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la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 1 MARZO 2015 NUMERO 521 Cult L’attualità. ’Ndrangheta ieri e oggi, così si diventa sgarrista L’officina. David Bailey, che noia Blow Up Spettacoli. Intervista a Jovanotti: “Ho fatto un iper disco” La copertina. Come sta cambiando l’idea di museo Straparlando. Bernardo Valli: “Io, giornalista inquieto” Mondovisioni. Hong Kong, la patria dell’altrove NEW YORK H O VISTO IL FUTURO. E non è un gat- tino che fa le smorfie. Confesso che il pregiudizio era rimasto, in un angolo della mia testa. You- Tube l’ho visto nascere in Ca- lifornia dieci anni fa. Quando hai conosciuto uno da bambino, è difficile liberarti dai ri- cordi iniziali. Su YouTube ho visto passare per anni video dilettanteschi, roba da farti una risata e da scordare cinque secondi do- po. L’ho usato a mia volta per ritrovarci spez- zoni di programmi tv, frammenti di concer- ti, magari rubati in barba al copyright. Preistoria. YouTube è il futuro, e non solo perché lo dicono i numeri. A dieci anni dalla sua nascita, e nove anni dopo essere stato comprato da Google per quella che allora sembrò una cifra notevole (1,65 miliardi: og- gi spiccioli), YouTube è ancora un bambino ed è già uno dei Padroni della Rete. La quan- tità di immagini che si riversano su questa piattaforma dà le vertigini: 300 ore di video vengono aggiunte (“caricate”) ogni minuto che passa. Chi ha tempo per guardare que- sto Big Bang di immagini e musica? Tanti: un miliardo di utenti al mese. E il numero di ore quotidiane che spendiamo per andare a pe- scare informazioni o spettacoli su questo si- to crescono a velocità esponenziale: più 50 per cento l’anno da un anno all’altro. Anche l’Italia è stata soggiogata, colonizzata: 20 milioni di utenti unici al mese sono un terzo della popolazione nazionale, ottuagenari compresi; 1,2 miliardi di pagine viste al me- se. Cosa guardate lì dentro? Di tutto e di più. Di preferenza, in Italia, i tutorial, un genere che su YouTube ha trovato nuova vita: “ma- nuali per l’uso” che t’insegnano a fare pro- prio tutto. Dal premio Nobel di economia, fi- no a Clio Make up, il fenomeno virale della ra- gazza di Belluno (ma residente a New York) che insegna alle coetanee come truccarsi. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE F U IL PRIMO DEI TRE AD ABBANDONARE la loro creatura, Jawed Karim, e l’u- nico a scomparire, proprio lui che aveva inventato con i diciannove secondi allo zoo più visionati nella storia il mondo di YouTube dove tutto è visi- bile. Tutto, meno che, ormai, lui. Quando Karim, il ragazzo nato nella Ger- mania Est e poi sbarcato negli Stati Uniti, sciolse l’amicizia con i cofondatori di YouTu- be, cominciata lavorando insieme per il ser- vizio di pagamenti in Rete di e-Bay, Pay Pal, e insieme vendettero all’onnivora Google la piattaforma per mettere online ogni sorta di video, Chad Hurley, venuto da un paesino di cinquemila abitanti in Pennsylvania, e Ste- ve Chen, taiwanese americanizzato, resta- rono invece nel brodo primordiale delle nuo- ve tecnologie. Chad e Steve, che era nato a Taipei con il nome di Chén Shìjùn prima di anglicizzarlo per semplicità come tanti asia- tici emigrati negli Usa, crearono nuove so- cietà, ne acquistarono di esistenti, concepi- rono app. Divennero quello che le “incuba- trici” finanziarie erano state per loro: inve- stitori prima che sviluppatori. Ma rimasero, anche quando divennero rivali in affari, in contatto. Chad scherzava dicendo: «Quando avrò fame andrò da Steve, perché da bravo cinese ci sarà sempre qualcosa di buono da mangiare a casa sua». Jawed, “Colui-Che-Vive-nell’Eternità”, nell’antica lingua persiana dalla quale pro- viene il suo nome segnato nel 1979 all’ana- grafe di Merseburg, allora sotto il simbolo del martello e del compasso della Ddr, sem- brò dissolversi nel silenzio. Dal quel giorno di nove anni or sono, quando i tre vendette- ro a Google per un miliardo e 650 milioni quella cosa che avevano creato appena do- dici mesi prima, affiora soltanto per rapide apparizioni. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE FEDERICO RAMPINI VITTORIO ZUCCONI La fabbrica di video più grande al mondo compie dieci anni. Siamo riusciti a entrarci Per scoprire che ora fabbrica anche sogni Dentro You Tube

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la domenicaDI REPUBBLICADOMENICA 1 MARZO 2015 NUMERO 521

Cult

L’attualità.’Ndranghetaieri e oggi,cosìsi diventasgarristaL’officina.DavidBailey,che noiaBlow UpSpettacoli.Intervistaa Jovanotti:“Ho fattoun iper disco”

La copertina. Come sta cambiando l’idea di museoStraparlando. Bernardo Valli: “Io, giornalista inquieto”Mondovisioni. Hong Kong, la patria dell’altrove

NEW YORK

HO VISTO IL FUTURO. E non è un gat-tino che fa le smorfie. Confessoche il pregiudizio era rimasto, inun angolo della mia testa. You-Tube l’ho visto nascere in Ca-

lifornia dieci anni fa. Quando hai conosciutouno da bambino, è difficile liberarti dai ri-cordi iniziali. Su YouTube ho visto passareper anni video dilettanteschi, roba da fartiuna risata e da scordare cinque secondi do-po. L’ho usato a mia volta per ritrovarci spez-zoni di programmi tv, frammenti di concer-ti, magari rubati in barba al copyright.

Preistoria. YouTube è il futuro, e non soloperché lo dicono i numeri. A dieci anni dallasua nascita, e nove anni dopo essere statocomprato da Google per quella che allorasembrò una cifra notevole (1,65 miliardi: og-gi spiccioli), YouTube è ancora un bambinoed è già uno dei Padroni della Rete. La quan-tità di immagini che si riversano su questa

piattaforma dà le vertigini: 300 ore di videovengono aggiunte (“caricate”) ogni minutoche passa. Chi ha tempo per guardare que-sto Big Bang di immagini e musica? Tanti: unmiliardo di utenti al mese. E il numero di orequotidiane che spendiamo per andare a pe-scare informazioni o spettacoli su questo si-to crescono a velocità esponenziale: più 50per cento l’anno da un anno all’altro. Anchel’Italia è stata soggiogata, colonizzata: 20milioni di utenti unici al mese sono un terzodella popolazione nazionale, ottuagenaricompresi; 1,2 miliardi di pagine viste al me-se. Cosa guardate lì dentro? Di tuttoe di più.Di preferenza, in Italia, i tutorial, un genereche su YouTube ha trovato nuova vita: “ma-nuali per l’uso” che t’insegnano a fare pro-prio tutto. Dal premio Nobel di economia, fi-no a Clio Make up, il fenomeno virale della ra-gazza di Belluno (ma residente a New York)che insegna alle coetanee come truccarsi.

>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

FU IL PRIMO DEI TRE AD ABBANDONARE laloro creatura, Jawed Karim, e l’u-nico a scomparire, proprio lui cheaveva inventato con i diciannovesecondi allo zoo più visionati nella

storia il mondo di YouTube dove tutto è visi-bile. Tutto, meno che, ormai, lui.

Quando Karim, il ragazzo nato nella Ger-mania Est e poi sbarcato negli Stati Uniti,sciolse l’amicizia con i cofondatori di YouTu-be, cominciata lavorando insieme per il ser-vizio di pagamenti in Rete di e-Bay, Pay Pal,e insieme vendettero all’onnivora Google lapiattaforma per mettere online ogni sorta divideo, Chad Hurley, venuto da un paesino dicinquemila abitanti in Pennsylvania, e Ste-ve Chen, taiwanese americanizzato, resta-rono invece nel brodo primordiale delle nuo-ve tecnologie. Chad e Steve, che era nato aTaipei con il nome di Chén Shìjùn prima dianglicizzarlo per semplicità come tanti asia-

tici emigrati negli Usa, crearono nuove so-cietà, ne acquistarono di esistenti, concepi-rono app. Divennero quello che le “incuba-trici” finanziarie erano state per loro: inve-stitori prima che sviluppatori. Ma rimasero,anche quando divennero rivali in affari, incontatto. Chad scherzava dicendo: «Quandoavrò fame andrò da Steve, perché da bravocinese ci sarà sempre qualcosa di buono damangiare a casa sua».

Jawed, “Colui-Che-Vive-nell’Eternità”,nell’antica lingua persiana dalla quale pro-viene il suo nome segnato nel 1979 all’ana-grafe di Merseburg, allora sotto il simbolodel martello e del compasso della Ddr, sem-brò dissolversi nel silenzio. Dal quel giornodi nove anni or sono, quando i tre vendette-ro a Google per un miliardo e 650 milioniquella cosa che avevano creato appena do-dici mesi prima, affiora soltanto per rapideapparizioni.

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FEDERICO RAMPINI VITTORIO ZUCCONI

La fabbrica di video più grande al mondo compie dieci anni. Siamo riusciti a entrarciPer scoprire che ora fabbrica anche sogni

DentroYouTube

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vedo coi miei occhi, che affluiscono qui dentro. So-no i futuri Francis Ford Coppola, Martin Scorsese,Woody Allen, Jim Jarmusch o Paolo Sorrentino.Hanno vent’anni, e un fuoco magico addosso. Vo-gliono sfondare nella tv o nel cinema. Sanno giàmaneggiare con perizia telecamere, apparecchifoto, computer. Sono maghi delle tecnologie e nonvogliono passare sotto le forche caudine deinetwork tv o dei potentati del cinema tradiziona-le. Vengono qui a frotte, li vedo sciamare per i cor-ridoi, fermarsi nei workshop, assistere a lezionipratiche, o mettersi direttamente al lavoro per gi-rare dei brevi film, documentari, serie comiche,tutorial.

«YouTube — mi dicono i suoi dirigenti — hasmesso di essere un canale, un semplice conteni-

tore, oggi la parola chiave per noi è: creazione». Illaboratorio al sesto (o quinto? boh) piano del Chel-sea Market, è un luogo dove si fa addestramento: aigiovani creativi viene insegnato ogni trucco delmestiere, per sfornare a gran velocità video di al-tissima qualità professionale. E poi piazzarli al pub-blico infinito che vaga su internet alla ricerca diqualcosa. «La prima fase della nostra storia — di-cono i capi — è servita a democratizzare i contenu-ti; ora vogliamo democratizzare la produzione».Come diventare un regista-produttore-attore disuccesso, senza baciare le pantofole di Mgm, Sony-Columbia, Fox, come si usava una volta? È il mo-dello Silicon Valley: sii imprenditore di te stesso, seHollywood non ti assume devi crearti una start up

In principio furono i video.Oggi la piattaforma acquistata da Googleattira i Coppola e gli Scorsese di domani.Che per imparare a fare fictionvanno a New York. Al quinto piano (oppure sesto?) del Chelsea Market

la Repubblica

DOMENICA 1 MARZO 2015 32LA DOMENICA

2012THE SCREAMING SHEEP

10.798.913 VISUALIZZAZIONI

2013EMOTIONAL BABY!

