DI REPUBBLICA DOMENICA AGOSTO NUMERO 439...

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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 4 AGOSTO 2013 NUMERO 439 CULT La copertina MAURIZIO FERRARIS e PAOLO LEGRENZI Fast Thinking trappole, errori e (pochi) vantaggi del pensare veloce Il libro IRENE BIGNARDI Leonard Cohen a sorpresa Il gioco preferito è scrivere bene All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Lina Wertmüller “Eccessi e amore me ne andrò sazia di vita” Teatro ANNA BANDETTINI A Drodesera il potere del Male da Prospero a Hitler L’arte MELANIA MAZZUCCO Il Museo del mondo Le filatrici di Velázquez Hitchcock muto primi soggetti e film del giovane maestro Spettacoli ALFRED HITCHCOCK e MARIO SERENELLINI Tra le nuvole trucchi e classifiche da frequent flyer L’attualità FEDERICO RAMPINI ALTOPIANO DI ASIAGO alde del Monte Ortigara, ore 22, un giorno di luglio. Tende sparse di penne nere su terreno irregolare se- gnato da crateri di bombe. Canti un po’ stonati, poche stelle e lampi lontani. Una voce nel buio: «Altolà chi va là?». «Alpini», rispondo. «Alpini no basta. Parola d’ordine!». «Traminer, Malvasia e Vitovska». «Vito cossa«Xe vin de Trieste». «Alora passa, can de l’ostia». Passo. Ho tre bottiglie nello zaino e cerco nel semibuio la tenda buona per barattarle con cibo. Nella radura risate sommesse di re- trovia e fumo di luganighe alla brace. Accenti veneti e lombardi. Con gli alpini, il diaframma fra sagra e commemorazione è sottile. Ci sono decine di migliaia di morti là sotto, ma loro mangiano e be- vono lo stesso. In fondo, in mezzo mondo si fa picnic sulla tomba di santi e poeti. E poi la morte è un antico esaltatore di sapidità. Te- nente Paolo Monelli ne Le scarpe al sole, pagina 156: la vita è «una cosa buona che si sgranocchia in silenzio con i denti sani» e i mor- ti, in fondo, sono solo «compagni impazienti che si avviarono in fretta a loro faccende ignote». Ho piantato la tenda su una spianata da mortaio. Tanta pietra e poca terra, un sacramento di terreno. I teli son venuti su storti, ma almeno, se diluvia, l’acqua non ristagnerà. Perché la pioggia arri- va, come ogni giorno. Son due mesi che sto al fronte e ho beccato solo temporali. «Non fare questo viaggio d’estate — m’avevano ammonito —: per la trincea ci vuole il fango e la neve», e per Dio da allora non ha smesso di far brutto, siamo a mezza estate e non è fi- nita. Sul Falzarego, quaranta centimetri di fresca. Nebbia sul Ce- vedale, diluvio sul Pasubio, botti come cannonate sopra Caporet- to. Trincee sepolte dalla neve in Adamello, freddo becco persino in pianura sulla linea del Piave. (segue nelle pagine successive) DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI DISEGNO DI ALTAN guerra Grande La Alla vigilia del centenario Paolo Rumiz iniziail suo viaggio a puntate sul fronte italo-austriaco PAOLO RUMIZ F

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 4AGOSTO 2013

NUMERO 439

CULT

La copertina

MAURIZIO FERRARIS e PAOLO LEGRENZI

Fast Thinkingtrappole, errorie (pochi) vantaggidel pensare veloce

Il libro

IRENE BIGNARDI

Leonard Cohena sorpresaIl gioco preferitoè scrivere bene

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Lina Wertmüller“Eccessi e amoreme ne andròsazia di vita”

Teatro

ANNA BANDETTINI

A Drodeserail potere del Maleda Prosperoa Hitler

L’arte

MELANIA MAZZUCCO

Il Museodel mondoLe filatricidi Velázquez

Hitchcock mutoprimi soggetti e filmdel giovane maestro

Spettacoli

ALFRED HITCHCOCKe MARIO SERENELLINI

Tra le nuvoletrucchi e classificheda frequent flyer

L’attualità

FEDERICO RAMPINI

ALTOPIANO DI ASIAGO

alde del Monte Ortigara, ore 22, un giorno di luglio.Tende sparse di penne nere su terreno irregolare se-gnato da crateri di bombe. Canti un po’ stonati, pochestelle e lampi lontani.

