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DI REPUBBLICA DOMENICA 1 GIUGNO 2014 NUMERO 482 Cult La copertina. Sedotti dalla nuova estetica del male Straparlando. Carla Vasio e la guerra del Gruppo ’63 La poesia del mondo. L’inconscio in dialetto di Belli L’attualità. La Francia di Plantu, quarant’anni di satira a strisce contro il potere. La storia. Quando il Pci entrava in camera da letto Spettacoli. Ma chi era davvero John Wayne? Next. Lampioni di genio: fare luce sulle nostre città sarà solo una delle tante funzioni IANLUIGI BUFFON ha trentasei anni. Quello che comincerà il 12 giugno sarà il suo quinto Mondiale, come il tedesco Lothar Matthäus e il messica- no Antonio Carbajal e nessun altro. L’ap- puntamento è a Torino qualche ora dopo la sua partecipazione a Sestriere alle cele- brazioni per il decimo anniversario della morte di Umberto Agnelli. Abbiamo un po’ di tempo per parlare del mestiere del nu- mero uno. L’ultimo uomo e anche il più so- lo. Un quadro di Edward Hopper. L’eretico che cammina in senso contrario al fluire na- turale del gioco e al suo obiettivo finale. Qualcuno lo ha definito la nemesi, il di- struttore di raccolti. L’unico che non suda, che indossa una maglia di un colore diver- so da tutte le altre e che è costretto a parti- re da un luogo lontano e malinconico come una vigna dopo la vendemmia, anche nel momento della festa mentre i suoi compa- gni stanno già correndo da centrocampo sotto la curva del loro pubblico. Il solo che deve guardarsi sia dagli avversari sia dai fratelli perché lo possono fregare entram- bi. Per queste ragioni e per tante altre il por- tiere è stato letteratura. Poi, forse, le storie sono più semplici. Pos- sono bastare un cielo d’agosto, avere dodi- ci anni e essere innamorato di Thomas N’Kono, l’acrobata nero che ai Mondiali in Italia del ‘90 difende la porta del Camerun. Dovergli il destino, tanto da chiamare per gratitudine un figlio con il suo nome. Buffon appare simpatico, spavaldo, genti- le e profondo. Sa scegliere con cura le paro- le. «Nella scuola calcio del Canaletto di Spe- zia, categoria Pulcini, poi nel Perticata a Carrara e nella rappresentativa di Massa e Carrara facevo il centrocampista. Con me c’erano Marco Rossi e Cristiano Zanetti. Ri- cordo un’infanzia bellissima. Pallone, sub- buteo e soldatini. E il mare. Tifavo Juven- tus, ma soprattutto Genoa. Mi piacevano i piccoli e i deboli che arrivano secondi. L’A- vellino di Barbadillo, il Pescara di Rebona- to, l’Empoli di Ekström, il Foggia del tri- dente Baiano-Rambaudi-Signori. Passo al Bonascola e finisco in porta. Mio padre, che pesa i giudizi, riservato fino a sfiorare la ti- midezza, mi dice: ho sempre pensato fosse il tuo posto, ma non volevo dirtelo, ti piace- va fare gol». A tredici anni lo compra il Par- ma per quindici milioni di lire. «Ho giocato col numero 12 i primi due anni di carriera, poi col 77 dopo che mi bocciarono l’88, le- gandolo a discorsi politici alquanto fanta- siosi e a me completamente sconosciuti». SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE G uno Buffon numero I trionfi e la depressione, il gioco d’azzardo e il futuro Confessioni di un capitano “Volevo solo essere dispari” FOTO DI STUART FRANKLIN - FIFA/FIFA/GETTY IMAGES TORINO DARIO CRESTO-DINA la domenica Repubblica Nazionale 2014-06-01

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DI REPUBBLICADOMENICA 1 GIUGNO 2014 NUMERO 482

CultLa copertina.Sedotti dalla nuova estetica del maleStraparlando. Carla Vasio e la guerra del Gruppo ’63La poesia del mondo.L’inconscio in dialetto di Belli

L’attualità.La Francia di Plantu, quarant’anni di satira a strisce contro il potere. La storia.Quando il Pci entrava in camera da lettoSpettacoli.Ma chi era davvero John Wayne? Next.Lampioni di genio: fare luce sulle nostre città sarà solo una delle tante funzioni

IANLUIGI BUFFON ha trentaseianni. Quello che comincerà il12 giugno sarà il suo quintoMondiale, come il tedescoLothar Matthäus e il messica-

no Antonio Carbajal e nessun altro. L’ap-puntamento è a Torino qualche ora dopo lasua partecipazione a Sestriere alle cele-brazioni per il decimo anniversario dellamorte di Umberto Agnelli. Abbiamo un po’di tempo per parlare del mestiere del nu-mero uno. L’ultimo uomo e anche il più so-lo. Un quadro di Edward Hopper. L’ereticoche cammina in senso contrario al fluire na-turale del gioco e al suo obiettivo finale.Qualcuno lo ha definito la nemesi, il di-struttore di raccolti. L’unico che non suda,che indossa una maglia di un colore diver-so da tutte le altre e che è costretto a parti-re da un luogo lontano e malinconico comeuna vigna dopo la vendemmia, anche nelmomento della festa mentre i suoi compa-gni stanno già correndo da centrocamposotto la curva del loro pubblico. Il solo chedeve guardarsi sia dagli avversari sia daifratelli perché lo possono fregare entram-bi. Per queste ragioni e per tante altre il por-tiere è stato letteratura.

Poi, forse, le storie sono più semplici. Pos-sono bastare un cielo d’agosto, avere dodi-

ci anni e essere innamorato di ThomasN’Kono, l’acrobata nero che ai Mondiali inItalia del ‘90 difende la porta del Camerun.Dovergli il destino, tanto da chiamare pergratitudine un figlio con il suo nome.Buffon appare simpatico, spavaldo, genti-le e profondo. Sa scegliere con cura le paro-le. «Nella scuola calcio del Canaletto di Spe-zia, categoria Pulcini, poi nel Perticata aCarrara e nella rappresentativa di Massa eCarrara facevo il centrocampista. Con mec’erano Marco Rossi e Cristiano Zanetti. Ri-cordo un’infanzia bellissima. Pallone, sub-buteo e soldatini. E il mare. Tifavo Juven-tus, ma soprattutto Genoa. Mi piacevano ipiccoli e i deboli che arrivano secondi. L’A-vellino di Barbadillo, il Pescara di Rebona-to, l’Empoli di Ekström, il Foggia del tri-dente Baiano-Rambaudi-Signori. Passo alBonascola e finisco in porta. Mio padre, chepesa i giudizi, riservato fino a sfiorare la ti-midezza, mi dice: ho sempre pensato fosseil tuo posto, ma non volevo dirtelo, ti piace-va fare gol». A tredici anni lo compra il Par-ma per quindici milioni di lire. «Ho giocatocol numero 12 i primi due anni di carriera,poi col 77 dopo che mi bocciarono l’88, le-gandolo a discorsi politici alquanto fanta-siosi e a me completamente sconosciuti».

SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

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uno

Buffonnumero

I trionfi e la depressione, il gioco d’azzardo e il futuroConfessioni di un capitano“Volevo solo essere dispari”

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TORINO

DARIO CRESTO-DINA

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la RepubblicaDOMENICA 1 GIUGNO 2014 26LA DOMENICA

La copertina. Buffon numero uno

ENSO CHE AVREI POTUTO

giocare anche con il 179. Ciòche impreziosisce la magliaè il nome sulla schiena, nonil numero. Mi piacciono idispari, penso sianoun’attrazione fatale per le

persone disordinate, con estro e spiritorelativamente libero. I pari sono per imetodici, gli intelligenti, i razionali».

Accadono cose che sono domande, a

volte trascorrono anni ma prima o poi la

vita risponde. Oggi ha capito perché è

diventato un portiere?

«Perché ha avuto un senso compiuto. Pernarcisismo, per una forma di protagonismoesasperato. Non mi sarei accontentato diessere un buon portiere di serie C. Volevodiventare ciò che sono oggi, non più ilmiglior portiere del mondo, ma il migliorportiere al mondo di trentasei anni. Sonodiventato un portiere anche per cattiveriaagonistica, volevo strozzare in gola l’urlodel gol ai tifosi avversari».

Tutto si paga, in un modo o nell’altro. Il

denaro, la fama, le vittorie. Quale è stato il

suo contrappasso?

«Essere stato costretto a crescere troppoin fretta. Mi sono dovuto arrabattare, auto-educandomi con l’appoggio telefonico dellafamiglia. Per un sedicenne il mondo grandedel calcio non era una zona di comfort.Faceva paura. Non ho mai desiderato illeggendario mantello della solitudine delportiere. Avevo bisogno di essere sorrettodagli amici».

Ne ha avuti, ne ha?

«Soltanto due. Marco e Claudio, vicini dicasa e compagni di classe alle elementari emedie. Marco lavora nella segheria delpadre, Claudio è il capo dei rimorchiatori diLa Spezia. L’amicizia è un sentimentosacro. Nel calcio è complicata, faccio fatica afarle dei nomi ma ci provo: Chimenti,Grosso, Nista, Gattuso, Pirlo, Cannavaro,Thuram e Crippa. Sono le persone chericordo con più piacere o con le quali hocondiviso i momenti belli».

Torniamo alle spine. “Boia chi molla”, il

numero 88 che evoca Hitler, il diploma di

ragioniere comprato, le scommesse

clandestine, il gol-non gol di Muntari in

Milan-Juve, la frase infelice “meglio due

feriti di un morto”. Nessun pentimento?

«Ho fatto molti errori. Sono statoignorante e l’ignoranza non è unagiustificazione, ma bisognerebbe saperperdonare la gioventù. Ci sonodichiarazioni che non rinnego, quella sulgol di Muntari per esempio, peccherei diipocrisia. Le scommesse... è capitato anchequesto. Ma sono ben lontano da come sonostato descritto, non ho compagni segreti abordo della mia nave».

Però le piacciono i casinò e il gioco

d’azzardo.