36.282.283 VISUALIZZAZIONI

2014ARNOLD WORKS AT GOLD’S

18.296.945 VISUALIZZAZIONI

2013DO THE HARLEM SHAKE

53.105.069 VISUALIZZAZIONI

2014BILL GATES ALS ICE BUCKETCHALLENGE

21.239.772 VISUALIZZAZIONI

2015TESLA P85D INSANE MODE

4.430.475 VISUALIZZAZIONI

2014KLM LOST & FOUND SERVICE

18.198.043 VISUALIZZAZIONI

2015ALLARME SAN VALENTINO -UN ANNO DOPO

162.579 VISUALIZZAZIONI

2014THE DANCING TRAFFIC LIGHT

10.006.447 VISUALIZZAZIONI

2015MISSY ELLIOT TRIBUTE,THE REAL ALYSON STONER

12.493.899 VISUALIZZAZIONI

La copertina. Dentro YouTube

2005ME AT THE ZOO

18.578.347 VISUALIZZAZIONI

2006THE SNEEZING BABY PANDA

216.410.982 VISUALIZZAZIONI

2006STAR WARS KID 2006

30.057.609 VISUALIZZAZIONI

2006ZIDANE HEADBUTTS MATERAZZI

5.481.651 VISUALIZZAZIONI

2007SHOES-THE FULL VERSION

55.226.877 VISUALIZZAZIONI

che aggiri il vecchio establishment. Alcuni registigià affermati hanno i piedi in due staffe, non si samai: Guillermo del Toro lo vedi spesso da questeparti, sta allevando la sua nidiata di giovanissimiseguaci.

Basta avere un canale su YouTube, e almeno cin-quemila abbonati (gratuiti), per poter affittarequesto spazio a ore. La soglia è più bassa per iscri-versi ai corsi. Se hai vent’anni e vuoi raggiungere ilpubblico dei tuoi coetanei, this is the place to be,questo è il posto dove devi essere. I tuoi coetanei na-vigano su YouTube mentre non sanno più cosa siaun televisore: è un elettrodomestico che sta in casadei genitori. Cinquantamila giovani sono già pas-sati in questo laboratorio per seguire corsi di for-mazione. Altri ventiquattromila a Tokyo. Poi c’èquello di San Paolo: i brasiliani sono scatenati, unodei popoli più creativi su YouTube. Questo ecosi-stema audiovisivo cresce a una velocità così for-sennata, che un pezzo del vecchio establishmentsente di doverci essere. Con YouTube si sono asso-ciati gruppi come il network televisivo Cbse la Bbcinglese. Non si sa mai: meglio non rischiare di per-dere i contatti con un’intera generazione.

Il racconto della mia visita non sarebbe com-pleto, senza un momento d’imbarazzo. Mi pre-sentano alcuni creativi, autori di serie comicheesilaranti. Il mio favorito è Paul Gale. Interpretale disavventure di un giovane single, sfortunatis-simo con le ragazze. Oppure s’inventa il perso-naggio di un cameriere di Starbucks che al mo-mento di scrivere i nomi dei clienti sulle tazze (ri-to che potete capire solo se siete stati in America,ndr) li storpia sistematicamente per osservare lereazioni. Il clima è ironico, gioioso. Si raffredda so-lo quando ai creativi viene chiesto quanto guada-gnano. Hanno milioni di seguaci, dunque afflui-sce la pubblicità. Ma nelle loro tasche ne arrivauna parte, non esaltante.

La grotta di Alì Babà esiste, l’ho vista coi mieiocchi. Le chiavi del tesoro le tiene in pugno suamaestà YouTube.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Benvenutia HollyTube

<SEGUE DALLA COPERTINA

FEDERICO RAMPINI

INAMERICASIAMOGIÀSUUNALTROPIANETA, su una dimensione diversa. YouTube fa tremare Hol-lywood. È nella creazione di serie, di comedy show, che la piattaforma digitale nata nella Si-licon Valley si candida a diventare il vero rivale della majors situate un po’ più a sud, a LosAngeles. Per capirlo dovevo riuscire a introdurmi negli studios di YouTube — primo gior-nalista italiano a “profanare” questo santuario. Ci ho messo un po’ a trovarlo. Il laboratoriodel nostro futuro è ben nascosto. Come insegnano i migliori thriller di spionaggio, se vuoiessere invisibile devi stare nel luogo più esposto, in mezzo alla folla. Il Chelsea Market, peresempio, brulicante di turisti a tutte le ore. YouTube (come suo fratello GoogleLab) sta pro-prio lì. Ma raggiungerlo… Le istruzioni che mi vengono mandate dall’interno suonano così:“Un po’ come il binario 9 e 3/4 di Harry Potter, ci arrivi solo se sai bene cosa fare… Una voltadentro al Chelsea Market cerca il Caffè 9th Street Espresso, sta vicino a una fontana. Là tro-verai anche questo ascensore, premi il piano 6… anche se YouTube è segnata al 5°”.

Caccia al tesoro, dunque, ma di un vero tesoro si tratta. La grotta di Alì Babà, mascherata da stazio-ne spaziale della Nasa. Una volta penetrato nello YouTube Space di New York (secondo al mondo perdimensioni, dopo quello di Los Angeles), scopro una miniatura dei grandi studios delle majors hol-lywoodiane. Ventimila metri quadrati. Tecnologie da fantascienza, i soli cavi a fibre ottiche che da que-sto laboratorio connettono e trasportano immagini, sono lunghi centottantasette volte l’Empire StateBuilding. Più delle grandezze colpisce la miniaturizzazione, perché lo consentono le tecnologie: le sa-lette di registrazione mi ricordano altrettante newsroom delle grandi tv americane come quella Fox-News che frequento, solo più in piccolo. Il gigantismo è virtuale. Gli spazi di lavoro replicano, come aHollywood o un tempo a Cinecittà, scenari tipici per film e serie televisive: c’è il Diner newyorchese do-ve hanno ambientato tanti dialoghi delle sitcom, la boardroom dove si riunisce un consiglio d’ammini-strazione di banchieri di Wall Street, perfino una camera mortuaria con bara già pronta. Anche le toi-lette sono pensate — e utilizzate — per girarci delle scene video. Ma chi usa tutto questo bendiddio? Li

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la Repubblica

DOMENICA 1 MARZO 2015 33

2012PSY’S GANGNAM STYLE

2.255.324.485 VISUALIZZAZIONI

2012PULCINO PIO (RADIO GLOBO)

107.172.407 VISUALIZZAZIONI

2011TWIN BABY BOYS

114.807.503 VISUALIZZAZIONI

2010HOW TO TRICK PEOPLE INTOTHINKING YOU’RE GOOD LOOKING

60.644.467 VISUALIZZAZIONI

2010DOWN ON ME (KEENAN CAHILLAND 50 CENT)

51.564.272 VISUALIZZAZIONI

2009THE ANNOYING ORANGE

162.368.647 VISUALIZZAZIONI

2009NO PANTS SUBWAY RIDE

20.198.784 VISUALIZZAZIONI

2009SUSAN BOYLE

165.471.022 VISUALIZZAZIONI

2008GEORGE BUSH SHOE ATTACK

5.024.472 VISUALIZZAZIONI

2008MARIO KART (RÉMI GAILLARD)

62.329.706 VISUALIZZAZIONI

2009SURPRISED KITTY

75.127.348 VISUALIZZAZIONI

2009EVIAN ROLLER BABIES

78.569.751 VISUALIZZAZIONI

2007SCHMIDT’S KEYBOARD CAT!

38.990.388 VISUALIZZAZIONI

GLI UTENTI UNICIAL MESENEL MONDO

IL VIDEO DI PSY“GANGNAM STYLE”CON PIÙDI DUE MILIARDIDI VISUALIZZAZIONIÈ STATO IL PIÙ VISTONELLA STORIADI YOUTUBE

È STATO L’AUMENTODEL NUMERODI ORE AL GIORNOPASSATE SUL SITORISPETTO AL 2014NEL MONDO

FONDATORI

A DESTRA STEVE CHEN E CHAD HURLEYCON JAWED KARIM (A SINISTRA)COFONDATORI DI YOUTUBE

MULTIMEDIA

SUL SITO DI REPUBBLICAUNA FOTOGALLERY DEL YOUTUBESPACE DI NEW YORK E I VIDEOCHE FANNO DA CORNICE A QUESTEPAGINE. DOMANI SU REPTV NEWS(ORE 13.45 E 19.45, CANALE 50 DTE 139 SKY) IL VIDEO RACCONTODI FEDERICO RAMPINI

OGNI MINUTONEL MONDOVENGONO“CARICATE”SU YOUTUBE300 ORE DI VIDEO

TANTO DURA,SOLO 19 SECONDI,“ME AT THE ZOO”,IL PRIMO VIDEOPOSTATOSU YOUTUBEDA UNODEI SUOIFONDATORI,JAWED KARIM

300 h1 MLD

19‘‘

© RIPRODUZIONE RISERVATA

2010HISTORIC FLASHMOBIN ANTWERP TRAIN STATION

19.048.329 VISUALIZZAZIONI

2011ULTIMATE DOG TEASE

166.996.372 VISUALIZZAZIONI

piccola, rispetto agli altri due che sparecchiaronoquasi trecento milioni a testa, e minore ancherispetto alla Sequoia Capitals, la finanziaria che avevasovvenzionato con centomila dollari l’idea diYouTube ricavandone 400 milioni. Quel 23 aprile didieci anni fa Jawed mise in Rete l’equivalentecybervideo del messaggio di Gugliemo Marconi sullecolline bolognesi. Nei diciannove secondi di Me at theZoo il giovane tedesco-bengalese pronunciava alcunefrasi storiche: «Ecco, sono allo zoo davanti aglielefanti, che hanno un naso, una proboscide davveromolto lunga, e che è proprio cool».Il silenzio e l’assenza dell’uomo che segnò con ilproprio volto, e il proprio ingenuo commento suglielefanti, il Natale di YouTube, potrebberonascondere il fastidio per quella creatura divenutaparte di un impero commerciale che si traveste dalibera piattaforma creativa, mentre esiste pergenerare profitti. Anche se ancora non enormi, vistoche nei bilancio Google le attribuisce soltanto — tuttoè relativo — 200 milioni di dollari di rendimento. Larapidità della noia che assale con la stessa forza dellagenialità i nuovi astri della creatività possonospingere al rifiuto, ad accontentarsi di avere segnatol’effimera eternità del Web con il suo primo Videonella Genesi. Sempre che, secondo la logicadarwiniana del tempo, Colui che Vive in Eterno nonstia già lavorando a qualche nuovo progetto chedivorerà anche la propria creatura.