Una voce nel buio: «Altolà chi va là?».«Alpini», rispondo.«Alpini no basta. Parola d’ordine!».«Traminer, Malvasia e Vitovska».«Vito cossa?»«Xe vin de Trieste».«Alora passa, can de l’ostia».Passo. Ho tre bottiglie nello zaino e cerco nel semibuio la tenda

buona per barattarle con cibo. Nella radura risate sommesse di re-trovia e fumo di luganighe alla brace. Accenti veneti e lombardi.Con gli alpini, il diaframma fra sagra e commemorazione è sottile.Ci sono decine di migliaia di morti là sotto, ma loro mangiano e be-

vono lo stesso. In fondo, in mezzo mondo si fa picnic sulla tombadi santi e poeti. E poi la morte è un antico esaltatore di sapidità. Te-nente Paolo Monelli ne Le scarpe al sole, pagina 156: la vita è «unacosa buona che si sgranocchia in silenzio con i denti sani» e i mor-ti, in fondo, sono solo «compagni impazienti che si avviarono infretta a loro faccende ignote».

Ho piantato la tenda su una spianata da mortaio. Tanta pietra epoca terra, un sacramento di terreno. I teli son venuti su storti, maalmeno, se diluvia, l’acqua non ristagnerà. Perché la pioggia arri-va, come ogni giorno. Son due mesi che sto al fronte e ho beccatosolo temporali. «Non fare questo viaggio d’estate — m’avevanoammonito —: per la trincea ci vuole il fango e la neve», e per Dio daallora non ha smesso di far brutto, siamo a mezza estate e non è fi-nita. Sul Falzarego, quaranta centimetri di fresca. Nebbia sul Ce-vedale, diluvio sul Pasubio, botti come cannonate sopra Caporet-to. Trincee sepolte dalla neve in Adamello, freddo becco persino inpianura sulla linea del Piave.

(segue nelle pagine successive)

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NguerraGrandeLa Alla vigilia del centenario Paolo Rumiziniziail suo viaggio a puntatesul fronte italo-austriaco

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LA DOMENICA■ 28DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

Baracche sugli strapiombi, saette,bivacchi nelle buche delle granate e cantine

piene di bombe ed elmetti. Seicento chilometrinelle trincee della Prima guerra mondiale,

dal Carso allo Stelvio. Parte il viaggio di “Repubblica” per riscoprire

un’Italia meravigliosa e terribile

La Grande GuerraLa copertina

(segue dalla copertina)

domani si va all’assaltosoldatino non farti am-mazzare ta-pum ta-pum ta-pum ta-pumta-pum ta-pum».

A cantare sono quelli di Asiago.Mi avvicino, hanno una tenda gran-de con mensa. Una biondina sveltadi nome Roberta, stirpe cimbra deiRodeghiero, mi passa un piatto fu-mante senza chiedermi chi sono.«Costesine, poenta e fasoi». Avverto:attenti, non sono alpino, ma solo unvecchio rudere della Folgore, fante-ria. «Basta che el vin sia bon», taglia-no corto i veneti, e il mio bianco delCarso sparisce nelle loro tazze d’or-dinanza. Aggiungo che sono un in-filtrato, che vengo da Trieste, che èstata austriaca fino al 1918. Unacittà di italiani ciapài col s’ciopo, co-me i dalmati, gli istriani e i trentini,per i quali la guerra inizia nel ’14,non nel ’15. «Scolta triestìn — mi faun asiaghese grande come unamontagna e dalla lunga penna nera— còntene cossa te fa de ste parti»,cosa ci fai quassù. Non gli importa

niente delle mie paturnieidentitarie.

Racconto il viaggio appena fini-to, seicento chilometri di fronte conbaracche appese a strapiombi, ven-to gelido negli ossari, sere a cantareUna notte che pioveva, grumi di rug-gine e reticolati, gironi fumanti dinebbie, cantine di recuperanti pie-ne di bombe e di elmetti, merendeconsumate nei buchi delle granate.E ancora migliaia di chilometri distrade, gallerie, teleferiche, cammi-namenti e fortini, grandiosi monu-menti dell’inutile, balaustre suun’Italia sconosciuta, meravigliosae terribile. Spiego che dopo un viag-gio simile, il giusto finale doveva es-sere qui, per l’anniversario dellabattaglia dell’Ortigara. Su questiprati che ogni anno, a luglio, si riem-piono di tende e di penne nere dimezza Italia.

