione, l’Inno di Mameli continua a toccare quella corda dentro di noi che ci fa sentire ovunque siamo – ovunque siate – fratelli d’Italia.

SIGNIFICATO DELL’INNO NAZIONALE

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R oberto Benigni, nella serata de-dicata al 150° dell’Unità d’I-

talia, si è presentato al Teatro Ariston di Sanre-mo 2011 su di un caval-lo bianco sventolando la bandiera tricolore. In 45 minuti l’attore to-scano, unendo satira, let-teratura e cultura, ha voluto ripercorrere la storia del Risorgi-mento, facendo l’esegesi dell’Inno di Mameli. Sul testo di Mameli, Benigni ha compiuto la stessa operazione che ha reso celebre la sua lettura della “Divina Commedia”: un’analisi trascinante parola per parola, per ricordare quanti ragazzi, nel Risorgimento, sono morti per la patria perché noi potessimo vivere in una terra libera da oppressioni. Come un professore, innamorato del suo lavo-ro, analizza l’inno restituendo un significato a delle parole imparate a memoria come una filastrocca. Elogia la bandiera scelta da Maz-zini, che si ispirò ai versi in cui Dante descri-veva i colori di Beatrice (la veste bianca, il verde dell’ulivo e il rosso delle fiamme) ed esulta dicendo: “Trovatemi un altro popolo che ha i colori del poeta più grande del mon-do”. Leggendo l’inno nazionale, Benigni, orgo-glioso di essere Italiano, spiega il testo a quin-dici milioni di telespettatori: “ O fratelli d’Italia, l’Italia si è svegliata e si è messa sulla testa l’elmo di Scipione l’Afri-cano. Dov’è la vittoria? L’Italia deve porgere il capo alla vittoria perché Dio la obbliga ad essere sempre vittoriosa come l’antica Roma. Noi Italiani siamo da secoli umiliati e domi-nati da altri popoli, perché non siamo un po-polo, ma siamo divisi tra di noi; dobbiamo raccoglierci sotto un’unica bandiera, in una sola speranza; è arrivata l’ora di essere tutti uniti. Uniamoci per combattere, cerchiamo di esse-re pronti a morire; lo vuole la nostra nazio-ne.

Dal nord al sud, tutti so-no pronti a combattere contro l’invasore; ognuno ha il coraggio e il valore per essere a capo della ri-volta, anche i bambini; il suono di ogni campana ci chiama ad insorgere, come la campana dei Vespri sici-liani. Alla fine le spade dei soldati mercenari che ci opprimono saranno piegate come can-

ne e l’Austria sarà sconfitta. L’Austria bevve il sangue italiano e il sangue polacco con i mercenari ma questo sangue le bruciò il cuore (cioè la sconfisse). Uniamoci per la battaglia. Siamo pronti a morire per l’Ita-lia. Sì ”. Al termine Benigni si è fatto più serio e ha ammonito: “Un Paese che non proclama con forza i propri valori è pronto per l’oppressio-ne”, poi con grande emozione ha intonato l’Inno di Mameli, come lo avrebbe interpreta-to un ragazzo di vent’anni che andava a mo-rire per liberare la sua la patria. In quel mo-mento, tutti gli italiani avreb-bero dovuto alzarsi in piedi, non solo in teatro, ma, come ha ricor-dato Benigni, in passato a violentare la nostra ter-ra erano gli stranieri; oggi siamo noi stessi. Ci voleva Roberto Benigni per ricordarci che tutti, dal Nord al Sud, apparteniamo ad una sola terra, ed è ora di finirla di parlare di divi-sioni. Non roviniamo il lavoro di Garibaldi, di Cavour, di Vittorio Emanuele II e di Maz-zini. Restiamo uniti nel bene e nel ma-le. E come Benigni ha ripetuto più volte: “VIVA L’ITALIA”

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Cinquant’anni fa cambiava la messa e con lei la Chiesa

MICHELE BRAMBILLA (VATICAN INSIDER 8 MARZO 2015)