<SEGUE DALLA COPERTINA

VITTORIO ZUCCONI

ACCETTÒ DI TENERE UN DISCORSO di fine annoai laureati in quella universitàdell’Illinois dove, come tanti di questiinventori del nuovo mondo, come Jobs,Gates, Zuckerberg, non era arrivato alla

laurea, ma dove sarebbe tornato per finire gli studi. Sifece poi sentire con un post acidissimo contro quellaGoogle che aveva pagato una fortuna per assorbireYouTube, quando lanciò obbligatoriamente Google+per fare commenti ai video: «Ma perche c...o devousare proprio Google per commentare?». Segnale diovvia irritazione per la prepotenza montante deiSignori della Rete. E poi null’altro. Non risulta che siaancora in contatto con gli amici e compagni di lavorocon i quali aveva concepito la piattaforma che hapromesso, e forse manterrà, il sogno di fare di tutti unnuovo Tarantino, il prossimo Spielberg o il nuovoMurrow che riprenderà la Storia con uno

smartphone. Chad l’americano vive sempre in California, nonlontano dal locale sopra una pizzeria e un sushibar dove con gli altri due aveva smanettato pergenerare YouTube. Steve il cinese ha portato la

moglie coreana e la famiglia in Inghilterra. E seJawed, orgoglio del Bangladesh, il vanto di

comunità musulmane che lo celebrano dando perscontato — senza saperlo davvero — che anche lui

sia un fedele, dovesse avere fame, non avràcomunque bisogno di andare in Inghilterra o

in California. La sua porzione nella venditaall’oggi detestato Google valeva, già almomento della cessione nove anni orsono, 65 milioni di dollari, più cheabbastanza per garantire il restodell’esistenza anche a un uomo che alloraaveva ventisette anni. Fu la quota più

“Me at the Zoo”che preferìtornare invisibile

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MAZZINI GARIBALDI LA MARMORA

la Repubblica

DOMENICA 1 MARZO 2015 34LA DOMENICA

Lo sgarristaÈ una delle “doti”,cioè delle caricheall’interno della gerarchia, cui si puòaccedere solodopo un crimine di sangue

Il localeIn questo“pizzino”sequestrato aTorino nel 2011,si descrive il ritodel battesimo.Innanzituttosi battezza il “locale”, cioè la cellula(almeno 49 affiliati)“purificandola”da presenzeestranee

Il memoriale Antonino Belnome, ex calciatore calabrese del Teramo, fu iniziatoa Giussano in Brianza, entrando nell’organizzazione criminale.Arrestato nel 2010, ora collaboratore di giustizia, ha scritto nel primo anno di detenzione un lungo memoriale di 49 pagine. Questa è la prima, in cui diffida i ragazzi viciniall’affiliazione, definiti in gergo “giovani in fiore”o “contrasti onorati”, a proseguire su questa strada

GIUSEPPE BALDESSARRO

LI “BATTEZZANO” NEI CASOLARI DI CAMPAGNA, in carcere, nelle pe-riferie metropolitane. A San Luca o a Toronto, a Gioia Tau-ro o a Berna ancora oggi tagliano loro “la coda” ricordando“i cavalieri Osso, Mastrosso e Carcagnosso”. Poi li promuo-vono “nel nome di Mazzini, Garibaldi e La Marmora”. Giu-rano, citando conti e condottieri, di rinnegare anche la ma-dre e fratelli, di ucciderli se necessario. Lo fanno mentremandano a memoria goffe litanie. Ma sarebbe un errorepensare che tutto questo sia folklore perché, per dirla con leparole di Enzo Ciconte, tra i massimi esperti della materia,«la ‘ndrangheta è una, ed è questa»: quella che pur muo-vendosi come la più moderna delle holding, a Reggio Cala-

bria come a New York, mantiene vivi i suoi codici più arcaici.Secondo l’ultima relazione dell’Antimafia nazionale la ‘ndrangheta è in continua

espansione. Si è già ”presa” la Lombardia, il Piemonte, l’Emilia, la Liguria, il Lazio. Isuoi boss, che siano killer o manager in doppio petto, sono presenti in tutte le regioniitaliane e in gran parte dell’Europa e sono stabilmente insediati in tutti e cinque i con-tinenti. Nel 2009 i poliziotti reggini attaccati all’altro capo delle microspie piazzate nel-

gnoli. Perno dell’inchiesta è il tentativo di realizza-re sulle coste calabresi 17 villaggi turistici da 1.343unità immobiliari. Un affare da 450 milioni di euro,finanziato attraverso società e fiduciarie con sede inSpagna e nella City di Londra.

“Picciotti”, “sgarristi di sangue”, “mastri di gior-nata”, “capi giovani” e “boss”. Dalle indagini, daiprocessi e dagli studi più recenti emerge un dedalodi cariche che costituiscono la scala gerarchica del-l’organizzazione. Giuramenti, formule e codici perpastori e commercianti, politici e professionisti,analfabeti e laureati. Tutti i “battezzati” si mettonoin cerchio e quando il “circolo è formato” recitano:“Prima della famiglia, dei genitori, dei fratelli, dellesorelle viene l’interesse e l’onore della società, essada questo momento è la vostra famiglia e se com-metterete infamità, sarete punito con la morte. Co-me voi sarete fedele alla società, così la società saràfedele con voi e vi assisterà nel bisogno…”. Si mor-morano litanie mentre il dito o il polso viene inciso e

la lavanderia del boss Giuseppe Commisso, detto “Umastru”, registrarono la voce di un certo Tony. L’uo-mo parlava uno slang strano, un misto tra dialetto e

italiano con la cadenza ti-pica di chi ha vissuto pertanti anni all’estero.Chiedeva consigli su co-me mantenere la pacetra “famiglie”. Si scoprìpoi che Tony era Dome-nico Antonio Vallelon-ga, ex sindaco di Stir-ling, a due passi daPerth, capitale del We-stern Australia. A Locri,in Calabria, è in corso un

processo che vede alla sbarra i capi delle famiglieMorabito di Africo e Aquino di Marina di Gioiosa Jo-nica. Con loro c’è anche Henry James Fitzsimons, exterrorista dell’Ira e una serie di imprenditori spa-

La ’ndranghetapungiuto

Il fiore È il simbolodell’uomod’onore

I cavalieri Il giovane vienebattezzato nel nome dei tremitici capostipitimafiosi, i cavalierispagnoli Osso,Mastrosso e Carcagnosso,anticamentechiamatianche Misgizzi,Minofrioe Misgarrocomenel “pizzino”

La cerimonia Il ritualedel battesimo,dopola benedizionedel “locale”,proseguecon la formazionedel “cerchio”

Le citazioniNelle formuleritualidi affiliazione si fa riferimentoanche a Mazzini,Garibaldie La Marmora

TUTTI IN CERCHIORECITIAMOANTICHE

LITANIE MENTREIL DITO VIENE INCISOE UNA GOCCIADI SANGUE CADESUL VISODI SAN MICHELEARCANGELO...

L’attualità. Pizzini connection

e il managerCome e perché la più modernadelle mafie è anche la più arcaica

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la Repubblica

DOMENICA 1 MARZO 2015 35

una goccia di sangue cade sull’immagine di San Mi-chele Arcangelo che brucia. Un santino come quel-lo trovato in tasca a Tommaso Venturi, diciotto an-ni, assassinato a ferragosto del 2007 con altri cinquecalabresi di San Luca davanti al ristorante “Da Bru-no” a Duisburg, in Germania. Dopo la strage saltòfuori un rapporto dei Servizi segreti tedeschi secon-do cui la ’ndrangheta aveva appena investito 90 mi-lioni di euro “nell’acquisto di alberghi, villaggi turi-stici e case soprattutto in Turingia, Sassonia e sullacosta orientale del Mare del Nord”. Gli 007 davanoper certo anche l’acquisto di pacchetti azionari allaBorsa di Francoforte. Le cosche si erano già messe intasca partecipazioni di Gazprom, monopolista delgas naturale in Russia, di cui anche il gruppo tede-sco E. On-Ruhrgas possedeva all’epoca una quotadel 6,4 per cento.

Tradizione e modernità delle ‘ndrine sono faccedella stessa medaglia. Non può esistere l’una senzal’altra. Dai giuramenti sono passati gli uomini che

poi sono andati a sedere ai tavoli dei narcos suda-mericani e delle mafie russe, ma anche dell’indu-stria, delle istituzioni dello Stato e della finanza.Tutt’ora, racconta Ciconte nel suo ultimo saggio inuscita nei prossimi giorni, codici e riti sono per gli af-filiati «l’ideologia, la motivazione per potersi pre-sentare all’esterno con un biglietto da visita diver-so da quello di ladri, assassini e narcotrafficanti». Iclan hanno la loro Costituzione quando sparano,quando trattano tonnellate di cocaina in Colombiao acquistano le azioni della City. Basta scorrere glielenchi degli imputati nei processi che si stanno ce-lebrando di tutta Italia per trovare medici, inge-gneri, avvocati, imprenditori, manager, magistra-ti, esponenti delle forze dell’ordine, massoni, politi-ci e amministratori. Accanto a loro, killer e spaccia-tori, usurai e trafficanti d’armi. ‘Ndrangheta deipungiuti e dei colletti bianchi. Una cosa sola, mo-dernissima e antichissima, allo stesso tempo.

È soltantoil vestitoche cambia

Il codiceA ogni segnocorrisponde una letteradell’alfabeto:è il codiceper cifrarei messaggiritrovato dalla polizia a Roma in casa del killerGianni Cretarola,arrestato 2013:suo il “pizzino”qui soprapubblicato

ATTILIO BOLZONI

UELLO CHE VERAMENTE CONTA per loroè la “tradizione”. Intesa come mododi vivere, come fedeltà a certivalori. Uno dei più famosi capi dellemafie italiane di tutti i tempi,

Giuseppe Bonanno soprannominato Joe Bananas,nato a Castellammare del Golfo (Sicilia) il 18gennaio 1905 e morto a Tucson (Arizona) il 12maggio del 2002, ci ha lasciato un epitaffio: «Sononato in un mondo che aveva una sua tradizione,tra gente a cui l’esperienza aveva insegnato acoltivare alcuni principi. Questa tradizione era ilfiore della nostra cultura, ci indicava le cose giustee le cose sbagliate». Tradizione nell’intimità e nelmistero, di padre in figlio per secoli. La forza delle mafie — se ne parla come diun’emergenza nazionale da almeno un secolo emezzo, cioè da quando è nato lo Stato italiano — ènella loro capacità di adeguarsi alle trasformazionidella nostra società, di essere sempre se stesse masempre modificandosi alla bisogna. Continuità ecambiamento. Mutare senza snaturarsi:mantenere la tradizione. Non deve allorasorprendere il bacio in bocca fra due giovaniuomini d’onore della borgata di Altarello di Baidache poi si travestono in uomini d’affari trattandocon banchieri o monsignori, non può meravigliarela miserabile esistenza su una fiumara

Il santinoUn’immagine sacra di San Michele Arcangelo:viene bruciata sulla pelle dell’iniziatoperché guariscasimbolicamenteogni ferita

La formulaLa traduzionedel testoqui a fiancoriprodottoe scrittocol codice(vedi sotto) della “onoratasocietà”- Buon vesprosaggi compagni - Buon vespro- Siete conformisu di chea battezzareil locale e formaresocietà? - Conformissimi- A nome dei nostri trevecchi antenatiio battezzoil locale e formosocietà comebattezzavano e formavano i nostri tre vecchiantenati se lorobattezzavanocon ferri catene e camicie di forzaio battezzoe formo con ferricatene e camiciedi forza...

