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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 16 DICEMBRE 2012 NUMERO 406 CULT La copertina GIPI e RAFFAELLI L’età nobile del fumetto che ora partecipa ai premi letterari Le recensioni PIERDOMENICO BACCALARIO Dai Grimm alle app il Natale dei piccoli si trasforma in una fiaba hi-tech All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Paolo Villaggio: “Sono un clown e verrò ricordato grazie a Fantozzi” Il cinema ROBERTO NEPOTI Ralph spaccatutto il bambinone che si è stancato di fare il cattivo La lettura LUIS SEPÚLVEDA Quando a sette anni fui salvato dal peggiore della scuola MILANO I l taccuino a spirale da stenografi, con le pagine a righe. Gli ap- punti fitti fitti, la calligrafia ora incomprensibile ora chiarissi- ma. Le pagine riempite davanti e dietro con la descrizione di un intervistato, le sue abitudini, e non di rado uno schizzo a penna del personaggio, per fissarne l’essenza. Come per Gianni Agnelli: «Capelli bianchi. Profilo grifagno», e giù tre volti di profilo dell’Avvocato, a penna rossa e nera. E invece gli appunti scaraboc- chiati durante la partite, ogni pagina un’azione e ogni azione il mi- nuto di gioco, la descrizione del fatto e già un accenno delle osserva- zioni per il pezzo, come in quell’Italia-Austria del 1990, Mondiali a Roma: «6’: calcione di Herzog a Donadoni. Ammonito. 7’: lancio di Ancelotti è out. Spudorato cinismo degli austriaci». Poi la rete deci- siva: «33’ gol Schillaci. Donadoni apre a Vialli che arriva sul fondo e cross: Schillaci incorna e Lindenberger smanaccia il nulla». (segue nelle pagine successive) ANDREA SORRENTINO S crivere di Brera? Non ho mai voluto farlo, per il disa- gio, o addirittura l’irritazione, che mi provocano le manifestazioni ufficiali del ventennale della sua scomparsa. Lo ritrovo diverso da quello che fu in una realtà tanto importante nella mia vita, da quando, a vent’anni, convinse mio padre a lasciarmi abbando- nare una ricchissima scrivania di Signorino, futuro petroliere di una famiglia di comacini faber, per l’incerta e mal lastricata via di comacinus sapiens. Non riesco a staccarlo dalla mia vita, el Gioàn, come faranno certamente i biografi che lo studiano, molto più imprecisi ma professionali. Non ci riesco dal giorno in cui, letti certi miei strac- cetti sulla rivista Il tennis italiano, mi diede appuntamento in Galleria, aggiungendo, con il Lei rigoroso di tempi, anche tra giornalisti «Porti pure una racchetta, se teme di non essere rico- nosciuto». (segue nelle pagine successive) GIANNI CLERICI DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI A vent’anni dalla morte del giornalista che inventò parole come “goleador”e “contropiede”, gli appunti di una vita passata sul campo I taccuini di Brera Così Victor Hugo metteva a verbale le sedute spiritiche L’inedito VICTOR HUGO e GIUSEPPE MONTESANO Addio alle armi l’ultima missione dell’Enterprise La storia VITTORIO ZUCCONI Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 16DICEMBRE 2012

NUMERO 406

CULT

La copertina

GIPI e RAFFAELLI

L’età nobiledel fumettoche ora partecipaai premi letterari

Le recensioni

PIERDOMENICO BACCALARIO

Dai Grimm alle appil Natale dei piccolisi trasformain una fiaba hi-tech

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Paolo Villaggio:“Sono un clowne verrò ricordatograzie a Fantozzi”

Il cinema

ROBERTO NEPOTI

Ralph spaccatuttoil bambinoneche si è stancatodi fare il cattivo

La lettura

LUIS SEPÚLVEDA

Quando a sette annifui salvatodal peggioredella scuola

MILANO

Il taccuino a spirale da stenografi, con le pagine a righe. Gli ap-punti fitti fitti, la calligrafia ora incomprensibile ora chiarissi-ma. Le pagine riempite davanti e dietro con la descrizione diun intervistato, le sue abitudini, e non di rado uno schizzo a

penna del personaggio, per fissarne l’essenza. Come per GianniAgnelli: «Capelli bianchi. Profilo grifagno», e giù tre volti di profilodell’Avvocato, a penna rossa e nera. E invece gli appunti scaraboc-chiati durante la partite, ogni pagina un’azione e ogni azione il mi-nuto di gioco, la descrizione del fatto e già un accenno delle osserva-zioni per il pezzo, come in quell’Italia-Austria del 1990, Mondiali aRoma: «6’: calcione di Herzog a Donadoni. Ammonito. 7’: lancio diAncelotti è out. Spudorato cinismo degli austriaci». Poi la rete deci-siva: «33’ gol Schillaci. Donadoni apre a Vialli che arriva sul fondo ecross: Schillaci incorna e Lindenberger smanaccia il nulla».

(segue nelle pagine successive)

ANDREA SORRENTINO

Scrivere di Brera? Non ho mai voluto farlo, per il disa-gio, o addirittura l’irritazione, che mi provocano lemanifestazioni ufficiali del ventennale della suascomparsa. Lo ritrovo diverso da quello che fu in unarealtà tanto importante nella mia vita, da quando, avent’anni, convinse mio padre a lasciarmi abbando-

nare una ricchissima scrivania di Signorino, futuro petroliere diuna famiglia di comacini faber, per l’incerta e mal lastricata via dicomacinus sapiens.

Non riesco a staccarlo dalla mia vita, el Gioàn, come farannocertamente i biografi che lo studiano, molto più imprecisi maprofessionali. Non ci riesco dal giorno in cui, letti certi miei strac-cetti sulla rivista Il tennis italiano, mi diede appuntamento inGalleria, aggiungendo, con il Lei rigoroso di tempi, anche tragiornalisti «Porti pure una racchetta, se teme di non essere rico-nosciuto».

(segue nelle pagine successive)

GIANNI CLERICI

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A vent’anni dalla mortedel giornalista che inventò parolecome “goleador”e “contropiede”,gli appunti di una vitapassata sul campo

I taccuinidi

Brera

Così Victor Hugometteva a verbalele sedute spiritiche

L’inedito

VICTOR HUGO e GIUSEPPE MONTESANO

Addio alle armil’ultima missionedell’Enterprise

La storia

VITTORIO ZUCCONI

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 16 DICEMBRE 2012

ANDREA SORRENTINO

FERRARI

A destrae sopra,appunticon disegnoper unaintervistaa Enzo FerrariIn alto,una paginadai Mondialidell’82In basso,intervistaa WalterBonattiIl tuttoè conservatodallaFondazioneMondadori

(segue dalla copertina)

Dagli appunti di Gianni Brera. Tac-cuini, agende, fogli dattiloscritti:l’officina da cui nascevano i suoipezzi per Repubblica, Il Giorno,Epoca, Guerino. Ma anche gli ac-crediti di una vita al seguito dei

grandi eventi sportivi, compresa l’emozionantepress identity card rilasciata a Brera Giovanni perle Olimpiadi di Londra 1948, o l’ingresso alla pressenclosure di Wembley per Inghilterra-Ungheriadel 25 novembre 1953, una delle partite più cele-bri nella storia del calcio. Ciò che resta degli ap-punti di Gianni Brera — due casse piene di tac-cuini, 1.300 foto, filmati in vhs, documenti perso-nali, ritagli, manoscritti, volumi — è stato salvatodagli eredi Brera lo scorso anno nella casa al mareprima dell’alluvione di Monterosso ed è ora con-servato, in deposito, alla Fondazione Mondadoridi Milano diretta da Luisa Finocchi. Si tratta di set-te metri lineari di materiali d’archivio (61 faldonie cinque scatole) oltre a circa 300 volumi, che An-drea Aveto sta analizzando da alcuni mesi.

I taccuini sono quelli degli ultimi quindici an-ni di vita di Brera, prima della morte avvenuta il19 dicembre di vent’anni fa in un incidente stra-dale. Torrenti d’inchiostro, migliaia di paginescritte, vissute, sofferte. Se qualcosa fosse lecitorubare, per non dire imparare dal metodo Brera,è proprio quello spendersi senza soste, quella ge-nerosità nel darsi e nel calarsi nell’evento da se-guire, l’umiltà e la capacità di osservare ogni det-taglio, e fissarlo subito su carta, con sintesi fulmi-nee. A volte un solo taccuino contiene gli appun-ti di una sola partita, e sul retro del cartone rigidoil riferimento: «Inter-Juve 0-3 al 15’ del 2°t, vadovia. 1-3 al 17’», perché all’epoca chi scriveva ilpezzo sulla partita se ne andava prima della fine,lasciando al cronista più giovane il compito di se-guire gli ultimi minuti.