Cinquant’anni fa cam-biava il mondo, e cam-biava anche la Chiesa. Il 7 marzo 1965 papa Pao-lo VI, nella parrocchia di Ognissanti a Roma, sull’Appia Nuova, tenuta dalla congregazione di S.Luigi Orione, celebra-va la prima messa in lin-gua italiana. Finiva così, dopo mezzo millennio, l’epoca della messa tri-dentina. Era l’ultimo atto di un percorso avviato da tempo, ancor prima del Concilio Vaticano II, che si era aperto l’11 ottobre 1962 e che si sarebbe chiuso il 7 dicembre di quel 1965. Era, come dicevamo, un tempo di grandi cambiamen-ti. Nel mondo si respirava ancora la grande speranza portata da personaggi come Kennedy e Giovanni XXIII, dal progresso della scienza e da un benessere che finalmente cominciava ad arrivare anche al popo-lo. COM’ERAVAMO L’Italia pare star benone, nel 1965. Un sondaggio del-la Doxa assicura che il 52% degli italiani è «abbastanza soddisfatto» del proprio tenore di vita e il Financial Times assegna alla lira «l’Oscar della mo-neta». Un operaio guadagna 86.000 lire mese ma un insegnante di scuola media 110.000; un quoti-diano costa 50 lire come il biglietto del tram; un chilo di pane 170 lire e uno di pasta 250. La Fiat 500 F prende il posto della serie D e ha una grossa novità: le portiere sono incernierate nella parte anteriore, e quindi non si aprono più controvento. Andiamo forte anche nella cultura e nello sport: Vittorio De Sica vince l’Oscar con «Ieri, oggi, doma-ni»; escono, e vanno subito a ruba, gli Oscar Mondadori, 350 lire l’uno; l’Inter vince per il se-condo anno consecutivo sia il titolo europeo che quello mon-diale e Felice Gimondi manda in bestia i francesi vincendo il Tour. In questo mondo che cambia la

Chiesa si accorge che il suo tradizionale linguaggio rischia di non essere più adatto ai tempi. Nella messa tridentina, detta anche di san Pio V, tutta la celebra-zione è in latino, anche la lettura del Vangelo; il sa-cerdote sta sempre girato verso il tabernacolo; per

lunghi tratti è lui a recitare, mentalmente o a bassissima voce, il messale, e quindi tra i fedeli regna il silenzio; anche il Padre Nostro, l’unica preghiera che Gesù ha insegnato e rac-comandato di recitare, è pro-nunciato solo dal prete; la co-munione si riceve in ginocchio. È una liturgia che certamente trasmette il senso del sacro e del mistero: ma i vecchi parroci raccontano che la gente di fat-to non seguiva: «Le donne fini-vano per recitare il rosario e in chiesa si sentivano solo loro».

L’altare condiviso In quello stesso 1965 l’allora ventenne Luigi Ciotti, non ancora sacerdote, fondava il Gruppo Abele. «La messa in italiano», ricorda, «è stata un immenso cambiamento: finalmente si entrava come comunità dentro la parola di Dio. Prima c’erano due chiese, quella dei preti e quella dei fedeli: con la riforma litur-gica si è capito che l’altare è una tavola con tanti commensali». È convinto che con il nuovo rito sia cambiata non solo la messa, ma anche la vita di tutti i giorni: «Tanti giovani hanno potuto conoscere il Van-gelo e hanno provato il desiderio di viverlo nella cari-tà. Insomma si è passati dalla religione alla fede». Se don Ciotti passa per un «prete progressista», lo stesso non vien detto di padre Livio Fanzaga, fonda-tore e direttore di Radio Maria. Eppure sulla messa in italiano la pensano allo stesso modo: «La riforma», dice padre Livio, «è stata una benedizione perché chi partecipa alla messa viene istruito nella fede e si ren-de conto dei misteri che vengono celebrati. La messa in italiano è un catechismo insuperabile». Eppure oggi gli italiani, in materia di cose religiose, sono molto più ignoranti di allora... «Se l’ignoranza religiosa cresce dipende dal fatto che cala la presen-za alla messa. Noi trasmettiamo ogni mattina una messa ed è di gran lunga il programma più seguito: oltre mezzo milione di persone». E pare sottinteso

che voglia dire: quella con il vec-chio rito non la ascolterebbe nes-suno. «È un grande avvenimento, che si dovrà ricordare come principio di rigogliosa vita spirituale», disse Paolo VI nell’omelia di quella pri-ma messa in italiano. C’erano grandi speranze forse deluse: il futuro non è stato rigoglioso. Ma non è detto che sia colpa di quella svolta.