«Le do una risposta secca e sincera. Ilgioco ha sempre rappresentato econtinuerà a rappresentare un piacere, unpiacere e uno svago. Purtroppo in Italia nonsi vive con serenità questo tipo di attività eil concetto di gioco d’azzardo rimane tabù.Si preferisce l’associazione triangolaregioco-dipendenza-rovina. Per me è piùdipendente chi spende solo mille euro maregala alla dea bendata dieci o dodici ore algiorno del suo tempo piuttosto di uno comeme che può rischiare di perdere centomila

Il portiere

dei cinque

Mondiali

“Ignorante

e narcisista ,

così ce l’ho fatta”

P

2003

VIENE PREMIATO COME MIGLIORPORTIERE DELLA CHAMPIONSLEAGUE, ANCHE SE IN FINALEIL MILAN BATTE LA JUVENTUSAI CALCI DI RIGORE

1997

IL 29 OTTOBRE DEBUTTAIN NAZIONALE A MOSCA:RUSSIA-ITALIA 1-1AVEVA GIÀ VINTO UN EUROPEONEL 1996 CON LA UNDER 21

2001

LA JUVENTUS LO ACQUISTADAL PARMA VALUTANDOLOCENTO MILIARDI DI LIRE:CIFRA RECORD PER IL CLUBBIANCONERO

1995

IL 19 NOVEMBRE ESORDISCEA SORPRESA IN SERIE ANEL PARMA CONTRO IL MILAN:FINISCE 0-0. LUI HA SOLO 17 ANNIED È IL MIGLIORE IN CAMPO

PRODEZZEE CADUTEDI UN VEROCAMPIONE

139PRESENZE

IN NAZIONALE

114GOL

SUBITIIN AZZURRO

1MONDIALE

VINTO

559PRESENZEIN SERIE A

1,92ALTEZZA

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SONO DIVENTATO IL MIGLIORE PER PROTAGONISMOESASPERATO E CATTIVERIA: AMO STROZZARE L’URLODEL GOL IN GOLA AI TIFOSI AVVERSARI. SONO STATOUN IGNORANTE MA BISOGNA PERDONARE LA GIOVENTÙSPERO CHE ANCHE I MIEI FIGLI MI DELUDANO

TENTO LA FORTUNA OGNI DUE MESI E POSSO RISCHIAREANCHE DI PERDERE CENTOMILA EURO IN UN COLPOEPPURE PER ME È PIÙ DIPENDENTE CHI NE PERDE MILLEGIOCANDO DIECI ORE AL GIORNO. MA IN ITALIA È TABÙ:SIAMO UN PAESE BIGOTTO E BACCHETTONE

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2000

È TRAVOLTO DALLE POLEMICHEPER AVER SCELTO IL NUMERO 88IGNORANDO LA SIMBOLOGIANAZISTA (SIGNIFICA HEIL HITLER)LO CAMBIA SUBITO COL 77

>SEGUE DALLA COPERTINA

DARIO CRESTO-DINA

1978

IL 28 GENNAIO NASCE A CARRARA.I GENITORI SONO EX AZZURRIDI GETTO DEL PESO. UN LONTANOPARENTE, LORENZO BUFFONERA PORTIERE DELLA NAZIONALE

Repubblica Nazionale 2014-06-01

la RepubblicaDOMENICA 1 GIUGNO 2014 27

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2013

L’11 OTTOBRE GIOCANDODANIMARCA-ITALIA (2-2)DIVENTA IL CALCIATORECON PIÙ PRESENZEIN NAZIONALE DI SEMPRE

2006

IL 9 LUGLIO A BERLINO DIVENTACAMPIONE DEL MONDOÈ ELETTO MIGLIOR PORTIEREDEL MONDIALE E ARRIVASECONDO NEL PALLONE D’ORO

2006

IN MAGGIO VIENE COINVOLTOIN UN’INCHIESTA PENALEPER AVER SCOMMESSO FORTISOMME SULLE PARTITE. RISCHIADI SALTARE IL MONDIALE

1COPPAUEFA VINTA

5SCUDETTI

VINTI

466GOL SUBITIIN SERIE A

1COPPA ITALIA VINTA

36ANNI

manisul

Brasile

euro alla volta, ma dedica al gioco una seraogni due mesi. Siamo un paesedemocraticamente giovane, ma bigotto ebacchettone con il vizio del luogo comune».

Il calcio a lungo andare dà assuefazione?

«Genera la stanchezza dell’abitudine.L’infinitezza di gesti, parole e falsi rituali.Per allungare la carriera devi fidelizzarti.Penso alla grandezza raggiunta nella stessasquadra e nella stessa città da Del Piero,Maldini, Totti. Se cambi di continuo o sei uncarro armato o vai facilmente in pezzi».

Nella sua autobiografia lei racconta la

depressione che l’ha colpita una decina

d’anni fa. Scrive che si svegliava dicendo a

se stesso “ma cosa me ne frega di essere

Buffon?”. È stato solo un episodio?

«Era la stagione 2003-2004. La Juventusera senza obiettivi. Mi sentivo solo comemai prima, non ero fidanzato, mirincoglionivo davanti a Internet. Sonoprecipitato nel vuoto, non riuscivo aghermirmi. Nel letto mi stringevo la testaalle ginocchia e piangevo. Non mi hannosalvato né il calcio né l’analista. Hocominciato a leggere, a visitare mostred’arte, a interessarmi a quanto accadevanel mondo. Tre mesi dopo assaporavo iprimi frutti di un mio personalissimoRinascimento. Sa, a scuola ero bravo. Gliinsegnanti mi hanno sempre riconosciutouna certa proprietà di linguaggio. Allasoglia dei trent’anni mi sono arrabbiato conme stesso e ho cominciato una ricerca dilegittimazione culturale. Ogni giornocompro due quotidiani più la Gazzetta delloSport durante i ritiri, ho letto molti librisulla storia degli anni di piombo e sullebande criminali italiane da Cavallero allaMagliana, i romanzi della Fallaci ma anchel’ultimo saggio di Tremonti, una biografiadi Renzi e, lei mi prenderà per pazzo, unmanuale di programmazione neuro-linguistica».

Chi è oggi Buffon secondo Buffon?

«Un uomo sereno con una moderatapaura dell’avvicinarsi dello stop. Ma pensoche dopo sarà felice perché potrà studiare ilcinese e amare le persone care che lo hannoavuto poco accanto. Non farà l’allenatore».

La bellezza è difficile da ricordare e da

descrivere. Quali sono state le sue migliori

parate?

«Amichevole Italia-Paraguay, aprile1998 al Tardini di Parma. Cesare Maldinimi fa entrare nella ripresa al posto diPeruzzi e prendo subito gol per unadeviazione di Costacurta. Su un calciod’angolo Brizuela calcia fortissimo a un

metro dalla linea di porta eppure riesco adeviare il pallone con un balzo

prodigioso. Mi tiro su e mi urlo:questa solo te la potevi prendere.

Spareggio per la Coppa Campionitra Inter e Parma, maggio

2000: perdiamo 3-1, ma tolgoda sotto l’incrocio una

conclusione di Recoba.Infine, la finale di

Champions del 28maggio 2003 tra

Juventus e Milana Manchester:

colpo di testadi Inzaghi da

p o c h ip a s s i .

S o n o

tutte su Youtube».A trentasei anni contano più i riflessi o

l’esperienza?

«Le motivazioni. I riflessi si appannano.Alla mia età non si migliora più, è meglioridurre il lavoro tecnico e curaremaggiormente la prevenzione degliinfortuni, l’alimentazione e l’attività inpalestra. Certo, non sarei più in grado direggere gli allenamenti di vent’anni fa.Oggi però il calcio è soprattuttospecializzazione».

Come vive in campo quell’attimo di

paura e sospensione che c’è nel momento di

un tiro in porta?

«Lo avvertono gli spettatori, non io.L’ansia sale sulle punizioni e sui corner, inquei dieci secondi in cui il gioco si ferma».

Che cos’è l’imponderabile?

«La traiettoria di un tiro che cambiaimprovvisamente, cosa che avvienespessissimo coi nuovi palloni leggeri, speciequando devi andarli a prendere sopra latesta. Oggi i portieri migliori sono quelli piùbravi nel respingere, non nella presa».

Quanto valgono le sue mani e i suoi

guanti?

«Ho mani belle, dita lunghe: eredità dimio padre. Uso gli stessi guanti da diecianni, si può dire che li progetto io: nontroppo stretti per lasciare libertà dimovimento alle mani e con un lattice dibassa aderenza per sentire il pallone, quellepoche volte che mi riesce di bloccarlo».

Quali sono la cosa più importante che

una squadra pretende dal suo portiere e il

gesto più difficile da compiere in partita?

«Trasmettere sicurezza al pubblico».E lei che cosa vuole dalla società che la

stipendia?

«Che accetti il mio ruolo di leader e nonmi chieda di fare la riserva. Non sopportereidi stare in panchina».

Quali colleghi ha più ammirato?

«L’audacia di Seba Rossi e Schmeichel,l’esplosività di Peruzzi, l’eleganza diMarchegiani, la classe di Antonioli ePagliuca, i riflessi di Toldo e Van der Sar».

Gli attaccanti più temuti?

«Ronaldo, Cristiano Ronaldo, Messi masoprattutto Bobo Vieri».

Louis Thomas ha quasi sette anni e

David Lee presto cinque. Sono i suoi figli.

Qual è la domanda che le fanno più spesso?

«Papà, quand’è che smetti di giocare?».Teme che possano deluderla?

«Spero che lo facciano, anzi, devonodeludermi. La perfezione mi ha sempreinfastidito. Bisogna sbagliare per potercrescere».

Il portiere è un animale solitario?

«È un introspettivo. Ho meritato lasolitudine con gli anni, ma è una solitudinepratica fatta di pudore e riservatezza. È lagiusta distanza. Nei ritiri dormo da solo, èun desiderio e una necessità psicologica.Non sopporto di convivere con qualcunoche tiene accesa la tv. Ho sempre unquaderno con me: annoto i miei pensieri, ilriassunto di un libro, il significato deivocaboli che non conosco. Gli ultimi tresono forastico, stertoroso e disamistade.Voglio imparare a parlare».

Lei ha qualche tatuaggio come la quasi

totalità dei suoi colleghi calciatori?

«Nemmeno uno. Ricordi e simboli sonotutti nella mia testa».