Brera appunta le formazioni, la disposizionetattica e subito le prime osservazioni, a volte ilpronostico: «Spira scirocco umido e caldo. Ter-reno ben inerbato». Oppure, prima di un Vero-na-Torino del 1985: «Pierin Dardanello mi fa no-tare come siano civili i veronesi che mandanouomini a spegnere tricche tracche (fumogeni)sul tartan. Sono i soli al mondo. (Caro Pierin, per-

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La copertinaI taccuini di Brera

“Agnelli pare un grillo”“Che barba la Spagna”“Rimpiango i borlotti”Dal calcio al basketalla tavola, viaggiotra i bloc notesdi un maestrodi giornalismo

In tribuna con Gioàni segreti del mestiere

derai 3-1)». Poi la cronaca, con calligrafia ben vi-sibile, perché quando bisognava dettare a brac-cio, di notte, non sempre l’illuminazione deglistadi veniva in aiuto. Ci sono annotazioni meti-colose sulle partite di basket nell’Olimpiade del1984, con la cronaca di un Brasile-Italia letteral-mente canestro per canestro, o sul torneo diboxe, sull’atletica, sulla ginnastica artistica, tut-to con umiltà da scrivano. Poi gli appunti delleinterviste, i personaggi descritti fin dalle loro abi-tudini mattutine. Enzo Ferrari: «Al mattino a Ma-ranello, colazione con i piloti (vecchia casa colo-nica). Cereo, bianco. Alle 7.30 gli portano 12 quo-tidiani (di cui 3 sportivi). Un bicchiere di caffel-latte (caffè d’orzo, mai caffè). Legge un’ora». ESilvio Berlusconi, da lui ribattezzato Capitano:«Capitan Berlusconi, Arcore. Mi affaccio al giar-dino neoclassico dei Casati di Soncino. Prato al-l’inglese. Limoni in serra. Fagus purpurea, quer-ce americane, palombelle, tortore tubanti. Am-miro scultura di Pietro Cascella, forse un po’ ec-cessiva. Poi, in accappatoio bianco, il Capita-no… Palestra, sala massaggi con tutte le tv che ilC. segue per controllare la concorrenza. 50 anni.Ginnasiarca. Lo rimprovero. Ammette che l’in-ventore del jogging è morto d’infarto…». GianniAgnelli: «Si alza e si mette contro luce e io non ve-do le sue rughe, e poi lo chiamano dalla Svezia esalta su come un grillo… Rummenigge formida-bile, tra Riva e John Charles, dice…». E i profili diWalter Bonatti, con l’intrigo sul K2 e i giudizi suiprotagonisti («Compagnoni è un gesuita, Lace-

delli è un semplice, Desio non sa riconoscere diaver sbagliato»), artisti come Renato Guttuso oAligi Sassu («Aligi furens»).

Ma il taccuino torna buono anche per ricor-dare cene speciali, con il disegno della tavolatae la descrizione delle portate e dei vini, oltre agliinevitabili commenti: «Piedini di vitello e can-nellini, ma rimpiango i borlotti…Tizio sembraun barbone in tight…». Brera scrive, scrive tut-to, sempre armato di penna e taccuino, scrivesenza sosta. Anche la sera, prima di andare a let-to e magari dopo aver vergato decine di cartelleper lavoro, annota sul diario cosa gli è capitatodurante la giornata. Perché nell’archivio sonoconservate tutte le agende dal 1971 al 1992, cosìda quella del 1982 ecco l’epopea dell’Italia diBearzot, passando dal tedio dei giorni atlanticidi Vigo («Piove. Malinconia… Ancora qui per 25giorni. Che barba, ohi»), alla sorpresa per iltrionfo sul Brasile («Gesù… ho perso la scom-messa e ora dovrò portare il saio», perché era sta-to tra i più pessimisti alla vigilia), fino all’apo-teosi di Madrid: «Italia tri-campeon mundial.Bearzot difensivista ad honorem». E proprio inquel periodo c’è una lettera di complimenti daparte di Eugenio Scalfari in cui il fondatore di Re-pubblica sintetizza cioè che era, davvero, Gian-ni Brera: «Voglio ringraziarti per la bravura concui copri il servizio, con l’impegno del vecchiomaestro e del ventenne entusiasta…». Il segre-to, in fondo, era tutto lì.

Repubblica Nazionale

(segue dalla copertina)

«Come scriveva, Brera?» è l’assunto che mi prescrivela Signora Maestra, come non cesso di definire chimi proponga un tema a soggetto. Non certo come

credette di ribattezzarlo un famoso letterato, che immaginava,come molti della sua lobby, che lo sport rappresentasse una di-minutio: “Il Gadda dei poveri”, lo chiamò, non sapendo, in fon-do, di pronunciare una lode. Chissà, alla fin fine, chi sarà statoil più letto tra loro? “El Brera, mi el legi semper”, mi dissero unnumero di persone che, per l’umiltà economica degli italianidegli anni Cinquanta e seguenti, mai si erano potuti permette-re altro che il giornale. Non solo la partita, leggevano, per rac-contare la quale Gioàn aveva escogitato degli schemi struttu-rali che meriterebbero uno studio, oltre alle pagelle, ora indi-spensabili, ma fin lì inesistenti, anche negli scritti dei miglioripredecessori, Bruno Roghi e Carlo Bergoglio detto Carlin. Leg-gevano tutti l’Arcimatto, un diario pubblico in cui è racchiusaun pezzo di cronaca d’Italia.

Ma ritorno al mio compito, dire come scriveva. Scriveva unalingua in cui mai dimenticava l’amatissimo Teofilo Folengo,Gerolamo Cardano e insieme il De Gobineau di MademoiselleIrnois o Le Mouchoir Rouge che aveva tradotto, per non parla-re di Carlo Porta. Il giorno in cui la nostra concittadina MariaCorti ebbe a definire il mio gergo “lombardese” Gianni af-fermò: «L’hai rubata a me, quella definizione. Perché, se tu scri-vi un lombardinglese, io sono arrivato prima con un franco-lombard. Qualcosa di simile a Cavanna». Chissà che opinioneaveva, di quell’italiano nuovo, il famoso letterato. E di tutti ineologismi che ha portato con sé il breriano, da Abatino a di-fensivismo, da azzurrini a centrocampista. Come scrivevaGianni? Di fretta, gli articoli, per la tradizionale necessità di te-lefonarli alla svelta, specie la sera, dopo quei match che finiva-no tardi. La volta, a Torino, che mi presentò a Mario Soldati, uno

dei miei tre zii adottivi (un altro era GiorgioBassani) ormai libero dal mio umile pezzet-to di spogliatoi, stavo dettando le prime duecartelle al telefono, mentre Gianni ancorascriveva la terza. E a Roma, alle Olimpiadi del’60. Mentre un altro celebre e dimenticato ar-ticolista chic del Giorno si chiudeva a chiavein una stanzetta della redazione a comporre,Gioàn e io gareggiavamo a chi scriveva piùsvelto il suo pezzetto, beninteso con l’Olivet-ti Lettera 22. Mi batteva sempre, e non solonella qualità. Arrivava a venti righe in sei mi-nuti, io non mi staccavo da otto. Poi le com-medie. Nessuno ricorda che, insieme a Gian-ni, tentammo invano di scrivere tre comme-die, L’Amore è NATO, El General Pirla (daPlauto, in lombardese) e El zio Pistola (su Fi-del Castro, addirittura). Stufi degli imitatoridi Brecht e della relativa lobby marxista, pro-prio a Parigi dov’eravamo stati per commen-tare il mondiale di boxe tra il fenomenale sor-domuto D’Agata e il pied noir Halimi, ci eravenuto in mente, a una rappresentazione diFeydeau La palla al piede ché da noi qualco-sa di simile non esisteva. Ricordo di aver por-tato la prima — o la seconda — delle nostrecommedie inedite a Paolo Grassi, che di Bre-ra era stato compagno di studi. Ricordo la suasorpresa quasi sdegnata, nel domandarmi:«Certo, Brera. E anche lei, giornalista sporti-vo?». Giornalista sportivo. Un’etichetta cheaccompagnò Gioàn per tutta la sua carrieracome un marchio d’infamia, la J di journali-st, diceva, tanto simile a quella dello J di ju-den, impressa nella stella gialla, sull’omerodestro. Aveva scritto, Brera, più di un libro —ne ho ritrovati nella mia libreria non meno didodici, generosamente autografati — ma eragiunto al suo terzo romanzo, scritto in tempipiù lunghi dei primi due, strappati in quindi-ci giorni alle vacanze estive di Monterosso.

Un altro genio, un sommo editor dellaGarzanti o forse della Bompiani, gli inviò unbiglietto che gli farei ingoiare, se fosse anco-ra vivo. «Pubblicheremo il suo romanzo no-nostante tutte le riserve, soltanto grazie allasua notorietà giornalistica». Ricordo la delu-

sione, addirittura l’afflizione di Gioàn, nel commentare: «E seavesse ragione? Forse ho finito, con la narrativa». Ma ho termi-nato le misure, quelle che, per tutta una vita, ci hanno incorni-ciati, noi giornalisti. Vorrei solo dire che per sommo rispettodella sua vita intima ho rifiutato di scrivere una biografia del ca-rissimo Gioàn. Le ho lasciate, le lascio, a chi l’ha conosciuto me-no bene di me.

Venti righe in sei minutile nostre gare di velocità

GIANNI CLERICI

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TRE A DUE

5 luglio ’82Brasile-Italia:“Gesù. Vincel’Italia 3 a 2”AncoraBrasile-Italiama di basket,quindiintervistaal “Capitano”Berlusconie a GianniAgnelli (con ritratto) Nella foto al centro, Breranel 1960 a Milano

CENTROCAMPISTA

Giocatore che occupala zona centrale

LIBERO

Ultimo difensore che non marca a uomo

GOLEADOR

Attaccante che segna:ispanismo da toreador

CONTROPIEDE

Azione veloce chesorprende l’avversario

BONIMBA

Roberto Boninsegna(attaccante)

STRADIVIALLI

Gianluca Vialli(attaccante)

DELTAPLANO

Walter Zenga(portiere)

MELINA

Possesso del palloneper perdere tempo

ROMBO DI TUONO

Gigi Riva(attaccante)

ABATINO

Gianni Rivera(regista)

I neologismie i soprannomi

IL LIBRO

Parola di Brera (a cura di AngeloCarotenuto, prefazione di Gianni Mura) raccoglie una selezione di indimenticabili articolipubblicati dal giornalista sulle pagine di Repubblicatra il 1982 e il 1992Il libro è in edicola con Repubblicada mercoledì 19 dicembrea 9,90 euro più il prezzodel giornale

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Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 34

DOMENICA 16 DICEMBRE 2012

Il suo nome è il simbolo della potenza americana. Midway, Cuba, Vietnam,Afghanistan: mai affondata, non c’è stata guerra che non l’abbia vistaprotagonista. L’ultima portaerei nucleare della stirpe “Big E”sarà demolita dopo cinquantuno anni di servizio: troppocostoso rimetterla in sesto. Ma la leggenda continua, è già pronta un’erede

La storiaMostri marini

VITTORIO ZUCCONI

WASHINGTON

Sei volte fu affondata e sei volte rie-merse. Sei volte fu smantellata e seivolte fu ricostruita. “The Gray Gho-st”, lo spettro in grigio, come i mari-

nai giapponesi avevano soprannominato consuperstiziosa incredulità la portaerei americanaUSS Enterprise, è scomparsa un’altra volta inquesto dicembre 2012, soltanto per prepararsi arinascere tra pochi mesi. E rinascerà, rubando ilnome all’ultima generazione di portaerei nu-cleari che era stata assegnata a Gerald Ford. Per-ché la nave che, dalle acque di Midway nel Paci-fico fino al Golfo d’Arabia, proietta da set-tant’anni la prepotenza militare americana intutti gli oceani del mondo, non può morire sen-za che con essa si ammaini la bandiera a stelle estrisce.