Parrocchia di Ognissanti (Roma) :8 Marzo 1965-Papa

Paolo VI celebra la prima messa in Italiano // 8 Marzo

2015- Papa Francesco fa lo stesso, 50 anni dopo

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“Uomo di Dio che incontrarlo fa bene alla mia anima e alla mia vita spirituale”, disse una volta Bergoglio parlando di Josè Maria di Paola, famiglia di origine italiana, noto co-me «padre Pepe», uno dei preti impegnati nelle villas miserias di Buenos Aires.

Dice Padre Pepe: «Bergoglio l’ho conosciuto nel 1993 quando era ancora uno dei vescovi ausiliari di Buenos Aires, ma l’amicizia con lui non è nata dalle iniziative, dai pro-grammi organizzativi e pastorali della diocesi. La sua vicinanza è nata ed è divenuta importante in un momento particolare della mia vita personale» racconta el cura. Una circostanza che illumina ed è eloquente della lungimi-rante delicatezza umana e spirituale con cui l’attuale vescovo di Roma sa custodire e aiutare le anime e trattare con i sacerdoti. «Ero prete già da sette anni – rac-conta don Pepe – e mi trovai a vivere un periodo di crisi riguardo alla mia vocazione sacerdotale e cominciai a pensare che la mia strada fosse un’al-tra, quella di formare una famiglia… parlai allora con franchezza ai miei superiori di questo». Pur nella con-fusione interiore, don Pepe voleva rimanere leale e trasparente, senza conservare la forma e percorrere le vie dell’ambiguità e della doppiezza e chiese così di essere dispensato dall’esercizio del sacerdozio. «Andai a lavorare in una fabbrica di scarpe», racconta padre Pepe e fu durante tutto quel periodo, un anno, che nacque l’amicizia con Bergoglio. «Quando gli dissi che attraversavo questa crisi lui non forzò la mano. Mi disse solo: "Quando vuoi vieni a trovarmi". M’ispirava molta confidenza, ini-ziai così ad andare da lui una volta al mese. Ricordo che uscivo dal lavoro e da dove mi trovavo impiegavo almeno due, tre ore per arrivare in serata alla Catte-drale. Lui mi aspettava sempre, sapevo che mi aspet-tava. Veniva lui ad aprirmi la porta. E mi accompagnò

in quel momento di crisi come un pa-dre, con grande fi-nezza d’animo. Non mi diceva cosa dovevo o non dove-vo fare. Ascoltava, s’interessava, dice-va con chiarezza

quello che pensava. Ma sempre nella libertà. Mi ac-compagnava in un cammino nel quale, in piena liber-tà, ho potuto riconoscere che la mia vocazione era davvero quella di essere sacerdote… Proprio come il padre della parabola del figliol prodigo», dice. E come nella parabola anche Pepe tornò. Ricorda an-cora con vivezza il giorno in cui disse a Bergoglio: «Padre, eccomi… Mi piacerebbe celebrare la Messa».

«Lui mi abbracciò e fu molto felice. Mi disse: "Vuoi che la celebria-mo il giorno della Fie-sta dell’Amigo? Il 20 luglio? Allora faccia-

mo a Sant’Ignazio. Io vado a dire la Messa lì perché una signora mi ha chiesto di confessare alcune sue amiche". Io non sapevo che questa signora era una ex prostituta e che le sue amiche esercitavano ancora il mestiere! – racconta il padre – ma è stata questa la