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S. MICHELE ARCANGELO

Q

d’Aspromonte del capo-bastone che poi si rivelasocio di un commercialista di Sidney o di unbroker di Rotterdam. È questa l’essenza piùprofonda della mafia, sia ‘Ndrangheta sia CosaNostra. Da quando era rurale per poi diventareurbana, dai campieri ai cantieri, passando perdroga e finanza, appalti e grandi opere.All’apparenza sembra un’altra cosa ma è sempreuguale. Solo con un vestito diverso. Anche l’ideologia che professa all’esterno siadatta alle evoluzioni politiche e sociali. Fino a unaquarantina di anni fa, in Italia la mafia eraconsiderata quasi uno “stato d’animo” di siciliani ecalabresi e sull’isola semplicemente “nonesisteva”. N’è passato di tempo. Dalla “mafia nonesiste”, oggi tutti fanno a gara a dire che “la mafiafa schifo”. È uno slogan furbo e lungimirante,dettato dalla necessità di sopravvivere. «La mafiafa schifo», grida Totò Cuffaro da governatore dellaSicilia poco prima di finire in carcere per averefavorito la mafia. «La mafia fa schifo», urla in aulaFrancolino Spadaro, boss della Kalsa mentre ilgiudice lo condanna per mafia. La mafia fa schifo èuna battuta che piace a tutti. Anche ai mafiosi. Sì,proprio quelli che continuano a pungersi conantica cerimonia il polpastrello dell’indice dellamano destra (quella che spara) o a baciarsi inbocca ma senza lingua. E a quegli altri piùprofumati, pettinati e politicamente corretti chesono i loro complici.La mafia, ve l’abbiamo appena detto, ha bisognodi conformarsi pienamente a ogni epoca, sentirsidentro a ogni momento della storia. Come lo fa inquesti anni? Nascondendosi dietro gli slogan deipropri nemici. È una mafia che ha scoperto ilvalore dell’antimafia. L’antimafia è oramai uncapitale anche per lui, il mafioso che rispetta latradizione ma che deve stare al passo con il mondoche ha intorno. Così è nato il mafioso antimafioso.

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IL LIBRO

DUE MANI CHE SI STRINGONO,UN SANTO E UN DITO INSAGUINATO:IL DISEGNO DI ALBERTO GIAMMARUCO(HANAUG DESIGN) CHE ILLUSTRAQUESTE PAGINE È ANCHELA COPERTINA DEL LIBRO“RITI CRIMINALI, I CODICIDI AFFILIAZIONE DELLA ’NDRANGHETA”DI ENZO CICONTE, EDITODA RUBBETTINO, IN LIBRERIADAL 20 MARZO (152 PAGINE, 12 EURO)

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la Repubblica

DOMENICA 1 MARZO 2015 36LA DOMENICA

MILANO

L’ISTINTO DEL BAD BOY è ancora intatto, negli occhi in-dagatori, nei candidi capelli arruffati, nell’alle-gra e goliardica franchezza con cui si racconta, inquegli ampi jeans scoloriti, negli stivaloni da cow-boy, nella camicia a scacchi. E in quella risata ge-nerosa e provocatoria che a intervalli regolari ri-suona dentro l’ampio e luminoso spazio del Pac diMilano, dove oggi si inaugura Stardust, la mostradedicata ai suoi ritratti. David Bailey è più giova-nile e dinamico degli autoritratti in cui si mostracome un decrepito Truman Capote. Ha settanta-sette anni e oltre mezzo secolo di carriera da esi-

bire, non solo per aver incorniciato la swingin’ London con un’inedita attitu-dine rock’n’roll, ma per aver prepotentemente canalizzato l’energia dellanuova cultura nei fashion magazine e nell’establishment, immortalando in uninconfondibile look casual-cool Beatles e Rolling Stones, Jean Shrimpton e Ka-te Moss, Michael Caine e Terence Stamp, gli aborigeni della Papua Nuova Gui-nea e i Sadhu indiani, Man Ray e Salvador Dalì, Andy Warhol e la regina Elisa-betta (per i suoi ottantotto anni).

«Quando per la prima volta ebbi in mano una macchina fotografica ogni co-sa era per me un soggetto interessante, prima di tutto le persone; viso, trucco,taglio di capelli, abbigliamento sono immediatamente il segno di un’epoca. Dipanorami ne ho fatti tanti, più che altro per diletto. Ho bisogno di parlare con isoggetti, non riesco a parlare con un albero o un prato o un fiore», dice scop-piando in una contagiosa risata mentre suggerisce gli ultimi aggiustamentinella sezione intitolata East End, immagini del suo quartiere, lo stesso di Hit-chcock, scattate negli anni Sessanta, a ribadire con fierezza la sua estrazioneproletaria — Bansky di una metropoli tutt’altro che swingin’ quando ci si al-lontanava da Carnaby Street. Ordina un caffè, lo gira con la stanghetta dei buf-fi occhiali da presbite. «Da piccolo dipingevo, scarabocchiavo. Avevo tredici an-ni quando il professore di scienze, un emerito cretino, cominciò a farmi svilup-pare delle pellicole. Ecco da dove vengo, non ho imparato niente a scuola. A se-dici anni due ragazzi del quartiere che frequentavano l’Accademia delle bellearti mi fecero scoprire Picasso; fino a quelmomento avevo solo dipinto scene dell’uni-verso Disney — con un disegno di Bambi vin-si anche un premio a tredici anni. Poi sa co-me sono gli adolescenti, volubili; a un certopunto mi misi in testa di suonare la trombacome Chet Baker. Ero incantato dalle fotoche gli aveva scattato William Claxton. Sot-to le armi, tutti i miei compagni avevano lepin up appese al muro, io un Picasso del pe-riodo africano».

Si sofferma davanti a un bianco e nero del‘61: tre bambini in uno scenario postbellico.«Ricordo ancora i bombardamenti, le lun-ghe ore trascorse nel rifugio. Non avevoaspettative, un ragazzo dislessico e conquel terribile accento dell’East End partegià svantaggiato, mi scambiavano per unimmigrato. Quando cominciai a pubblica-re, gli editori chiamavano a casa e dicevano:per favore può riferire al signor Bailey chele foto ci sono piaciute? Anche quando dis-si a mia madre che volevo fare il musicistalo feci senza convinzione, sapevo che almassimo sarei diventato un autista di tram.Mio padre non è mai riuscito a credere chesi potesse far soldi con la fotografia. Nonl’ho mai visto leggere un libro. Era un uomotutto d’un pezzo, drink and fuck, fuck anddrink. Anni difficili, bisognava avere la pel-le dura per sopravvivere».

Immagini diverse da quelle che lo hannosantificato sull’altare della moda, in queglianni Sessanta in cui era fotografo e tombeurde femmes, capellone accanto a Twiggy, Pe-nelope Tree e Marianne Faithfull, mod fa-

scinoso durante la celeberrima fuitina newyorchese con Jean Shrimpton (checulminò in un memorabile reportage), quando a quelli di Vogue disse: «Se vo-lete me, dovete prendere anche lei», e “gamberetto”, come la chiamavano, di-ventò la prima top model dell’era moderna, riverita persino dalle maison d’Ol-tremanica. Fino al matrimonio con Catherine Deneuve nel 1965 (seconda diquattro mogli, dal 1986 è sposato con la modella Catherine Dyer, ventitrè annipiù giovane), naufragato, dice in uno di quei momenti di irrefrenabile buonu-more, per insormontabili barriere linguistiche. «La chiamata di Vogue mi sem-brò strana, non ero interessato al mondo della moda, anzi, ne ero infastidito. Ac-cettai con riluttanza, misi subito in chiaro che avrei fatto a modo mio. Non mi èmai piaciuta l’attitudine di Condé-Nast: un fotografo diventa geniale e gli dedi-cano una retrospettiva di sei pagine solo da morto. Noi inglesi siamo degli ipo-criti, abbiamo di buono solo il senso dell’umorismo. Al contrario ho adorato la-vorare per Vogue Italia alla fine degli anni Sessanta e per il Sunday Times».

Vaga con lo sguardo sulla parete affollata dalle immagini più antiche, ricordale lunghe ore trascorse al cinema, due spettacoli al giorno, cinque volte a setti-mana: «Quel che c’era da sapere l’ho imparato da John Huston e Orson Welles,dal cattivo gusto di Fellini e dalla raffinatezza di Visconti, da Howard Hawkes eBilly Wilder. Ma quando il mio amico Charlie mi fece conoscere Picasso non ci fupiù posto per nessuno». Da quel momento il pittore è diventato il metro per mi-surare la genialità («Dylan? Il Picasso della musica»). Lo entusiasma meno l’i-dea di essere associato a Blow-Up, il film di Antonioni del 1967. «È una storia lun-ga e noiosa», sbuffa. «In realtà non fu un’idea di Michelangelo ma di Carlo Pon-ti. Due produttori che a stento parlavano inglese vennero a cercarmi negli studidi Vogue. Mi dissero: ci piace la sua faccia, il suo stile è perfetto, la vorremmo inun film. Risposi: sono dislessico, non riesco neanche a memorizzare un numerodi telefono figuriamoci un copione. Non si fecero più vivi. Solo anni dopo il gior-nalista Francis Wyndham, con cui all’epoca stavo preparando il libro Box of Pin-Ups, mi confessò di aver scritto per Antonioni più di duecento pagine sulla Lon-dra dell’epoca e sui fotografi di moda, ispirandosi a me. Spero non me ne vorrai,disse. E io: no, mi spiace per te che hai contribuito a un film tediosissimo, sba-gliato anche nei costumi: David Hemmings era troppo vistosamente middleclass, Michael Caine o Terence Stamp sarebbero stati perfetti. Andai a vederlocon Catherine Deneuve, uno sbadiglio dietro l’altro».