Nonostante la fama di vascello fantasma chegli esasperati cannonieri e piloti di Marina nip-ponici le avevano creato dopo averla colpita, vi-sta in fiamme, sbandata, alla deriva e data permorta sei volte, la prima portaerei a portare il no-me di Enterprise, quando fu varata nel 1936, nonfu mai affondata. Più Rocky Balboa che spettro,“The Big E”, come preferivano chiamarla gli uo-mini e ora anche le donne che hanno servito, esono morti, nel suo scafo, ha sempre saputo ri-sollevarsi da quel tappeto dove le armi nemiche,i colpi delle commissioni per il Bilancio e dellaDifesa e addirittura il fuoco amico l’avevano ste-

sa. Da quella unità — allora la più grande portae-rei che le acque blu avessero mai sorretto — finoalla nuova che sta entrando in servizio in questigiorni, non c’è stata crisi, battaglia, guerra, mis-sione, sulla Terra e nello Spazio, della quale il ti-tano galleggiante non sia stato protagonista. Chiama l’America, e quello che rappresenta, hapianto di gioia vedendo il suo profilo stagliarsisul filo dell’orizzonte. Chi la odia e ne teme i col-pi, spesso non ha neppure avuto il tempo di pian-gere di paura, alla sua vista.

Si disse dal primo giorno di guerra, il 6 dicem-bre del 1941, che The Big E fosse una nave fortu-nata e nella cabala del mare non c’è calibro dicannone, potenza di catapulte o spessore di co-razza che valga di più. Eppure la dinastia era co-minciata male, con un veliero armato compratodagli inglesi e ribattezzato appunto Enterpriseche, dopo uno scontro perdente con la flotta bri-tannica nella Rivoluzione del 1776, preferì darsifuoco e autoaffondarsi piuttosto che arrender-si, condannando comandante ed equipag-gio. Un sacrificio eroico che forse gli dèi deimari ricompensano da par loro, esten-dendo la propria protezione sulle navibenedette da quel nome.

Enteprise non era una delle por-taerei ormeggiate lungo i moli delporto militare di Honolulu, a PearlHarbor, quando la flotta di Yama-moto lanciò il suo attacco cheoggi si direbbe «preventivo».Manovrava, con le proprie so-relle dal ponte piatto, molto

al largo delle isole. E questa fortunatissima lon-tananza, che preservò l’arma navale essenzialeper una guerra nel Pacifico, appunto la portaerei,scatenò il sospetto, mai davvero sopito, cheRoosevelt sapesse in anticipo dell’aggres-sione e avesse voluto sacrificare qual-che superata nave da battagliaper entrare nel conflitto, sal-vando i gioielli di fami-glia.

Vero o falso chefosse il sospet-to, il nemico,Y a m a -m o t o ,

ENTERPRISEL’addio alle armi del Fantasma Grigio

1961-2012

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 16 DICEMBRE 2012

STAR TREK

Nella celebreserie televisivaamericana del ’66la nave spazialedel capitano Kirkfu chiamataEnterprise

TOP GUN

Il pilota MaverickMitchell,interpretato da Tom Cruise nel film del 1986, era imbarcato sulla Enterprise

CERIMONIA

Migliaia di personehanno partecipatoa Norfolk in Virginiaalla cerimonia per la dismissione della Uss Enterprise lo scorso 1 dicembre

sapeva benissimo che, non avendo annientato leportaerei, la presenza navale americana nel Pa-cifico era rimasta formidabile. E infatti, pochi

mesi dopo, proprio The Big E condusse ladevastante rivincita americana contro

la flotta nipponica nella battagliadelle Midway, invertendo de-

finitivamente il corso del-la guerra. Dalle

Midway fino al1945, quando la

p o r t a e r e icondus-

se las u a

ultima missione di quella guerra, l’OperazioneTappeto Volante, riportando a casa nella propriapancia diecimila reduci dall’Europa, non ci fubattaglia nelle quale essa non diede, e non rice-vette, colpi, proiettili, siluri, bombe e nugoli dikamikaze decisi a morire pur di esorcizzare ilmaledetto fantasma in grigio. Quasi tutti i filma-ti di attacchi di kamikaze che ci sono rimasti ven-gono da operatori militari imbarcati sulla Enter-prise.

Esausta, dopo avere deposto il suo carico diumanità, fu affondata dai tagli al bilancio nel1947, rifiutata anche come museo galleggiantedal porto di New York, sempre per mancanza disoldi, e smembrata in centinaia di souvenir oggisparpagliati in musei, accademie e basi navali.Ma rinacque appena quattordici anni dopo, nel1961, quando il suo nome e la sua aura di fortunafausta furono ripescati per battezzare la prima

portaerei a propulsione nucleare della storia.Ed era appena una ragazzina di due anni,

quando Kennedy le chiese di portare i suoi5mila uomini e le sue 94mila tonnellate

per 342 metri di lunghezza — tre cam-pi da calcio — a guidare la flotta che

chiuse l’isola di Cuba nel blocco na-vale e fermò la corsa pazza verso la

prima guerra atomica. Per que-sto fu lei, la nave fortunata, il

simbolo supremo, a essere in-caricata di ripescare il primo

astronauta americano ri-piombato sulla Terra dopo

un’orbita attorno al no-

stro pianeta, John Glenn.Navigò dallo Zenith al Nadir del prestigio ame-

ricano che essa incarnava, dalla missione a Cu-ba all’appoggio per i bombardamenti sui Viet-nam, fino alle operazioni nel Golfo d’Arabia perle due guerre contro l’Iraq e poi per le missioni inAfghanistan. La seconda portaerei chiamata En-terprise ha coperto tutto l’arco e le parabole, itrionfi e le umiliazioni della strategia americana,per ben quarant’anni, fino alla decisione irrevo-cabile di demolirla, quando il Pentagono ha sco-perto, in questo 2012, che per rimetterla in sestosarebbe stato necessario quasi un miliardo didollari. Né si sarebbe potuto usarla come museogalleggiante per la necessità di estrarre i suoi duereattori nucleari di propulsione e bonificarne lebudella.

La Enterprise che costrinse Nikita Kruscev al-la resa e che ripescò Glenn dall’acqua deve mo-rire. E dunque rinascere, sottraendo l’onore delnome al povero Gerald Ford, il presidente travi-cello che, essendo scomparso, non potrà prote-stare. E un’altra “Big E” proietterà i muscoli degliUsa sui mari, ancora secondo la dottrina del-l’ammiraglio americano Mahan, che già alla finedel Settecento aveva spiegato a generazioni difuturi comandanti, e politici, che chi controlla imari controlla la Terra. Il fantasma in grigio na-vigherà ancora. Signora degli oceani, anche senon ancora delle stelle, come immaginarono,esagerando un po’, i creatori di Star Trekche die-dero proprio il suo nome all’astronave dei signo-ri dello Spazio.

L’EVOLUZIONE DELL’ENTERPRISE

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La prima Enterprise fu una nave britannica (la HMS George) catturata e ribattezzata dalla marina americana. Successivamente hanno portato lo stesso nome altre sei navi da guerra

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 16 DICEMBRE 2012

Dante e Aristotele,Marat e Byron,Galileo e Gesù CristoEcco come,durante l’esilio,il genio francese scoprì

le “tables tournantes”,evocò i fantasmi dei grandie ne trascrisse i pensieriUsandoli per un libroora in uscita

L’ineditoParanormale

Hugospiriti

degli

Nel 1853 il grande poetaVictor Hugo, in fuga daNapoleone III a causadella sua opposizioneal colpo di Stato con cuiil dittatore si è impa-

dronito della Francia, sbarca su unadesolata isoletta dell’arcipelago dellaManica chiamata Jersey. Là Hugo sistabilisce a Marine-Terrace, una casadi fronte all’oceano, vicina a un cimi-tero e a un gigantesco e arcaico dol-men. Secondo gli abitanti del luogo laspiaggia intorno alla casa abitata daHugo è visitata da una folla di fantasmi:il “Decapitato” che nelle notti di lunavaga alla ricerca del riposo eterno, la“Dama bianca” colpevole di infantici-dio, la “Dama nera” che è una sacerdo-tessa druidica che ha sacrificato suopadre sulla pietra del dolmen e la “Da-ma grigia” che vaga con gli altri ma nonsi sa bene cosa abbia combinato. Checosa potrebbe desiderare di più l’in-ventore del gobbo di Notre-Dame e deimostri dell’Uomo che ride?