Messa con la quale ho ripreso il cammino sacerdotale unito al mio vescovo e per tutt’e due fu molto significativo». Il padre parla oggi di quei momenti di travaglio in-teriore come di una crisi di crescita. «Anche prima di quel periodo – dice – facevo cose simili a quelle che faccio adesso: lavoravo con i giova-ni, con i bambini, con i pove-ri. Ma ora le faccio con una forza, una convinzione e una pace interiore che prima non avevo. Da quel momento non ho avuto più esitazioni sul

fatto che la mia vocazione è quella di dare tutto a Cri-sto e alla Chiesa attraverso il Sacerdozio». Anche per questo padre Pepe è diventato una specie di testimone credibile della vera natura della vocazione sacerdotale. «Dopo quel periodo – racconta – Bergoglio cominciò a inviarmi diversi sacerdoti e seminaristi. Mi diceva: "Senti, per favore, vai tu a par-lare…". Mi chiedeva di aiutare altri sacerdoti, confi-dava che l’esperienza esistenziale che avevo passato potesse guidare altri». Padre Pepe ha accolto così sot-to la sua guida molti giovani seminaristi e sacerdoti che si sono formati nella nella parrocchia di Caacupè della villa 21. Anche la missione di cura villero che il padre Pepe volle improntare sul modello della Valdocco di don Bosco è stata un’intuizione di Bergoglio, una missio-ne fiorita dentro questa relazione di sintonia, di pros-simità con il vescovo. Bergoglio affidò così a padre Pepe con grande libertà, senza imporre linee, anche quella difficile missione e l’incarico di potenziare il lavoro pastorale facendosi carico delle nuove emer-genze delle Villas. A partire da quella di salvare i ra-gazzi dai «mercanti delle tenebre» che inondano i quar-tieri marginali delle metropoli argentine

(Avvenire 28 Agosto 2013)

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O gni essere umano è unico e irripetibile. E per uno come Sammy Basso questa è un'evidenza che lo accompagna da 19 anni. Ciò che per

una persona comune potrebbe essere una sfortuna o un impedimento a vivere, per lui è una marcia in più. “L'unicità” di Sammy, i suoi genitori, l'hanno scoperta quando aveva 2 anni. I medici gli diagnosticarono la Progeria una malattia estremamente rara che provo-ca un precoce invecchiamento della perso-na con conseguenti complicazioni tipiche dell'età avanzata tra cui ovviamente una aspettativa di vita breve. LA FEDE È LA MARCIA IN PIÙ La sua forza straordinaria è alimentata dai suoi genitori, che non gli hanno mai fatto mancare il loro amore, e soprattutto dalla fede in Dio, come ha raccontato prima dell'apertura della Giovaninfesta2013, do-ve Sammy ha raccontato la sua esperienza: “Credo che la fede sia molto importante, in particolare nel mio caso, ma che per chiunque possa essere una marcia in più, soprattutto per quanto riguarda la speran-za che può nascere da essa. Sapere che c'è Qualcuno che ti osserva e ti protegge ti da forza e speranza.” LA PAURA E LE PRIME CURE All'inizio c'era tanta paura perché, 20 anni fa, i medici non conoscevano alcuna solu-zione alla malattia. Ma mamma Laura e papà Amerigo non si persero d'animo e cominciarono a ricercare su Internet una possibile terapia e soprattutto qualcuno con cui condividere questa esperienza. Do-po numerose ricerche iniziano i primi spiragli di luce: i viaggi in America, prima alla Sunshine Foundation che ogni anno organizza un incontro mondiale per fami-glie con bambini affetti da Progeria poi l'adesione al programma “Studi Clinici sulla Progeria” con i pri-mo clinical trialBoston dedicati a 28 bambini prove-nienti da tutto il mondo tra cui Sammy. SAMMY È UN DONO

Dal 2003 , quando è stato scoperto il gene che provo-ca la malattia “si sono fatti passi da gigante con la ri-cerca” raccontano i genitori di Sammy

“alcune cure sperimentali riescono a rallentare la malattia, inoltre potrebbero essere usate anche con gli anziani, visto che le problematiche sono le stesse. Per questo abbiamo preso l'impegno e ab-biamo creato nel 2005 l'A.I.Pro.Sa.B., (Associazione Italiana Progeria Sammy Basso) per

raccogliere fondi e velocizzare la ricerca. Non si può solo aspet-tare, bisogna prender-si l'onere di fare.” Ol-

tre ai viaggi e alla ricerca delle cure più adatte, i geni-tori hanno compiuto un percorso umano fatto di fati-che e di speranza che li porta a dire con certezza “Per noi Sammy è un dono.” LA TELEFONATA DI PAPA FRANCESCO Tra le numerose telefonate che il papa ha compiuto c'è anche quella a Sammy. Una telefonata breve ma profonda “Mi ha chiesto sto, come va. E' stato molto

intenso" racconta il ragazzo aVi-cenzaToday. Sammy aveva invia-to una lettera a Bergoglio poco dopo la sua elezione a pontefice: "Caro Papa Francesco, sono Sam-my, un ragazzo di 17 anni e ven-go dalla provincia di Vicenza. Ti ammiro molto per aver accettato di guidare la Chiesa in un mo-mento così critico della storia - è l'incipit - Essere il primo a dare l'esempio per tutto il mondo non