SONO USCITO DALLA DEPRESSIONE DIECI ANNI FAINIZIANDO A VISITARE MOSTRE E LEGGERE LIBRI.TENGO UN QUADERNO PER ANNOTARE I PENSIERIE LE PAROLE CHE NON CONOSCO: L’ULTIMAÈ STERTOROSO. VOGLIO IMPARARE A PARLARE

OGGI SONO UN UOMO SERENO CON UNA MODERATAPAURA DELLO STOP. I RIFLESSI SI APPANNANOMA LE MOTIVAZIONI FANNO ANCORA LA DIFFERENZANON FARÒ MAI LA RISERVA NÉ L’ALLENATORE,STUDIERÒ IL CINESE E LA NEUROLINGUISTICA

Le

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2012

STABILISCE DUE RECORDPERSONALI: SUBISCE SOLO16 GOL IN UN CAMPIONATOE RESTA IMBATTUTO 568 MINUTI.COMPRA LA CARRARESE

2011

IL 16 GIUGNO SPOSA ALENASEREDOVA. LA COPPIA HA DUEFIGLI: LOUIS THOMAS E DAVID LEE.POCHI GIORNI FA HANNOANNUNCIATO LA SEPARAZIONE

Repubblica Nazionale 2014-06-01

la RepubblicaDOMENICA 1 GIUGNO 2014 28LA DOMENICA

Da quarant’anni e ventimila vignette

su “Le Monde” sfida ogni giorno il potere

con la sua matita, tra polemiche e censure

“Per fortuna i politici se la prendono”

giornale, insieme alla testata in lettere goticheimmaginata nel 1944. Proprio quest’anno LeMondefesteggia i suoi primi settant’anni. Plan-tu ne è stato testimone privilegiato.

Difficile immaginare la Une, la prima paginadel giornale, senza la sua ironia, unica tra-sgressione nel compassato giornale fondato daHubert Beuve-Mery. Tra farsa e tragedia, ha se-guito ben cinque presidenti della Quinta Re-pubblica. François Mitterrand che sembravauna sfinge, Jacques Chirac con gli occhiali (chenon porta) o vestito da lottatore di sumo, Nico-las Sarkozy inseguito dalle mosche, FrançoisHollande in un bagno di sudore. Un tratto mi-nuto e tondo, inconfondibile. «Rispetto a ungiornalista, non ho il problema di essere obiet-tivo. Esprimo un’opinione». Disegni colorati econ molti personaggi, quasi fumetti. Oppure

NA COLOMBA CHE PORTA COL BECCO UN PUNTO DI DOMANDA. Il primo ottobre 1972,mentre cominciavano i negoziati di pace tra gli americani e i vietnamiti, JeanPlantureux esordiva così sulle austere pagine di Le Monde. All’epoca non c’e-rano fotografie nel quotidiano della sera, solo colonne di piombo. L’immaginefirmata da un certo Plantu sembrava una piccola rivoluzione. Era un fricchet-tone di ventuno anni, capelli lunghi e zaino in spalla, che aveva abbandonatostudi in medicina, lasciato a metà la scuola di fumetti a Bruxelles ed era finitoa fare il commesso alle Galeries Lafayette. Ogni mattina passava in rue des Ita-

liens, sede di Le Monde, per depositare in portineria una vignetta. «Ven-go da una famiglia modesta, non conoscevo nessuno che poteva rac-comandarmi». Dopo tanti fogli buttati, la colomba di Plantu arrivaper caso sul tavolo dell’allora caporedattore Bernard Lauzanne.Visto, si stampi. Oggi il contatore segna quota ventimila: tanti so-no i disegni che Plantu ha pubblicato su Le Monde in oltre qua-rant’anni di lavoro. Sveglia al mattino presto, un paio d’ore per leg-gere gli altri giornali e sentire le ultime notizie. Quanto basta per

trovare un personaggio o un tema da croquer, mordere, verbocon cui si definisce il lavoro dei vignettisti. «Ne parliamo sem-

pre con la direzione, spesso mi confronto anche con i croni-sti. Un vignettista che non dialoga con i giornalisti non va-le niente». Dal 1972 sono passati molti direttori, editoria-listi, il giornale ha cambiato proprietà, formato, grafica.Plantu invece è sempre lì, non più intruso ma simbolo del

ANAIS GINORI

L’AUTORE

JEAN PLANTUREUX, IN ARTE PLANTU, È NATO A PARIGINEL 1951 E COLLABORA CON “LE MONDE” DAL 1972.DAL 1985 LE SUE VIGNETTE VENGONO PUBBLICATEQUOTIDIANAMENTE. HA ESPOSTO IN MUSEI E GALLERIEDI TUTTO IL MONDO E LE SUE OPERE VENGONO TRADOTTEANCHE IN CINESE E GIAPPONESE. È IL FONDATOREDELL’ASSOCIAZIONE “CARTOONING FOR PEACE”

U

L’attualità.

PlantuLa mia Francia

pocodaridere

PARIGI

Repubblica Nazionale 2014-06-01

la RepubblicaDOMENICA 1 GIUGNO 2014 29

brevi caricature, con un titolo, più classiche.«Traduco a modo mio la politica francese». I let-tori hanno imparato a conoscere le sue manie,come i topolini disseminati ovunque. «La primavolta era per dare fastidio a una caporedattriceparticolarmente invadente. Poi i topolini sonorimasti e servono a dire cose trasversali».

I genitori temevano fosse muto. «Da piccolo,passavo giornate a fare disegni» ricorda Plantu,ribattezzato con questo nomignolo dai compa-gni di scuola. Nel suo studio, si presenta ora unoscapigliato ragazzo dai capelli bianchi, e losguardo azzurro dolce. Non ama essere incen-sato, anche se ha viaggiato il mondo con mostrecelebrative, ha firmato un francobollo, illustra-to la dichiarazione dei Diritti dell’Uomo ed èspesso paragonato a Honoré Daumier, grandecaricaturista dell’Ottocento, finito in carcereper aver disegnato Louis Philippe in Gargan-tua. Altri tempi. «Oggi la censura in Occidenteè più sottile». Qualche settimana fa, Le Mondeha modificato una sua vignetta nella quale Hol-lande sodomizzava una “Marianne” (l’eroinasimbolo della Francia, ndr). «Ne abbiamo par-lato in redazione e hanno preferito cancellare lascena. Non c’è problema». S’intuisce che nonvuole aggiungere polemiche in un momento incui il giornale attraversa una nuova crisi, dopole dimissioni della direttrice, Nathalie Nou-gayrède. Insiste: «Davvero, ho sempre avuto li-bertà di disegnare ciò che voglio». Nel 2002, LeMonde aveva pubblicato con meno pudore il di-segno di Chirac che copulava con Marianne, eprima ancora quello di Bill Clinton che toccavail seno della Statua della Libertà.

È abile nello schivare gli ostacoli. Plantu ha ri-cevuto negli anni rimostranze a destra, daEdouard Balladur a Dominique de Villepin, co-me a sinistra, da Martine Aubry a Jean-Luc Mé-lenchon. Jean-Marie Le Pen non gli ha perdona-to di averlo sempre presentato in uniforme, co-

me un miliziano, e anche la figlia Marine è raffi-gurata sempre con piglio marziale. «Trovo sanoche i politici si lamentino delle mie vignette».L’autocensura, aggiunge, ci può essere solo perla vecchiaia, l’handicap, la malattia. «QuandoMitterrand stava morendo, ho continuato a di-segnarlo con i capelli anche se li aveva persi qua-si tutti». Il più permaloso è stato Sarkozy. La sto-ria delle mosche che lo inseguivano non gli è maiandata giù. «Prima ha mandato avanti il suoamico Alain Minc, allora consigliere di Le Mon-de» ricorda Plantu. Poi sono arrivate le protestedell’Eliseo. Un lungo braccio di ferro di cui con-serva una certa nostalgia. «Sarkozy era una ca-ricatura vivente. Quel che è buono per i dise-gnatori dei giornali, non sempre è positivo perla democrazia». Scherzare su Hollande è menofacile. Visto da Plantu, il socialista «molle e fin-tamente buono» ha sempre qualche goccia disudore in volto perché «trasmette incertezza».

I lettori sono molto suscettibili, soprattuttoquando si tocca la religione. Un Gesù che distri-buisce preservativi agli africani. Un rabbino ul-traortodosso che ha trecce di filo spinato. Il Mao-metto rappresentato dalla scritta: “Je ne doispax dessiner...”. Per combattere «tutti gli inte-gralismi» Plantu ha fondato nel 2006 l’associa-zione “Cartooning for Peace”. Dal film Carica-turisti, fantaccini della democrazia, appenapresentato al Festival di Cannes, l’editoreBayard doveva pubblicare il libro, ma ha rinun-ciato all’ultimo minuto per una vignetta sullaChiesa cattolica e la pedofilia. L’ha mandato instampa l’editore Actes Sud. L’idea di lanciaremessaggi non solo di sberleffo ma anche di pa-ce e dialogo venne a Plantu nel 1991, quando in-contrò Yasser Arafat e riuscì a fargli disegnareuna bandiera israeliana accanto a quella pale-stinese. Un anno dopo, Shimon Peres firmò il di-segno. I sogni possono essere a forma di strisce.

IL LIBRO E IL FILM

CARICATURISTES. FANTASSINS DE LA DÉMOCRATÌE

(CARICATURISTI. FANTACCINI DELLA DEMOCRAZIA)È IL LIBRO, CON PREFAZIONE DI PLANTU, APPENAPUBBLICATO IN FRANCIA DA ACTES-SUD (416 PAGINE,22,90 EURO WWW.ACTES-SUD.FR) . RACCONTALA STORIA DI DODICI VIGNETTISTI SATIRICI DI TUTTOIL MONDO IN LOTTA PER LA LIBERTÀ. È ANCHE IL TITOLODEL DOCUMENTARIO DI STEPHANIE VALLOATTOPRESENTATO ALL’ULTIMO FESTIVAL DI CANNES

RTV-LA EFFE

LUNEDI SU RNEWS(ORE 13.45 E 19.45,CANALE 50DEL DIGITALETERRESTREE 139 DI SKY)IL SERVIZIODI ANAIS GINORISU PLANTU

DA SINISTRA, MITTERRAND IN CERCA DI IDEE;SARKOZY CONTRO CHIRAC LOTTATORE DI SUMOHOLLANDE DOPO LA SCONFITTA ALLE EUROPEE 2014E IN SCOOTER DAL PAPA

SOPRA, LA CONDIZIONE FEMMINILE. SOTTO,LA DEDICA DI PLANTU A REPUBBLICA; LA VIGNETTACENSURATA CON HOLLANDE E LA “MARIANNE”;MARINE LE PEN E JEAN-LUC MÉLENCHON

PRESIDENTI

GUERRA E PACE

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Repubblica Nazionale 2014-06-01

UIGI LONGO, IL METALLICO COMPAGNO

Gallo della guerra civile spagnola,confessa di aver sposato Teresa No-ce perché succube della «violenzamorale compulsiva» della mamma.Marisa Musu, integerrima parti-giana dei Gap di via Rasella, s’in-colpa di «temperamento ipocon-driaco e malinconico». Aldo D’Ono-frio, potente capo dei quadri del Pci,accetta che il suo matrimonio siadescritto in termini di «violenza di

consenso e impotenza coeundi». Ma quanto erano fragili incasa, questi uomini e queste donne di marmo? Invece no,erano solo finzioni da tribunale, mortificanti ma necessariescamotage avvocateschi per strappare l’annullamentodel matrimonio in quella “sacra rota comunista” che era laRepubblica di San Marino negli anni Cinquanta.

