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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 8 GENNAIO 2012 NUMERO 358 CULT La copertina FERRARIS E OTTANI CAVINA Da Picasso al web gli artisti “copioni” Contano più le idee o i diritti d’autore? La recensione LEONETTA BENTIVOGLIO L’altra America raccontata dalle spose giapponesi All’interno Teatro RODOLFO DI GIAMMARCO I pupi siciliani di Cuticchio portano in scena il Risorgimento Il libro ALESSANDRO BARICCO Una certa idea di mondo: Fantozzi, il genio surrealista Chris Martin, la notte italiana di un Coldplay Spettacoli GIUSEPPE VIDETTI Gioie e speranze nei murales delle sale d’aspetto Le storie CONCITA DE GREGORIO BERLINO A gitatore, rivoluzionario, profeta inflessibile della lot- ta di classe. Così è rimasto nella memoria del mondo. Invece no: fu soprattutto teorico e scienziato, polito- logo e pensatore critico sempre curioso, attentissi- mo persino alle scienze naturali e alle nuove tecnologie. Credeva nella democrazia e nella libertà di parola molto più di quanto non si pensi, le riteneva irrinunciabili. E la crisi odierna del capitalismo at- tuale lui l’aveva a suo modo prevista, molto più di come ce lo tra- mandarono le dittature totalitarie realsocialiste. Riemerge dal pas- sato come un moderno newlabourista, un progressista tedesco o un liberal americano dai suoi scritti di migliaia di pagine ingiallite ma spolverate con cura in un bel palazzo neoclassico qui a Berlino, al nu- mero 22/23 della Jaegerstrasse. (segue nelle pagine successive) ANDREA TARQUINI L’ enorme quantità e la varietà delle merci disponi- bili sul mercato non dipendono soltanto dalla quantità e dalla varietà dei prodotti, ma sono in parte determinate dall’entità della parte di pro- dotti prodotti come merci, che dovranno dunque essere immessi nel mercato per la vendita in qualità di merci. La grandezza di que- sta parte delle merci dipenderà, a sua volta, dal grado di sviluppo del modo di produzione capitalistico che produce i propri prodotti so- lo come merci e dal grado in cui tale modo di produzione domina in tutte le sfere della produzione. Deriva da qui un grande squilibrio nello scambio tra paesi capitalistici sviluppati, come l’Inghilterra, per esempio, e paesi come l’India o la Cina. Questo squilibrio è una delle cause delle crisi. (segue nelle pagine successive) KARL MARX Marx 2020 Migliaia di pagine ancora da catalogare Centinaia di volumi ancora da pubblicare Analisi e profezie ancora da studiare Nell’anno della crisi, viaggio (con sorpresa) negli archivi del padre del comunismo DISEGNO DI TULLIO PERICOLI L’intervista LUCA RAFFAELLI I taccuini di Igort nella Russia di oggi “Segreti e crimini nei miei disegni” Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 8GENNAIO 2012

NUMERO 358

CULT

La copertina

FERRARIS E OTTANI CAVINA

Da Picasso al webgli artisti “copioni”Contano più le ideeo i diritti d’autore?

La recensione

LEONETTA BENTIVOGLIO

L’altra Americaraccontatadalle sposegiapponesi

All’interno

Teatro

RODOLFO DI GIAMMARCO

I pupi sicilianidi Cuticchioportano in scenail Risorgimento

Il libro

ALESSANDRO BARICCO

Una certa ideadi mondo:Fantozzi, il geniosurrealista

Chris Martin,la notte italianadi un Coldplay

Spettacoli

GIUSEPPE VIDETTI

Gioie e speranzenei muralesdelle sale d’aspetto

Le storie

CONCITA DE GREGORIO

BERLINO

Agitatore, rivoluzionario, profeta inflessibile della lot-ta di classe. Così è rimasto nella memoria del mondo.Invece no: fu soprattutto teorico e scienziato, polito-logo e pensatore critico sempre curioso, attentissi-

mo persino alle scienze naturali e alle nuove tecnologie. Credevanella democrazia e nella libertà di parola molto più di quanto non sipensi, le riteneva irrinunciabili. E la crisi odierna del capitalismo at-tuale lui l’aveva a suo modo prevista, molto più di come ce lo tra-mandarono le dittature totalitarie realsocialiste. Riemerge dal pas-sato come un moderno newlabourista, un progressista tedesco o unliberal americano dai suoi scritti di migliaia di pagine ingiallite maspolverate con cura in un bel palazzo neoclassico qui a Berlino, al nu-mero 22/23 della Jaegerstrasse.

(segue nelle pagine successive)

ANDREA TARQUINI

L’enorme quantità e la varietà delle merci disponi-bili sul mercato non dipendono soltanto dallaquantità e dalla varietà dei prodotti, ma sono inparte determinate dall’entità della parte di pro-

dotti prodotti come merci, che dovranno dunque essere immessinel mercato per la vendita in qualità di merci. La grandezza di que-sta parte delle merci dipenderà, a sua volta, dal grado di sviluppo delmodo di produzione capitalistico che produce i propri prodotti so-lo come merci e dal grado in cui tale modo di produzione domina intutte le sfere della produzione. Deriva da qui un grande squilibrionello scambio tra paesi capitalistici sviluppati, come l’Inghilterra,per esempio, e paesi come l’India o la Cina. Questo squilibrio è unadelle cause delle crisi.

(segue nelle pagine successive)

KARL MARX

Marx2020

Migliaia di pagineancora da catalogareCentinaia di volumiancora da pubblicareAnalisi e profezieancora da studiareNell’annodella crisi,viaggio(con sorpresa)negli archividel padredel comunismo

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L’intervista

LUCA RAFFAELLI

I taccuini di Igortnella Russia di oggi“Segreti e crimininei miei disegni”

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 8 GENNAIO 2012

Filosofo più che agitatore, scienziato più che attivista,amante della democraziaEcco chi era davvero il padredel “Manifesto del Partitocomunista”. Parola di chista archiviandola sua immensa operaancora inedita:114 volumi, l’ultimodei quali vedràla luce nel 2020

In tempo, forse, per capirein che mondo vivremo,come dimostra un branomai letto del “Capitale”che sembra scritto oggi

La copertinaRivoluzione

(segue dalla copertina)

Qui nella splendida Mitte aun passo da Gendarmen-markt, la piazza delle ceri-monie prussiane e del Kai-ser, forse la più bella dellacapitale. Eccoci al quarto

piano della Berlin-BrandenburgischeAkademie der Wissenschaften, l’Acca-demia delle scienze che rivede la suaopera e un volume dopo l’altro ne pre-para la pubblicazione completa: 114 to-mi, di qui al 2020 e chi sa come allorasarà il mondo. «Certo lui lo aveva stu-diato e previsto molto meglio di come cifu detto dai poteri che lo usarono postmortem», spiega il dottor Gerald Hub-mann, responsabile a fianco del profes-sor Manfred Neuhaus del grande lavo-ro. Ma insomma, di chi stiamo parlan-do? Di Karl Marx, proprio lui. Qui i suoiscritti, volumi, appunti, epistolari, ven-gono studiati, riletti in modo critico epubblicati passo dopo passo. E lui, «ilvecchio barbone» come lo chiamaronoaffettuosi e riverenti generazioni di mi-litanti di sinistra, insieme a FriedrichEngels torna attuale in un’altra luce.

È un tuffo nella storia, quello in Jae-gerstrasse 22/23. Un tuffo sereno nelladoccia fredda inquietante della crisi del

mondo globale. I volumi, rieditati inversione critica e scientifica, uno dopol’altro si accatastano nelle stanze degliaccademici. Mega, come “grande” ingreco antico, si chiama il progetto del-l’opera completa di Marx ed Engels ri-vista in modo critico. Mega in tedesco èuna sigla: Marx-Engels GesamtAusga-be. Frugando nelle carte consunte daltempo si scoprono cose che i contem-poranei di Marx vollero ignorare, e cheil marxismo-leninismo ufficiale preferìcensurare. Le Tesi su Feuerbach, spiegaHubmann, non furono all’inizio partede L’ideologia tedesca. Vi furono inseri-te solo dopo, e il tutto, secondo Marx,era solo una collezione di appunti «de-stinata ai topi». Appunti di agitazionepolitica consegnati ai manoscritti suoidell’epoca, tutti a penna con correzionie cancellature, i disegnini di volti spes-so femminili magari schizzati da Engelsaccanto. Slogan politici trasformati inortodossia nell’Urss. Insomma: la teo-ria secondo cui l’esistenza materialedetermina la coscienza, base del mate-rialismo storico, spiega Hubmann, eraun’idea in cui Marx non credeva. Guar-di qui, dice mostrando un volume rie-dito, Marx disse: «Tutto quello che so èche non sono un marxista».