Si direbbe che ce n’è abbastanza percreare un’atmosfera degna di Quasi-modo e dei suoi terrori gotici, ma non ècosì: perché, come sta dimostrandol’Hugo-Renaissance che è in corso a Pa-rigi e che ora celebra i centocin-quant’anni dall’uscita dei Miserabili, lagrande scatola a sorpresa chiamata Vic-tor Hugo è ancora piena di meraviglie.E infatti, nel settembre di quel 1853 incui Hugo si è esiliato su uno scoglio, ar-riva a Jersey la poetessa Delphine Gay,che ha appena scoperto lo spiritismo eche, per distrarre i proscritti in esilio, or-ganizza una serata di table tournante, il

tavolino che battendo i suoi colpi fa par-lare gli spiriti dei defunti.

La prima seduta spiritica va male,ma quando Delphine evoca l’anima diLéopoldine, la figlia di Hugo annegatanella Senna, l’emozione è travolgente,e tutto cambia. Con la partecipazionedi Hugo come trascrittore dei messag-gi spiritici, della figlia Adèle come sen-sibile ispiratrice degli spiriti e del figlioCharles come medium, le sedute di-ventano un’ossessione quotidiana, ecominciano i miracoli. Invece del non-no e dello zio evocati nei salotti bor-ghesi in cui fanno furore Le Livre desMédiums e Le Livre des Esprits di Allan

Kardec, il tavolino parlante di casa Hu-go dà voce, tra gli altri, agli spiriti diDante, Marat, Carlotta Corday, Plato-ne, il profeta Isaia, Aristotele, Eschilo,Byron, Luigi XVI, Annibale, Robespier-re, Maometto, Molière, Galileo e GesùCristo: senza dimenticare il “Decapita-to”, la “Dama bianca”, la “Dama nera”e la “Dama grigia”. Sarebbe sufficientea riempire montagne di fogli, ma glispiriti di Hugo sono grafomani, e così abattere colpi sul tavolino della famigliacompaiono ancora l’asina di Balaam epersino la colomba che Noè lanciò involo dall’Arca. Fine delle apparizioni?Ma no, perché Hugo strappa parole di

saggezza anche ai corpi astrali dellaMorte, della Poesia e del Santo Sepol-cro, per riuscire infine addirittura a farapparire lo spirito, o meglio il sosiaastrale, di Napoleone III: ovviamenteper rimproverargli le sue colpe e spie-gargli come dovrebbe agire.

Follia? Ingenuità? Autosuggestio-ne? O forse, come diagnosticherà ildottor De Mutigny, il poeta era affettoda «parafrenia fantastica», una malat-tia a sua volta degna di entrare in un li-bro di Borges sulle follie immaginarie?Ma nei due anni in cui il medium Hu-go trascrive i verbali delle sedute in cuigli spiriti parlano in versi ben rimati o

in una prosa sontuosa in cui spieganoche Hugo è l’erede di Cristo, il poetaHugo scrive le quattrocento pagine dipoesie delle Contemplations, granparte del poema La fin de Satan, il poe-ma Dieu, la raccolta satirica Les Chati-ments, una lettera pubblica indirizza-ta a Napoleone III, decine di articoli elettere contro la pena di morte, in unsolo giorno scrive 1.600 versi di Solitu-dine Coeli, un poema che la notte se-guente legge alla famiglia riunita, e haancora il tempo per consumare i suoiamori adulteri, per aiutare i proscrittifuggiti dalla Francia, per salvare un uo-mo dalla morte per impiccagione, per

GIUSEPPE MONTESANO

“Parla, ti ascoltiamo”i dialoghi con l’aldilàdi un poeta-medium

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farsi fotografare in pose da pensatorein cima al dolmen o mentre scruta l’O-ceano, per provare lui stesso a impara-re a fotografare, e per dipingere confondi di caffè, polvere, inchiostro, olio,giallo d’uovo e feccia di vino alcuneopere stupefacenti dove appaiono ca-stelli fantasma, presenze oscene, zin-gare tenebrose, abominevoli incubi,tragici impiccati.

Poi, due anni dopo l’inizio delle se-dute di tables tournantes, un toc-tocsbagliato comincia a risuonare comeun avvertimento della fine prossimadei giochi: Auguste Vacquerie, generodel poeta, chiede a William Shakespea-

re di dettare un poema inedito, e Wil-liam, come se niente fosse, comincia asnocciolare i suoi versi in assenza diHugo, che al suo ritorno si rifiuta sde-gnato di leggere i frammenti dettatidall’ectoplasma infedele e colpevole dilesa maestà poetica. Ormai le fantasiedissennate e geniali che nascono dalgioco serio delle tables tournantes van-no tramontando, la realtà incalza, di-venta frenetica. Il 25 ottobre 1855 il go-verno inglese, spinto da Napoleone III,ordina l’espulsione di Hugo e dei suoifigli da Jersey; la sera del 29 ottobre, nelcorso di una seduta spiritica, il pro-scritto Jules Allix è colto da un attacco

di pazzia furiosa, e deve essere rinchiu-so in manicomio; il 31 ottobre Hugo la-scia Jersey per andare a Guernesey: lesedute spiritiche sono finite per sem-pre. Ma l’incredibile storia di Hugo edelle tables tournantes non lascerà so-lo una catasta di verbali in deposito al-la Bibliothèque Nationale di Parigi,sarà anche un’avventura poetica nuo-va che trascinerà Hugo a scardinare al-cune delle sue certezze. Nascosto eprotetto in quella scrittura automaticache precede Breton e il Surrealismo,Hugo scavava nel suo inconscio e neisuoi sogni, lasciando libero sfogo a unaparte di sé che oscillava tra la megalo-

mania assoluta e l’esplorazione corag-giosa dell’invisibile. Nel Promonto-rium Somnii — un libro che inseren-dosi in questa Hugo-Renaissance è sta-to appena tradotto e pubblicato dagliEditori Internazionali Riuniti con il ti-tolo de Il promontorio del sogno— mol-ti anni dopo le sedute spiritiche il vec-chio poeta scriveva: «Il sogno è un’eva-sione dell’uomo dalla vita reale. Eva-sione spaventosa, pericolosa distru-zione della prigione, scalata sulle scar-pate dell’impossibile, caduta spessoprobabile. Questa caduta è la follia…».

Solo che la follia colpiva gli altri, ami-ci, figli, amanti, mentre Hugo la attra-

versava indenne, fiducioso in ciò chescrisse a più di ottant’anni: «Si credeche fine significhi morte. Errore. Finesignifica vita». Forse il vecchio poeta siera già organizzato per mandare mes-saggi dall’aldilà dopo morto, per conti-nuare a scrivere l’interminabile poemadella sua vita, per non morire mai. Echissà che il toc-toc imprevisto e fanta-smale che fa in certe sere il nostro iPho-ne non sia la voce del suo fantasma chevuole parlare, dettare, comunicare: chipuò dire se quel toc-toc è un errore elet-tronico o la voce di un poeta che chiededi essere ascoltata?

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SALVE. Parla. Ti ascoltiamo. Platone: Vengo a parlarvi del sogno. Quando il vivente si

addormenta, si stabilisce una comunicazione diretta tra il suoletto e la suo tomba. Colui che dorme diviene il risvegliato del-l’ombra; non resta fermo, ma vola nell’immensità; non è cie-co, vede nell’infinito; non è sordo, sente nello spazio; non èmuto, parla nella morte; non è coricato, è alato; non è disteso,è planante; non è nella tomba, è resuscitato; il dormiente è co-

lui che va all’assalto della notte; ognisonno assedia il mistero; i sogni sonoi proiettili delle stelle; di giorno vivi,di notte muori; i milioni di soli tra-passano il soffitto e illuminano latua stanza; la lampada da notte èspenta, un astro vi si accendedentro; per tutta la notte la tualampada consumerà una dellegocce della Via Lattea; o asse-diante dell’oscura barricata;metti, o vivente, questa ar-matura d’avorio davanti allatorre d’ebano e vedi; sogni,venite, piombate su coluiche dorme.

Verbale della sedutadi “table tournante”

di domenica 29 aprile 1855,

alle dieci di sera, a Jersey

I sogni, l’ombra, l’infinitoUna seduta con Platone

VICTOR HUGO

IL LIBRO

È in libreria Il promontoriodel sogno, un testo finorainedito in Italia di Victor Hugoin cui lo scrittore mettea frutto le esperienze di spiritismo che ebbedurante l’esilio sull’isola di Jersey. Il libro (140 pagine, 14 euro)è pubblicato da EditoriInternazionali Riuniti

I DISEGNI

Illustranoqueste pagine

alcunidei disegni

realizzatida Victor Hugodurante l’esilio

con fondi di caffè,polvere, olio,

inchiostro, giallo d’uovoQui a destra,

Dentelleet SpectreAccanto,

un manoscrittodi Victor Hugo

con latrascrizionedelle tables

tournantes (1854)Sotto, Gavrocheà 11 ans (1830);

Barchenella nebbia

(1856)e Dolmen

où m’a parléla bouched’ombre

(1852-’55)Nella pagina

accanto,l’acquerello

Il pazzo

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Quarant’anni di carriera celebrati come solo un artista figlio di contadini e ossessionato dall’eleganza può fare: un cd con le hit dei Roxy Music in versione strumentale Anni Venti. “Oggi ascolto jazz e opera” dice il bon viveur del rock. Che apre a “Repubblica” le porte della sua casadi Londra. E, tra un Picasso e un Warhol, si confessa:“Ciuffo e fondotinta nascondevano la mia supertimidezza”

SpettacoliUltimi dandy

LONDRA

Sull’eleganza ha costruito quarant’an-ni di carriera. Li celebra con un discoraffinato ai limiti dell’impopolarità.The Jazz Age è un collage di canzoni

dei Roxy Music riarrangiate in puro stile anniVenti, proprio come se a interpretare Do theStrand, Love is the Drug, Don’t Stop the Dance eAvalon fossero gli Hot Five di Louis Armstrong.Brani rigorosamente strumentali eseguiti dallaBryan Ferry Orchestra. «Quando uno arriva allamia età ed è ancora famoso vuole fare solo le co-se che ama», spiega Bryan Ferry, sessantasetteanni, che esordì nel 1972 con i Roxy Music, laband di cui fece parte anche Brian Eno. «Da tem-po volevo incidere un disco senza voce, porre peruna volta l’accento sui compositori. I cantanti so-no sempre sotto i riflettori, oscurando anche gliautori più geniali. Ormai da mol-ti anni non ascolto che jazz. Tut-to è cominciato con una grandepassione per Charlie Parker, poipian piano sono scivolato indie-tro, alle cose che ascoltavo da ra-gazzino, negli anni 1954-55; al-l’epoca il jazz di New Orleans erapopolarissimo in Inghilterra».