Bisognava pur fare qualcosa. Era una frana. Saldati nel-la clandestinità antifascista, forgiati al fuoco della Resi-stenza, nella rilassata libertà democratica i matrimoni co-munisti si sfasciavano uno dopo l’altro, non reggevano aquella “voglia di vivere, cantare, parlare e stare insieme”,magari in una Festa dell’Unità, che molcea il cor anche deifunzionari più gelidi. «Fra i compagni di ogni livello», scri-ve Rossana Rossanda, «imperversavano passioni e trage-die, separazioni e unioni di fatto». La probità proletaria, alungo contrapposta al libertinismo dei ricchi, sfarinava inquello che gli avversari bollavano come «amore libero». Ilménage Togliatti-Iotti, “scandalo in rosso” che turbò le co-scienze di migliaia di militanti, ha fatto finora ombra a un fe-nomeno diffuso, virale. Gli irregolari del Pci ora ce li raccon-ta un originale saggio (Laterza, 192 pagine, 18 euro) che An-na Tonelli, storica del contemporaneo e del costume, ha ri-cavato da carte finora mai sfo-gliate. Erano tanti, gli amori co-munisti irregolari, famosi esconosciuti, dirigenti e militanti.E il Partito si occupava di tutti.Perché non poteva esserci un mu-ro fra vizi privati e pubbliche virtùin un Pci bisognoso di legittima-zione morale nell’Italia democri-stiana che lo accusava di voler de-molire la famiglia.

C’era dunque la “cicici”, laCommissione centrale di control-lo, la Lubjanka di Botteghe Oscu-re, a vigilare sulle eterodossie ses-suali degli iscritti. Ma non eraun’imposizione orwelliana. Perprimi i dirigenti convocavano ilpartito in camera da letto. Primadi lasciare la Noce e andare a vi-vere con Bruna Conti, Longo informò gerarchicamente To-gliatti, promettendo «di dare alla cosa la minima pubblicitàpossibile». Tradire la moglie si può, ma con l’autorizzazionedel segretario. E il partito deliberava come sulle questioni dilinea politica: «Si ritiene nell’interesse del partito che i com-pagni Longo-Noce e Togliatti-Montagnana regolino la lorosituazione nel senso dell’annullamento matrimoniale», Sec-chia e D’Onofrio seguirono la pratica.

Nella clandestinità, l’endogamia ideologica era stata unacautela obbligatoria: relazioni fuori dal partito potevano es-sere trappole. A Parigi, Celso Ghini fu convinto da un’as-

semblea di compagni espatriati a «non fare sciocchezze» conuna ragazza. Ma nella tranquillità repubblicana, il centrali-smo democratico degli affetti divenne una versione privatadella “doppiezza” togliattiana. Il problema era l’immaginedel partito, non i princìpi morali. Del resto Terracini, presi-dente della Costituente, era stato tacciato di “morale sovie-tica” dalla stampa ostile perché viveva con una donna sepa-rata. Ma una vera e propria censura etica contro i coniugi in-fedeli, almeno fra i quadri, non c’era. In qualche risoluzionedella Ccc traspare anzi il disagio nel dover sanzionare gli “ir-regolari” che creavano più scandalo.

Eppure, quando le coppie rosse cominciarono a scoppiare,il partito dovette trovare un riparo al pubblico scandalo: e fula fuga divorzista a San Marino. Nella micro-repubblica ros-sa del Titano, per l’irritazione vaticana, i matrimoni poteva-no essere annullati. Ne approfittarono Einaudi e Vittorini.Gli irregolari rossi ci si precipitarono: D’Onofrio, PietroAmendola, Gerratana, Grieco. Rinunciò Togliatti, perchéavrebbe dovuto abdicare alla cittadinanza italiana: impro-ponibile. Andò invece fino in fondo Longo, anche troppo: Te-resa Noce non fu convocata per un disguido, e la “ceneren-tola rossa” si ritrovò divorziata a sua insaputa sui giornali(“La scissione Longo-Noce”, infierì Guareschi), allora scris-se una smentita pubblica che le costò l’espulsione dal grup-po dirigente, «un trauma più grande della deportazione».

Problema spinoso, quello della ribellione delle “ripudiatein rosso”. La differenza di genere, nella gestione politica deidivorzi comunisti, oggi appare eclatante e scandalosa. Soloin un caso l’iniziativa fu della moglie: fu Maria AntoniettaMacciocchi ad avviare la causa per separarsi da Pietro Amen-dola. Rita Montagnana (che si rifiutò, scopre Tonelli, di an-dare in tribunale nella stessa auto del marito) finì emargi-nata dopo la rottura con Togliatti. Il partito era comprensi-vo con i compagni divorziandi, ma severo con le compagne

la RepubblicaDOMENICA 1 GIUGNO 2014 30LA DOMENICA

che non accettavano che «i panni sporchi si lavano in Fede-razione».

Puritano all’esterno, tollerante ma maschilista all’inter-no, il Pci pronubo e divorzista non esce bene dallo scavo diTonelli. Se i problemi fossero stati solo di letto, come quel-lo del compagno tombeur, il dirigente pugliese trasferito disede in sede perché ovunque insidiava mogli e figlie di com-pagni, sarebbe stato più semplice. Ma il cuore ha ragionispeciali. E fu l’intrattabilità sovversiva dell’amore la primavera crepa nel monolito dell’ideologia comunista italiana.

I DOCUMENTI

LE CARTE INEDITEPUBBLICATESONO ESTRATTE DA GLI IRREGOLARI.

AMORI COMUNISTI

AI TEMPI

DELLA GUERRA

FREDDA

DI ANNA TONELLI,IN LIBRERIADA GIOVEDÌ5 GIUGNOEDITO DA LATERZA(192 PAGINE,18 EURO).IN ALTODA SINISTRA,LA LETTERADI LUIGI LONGO A TOGLIATTI NEL ’49PER INFORMARLODELLA SUACONVIVENZA CON L’AMANTE;QUELLA SCRITTADA RITAMONTAGNANA A TOGLIATTI (E LA RELATIVARISPOSTA)A PROPOSITODELLE PRATICHEPER LA LOROSEPARAZIONE:“DESIDERODI NON RECARMIDAL PROCURATORECON LA TUAMACCHINA”

La storia. Ciao, bella

L

“Segretario, io andrei a vivere con la mia amante...”

Passioni, tradimenti e separazioni: dopo la guerra

il Pci interveniva sulle scabrose vicende sentimentali

dei suoi onorevoli.E quei dossier spuntano adesso

MICHELE SMARGIASSI

di

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letto

LONGO

LUIGI LONGO DETTO GALLO,SEGRETARIO DEL PCI DAL 1964 AL 1972, ANNULLÒ A SAN MARINO IL MATRIMONIO CON TERESA NOCE, PARTIGIANA E DEPUTATA

Compagni

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Il povero Aldinoe le conseguenzedell’amore finito

FILIPPO CECCARELLI

A POI, COME SUCCEDE, TUTTI QUESTI AMORI

e disamori, tutte queste passioni e

lacerazioni qualche vittima

lasciavano anche, e del tutto

innocente. Nel bel libro di Anna

Tonelli si accenna un paio di volte alle “difficoltà di

salute” e ai “seri problemi mentali” di Aldo Togliatti, il

figlio che il Migliore ebbe nel 1925 con Rita

Montagnana e a cui il Pci ha riservato il più impietoso,

per non dire il più inumano dei trattamenti.

Perché sballottato da Parigi a Mosca a Torino e affetto

da una forma di autismo, Aldo, o Aldino, o Aldolino —

come spesso accade i diminutivi enfatizzano la

crudeltà del destino — fu sempre poco amato da suo

padre, che dopo averlo abbandonato alla malattia in

qualche modo lo sostituì con la bambina che si prese in

casa quando andò a vivere con la sua nuova compagna,

Nilde Iotti.

Inutile, ora, oltre che troppo facile, condannare. Resta

che Aldo era fisicamente identico al padre: ingegnere,

curiosissimo, poliglotta, ma troppo spesso si chiudeva

nel mutismo. Tra un ricovero e l’altro, da Budapest

all’Urss, lo si vide l’ultima volta ai funerali di Togliatti;

ma una volta morta anche la Montagnana, nel 1979, il

Partito, residuo Moloch, decise di cancellarlo, ma

letteralmente, nel senso che lo rinchiuse a sue spese,

lungodegente senza nome, in una clinica di Modena.

Dove, nel 1993, a Pci ormai scomparso, Aldo Togliatti

fu “ritrovato”: un vecchio triste e silenzioso a cui un

anziano militante portava la Settimana Enigmistica.

Morì nel 2011. Di lui ha scritto, oltre a Massimo

Caprara, che fu a lungo segretario di Togliatti, Nunzia

Manicardi ne I figli di Togliatti (Koiné, 2002), ma a

Broadway è andato in scena un dramma, Our fathers,

di Luigi Lunari, in cui Aldo dialoga con Rosemary

Kennedy, sorella di JFK, figlia anche lei “malata”,

quindi rinchiusa e perfino lobotomizzata.

Ecco, nel momento in cui i sentimenti riacquistano

diritto di cittadinanza nella ricerca storica, e senz’altro

la malattia mentale si valuta in modo diverso da

quarant’anni fa, magari è arrivato il momento di

guardare con un altro occhio alla storia di questo

sacrificio. Cominciando per esempio a restituire

dignità storiografica e perfino politica alla

testimonianza di Caprara secondo cui il figlio di

Togliatti non era comunista, e ci teneva anche a non

esserlo. Di più: in piena Guerra Fredda amava

l’America; e almeno due volte scappò di casa per

raggiungerla, in nave. Forse è una diceria, anche se può

suonare come una specie di poesia, ma quel giovanotto

confuso e intirizzito, che una notte del febbraio 1958 si

aggirava sul molo di Civitavecchia, confessò che voleva

imbarcarsi per andare a Disneyland. Inaudito, doloroso

e tenero cortocircuito fra Aldolino e Paperino.