«Un volume dopo l’altro», spiega an-cora Hubmann, «noi curatori di Megascopriamo un altro Marx. Non un “ca-

ne morto”, non un ideologo del pas-sato, bensì un politologo e scienzia-to attuale. Un uomo che continuò aricercare con curiosità fino alla vec-chiaia e seppe vedere e prevederele radici della crisi di oggi. Studiònei suoi tardi anni l’evoluzionedel capitalismo, da capitalismoindustriale a sistema sempre piùbasato sul credito e sulla finan-za e quindi esposto alle sueoscillazioni e alle sue incertez-ze», a crisi ingovernabili a dan-no di tutti. La svolta, la sua fa-se dopo Il Capitale, cominciòcon lo studio dell’economiaamericana: i grandi spazi,l’esigenza di costruire infretta ferrovie e altre infra-strutture, la crescente fa-me di materie prime, ilboom dell’agricoltura, spie-gano gli accademici, imposero la cre-scente dipendenza dell’economia rea-le dal credito: serviva sempre più dena-ro. Mega, II/13: ecco le analisi di Marxanziano sui nuovi processi di circola-zione del capitale, sul suo sviluppo colturbo come sistema sempre più finan-ziario. Sembra di leggere pagine sullacrisi dei nostri giorni, invece sono vec-chie di un secolo e mezzo. È un caso, unaccidente della storia, se il progetto Me-gaha potuto vedere la luce. Opere, car-

ANDREA TARQUINI

“Tutto quello che soè che non sono marxista”

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 8 GENNAIO 2012

teggi, epistolario e appunti di Marx edEngels erano in mano all’archivio dellaSpd. Dopo la rivoluzione bolscevica,nacque un fitto lavoro comune discienziati socialdemocratici tedeschi edel Pcus per sistematizzarle. Parte delmateriale fu portata a Mosca, altra par-te restò nella vivace Berlino della fragi-le Repubblica di Weimar. Furono le ra-dici dell’opera completa, ma i drammidi quegli anni le seccarono. La ricercadi quegli scienziati e filosofi caddetroppo presto sotto l’occhio sospetto-so della Nkvd, la polizia segreta di Sta-lin. Al dittatore, racconta Hubmann,non piacque scoprire certe pagine cri-tiche, certi appunti sull’esigenza dellalibertà di parola e del libero confrontotra forze politiche e sociali. Meno chemai gli piacque scoprire che Marx edEngels avevano scritto molto più di Le-nin e non teorizzavano un totalitari-smo né tantomeno i gulag. Con la bru-tale svolta autoritaria in Urss gli scien-ziati marxisti finirono male. A comin-ciare dal loro capo David Rjazanov,giustiziato per tradimento nel 1938,poco prima del patto Hitler-Stalin. Al-tri finirono sorvegliati e solo la grandefama li salvò dal plotone d’esecuzione.Fu il caso di György Lukács, il padre un-gherese del marxismo critico.

Ma se Mosca piangeva, Berlino nonrideva. Venne il ’33, la democrazia diWeimar fu rovesciata da Hitler. Gli ar-chivi della Spd si salvarono per caso: isocialdemocratici, sfidando la Gesta-po, li portarono da amici accademici

olandesi. «Chi sa perché, ma anni dopo— narra Hubmann — nell’Olanda oc-cupata, Gestapo e polizia collaborazio-nista non pensarono mai di frugare neisotterranei dell’accademia di Amster-dam, non scoprirono mai quantoavrebbero volentieri distrutto». Venneil 1945, la disfatta dell’Asse e la Guerrafredda con la Germania divisa. Urss eDdr ripresero il lavoro di edizione com-pleta dopo la morte di Stalin, ma Brez-nev lo bloccò: troppi manoscritti criti-ci, troppe pericolose idee di invito aldubbio. Il lavoro fu congelato fino all’89della caduta del Muro di Berlino. «E perquanto possa sembrare strano», nota-no i professori di Jaegerstrasse, «se la-voriamo liberi e con rigore scientifico alMega lo dobbiamo anche a HelmutKohl, certo non sospetto di simpatiemarxiste. Il cancelliere della riunifica-zione che amava la storia, decise che,magari sottotono, la ricerca su quelletonnellate di manoscritti che la Ddraveva chiuso in cantina avrebbe dovu-to riprendere nella Germania unita».

Sono passati più di vent’anni daquell’ennesima svolta in cui i mano-scritti ingialliti dei due barbuti riusci-rono a sopravvivere. Adesso il lavorocontinua, diviso tra Berlino, Amster-dam e Mosca. Con l’interesse crescen-te dei preparatissimi scienziati ufficia-li cinesi, che forse vi cercano nuoveidee per la futura prima potenza mon-diale. Scoprono anche loro un altroMarx. L’uomo che perseguitato quasiovunque in Europa si guadagnò da vi-

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(segue dalla copertina)

Causa totalmente trascurata dagli asini che si acconten-tano di studiare la fase dello scambio di un prodotto conun altro prodotto e che scordano che il prodotto non è

pertanto in alcun caso merce scambiabile in quanto tale.Que-sto costituisce anche la spina nel fianco che spinge gli inglesi,tra gli altri, a voler stravolgere il modo di produzione tradizio-nale esistente in Cina, in India eccetera, per trasformarlo inuna produzione di merci e, in particolare, in una produzionebasata sulla divisione internazionale del lavoro (vale a dire,nella forma di produzione capitalistica). Riescono in parte inquesto intento, per esempio, quando danneggiano i filatoridella lana o del cotone svendendo i loro prodotti o rovinandoil loro modo di produzione tradizionale, che non è in grado dicompetere con il modo di produzione capitalistico o con il mo-do capitalistico di immettere le merci sul mercato. Anche se ilcapitale produttivo, per sua stessa natura, è disponibile sulmercato, vale a dire è offerto in vendita, il capitalista può (perun periodo di tempo lungo o breve, secondo la natura dellamerce) tenerlo lontano dal mercato se le condizioni non gli so-no favorevoli o al fine di speculare o altro. Il capitalista può sot-trarre il capitale produttivo al mercato delle merci, ma in unmomento successivo sarà costretto a riimmetterlo. Ciò non haeffetti al fine della definizione del concetto, ma è importantenell’osservazione della concorrenza.

La sfera della circolazione delle merci, il mercato, è in quan-to tale distinta anche fisicamente dalla sfera della produzione,esattamente come sono distinti temporalmente il processo dicircolazione e l’effettivo processo di produzione. Le merci orapronte restano depositate nei magazzini e nei depositi dei ca-pitalisti che le hanno prodotte (eccetto il caso in cui siano ven-dute direttamente) quasi sempre solo in modo passeggero pri-

ma di essere spedite verso altri mercati. Per le merci si tratta diuna stazione di preparazione dalla quale saranno immesse nel-l’effettiva sfera di circolazione, esattamente come i fattori del-la produzione disponibili restano in attesa, in una fase prepa-ratoria, prima di essere convogliati nell’effettivo processo diproduzione.

La distanza fisica tra i mercati (considerati dal punto di vi-sta della loro localizzazione) e il luogo del processo di produ-zione delle merci all’interno di uno stesso paese, e successi-vamente fuori da esso, costituisce un elemento importante,perché è proprio la produzione capitalistica a far sì che peruna buona parte dei suoi prodotti il mercato sia costituito dalmercato mondiale. (Le merci possono essere anche acquista-te per essere ritirate immediatamente dal mercato, ma que-sto elemento dovrebbe essere esaminato altrove, così comela menzione precedente alle merci che i produttori tengonolontane dal mercato).

Conseguentemente, occorre che il mercato si espanda incontinuazione. Inoltre, in ogni singola sfera della produzio-ne, ogni capitalista produce secondo il capitale che gli è offer-to, indipendentemente da ciò che fanno gli altri capitalisti.Tuttavia, non sarà il suo prodotto, bensì il prodotto totale delcapitale investito in quella particolare sfera di produzione acostituire il capitale produttivo, il quale offre in vendita que-sta e ogni singola altra sfera di produzione. È un dato di fattoempirico che nonostante la dilatazione della produzione ca-pitalistica porti a un incremento, a una moltiplicazione delnumero delle sfere di produzione, ovvero delle sfere di inve-stimento del capitale, nei paesi a produzione capitalisticaavanzata, questa variazione non tenga mai il passo con l’ac-cumulo del capitale stesso.

Traduzione di Guiomar Parada

Mercato senza sviluppola causa della crisi

KARL MARX

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GEOLOGIA

In alto da sinistra, manoscritto di Marx con pagine originali de Il Capitale decifrate e pubblicate per la prima volta

con il progetto Mega e due manoscritti relativi agli studi di Marx sulla geologia (© IISG Amsterdam). Nell’altra pagina in alto,

l’ultimo numero della Neue Rheinische Zeitung, giornale progressista cui Marx collaborava, che fu proibito dalla censura

L’ultimo numero fu stampato provocatoriamente in rosso; un’altra pagina originale de Il Capitale (© IISG Amsterdam);

in basso, manoscritto della versione originale de L’ideologia tedesca. Nella foto, Karl Marx nel 1856

vere come corrispondente del NewYork Daily Tribune. Rivediamo quellepagine: narrava come un grande invia-to le scosse politiche e sociali o le crisieconomiche dell’Europa di allora, per-sino i primi movimenti operai in Italiao Spagna. Non c’erano le comunica-zioni moderne: Marx ed Engels invia-vano gli articoli a New York col piro-scafo, dovevano scriverli pensando anon farli invecchiare. Jenny Marx, l’a-mata moglie, teneva la contabilità d’o-gni spedizione. Cominciò anche a con-servare i più curiosi, incredibili scrittidel marito anziano. Karl aveva rinun-ciato alla politica, annotava la sua fidu-cia nel libero dibattito e confronto traidee e forze politiche. E prese a studia-re le scienze: ecco appunti e schizziperfetti sulla geologia, sulla fisica, suiprimi passi della scienza nucleare.

Ed ecco, infine ma non ultimo, la sco-perta forse più affascinante. Marx edEngels, nell’Europa del capitalismosenza internet né jet di linea, crearonouna rete di scambi epistolari interna-zionali. Con leader operai, con politici,con scienziati, gente d’ogni corrente dipensiero o tendenza: a suo modo, dico-no soddisfatti gli accademici di Jaeger-strasse, fu il primo social network. Fun-zionò per anni. Bentornato, caro vec-chio Marx, e scusaci: troppi oppostiestremismi del Ventesimo secolo ti ave-vano tramandato male. Arrivederci al2020. Forse ci servirai quando chi sa chevolto avrà il capitalismo.

Repubblica Nazionale

ownload now. Scarica adesso. Nel temposenza tempo del clicca qui, ora, e sarai a Nuo-va Deli fra un attimo, corri in Formula Unosulla Wii e fai Capodanno in videochat congli amici in America resta davvero poco nel-la vita reale di cui non si sappia con esattez-za quanto tempo ci voglia a ottenere il risul-tato, nessun display che ti dica «mancano 34minuti al completamento dell’operazione»così che metti su il caffè, fai una telefonata equando torni puoi tranquillamente rientra-re nell’immobile presente globale, in viaggiodavanti al tuo schermo. Restano, a ricordar-ci che siamo tutti figli dell’attesa — parola fa-stidiosa, desueta e ai più piccoli quasi sco-nosciuta — due soli episodi. Pochi, tuttaviadi una certa importanza. La nascita e la mor-te si prendono il loro tempo a dispetto delleprevisioni, delle cure e soprattutto della vo-lontà di chi le attraversa. Il modo che scelgo-no non dipende da noi. Il giorno e l’ora sonoignoti. Bisogna aspettare, che è un’arte — lapazienza — e una virtù a rilascio lento, si im-para tardi e di solito a un prezzo che non siconta in moneta, a volte non si impara mai.