La verve del fotografo è formidabile. Ila-rità, ironia, sarcasmo. Ne ha per tutti. Laswingin’ London? «Divertente per quellecinquecento persone che ne facevano parte,i minatori scozzesi neanche se ne accorsero.Ebbi la fortuna di conoscere alcuni dei pro-tagonisti ben prima che diventassero famo-si, Jagger, Caine, Stamp. Oltre a Brian Duffye Terence Donovan, gli altri due fotografidell’epoca con l’accento da borgatari comeme». Jean Shrimpton? «La incrociai nellostudio di un amico, mi disse: lascia stare ètroppo chic per te». Le top model? «Solo Jeane Kate Moss hanno la iconica magia di Garboe Dietrich. Lauren Hutton forse, Christy Tur-lington forse». Lo star system? «Quando siscatta tutti fuori: stilisti, pubblicisti, segre-tarie... in studio solo io e la mia équipe». Vo-gue? «Diana Vreeland è stata una delle miemigliori amiche per quindici anni, ma non leho mai permesso di interferire, loro voglio-no sempre che tutto sia perfetto, ritocche-rebbero anche Monna Lisa». Ritratti diffici-li? «I cannibali di Papua Nuova Guinea; scat-tai delle polaroid, gliele mostrai, gli diederoun’occhiata e le scaraventarono in terra, cre-devano fosse uno specchio rotto. Un tipicomomento alla Marshall McLuhan». L’India?«Affascinante ma non mi ha cambiato la vi-ta. I masturbate, don’t meditate (mi ma-sturbo, non medito)». Il soggetto ideale?«David Bowie». Uno scatto mancato? «FidelCastro. Tina Brown e io ci abbiamo provatoe riprovato, alla fine volevano che restassisei mesi all’Avana. Fanculo».

LA MOSTRASI INAUGURAOGGI AL PAC

DI MILANO(PADIGLIONE

D’ARTECONTEMPORANEA,

VIA PALESTRO),CON LA

COLLABORAZIONEDI TOD’S,

LA MOSTRA“BAILEY’S

STARDUST”COMPOSTA

DA 300 RITRATTIDEL FOTOGRAFO

INGLESE (FINOAL 2 GIUGNO).

NELLA FOTOAL CENTRO,

DAVID BAILEYIN UN AUTOSCATTO

DEL 2013.NELLA PAGINA

ACCANTODA SINISTRA

IN SENSO ORARIO:THE KRAY

BROTHERS (1965);KATE MOSS (2013);

SALVADOR DALÍ(1972); MICHAEL

CAINE (1963);DIANA VREELAND

(1967); CATHERINEBAILEY

CON LA FIGLIAPALOMA

A PRIMROSE HILL,LONDRA (1967);

CATHERINEBAILEY, DEVON

(1997);ANDY WARHOL

(1965);ANNA PIAGGI

(2002)

David Bailey

L’officina. Bad boy

GIUSEPPE VIDETTI

È il fotografo che ispirò Blow Up (“vidi il film con la mia prima moglie,la Deneuve, due ore di sbadigli”)e che ha fatto fortuna grazie al fashionsystem (“tutta gente che se potesse ritoccherebbe anche Mona Lisa”)

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Mai esistitaLa swingin’ London?

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la Repubblica

DOMENICA 1 MARZO 2015 37

A questo sarcastico settantasettenne Milano dedica una grande mostracoi suoi ritratti più celebri. Dai cannibali della Nuova Guinea a Kate Moss“Mi manca solo Fidel. Ma voleva che aspettassi sei mesi all’Avana. Fanculo”

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periodo di sofferenza, perché tenere un di-sco nel cassetto non fa per me. Io appena unlavoro è finito lo pubblicherei immediata-mente. E immagino che nel futuro sarà dav-vero così: canzoni pubblicate il giorno dopoche sono state scritte».

Il disco, come concetto, non esiste più?«Esiste come fatto industriale innanzitut-

to, la casa discografica ha bisogno di quellacosa lì, ragiona con quel tipo di filiera. Io neho ancora bisogno per una fatto generazio-nale, perché sono cresciuto con i dischi.Quindi entro ancora in studio per fare un di-sco, prevedo del tempo in cui dalla mattinaalla sera sono lì e realizzo quello che ho pro-gettato prima. Fare un disco è come fare unfilm, c’è una preparazione, una program-mazione, una fase di scrittura e poi la realiz-zazione, che cambia ancora una volta tuttoquando sei in studio. Io non faccio dischi sulcomputer, se facessi musica elettronica sa-rebbe diverso, potrei fare come quelli dellatrap, musica che si fa negli alberghi o nei pul-lman, ovunque, senza le jam session con imusicisti che faccio ancora io».

Certo è che la varietà del nuovo albumsembra rispecchiare anche la voglia diproporsi senza dover indicare, o sceglie-re, un unico Jovanotti.«Forse, sì. Di certo ho scelto di togliermi di

dosso l’ansia di essere per forza innovativo,come fossi Björk. E allora mi sono permessodi fare anche un pezzo funk, e una ballatacompletamente acustica. Perché non volevofare il disco più innovativo del mondo maquello in cui c’era anche una canzone con ifiati, e con la band che suona in diretta, e coni batteristi veri. Volevo tornare, anche, alsuono della band che suona in studio. E poiinsomma: perché fare una cosa sola quandose ne possono fare tante?».

Ad esempio perché altrimenti si rischia diesagerare?«No se l’esagerazione è fatta apposta.

la Repubblica 38LA DOMENICA DOMENICA 1 MARZO 2015

Spettacoli. Extralarge

Trenta canzoni in un album: “E allora?Perché farne una quando ne posso faretante?”. Lorenzo Cherubini raccontail suo nuovo disco e la sua vita:“Un inno a modernità e abbondanza”

ERNESTO ASSANTE

MILANO

VENERDÌ SCORSO È ARRIVATO NELLE RADIO UN NUOVO SINGOLO, Gli im-mortali, il secondo tratto da Lorenzo 2015 CC, ultimo albumdi Jovanotti. Domani, su Jova Tv, il canale internet dell’arti-sta, arriverà il video. Con un’inedita possibilità per il pubbli-co che, per circa dieci giorni, potrà montare in diretta un vi-deo personalizzato utilizzando un software, Interlude, giàsperimentato da artisti come Bob Dylan e Coldplay, sce-gliendo di utilizzare le immagini di cinque versioni differen-ti del clip. «L’abbiamo girato a New York», racconta LorenzoCherubini, quarantotto anni compiuti a settembre, «la mat-tina in cui la tempesta del secolo non c’è stata. Abbiamo fattocinque piani sequenza con una New York incredibilmente

vuota, senza dover spendere i milioni di dollari spesi da Will Smith per ottenere lo stesso ef-fetto». Un video che non finisce mai di farsi, dunque, per un album che sembra non dover fi-nire mai. Lorenzo 2015 CC è uno straordinario catalogo delle possibilità lungo trenta pezzi.E Jovanotti un vulcano che esplode, un fiume in piena. «Difficile chiudere i progetti per melo è sempre stato. Tengo tutto aperto fino al limite, faccio tagli, correzioni, mi lascio la pos-sibilità di cambiare scaletta, grafica, quando il disco è quasi chiuso rifaccio voci, suoni. Io,per come sono, un disco non lo chiuderei mai».

E come si sente adesso che l’album è uscito?«Un po’ perduto. La fase del fatto è un conto, la fase dell’uscito è un’altra. In mezzo c’è un

Jovanotti“Sì, lo so, questa voltaho davvero esagerato”

Mentre facevo il disco mi è venuta esatta-mente la voglia di esagerare. Forse ancheperché tutto è stato esagerato nella mia vitaultimamente, i dolori come i piaceri. Il tournegli stadi? Esagerato. Enorme. Quindi nonera proprio nella natura delle cose né delmomento essere minimale. Ho scelto invecedi rimanere in quella zona iper, in quel mon-do esploso dentro il quale mi trovo da un po’di anni e che alla fine mi è congeniale. Ten-tare di mettere in pratica questa idea mi èparsa la cosa più naturale del mondo vista dadentro, e la più folle se vista dal di fuori. È unapproccio totale con le cose. È come se tuttomi riguardasse, come se tutti i generi fosse-ro i miei. Il numero delle canzoni non è il pro-blema, ma la figata. È l’abbondanza. E poi,parliamoci chiaro: per come si ascoltano i di-schi oggi il mio non dura due ore ma tre oquattro minuti ogni volta...».

Chi l’ha ascoltato per primo che reazioneha avuto? Quella che lei si aspettava?«Mi ha molto motivato la platea di casa, co-

me hanno reagito i miei, mia moglie Fran-cesca, mia figlia Teresa, le ho sorprese men-tre ascoltavano il disco e le vedevo contente.Giuro che non sapevano che io ero li. Ho ca-pito anche che, per la prima volta, in questodisco non pretendevo di avere il controllo to-tale dell’effetto che potevano avere le miecanzoni. Ho sempre avuto la maniacale fis-sazione della padronanza della materia, in-vece qui l’ho lasciata scorrere. Non vuol direche io non ne sia, per così dire, il regista, maho fatto tutto con maggiore libertà. E credosi senta. Per come sono fatto la cosa che mida sicurezza e che davvero mi interessa è es-sere moderno, più ancora dell’essere ap-prezzato. Se dovessi scegliere tra l’essereconsiderato un innovatore e essere il nume-ro uno, beh sceglierei la prima. Eppure inquesto disco ci sono anche canzoni che han-no un suono quasi tradizionale».

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Lei lo sa vero che mettere insieme tuttoquello che fa vuol dire di fatto creare unmestiere nuovo...?«Sì, un mestiere nuovo, l’iper dj. E un

modo di creare sequenze di senso attin-gendo dal caos. È una programmazione,una radio, una televisione, un giornale, in-ternet, i social media, la camicia che in-dosso. E qualcosa che si sviluppa anche nellive, non una carrellata di canzoni ma un’o-pera, un unico grande pezzo che si muovelibero e senza scaletta, in un tour che è an-che un film, dentro uno spettacolo che è an-che un racconto. Un’onda emotiva precisa:la musica, le performance, i video, le luci,lo spazio, i vestiti, il linguaggio, il tempo. Èun mestiere bello, sì, nuovo, ma con tantiprecedenti illustri».

È, parafrasando il testo di una sua vecchiacanzone, quello che ha sempre sognato dabambino?«No, è quello che ho sempre fatto fin da

bambino. Ero così già quando ho iniziato a fa-re il dj. Quando mettevo i dischi al “Veleno”,a Roma, i dj lavoravano al buio, il pubbliconon era rivolto verso di loro come invece ac-cade oggi. Io quella cosa li l’ho beccata subi-to: c’erano due fari puntati sulla pista e io liho girati sulla console, non avevo bisogno diluce ma di spettacolo, e accanto alla cassapiena di dischi ne avevo una piena di cappel-li. Continuo su quella stessa strada».

Sul suo biglietto da visita, per indicareche lavoro fa, cosa scriverebbe?«Artista. Avverto tanti limiti nelle cose

che faccio, ma li metto insieme e così diven-tano una forza. Quando ascolto uno comeThelonious Monk, come facevo ieri mattina,capisco che non ha bisogno di altro, che è tut-to lì. Invece la mia roba rimane in giro, aper-ta, ci sono pezzi di canzoni che vagano, can-zoni che diventano successi, canzoni che lagente lega alla propria vita. E concerti, im-magini, parole, pensieri...».