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M

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Cowboy, yankee o marine,

incarnò l’eroe americano

reazionario e patriottico

Perfino razzista. E ancora oggi

l’ultima biografia fa discutere

Spettacoli. Born in the Usa

ICONA

AL CENTRO, JOHN WAYNE RAGAZZO IN UNO SCATTO DEL 1920. QUI SOPRA, CON LA SECONDA MOGLIE CHATA E SUA MADRE.NELL’ALTRA PAGINA IN BASSO, COL CANE LASSIE IN “HONDO”, 1953

NEW YORK

OHN WAYNE è un personaggio inventato da unuomo chiamato Marion Morrison, il qualecapì, nel momento stesso in cui mise piede aHollywood, che con quel nome non avrebbemai sfondato. Sin da giovane Marion volevadiventare un eroe americano, e quando RaoulWalsh gli suggerì di ribattezzarsi AnthonyWayne scartò solo il nome, “troppo italiano”,decidendo che il suo destino era quello di rap-presentare l’epica della normalità: l’averageguy che ognuno avrebbe voluto, secondo lui,come padre, fratello, amico e sposo.

Una magnifica biografia di quasi settecento pagine a firma diScott Eyman, intitolata John Wayne, the life and the legend(Simon& Schuster, 672 pagine, 23.90 euro) ne intreccia la realtà più intimacon l’immagine che l’attore riuscì a creare sullo schermo, lungo unacarriera di oltre cinquanta anni, che lo ha visto interpretare alcunidei più grandi film americani mentre assumeva posizioni estreme espesso reazionarie. Era nato a Winterset, nell’Iowa, ma era cresciu-to in California, dove il padre farmacista lo aveva educato secondo idettami della religione presbiteriana. Era alto un metro e novanta-tré e aveva un fisico possente, ma si sentiva brutto e sgraziato. Quel-lo che conta sono gli ideali, diceva, e lui li ha inseguiti tutta la vita conpassione: da giovane ha creduto sinceramente nel socialismo, salvopoi ripudiarlo a favore di un patriottismo sempre più rigoroso. Soffrìmolto quando venne scartato dai marines, e poi, a seguito di un in-cidente, quando perse la borsa di studio universitaria ottenuta permeriti sportivi. Entrò a far parte della loggia massonica di Glendalee cominciò a fare l’attore grazie a Tom Mix, il quale gli trovò lavorocome comparsa. Dopo un lungo purgatorio di pellicole di serie B,John Ford gli offrì il ruolo di Ringo in Ombre Rosse: fu l’inizio di un so-dalizio artistico e umano che venne sigillato da oltre venti film. Fordfu il primo a comprenderne la mescolanza di epica e quotidianità cheesprimeva con quel corpo gigantesco, l’umorismo aspro e le battuteasciutte. E si rese conto subito che non era un grande attore, ma mol-to di più: un’icona, un modello di virilità eintegrità e una presenza imprescindibile.Insieme hanno firmato molti capolavori,tra i quali Sentieri Selvaggi, Un uomo tran-quillo e L’uomo che uccise Liberty Valan-ce: anche nei momenti in cui la qualità re-citativa è modesta, risulta evidente comequei film sarebbero inconcepibili senza lasua presenza maestosa. È lo stesso motivoper cui un artista come Richard Prince neè tuttora ossessionato e un fine intellet-tuale come Gary Willis ha scritto JohnWayne’s America, nel quale identifica gliaspetti più grandiosi e controversi dellastar con l’intero Paese. Ed è lo stesso moti-

ANTONIO MONDA

J

John WayneOmbre grosse

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vo per cui conquistò il rispetto anche di chiaveva idee opposte, come il liberal Robert Al-drich, che ne pronunciò un commovente elo-gio funebre.

Sposò tre donne, tutte di origine spagno-la, ma ebbe molte relazioni, la più significa-tiva delle quali con Marlene Dietrich: anchelei contestava aspramente le sue idee politi-che, ma ne ammirava l’onestà intellettuale.Fu l’impossibilità di combattere in guerraper questioni di età che fece acuire il suo pa-triottismo, spostandolo su posizioni semprepiù conservatrici. Dopo aver votato con con-vinzione per Roosevelt e Truman, divenneun anticomunista viscerale, e all’epoca delmaccartismo appoggiò il Comitato per le at-tività anti-americane, interpretando BigJim McLain, un imbarazzante film di propa-ganda. Mantenne tuttavia sempre un’au-tentica autonomia rispetto al partito repub-blicano, che pure appoggiò pubblicamente:inaugurò la convention del 1968 che avreb-be incoronato Richard Nixon, e poi aiutò fi-nanziariamente Ronald Reagan, ma nonesitò a elogiare Jimmy Carter quando il pre-sidente appoggiò gli abitanti di Panama nelcontrollo del canale.

Nell’America di John Wayne l’individuoè sempre al di sopra di ogni istituzione, an-che quella che rappresenta le proprie idee,e “Duke”, come lo chiamavano gli intimi,scelse i film partendo dalla moralità dei per-sonaggi, a costo di interpretare ripetuta-mente lo stesso ruolo. Predilesse, oltre al-l’eroe del West, i ruoli di pilota di guerra. Ri-fiutò con sdegno Tutti gli uomini del re, chedefinì anti-americano, e cercò in tutti i mo-di di immortalare l’Ispettore Callaghan,ma gli venne preferito Clint Eastwood,un’altra icona della destra statunitense. Lemigliori interpretazioni sono quelle dellavecchiaia, come Il Grinta, per il quale vinseil suo unico Oscar, e Il pistolero, nel qualeera un uomo malato di cancro. Leggendarigli interventi sulle sceneggiature: «Ho in-terpretato duecentocinquanta film, e nonho mai sparato a nessuno alle spalle. O cam-biate questa scena o me ne vado», disse a unesterrefatto Don Siegel. Questo misto diepica e quotidianità, dignità e spirito rea-zionario lo resero mitico in ogni parte del

mondo: l’imperatore Hirohito chieseespressamente di incontrarlo, e Stalin ipo-tizzò un complotto per uccidere “una dellepiù significative icone americane”.

I suoi film come regista sono scadenti ereazionari: in particolare Berretti Verdi,nel quale celebrava l’intervento in Viet-nam. Il libro di Eyman consente di riflette-re su come sia impossibile distinguere l’uo-mo dal personaggio: in un’intervista a Play-boy dichiarò di «credere nella supremaziabianca fin quando i neri non dimostranosenso di responsabilità», e di esser fe-lice di aver rifiutato Mezzogiorno difuoco: «È una delle cose più anti-ame-ricane che abbia mai visto, e non mipento di aver costretto lo sceneggiatoreCarl Foreman ad andar via dal nostroPaese». Rispetto ad altri divi diHollywood riuscì a difendererelativamente la propria pri-vacy, tranne per quanto ri-guarda la salute. Fu ungrande bevitore e un fuma-tore accanito: sconfissemiracolosamente un tu-more ai polmoni, ma poidovette soccomberequando il male riappar-ve nello stomaco. Sullatomba chiese che fossescritto “Brutto, forte epieno di dignità”, mala verità più profondala disse in punto di mor-te all’ultima moglie: «Horecitato il tipo di uomoche avrei voluto essere».

UARDA CHE TU NON SEI

John Wayne” gli

disse brusco Kirk

Douglas dopo una

furiosa discussione

fra i due su come si dovesse recitare. Ci

voleva un bel fegato per dirlo in faccia

all’attore che, per una generazione, era

stato nel mondo il corpo, il viso, la voce

dell’America. Ma la domanda rimane

ancora oggi difficile: chi era davvero

quell’uomo, figlio di un farmacista

venuto dallo Iowa, o The Duke, il duca,

come tutti lo chiamavano a Hollywood,

senza sapere che era semplicemente il

nome del suo primo cane?

Se nel gioco di specchi fra il personaggio

e la persona, ogni attore rischia sempre

di smarrire se stesso, l’enormità di

questo gigante ha forse per sempre

ingarbugliato la realtà e la percezione.

Per quanto si sia potuto adorare o

detestare il perticone delle Grandi

Praterie, il credito che tutti gli

riconoscono è di essere sempre rimasto

fedele alla propria icona. La sua

ossessione per l’immagine che

proiettava — fino a ingaggiare

sceneggiatori a plotoni soltanto per

levigare la battuta perfettamente “sua”

— testimonia qualcosa che va oltre la

professionalità. Più che banale vanità di

star, la sua era coscienza dell’essere tutto

ciò che l’America immaginava e avrebbe

voluto essere, in un universo culturale

rimasto sempre in bianco e nero, diviso

in noi contro voi. In uno studio su

Hollywood e la Guerra Fredda, l’autore

Tom Shaw indicò proprio in Wayne una

delle armi più efficaci della guerra

psicologica, e ideologica, per conquistare

i cuori e le menti di amici e nemici. E lui

sapeva di essere la “Bomba W”, che non

a caso Stalin aveva immaginato di

uccidere. Tutto ciò che di bene c’era

contro il male doveva essere in lui, il

giustiziere del West, il pioniere alla

conquista di un continente

selvaggio, il soldato senza paure

né dubbi nell’atroce polpettone

Berretti Verdi in Vietnam. Che

tutto quel bene, dai musi rossi da

sterminare ai musi gialli da

uccidere nelle Filippine fino ai

“Charlie”, i vietcong nello slang

spregiativo, non fosse poi

tanto bene era un pensiero

lontano da lui. A Wayne,

Reagan si era sempre

ispirato. Ora che il

calco di quel tipo

di recitazione e

di propaganda

si è spezzato

definitivamente è forse

possibile azzardare una risposta

alla domanda polemica di Kirk Douglas,

che lo accusava di essere ormai

prigioniero di una maschera. Negli ultimi

mesi della sua vita, il figlio del farmacista

dello Iowa confessò di aver sempre

interpretato l’uomo che avrebbe voluto

essere. E dunque Kirk si sbagliava: John

Wayne era davvero John Wayne.

Ma chi eradavverola Bomba W?