I murales dell’impazienza — titolo ideale:«Asia, sbrigate» — incisi e dipinti nelle saled’aspetto dei reparti maternità sono i tritticicontemporanei dell’Avvento, versione popdegli affreschi del tempo in cui davvero c’e-ra tempo, tanto. Meravigliose cronache diun immaginario impermeabile ai sondaggidi opinione e di mercato raccontano un’Ita-lia sprovvista del senso dell’ineluttabile edell’essenziale necessario. Parlano di un

Paese multietnico dominato dalla culturatelevisiva e divistica dove il nonno si chiamaSandro e la nipote Suyana, di un nuovo alfa-beto colmo di acca iniziale, di ipsilon e dikappa, vocali e consonanti ignote alla me-moria scolastica degli abbecedari. Parlanodella scomparsa della parola scritta e descri-vono in una foto («Shanel, ti amo») il sognodi avere una figlia che come quella di Tottiporti lo sponsor incorporato alla nascita el’evidenza del sapere — persino quello deimarchi — soltanto orecchiato, mai letto,sentito alla radio e in tv. Insieme, però, nar-rano di una commovente condizione di im-potenza e struggimento e dell’unica vera ric-chezza di cui anche chi non ha nient’altropuò disporre, dell’unica fonte di felicità as-soluta colta nell’attimo in cui si manifesta,che dopo sarà un’altra storia: avere un figlio,questo è quel che rende tutti in quell’istanteugualmente disarmati e colmi di meraviglia.

I padri, specialmente, sono quelli che scri-vono. I padri aspettano mentre le donne par-

toriscono e con loro i nonni, gli zii e a volte icugini se va per le lunghe. «Papà Fabio aspet-ta Alysia», da Fabio ad Alysia qualcosa di de-finitivo è successo nella cultura diffusa delPaese se è vero, come sempre è stato e sem-pre sarà vero, che nel nome che si sceglie peri figli è scritto il destino che vorremmo per lo-ro. Papà Fabio, 22 anni, scrive che sentirsipapà gli sembra strano, «kissà xchè». Sonoammesse ipotesi di fantasia. Anche «nonnaLaura e nonno Sandro che non vedono l’o-ra» di conoscere Suyana devono essersi fattiqualche domanda, ma anche no. Bellissimala convivenza del vernacolo (sono ospedaliromani, questi delle foto) coi nomi da roto-calco, corto circuito e vero specchio dei tem-pi. «Daje Brian» una della più efficaci, ma an-che «Nathan quanto sei bbono», e «Mya testiamo tutti a aspetta’». Si contano, nei graf-fiti, otto Asia, tre Mathias, quattro Ilary. Poiperò c’è due volte Eleonora, due Aurora, unaMatilde. Due «Sofia bella», una «Penelopeche come una femmina che si rispetti si fa at-

tendere da undici ore». Shanel che nasce do-po «meritata attesa», non è chiaro meritatada chi ma si coglie il senso: ne valeva la pena.

I nonni sono i migliori poeti. «Viola comeun manto di stelle come un piccolo fiore chepenetra nel cuore. Nonno Guido». Anche«Lorenzo bello di nonno» e «Benvenuto pi-sellone» fanno la loro figura. Nel capitolo ziiecco «Daje Christian nun ce passa più» e«Mary, te stiamo a aspetta’», «Claretta bellade zia», «Daje bello de casa», ma poi subito«Ave Cesare»: enorme, imperiale.

Scorrendo ancora gli annunci olografi ec-co Noemi, e speriamo bene che non sia perquello, tre volte. Miriam molte, Diego parec-chi, Denise con la e finale e senza, in que-st’ultimo caso anche con due enne. «Ilaria eNicholas i due gemellini più in di Roma», piùfortunata la femmina, «Tommaso e Santia-go», «Aurora e Damiano«. Ginevra sette vol-te, senz’altro il podio. «E daje Gine’» forse ar-bitrariamente nel computo, difficile però siaGinestra.

Poi gli italiani che legittimamente porta-no nomi per noi inconsueti: «FinalmenteAladiah amore di Papi» tiene insieme un’o-rigine speriamo remota e il consumato vez-zeggiativo. Suami e Melissa sono nate nellostesso minuto, «un sogno di nome Melissa».Mirco e Tasdid lo stesso giorno, nello stessoluogo. Sollievo, speranza. Che poi l’attesa incomune porta condivisione, e la condivisio-ne conoscenza. Di Cesare e di Aladiah saràl’Italia domani, di Miriam e Alysia. Tantissi-mi caldi auguri, davvero partecipi. Fraterni.Daje regazzi’.

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LA DOMENICA■ 28

DOMENICA 8 GENNAIO 2012

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“Lorenzo bello di nonno”, “Claretta bella di zia”,“Un sogno di nome Melissa”, “Daje Christian”Roma, reparto maternità: mentre le madri partoriscono,padri, parenti e amici scrivono sui muri messaggi ai bambiniche stanno per nascere. Vandalismo, ma anche un rito di speranza che resiste alla modernità

Le storieItalian Graffiti

Ci sono nomi specchiodei tempi:“Nathan

quanto sei bbono”e “Mya te stiamo

a aspetta’”

E nomi dei nuovi italiani“Finalmente

Aladiah

amore di Papi”insieme a Suami,Miriam, Alysia

Murales per sale d’aspetto

CONCITA DE GREGORIO

ATTESE Le scale del dipartimento maternità infantile, un muro del reparto di Ostetricia e l’ingresso del corridoio della sala parto dell’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma

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Repubblica Nazionale

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DOMENICA 8 GENNAIO 2012

CHILI I vetri esterni del reparto di Ostetricia e Ginecologia e l’ingresso del dipartimento maternità infantile del San Camillo Forlanini di Roma dove genitori e parenti appuntano il peso del nuovo nato

FINALMENTE FUORI Ancora le scale del dipartimento maternità, il muro e le vetrate del reparto di Ostetricia del San Camillo Forlanini: ogni angolo disponibile è stato riempito da scritte con nomi e date di nascita

VETRI Anche i nonni testimoniano la loro gioia per l’arrivo dei nipoti e la gridano sui vetri del Policlinico Umberto I di Roma. E per le scale un’altra testimonianza: “Anche oggi non vuoi uscire”

DIVIETO “Vita mia”, “Unica stella”, “Sbrigati”: i messaggi ricorrenti su scale e corridoi. All’ospedale Santo Spirito in Saxia di Roma c’è un cartello con il divieto per i parenti dei neonati di scrivere sui muri

BENVENUTO Ancora messaggi di benvenuto al mondo, con tanto di disegni lasciati da zii e nonni sui muri dei corridoi, delle sale d’attesa e all’ingresso del nido del San Camillo Forlanini di Roma

UNDICESIMA ORA “Penelope come una femmina che si rispetti si fa attendere da undici ore”: un’altra delle scritte lasciate nel corridoio del Policlinico Umberto I. Ma ci sono messaggi anche per Lorenzo e Danilo

Repubblica Nazionale

Il primo radio messaggio è delle 23,45, esat-tamente cinque minuti dopo la collisionecon il gigantesco iceberg: «Stiamo affon-dando rapidamente, venite a salvarci». Ilmarconista Jack Phillips segnala anche laposizione della sua nave nelle gelide acque

dell’Atlantico: latitudine 41.46 nord e longitudine50.14 ovest. Ci sono almeno dieci bastimenti che ri-cevono l’Sos, il primo che ordina «di cambiare su-bito rotta per accorrere in aiuto ai naufraghi» è il co-mandante Leonid Stulpin del piroscafo russo Bir-ma. Ma è a una distanza di novanta miglia marine,chissà quando arriverà in quel punto al largo dellecoste di Terranova. È la notte fra il 14 e il 15 aprile del1912. E il Titanic si sta inabissando. Questa comu-nicazione disperata — insieme a centinaia di rela-zioni, schede, grafici, disegni, interrogatori, lettere,elenchi di morti e sopravvissuti — fa parte dell’im-mensa collezione di documenti che ricostruisceistante per istante ciò che accadde quasi un secolofa al transatlantico che avevano soprannominato«l’Inaffondabile». Nell’anno del centenario di unatragedia che ha segnato l’immaginario popolaredel Novecento, Repubblica è entrata negli archiviinglesi di Kew Gardens per raccontare quel dram-ma rileggendo le carte originali, a cominciare dalprimo dossier ufficiale del 30 luglio 1912 (Report onthe Loss of the Titanic) stilato da una commissionedel governo britannico presieduta da Lord Mersey.

Ai National Archives c’è una sezione dedicataesclusivamente al naufragio più famoso della sto-ria, che conserva in microfilm tutti gli atti sulla

scomparsa del Titanic. L’atto più prezioso è quel fa-scicolo (classificato MT9/920E) dove c’è la descri-zione tecnica della nave, il resoconto dei primi gior-ni di viaggio, le testimonianze di chi si è salvato, lacronaca della collisione con le osservazioni «su tut-te le azioni che si sarebbero dovute assumere perevitare il disastro». Sono 74 pagine di avvincentelettura, nonostante il tempo passato e i moltissimiscritti e indagini sul Titanic. Un rapporto accom-pagnato da allegati, note giurate, deposizioni. Peresempio quella di Reginald Robinson Lee, il mari-naio che era di vedetta sulla torretta più alta — «ilnido del corvo» — per avvistare gli iceberg. Poi ci so-no le liste degli italiani affogati, tutti camerieri im-barcati per guadagnare qualche sterlina fra i tavolidegli sfarzosi ristoranti del transatlantico. E poi an-cora c’è la testimonianza del comandante Stulpin,che ricorda come fu spaventosa l’alba del giornodopo: «Quando finalmente giungemmo sul luogo,del Titanic non c’era più traccia».