La sera prima, a casa del Gianni —casa Rigoni Stern con formaggio al-la piastra, vin rosso, patate e mine-stra d’orzo — ci siamo studiati lemappe per capire. Era venuto an-che Vittorio Corà, uno che conosceogni pietra dell’Altopiano. La storiadel monte maledetto comincia nelmaggio del ’16, con lo sfondamentodella Strafexpedition e gli imperialiche arrivano quasi in vista di Vicen-za. I nostri tengono, non si sa come,con poca artiglieria e i rinforzi chenon arrivano. Da quel momentol’Ortigara diventa un’ossessione,l’ultima possibilità di riconquistare

le posizioni iniziali. In molti cerca-no di dissuadere Cadorna, il nemi-co è troppo ben trincerato. Inutil-mente: nel giugno del ’17 si schiera-no trecentomila uomini e millecin-quecento cannoni per il contrattac-co. È un’ecatombe. La puzza deimorti si sente a chilometri. Gli au-striaci tengono, con un terzo deglieffettivi.

I lampi si fanno più forti dietro ilmonte, illuminano nubi tumefattecolor ciclamino, e i veciascoltano insilenzio la storia di questo mio an-dare senza imbarazzi sulla terra dinessuno, in bilico fra i nemici, dabravo animale di frontiera; fio denissùn, complicato di genealogia edi appartenenza, nipote di un non-no in divisa asburgica e di un illu-strissimo zio irredentista passatoall’Italia. Cose difficili da spiegare aquelli di Roma e Milano.

A mezzanotte torno in tenda nelbuio, col nubifragio in arrivo. Tuttala ferrazza disseminata tra Grappa ePasubio s’è messa a friggere e chia-mar saette. C’è anche il mio alpen-stock, che col temporale diventaparafulmine. Legno italiano e pun-tale austriaco di guerra, trovatoquassù. Un regalo di Gianni, sem-pre lui, il figlio del Mario. «Ciapaqua» mi ha detto un anno fa senzacerimonie, staccandolo dal muro. Èdiventato il talismano del viaggio,mi ha seguito fino all’ultima trin-

cea. L’ho usato come appoggio e ti-mone, per traversare torrenti eghiaioni, o scivolare sui nevai di unpasso chiamato Sentinella.

Salve come di fucileria, crepitardi botti, cannonate, brontolii dietrole creste e le forcelle. Fa un caldo ca-raibico, la tenda è assediata di zan-zare in cerca di rifugio. Mi barrico epiombo in un sonno profondo, ani-male. Alle tre e mezza un boato. C’èun festival di lampi, la tenda è strat-tonata dal diluvio. Scassoni, scra-vazzi, scrosci e cannonate, rotolardi sassi, alberi immensi che oscilla-no in verticale. «Santa Ana, tien lapiova ne la tana/San Simon, a star-lup in tal segiòn», santi benedetti te-nete la pioggia nella tana e il fulmi-ne nel secchio, la tenda fa acqua ne-gli angoli, non c’è la canaletta, spe-riamo che tenga; penso come pote-vano resistere quei ragazzi in grigio-verde quassù, al pensiero che oltreal buio, oltre ai tuoni, ai fulmini e al-la pioggia ci fosse anche un nemicopronto a scannarli. Quanta infinitamiseria in quei bivacchi.

Ortigara, notte del 2 luglio 1916.Dai fogli del capitano Michel, rac-colti da Claudio Rigon. «Arrivaronoi primi complementi di classi anzia-ne, sfiniti in quella località tenebro-sa dopo aver arrancato fra sassi, pi-ni mughi e macigni. Erano giunti inuna notte nera, solcata a tratti darazzi illuminanti... mentre a inter-

mittenze il tragico silenzio era rottodal petulante ta-ta-ta dellaSchwarzlose nemica... o ancora daicolpi sordi delle bombarde o dalprecipitare dei massi. Arrivati fraombre immobili accovacciate fra lespaccature delle rocce in rassegna-ta attesa della propria sorte, veniva-no impressionati sinistramente dalrantolo dei moribondi e dai lamen-ti dei feriti».

Ortigara, trentamila perdite indieci giorni. La corsa disperata degliitaliani, in salita, sotto il tiro dellemitragliatrici, per un monte insi-gnificante, l’annaspare verso i reti-colati. Nel buio vedo come una mi-grazione di lemming, i topolini del-le nevi che quando sono in sopran-numero scelgono di suicidarsi get-tandosi nei precipizi. In quella mas-sa di animaletti impazziti, pupilledilatate, trovo l’immagine perfettadi un’Europa che un bel giorno sce-glie di autodistruggersi. Millenove-centoquattordici: un’immane mi-stero. Qualcosa che è impossibilecapire e persino immaginare.