VITTORIO ZUCCONI

ALBUM DI FAMIGLIA

SOPRA, CON FIGLI E NIPOTI: LA FAMIGLIA WAYNE “ALLARGATA”, GENNAIO 1966. IN ALTODA SINISTRA, JOHN CON LA TERZA MOGLIE PILAR E LA FIGLIOLETTA AISSA APPENA NATANEL 1956; CON MARLENE DIETRICH; CON ANGIE DICKINSON IN “RIO BRAVO” NEL 1959

CERTO CHE SVENTOLOLA BANDIERAAMERICANA. CE N’È UNA MIGLIORE DA SVENTOLARE?CERTO CHE AMO IL MIOPAESE CON TUTTI I SUOI DIFETTI.QUESTO È QUELLO CHE HO CERCATO DI MOSTRARE IN “BERRETTI VERDI” E HO RICEVUTO UN SACCO DI OFFESEDALLA CRITICA

BERRETTI VERDI 1968

QUESTO FILM È L’AMERICA. SPERO CHE VEDERE LA BATTAGLIA DI ALAMORICORDERÀAGLI AMERICANI CHE LIBERTÀ E INDIPENDENZANON SONO A BUONMERCATO. GIRAREQUESTO FILMMI HA FATTOSENTIRE UTILE AL MIO PAESE

L A BATTAGLIA DI ALAMO1960

L’OSCAR E IO ABBIAMOQUALCOSA IN COMUNEIL TEMPO CI HA RESOMALCONCI MA SIAMOANCORA QUI E CONTIAMO DI RIMANEREIN CIRCOLAZIONE PER UN BEL PO’... SONO UN CAMPIONE DEL BOX OFFICE CON UN RECORD CHE GLI ALTRINON RIUSCIRANNO A RAGGIUNGERE

IL GRINTA1969

FINALMENTEHO TROVATO IL PERSONAGGIO CHE OGNI UOMO MEDIOVORREBBE ESSERE, LO STESSO CHE LA MOGLIE MEDIAVORREBBE AVERE PER MARITO QUELLO CHE CAMMINASEMPRE A TESTA ALTA, CHE GUARDA TUTTIDRITTO NEGLI OCCHI,CHE NON TRADISCEMAI UN AMICO

IL PISTOLERO1976

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iniziando a vendere in giro per il mon-do il suo Minos System. «Con un sem-plice click puoi monitorare stato de-gli impianti, guasti, fabbisogni e inol-tre trasforma gli impianti di illumi-nazione in una nuova rete di comuni-cazione territoriale e il lampione inun supporto intelligente in grado diattivare un’ampia gamma di servi-zi», spiega il direttore marketing Raf-

dellacittà

VALERIO GUALERZI

NCANEportato al guinzaglio fa la pipì contro unlampione. Accade ogni giorno migliaia di vol-te, ma assistere a una scena simile potrebbediventare sempre più raro. Più facile immagi-nare che un padrone lasci il suo animale liberodi insozzare qualcosa molto più simile al ter-minale di una sofisticata centralina elettro-di-gitale piuttosto che all’attuale rozzo palo di ac-ciaio posto a supporto di una vecchia lampadaal neon. Nelle metropoli dove vivranno i nostrifigli la rete dell’illuminazione pubblica sarà in-fatti qualcosa di molto diverso dalla semplice

sequenza di pali a cui siamo abituati oggi. Non solo porterà quartiere perquartiere la linfa vitale della luce, ma diventerà una rete nervosa capacedi interagire attraverso le sinapsi dei lampioni. La città ipercablata, digi-talizzata e interattiva del futuro, la “smart city”, per comunicare non avràneanche bisogno di una nuova infrastruttura, ma sfrutterà quella già esi-stente dell’illuminazione pubblica. Lo hanno intuito aziende del calibro diPhilips e Siemens, ma anche una piccola impresa italiana, la Umpi, che sta

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Non più semplici lampioni

ma una rete polifunzionale

sensibile ai nostri gesti

per darci wifi, meteo, traffic

controle tanto altro. A illuminarci

penserà il Dna delle lucciole

Next. Fiat lux

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DIODI A EMISSIONILUMINOSE.CONSENTONOUN GRANDERISPARMIOENERGETICO

U

LuciLe

faele Villa. La lista delle applicazionipossibili è lunga e da Rotterdam a Mi-lano, da Torino a Beirut molte cittàstanno inziando a sperimentarle: levecchie lampade infatti potranno di-ventare ripetitori della rete wifi, sen-sori in grado di rivelare le condizionidel meteo, del traffico e dell’inquina-mento, di tenere sotto controllo lastabilità di edifici storici, di tracciarecose e persone, di monitorare livelliidrometrici e smottamenti in aree arischio. Inoltre potrebbero trasfor-marsi in terminali della rete di ricari-ca per veicoli elettrici e dosare le giu-ste quantità di luce in base alle ne-cessità del traffico, garantendo ri-sparmi fino al 70 per cento. Ma se il si-stema nervoso della rete elettrica di-venta sempre più sofisticato,bisogna che si evolvano anche gli “or-gani periferici”, a cominciare dai led,i diodi a emissioni luminose. Il Labo-ratorio Luce del Politecnico di Milanoda anni lavora proprio allo studio diquesta tecnologia e alle sue possibiliapplicazioni: «È fondamentale sele-zionare apparecchi e sistemi a ledcon intelligenza integrata per il ri-

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la RepubblicaDOMENICA 1 GIUGNO 2014 35

sparmio», spiega Daria Casciani, unadelle ricercatrici coinvolte nel pro-gramma. «C’è poi — aggiunge — laqualità dell’illuminazione: tempera-tura di colore, la distribuzione dellospettro, la distribuzione luminosanello spazio, l’eliminazione dell’ab-bagliamento e dell’inquinamento lu-minoso». I led possono essere quindiinseriti in nuovi apparecchi modula-ri, come il PLUS, messo a punto dalPolitecnico di Milano in collaborazio-ne con l’Enea, valorizzando proprioaspetti della luce quali contestualiz-zazione, dematerializzazione, flessi-bilità e parassitismo. Un concettoquesto, su cui si sta lavorando molto,esplorando soluzioni alternative chevanno dagli intonaci che permettonoagli edifici di interagire con la luce al-le vernici stradali fluorescenti per au-to-illuminare viali pedonali e piste ci-clabili. Innovazioni tra esigenza di ri-sparmio e voglia di abbellire gli spa-zi urbani. Obiettivi raccolti sotto ladefinizione “urban social lighting”,ovvero un’illuminazione orientata anuove esperienze sociali. Su questabranca di ricerca si sta cimentandoanche il Laboratorio Luce. «Con l’illu-minazione urbana adattabile — spie-ga ancora Casciani — i lighting desi-gner progettano sensori avanzati esistemi di illuminazione “responsi-va” che connettono i prodotti non so-lo ai luoghi urbani, ma anche alle at-tività e ai comportamenti».

Inoltre, nell’università di Eindho-ven, è stato installato un sistema dilampade a led che si accendono e mo-dulano la loro intensità in base allaquantità di persone presenti e ai loromovimenti. Negli Stati Uniti si è pun-tato invece all’integrazione tra illu-minazione e verde pubblico, avvian-do i lavori per la Energy Forest, un im-pianto che permette ai led di “sincro-nizzarsi” con un bosco di bambù, unruscello e il vento. Solo un assaggio diquell’interazione tra tecnologia e na-tura che in futuro porterà ad avere al-beri luminescenti utilizzabili comelampioni viventi. Biologi molecolaridi mezzo mondo sono infatti sullabuona strada per aggiungere partidel Dna di lucciole, meduse e batterimarini fluorescenti al genoma delcloroplasto delle piante.

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L PIÙ FAMOSO tra i romanzi di Jay McInerney (Le mille luci di New

York) aveva come titolo originale: Bright lights, big city. Ovvero:

«luci splendenti, grande città». Sembrava suggerire un rapporto

necessario: nessun luogo è grandioso se non è sfolgorante. La luce

vivifica. L’esempio più evidente è venuto dalla stessa New York

quando, per riempire il vuoto lasciato dalle Torri Gemelle, innalzò al

cielo due fasci luminosi. Negli uffici all’interno dei grattacieli i neon

restano accesi durante la notte: per segnalare agli aerei la presenza,

ma anche per dire che la città non dorme mai. Parigi si è costruita

una reputazione come “Ville lumiere” per aver, prima nel

mondo, illuminato elettricamente le sue strade. La funzione

dei lampioni oggi è diffusa: la svolgono insegne, colonnine,

cantieri. Per vedere una città non splendente ma attiva in

piena notte bisogna spostarsi dall’Europa all’Asia, a

Shanghai e Hong Kong, dove il firmamento sono le luci

dei palazzi in costruzione. Non c’è opulenza senza

luminosità, è l’opinione comune. Questo spiega

perché gli emirati semideserti al tramonto si

trasformino in decorazioni festive appese al quasi

nulla. Anni fa il lungomare di Dubai si popolò di

palme luminose. L’immagine apparve sui

giornali arabi e provocò una imitazione nel

quartiere più moderno del Cairo,

Mohandessin. Ne scaturì una polemica

estetico-religiosa. Le palme furono

ritenute contrarie al buongusto e al

Corano. Sparirono. Tempo fa mi è

sembrato di vederne una in un

giardino di Villa Literno. Ma è

stato un lampo nel retrovisore,

poi si è subito spenta.

Niente è grandiosose non è sfolgoranteGABRIELE ROMAGNOLI

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la RepubblicaDOMENICA 1 GIUGNO 2014 36LA DOMENICA

ETTE di pane casereccio, con mollica, del giorno prima. Po-modori maturi tagliati a metà e sfregati sul pane dove la-sciano i semi, l’acquetta e la polpa strappata alla pelle dal-la ruvidità del pane. Sale ben distribuito: deve essere umi-do. Un filo d’olio. Prendere ogni fetta di pane con le dita dal-la parte della crosta, stringerla e lasciarla poi andare in mo-do che l’olio si sparga liberamente”. Privato dei semi, il sen-sualissimo pane e pomodoro raccontato da VázquezMontalbán nelle sue Ricette immorali non sarebbe più lostesso. Non è solo il significato simbolico — seme della vita— a fare la differenza, ma anche la consistenza puntuta eresistente a contrastare la mollezza diffusa di pane e polpa.

Senza dimenticare che nella gelatina circostante si annida la benemerita vitamina C.Eterna e indispensabile, la vita dei semi accompagna da sempre quella dell’uomo. Raccoglierli

e conservarli è diritto e dovere inalienabile di chi ha in custodia la terra. Non a caso, le grandi mul-tinazionali provano di quando in quando ad appropriarsene: privatizzare i semi per diventare pa-droni del pianeta. Tentativi sciagurati, che per fortuna trovano ogni volta oppositori insormonta-bili, da Vandana Shiva, capace di costruire una sorta di Fort Knox dei semi nel cuore dell’India, aitanti seeds savers sparsi da una parte all’altra del mondo.