È il 23 aprile — appena una settimana dal-l’affondamento nell’Atlantico — e a Londra s’inse-dia la commissione di Lord Mersey. In meno di tremesi si celebrano 37 udienze pubbliche e si ascol-tano 97 testimoni. Fra di loro anche molti naufra-ghi. Le prime pagine del dossier riportano numerie liste d’imbarco. Il Titanic parte mercoledì 10 apri-le dal porto inglese di Southampton — fa scalo inFrancia a Cherbourg e in Irlanda a Queenstown —e poi la supernave della White Star Line, al suo viag-gio inaugurale, si avventura in mare aperto versol’America con a bordo 1.316 passeggeri e 885 uo-mini d’equipaggio. In prima classe sono in 325, inseconda 285 e 706 in terza classe. Fino a domenica

14 aprile la traversata è tranquilla. Poi sul Titaniccominciano a ricevere messaggi di altri bastimen-ti. Alle 9 del mattino è quello del capitano Barr delCaronia: «Attenzione, alcuni piroscafi diretti a ove-st segnalano iceberg e banchi di ghiaccio». Alle13,42 è dal Baltic che spediscono un dispaccio: «Lanave Athenai riferisce il passaggio di iceberg ingrandi quantità». Alle 14,45 un marconigrammaviene dall’Amerika: «Abbiamo avvistato monta-gne di ghiaccio dappertutto».

La commissione d’inchiesta, a questo punto,commenta: «Alle 17,50, nonostante le segnalazio-ni, il capitano del Titanic Edward Smith ordina dipuntare a ovest verso New York». Sui manuali di na-vigazione civile si raccomanda «di virare verso sudcon un’ampia curva» per evitare gli iceberg e poi, altramonto, di diminuire la velocità. Ma sul Titanicc’è gente ricca e potente, come Guggenheim eAstor, che ha fretta di arrivare negli Stati Uniti. Lanave procede così a grande velocità: 22 nodi. Il giu-dizio degli inquirenti — a pagina 30 del rapporto —è categorico: «Il comandante Smith ha commessoun errore, un errore molto grave». Alle 19,30 del 14aprile 1912 il marconista del Titanic intercetta unacomunicazione fra il piroscafo Californian e l’An-tillian: «Avvistati tre iceberg cinque miglia a sud». Ealle 21,40 dal vapore Mesaba avvertono ancora ilTitanic «di avere visto grandi distese di ghiaccio». Ilnord Atlantico è diventata una trappola mortale.Ma, secondo l’inchiesta governativa, «il marconi-sta a quell’ora è troppo occupato a trasmettere imessaggi privati dei passeggeri a bordo del Tita-nic». Mette da parte gli avvisi di pericolo. E il tran-satlantico va verso il suo destino. Colpito dall’ice-

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DOMENICA 8 GENNAIO 2012

Save Our Souls

269,07 METRIla lunghezza

TITANICUltimo rapporto su un disastro

“L’iceberg si poteva evitare”

SOS

Sopra, tre radio messaggi inviati dal Titanic

per dare l’allarme; il primo è alle 23,45:

«Stiamo affondando, venite a salvarci»

ATTILIO BOLZONI

28 METRIla larghezza

53 METRIl’altezza dalla chiglia alla cima dei fumaioli

46.326 TONNELLATEla stazza

3547 PASSEGGERIed equipaggio a pieno carico

29le caldaie

Gong gong gong

Poco primadelle 23,40le vedette del nidodel corvo battonotre colpi di gong:significamassimo pericoloÈ troppo tardi

‘‘

Nell’anno del centenario della tragedia siamo entrati

negli archivi inglesi per ricostruirne la storia:resocontidel viaggio, racconti della collisione, testimonianze di chi si è salvato, elenchi di chi,come i 37 camerieri italiani emigrati, è affogato tra i ghiacci. Ma soprattutto una seriedi allarmi ignorati e l’inquietante deposizione di una delle vedette. Ecco le conclusioni

La memoria

Repubblica Nazionale

berg alle 23,40, sparisce fra le onde alle 2,20. Nel report vengono ripercorse tutte le fasi che

precedono l’affondamento: «Poco prima delle23,40 le vedette del nido del corvo batterono tre col-pi di gong, il che significava “iceberg di fronte allanave”. Immediatamente dopo il primo ufficialeMurdoch diede l’ordine di virare a sinistra e indie-tro tutta». L’iceberg è a cinquecento yard, meno dimezzo chilometro. È troppo tardi. Il Titanic sta ral-lentando ma la montagna di ghiaccio è sempre piùvicina, quando la nave la tocca si apre uno squarciolaterale di oltre cento metri. È in quel momento chepartono i messaggi di Sos. La nave che non potevaaffondare sta già imbarcando acqua «in cinquecompartimenti di prua». Sono le 00,05, in mare cisono le prime scialuppe. Sono venti, capaci di con-tenere solo 1.178 persone. Due si rovesciano subi-to. Alle 4,10 del mattino sono 711 i sopravvissuti chemontano in coperta del Carpathia, un altro transa-tlantico che sulla sua rotta fra New York e Fiume in-crocia i disperati del Titanic. Stando a quel primodossier del governo britannico gli affogati sono1.490, numeri che nei mesi e negli anni successivicambieranno di qualche decina di unità sul calco-lo di altre commissioni d’inchiesta e sulla base dinuove ricerche nelle liste passeggeri e d’equipag-gio. Dei 711 sopravvissuti 189 sono marinai, 128 so-no passeggeri maschi e 394 le donne e i bambini.

Il dossier di Lord Mersey è moltosevero anche sulle operazioni

di soccorso: «Se ci fossestata una migliore orga-nizzazione sarebbe sta-to possibile salvare più

stica a Southampton prima che tu fossi incaricatodi fare la vedetta?». Lee: «Sì». La commissione: «Chiti fece la visita?». Lee: «Il ministero del Commercio».La commissione: «Come si chiamava il medicoche ti ha visitato?». Lee: «Non ne conosco il no-me». La commissione: «Il medico che ti ha visi-tato ti ha fatto una visita oculistica, ti ha misura-to la vista?». Lee: «Sì». La commissione: «Lo giuriquesto?». Lee: «No». La commissione: «Chiaria-moci bene, sei stato mai visitato da un medico delministero a Southampton?». Lee: «Non voglio direniente su questo». La commissione: «Sei stato visi-tato da un medico a Southampton o no?». Lee: «Sis-signore ma non dal punto di vista oculistico». Lacommissione: «Ti hanno fatto delle domande sul-la tua vista?». Lee: «Non nello specifico». La com-missione: «Ti hanno chiesto altro sulla vista?». Lee:«No». Una prassi non proprio anglosassone. E unacerta omertà da parte di quel marinaio che stava inosservazione «sul nido del corvo».

Nel rapporto ministeriale sulle cause dell’affon-damento del Titanic e sulle negligenze della com-pagnia armatrice c’è anche un allegato con i nomidi alcuni dei 37 camerieri italiani morti nel naufra-gio. Un elenco freddo di tanti nostri connazionaliche facevano gli emigrati in mezzo al mare: «Basi-lico Giovanni di Cesare, di anni 25, nato a Desio(Milano), cameriere; Valvassori Ettore di anni 37,nato a Montodine (Crema), cameriere; Sesia Gia-como di Secondo, di anni 24, nato a Narbonne(Francia) oriundo di Cavagnolo, cameriere; RattiEnrico fu Francesco, di anni 23, nato a Cassanod’Adda, cameriere...».

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23 NODIla velocità massima

825 TONNELLATEil consumo di carbone giornaliero

101 TONNELLATEil peso del timone

31 TONNELLATEil peso di ciascuna delle tre ancora a prua

9 METRIla lunghezza di una scialuppa(capacità di 65 persone)

3560i salvagenti

GLI ITALIANI

Sopra, l’elenco dei camerieri italiani morti

sul Titanic. Tra questi: Ettore Valvassori

(37 anni) di Crema; Enrico Ratti (23)

di Cassano d’Adda; Giovanni Basilico (25)

di Milano; Roberto Vioni (26) di Roma

Sotto, la mappa con la posizione del Titanic

RIPESCATI. Un rasoio da barba con gli involucri delle lamette, posate, orologi da taschino: alcuni oggetti recuperati nella cabine di prima classe del Titanic

I DOCUMENTI

Sotto, il primo dossier ufficiale sul naufragio

del Titanic, del 30 luglio 1912, compilato

dal governo britannico. I documenti

dei National Archives di Kew Gardens

sono stati selezionati da Mario J. Cereghino

e sono consultabili presso l’archivio

Casarrubea di Partinico (Palermo)

casarrubea.wordpress.com

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EDIZIONE STRAORDINARIA

Nella foto d’epoca un giovane strillone

con un manifesto in mano annuncia

la tragedia dell’affondamento del Titanic

vite [...] occorre capire perché, ad esempio, moltescialuppe sono state caricate con un numero rela-tivamente basso di passeggeri». Gli inquirenti pro-vano anche a sfatare una leggenda che — già inquell’estate del 1912 — è cominciata a circolare:«Non sembra essere vero che ai passeggeri di terzaclasse sia stato negato l’accesso ai ponti da cuiscendevano le scialuppe e sia poi stata data prece-denza a quelli di prima e seconda classe [...] inrealtà, i passeggeri di terza classe erano riluttanti adabbandonare la nave e a separarsi dal loro baga-glio». Nel documento emergono altri dettagli in-quietanti. Fra i 97 testimoni sfilati davanti alla com-missione c’è anche quel Reginald Robinson Lee,una delle vedette della nave, il marinaio che avreb-be dovuto avvistare da lontano gli iceberg. Ecco latrascrizione ufficiale del suo interrogatorio.