Ora la pioggia tuona come unacascata. Sono due mesi che viaggiosu questo fronte, due mesi col sole ecol vento, il fango e la neve, e anco-

«EPAOLO RUMIZ

I sentieri del sangue perduto

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■ 29DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

ra non riesco a riprodurre la perce-zione del macello, il fiato corto, lescariche di paura. Non ce la faccio aentrare in quelle scarpe e in quei ve-stiti di panno rancido. È come se, ditrincea in trincea, questa guerra an-ziché avvicinarsi diventasse piùlontana e inconcepibile. Ho davan-ti a me il paradigma dell’inumano edell’insensato, qualcosa che è vanocercar di rivivere. Forse, come mi hadetto un bravo generale, alla miaumana percezione manca l’unicacosa non riproducibile. L’odore.

Il piscio, il sangue, la putrefazio-ne. Eppure di guerre ne ho viste. Hoannusato il dolciastro dei morti diVukovar sul Danubio. Ho guardatodentro le occhiaie dei talebanimangiati dai corvi sui monti di Jala-labad, e ho visto i bosniaci smem-brati da una granata al mercato diSarajevo. Eppure non basta, quisull’Ortigara. Ma se nemmeno ioposso capire, come possono farlo ifigli di Facebook? C’è un fronte ge-nerazionale, oltre il quale inizia Le-te, il fiume nero dell’oblio. Facciodue conti. Ho quasi 66 anni. Tra lamia nascita e la guerra ce ne sonosolo 29. Un tempo che dovrebbecontrarsi, col presbitismo dei vec-

chi, in proporzione all’allungarsidella vita biologica. E invece l’infer-no s’allontana. L’ortica mangia letrincee, l’acqua dilava, la neve rico-pre, l’erica fa il nido nei crateri dellegranate, i fantasmi non si lamenta-no più nelle radure senza luna. È fi-nita appena ieri, e paiono già milleanni. Ho fatto meno fatica, forse, amettermi nei panni di Annibale.

S’è levato il vento, la pioggia si di-rada. Tiro fuori dal sacco i libri diLussu, Weber e Monelli. Leggerliquassù, con la lampadina frontale,dentro una tenda, in una notte si-mile, è tutta un’altra cosa. Ora capi-sco perché sono tornato sull’Alto-piano alla fine del viaggio. Zebio, Ci-ma Caldiera, Melette, Castelgom-berto, Monte Fior. Ogni cima, ognicolle, ogni convessità è inchiodata atestimonianze vive. E i diari — il“qui ed ora” fissato in un taccuino— sono meglio della letteratura, percapire. Monelli si rifiuta di riscrive-re gli appunti dell’Ortigara. «La me-moria più fedele deforma i fatti lon-tani». Nel ricordo, «le granate cado-no più vicine, i gesti ingigantiscono,le vigilie perdono in profondità, imomenti intermedi scompaiono;le bugie, la retorica degli altri agi-scono inconsciamente su di noi».

Voci da altre tende, prima lucesulla radura di Campo Luzzo butte-rata di crateri. Felicità di oselèti:cantano come matti per festeggiare

la fine simultanea del diluvio e del-le tenebre. Preparo il caffè e accen-do la pipa; sprigionano un profumonuovo. Anch’io fisso il mio “qui edora” sul taccuino. Il bosco sfiata va-pori e fumo azzurro di bivacchi.Sento sulla pelle “la carezza tiepidadella vita”. Le cose buone e vere sichiariscono all’istante: un piatto dignocchi, un libro, un sonno profon-do, una lettera da casa, un buonabottiglia. O un bel ricordo, comel’immagine di Davide, gestore delrifugio Campogrosso, che dopouna nevicata arriva dalla retroviacon una teglia di pesce e semina fe-sta sul fronte, con noi a cantare finoa mezzanotte.