Vivere a Cortona, avere un rapportostretto con il pubblico attraverso i social,sono un tentativo di compensare una vitastraordinaria con qualche iniezione dinormalità?«Non mi ha mai interessato la normalità,

non avrei fatto tutto quello che ho fatto.Quello che mi è accaduto non è stato un inci-dente di percorso, ho sempre avuto la sen-sazione che mi aspettasse questa cosa, nonqualcosa di diverso. Da ragazzino, vedevoDiscoring in televisione, ed era lì che volevostare».

Il suo, in qualche modo, è anche un discopolitico, una dichiarazione d’intenti.«Secondo me sì. Lo è per il messaggio, pa-

rola antica, che porta in scena e in giro. Im-pegno e godibilità. Una nuova declinazioneper il vecchio slogan “balla e difendi”. Il limi-te di “balla e difendi” era la mancanza del sor-riso. Se si aggiunge quella parte lì non si to-glie niente al messaggio. Anzi, diventa piùefficace».

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OGGI SUL SITO

QUI A FIANCO LA COPERTINADI “LORENZO 2015 CC”, L’ULTIMO ALBUM DI JOVANOTTI A CUI OGGI IL SITODI REPUBBLICA DEDICA UN’ORA DI SPECIALE: ERNESTO ASSANTESOTTOPORRÀ A LORENZO CHERUBINILE DOMANDE DEI LETTORIDI REPUBBLICA.IT

IL VIDEO LO ABBIAMOGIRATO A NEW YORKLA MATTINAIN CUI LA TEMPESTADEL SECOLO NON C’È STATALA CITTÀ ERA DESERTACOME NON MAI.PER OTTENEREUNA SITUAZIONE COSÌ ESTREMAWILL SMITH DEVE AVER SBORSATO MILIONI DI DOLLARI

VOLEVO IL FUNKVOLEVO L’ACUSTICO,VOLEVO I FIATIE IL SUONO DELLA BANDCHE SUONA IN STUDIOVOLEVO TUTTI I GENERI,COME SE FOSSEROTUTTI MIEI.SO CHE SEMBRA FOLLEMA PER COME SONO FATTOA ME SEMBRAVALA COSA PIÙ NATURALEDEL MONDO

SE DOVESSI SCEGLIERETRA L’ESSERECONSIDERATOUN INNOVATOREOPPURE QUELLODI MAGGIOR SUCCESSONON AVREI DUBBI,SCELGO LA PRIMA. IL MIO È UN NUOVOMESTIERE,SUL MIO BIGLIETTODA VISITA DEVO SCRIVERECHE FACCIO L’IPER DJ

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DOMENICA 1 MARZO 2015 40LA DOMENICA

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la Repubblica

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MASSIMO MINELLA

GENOVA

O SCIENZIATO DISEGNA IL FUTURO CHE SARÀ,il disegnatore prova a intuire co-me vivremo grazie ai progressi della scienza. È uno scambiarsi di pelleche sorprende e affascina, quello che si consuma in una saletta di Mo-rego, quartiere periferico di Genova, dentro all’Istituto italiano di tec-nologia, punta di diamante della ricerca nazionale. Qui il padrone di ca-sa, il direttore scientifico Roberto Cingolani, accoglie Lorenzo Ceccot-ti, in arte Lrnz, uno dei fumettisti più sorprendenti e innovativi del pa-norama italiano. A unirli sono due passioni comuni: quella per le nano-tecnologie, che Cingolani studia e applica e che Lrnz disegna nelle suetavole. E quella, appunto, per il fumetto. Le tavole di Lrnz, davvero stra-bilianti, danno vita al suo Golem, racconto che ci introduce nelle magiedella tecnologia, forza misteriosa e alchemica che può essere «stru-mento di liberazione», ma anche macchina di devastazione. A cam-

biarne le sorti è sempre e comunque l’uso che l’uomo intende farne. Cingolani si racconta invecesvelando la sua incontenibile passione per il disegno, quella che lo ha portato a sognare di diven-tare proprio un fumettista con le sue prime esperienze di grafica pubblicitaria, prima di capireche forse era meglio dedicarsi ad altro. Lrnz riflette sul «fascino esotico» della scienza, intesa co-me scoperta, ancor più magica agli occhi di un profano. E si fa quasi fatica a distinguere chi deidue sia in quel momento lo scienziato e chi il fumettista, complice anche il fatto che Cingolani,mentre parla, schizza sul foglio bianco robot che sognano di essere protagonisti delGolemdi Lrnz.

Ma perché la scienza è così affascinante?Lrnz. «Vengo dal disegno industriale, ho sempre sentito in modo forte il valore della tecnolo-

gia, nella scelta dei materiali, nel loro impiego. Il metallo, per esempio, è nefasto o salvifico quan-

Cosa accadequandouno scienziatoe un fumettistaimmaginanoil mondo che verrà

logie e cerchiamo di divulgarne il valore e il si-gnificato, dobbiamo ragionare in termini di“nano”, cioè della miliardesima parte di qual-siasi cosa. Parliamo di eventi veloci, di spazi pic-coli, di due-tre atomi allineati. Ma questa è la vi-ta, che nasce sempre da oggetti piccolissimi. Infondo, alla base di ogni essere vivente ci sonosei atomi, sei mattoncini con cui si costruisce esi cambia ogni volta l’architettura. Ma sei sonoe sei rimangono. Quello che è eccezionale è laconoscenza scientifica che può arrivarci diret-tamente anche attraverso il fumetto che esal-ta il nostro senso più immediato, la vista. Ma alfumetto possiamo ascrivere anche altri colpi digenio, come per esempio l’invenzione di Twit-ter. Quei 30-40-50 caratteri che finiscono den-tro a una nuvoletta sono straordinari. Chi dise-gna trasmette effetti grandiosi, ci indica sce-nari futuri che poi si avverano e spesso sa an-che scrivere. In Golemla capacità che ha avutol’autore è quella di mostrarci che la tecnologianon è buona o cattiva, la moralità scatta nel-l’uso che se ne fa. È un’operazione visiva digrandissima levatura e ci viene trasmessa conuna grafica suggestiva e poche parole. Chi altrisarebbe in grado di comunicare la stessa co-sa?».

Ma quando ci si avventura in un mondo difantasia non c’è il rischio che vengano amancare dei punti di riferimento per il let-tore?Lrnz. «Voglio sempre creare informazioni

dove non ce ne sono. Dobbiamo darle al letto-re. Ci sono da questo punto di vista esempistraordinari. Penso a Blade Runner, il film for-se più maestoso, in cui si convive con la roboti-ca, con le intelligenze artificiali, ma anche conlocation che si ripetono, come gli spazi chiusi.In questo mondo di fantasia fornire informa-zioni allo spettatore diventa necessario. È laformula con cui ho declinato il mio lavoro, te-nendo sempre ben stretto il rapporto fra capa-cità di sognare e tecnologia».

do assume le sembianze di una lama, che puòucciderti o salvarti. Seguire i percorsi dellascienza mi ha spinto ancor di più verso questomondo magico, fatto di alchimia e di esotismo.La nanomacchina, i tessuti, le applicazioni checonsentono di fare salti pazzeschi ai protago-nisti del racconto entrano così in Golem natu-ralmente. Perché la tecnologia è anche fanta-scienza. Pensate a quando per indicare la tec-nologia del futuro si utilizzava un telecoman-do, strumento oggi di uso quotidiano. O a Ma-zinga, indistruttibile macchina d’acciaio. Ognigenerazione ha la sua fantascienza. Io stesso,vent’anni fa, quando ho iniziato a pensare a Go-lem, mi immaginavo un robot gigante, oggi hoscelto le nanotecnologie».

Cingolani.«Quando parliamo di nanotecno-

Cingolani. «Anche chi opera in una grandestruttura di ricerca dev’essere fumettista, de-ve cioè sognare, immaginare il suo viaggio sul-la Luna. È una sorta di road map che ci spinge apensare che cosa vogliamo per i nostri proni-poti. Dobbiamo sentirci un po’ artisti, con la vo-glia di creare, e un po’ sportivi, con il desideriodi vincere. Io, per esempio, voglio dare alle fa-miglie, fra una trentina d’anni, un robot uma-noide che possa aiutare gli anziani e i bambini.Un compagno dell’essere umano che però de-ve costare come uno scooter. Bisogna avereuna stella polare e poi un’idea, un colpo di for-tuna, può anche spostarci da un’altra parte.Ma ci vuole anche un grandissimo senso prati-co, perché bisogna essere degli organizzatori».

Lrnz.«Io sto collaborando con l’università diRoma su un progetto che punta a realizzareuna grande rete semantica, la più grande in as-soluto. Ma l’intelligenza del robot dev’esseresemantica o statistica?».

Cingolani. «Per consentire a un robot di av-vicinarsi all’uomo si dovrebbe creare un su-percomputer con una potenza da 35 me-gawatt e grande come questa stanza. E tuttoquesto non può certo essere portato da un ro-bot. Bisogna muoversi in un’altra direzione,perché il cervello umano consuma solo 40watt, mentre il corpo arriva a 960. Allora biso-gna semplificare i sensi, la vista, il tatto, il lin-guaggio. Il nostro robot dev’essere in grado diparlare dieci lingue, ma la sua intelligenzadev’essere nel cloud, perché alla fine si trattadi computazione e non di intelligenza creativa.Deve sentire il mio comando e quindi poter ac-cedere istantaneamente al cloud per capirlo einterpretarlo attraverso un wireless semprepiù sofisticato. È una sfida veramente pazze-sca, ma noi cerchiamo di avvicinarci in modosemplice, copiando la natura. Lei fa cose sem-plici e semplifica quelle complicate. Ci stiamoprovando anche noi».

L’invasionedelle

I PROTAGONISTI

IL BAMBINO-ROBOT,ICUB, È STATOSVILUPPATODALL’EQUIPEDI ROBERTOCINGOLANI (FOTOSOPRA), DIRETTOREDELL’ISTITUTOITALIANODI TECNOLOGIA.AL SUO INTERNOSONO PRESENTINANOTECNOLOGIEPER ESEMPIOPER DARESENSIBILITÀALLE MANI.LE TAVOLESONO TRATTEDAL GRAPHICNOVEL “GOLEM”(BAO PUBLISHING,280 PAGG., 25 EURO)DI “LRNZ” LORENZOCECCOTTI(FOTO SOTTO)

Roberto Cingolani e Lrnz.Nessuna paurasaremo noi umani a decidere che fare dei robot

GLOSSARIOLE NANOTECNOLOGIE

È IL RAMO DELLA SCIENZA CHE STUDIA LA MATERIA DI DIMENSIONIINFERIORE AL MICROMETRO

LE NANOMACCHINE

STRUTTURE MOLECOLARICON MOVIMENTI SIMIL-MECCANICIIN RISPOSTA A SPECIFICI STIMOLI

L’ATOMO

È IL MATTONE CON CUI SI COMPONELA MATERIA IN NATURA. PIÙ ATOMIFORMANO LE MOLECOLE

I SEI MATTONCINI

SONO 6 GLI ELEMENTIALLA BASEDELLA VITA: CARBONIO, IDROGENO,OSSIGENO, AZOTO, CALCIO E FOSFORO

LE NANOTECNOLOGIE SONOOGGI PRESENTI IN 788 PRODOTTIDEL COMPARTO SALUTEE BENESSERE (IL PIÙ SVILUPPATO)

I NUMERI

nanomacchine788 LE NANOTECNOLOGIE

SONO PRESENTI ANCHE IN 48 TIPI DI ELETTRODOMESTICI78 GLI USA SONO IL PRIMO PAESE

AL MONDO PER PRODOTTIA BASE DI NANOTECNOLOGIE741 L’EUROPA È AL SECONDO

POSTO CON 440 PRODOTTI CHEUTILIZZANO LE NANOTECNOLOGIE440

L

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Pizza senza glutineMix di amido di patate e farina di riso(oppure i mix certificati gluten-free),più lievito di birra e olio extravergine.Doppia lievitazione per rendere la pasta più alveolata

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la Repubblica

DOMENICA 1 MARZO 2015 42LA DOMENICA

Il progettoIl 17 marzo, al Basque Culinary

Center di San Sebastián verràpresentato “Save The Oceans:

Feed the World”, progetto che coinvolge alcuni tra i grandi

cuochi del mondo, da FerranAdrià a Massimo Bottura,

per supportare il consumo itticoda pesca sostenibile

L’appuntamentoDal 7 al 9 marzo Firenze ospita la decima edizione di “Taste”,

fiera dell’eccellenza alimentare,con oltre trecento azienderappresentate negli stand della Stazione Leopolda.