La commissione: «Eri tu la vedetta sul Titanic?»Lee: «Sì». La commissione: «Ci fu una visita oculi-

Repubblica Nazionale

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La tournée, l’Italia, Bono e gli U2, la crisi religiosa,la dieta, lo yoga, l’amore per il circo, le morti di Jackoe Amy Winehouse, la moglie Gwyneth Paltrow e la famiglia“più normale del jet-set”. Il leader della bandpiù popolare del mondo si confessaa “Repubblica” dal tramonto all’alba

SpettacoliPop

ROMA

Sette di sera. Ristorante vuoto, troppo presto perla cena. Il filetto al pepe verde sanguina quandoChris Martin affonda il coltello per tagliare il pri-mo boccone. Una pietanza insolita per un arti-

sta che ha aderito al Meet Free Monday, la campagna pro-mossa da Paul McCartney per ribadire le proprietà della die-ta vegetariana abolendo le proteine animali almeno unavolta a settimana. «Ho il terrore d’ingrassare», confessa illeader dei Coldplay, «e adesso, in pieno tour, un menù mo-deratamente proteico è quel che ci vuole». In Italia la bandbritannica campione d’incassi del 2011 con il quinto albumMylo Xyloto arriva il 24 maggio; unico concerto già sold outallo Stadio Olimpico di Torino. Dopo 50 milioni di dischivenduti in dieci anni di carriera e sette Grammy Award il sin-golo Paradiseè ora in testa alle classifiche; il 2012 sarà un an-no da record con un tour che in un solo concerto — la nottedi Capodanno ad Abu Dhabi — ha incassato 1,2 milioni dieuro. «Sono cresciuto pensando che un artista scriva le suecanzoni più belle tra i 28 e i 33 anni. Ora sto cambiando idea»,esclama Martin che il due marzo ne compie 35, prima di rac-comandare alla sua assistente di fargli trovare frutta di sta-gione nel camerino di Cinecittà, dove i Coldplay partecipa-no a uno show televisivo. «È per bilanciare la dieta con vita-mine e sali minerali. Non avevo mai bevuto un boccale dibirra o un caffè prima di intraprendere questa carriera.Quando ci ho provato sono stato malissimo. Ora faccioun’ora di yoga e di corsa ogni giorno, poi mi guardo allospecchio e vedo lo stesso Chris di sempre, che delusione»,dice scrutando la periferia della capitale dai vetri fumé del-la limousine. Il camerino è una roulotte da circo. Angusta epiena di frutta. Martin si protegge da gelo e umidità con stra-

ti di felpa arancio, viola e verdone, con un cappuccio che lotrasforma in un carismatico francescano. La voce è chiara,profonda, persuasiva; la stessa che fa ondeggiare la folla ne-gli stadi quando intona In My Place. È raro incontrarlo da so-lo. Preferisce farsi scudo da domande indiscrete con gli al-tri Coldplay (Guy Berryman, Jonny Buckland e Will Cham-pion). Ma ormai è un ragazzo maturo, giura, tutto merito delsuccesso che non gli ha dato alla testa. «Da quando abbia-mo esordito tutto è andato così veloce che non ho avuto iltempo di voltarmi indietro. Mi chiedono: tutta questa pres-sione non è logorante? No, affatto, perché mai? Era il mio so-gno. Quel che dobbiamo fare è prendere un aereo, atterra-re in una città, suonare, prendere un altro aereo e atterrare

GIUSEPPE VIDETTI

Unanotteda

Chris Martin“Meglio la routineche restare soli”

Coldplay

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 8 GENNAIO 2012

“Dove saremmo senzail successo del primo

disco?A lavorare in un pub? E allora perché gestire malequesta manna scesa dal cielo?”

in un’altra città: due ore di gloria in cambio di una routineun po’ noiosa, non male».

Riordina l’interno della roulotte come se fosse casa sua.«Mi piacerebbe fare il suo lavoro per un po’», attacca. Poi,una raffica di domande: «È frustrante per un giornalista cheama la musica non saper suonare? Secondo lei i fan credo-no che siamo un gruppo colluso con Hollywood solo perchého sposato un’attrice?». La star è lei, il giornalista io, gli ri-cordo. E lui: «Era quel che volevo fare dopo la laurea in let-tere antiche. Per recensire Ok Computer dei Radiohead(1997), un disco che mi ha cambiato la vita. Sono cresciutocon questo chiodo fisso: suonare, diventare famoso, canta-re guardando la platea che ondeggia sotto il palco, provarele stesse emozioni che prova Bono quando è lì sopra con gliU2. Da bambino non avevo le idee chiarissime. Ero rapitodal mondo del circo. A undici anni lo annunciai solenne-mente ai miei: volevo fare il clown — e trovo che quel chefaccio non sia poi così diverso. Per un po’ cercai di eserci-tarmi sul monociclo, immaginandomi con il trucco di sce-na, il cappello, il naso rosso. Ma a dodici anni avevo già cam-biato idea. Il monociclo era faticosissimo da gestire e io an-davo letteralmente pazzo per Michael Jackson e gli A-ha».

Di solito non ha tempo per visitare le città ma Roma lo ten-ta. C’è tempo per un giro in centro prima che arrivi l’ora diandare in scena. Dall’alto del Gianicolo spunta il cupolone.«Lei è italiano quindi cattolico, giusto? Avere il Vaticano incasa vuol dire confrontarsi quotidianamente con la fede?».Gli rigiro le stesse domande. Sbuffa, però si diverte. «Ho ca-pito, devo essere io a confessarmi. Ho avuto la mia crisi re-ligiosa, che crede? In piena adolescenza. Per un periodo tut-to nella mia vita si congelò. Anche la mia passione per la mu-sica. Diventai bigotto, ascoltavo solo vecchie canzoni reli-giose. Ma mio malgrado ero sedotto da film come Mary Pop-pins e Il Mago di Oz. Per fortuna mi è passata, oggi ho solouna sorta di fede panteista. La vita silenziosa del monaco ti-betano, il musulmano che si genuflette cinque volte al gior-no, il malato che chiede una grazia alla Madonna hanno lastessa forza e la stessa tenerezza e la stessa spiritualità».

Le star hanno la memoria corta ma Martin ricorda chia-ramente un’intervista al Crillon di Parigi finita male. L’al-

bum X&Y era appena stato pubblicato, Chrisavrebbe voluto parlare solo di quello, ma nel

frattempo aveva sposato l’attrice Gwyneth

Paltrow: chiaro che l’interesse della stampa non fosse soloper le canzoni. Per schivare le domande la buttò in goliar-dia. Il risultato fu penoso. «Cosa scrisse? Che ero un cretino?Avrebbe dovuto farlo!», esclama ancora sudato, dopo l’ap-parizione live in tv. E incalza con le domande. «Quali sonogli artisti più ritrosi che ha intervistato? E i più loquaci? E ilpiù stronzo?», chiede mentre si sfila gli abiti di scena e in-dossa di nuovo le confortevoli felpe tricolore. Alla fine si ar-rende e pronuncia per la prima volta il nome di sua moglie.Lui e Gwyneth si conobbero nel 2002, si sposarono nel 2003,hanno due bambini, Apple e Moses, di sette e cinque anni.«Di noi leggo spesso: la pop star e la diva sono persone spe-ciali. Ma che abbiamo di speciale? Non ci tradiamo, nonstiamo attaccati alla bottiglia, non offriamo materiale a ta-bloid e paparazzi? L’adulazione non ci ha viziato, il succes-so non ha cambiato le nostre prospettive, il benessere nonci ha reso arroganti. Mia moglie è più normale della ragazzadella porta accanto e ai bambini non importa se sei una star.Se scegli di avere una compagna e dei figli devi restare unapersona vera, non hai tempo né voglia di star lì a lucidare ituoi Grammy». Lo ha colpito la morte di Michael Jackson, ilsuo primo idolo. L’ha toccato la fragilità che ha strappatoAmy Winehouse a una carriera luminosa. «Le loro storienon hanno nulla a che fare con quella di altri morti giovanidella storia del rock. Li ha uccisi la solitudine», mormora. Èpassata la mezzanotte, i teatri di posa sono deserti, a Cine-città sono rimasti solo pochi ospiti e i guardiani. «Il succes-so è il peggior nemico delle popstar. Può dare l’illusione che

stai per diventare immortale, che puoi permetterti tutti glieccessi tanto in un modo o nell’altro ne vieni fuori. Nel mo-mento in cui i pasti sono garantiti e non devi più preoccu-parti dell’affitto possono succedere due cose: o ti lanci inuno stile di vita sfrenato oppure ti fermi un attimo a consi-derare quanto sei stato fortunato. Noi, come band, ci siamospontaneamente sottoposti ad autoanalisi, senza ricorrereallo strizzacervelli: abbiamo avuto un culo pazzesco, dovesaremmo ora senza il successo del primo disco? A fare glioperai? a lavorare in un pub? A romperci i coglioni in ufficio?A vivere col sussidio di disoccupazione? Ancora a casa dimamma e papà? Se i Coldplay non fossero diventati famosinon avrei mai incontrato Gwyneth. E allora perché gestiremale questa manna che è scesa dal cielo?».

Altre domande sulla limo, in direzione aeroporto: «Lei hafigli? No? Le fa paura affrontare la vita da solo?». Riflette:«Fra dieci anni avrò 44 anni. Un’età pericolosa per un can-tante. Lei come s’immagina fra dieci anni? Risponda alme-no a questo!». Un vecchio giornalista che scrive libri sullasolitudine delle rockstar. «Io non ci sarò in quel libro», ri-batte pronto, «voglio arrivare a sessant’anni come BruceSpringsteen!». La limo inchioda. L’aereo privato è già inmoto. Destinazione Oslo. Arriveranno all’alba. Prima discendere Chris libera i riccioli biondi dal cappuccio fran-cescano; fresco e rilassato come dopo un lungo sonno.«Non ho mangiato neanche un mandarino», dice, «pecca-to per i radicali liberi…».