è un compito facile, anzi, ep-pure hai già catturato i cuori della gente - è ancora un bra-no del testo indirizzato al Pa-pa -. A me ha colpito la sem-plicità che usi per fare qualsia-si cosa, una semplicità che è l'unica a poter fare passare un messaggio così forte! E' per questo che ti do del tu!”

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PER NOI SAMMY E’

UN DONO

(i genitori di

Sammy)

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I n questo brano Gio-vanni ci consegna il nucleo incandescente del suo Vangelo: Dio

ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio. È il ver-se�o centrale del quarto Vangelo, il verse�o dello stupore che rinasce ogni

volta, ad ogni ascolto. Il versetto dal quale scaturisce la storia di Dio con noi. Tra Dio e il mondo, due realtà che tu�o dice lontanissime e divergen", queste parole traccia-no il punto di convergenza, il ponte su cui si incontrano e

si abbracciano finito ed infinito: l'amore, divino nell'uomo, umano in Dio. Dio ha amato: un verbo al passato, per indicare un'azione che è da sempre, che con"nua nel presente, e il mondo ne è intriso: «immersi in un mare d'amore, non ce ne rendiamo con-to» (G. Vannucci). Noi non siamo cris"ani per-ché amiamo Dio. Siamo cris"ani perché credia-

mo che Dio ci ama. Tanto da dare suo Figlio: Dio ha consi-derato ogni nostra persona, questo niente cui ha donato un cuore, più importante di se stesso. Ha amato me quan-to ha amato Gesù. E questo sarà per sempre: io amato come Cristo. E non solo l'uomo, è il mondo intero che è amato, dice Gesù, la terra è amata, e gli animali e le piante e la creazione tu�a. E se Egli ha amato il mondo, anch'io devo amare questa terra, i suoi spazi, i suoi figli, il suo ver-de, i suoi fiori, la sua bellezza. Terra amata. Dio ha tanto amato, e noi come lui: «abbiamo bisogno di tanto amore per vivere bene» ( J. Maritain). Quando amo in me si raddoppia la vita, aumenta la forza, sono felice. O-gni mio gesto di cura, di tenerezza, di amicizia porta in me la forza di Dio, spalanca una finestra sull'infinito. «È l'a-more che fa esistere» (M. Blondel). A queste parole la no�e di Nicodemo si illumina. Lui, il fa-riseo pauroso, troverà il coraggio, prima impensabile, di reclamare da Pilato il corpo del crocifisso. Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato, perché chi crede abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi contro di noi, neppu-re per assolverci nell'ul"mo giorno. La vita degli ama" non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di ab-

braccio. Cristo, venuto come intenzione di bene, sta den-tro la vita come datore di vita e ci chiama ad escludere dall'immagine che abbiamo di Lui, a escludere per sempre, qualsiasi intenzione puni"va, qualsiasi paura. L'amore non fa mai paura, e non conosce altra punizione che punire se stesso. Dio ha tanto amato, e noi come Lui: ci impegniamo non per salvare il mondo, l'ha già salvato Lui, ma per amarlo; ci impegniamo non per conver"re le persone, ma per a-marle. Se non per sempre, almeno per oggi; se non tanto, almeno un po'. E fare così perché così fa Dio.