La città sarà coinvolta anche in cene e degustazioni

“Fuori di Taste”

La raccoltaComincia tra pochi giorni la raccolta di germogli di

bambù a Cravenzana, Cuneo, dove prosperano i bambuseti

de L’Essenza del Bambù,pioniera della coltivazione bio

e sostenibile in Italia. I germoglivengono utilizzati in cucina

e nella cosmesi naturale

DAL 13 AL 15 MARZOA MILANOCITY,

NELL’ANNODELL’EXPODEDICATA

AL CIBO, LA FIERADEL CONSUMO

CRITICO. OVVEROCONSIGLI PRATICI

PER VIVERE MEGLIOMIGLIORANDO

ANCHE IL PIANETA. A PARTIRE

DALLA TAVOLALICIA GRANELLO

A NOSTRA RELAZIONE CON IL CIBO è un sentiero inaspettato.È una porta, non un muro, un’apertura, non una chiu-sura. Tutto ciò che credi sull’amore, sul cambiamento,sulla gioia e sulle possibilità si rivela in come, quando ecosa mangi. Il mondo è nel tuo piatto”. Parola di GeneenRoth, una delle nuove guru dell’alimentazione ameri-cana. Il tentativo scoperto è quello di ridare valore a ciòche mangiamo, evitando di mangiare pane e nevrosi econnettendosi con ambiente e salubrità

Di questo e molto altro si occuperà “Fa’ la cosa giusta”,in programma dal 13 al 15 marzo alla Fiera di Milano-city. L’edizione numero dodici della fiera del consumo

critico e degli stili di vita abbraccia la quotidianità a tutto tondo, dando input alternativi pervivere meglio e far vivere meglio il pianeta, a partire dalla tavola. Una sezione tanto impor-tante e decisiva per il futuro di tutti che la si potrebbe ribattezzare “Mangia la cosa giusta”.

Se fare il pane in casa è la riappropriazione di una pratica millenaria, con o senza macchinaapposita, l’irrompere di essiccatori, estrattori lenti e germogliatori sta rivoluzionando la geo-grafia delle nostre cucine. Abbiamo scoperto che i frullatori, con le loro lame ad altissimo nu-mero di giri, ossidano irrimediabilmente le vitamine di frutta e verdura. Che le chips vegeta-li soddisfano l’appetito senza ingrassare. Eche semi e germogli, se non certificati biolo-gici, assommano una tale quantità di chimicada vanificarne gli effetti benefici. Una realtàche le imprese più ricettive hanno colto rapi-damente, se è vero che aziende come Euro-company e Noberasco hanno affiancato al-l’offerta standard di semi e frutta secca una li-nea biologica.

La tendenza è evidente. Una recentissimaricerca compiuta da Cir food, Cooperativa ita-liana di ristorazione, analizzando quasi cin-quecento mense scolastiche, ha evidenziatopercentuali superiori al cinquanta per centodi ingredienti biologici come legumi, pasta ri-so, uova, verdura e olio. Un cambio di dietaepocale, fortemente voluto dai Comitati ge-nitori, sulla scia dell’aumento esponenzialedi intolleranze e allergie, figlie di agricoltura

intensiva e cibi lavorati.Ma l’auto-produzione non si limita a pane e

succhi. La cucina crudista — nessuna cotturache superi i 45° — sta guadagnando proselitianche tra i cuochi: a New York, ristoranti co-me “Raw” (crudo) servono piatti sfiziosi chenon hanno toccato fiamma (né piastra a in-duzione): il locale spopola e tre clienti su quat-tro non sono né crudisti né vegetariani.

In caso manchiate la fiera, dotatevi di dueguide appena uscite, Dormire nell’orto. Viag-gio nell’ospitalità biorurale in Italia di Altre-conomia Edizioni, e TuttoBio 2015 l’alma-nacco del biologico di BioBank, e regalateviun weekend buono, pulito e giusto. Se trova-te anche un maestro di yoga, i neuroni stres-sati faranno la ola.

Bio, cruda, autoprodottaeccola la buona cucina

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Zucca, broccoli, fragole e fagiolila mia panzanella vegetariana

8come& dove

LO CHEF

PIETRO LEEMANN(JOIA, MILANO) HA APPENAPUBBLICATO PER GIUNTI “IL SALE DELLA VITA”, DOVE RACCONTA IL SUO PERCORSO DI CUOCO(STELLATO)VEGETARIANO. SANA E GOLOSA LA RICETTA IDEATA PER REPUBBLICA

“L

La ricetta

Sapori. Digeribili

Croissant veganoRicetta a base di farina integrale, farro,miele, malto, pasta madre, zucchero di canna grezzo e olio extravergine per il lievitato senza alcun ingredientedi origine animale

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INGREDIENTI: 100 G. DI ZUCCA DI HOKKAIDO; 100 G. DI PANE RAFFERMO;100 G. DI BROCCOLI; 40 G. DI CAVOLO ROSSO; 40 G. DI CAROTE; 100 G. DI PUREA DI FAGIOLI CANNELLINI; 10 G. DI RAFANO GRATTUGIATO; 40 G. DI SEDANO VERDE; 20 G. D’ACETO DI VINO BIANCO; 40 G. D’OLIO D’OLIVA; 100 G. DI SEDANO RAPA; 50 G. DI FRAGOLE

escolare fagioli, rafano, olio e sale. Tagliare la zucca a fet-tine e sbollentarla 30 minuti in acqua salata, raffreddar-la. Tagliarne la metà a cubetti sottili. Affettare carote, se-dano verde e cavolo a cubetti piccoli. Ridurre il pa-

ne a cubetti grandi il doppio, immergerli in aceto e ungoccio d’acqua, unire a 2/3 delle verdure e alla zucca acubetti. Tagliare i broccoli a pezzetti, arrostirli in pa-della con olio e sale. Cuocere il sedano rapa con un goc-cio d’acqua 15 minuti, aggiungere lo zafferano, frulla-re, condire con olio e sale. Distendere un foglio di pelli-cola, cospargere sopra pane e verdure, poi i broccoli e alcentro una cucchiaiata di cannellini. Richiudere for-mando una sfera, rotolandola nelle rimanentiverdure. Frullare le fragole, portarle a ebollizio-ne e passarle al colino. Decorare i piatti con duecentri concentrici di salsa gialla e rossa. Al cen-tro le fettine di zucca e sopra la sfera.

Galline feliciRazzolano all’aperto (10 metri quadraticiascuna per il bio), mangiando insetti e semi, dieta integrata con cereali,frutta, ortaggi, pane secco, crusca.Hanno carni vigorose e non grasse

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Mangia la cosa giusta

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la Repubblica

DOMENICA 1 MARZO 2015 43

CARLO PETRINI

QUANDO raccontavo a mia

nonna i miei progetti un

po’ fuori dalla realtà, lei mi

incoraggiava dicendo che

«goccia dopo goccia si

svuota il mare». Così, riconosciuto che le

istituzioni debbano fare la loro parte, non

faraonici incontri inconcludenti, che

l’economia mondiale non deve

sacrificare in nome del profitto il nostro

pianeta e la nostra salute, ci siamo mai

chiesti davvero cosa possiamo fare noi?

Se ci guardiamo intorno vediamo i danni

causati da deforestazione, cambiamenti

climatici e scomparsa della biodiversità.

Spesso, però, sono i piccoli gesti

quotidiani di tutti noi (senza badare a

cosa fa o non fa il vicino, per crearci un

alibi) che fanno la differenza. Sono cose

ovvie, già sentite, ma che veramente

possono incidere.

Quando facciamo la spesa, innanzitutto

usiamo il buon senso, partiamo dallasana vecchia lista per comprare ciò chedavvero ci serve. A volte i nostri carrelli

sono talmente pieni che sembra stiamo

aspettando una carestia da un momento

all’altro. Cerchiamo di rifornirci daproduttori locali o nei mercati sotto casa,prediligendo prodotti coltivati senza

l’uso di chimica e diserbanti. Solo così

saremo certi di trovare frutta e verdura di

stagione che non avrà percorso centinaia

di chilometri per atterrare nel nostro

cestino e contribuiremo alla diffusione di

un’agricoltura pulita e rispettosa

dell’ambiente. Vorrà pur dire qualcosa se

i contadini non hanno sui loro banchi le

fragole a gennaio. Nei negozi

prediligiamo i cibi non lavorati e privi diimballaggio, e ricordiamoci di uscire conla nostra borsa, di tela o di quel che c’è,

per trasportare ciò che acquistiamo.

Inoltre, ricordiamoci di tenere d’occhio ilcontenuto del nostro frigorifero (non

troppo sovente per non sprecare

energia) e cerchiamo di utilizzare tutto il

cibo acquistato prima di uscire ad

acquistarne altro, facendo finire quel che

c’è in casa nella pattumiera: ci sonoottime ricette per creare grandi piattipartendo dagli scarti, basta pensare ai

timballi e ai pasticci. Quando poi apriamo

un rubinetto, teniamo a mente questonumero: 236. Sono i litri d’acqua che in

media ogni italiano consuma in un

giorno, fra i tassi più alti d’Europa. E

ancora, bando a un’inutile pigrizia,

ricordiamoci di differenziare i nostririfiuti. Con la plastica riciclata, ad

esempio, si può dar vita a occhiali,

componenti di arredo o panchine da

esterno.

Servono davvero i nostri tanti ma piccoli

gesti da ripetere ogni giorno per

migliorare la salute del nostro pianeta e

di chi ci sta accanto, mostrando rispetto

anche per tutti coloro che ancora

soffrono di malnutrizione o non hanno

accesso all’acqua potabile. Insomma,

lottiamo insieme per un cibo davvero

giusto, quello che risponde a tutte le

nostre domande, che rispetta

l’ambiente, i diritti dei produttori e il

benessere di noi consumatori.