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LE TAPPE

LA BAND

Nel 1996 quattro

ragazzi inglesi

appassionati

per la musica

si conoscono

all’università

e decidono

di creare una band

NEGLI USA

Nel 2003 arriva

la consacrazione

oltreoceano:

i Coldplay fanno

un lungo tour

negli Stati Uniti

e ricevono

numerosi premi

L’IMPEGNO

All’impegno

musicale uniscono

l’impegno sociale

nella lotta all’Aids

e il sostegno

al commercio

solidale e a Amnesty

International

IL SUCCESSO

Scoppia una vera

e propria

Coldplaymania:

i loro concerti

sono affollatissimi,

con Parachutes

vendono cinque

milioni di dischi

IL DEBUTTO

Nel 2000 esce

l’album di debutto

dei Coldplay

Parachutes

con singoli come

Shiver e Yellow

che scalano subito

tutte le classifiche

CHRISMARTINVoce, pianoforte

e chitarra,

cresce

nel Devon

dove inizia

a suonare

il piano a cinque

anni. A undici

fonda la prima

band, al liceo

è il chitarrista

di un gruppo

soul, i Rocking

Honkies

GUYBERRYMANAl basso,

con un passato

di trombettista

e percussionista

Nasce in Scozia

nel 1978,

cresce nel Kent

Quando incontra

Chris Martin

è iscritto

a ingegneria

all’University

College

di Londra

JONBUCKLANDAlla chitarra,

nasce in Galles

nel 1977. Prima

dei Coldplay

ha fatto parte

di una band rap

scrivendo testi

Nella sua stanza

da letto avviene

il primo incontro

degli Startfish,

come all’inizio

si chiamavano

i Coldplay

WILLCHAMPIONStudente

di antropologia

e già esperto

al pianoforte,

alla chitarra,

al basso

e al flauto

irlandese,

per unirsi

ai Coldplay

studia

e diventa

batterista

in soli tre mesi

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 34

DOMENICA 8 GENNAIO 2012

ENRICO FRANCESCHINI

NextLost & found

mettere in moto la macchina e portarsela via. I furti d’autodel Ventunesimo secolo si fanno con il computer, per indi-viduare codici d’accesso, scardinare allarmi, mandare in tilti rilevatori satellitari. Oppure si fanno entrando nelle case,mentre i proprietari dormono o guardano la tivù, per ruba-re loro le chiavi della macchina: un quinto delle auto ruba-te nel 2010 in Inghilterra sono state portate via così. E in ge-nerale, ai furti di oggetti si stanno sostituendo i furti di infor-mazioni digitali: le “identità” rubate su Internet (numeri dicarte di credito, conti correnti bancari, codici segreti di ac-cesso) hanno causato lo scorso anno una perdita di un mi-

L

Benvenuti nel pianeta senza ladri

+200%

-50%

LONDRA

o scorso anno in Inghilterra sono raddoppiati i furti di pe-core. È un segno della crisi economica, spiegano gli esperti.Ma i furti di automobili, telefonini e computer sono dimi-nuiti. La differenza dipende dal fatto che i greggi di pecore,o le mandrie di mucche e cavalli, non sono dotati — alme-no non ancora — di dispositivi di rintracciamento satellita-re; mentre auto, telefonini, tablet, computer e un sacco dialtra roba sì, e talvolta contengono sistemi ancora più sofi-sticati per mettere in difficoltà i ladri. Prendiamo il caso diWill Carling, ex-capitano della nazionale inglese di rugby, acui qualcuno ha recentemente rubato l’iPad durante unviaggio in treno. La vittima ha messo in funzione un’appli-cation chiamata Find My iPhone (Trova il mio iPhone) e po-co dopo ha inviato il seguente cinguettio su Twitter: «Ho ap-pena trasmesso al mio iPad un messaggio, avvertendo chise lo è portato via che so dove si trova e a quest’ora lo sa an-che la polizia. Segue aggiornamento». L’iPad gli è stato re-stituito ancora prima che gli agenti suonassero alla portadell’uomo che glielo aveva sottratto.

Joshua Kaufman, un ingegnere elettronico californiano,è stato ancora più abile quando gli hanno rubato il suo fidoMacBook. Usando un’application chiamata Hidden (Na-scosto) è riuscito a vedere tutto quello che stava succeden-do sul suo computer e a scattare foto del nuovo “proprieta-rio” con la macchina fotografica incorporata nel suo laptop.Quindi ha postato le foto su un sito chiamato “This guy hasmy MacBook” (Questo tizio ha il mio MacBook), che è di-ventato per qualche giorno uno dei più cliccati d’America:la polizia, che in un primo tempo gli aveva comunicato dinon avere modo di indagare sul furto, è stata costretta a oc-cuparsene, ha individuato l’indirizzo email del ladro, untassista di Los Angeles, lo ha attirato in trappola prenotan-dolo per una corsa fino all’aeroporto e lo ha arrestato, resti-tuendo il Mac al suo legittimo proprietario.

«Le tecnologie per decretare la fine dei furti già esistono»,commenta Thomas Cannon, direttore del dipartimento ri-cerca e sviluppo della ViaForensics, un’azienda specializ-zata nei sistemi di sicurezza digitali, «quando questicongegni saranno uno strumento di difesa uni-versalmente diffuso, i ladri si ritroveranno tuttidisoccupati». Beninteso: fatta la legge, trovatol’inganno, come ammonisce il proverbio. An-che i ladri si adeguano. La prova è che è prati-camente scomparso, almeno nel mondo indu-strializzato, il ladro d’auto armato di cacciaviteper fare scattare la serratura dello sportello, subitoin grado, congiungendo due fili elettrici sotto il cruscotto, di

Nell’ultimo anno è calato il numero delle auto rubate. Ma anche di cellulari, computer,smartphone. Il merito non è solo dei dispositivi satellitari. Oggi i migliori “poliziotti”sono le application che segnalano in tempo reale dove si trovano

gli oggetti trafugati.Ecco come la tecnologia sta aspirando alla più grande delle utopie

PREYRaccoglie informazioni

sulle coordinate

satellitari del telefonino

o del personal computer

che è stato rubato

e poi ne blocca

il funzionamento

TRACE MEGrazie alla presenza

di un minuscolo chip,

permette di rintracciare

un bagaglio perduto,

o qualsiasi cosa

venga smarrita,

in tutto il mondo

HIDDENMostra dov’è

il tuo computer e anche

chi l’ha rubato,

scattando foto del ladro

con una videocamera

nascosta e incorporata

al suo interno

BERRY LOCATORTi invia una email

con la posizione

del Blackberry rubato

che nello stesso tempo

comincia a vibrare

e a illuminarsi

mentre suona l’allarme

LE AUTOIn vent’anni i furti di automobili

in Gran Bretagna si sono dimezzati,

scendendo da un milione

e centomila nel 1991 a 456mila

nel 2010. Nello stesso periodo

in Italia sono scesi

da 370mila a 124.197

LE PECORENel 2011 in Inghilterra

sono raddoppiati i furti di pecore:

un segno della crisi economica

Ma dipende anche dal fatto

che le pecore, come le mucche

o i cavalli, non hanno dispositivi

di rintracciamento satellitare

Repubblica Nazionale

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I mezzi per decretarela fine dei furti già esistonoQuando saranno universalmentediffusi, i ladri resterannotutti disoccupati

‘‘

liardo e mezzo di sterline (un miliardo e settecentocin-quanta milioni di euro) all’economia britannica.

Per il momento, tuttavia, le nuove tecnologie sono unpasso avanti ai ladri. Ci sono almeno mezza dozzina di ap-plication che installano dispositivi di rintracciamento sa-tellitare sugli smartphone — i telefonini intelligenti, comel’iPhone, l’Android o il Blackberry — e su tablet come l’iPade computer di varie marche. Ce ne sono anche di più percreare una rete protettiva attorno alle automobili. E perlo-meno in teoria, qualsiasi prodotto, oggetto di consumo,gadget elettronico, può essere allacciato a satelliti che necontrollano gli spostamenti e a sistemi di allarme, anchequando è (o meglio sembra) spento. Find My iPhone per-mette non solo di localizzare l’iPhone, ma anche di inviareun messaggio a chi lo ha rubato e contemporaneamente fa-re emettere al telefonino un fortissimo segnale d’allarme.Prey, un altro sistema del genere, non appena un telefoni-no o un computer sono catalogati come “scomparsi”, rac-coglie dati su dove si trova e poi ne blocca il funzionamen-to. Hidden, come conferma la soluzione del furto del Mac-Book dell’ingegnere californiano, consente di scattare fotodel ladro e del computer acceso (per vedere cosa sta facen-do). Berry Locator invia una email al computer con le coor-dinate satellitari del Blackberry rubato, che allo stesso tem-po comincia a vibrare, illuminarsi e suona una sirena.

In Gran Bretagna, nell’ultimo decennio, i dispositivi perimmobilizzare un’auto rubata e per rintracciarla via satelli-te hanno dimezzato i furti di automobili, il più grande calodalla Seconda guerra mondiale in poi. Dal 1999 al 2010, nelRegno Unito le auto rubate sono passate da un milione e100mila a 456mila, e il merito — spiegano a Scotland Yard— è dell’alta tecnologia. Naturalmente tutti questi sistemicostano, sia per produrli che per acquistarli; ma neanche leassicurazioni contro i furti sono gratis, e anche il danno diperdere la macchina, il computer, il telefonino o un qua-lunque bene di valore, a causa di un furto, è rilevante. Me-glio spendere per prevenire un furto o per renderlo quasiimpossibile, affermano gli specialisti, che spendere per far-si eventualmente restituire il valore o una parte del valoredell’oggetto rubato.