Così tanti, che ne conosciamo e gustiamo solo una piccola parte: basta affacciarsi nelle cucinedel mondo per scoprire varietà sconosciute e go-losissime. Così meravigliosamente diversi, chepossiamo scegliere su una tavolozza infinitaquelli giusti per trasformare un piatto banale inun gioiello di sapore e virtù nutrizionali. Perchélì, in quel nonnulla protetto da una scorza du-rissima, è nascosto tutto quanto una pianta di-venterà domani, se solo sapremo dargli la terraadeguata. Mangiare i semi significa fare un sur-plus di energia, come ben sanno gli orientali,che li adoperano da sempre e generosamentenella loro cucina.

Mai come in questo caso, cucina e salute van-no a braccetto: malgrado maius, il mese del ri-sveglio primaverile, sia finito, la luna calantebenedice le semine della prima settimana digiugno: pomodori e carote, insalate e fragoline,erbe odorose e zucchine. Mentre Madre Naturafa il suo corso nei campi, i semi prorompono neimenù di stagione: insalate di verdure e di frut-ta, pani, torte, impanature, tisane, gelati.

Li mangiamo duri e puri come li abbiamo tro-vati, rintanati nei frutti che esistono solo per

proteggerli (uva, pomodori, melagrana...), to-stati e salati nella versione più golosa, germi-nati per attivare in maniera esponenziale le lo-ro potenzialità, o semplicemente per renderlicommestibili, come nel caso di legumi e cereali.Non c’è menù d’alta cucina che li trascuri, ametà tra la cucina a scarto zero e le ispirazionietniche, mettendo in fila il pesce spadellato nel-l’olio di sesamo nero, le carni con curry e garammasala, mix di spezie battezzate dai semi di co-riandolo, la zuppa di pollo Thai e semi germo-gliati di soia, su su fino allo strudel con i semi dipapavero.

Se l’universo dei semi vi affascina, non man-cate l’appuntamento con Ortinfestival, oggi edomani a Venaria, Torino. Tra lo showcookingdi Pietro Leemann, mago della cucina vegeta-riana, e la visita al mercato contadino, regala-tevi un pic-nic all’ombra della Reggia. D’obbli-go tornare a casa con sacchetto di semi e zap-petta da piccolo coltivatore.

Cuociti sesamo.La stagione dei semiè tutta vita a tavola

Il libro

Michel e Jude Fanton, fondatoridella rete australiana Seed

Savers, hanno scritto “Manualeper salvare i semi dell’orto

e la biodiversità”. Oltre centoschede botaniche e mille consigli

su come e quali semi salvareraccontano le tecniche migliori

per rispettare cicli di crescita e proprietà nutrizionali

L’alternativa

Oltre alla tostatura, i semi (farro,erba medica, crescione, riso, soia

lenticche, miglio) possonoessere trasformati appoggiandoli

su carta assorbente intrisad’acqua. Dopo qualche giorno,germogliano liberando qualità

nutrizionali nascoste, dalla digeribilità all’incremento

di proteine e vitamine

La novità

Ultimi arrivati sul mercatoitaliano, i semi di chia

(salvia hispanica), consumati dai guerrieri atzechi

per darsi coraggio prima delle battaglie. Oltre

all’eccellente apporto di calcio e acidi grassi, macerati in acquae limone si trasformano in un gel

anti-fame, prima dei pasti

Sapori. Piccolini

GUSTOSIED ENERGETICI,

DA QUELLIDEI POMODORI

STRUSCIATISUL PANE A QUELLI

DI CORIANDOLOPER L’ALTA CUCINA

COTTI, TOSTATI,GERMINATI O DURI

E PURI: LA VARIETÀÈ INFINITA E QUESTO

È IL LORO MOMENTO

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Ne basta solo una spruzzataecco come ti cambio l’insalata

1 CESPO DI LATTUGA; 50 G. DI SPINACINI FRESCHI; 4 ALBICOCCHE; 4 PICCOLI POMODORI COSTOLUTI; 20 G. DI ARACHIDI SALATE; 30 G. DI SEMI DI GIRASOLE;30 G. DI BACCHE DI GOJI; 1 MAZZETTO DI FINOCCHIO SELVATICO; 50 G. DI FRAGOLINE DI BOSCO; 10 G. DI SALE MALDON O SALE IN SCAGLIE INTEGRALE; FIORI EDULI; 1 CUCCHIAIO DI MIELE; 1 CUCCHIAIO DI ACETO DI LAMPONI O BALSAMICO; 3 CUCCHIAI DI OLIO EXTRAVERGINE

er valorizzare i semi, ho pensato a una propostasemplice, colorata e gustosa, che si basa sullascelta di materie prime fresche, sane, di stagione.Per prima cosa, occorre pulire l’insalata, mante-

nendo solo il cuore. Di seguito, tagliare a piccoli spicchi ilpomodoro e le albicocche. Una volta che tutti gli ingredientisono pronti, si dispone l’insalata in un piatto largo, poigli spinaci, i pomodori, le albicocche e le fragoline. Aggiungere i semi di girasole e le bacche di Goji,infine irrorare con un’emulsione di olio, aceto eun pizzico di sale in scaglie. Gli abbinamenti sono vari: una buona bollicinaitaliana, sola o arricchita di frutta, ovvero Belli-ni (succo di pesca) o Rossini (succo di fragole),ma anche del succo di pomodoro fresco o un ver-muth ghiacciato.

LICIA GRANELLO

P LO CHEF

FABRIZIOMANTOVANIGESTISCEFM@BISTROT DI FAENZA (RA). NEL SUO MENÙ,TRADIZIONEDI TERRITORIO E CONTAMINAZIONICURIOSE, COME LA RICETTAPER I LETTORI DI REPUBBLICA

La ricetta

“F

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EMINARE È UN GESTO ANTICO

però meno di quanto

penseremmo, se misurato

col metro della storia.

L’invenzione

dell’agricoltura e la domesticazione

delle piante non risalgono a oltre

dodicimila anni fa (in Europa, meno

ancora) dunque praticamente a ieri.

Solo da quel momento la vita degli

uomini si è strettamente intrecciata con

quella dei semi, e il ciclo vegetativo delle

piante, diventato decisivo per la

sopravvivenza della specie, si è

arricchito di valori simbolici e rituali di

particolare intensità. Il mito greco di

Persefone, la figlia di Demetra (dea

dell’agricoltura) rapita dal dio degli

Inferi e costretta, dopo strenue

trattative, a vivere sotto terra per

almeno un terzo dell’anno, è la

rappresentazione narrativa del ciclo del

grano, dalla “sepoltura” del seme alla

sua rinascita sotto forma di spiga, da cui

nuovi semi nasceranno, oltre al cibo per

chi lo avrà seminato. Rinunciare a un po’

di semi per garantirsi il futuro: in questo

semplice gesto c’è tutta la saggezza

delle società contadine, il senso del

limite, del risparmio, della misura che

non confliggono con il piacere, la

soddisfazione, la festa, anzi ne

costituiscono la necessaria premessa.

Ma non tutti i semi vengono riseminati.

Alcuni entrano nella preparazione dei

cibi, forse per accrescere

(biologicamente e simbolicamente) la

loro carica vitale, forse per la memoria

del tempo in cui — migliaia di anni fa —

gli uomini non avevano ancora

imparato a farne uso per produrre

nuovo cibo. Gli aspetti rituali

decisamente prevalgono quando il cibo

della festa si arricchisce di semi, o la

pastiera napoletana ospita al suo

interno i chicchi di grano. Altre volte è

una spruzzata di semi di papavero sui

canederli, o di semi di sesamo sul pane,

e l’aspetto gustativo assume un ruolo

più forte. Ma poi pensiamo ai semi

utilizzati per fare l’olio (oggi il girasole

americano, nel Medioevo la canapa o il

lino), ai semini di anice confettati nello

zucchero. Per non parlare dei semi di

zucca (da noi si chiamavano

“brustuline”) da sgranocchiare al

cinema.

È davvero affascinante la storia dei

semi: da un lato, strumenti essenziali

per la riproduzione delle risorse, con

evidenti implicazioni sociali, politiche,

giuridiche, ossia di controllo e di

gestione oltre che, ovviamente, di

conoscenza; dall’altro, ingredienti dal

fascino misterioso, e carichi di una

profonda simbologia, per una cucina

allegra e fantasiosa.

Simbologiamisteriosae anticasaggezza

MASSIMO MONTANARI

4tipologie

LinoContengono acidi grassi,mucillagini, proteine,minerali, vitamine. Meglioancora l’olio, delicatissimo,ricco di Omega 3, 6, 9 e acido alfa-linoleinico

VEGETAL PROGRESS

LOCALITÀ NOVERO 8DEVESI DI CIRIÈ (TO)TEL. 011-9205996

Torta salataFeta, cuori di carciofimarinati, piselli,pomodorini e semi di sesamoInsalata con germogli di soia, a parte

SesamoRappresentano un’ottimafonte vegetale di calcio,insieme a fosforo, ferro,magnesio. Mescolati al salemarino, danno il gomasio,usato nella cucina orientale

BIO 2000VIA CIRCUMVALLAZIONE 161 AVELLINO

TEL. 0825-679652

4piatti

CanapaDieci aminoacidi nei semi a alto contenuto di fitosteroli e acidi grassi (Omega 3 e 6)Ottimo il bilanciamento tra fibre e proteine. Alla basedell’Hemp-fu, tofu di canapa

TERRA MIA

VIA GIACOMO TREVIS 63ROMA

TEL. 06-64523649

GirasoleUn concentrato di acidofolico, rame, selenio,vitamine A, B, D, E. In quellineri, ferro e zinco, in quellibianchi l’acido linoleicoL’olio va consumato a crudo

IL MELOGRANO

CORSO VITTORIO EMANUELE 64TORINO

TEL. 011-0772928

PaneNell’impasto o in superficieprima di infornare, regalano oligoelementi e croccantezza. Quelli di lino, ricchi di mucillagini,evitano gonfiori

ANTICO FORNO SAN MICHELE

VIA GIUSEPPE PIPITONE 61PALERMO

TEL. 347-1986540

PolpettineMix di formaggio fresco o ricotta con pangrattato,tuorlo d’uovo, erbettespadellate. Quindi,impanatura in papavero o sesamo. Fritte o nature

GATTÒ

VIA CASTEL MORRONE 10MILANO

TEL. 02-70006870

BiscottiFarina integrale, zucchero di canna grezzo, yogurt e semi misti frullati insieme,da modellare in piccole ciambelle che si infornano 10’ a 180°C

IL MULINO DI PIETRA

LOCALITÀ CEDRI

PECCIOLI (PISA)TEL. 0587-697184

InsalataMiscelati tra chiari e scuri,pestando preventivamentenel mortaio quelli coriaceicome il lino (per poterneassimilare tutti i benefici),arricchiscono la misticanza

LA CUCINA DI GIUDITTA

PIAZZA VALORIA 11/RGENOVA

TEL. 010-2770094

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il papà ingegnere era tra i fondatori di un cineclub a Napoli e da ra-

gazzina la portava a vedere i film di Rossellini e Bresson “quando

avrei preferito andare in discoteca: ero un’esagitata”.E lo è ancora.