Aveva dieci anni e già coltivavail sogno di diventare un maestrodi stile come Ellington. A suo pa-dre, un agricoltore del Tyne &Wear, dichiarò solennemente:frequenterò la scuola d’arte. A di-ciassette anni già vagheggiava lasua forma di rock avant garde.«Fu intorno al 1962 che cominciaiad appassionarmi a Little Ri-chard ed Elvis Presley», racconta. «In quegli annismisi di ascoltare il jazz, coltivavo altri sogni, maquella musica è sempre rimasta in un angolo. Ilmio idolo è Coleman Hawkins, un sassofonistadalla carriera lunghissima che spazia dal vecchiojazz al bebop; la colonna sonora dei mieiweekend. Ho voluto che questo cd suonasse esat-tamente come un disco degli anni Venti, quandoLouis Armstrong trionfava con gli Hot Five e DukeEllington era la star del Cotton Club».

Ferry è un seduttore. Sul palcoscenico e nellavita. Sempre impeccabile, proprio come il Duca.Lo studio londinese, tra Hammersmith e Ken-sington, è un labirinto di stanze, il trionfo delbuon gusto, la perfezione nei minimi dettagli: gliAndy Warhol, i pregiati kilim aragosta, i libri d’ar-te allineati negli scaffali, il servizio da tè in porcel-lana, le segretarie belle ed eleganti, le gigantogra-fie delle storiche copertine, molte delle quali convisi e silhouette di donne seducenti — Kari-AnnMuller in Roxy Music, Amanda Lear in For yourPleasure, Marilyn Cole in Stranded, Jerry Hall inSiren. Le immagini del servizio fotografico conKate Moss, realizzato per l’album Olympia(2010), stanno per essere imballate e spedite aDubai per una mostra. La sua casa di King’s Road,dove vive con la moglie Amanda Sheppard(trent’anni, ex girlfriend di Isaac Ferry, il primo-genito di quattro figli nati dal primo matrimoniocon Lucy Helmore) è ancora più carica di tesori:

«Li amministro per i posteri», minimizza, «non sipuò pretendere di avere un Picasso in esclusivaper l’eternità».

Nonostante le assenze frequenti (novantaconcerti nell’ultimo anno) è un padrone di casaattento, esigente, perfetto. Elegantissimo nel suoabito blu. Ha poca voglia di parlare di canzonet-te, molta disponibilità a raccontarsi invece, aevocare i suoi miti. «Marcello Mastroianni, Ladolce vita… Ho sempre pensato che vivere a Ro-ma sia un privilegio, dalla prima volta che hopranzato all’aperto nel mio ristorante preferito,in Piazza del Popolo», sospira. «Trascorro volen-tieri le vacanze al Pellicano di Porto Ercole, poifaccio un salto a Montenapoleone, perfetta per loshopping. Qualcuno pensa che sia stupido spen-dere per l’abbigliamento, ma l’abito fa parte dinoi, ci definisce. Questo è un Loro Piana, costo-sissimo», dice accarezzandosi il sottogiacca. Blunaturalmente. «Adoro le stoffe pregiate. E i viag-

gi. Ho scoperto l’India: Mumbai, Udaipur… unmatrimonio nel palazzo del maharaja, gioielli co-me non ne avevo mai visti».

È il perfetto bon viveur, oggi parecchio più di-sponibile di un quarto di secolo fa, quando al Ritzdi Londra, in occasione di un incontro stampa perl’uscita dell’albumBête noire, per poco non presea pugni un cameraman francese che insisteva avolerlo filmare dal lato sinistro, che Ferry consi-dera il meno fotogenico. «Sono sempre stato unsupertimido, questo è il mio problema», confes-sa. «Quand’ero giovane era la causa di tutta la miaaggressività. Odiavo le apparizioni televisive: la tvha sempre rovinato tutto, ha banalizzato la nostramusica. La timidezza mi ha tenuto lontano dalteatro e dal cinema. Pensare che al liceo uno degliinsegnanti aveva predetto per me una grande car-riera di attore. Diceva che ero perfetto per i ruolishakespeariani. Ancora oggi se mi immagino co-me attore, mi vedo sulle tavole di un palcosceni-

co più che davanti a una cinepresa. Anche se houna passione quasi smodata per i vecchi filmbianco e nero e i divi di un tempo. Non c’è più nes-suno con il carisma di Cary Grant o Humphrey Bo-gart o Spencer Tracy. E che dire di James Dean?The Artistè il film che più ho amato negli ultimi an-ni. Tra i giovani, il più bravo è Matt Damon. In tv,nient’altro che Homeland (“Caccia alla spia”):Damian Lewis è un grande».

Quando esordì con i Roxy Music era la quintes-senza del dandy postmoderno, ciuffo e fondotin-ta. La band suonò come spalla di Bowie-ZiggyStardust al Rainbow Theatre di Londra nell’esta-te del 1972. «Una serata memorabile, che accop-piata!», ricorda. «C’era anche Amanda (Lear, ndr)che passeggiava su e giù per il palco quella sera».Era la sua compagna all’epoca, poi (si disse) lo la-sciò per infilarsi nel letto di Bowie. Come avrebbefatto anni dopo Jerry Hall, che dopo un lungo flirtcon Ferry preferì migrare alla corte degli Stones econvolare con Mick Jagger. La top model texanaraccontò i dettagli nella sua autobiografia, Bryanda vero gentleman rispose garbatamente con lacanzone Kiss and Tell. Ma di quegli anni più deltombeur de femmes parla la musica dei Roxy Mu-sic, una delle band più influenti della storia delrock. «Volevo essere un artista d’avanguardia,sperimentare nuove cose, essere originale a tutti icosti senza rinnegare il passato. Volevo essereunico», spiega l’artista, oggi più Dirk Bogarde cheElvis Presley. «Con i Roxy fu tutto piuttosto sem-plice, avevamo le stesse aspirazioni: io, Mackay,Manzanera, Eno… Ora i giovani artisti seguonouno stile preciso, vanno dritti allo scopo. Noi in-vece ci muovevamo con estrema libertà in terri-tori diversi, eravamo indefinibili, spavaldi, avven-turosi. Dopo il secondo album, For your Pleasure,sentii il bisogno di lavorare in proprio; fu un mo-do di rinfrescarmi le idee facendo qualcosa di to-talmente diverso dai Roxy Music, interpretandole composizioni che più amavo, al di là del generemusicale cui appartenevano, un crooner moder-no. Oggi l’industria musicale è cambiata, è un po-sto scomodo, cerco di fare del mio meglio in unmondo dove non esistono più neanche i negozi didischi. Mi sono ricreato pochi mesi fa a Chicago,quando ho scoperto un gigantesco negozio del-

GIUSEPPE VIDETTI

Bryan Ferry“Volevo semplicemente essere unico”

SEDUTTORE

Nella foto grandeal centro, Bryan Ferryin barca a VeneziaQui sopra, con Brian Enonel 1972

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l’usato che vende solo vecchi vinili, esattamentecome una libreria. Sfortunatamente, non ho lastessa empatia con Internet, non leggo volentierii libri sul Kindle e non scarico da iTunes. Ormaiascolto solo jazz e opera: Maria Callas almeno unavolta al giorno: preferisco le voci femminili, in tut-ti i generi. Adoro Bessie Smith, ma anche MarilynMonroe: nessuno canta meglio di lei River of NoReturn. E i gruppi vocali degli anni Sessanta: Shi-relles, Crystals, Ronettes, Shangri-Las». Ci ac-compagna in un minitour attraverso lo studio diregistrazione e l’archivio, di cui si occupa suo fi-glio Isaac (che ha fornito a Repubblica le foto perqueste pagine). «Isaac è un film maker, ha lavora-to due anni con Mario Testino. È lui che organiz-za il mio website. Avere giovani intorno è stimo-lante, mantiene in contatto con la realtà, evita difarti sentire un brontosauro. Sono vecchio, ma hoancora delle ambizioni».

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LE COPERTINE

Roxy Music (’72); For Your Pleasure (’73); Stranded (’73); Country Life (’74); Siren (’75);Viva! Roxy Music (’76); Greatest Hits (’77); Manifesto (’79); Flesh + Blood (’80);

Avalon (’82); The High Road (’83); StreetLife: 20 Great Hits (’86); The Ultimate Collection(’88); Heart Still Beating (’90); MoreThan This: The Best of Bryan Ferry & Roxy Music(’95); The Thrill of It All (’95); The Early Years(2000); The Best of Roxy Music (2001);

The Complete Studio Recordings (2012)

IL DISCO

The Jazz Age, l’ultimo disco di Bryan Ferry, è uscito nel Regno Unito il 26 novembre 2012per celebrare i quarant’anni di carrieradell’artista: è un collage di canzonidei Roxy Music riarrangiateed eseguite dalla Bryan Ferry Orchestra

LE IMMAGINI

Nelle foto in questa paginadall’alto in senso orario:Bryan Ferry con il figlio Tara nel 1999;l’artista nel 1965;i Roxy Music nel 1979;con Jerry Hall per l’album Siren nel 1975;Bryan Ferry scatenato durante un concerto

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NextDottor Web

È un cambioepocale,si adottanostrumentisemprepiù apertiE questo dàpiù potereagli scienziatie ai dilettantiappassionatiAlessandro Delfanti

Docente di nuovi media

alla Statale di Milano

Vogliono rompere i confini dell’accademia e sfuggire agli interessi di governi e corporation. Ma soprattutto condividere dati, ipotesie conoscenza ai fini della ricerca. Per farlo lavorano in crowdsourcingOppure mettono su, da San Francisco a Londra, laboratori indipendenti

Ecco che cosa stanno scoprendo

ILARIA CAPUA

Virologa dell’IstitutoZooprofilattico delle Venezie

a Padova. Ha pubblicato la sequenza del virus dell’aviaria

SALVATORE IACONESI

Ha craccato la cartella medicacon la diagnosi

di tumore al cervelloper curarsi anche in rete

CAMILLO RICORDI

Dirige l’istituto per la ricerca sul diabete di Miami,

ha creato la Cure Alliance per battere davvero le malattie

‘‘

New York

Si chiama Genspace

il New York City’s

Community Biolab

Il suo motto:

“Make science

accessible”

(genspace.org)

San Francisco

L’ “Hackerspace

for biotech” della Baia

si chiama BioCurious

La sua missione?