E il rilevamento via satellite non difende soltanto dai fur-ti, ma anche contro gli smarrimenti. Un servizio chiamatoTrace Me (Rintracciami) aiuta, grazie a un minuscolo chip,a rintracciare i bagagli perduti: business non di poco conto,considerato che ogni anno negli aeroporti di tutto il mondosi perdono 35 milioni di valige, di cui sei milioni non vengo-no mai più ritrovate, forse perché qualcuno le ha rubate. «Laproprietà è un furto», ammoniva Proudhon. Ma se nel pros-simo futuro non sarà più possibile rubare nulla, cambieràanche il concetto di proprietà?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Thomas CannonDirettore ricerca e sviluppo della ViaForensics,

azienda specializzata in sistemi di sicurezza digitali

FIND MY IPHONENon solo ti consente

di localizzare il tuo iPhone

su una mappa, ma ti dà

anche la possibilità di inviare

un messaggio a chi

lo ha rubato avvertendolo

che sai dove si trova

35mln

LE IDENTITÀ DIGITALINumeri di carte di credito, conti

correnti bancari, codici segreti

di accesso: le identità rubate

su Internet lo scorso anno

hanno causato una perdita

di un miliardo e 750 milioni

di euro all’economia britannica

1,75mld

I BAGAGLIOgni anno vengono smarriti

negli aeroporti di tutto

il mondo trentacinque milioni

di bagagli, di cui sei milioni

non vengono mai più ritrovati,

La causa dello smarrimento

è quasi sempre il furto

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 36

DOMENICA 8 GENNAIO 2012

«H

Niente è più caldo e salutare di un consommé

depurativo dopo gli stravizi delle feste,niente è più nutriente delle carni bianche di “padovane”,“romagnole” e “siciliane”, niente è più rassicurante di un uovoquotidiano. Ecco come riscoprire le razze della pennuta più amata,verace e familiare. Purché rigorosamente bio

I saporiTipi da cortile

Bianca di SaluzzoCresta ampia e rossa, uova bianche:

è una gallina rustica, da pascolo,

adatta ai piccoli allevamenti

Vanta un’ottima qualità di carne

Collo nudoImportata dall’Africa a inizio ’900,

pur essendo di tipo rustico

ha carne delicata e pelle sottile,

oltre al tipico collo senza penne

Ermellinata di RovigoSelezionata come gallina da carne

e da uova (guscio rosato), ha corpo

robusto e sontuoso piumaggio

bianco fiammato nero

Nera della val di VaraGallina dell’entroterra spezzino

a rischio estinzione per le maestose

dimensioni pesa più di tre chili

Protetta da un presidio Slow Food

LivorneseConosciuta come Leghorn,

deve il nome al porto da cui salpò

per l’America a inizio ’800. Da 300

uova bianche l’anno, snella e vivace

Gallined’Italia

a il cervello di una gallina», dicono, e il paragone non suona certo come uncomplimento. Ma al di là delle ridotte volute cerebrali, la più popolare dellepennute esibisce una tale messe di qualità da essersi guadagnata un rispet-to millenario. Nessuna stagione quanto l’inverno conclamato — scandito damattinate uggiose, energia a terra e raffreddore dietro l’angolo — ce lo ram-menta, giorno dopo giorno. In più, usciamo provati dai surplus alimentaridelle feste di fine anno, tristemente certificati dall’impazzimento della bi-lancia e del colesterolo.

Il consenso è trasversale per età, censo, utilizzo. Per esempio, niente scal-da quanto un brodo. E non c’è brodo più leggero di quello di gallina: se poi lagallina è di quelle veraci, vecchie e belle robuste, basta far rapprendere il gras-so in eccesso con il classico accorgimento della pentola lasciata una notte sulterrazzino. Hai la febbre? Prendi una tazza di brodo bollente, hanno sugge-rito generazioni di mamme e nonne. Stesso consiglio per curare indigestio-ni, spossatezza, gonfiori addominali. Una sorta di panacea ad ampio raggio,mai passata di moda. I suoi giorni più gloriosi coincidono con il dopo Epifa-nia, quando tornano di attualità gli avanzi (congelati) dei vari cenoni. Spes-so, si tratta di ciò che resta del liquido di cottura di tortellini e cappelletti. I piùdisciplinati lo sorbiscono in rigenerante purezza, anche se si sprecano i sup-plementi tentatori, Parmigiano in primis, e poi quadrucci, passatelli, pasta

LICIA GRANELLO

reale, uova (zuppa pavese), frittatine, su su fino al tazzone battezzato conmezzo bicchiere di vino rosso.

Insieme al brodo, la carne. Quella di gallina d’aia — da reperire con la com-plicità di un pusher avicolo — è tenace, polposa, così saporita da richiederesolo qualche grano di sale marino grosso e la compagnia delle patate cottenella stessa pentola (buonissime). I golosi irrimediabili preferiscono sfilac-ciarla e condirla in insalata. Nel caso della sorella raffinata della gallina, la fa-raona, ci si può sbizzarrire con uvetta, pinoli, melagrana e qualche goccia diaceto balsamico tradizionale.

Ma prima di essere trasformata in carne e brodo, la gallina ci regala uovaper tutta la vita. Un dono quotidiano, grazie al quale durante la Seconda guer-ra mondiale entrò in tante case di città alloggiata tra balconi e cortili. E se leovaiole degli allevamenti intensivi — pessimi — vengono uccise dopo il pri-mo ciclo di vita, considerato il più produttivo, nelle fattorie bio durano a lun-go, deponendo uova buonissime, come le galline felici di Monica Maggio,sulle colline di Piacenza, o quelle di Paolo Parisi, nella campagna pisana.

L’idea base è quella dell’allevamento semibrado, arricchito da cereali na-turali o addirittura (nel caso di Parisi) dal latte di capra, che aumenta la quo-ta proteica e permette di incorporare molta più aria nelle lavorazioni. Affon-dando il cucchiaio nello zabaione più soffice e maestoso della vostra vita, nonrisparmiate un pensiero grato alla gallina. E pazienza se — come cantavanoCochi e Renato — non è un animale intelligente.

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Ora ci vuole il brodino

Repubblica Nazionale

■ 37

DOMENICA 8 GENNAIO 2012

Mericanel brianzolaAma gli spazi liberi la gallina nana

dal piumaggio bianco, allevata sia

per le piccole sapide uova cremisi,

sia per covare uova di selvaggina

PadovanaLa gallina con barba e frangia,

importata nel Trecento dalla Polonia

sembra un cartone animato. Carne

scura, simile al fagiano, e saporita

RomagnolaRaffigurata in molti dipinti

con l’originale piumaggio oro-argento

e fiocchi neri e la cresta rosso vivo

Razza primitiva, robusta e diffusa

SicilianaPrecoce, battagliera e resistente

al freddo, ha carni sode e muscoli

sviluppati. Ovaiola eccellente,

ama procurarsi il cibo da sola

ValdarnoRuspante e vigorosa, ha duplice

attitudine, carne e uova,

vanta lunghi bargigli rossi

e un setoso piumaggio nero

Insalata di gallina nostranaIngredienti per quattro persone

200 gr. di petto di gallina

8 gamberi rossi

12 puntarelle di catalogna

50 gr. di chicchi di melograno

10 cl. di succo di melograno ristretto

25 gr. di olio extra vergine

sale di Cervia q.b.

Far ridurre a fuoco basso il succo di melograno e tenerlo da parte

Lessare il petto di gallina con sedano, carota, cipolla

e un mazzetto di timo e maggiorana avvolti in una foglia di porro

Tagliare a tocchetti ed emulsionare con olio e sale

Aggiungere le puntarelle tagliate molto sottili e fatte riposare

in acqua fredda acidulata con limone, poi i chicchi di melograno

Disporre nel piatto con l’aiuto di un cerchio metallico

Sopra, appoggiare i gamberi crudi sgusciati e marinati

in extravergine e limone della Costiera

Condire con la vinaigrette a base di succo di melograno

aggiungendo una goccia di aceto balsamico tradizionale

ed erbe aromatiche a piacere

Gli animali

da cortile

sono protagonisti

dei piatti di Filippo

Chiappini Dattilo,

appassionato

chef patron

de “L’Antica

Osteria del Teatro”,

Piacenza,

come in questa

ricetta ideata

in esclusiva

per i lettori

di Repubblica

LA RICETTA

Sulla strada

Torte di ceci sul pratoLivorno oltre il mare

© RIPRODUZIONE RISERVATA

N

Gli indirizzi

DOVE DORMIRE

VILLA LIBURNIA

Via Vecchio Lazzeretto 47

LivornoTel. 349-2660433

Camera doppia da 65 euro con colazione

PODERE BUCINE BASSO

Via del Commercio 210

LariTel. 0587-686136

Camera doppia da 70 euro con colazione

LE GRAZIE B&B

Via Pandoiano 6

Collesalvetti Tel. 333-3599157

Camera doppia da 50 euro con colazione

DOVE MANGIARE

GHINÈ CAMBRÌ

Via Quercianella 263

LivornoTel. 0586-579414

Chiuso lunedì e martedì, menù da 35 euro

AGRITURISMO IL QUERCETO

Via Querceto 20

LariTel. 0587-685256

Sempre aperto, menù da 20 euro

OSTERIA VECCHIA NOCE

Località VicopisanoTel. 050-788229

Chiuso mart. sera e merc., menù da 35 euro

DOVE COMPRARE

POLLERIA VISCONTI & SAVI

Mercato Centrale, Banco 127

Via Buontenti

Livorno Tel. 0586-884488

AGRITURISMO MACCHIE D’OLIO

DI PAOLO PARISI

Via delle Macchie 1

Usigliano di LariTel. 0587-685327

POLLERIA FIORENTINA

Piazza Sant'Omobono 15

PisaTel. 050-580730

NADA

ellamia Livorno si arriva costeggiandoil mare, dalla via Aurelia che attraversala Toscana. Ed è proprio sul lungoma-re, intorno al porto, che si svolge la vitadi questa città. Non solo in estate, maanche adesso, in inverno. Così ognivolta che torno a Livorno è qui che mifermo e comincio a sognare: è un luo-go magico, che evoca arrivi e partenze,l’infinito, il nulla. Quando ero bambi-na mi piaceva percorrere la strada checonduce al porto, viale Italia, con le suecase anni Trenta, le palme, e fermarmialle baracchine che vendono il pescecrudo: una volta era buonissimo, chis-sà ora com’è. È un viale largo, aperto,proprio come sono i livornesi. Perchéin questa città toscana un po’ a sé, piùgiovane delle altre, senza le bellezze ar-tistiche di Firenze e Arezzo, né il duo-mo o la torre come Pisa, è l’atmosferache si respira a colpirti e il carattere ac-cattivante delle persone che ci abita-no. E anche se a tredici anni sono an-data via, io mi sento molto livornese,qui ho ancora la mia famiglia, le mieradici. E tanti ricordi.