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ADESTE COMUNITA’ ITALIANA IN ROMANIA

19 Marzo festa del padre di Gesù, sposo di Maria, Giuseppe il giusto. Sia lui ad insegnarci a vivere nella totale fiducia nel Padre, anche quando la no-stra vita viene sconvolta dall'intervento di Dio! Povero Giuseppe, quante gliene sono successe nella vita! Dio gli ru-ba la ragazza, poi la fatica che ha dovuto fare, lui falegname abituato alla pialla e ai chiodi, per capire un bambino così straordinariamente ordinario ed una moglie (amatissima) tutta avvolta dal Mistero. Tra Maria e Giuseppe c'è amore, Matteo solo pudicamente, come Luca, ci dice del loro rapporto. Sono "promessi sposi", cioè più che fidanzati nella cultura di Israele. Per un anno potevano vivere coniugalmente senza però coabitare. L'unico che sapeva che quel figlio non era suo, era proprio lui, Giuseppe. Osiamo immaginarci la notte insonne di Giuseppe che viene a sapere della gravi-danza di Maria? Cos'avrà pensato di lei? Quanta sof-ferenza e dolore nel suo cuore! La legge chiedeva che Maria fosse denunciata e, di conseguenza, lapidata pubblicamente. Giuseppe la ama, vuole salvarla, trova un escamotage: la ripudierà dicendo che non la vuole più in moglie, salvandole la vita. Matteo - da buon ebreo - descrive questo atteggiamento come "giusto". Giuseppe è "giusto", cioè irreprensibile, autentico, onesto, di alto profilo; non giudica secondo le appa-renze, pur ferito a morte, sa superare il suo orgoglio e usa misericordia verso la donna che ama. Grande, im-menso Giuseppe. Quante cose ci dici, oggi, quanti suggerimenti ci dai tu, uomo abituato alle poche paro-le e a stare defilato e che pure sei stato scelto come tutore e custode di Dio.

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ADESTE n°11/ ANNO 4°-15.03.2015

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I

INTRODUZIONE C- Nel nome del Padre, e del Fi-glio e dello Spirito Santo

C- La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.

ATTO PENITENZIALE C- Nel giorno in cui celebriamo la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, anche noi siamo chia-mati a morire al peccato per risor-gere alla vita nuova. Riconoscia-moci bisognosi della misericordia del Padre.

Breve pausa di riflessione Confesso a Dio onnipoten-te e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia col-pa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sem-pre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro . C- Dio Onnipotente abbia mi-sericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eter-na. T- Amen Signore, pietà. Signore, pietà. Cristo, pietà. Cristo, pietà. Signore, pietà. Signore, pietà.

COLLETTA C- Dio buono e fedele, che mai ti stanchi di richiamare gli erranti a vera conversione e nel tuo Fi-glio innalzato sulla croce ci guari-sci dai morsi del maligno, donaci la ricchezza della tua grazia, per-ché rinnovati nello spirito possia-mo corrispondere al tuo eterno e sconfinato amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. T- Amen

LITURGIA DELLA PAROLA (

P89:; L<==>8; Dal Secondo Libro delle Cronache In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e conta-minarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme. Il

Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, per-ché aveva compassione del suo po-polo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e scher-nirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo rag-giunse il culmine, senza più rimedio. Quindi i suoi nemici incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e di-strussero tutti i suoi oggetti preziosi. Il re dei Caldèi deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che diven-nero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, at-tuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi saba-ti, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni». Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adem-pisse la parola del Signore pronun-ciata per bocca di Geremìa, il Signo-re suscitò lo spirito di Ciro, re di Per-sia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incarica-to di costruirgli un tempio a Gerusa-lemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Si-gnore, suo Dio, sia con lui e salga!”». Parola di Dio. T- Rendiamo grazie a Dio

SALMO RESPONSORIALE R. Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia. Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricor-dandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre ce-tre. R/. Perché là ci chiedevano pa-role di canto coloro che ci aveva-no deportato, allegre canzoni, i nostri oppressori: «Cantateci canti di Sion!». R/. Come cantare i canti del Si-gnore in terra straniera? Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra.R/. Mi si attacchi la lingua al pa-lato se lascio cadere il tuo ricor-do, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia. R/.

S<?@AB; L<==>8; Dalla lettera di S.Paolo agli Efesini

Fratelli, Dio, ricco di misericor-dia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che

eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia me-diante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti sie-te salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse cam-minassimo. Parola di Dio. T- Rendiamo grazie a Dio.