Salita verso il Chiesa, il Campigo-letti e l’Ortigara, una muraglia dovebasta rotolare dei massi per ferma-re chi sale, con gli austriaci impla-cabilmente dominanti. Dall’Ada-mello al Carso, la stessa storia. Loroche si affacciano sull’azzurro-gri-gio della pianura con in fondo il blu-notte del mare, e gli italiani che dalbasso — dall’Adige all’Isonzo — ve-dono, con la nitidezza di un dia-gramma, l’incubo di un intermina-bile fronte, a venti chilometri daUdine, Verona e Vicenza. Ma spe-cialmente qui, e sul Carso, è l’epifa-nia dell’inconcepibile, il diagram-ma altimetrico di una guerra im-mobile e tutta in salita.

Su questa scarpata disseminata

di ranuncoli gialli, come sul Podgo-ra, il Monte Santo o il San Michele,sta il monumento alla sadica osti-nazione di Cadorna: mille volte lostesso comando, mille volte l’urlo«Savoia» e mille volte la stessa corsatra i cadaveri delle ondate prece-denti. Altra storia fu il Piave, quan-do quei ragazzi dovettero difende-re anche le loro case. Altra musica ilGrappa, dopo Caporetto, quando i“crucchi” si trovarono di fronte acombattenti capaci di farsi legarealle mitragliatrici pur di non arre-trare. Lì gli italiani furono, per qual-che mese, nazione vera.

Squarci di sole, labirinti di mu-ghi, poi il sentiero conquista le lineeaustriache e deborda sull’altopia-no. Un cimitero militare, poi un’on-da lunga di pietraie, e in fondo l’Or-tigara, una cima da nulla a picco sul-le Malebolge fumanti della Valsu-gana. Lingue di nubi sinistre salgo-no dal Trentino, mille metri più inbasso, ma l’inferno è nella busame-no profonda tra la campana dellacima e il Monte Caldiera. Là, primadell’assalto, il prete benediceva imorituri, figli di contadini sbattutidavanti a cose mai viste prima: gas,mitragliatrici, aeroplani, rotoli di fi-lo spinato. Arrivano in vetta alpinisudati, con panini di soppressa efiaschi di Cabernet. C’è pure unapattuglia ordinata di sloveni, chequi tennero duro sul Chiesa. Mi

aspetto cori, ma niente. È tempoche l’Italia ha smesso di cantare.Cent’anni fa persino in guerra c’eramusica. Bersaglieri all’assalto conla banda, pianoforti a coda portati atremila metri per tener su il moraledei signori ufficiali austriaci. Imma-gini da film: l’Incompiuta di Schu-bert che vola nel nevischio dell’A-damello, e il Rigoletto di Verdi spa-rato in risposta da un grammofonodelle linee tricolori. Ultime voci delmondo di ieri.

Ripenso a Franz, un tirolese diTrafoi. Mi ha raccontato che quan-do gli italiani presero la cengia Mar-tini, un posto da pazzi sul PiccoloLagazuoi, gli altri tentarono inutil-mente di demolirla a suon di mine,finché una notte gli alpini risposerocon la banda, pifferi e ottoni ag-grappati all’impossibile. Nella neb-bia del Falzarego i soldati chieseroai loro ufficiali cos’era quel canto, evenne loro risposto: sono i nostrisulla cengia Martini che dicono«siamo vivi». Nessun poté tratte-nerli, gli alpini sul passo. Corserod’impeto su per le rocce ad abbrac-ciare i loro compagni a notte fonda.

(1-continua)© RIPRODUZIONE RISERVATA

“L’ALBERO TRA LE TRINCEE” SARÀ UN DVDDa oggi ogni giorno per tutto il mese di agosto su Repubblicasarà pubblicato il consueto viaggio a puntate di Paolo Rumiz,

dedicato quest’anno alla Grande Guerra. Alla vigilia del centenario europeo del 2014 della Prima guerra mondiale

(1914-1918), esso seguirà fedelmente gli oltre seicentochilometri del fronte italo-austriaco dal mare di Trieste

fino alle nevi del Passo dello Stelvio. Oltre che un ritornoai luoghi della storia, esso è anche l'esplorazione di spazispesso sconosciuti di straordinario interesse ambientale

Il reportage è stato filmato dal regista Alessandro Scillitani,che ha raccolto oltre cento ore di immagini: ne uscirà un dvd

dal titolo L'albero tra le trincee, in vendita il 10 settembrecon Repubblica a 7,90 euro. Su www.repubblica.it altri filmati

inediti si affiancheranno quotidianamente al racconto

LE IMMAGINIIn basso la mappa del fronte disegnata da Paolo Rumize sotto, da sinistra, prigionieri austriaci, la Brigata Calabria, il reggimento austriaco n.92, i feriti italiani a Fango e gli alpinidel Val Cordevole (le foto sono tratte da Frammenti di storiadell’associazione storica “Sul fronte dei ricordi”)