“Making the world

a better place”

(biocurious.org)

Londra

Si chiama

Hackspace l’ultimo

nato tra i laboratori

di biohacker

(http://wiki.london.ha

ckspace.org.uk/view/

Project:Biohacking)

IPROTAGONISTI

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GLOSSARIO

La pratica di condividere

accesso senza limite

via Internet ad articoli

di giornali scientifici

Il simbolo

è un lucchetto aperto

Open access

RICCARDO PRODAM

Dirige il laboratorio di innovazione di Unicredit

Suo il DreamBrain per leggere il pensiero del padre malato

LINNEA PASSALER

Odontoiatra e startupper, ha creato pazienti.it, sito

che dà informazioni indipendenti su argomenti di salute

Attività e progetti

di ricerca scientifica

condotti in tutto o in parte

con il contributo

di volontari nella raccolta

e analisi dei dati

Citizen Science

Gioco di parole: unisce

punk e biotecnologie

È un movimento

che si batte per l’accesso

aperto alle informazioni

genetiche

Biopunk

È un biopunk che fa

esperimenti scientifici,

non solo genetici;

solo nel caso in cui abbia

intenti malevoli diventa

bioterrorist

Biohacker

Do it yourself biology:

è un movimento

di scienziati, anche

dilettanti, che con pochi

mezzi provano a condurre

esperimenti scientifici

Diy biology

INF

OG

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FIC

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ISA

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RL

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TA

RICCARDO LUNA

Chi sono i biohacker e perché è impor-tante conoscerli? Partiamo da qui.Qualche settimana fa Mike Loukides,sull’O’ Reilly Radar, uno degli osserva-tori più autorevoli dell’innovazione, hascritto: «Gli ultimi quarant’anni di sto-

ria dei computer hanno dimostrato di cosa è capacela cultura hacker. Ora stiamo per vedere gli effetti diquella cultura sulla biologia. Grandi cambiamenti nelmodo in cui viviamo sono in arrivo». SecondoLoukieds per la scienza siamo dove eravamo per icomputer agli inizi degli anni Settanta. I computeresistevano anche prima. Ma erano pochi e il loro usoriservato ad alcuni professionisti. Poi sono arrivati idilettanti, gli appassionati. Come Steve Wozniak chenel 1975 si costruì da solo un personal computer. Manon era l’unico: centinaia di persone in tutto il mon-do stavano facendo la stessa cosa. Ed iniziò la rivolu-zione digitale che non fu merito di una sola persona,ma di un movimento: «Ora è il momento deibiohacker: rompere i confini dell’accademia e dei la-boratori di ricerca».

Va chiarito che in questo contesto la parola hackerha una valenza positiva: parliamo di appassionati ditecnologia che hanno come valori la trasparenza, la

condivisione e la partecipazione. La rivoluzione digi-tale ha una chiara origine hacker. Lo stesso fenome-no starebbe capitando nel mondo della scienza e del-la biologia in particolare. Con quali obiettivi? E so-prattutto: è pericoloso?

Facciamo un passo indietro. La prima citazione ri-sale addiritura al 2001 quando, su un giornale di SanFrancisco, Annalee Newtiz scrisse che stava arrivan-do l’ora dei biopunk (espressione usata spesso comesinonimo di biohacker). Allora il focus era molto sul-la liberazione dei dati del genoma umano: “Lasciate-ci fare quello che vogliamo con la nostra biologia!”, erail grido di battaglia. Per un bel po’ della cosa non si èparlato. Fino al 2010 quando Meredith Patterson, nelcorso di un simposio all’università della California aLos Angeles, presentò il primo Manifesto Biopunk:«Noi rifiutiamo la convinzione generale che la scien-za debba essere riservata solo alle università miliona-rie, ai laboratori delle corporation o del governo». Puòsembrare molto velleitario, ma il fenomeno ha presopiede, conquistando le pagine dei giornali e le ribaltedelle grandi conferenze mondiali. Parliamo di unanicchia? Ancora sì, ma in espansione costante. Anchegrazie al crollo dei prezzi per gli strumenti, oggi negliStati Uniti ci sono almeno due grandi laboratori perscienziati hacker, uno a New York e uno a San Franci-sco; a Londra ne è stato aperto uno qualche giorno fa.Secondo chi li dirige non ci sono rischi: «Non usiamopatogeni. Sono posti dove tutti possono avvicinarsialla scienza in maniera sicura» è la risposta. In ogni ca-

I pionieridella scienzafai-da-te

IL LABORATORIOLOW COST

Per iniziareUn biolaboratorio fai-da-te può essere

messo su anche con poche centinaia

di dollari. La fonte più economica

per le attrezzature è eBay. LabX.com

e BestUse.com sono più affidabili

ma anche più cari

CreativitàPer fare biologia molecolare a buon

mercato, i biohacker hanno sviluppato

alcune soluzioni alternative:

per esempio, per avere

un microscopio a 10 dollari si possono

staccare le lenti da una webcam

e attaccarle al contrario

SicurezzaAlcune attrezzature standard come le cappe

di aspirazione sono costose, ma non sacrificate

la sicurezza ai costi. Per orientarsi

sulle attrezzature consultare i gruppi di biohacker

locali. O aderire al comitato di biosicurezza

presso università o centri medici

so appare evidente che «c’è un cambio epocale nellascienza verso l’adozione di strumenti sempre piùaperti, e questo dà più potere agli scienziati ma ali-menta un’onda di dilettanti appassionati», come rac-conta Alessandro Delfanti, 37 anni, docente di nuovimedia alla Statale di Milano e autore di un saggio sultema in uscita nel 2013.

Come accade per i computer, così per la scienza cisono vari livelli di hacking. Uno più generale è quellodell’apertura dei dati scientifici ai fini di ricerca. A par-tire dalla pratica di fornire accesso senza limiti agli ar-ticoli scientifici: «Il 20 per cento della letteraturascientifica mondiale è in open access» racconta Del-fanti. In quest’ottica si può considerare biopunk per-sino la virologa Ilaria Capua che nel 2006 si rifiutò diconsegnare a una banca dati chiusa la sequenza ge-netica del virus dell’aviaria perché, disse, davanti auna tale emergenza era giusto che tutti i ricercatori delmondo potessero dare il loro contributo. Quel rifiutoha cambiato le regole dell’Organizzazione mondialedella sanità. Sempre parlando di apertura dei dati, hafatto un certo scalpore qualche mese fa la scelta di Sal-vatore Iaconesi (lui sì, un hacker in senso tecnico), dicondividere in Rete il contenuto della sua cartella cli-nica dove gli era stato diagnosticato un tumore al cer-vello: «La mia cura open source ha generato una di-scussione globale» e sta aiutando Iaconesi a curarsimeglio. C’è poi il livello della partecipazione attra-verso quello strumento che nel mondo del web sichiama crowdsourcing. O anche solo attraverso ifeedback sul modello di Tripadvisor. Come fa pa-zienti.it, la startup creata dalla odontoiatra LinneaPassaler per condividere le valutazioni dei pazientisui medici e le strutture sanitarie: a due anni dal varogestisce un centinaio di richieste al giorno ed è di-ventato un punto di riferimento.

Un livello più complesso è la battaglia per un uso di-verso dei fondi per la ricerca che sta facendo CamilloRicordi. Erede della famosa famiglia di editori musi-cali, Ricordi ha da tempo stabilito un centro di eccel-lenza contro il diabete a Miami. Qualche anno fa si èconvinto che alcune malattie rare non saranno maicurabili perché non interessanti economicamente; eche per altre malattie lo scopo delle case farmaceuti-che è quello di prolungare il trattamento piuttosto cheottenere la cura definitiva. Ha quindi fondato Cure Al-liance, un progetto globale «per dire basta a quelli chesi approfittano delle sofferenze delle persone e fare ladifferenza distribuendo i fondi per la ricerca per lo svi-luppo di nuove cure».

Infine c’è il fai-da-te. Per accreditare il fenomenobiohacker negli Stati Uniti sono state raccontate de-cine di storie di scienziati che avevano lasciato i lorolaboratori per continuare la ricerca in casa dopo cheun parente era stato colpito da una malattia grave enon curabile. In Italia qualcosa del genere è accadutonel 2009 con il giovane ingegnere torinese RiccardoProdam. Lavorava presso un grande gruppo banca-rio, quando il papà venne colpito da un ictus: allora simise a studiare un sistema per decifrare quello che ilpapà pensava. Nacque DreamBrain, un caschettoche ha fatto molto discutere attirando attenzioni in-ternazionali. Fu in seguito a ciò che l’amministratoredelegato di Unicredit Federico Ghizzoni decise di af-fidare a Prodam il neonato laboratorio innovazionedel gruppo bancario. E qui Prodam ha appena bre-vettato un sistema di riconoscimento biometrico at-traverso la scansione delle vene del cliente. Se verràadottato, il bancomat potremmo farlo mettendo lamano in uno scanner. Un vero colpo da biohacker.