E io cosaci posso fare?Questi ottopiccoli gesti

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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la Repubblica

DOMENICA 1 MARZO 2015 44LA DOMENICA

”QUANDO avevo quattro anni appena, in televisione non vedevo i

Puffi ma I bellissimi di Rete4. Del resto sono stata concepita a Can-

nes, qualcosa deve pur voler dire”. La splendida trentaseienne di

“Benvenuti al Sud” (e poi al Nord) infischiandosene della diploma-

zia e anche della giusta distanza (altro suo titolo) confessa tutto

l‘amore e l’odio che nutre per il mondo del cinema italiano: “Ho i fon-

damentali a posto, ho studiato e

studio, sul set non mi risparmio e

mi butto senza protezioni. Ma al-

lora perché i registi una volta fat-

to il film non mi richiamano più

per farne un altro?”

LodoviniEMILIO MARRESE

ROMA

LA COSA CHE COLPISCE DI PIÙ IN VALENTINA LODOVINI È IL RIGORE. Ok, facciamoche è la seconda. Poi che dice tutto e il contrario di tutto, senza filtri, mal’incoerenza è solo apparente. Come quella tra la “loreniana” Maria diBenvenuti al Sude la libanese Darina dello scioccante monologo Quan-do Nina Simone ha smesso di cantare. Ruoli di un curriculum da undi-

ci opere teatrali, altrettante fiction tv, qualche monologo civile e una ventina difilm d’autore (con Sorrentino, Francesca Comencini, Mazzacurati, Vicari, Risi)o leggeri (il 12 marzo esce la commedia Ma che bella sorpresa con Bisio). Dopotre ore, più un flusso che un’intervista, pare di averli conosciuti tutti di persona,i suoi personaggi. Si definisce tripolare, perché bipolare dice che è poco, ed ec-cede per difetto. Ora ti confessa di aver paura di essere vista ma poi anche di es-sere trasparente, un momento ammette di essere una miracolata, una chea trentasei anni non si sente mai all’altezza di niente, manco di questapagina, e il momento dopo che è sottovalutata, inespressa, e va giù pa-ri sul nostro cinema. E lì esplode la Lodovini militante, puntigliosa e in-transigente, quella che pare abbia inghiottito il Morandini da piccola(«Sono stata concepita a Cannes, qualcosa dovrà pur dire. Io sono car-nivora di cinema»). Quella che, nell’ambiente, s’è fatta la fama di in-temperante. Cioè rompiscatole. “È arrivata la Magnani...”.

Tailleur nero, camicetta accollatissima nera a pois, nell’ufficio della suapress agent ai Parioli mette sul tavolo caffè, sigarette e una premessa: «So-no una disagiata sociale». Bene, si può iniziare. «Ho avuto un’infanziasolitaria, mi è sempre piaciuto starmene per conto mio, e mica miannoiavo. Non sono mai stata una ribelle, forse perché dentro di meho sempre saputo che tanto da lì me ne sarei andata, che quella nonsarebbe stata la mia quotidianità. Sicché ho potuto mantenere un

attaccamento alle radici sano e profondo». Sicché lì è Sansepolcro, provin-cia di Arezzo, anche se la carta d’identità dice accidentalmente Umberti-de in Umbria. Madre sarta, papà titolare di un negozio di elettrodomesti-ci, due sorelle molto più grandi, nipoti oggi quasi coetanei. «A quattro an-ni non vedevo i Puffi ma Saranno famosi e I Bellissimi di Rete4. Mai statauna di quelle bambine che declamano la poesia in piedi sul tavolo. Ho sem-pre avuto paura di recitare, ma la paura mi attrae. La prima volta ho re-citato a diciassette anni in un cortometraggio. Mi ricordo la sensazione diagio davanti alla cinepresa, molto più che in una serata al pub o a una fe-sta di compleanno, dove infatti non andavo mai. Facevo lo scientifico, buo-

ni voti fino al quarto anno soprattutto in fisica, chimica e biologia. Sono attrattadalla logica. Un po’ di equazioni farebbero tanto bene al nostro cinema». Parlia-mo delle paure. «Mi sento sempre in debito con la vita, e dunque mi manca la leg-gerezza. Ho sempre il terrore di sbagliare, di non trasmettere nulla, di non pia-cere, al cinema come nelle relazioni umane. Ho paura di soffrire e far soffrire, dinon essere una brava amica, di non trovare le parole giuste, di esibirmi e di pas-sare inosservata». Suggerirei un’altra paura: quella di essere un cliché, il clichédell’attrice. «Più che una paura, fuggire il più lontano possibile da quello ste-reotipo è proprio una volontà precisa». A costo di cadere nel cliché opposto: nonvado alle feste, sto fuori dai giri, adoro Zavattini e Al Pacino, ho pianto per Rosi,leggo tanto, so tutto di cinema, mangio e mi vesto come càpita... «Essere diver-si non è solo una scelta: lati bui ne ho davvero, problemi nello stare insieme pu-re. Magari qualcuno l’ha capito che è timidezza». Chissà come fa a sopravviverea tutte quelle passerelle. «Mi imbottisco di fiori di Bach e vado. Senti, lo so cheesistono problemi molto più seri dei miei, a cominciare da quelli dei tanti attoriche non hanno lavoro. Abbiamo tutti delle vite di merda e sentire pure l’attriceche si lagna non se lo merita nessuno. Anche all’asilo mia madre mi diceva “fan-no bene a lasciarti sola, ti lamenti sempre”...». E però? «Però, immodestamente,mi dico che, be’, qui c’è del materiale. Gli strumenti tecnici li ho, ho studiato peranni e continuo a farlo, mi porto il mio maestro di recitazione sul set, studio lelingue. E allora mi garberebbe lo usassero di più ’sto materiale. Io non pongo mailimiti al regista, anche a quello che stimo meno: può tirar fuori tutto, gioia, di-sperazione... Mi butto senza protezioni. E potrebbero sfruttarla di più questa ge-nerosità, non posso mica essere io la regista di me stessa. Mi chiedo se sono io anon inspirare fiducia, non mi sono mai sentita scelta davvero da un regista». So-lo Marco Risi l’ha voluta in un secondo film, oltre a Miniero in Benvenuti al Nordma quello era un bis automatico. «Non mi richiamano mai e il perché non lo so,me lo chiedo anch’io. Mi dà malinconia, mi ferisce, mi fa riflettere, incazzare, de-primere. Ma non ho il coraggio di chiedere a nessun regista il motivo. Penso dinon meritare ciò, ma anche che sia una conseguenza delle scelte che ho fatto.Avrei forse dovuto rinunciare a ruoli che non fossero da protagonista, dopo es-serlo stata ne La giusta distanza di Mazzacurati. Non ho costruito bene la miacarriera ma sono contenta lo stesso di quel che ho fatto. Certo, non mi cercanose serve una donna-maschio o un’anoressica: io esprimo salute e restituisco so-larità. Impazzirei per fare una nevrotica folle come la Theron in Young Adult. Latormentata la so fare». Non c’è dubbio. Non le capita mai di essere in platea e dir-si “quel film avrei dovuto farlo io?” «No, non posso combattere io un sistema incui i ruoli sono già stabiliti, e contano anche gli amici, i mariti, i fidanzati, gliamanti, le caste, le cerchie giuste. Più che rosicare mi incazzo davvero, ma soloquando vedo le occasioni sprecate: di un film è meglio dire “che brutto” piutto-sto di “che peccato”. Non penso mai “avrei dovuto farlo io”, ma “avrebbero do-vuto farlo meglio”. Nel 2015 un prodotto deve essere perfetto, perlomeno tec-nicamente: attori nel ruolo giusto, sceneggiatura, fotografia, luci, montaggio.Da noi invece non succede, tutti che fanno tutto, e mi fa arrabbiare parecchioche si offra al pubblico un prodotto non all’altezza della nostra storia. Il mercatoitaliano poi non lo capisco: l’esperienza insegna che il cinema è imprevedibilità,che non esistono ricette per il successo sicuro, eppure qui funziona col criterio

opposto. Un film va bene, e tutti dietro a ripetere la stessa formula allosfinimento. Poi si stupiscono dei fiaschi. Bisogna metterci sincerità,anima, fedeltà. E non copiare e basta». Si riferisce anche a film che ha

fatto? «Mi pento solo di un film, che non vi dirò. Uno su venticinque èuna buona media, dai. Avrei dovuto seguire l’istinto, in quel caso, e in-vece sono stata una cretina a non fidarmi di me stessa, a farmi convin-

cere. L’unica arma è dire dei no, questa è la nostra lotta. Le car-riere si fanno coi no». Quando si è detta “brava”? «Il pri-

mo giorno di riprese di Benvenuti al Sud fu fatta unagrave scoperta nella mia famiglia e girai quel film sot-to shock. Non ricordo nulla di quel set. Quando lo rive-do penso che quel personaggio, Maria, non è stato in-taccato dalle mie vicende personali: sullo schermoero luminosa, forte, energica, dritta, mentre nel pri-vato tutto l’opposto». Per quell’interpretazione Va-lentina ha vinto il David di Donatello ma alla pre-miazione, nel 2011, la sua mamma non c’era più. Ilfilm in cui s’è piaciuta meno invece è Generazione1000 euro: «Non s’è lamentato nessuno però ho tra-dito l’etica del lavoro, e chi mi conosce se n’è accorto.

Amo molto le critiche, nella vita non sono mai andataverso chi mi diceva “brava, bella e buona”. Anzi. A noiattori i vaffanculo servono per crescere come a tutti. Iodo sincerità, non sono diplomatica e in cambio voglio

la stessa moneta. Ma la sincerità è un investimento:non tutti se la meritano. E forse è anche così che misono preclusa tanti rapporti professionali con re-gisti, produttori, colleghi». In che percentuale ciprovano sul set? «Mica tanto alta. E non ho anco-ra capito se stanno a distanza perché mi rispet-tano o se faccio proprio paura».

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HO AVUTO UN’INFANZIA SOLITARIA, MI È SEMPREPIACIUTO STARMENE PER CONTO MIO, E MICAMI ANNOIAVO. MA NON SONO MAI STATA UNA RIBELLE,FORSE PERCHÉ DENTRO DI ME HO SEMPRE SAPUTOCHE TANTO DA SANSEPOLCRO ME NE SAREI ANDATA

NEL 2015 UN PRODOTTO DOVREBBEESSERE PERFETTO, PERLOMENOTECNICAMENTE: ATTORI NEL RUOLOGIUSTO, SCENEGGIATURA, FOTOGRAFIA.E INVECE DA NOI TUTTI FANNO TUTTO

FORSE NONHO COSTRUITO

BENE LA MIACARRIERAMA SONO

CONTENTALO STESSODI QUELLO

CHE HO FATTO ESPRIMOSALUTE

E RESTITUISCOSOLARITÀ

L’incontro. Tormentate

Valentina