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LA DOMENICA■ 30DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

L’attualitàTra le nuvole

Il JFK di New York è l’aeroporto peggiore, Monaco di Baviera quello ideale. Su Alitalia si mangia meglio e c’è più scelta di film e musica, ma la Singapore è il massimo della comodità Ecco i trucchetti e le hit parade volanti di un viaggiatore seriale

Singapore Airlines

Emirates

Cathay

Virgin

Alitalia

1. Alitalia

2. Air France

3. Nippon

4. Jet Airways (India)

5. JAL

Cathay

Singapore Airlines

Emirates

Qatar

Air France

NEW YORK

h, potessi volare da Londra a NewYork o da San Francisco a Romasempre con la Singapore Airlines…Sballottato come bestiame, maltrat-tato a bordo, compresso nei mieispazi vitali, ogni tanto sogno quellehostess orientali avvolte nei loro sa-ri, la cortesia raffinata, l’attenzionedelicata verso il passeggero. La mianostalgia di Oriente è anche questa.In un mondo di vera concorrenza,compagnie come Singapore,Cathay, Emirates, avrebbero sop-piantato le altre su molte rotte. Ve logarantisco, dall’alto di centinaia dimigliaia di miglia. Corrispondente e

inviato in Asia America Europa, conuna famiglia dilatata su più conti-nenti, sono il frequent flyer per ec-cellenza. Un po’ come George Cloo-ney nel film Tra le nuvole, ho impa-rato a mie spese i trucchi della so-pravvivenza nei cieli, e soprattuttonegli aeroporti. Air France-Klm miha già concesso la tessera color pla-tino del frequent flyer “a vita”, comeaccade a Clooney con American Air-lines, modesto risarcimento per de-cenni di disagi, ritardi, cancellazio-ni, notti in bianco. Perciò sono ingrado di stilare le mie classifiche per-sonali: i peggiori e i migliori, le com-pagnie da evitare e quelle da cercare.Una piccola compensazione delpasseggero seriale perseguitato daidisagi: accumuliamo così tante mi-

glia da poterci comprare ogni tantoil lusso di un upgrade. Ho sperimen-tato viaggi in tutte le condizioni: dal-le low cost alla classe turistica, dallapremium economy alla business, eperfino qualche volta l’ebbrezza ra-ra della prima classe nelle compa-gnie che ancora la offrono (con auti-sta privato in limousine che ti pren-de alla scaletta e ti porta al volo dicoincidenza). Non è solo lusso, aldiavolo champagne e caviale: pre-vale la ricerca del lettino orizzontaleche ti facilita il sonno e consente diessere più efficiente quando arrivi edevi lavorare subito, dopo dieci oquindici ore di volo.

Nessuno eguaglia per comfort dicabina e qualità di servizio le mie mi-tiche compagnie di Hong Kong e

Singapore, Dubai e Bangkok, Hanoie Jakarta. Anche per le sale d’attesa,se hai il privilegio di accedere a una“lounge” (noi frequent flyer serialientriamo anche se il biglietto è dieconomy), le migliori sono quelle diEmirates a Dubai, Qatar a Doha, Sin-gapore Airlines e Cathay a HongKong. Sull’Atlantico invece la Virgindi Richard Branson ha un servizio trai migliori, Air France offre delle salet-te raffinate dalla business in su. Ali-talia resta la mia favorita per la cuci-na a bordo (alla larga dal cibo madein Usa!), seguita da Air France e daqualche indiana e giapponese.

Il crepuscolo dell’Occidente si ve-de: i nostri aeroporti sempre piùscassati, gli aerei che invecchiano.Estremo Oriente e Golfo Persico so-

Diariodi unfrequent flyer

AFEDERICO RAMPINI

‘‘OrienteLe hostess avvolte

nei loro sari, la cortesiaraffinata, le lounge

accoglienti. E su alcunetratte addiritturaposate d’argento:le linee orientali

restano imbattibili

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Singapore Airlines

Cathay

Dragon Air (Hong Kong)

Thai

Vietnam Airlines

Delta

United

Lufthansa

Swiss

Austrian Airlines

United

Air France

Marriott Hotel

Ferrovie federali Amtrak

Thalys (alta velocità

Parigi-Bruxelles)

Monaco

Amsterdam

Zurigo

Pechino

Singapore

New York JFK

Londra Heathrow

New Delhi

Rio de Janeiro

Chicago

Alitalia

Air France

Virgin

Jet Blues

Delta

no zone dove volare rievoca alcuneemozioni dei tempi andati, quandoi pionieri fra noi venivano serviti coiguanti e le posate d’argento. Lussiassurdi, che poche aziende rimbor-sano perfino ai manager: spesso inclasse turistica chiacchiero con diri-genti d’azienda americani, anni faabilitati alla First Class.