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I sapori Difficile trovare carni più diverse eppure ugualmentepronte a sottostare ai capricci della cucina. La sceltaper il classico menù natalizio si presenta più impegnativadi quanto si possa pensare. Selvatica e fragrante l’una,morbido e succulento l’altro: al forno o bollito, il ripieno è il loro unico punto in comune

PA

DO

VA dove comprare

DA MARIOCorso Terme 4Montegrotto TermeTel. 049-794090Chiuso martedì e mercoledì a pranzo,menù da 30 euro

ANTICA TRATTORIA AL BOSCOVia Valmarana 13SaonaraTel. 049-640021Chiuso martedì, menù da 30 euro

LA TAVOLOZZAVia Boschette 2TorregliaTel. 049-5211063Chiuso mercoledì e giovedì a pranzo,menù da 35 euro

LA SACCISICA Via Adige 18Piove di SaccoTel. 049-9704010Chiuso domenica sera e lunedì,menù da 35 euro

RISTORANTE LAZZARO 1915 Via Roma 26PontelongoTel. 049-9775072Chiuso martedì, menù da 38 euro

AGRITURISMOPINTONVia XX Settembre 13 VigonzaTel. 049-8932264

AZIENDA AGRICOLASCUDELLARO Via Valli Pontecasale 16CandianaTel. 049-5349944

AGRITURISMO VENTURATO (con camere e cucina)Via Argine Destro 29BovolentaTel. 049-5347010

SALUMERIA BERTINPiazza Stazione 11Montegrotto TermeTel. 049-793257

ENOTECA GASTRONOMIAPER BACCO Via Mirabello 3 Torreglia Tel. 049-9930324

Roba da fare accapponare la pelle, si dice. Quasi peggiodella pelle d’oca, che in inglese diventa chicken skin, pel-le di pollo. Sensazione rabbrividente che per un attimoci avvicina al più placido (suo malgrado) tra i volatili d’al-

levamento. Accapponati a due mesi di vita, i galli castrati rappre-sentano uno dei must alimentari delle feste natalizie. Nella cate-goria pennuti, solo la faraona può vantare un uguale fascino gour-mand, tanto da rivaleggiare nelle preferenze golose al momentodi stilare i menù di fine anno. Proprio come per il tacchino ame-ricano, l’identificazione con la ritualità gastronomica festaiola èimmediata, totale.

Difficile trovare carni più diverse, eppure egualmente pronte asottostare ai capricci della cucina: bollite o arrosto, in umido o salmì,piatti di portata o semplici ingredienti. Semplici ma non facili. Pre-parare un cotechino purchessia è operazione modestissima: ba-stano una pentola d’acqua per completare la cottura del precotto eun paio di forbici per tagliare la busta che lo contiene, più una con-

Lontani parenticonciatiper le festeLICIA GRANELLO

dove mangiare

Petto di faraona

Sbollentare i porri in acqua salata, raffreddare in acqua e ghiaccio

Passare i petti di faraona in padella con olio, burro ed erbe

aromatiche. Salare e pepare. Sfumare con lo sherry e cuocere

per 10’. Spadellare i porcini con olio, aglio e prezzemolo. Insaporire

in padella i mini porri con una noce di burro. Adagiare sul piatto

di portata i funghi porcini, il petto di faraona affettato,

guarnire con la barbabietola

e i porri e la salsa

di cottura

della faraona

LA RICETTA

Ingredienti per 4 persone

4 petti di faraona con la pelle

20 mini porri

300 g. di funghi porcini

sherry qb

1 barbabietola cotta a cubetti

sale, pepe, burro, olio extravergine

salvia, rosmarino e timo

1 spicchio d’aglio

1 mazzetto di prezzemolo tritato

Ricetta ideata per Repubblica

Derby da pollaio

ArrostoQui sotto, faraona arrosto

alle erbe aromatiche

Nella pagina accanto,

cappone arrosto

con le castagne

Chicco Cerea gestisce con la famigliail relais “Da Vittorio”a Brusaporto,Bergamo

Faraona&Cartad’identità

ProvenienzaAfrica, da 2000 anni

Piume lisce e ali corte

Carne3% di grassi, proteine,

vitamina B e sali minerali

TradizioneSi alleva nelle campagne

della Pianura padana

CottureArrosto, farcita, in insalata

AbbinamentiRossi poco strutturati

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 16 DICEMBRE 2012

dove mangiare

CU

NE

O

dove comprare

fezione di puré in fiocchi da reidratare con l’acqua come contorno.Soluzione vagamente tristanzuola, ma possibile. Al contrario, sce-gliere faraona o cappone è una promessa d’impegno culinario, checomincia in macelleria e termina solo al momento di impiattare.

Il cappone è garanzia di morbidezza, succulenza, gusto delica-to, a patto che sia stato allevato in modo adeguato. Nata per evita-re i guai da «due galli in un pollaio», infatti, la pratica della cappo-natura da sola non basta a trasformare magicamente la carne delpollo. A incidere fortemente sul risultato finale, la possibilità di raz-zolare in spazi larghi — per assicurare un minimo di tono musco-lare — l’alimentazione sana a base di granaglie e prodotti lattieri,su su fino alla durata della vita media, mai inferiore ai 140 giorni (se-condo normativa europea), quando l’animale supera abbondan-temente i tre chilogrammi di peso. Tutt’altra storia, quella della gal-lina del faraone, africana d’origine e addomesticata da molti seco-li, ma ancora e sempre forte di una spiccata rusticità, tanto da ri-sultare protagonista delle stesse ricette pensate per il fagiano, co-

me fosse una sorta di selvaggina casalinga. Se il cappone è un gallomai arrivato a compimento, che ha sviluppato caratteristiche ori-ginali e differenti, la faraona è a sua volta un ibrido fascinoso in bi-lico tra la magrezza della carne del pollo e la pigmentazione postcottura degna delle carni selvatiche (catalogate come nere), la ric-chezza proteica tipica delle carni rosse e la fresca fragranza di quel-le bianche. Una messe di qualità alimentari che una frollatura ade-guata esalta quanto e più di una preparazione elaborata. Se la far-citura non è la vostra specialità, chiedete al macellaio di fiducia difarlo per voi: castagne, salsicce, uova, parmigiano, ma anche noci,latte, mortadella, vino, cipolle... A fare la differenza, l’armonia del-l’assemblaggio, perché un ripieno troppo spinto sul piano del gu-sto toglie importanza alla qualità della carne. Altrimenti, bollite ilcappone e arrostite la faraona senza altri orpelli di sapore dellabontà intrinseca delle carni. Una tazza di brodo bollente chiuderàdegnamente il vostro pranzo faraonico, a prova di pelle d’oca.

Il cappone è il simbolo di cui andar fieri per chiunque svol-ga attività avicola, anche perché chi li alleva deve dedicar-gli le maggiori cure e attenzioni, una certa lentezza, perfi-

no in ambito industriale (per legge un cappone deve essereallevato almeno 140 giorni). È una pratica antica, presto di-ventata elemento di pregio vista la finezza e delicatezza cheacquistano le carni di questi animali. Per poterle apprezzareal meglio i puristi li preferiscono lessi, accompagnati da unpo’ di sale grosso o qualche salsa, come il bagnetto verde pie-montese. Proprio in Piemonte ci sonoquattro produzioni d’importanzaparticolare per le economie localie perché si rifanno a un’artigia-nalità tradizionale, anche se illoro allevamento è ancoradiffuso (molto meno di untempo) in tutto il Paese. Tra le

produzioni riconosciute ci sono pure il cappone friulano e ilrustico nostrale delle Marche, mentre le quattro del Piemon-te sono di Monasterolo di Savigliano, di Vesime, di San Da-miano d’Asti e di Morozzo. Per quest’ultima ho particolare af-fezione. La sua fiera, il terzo lunedì di dicembre (quindi do-mani), è stata il luogo in cui nel ’98 abbiamo ideato il primoprototipo di Presidio Slow Food. Lì l’allevamento dei cappo-ni è prerogativa delle donne, perché richiede mani fini, manel ’98 la fiera languiva. Nel ’99 i capponi di Morozzo erano

300; oggi sono più di 3000 e i produttoridel Consorzio sono raddoppiati.

Sulla strada

Fieri della fiera di MorozzoCARLO PETRINI

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

CAVALLO ROSSOVia Orsi 15Villanova di Mondovì Tel. 0141-597611Chiuso lunedì sera e martedì, menù da 25 euro

LA SPERANZAPiazza Vittorio Emanuele II 43Farigliano Tel. 0173-76190Chiuso domenica sera e lunedì,menù da 25 euro

CORSAGLIALocalità Corsaglia 16Montaldo Tel. 0147-349109Chiuso martedì, menù da 25 euro

IL BALUARDOPiazza d’Armi 2MondovìTel. 0174-330244Chiuso lunedì a pranzo e martedì,menù da 40 euro

TRATTORIA MARSUPINOVia Roma 20 BriagliaTel. 0174-563888Chiuso mercoledì e giovedì a pranzo,menù da 35 euro

Rosolare il burro, il cipollotto e il rosmarino, aggiungere i petti

di cappone e girarli continuamente fino a quando cominciano

a prendere colore. Versare il Gran Marnier e il succo del limone,

cuocere a fuoco bassissimo per qualche minuto

In ultimo, rifinire con la buccia di limone a listarelle

e lo spumante Franciacorta. Salare, pepare,

spargere il mango a cubetti e togliere dal fuoco

Servire nei piatti decorando con foglie

di insalatina, chicchi di melograno

e zenzero candito a piacere

LA RICETTA

Ingredienti per 4 persone

2 petti di un cappone

1 mango maturo

1 melograno

2 cucchiai di burro

qualche fettina di cipollotto

1 limone di Sorrento (succo e buccia)