CANTO AL VANGELO Lode a te o Cristo, re di eterna gloria. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito; chiunque crede in lui ha la vita eterna. Lode a te o Cristo, re di eterna gloria. C- Il Signore sia con voi T- E con il tuo Spirito

In quel tempo, Gesù disse a Nico-dèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». Parola del Signore.

OMELIA (seduti) CREDO in un solo Dio, Padre on-

Letture: 2Cr 36,14-16.19-23

Sal 136 Ef 2,4-10 Gv 3,14-21

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ADESTE n°11/ ANNO 4°-15.03.2015

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nipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Si-gnore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre pri-ma di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sot-to Ponzio Pilato, morì e fu sepol-to. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signo-re e dà la vita, e procede dal Pa-dre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cat-tolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

PREGHIERA DEI FEDELI C- Ci rivolgiamo a Dio, ricco di misericordia, che ci ha salvati in Cristo suo Figlio, dimostrandoci il suo grande amore nella morte in croce. Preghiamo insieme e diciamo: Donaci, Signore, la tua salvez-za. 1. Per la Chiesa di Dio: an-nunci sempre che unica salvezza del mondo è la croce di Cristo, preghiamo. 2. Per i preti, ministri della misericordia: perché il sacramen-to della riconciliazione sia per tut-ti i penitenti un'autentica espe-rienza di incontro con il Signore che salva, preghiamo. 3. Per i credenti di ogni reli-gione: cerchino con sincerità la luce del bene e della verità, pre-ghiamo. 4. Per i governanti del mon-do: perché nelle scelte economi-che tengano presenti i diritti delle classi sociali più deboli e più po-vere, preghiamo. 5. Per gli esiliati, i profughi, gli stranieri: perché la lontananza dalla loro terra sia compensata dalla solidarietà e dall'accoglien-za di quanti incontrano nei luoghi dove vivono, preghiamo. C- O Padre, guarda con amore

i tuoi figli che attendono da te mi-sericordia. Illumina il loro cuore, perché cerchino te sopra ogni co-sa e trovino in te la misericordia del perdono. Per Cristo nostro Signore. T- Amen

C- Pregate, fratelli e sorelle, per-ché il mio e vostro sacrificio sia gra-dito a Dio, Padre onnipotente. T- Il Signore riceva dalle tue ma-ni questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa. (in piedi)

C- Ti offriamo con gioia, Signore, questi doni per il sacrificio: aiutaci a celebrarlo con fede sincera e a of-frirlo degnamente per la salvezza del mondo. Per Cristo nostro Signo-re. T- Amen

PREGHIERA EUCARISTICA C- Il Signore sia con voi. T- E con il tuo spirito. C- In alto i nostri cuori. T- Sono rivolti al Signore. C-Rendiamo grazie al Signore nostro Dio. T- È’ cosa buona e giusta. C- È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Pa-dre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo Signore nostro. Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché, assidui nel-la preghiera e nella carità opero-sa, partecipino ai misteri della redenzione e raggiungano la pie-nezza della vita nuova in Cristo tuo Figlio. E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli, ai troni e alle Dominazioni e alla moltitudine dei Cori celesti, proclamiamo con vo-ce incessante l'inno della tua glo-ria: T- Santo, Santo, Santo il Si-gnore Dio dell'universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell'alto dei cie-li. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell'alto dei cieli. DOPO LA CONSACRAZIONE C- Mistero della fede T- Annunciamo la tua morte, Si-gnore, proclamiamo la tua risurre-zione nell’attesa della tua venuta. DOPO LA PREGHIERA EUCARISTICA C - Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio, Padre onnipotente, nell’uni-tà dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli.

T- Amen T- P A D R E NO S T R O Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimet-tiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen. C- Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l'aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo. T- Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli

R ITO DELLA PACE C- Signore Gesu’ che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chie-sa, e donale unità e pace secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli T- Amen C - La pace del Signore sia sempre con voi. T- E con il tuo spirito. C - Come figli del Dio della pace, scambiatevi un gesto di comunione fraterna. T - Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi.(2 VOLTE) Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace. C - Beati gli invitati alla cena del Si-gnore Ecco l’Agnello di Dio che to-glie i peccati del mondo. T - O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato.