L’America ha i cieli più affollati escomodi. Il volo è un servizio di mas-sa come la metro. Le compagniehanno gli aerei più lerci, il personalepiù anziano e affaticato. Poche ecce-zioni: Virgin, Jet Blue. In compensole americane si rifanno un po’ sullapuntualità, per loro prioritaria. E an-che sul wi-fi a bordo che sta diven-tando essenziale per lavorare: cel’hanno Delta, Virgin, Jet Blue. Evita-

te New York JFK: è l’aeroporto chetratta peggio gli stranieri, con codeda una a tre ore per l’Immigration ela dogana. Tutti gli aeroporti Usahanno l’abitudine vessatoria di im-porvi il ritiro del bagaglio al primoscalo, anche se proseguite con unacoincidenza. Nella lista nera di scali,oltre ai famigerati americani (JFK,Newark, Chicago, Los Angeles-Lax)tra i peggiori del mondo indico i cao-tici New Delhi (primo contatto dellostraniero con la burocrazia indiana)e Rio de Janeiro. Ho imparato adamare gli aeroporti piccoli, anche dicasa nostra: le nano-dimensioni ri-ducono le file. Come hub per coinci-denze, in Europa il mio preferito èMonaco di Baviera, poi Amsterdam,Zurigo, Vienna. Alla larga da Londra-

Heathrow, il grande “buco nero” deivoli perduti.

Abbiamo piccoli segreti, trucchida iniziati. Sappiamo che l’apparen-te proibizionismo delle compagniearabe o indiane cessa non appena leruote dei jet si staccano dalla pista aldecollo, e senti stappare lo champa-gne. Sappiamo che conviene cumu-lare miglia volando su compagniepartner, per accedere a status supe-riori che aprono le porte degli up-grade e di tanti piccoli miglioramen-ti nel servizio. Anche certe carte dicredito, catene aberghiere, compa-gnie ferroviarie incrementano lamontagna di miles. Portiamo solobagaglio a mano. Ci abboniamo alle“corsie veloci” dei controlli di fron-tiera che consentono di sgattaiolare

via superando file mostruose, conun semplice esame biometrico (pu-pille e impronte digitali) a un appa-recchio negli aeroporti americani ofrancesi. Le miglia, che hanno unacircolazione mondiale equivalenteai dollari (qualcuno propone chesiano governate dalla Federal Reser-ve), sono il premio di consolazionedella nostra vita da pacchi postali.Sul mio iPhone, la app che consultopiù spesso è FlightTrackPro: mi dà intempo reale i ritardi di tutti i voli, e laconfigurazione delle cabine per sce-gliermi il posto. Aspetto con ansiaun’ulteriore innovazione tecnologi-ca: la segnalazione dei posti occupa-ti da bimbi che piangeranno ininter-rottamente da Pechino a New York.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

■ 31DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

‘‘OccidenteAerei vecchi e personale

stanco in Europa,cieli affollati e file

interminabili ai controlliin America, dove però

la puntualità è una prioritàe il servizio wi-fi a bordo

sempre più diffuso

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LA DOMENICA■ 32DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

Contrordine, letterati: i due scrittori non si detestavanocome si è sempre creduto. Ottantuno preziosimessaggi privati, scovati in una cantinadi Pragadai nipoti,dimostranoche invece il rapporto tra Thomas e Heinrichera stretto e affettuoso. Anzi, fraterno