Così, dalle scene sperimentali al set, in carriera è stata suora, Elena,

Ofelia, Medea, regina e perfino uomo. ”Animale no, mi manca solo

quello”. Fino al ruolo da Oscar ne “La grande bellezza” di Paolo Sor-

rentino. “Lo conobbi quando era

un giovane driver, molto vivace e

spiritoso. Il suo è un talento rina-

scimentale: sa fare bene tutto,

anche la pizza”

IaiaForte

ROMA

ER ME QUELLO di Paolo Sorrentino è un talento rinascimenta-le: dirige magnificamente, scrive divinamente, gioca a pal-lone che è un piacere, e fa una pizza che ti fa sognare» an-nota divertita Iaia Forte alias Trumeau, la madame-vedet-te leopardata con turbante ne La grande bellezza. Que-

st’attrice monstre e popolare che starebbe bene nelle opere a tinte forti di Vi-viani e nelle trame di Pedro Almodóvar, con inconfondibile voce rauca, voltointenso, occhi mélo, risata lazzarona e sensualità corposa, butta giù una listadelle identità assunte. «Mi manca solo di interpretare un animale, per il restonon mi sono fatta mancare niente. Sono stata suora per Carlo Cecchi e PappiCorsicato, poi ne La monaca di Monza di Federico Tiezzi che m’ha fatto fareGertrude e Ofelia in Amleto. Sto facendo la Moda nelle Operette morali di Ma-rio Martone, dopo un’Elena nuda con Luca Ronconi, e adesso recito nei pannid’un uomo, ossia Tony Pagoda, in Hanno tutti ragione dal libro di Sorrentino.Ma ho alle spalle anche una regina Carolina, le donne di Molière, i personaggieduardiani con Leo De Berardinis, una Medea di Emma Dante e una MollyBloom di Joyce». Alla radice dello schizofrenico andare da un ruolo all’al-tro di quest’eterna ragazzona nata a Napoli nel 1962 c’è un padre.

«Ho avuto un papà mitologico, morto a quarantott’anni quando ione avevo quattordici, un uomo vitale e curioso che insegnava Inge-gneria all’università, ma era appassionato di letteratura e di cine-ma, e io la mia formazione umanistica la devo a lui, che era tra i so-ci fondatori di un cineclub a Napoli, dove mi faceva vedere, con miagrande noia, film di Rossellini e Bresson mentre io avrei preferitoandare in discoteca. Ma lui riuscì a forgiarmi come spettatrice

e aspirante attrice. Gli debbo un percorso di maturazione an-che se difendo coi denti il mio slancio naturale in conflitto conl’adultità. Con la mia amica Patrizia Cavalli giochiamo ad as-segnare alle persone un’età soggettiva prescindente dall’ana-grafe reale. A Cecchi diamo quindici o sedici anni».

Poi ci sono le altre figure fondamentali della sua vita. «Permia madre ho avuto un rispetto enorme. A noi tre figli ci hacresciuto con sacrifici devoti, assecondando ogni nostro de-siderio. Io non ero il tipo da salire sul tavolo a dire le poesie,ero un’adolescente agitata che cercava sempre un luogo do-

ve sfogare le energie, studiavo danza, e a Napoli avevo frequentato la scenasperimentale lavorando sul corpo, per trasferirmi a Roma a diciott’anni per-ché al Centro Sperimentale di Cinematografia davano una borsa di studio».Non aveva le carte tutte a posto, all’epoca. «Avevo una vocazione incerta, e unatotale spudoratezza (che m’ha sempre salvato). Incontrai una figura decisi-va, Giuseppe De Santis, che al Centro era direttore del corso di recitazione. Lamia intesa scatta in genere con figure parapaterne o di fratelli maggiori: DeSantis, Servillo, che per primo m’ha legittimata in scena, ma anche Ronconiche m’ha suggerito cose fondamentali, e prima di lui Marco Ferreri che m’in-segnò l’anarchia e a fottermene delle convenzioni».

Il gusto del sodalizio artistico non le è venuto meno nella sfera privata. «Perdodici anni, dai miei ventitré anni, ho avuto per marito un attore, Roberto DeFrancesco, con me nelle Operette morali, poi sono stata per otto anni con unaltro teatrante, Tommaso Ragno, ma ho capito che a un certo punto non si puòpiù stare con artisti colleghi a condividere la parola “provino”, e ora da cinqueanni sto con un sinologo, Davide Vona, quasi coetaneo, e dura, tra alti e bassi.Lui ha una casa sua, e io ho un “partner” in più, un’abitazione mia, che a Romaaffaccia sui Fori, un traguardo per me che da piccola volevo fare l’archeologa,anche se ho un mutuo da pagare ancora per ventuno anni».

Iaia ha fatto parte di importanti storie del teatro di ricerca, è animale delloschermo e bestia da palcoscenico. «Campo di continue fughe e ritorni fra tea-tro e cinema. Lavoro a cicli con gli stessi registi. O con gli stessi compagni. AlCentro Sperimentale non ho mai imparato bene la dizione, era più importan-te incontrare coetanei con cui immaginare un altro cinema, guardare beneBergman e Kurosawa (venne da noi al Centro, e io ho una foto che mi ritraementre gli do un buffetto), avere slancio, cambiare le regole. E mi gettai nelteatro. Ho avuto fortune sfacciate. Coi migliori registi. A Teatri Uniti conobbiun ragazzetto vivace, che era driver e assistente alla regia, un Sorrentino ven-tenne, spiritoso...».

Non s’è mai persa un fenomeno, un ciclone, un modello nuovo. «Mi sopran-nominarono “icona profana” nel primo film di Pappi Corsicato, Libera, pro-dotto con due lire, con exploit a Berlino». E ci furono Nichetti, Marco Risi, To-nino De Bernardi, Greeneway, e di recente l’amica Valeria Golino con Miele.Ma si torna, fatalmente, a parlare di Sorrentino. «Lui m’ha dato due diaman-ti: il personaggio de La grande bellezza e, a teatro, il cantante neomelodicoTony Pagoda, di cui io intercetto un’anima femminile, dal suo romanzo. Figu-re che m’hanno dato allegria e orgoglio, che mettono al centro della poetica lapersona, e una pietas per la solitudine. Ora con Hanno tutti ragione andrò aNew York, poi a Washington e Detroit. Il teatro non è un luogo della verosimi-glianza. Perciò leggo volentieri la Morante, la Ortese...». È già dentro a un granbel progetto scenico che farà molto parlare: «Con la regia di Martone, con l’Or-chestra di piazza Vittorio, farò nel 2015 la Carmen adattata anche da Enzo Mo-scato, per lo Stabile di Torino».

Trova il tempo per un ruolo anche nel repertorio della felicità? «Ho un umo-

re altalenante, della serie qui-e-ora. Dipende da un bellissimo libro, un divanoe un caminetto acceso. Mentre l’infelicità ha varie sfaccettature (desideri pri-vati non realizzati, persone che ami e non stanno bene, una giornata piovosa

specie se sei meteoropatica come me). In compenso ci sono le cene coituoi amici cari, con cui ti fai tante risate». Napoli? «Napoli è l’infan-

zia e ciò che c’è di meraviglioso e di oscuro nell’infanzia, è me-moria e io ho rapporti conflittuali con la memoria (mi accarez-za e mi turba), è il ricordo dei fratelli minori e di mamma, dellabrioche del bar Cimmino, del palazzo Donnanna come luogo deisogni, di certi odori della città (acqua di mare e frittura di pe-sce)». Fissazioni? «Getto le cose, ho solo una collezione di ex vo-to d’argento, sono una non credente che spera ci sia qualcos’al-

tro». La politica? «Il vero atto politico è fare bene il propriolavoro. Viviamo un periodo disastroso della storia, un’A-pocalisse dove si fa una gran fatica. L’esistenza è invasada burocrati». Le cose sane? «Gli abitanti di Venafro, vi-cino Matera, hanno protestato contro una serata paga-ta a Fabrizio Corona, diffondendo ciclostilati di conte-stazione, rivendicando una superiorità culturale». Zo-ne nascoste? «Sono molto pudica, non riesco a indivi-duare i miei segreti, occulti anche a me stessa. Non bi-sogna mai prendersi sul serio ma essere seri, non mi

piace la volgarità, l’ambizione, la sopraffazione, mipiacciono le persone che non ostentano, che mi sedu-

cono, e non mi frega niente della bravura, voglio uma-nità». Apprendimenti? «Da Cecchi la preziosità della spe-cificità, da Martone il rigore e l’approfondimento, da Tiez-zi la visione e anche un certo tipo di glamour pop, da Ser-villo la passione e il rispetto dell’impegno etico, da Ron-coni la scoperta della maschera e del gioco dell’intellet-to, da Corsicato l’assoluta libertà. Basta?». Basta.

RODOLFO DI GIAMMARCO

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IL VERO ATTO POLITICO È FARE BENE IL PROPRIOLAVORO. NON BISOGNA MAI PRENDERSI SUL SERIO,MA ESSERE SERI. NON MI PIACE LA VOLGARITÀ, NON MI PIACE CHI OSTENTA: NON ME NE FREGANIENTE DELLA BRAVURA, VOGLIO UMANITÀ

MARTONE MI HA INSEGNATO IL RIGORE,SERVILLO LA PASSIONE E L’IMPEGNO ETICO,RONCONI IL GIOCO DELL’INTELLETTO,CORSICATO L’ASSOLUTA LIBERTÀ. E MARCO FERRERI L’ANARCHIA

NON HO MAIIMPARATO BENE

LA DIZIONE: ERA PIÙIMPORTANTEINCONTRARE

COETANEI CON CUIIMMAGINARE

UN ALTRO CINEMA,CAMBIARE LE REGOLE

E AVERE UNA FORTUNA

SFACCIATACOME ME

L’incontro. Trasformiste

«P

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