Come la torta di ceci che mangia-vamo in piazza Cavour all’uscita dascuola: era abitudine di noi studentifermarci in strada a mangiarla. Un al-tro ricordo di quando ero bambinasono le gite al santuario di Montene-ro sulle colline livornesi, per chiederela grazia alla Madonna. E dopo la visi-ta al santuario si facevano grandimangiate all’aperto, nei campi, a con-tatto con la natura. Ma c’è un angolodi Livorno che mi è rimasto nel cuore:è la parte vecchia ora ristrutturata,con tutti i canali. La chiamano Vene-zia. È una zona popolare, che ha il sa-pore delle cose vissute. Ora è piena dilocalini affacciati sul mare, soprattut-to ristoranti: perché qui a Livornoamiamo moltissimo il cibo.

Testo raccolto da Ilaria Zaffino

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Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 38

DOMENICA 8 GENNAIO 2012

Settanta film alle spalle, una carrierateatrale iniziata con Strehlere Zeffirelli, fiction di successo in tv,musical, oltre ai tanto criticaticinepanettoni al fianco di De Sica

“Non li rinnego”, dice,“molti colleghi mi hannopreso per pazzo,ma ci sonosolo due metridi giudizio

per un attore: l’onestàe la bravura. E possono essereapplicati a tutti i generi”

ROMA

Ci sono attori che, una vol-ta ottenuto successo epopolarità, fanno perpredisposizione perso-

nale la vita delle star. E ci sono attoriche, nonostante siano delle star, resta-no legati alla vita quotidiana, alle pro-prie passioni, alle abitudini. MassimoGhini fa parte di questa seconda cate-goria. È normale vederlo passeggiareper le strade del centro di Roma, sedu-to al tavolo di una trattoria o mentre sa-luta cordialmente chiunque lo fermi.Eppure Ghini è un “divo”, nel sensopiù classico del termine: cinquanta-sette anni, settanta film alle spalle, unacarriera teatrale iniziata lavorandocon Zeffirelli, Strehler, Patroni Griffi,un grandissimo successo televisivocon alcune tra le fiction più viste degliultimi anni, e ancora il cinema inter-nazionale, i musical a teatro, oltre ai“cinepanettoni” al fianco di ChristianDe Sica, hanno fatto di lui uno degli at-tori di maggiore popolarità nel nostropaese. «Non posso dire di non esseresoddisfatto», dice ridendo. E come po-trebbe non esserlo, lui che come Fio-rello ha iniziato la sua avventura comeanimatore di villaggi turistici? «Vuole

sapere la verità? Questo lavoro è unesame continuo, non c’è modo di ac-contentarsi. Non c’è mai il tempo di es-sere soddisfatti, perché subito dopoarriva un’altra sfida, un altro progetto,una nuova avventura. E ogni volta si ri-comincia da capo».

La verità è che Ghini è sempre pron-to alla sfida. Come ogni attore di razza,finito un progetto, uno spettacolo, unfilm, con lo sguardo e la mente è giàavanti, verso il nuovo copione da leg-gere, il nuovo palcoscenico da calcare.«Non so stare con le mani in mano, mipiace sempre mettermi alla prova concose diverse e nuove. E non resto lega-to a un solo genere, a un certo tipo diruoli, amo mettermi in condizioni di-verse ogni volta». E se lo può permette-re. Innanzitutto perché ha un fisicoche gli consente di interpretare perso-naggi diversi, è in grado di vestire i pan-ni del comico come quelli dell’attoredrammatico ma, soprattutto, a diffe-renza della maggioranza dei suoi col-leghi, non sa soltanto recitare, ma an-che cantare e ballare ed è un veteranodel musical. «Era una sfida anche quel-la con la quale ho iniziato», ricorda, «ilmio primo ruolo fu Ademar, in Alle-luja, brava gente, al Sistina. Il rapportocon Pietro Garinei cominciò in manie-ra burrascosa: nel 1987 ero sposatocon Nancy Brilli e lei recitava al Sistinain Se il tempo fosse un gambero. Con leiconobbi Iaia Fiastri, che mi disse cheavrei dovuto fare la commedia. Ne eratalmente convinta che mi chiamò a la-vorare a una sua commedia musicale,A che servono gli uomini, con Ombret-ta Colli e Stefano Santospago, con lecanzoni di Gaber. Garinei mi vide e mifece molti complimenti, ma io, dopotre mesi, davanti a una offerta di ungrande ruolo cinematografico, lasciaila compagnia e non andai con lo spet-tacolo al Sistina».

Garinei se la prese e per sei anni nonsi parlarono. Poi chiamò Ghini nel1994 per Alleluja, brava gente. «La po-liedricità nel nostro paese non è vistacome un pregio, perché alla fine ognu-no deve essere inquadrato in una ca-sella. Se fai l’attore comico sei comico,se fai il drammatico sei drammatico, secanti canti. Ma se fai tutto questo nonsei in nessuna casella e se devono farela classifica dei migliori non ci sei mai».

Ghini nonostante i successi, le me-daglie, i premi (l’ultimo, il Premio DeSica, l’ha ricevuto dalle mani del Presi-

dente della Repubblica Giorgio Napo-litano qualche settimana fa), sembradestinato a essere l’eterno secondo.Nonostante abbia interpretato perso-naggi rimasti nella memoria collettiva(«c’è sempre gente che mi ferma perstrada perché si ricorda il cattivissimoonorevole Valenzani in Compagni discuola di Verdone del 1988»), nono-stante sia uno dei pochi che lavora al-l’estero (ha lavorato con Banderas eSean Penn e adesso è nel cast del pre-quel del Titanic, con la regia dell’irlan-dese Ciaran Donnelly), «mi mancasempre uno per fare cento, come si di-ce a Roma». Ma non se ne fa un cruccio:«Sono contento di quello che faccio,scelgo le cose che mi piacciono e mi di-vertono, non sono snob, non lo sonomai stato. Credo che il pubblico mi amianche per questo». La scelta di fare te-levisione, di recitare in moltissime fic-

tion di successo, lo ha portato a fareuna scelta di campo? «No, ho sceltoquello che era giusto per me. La televi-sione mi ha dato moltissimo e credo diaver contribuito nel mio piccolo allacrescita della fiction italiana. Oggi latelevisione, soprattutto se si guarda aiserial americani, ha ben poco da invi-diare al cinema».

La musica resta una delle sue grandipassioni. Lo ha dimostrato qualchemese fa, partecipando con successo aLasciami cantare, su Raiuno, e lo di-mostra ancora sul palcoscenico del Si-stina, dove il mese scorso è stato pro-tagonista de Il vizietto, vestendo i pan-ni di Albin (nel film di Edouard Moli-naro del 1978 interpretato dal leggen-dario Michel Serrault) accanto a Cesa-re Bocci (nel ruolo di Renato che fu diUgo Tognazzi). «Mi piace la musica, mipiace cantare e uno spettacolo comequesto mi offre la possibilità di un’ul-teriore sfida. Non è solo un musical, èuna commedia che ha un testo raffina-to e importante, attualissimo, perchéRenato e Albin sono una coppia di fat-to con un figlio da sposare, un proble-ma che non si è ancora risolto. Il finale,in cui canto I Am What I Am, è uno diquei momenti che mi spiegano anco-ra perché faccio questo mestiere».

Sono lontani i tempi in cui divideval’appartamento con Fabrizio Bentivo-glio e Armando De Razza, sognando didiventare una star: Ghini oggi si puòpermettere di recitare di tutto, di sce-gliere, anche di giocare, come ha fattocon il suo amico Christian De Sica ne-gli ultimi cinepanettoni. E persino dimollarli, come ha fatto quest’anno,per andare in Irlanda per le riprese delnuovo Titanic: «Come sempre avevovoglia di confrontarmi con qualcosa didiverso. Non li rinnego, mi sono diver-tito molto, trovo che la coppia con Ch-ristian funzionava davvero. All’iniziomolti colleghi mi hanno preso per paz-zo, chi mi prendeva in giro, chi rideva.Invece con il cinepanettone ho vintouna Grolla d’Oro e oggi tutti fanno i ci-nepanettoni, anche troppi».

Ghini non è uno di quegli attoricomplicati, introversi, difficili, chiusi,anzi, è sempre sorridente, pronto allabattuta. Ma se si tratta di parlare dell’I-talia, di politica, diventa serio, attento.Figlio di militanti comunisti (il papàpartigiano deportato a Mauthausengli ha trasmesso la passione politica), èstato responsabile del sindacato attori

e ha fatto a lungo il consigliere comu-nale a Roma. La passione politica an-cora gli brucia dentro: «Basta guardar-si attorno per capire che non si può sta-re con le mani in mano, bisogna parte-cipare, impegnarsi in prima personase si vuole che le cose cambino. Ma nonè facile, soprattutto perché il provin-cialismo della nostra sinistra, ripiega-ta a parlare solo con se stessa, ha pro-dotto danni non indifferenti». Difficileessere popolari e di sinistra? «Difficilesì, perché sembra che essere popolarisia sempre un difetto, sembra sempreche tu ti debba giustificare per quelloche fai. Invece credo che ci siano solodue metri di giudizio per un attore, l’o-nestà e la bravura. E possono essereapplicati a molti generi diversi, ancheal cinepanettone».

In realtà, Massimo Ghini la gara la facon se stesso, provando a mettersi allaprova ogni volta con nuovi ruoli, nuo-vi materiali, mescolando le carte. Haprovato anche a mettersi dietro lamacchina da presa, qualche anno fa,con un piccolo film, Zorro 12, di cui eraanche protagonista, ma quell’espe-rienza non ha lasciato il segno. «Allevolte ci penso, ma ho sempre qualco-s’altro da fare. Diciamo che non hol’urgenza di fare il regista, mi basta sa-per fare bene l’attore».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’incontroAntidivi

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Sembrache esserepopolari(e di sinistra)

sia un difettoTi devi sempregiustificareper quello che fai

Massimo Ghini

ERNESTO ASSANTE

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Repubblica Nazionale