DOPO LA COMUNIONE C- O Dio, che illumini ogni uo-mo che viene in questo mondo, fa' risplendere su di noi la luce del tuo volto, perché i nostri pensieri siano sempre conformi alla tua sapienza e possiamo amarti con cuore sincero. Per Cristo nostro Signore. T- Amen. C- Il Signore sia con voi. T- E con il tuo spirito. C- Vi benedica Dio onnipotente, Padre,Figlio e Spirito Santo. T- Amen. C- Nel nome del Signore: andate in pace. T- Rendiamo grazie a Dio

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ADESTE n°11/ ANNO 4°-15.03.2015

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B+,-./01: Preasfantul Mantuitor (Biserica italiana), Domenica ore 11:15; Adresa: b-dul. Nicolae Balce-scu, nr. 28, sector 1, Bucureşti tel./fax: 021-314.18.57, don Roberto Poli-meni, Tel:0770953530

mail: [email protected]; [email protected]; Tel 0040 756066967. Trasmessa in diretta su www.telestartv.ro Sabato, prefestiva alle ore 18,00 a: Centrul "Don Orione", Sos. Eroilor 123-124 Voluntari.

*°* I-0=: Cattedrale "vecchia" Iaşi - Adormirea Maicii Domnului Bd. Stefan cel Mare, 26, Iasi: I-II-III Domenica del mese ore 11,00-IV Domenica ore 9,30, Don Alessandro Lembo Tel 0749469169 Mail: [email protected]

Trasmessa in diretta su: http://www.ercis.ro/video/iasi.asp

*°* CB+C: Chiesa romano-cattolica dei Pia-risti. Strada Universitatii nr. 5, conosciu-ta anche come „Biserica Universitatii” din Cluj-Napoca. Don Veres Stelian, tel 0745 386527 Mail: [email protected] Domenica alle ore 12,00

*°* ABE- I+B=-: Domenica ore 11:00 nella Chie-sa di Sant'Antonio-Piata Maniu Iuliu nr. 15. Don Horvath Istvan , tel 0745 020262

*°* T=F=0G-.-: Chiesa Sfanta Fecioara Maria Regi-na Timisoara II (Fabric). Str Stefan Cel Mare 19. Domenica ore 18:00. Don Janos Kapor Tel 0788 811266 Mail:[email protected]

*°*

Nacque a Pontecurone nella diocesi di Tor-tona, il 23 giugno 1872. A 13 anni entrò fra i Frati Minori di Voghera. Nel 1886 entrò

nell’ oratorio di Torino diretto da san Giovanni Bosco. Nel 1889 entrò nel seminario di Tortona. Proseguì gli studi teologici, alloggiando in una stan-zetta sopra il duomo. Qui ebbe l ’ opportunità di avvicinare i ragazzi a cui impartiva lezioni di catechismo, ma la sua angusta stanzetta non bastava, per cui il vescovo gli concesse l’ uso del giardino del vescovado. Il 3 luglio 1892, il giovane chierico Luigi Orione, inaugurò il primo oratorio intitolato a san Luigi. Nel 1893 aprì il collegio di san Bernardino. Nel 1895, venne ordinato sacerdote. Molteplici furono le attività cui si dedicò. Fondò la Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Missionarie della Carità; gli Eremiti della Divina Provvidenza e le Suore Sacramentine. Mandò i suoi sacerdoti e suore nell America Lati-na e in Palestina sin dal 1914. Morì a Sanremo nel 1940. Proclamato Santo da Giovanni Paolo II nel 2004. Lo spirito semplice di San Luigi Orione: “Quando voi andate in una famiglia e trovate la buona armonia e vedete che c’è l’accordo degli spiriti, voi vi ci troverete bene. Diceva mia madre: “Meglio una fetta di polenta senza saracca mangiata in santa pace, che i capponi con il sangue al naso.” (San Luigi Orione)

I SANTI DELLA

SETTIMANA

DOM.15 S. luisa de Marillac

LUN. 16 S. Giuliano

MART.17 S. Patrizio

MERC.18 S. Cirillo di Gerusalemme

GIOV.19 S. Giuseppe

VEN. 20 S. Giovanni Nepomuceno

SAB. 21 S. Nicola di Flue