1 rametto di rosmarino

1 cucchiaio di Grand Marnier

2 cucchiai di spumante Franciacorta

Nadia Santiniguida il ristorante“Dal Pescatore”,a Canneto sull’Oglio,Mantova

MACELLERIA TARICCOPiazza Vittorio Emanuele II 18FariglianoTel. 0173-76343

COOPERATIVA AGRICOLA FATTORIE MONREGALESIVia Biglia 2 MondovìTel. 0174-551451

MACELLERIABOETTIvia Marconi 26MorozzoTel. 0171-772028

MACELLERIA POLLERIABARBERIS Via Marconi 8FossanoTel. 0172-61827

ERBAMATTAPiazza Maggiore 11bMondovì Tel. 0174-4583

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ricetta ideata per Repubblica

Petto di cappone

Cappone&Cartad’identità

ProvenienzaGrecia, da koptein: tagliare

CarneMorbida e succulenta

TradizioneCibo di lusso da servire

nelle grandi feste

CottureLessato, ripieno e cotto

al forno, arrosto o col sugo

AbbinamentiRossi freschi per il bollito,

strutturati per le farciture

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 44

DOMENICA 16 DICEMBRE 2012

Trent’anni fa lasciò Taiwan per andare a studiare cinemaa New York. Da allora ha collezionatograndi premi (compresi due Oscar)ma anche flop colossali: “È che a volte

sono stato il registasbagliato di filmsbagliati”. Ora per lui è arrivato “il momentodella verità”E portando nei cinema

il più visionario dei suoi lavori,“Vita di Pi”, dice: “Per colpa suanon sarò mai più il Peter Pan che sono sempre stato”

PARIGI

Si racconta malinconicoanche quando sottolineaun concetto con una breverisata, seduto composto

sul bordo di un divanetto del Le Bri-stol in un’uggiosa mattinata parigina.Ang Lee è in vena di riflessioni e bilan-ci esistenziali: «Per me è arrivato ilmomento della verità — sospira il cin-quattottenne cineasta taiwanese —l’ora di capire che artista voglio esse-re e soprattutto chi sono davvero».Pochi registi sanno unire finezza psi-cologica e padronanza assoluta dellamacchina da presa come lui. È statocapace di raccontare con sensibilitàinfinita l’amore tra due cowboy ne Isegreti di Brokeback Mountain, comedi rileggere il wu xian, il genere cinesedi arti marziali, conquistando Hol-lywood con gli iperbolici combatti-menti sospesi per aria de La tigre e ildragone. E l’uomo è interessante al-meno quanto i suoi film.

Nel corso della sua carriera, inizia-ta al College of Art di Taiwan nel 1975e proseguita all’università di NewYork (dove nell’83 è stato assistentedel primo film da studente di SpikeLee), ha firmato una dozzina di opere

equamente divise tra pellicole dagrande intrattenimento, film indi-pendenti e disastri commerciali. Ilbottino è impressionante. Tra i tantipremi, due Oscar, due Orsi d’oro ber-linesi e due Leoni d’oro veneziani.

Il «momento della verità» evocatoda Ang Lee si concretizza in Vita di Pi,un film ambizioso, grandioso, spiri-tuale, sontuosamente tecnologico.Tratto dal successo editoriale del li-bro omonimo di Yann Martel (vinci-tore del Man Booker Prize nel 2001) egiudicato intraducibile sul grandeschermo, sarà invece nelle sale dal 20dicembre. Racconta l’avventura delgiovane indiano Piscine, detto Pi, cheperde la famiglia in un naufragio e siritrova sull’Oceano Pacifico a condi-videre una scialuppa con una tigre. «Èun film per famiglie, anche se nonproprio per bimbi», dice Lee. «Èun’occasione di discutere di argo-menti spirituali. Diciamo anche unfilm perfetto per l’atmosfera nataliziapur non trattando una storia cristia-na». Da questo punto di vista il giova-ne protagonista, infatti, abbracciacontemporaneamente la religioneebraica, quella musulmana e l’indui-smo. «Ma la religione non è altro cheun fenomeno sociale. Mentre quan-do accade che un ragazzo e una tigresono naufraghi nell’oceano e sono so-li, la vera domanda è: cosa è Dio? Ec-co, il mio film esplora l’afflato che ab-biamo verso qualcosa di sconosciutoche chiamiamo Dio. Non offre una ri-sposta ma un’esperienza, anche cru-da e difficile, ma che vale la pena di fa-re se possiamo condividerla».

Lo sguardo si perde nel vuoto. Alladomanda su cosa significhi per luiaver fatto questo film segue un lun-ghissimo silenzio. Poi la risposta, sor-prendente: «Per me rappresenta laperdita del paradiso. Finora avevovissuto una vita confortevole, e realiz-zare Vita di Pi all’inizio mi era sem-brata un’esperienza avvincente. Poi,alla fine, guardandomi indietro, hocapito che avevo perso qualcosa lun-go il tragitto: l’innocenza». Sorrideamaro, e spiega. «Sui set mi sono sem-pre sentito un ragazzino. Facendoquesto film anche come produttoresemplicemente ho dovuto assumer-mi delle responsabilità — ad esempio

fronteggiare gli studios di Hollywood— e quindi diventare adulto. E questo,per un eterno Peter Pan come me, èterribile». Il tono è davvero addolora-to: «Tutti noi siamo in grado di ritro-vare sempre, in un modo o nell’altro,il nostro piccolo paradiso, un postoaccogliente in cui vivere. Però quan-do arriva il momento di riconoscereche quel paradiso è un’illusione, beh,quello è un momento triste». Pausa.«Diciamo che sto invecchiando». An-cora pausa. «Ma forse posso ancora,di tanto in tanto, fare finta di avere ilcuore di un bambino».

Sposato da trent’anni con la stessadonna, Ang Lee è padre di due figlimaschi ormai grandi. «Penso di esse-re stato un genitore decente, ma soanche di non essere stato un padre

molto presente. Mia moglie Jane si èsempre occupata della loro educazio-ne, come di tutti i problemi praticidella famiglia. Io sono un sognatore.Ma proprio in quanto tale credo di es-sere stato una fonte d’ispirazione peri miei figli, penso di averli spronati aesprimersi, e anche di averli resi fieridella mia arte. Per loro sono una sortadi modello». Il maggiore disegna fu-metti: «È un grande visionario». Il piùpiccolo fa l’attore: «Gli ho sconsiglia-to di prendere la mia stessa strada,proprio come mio padre fece con me.Ma ogni figlio deve provare al padreche ha sbagliato. È proprio così. Ionon ho mai mancato di rispetto a miopadre, ma ho passato la vita a dimo-strargli che si sbagliava».

Da trent’anni Ang Lee vive a NewYork, a distanza di sicurezza da Hol-lywood, con la quale ha un rapportodifficile. L’industria gli rimprovera di-versi flop colossali. Il più clamoroso èstato il film sull’incredibile Hulk: «Hopreso il fumetto troppo sul serio: Hulkè un personaggio stupido e io ci ho co-struito un intero dramma psicologicointorno. È che dopo il successo de Latigre e il dragone pensavo che avreipotuto fare quello che volevo. Avevopreso un film di genere cinese e l’ave-vo elevato a qualcosa di diverso. Ilpubblico asiatico l’aveva trovato stra-no, ma l’aveva amato. E le reazioni nelresto del mondo erano state sorpren-dentemente forti. Ciò che non avevocapito è che in America il fumetto èuna istituzione intoccabile. Violarne icodici ha provocato una reazionerabbiosa dei fan. Sono stato il registasbagliato del film sbagliato. E pensareche avevo in mente una sorta di La ti-gre e il dragoneamericano, pieno di ri-ferimenti alla guerra fredda, alla guer-ra nucleare anni Cinquanta, ma an-che a quella in Iraq che era appena ini-ziata. Perché per me “il dragone na-scosto” dell’America (il titolo origina-le del film è Hidden Dragon CrouchingTiger, ndr) è la guerra, la violenza».

Ang Lee, che ha raccontato l’Ame-rica omofoba e quella hippie diWoodstock, è convinto che gli StatiUniti siano «un posto violento dovetutti possono possedere e impugnareun’arma, un posto in cui non mi sen-to mai davvero al sicuro». Eppure non

ha perduto l’amore che trent’anni falo spinse a lasciare Taiwan: «Gli StatiUniti sono un posto diverso da qual-siasi altro. Non è un paese unito dauna cultura, ma da un’idea. E la gentevive insieme per questa idea. L’idea dilibertà. L’America ti lascia essere testesso più di quanto sia permesso inqualunque altro posto al mondo. Ed èquesto che la rende speciale». Coltempo ha imparato anche a convive-re con la doppia anima dei migranti.«Io sono cinese. I miei figli sono unmiscuglio». Di Taiwan ha ereditatol’amore per il cibo, protagonista inmolti suoi film, da Banchetto di nozzea Mangiare, bere, uomo, donna. An-che in Vita di Pi il protagonista si rac-conta preparando e servendo pietan-ze all’ospite. «Cucino solo cibo cine-se, ma sperimento. Mi serve per rilas-sarmi, scacciare i pensieri. In casa miasi è sempre parlato di cibo. Nella cul-tura cinese è una cosa importante, unmodo di relazionarsi alla vita, una fi-losofia, proprio come in Italia. È unmomento altamente creativo. È comeil cinema. Il sapore che hai in mente,come la scena di un film, è un concet-to astratto. Usando gli ingredientigiusti puoi trasformarlo in qualcosadi reale. Ma per scoprire cos’è e comeè venuto devi per forza assaggiarlo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’incontroSognatori

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Anche cucinareè altamente creativoIl sapore che hai in mente è un concetto

astrattoMa con gli ingredientigiusti puoi realizzarlo

Ang Lee

ARIANNA FINOS

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