L’ineditoLessico famigliare

LUBECCA

Ce li tramandarono comefratelli nemici, quasifratelli-coltelli, dellagrande letteratura tede-

sca contemporanea. Il più giovane epresto più celebre geloso della famadel maggiore. Così guardammo perdecenni a Heinrich e Thomas Mann. Einvece no, documenti privatissimi rie-mersi per caso dal passato ci obbliga-no a riaprire il dossier, a rivedere ana-lisi e giudizi. In un vecchio armadiotarlato, in uno scantinato di Praga, i ni-poti cechi di Heinrich, cioè Jindrich eLudvik, hanno fatto una scoperta ec-cezionale: ottantuno cartoline posta-li, scritte dal premio Nobel Thomas alfratello Heinrich, più grande di quat-tro anni, dal 1901 al 1914 e poi dal 1922al 1928. Documenti straordinari, per-ché ci svelano una dimensione finorasconosciuta del rapporto tra i due.Una relazione fraterna molto più ca-lorosa, intima, affettiva, una premurareciproca, che finora nessuno s’eraimmaginato. Quello che il museoBuddenbrookshaus di Lubecca haesposto è un insieme di documentiinediti incredibili: con le cartoline —che grazie alla veloce posta tedescaerano un po’ le e-mail dell’epoca — ifratelli si tenevano sempre in contat-to. Soprattutto Thomas insisteva pertenere aperto il rapporto con Heinri-ch, autore de Il professor Unrat dalquale fu tratto l’epocale film L’angeloazzurro con Marlene Dietrich.

Per decenni, la critica letteraria e lastoria ce li hanno tramandati comedue grandi menti della cultura, divisiperò da troppi dissensi su punti di fon-

vano una spinta affettiva di Heinrich,cui Thomas rispondeva con fred-dezza. Ora, grazie a quel vecchiobustone riemerso dagli scantinatidi Praga, l’autore di Buddenbrook,La montagna incantatae La mor-te a Venezia, acquista una nuovaluce. Appare un fratello affet-tuoso, insiste con Heinrich perun incontro: «Vengo a Firen-ze, dobbiamo vederci», scri-ve, oppure «Katia sarebbelieta di un tuo sì a un nostroinvito a cena». Quasi vieneda pensare che lo sfondosempre più cupo dellecatastrofi europee, dal-la guerra al nazismo, loavesse addolcito, espinto a gettare lamaschera del pa-triarca inflessibile.Con le cartoline diPraga, Tho-mas Mannappare colsuo volto mi-gliore, quellodi SerenusZeitblom, im-maginario nar-ratore del Dok-tor Faustus. Oquello delle paro-le con cui il grandepoeta unghereseAttila Jozsef avreb-be voluto salutarlo aBudapest, a una con-ferenza letteraria poiproibita dal dittatoreantisemita MiklosHorthy: «Tu, tra tantibianchi, un europeo».

Mannfratelliper iCartoline

do. Illuminati e ostili a ogni tirannideentrambi, Thomas era però il più con-servatore. In politica, come nel priva-to. Thomas non disapprovò la PrimaGuerra mondiale, Heinrich sì. Tho-mas aveva bisogno ossessivo di unruolo di patriarca familiare, Heinrichseguiva gli affetti. Thomas volle resta-re in Germania, e solo all’ultimo mo-mento, per scampare all’orrore nazi-sta, si decise a seguire l’esempio del-l’esilio americano, scelto ben primadal fratello come presa di distanza.

«È una vicenda appassionante,guardi queste cartoline», dice il pro-fessor Hans Wisskirchen, mostrandola raccolta esposta nelle vetrine al pri-mo piano della casa Buddenbrook,resa nota proprio dal romanzo diThomas, che si svolge qui nel sugge-stivo centro storico di Lubecca. Mate-riale d’eccezione, scampato alla bar-barie dei nazisti che dopo l’espatrio diThomas sequestrarono e distrusserotutti gli oggetti personali, scritti com-presi, dei due. Ecco un paesaggio dicampagna romana con due cigni e unponte su un fiumiciattolo. O una car-tolina postale col ritratto di Napoleo-ne, allora in voga. Thomas aveva tan-ta voglia di comunicare col fratelloche scrisse, prima sul retro poi sulfronte, attorno all’immagine dell’Im-peratore. «La cosa eccezionale» con-tinua Wisskirchen, «è che siamo difronte a testi ben diversi dai carteggipur ampi tra i due, già noti da decen-ni. Scrivendo nello stile breve dellecartoline postali, tipo e-mail appun-to, e non in lunghe, formali lettere,Thomas abbandona la preoccupa-zione di mettersi in mostra e darsiun’immagine seria e conformista».

«Ti consiglio di bere spesso yogurt,è buono e fa bene a chi come me può

aver problemi di stomaco», leggiamoin una cartolina da Monaco del 27febbraio 1909. In cui affettuosamen-te suggerisce al fratello persino di be-re caffè decaffeinato. In un’altra loinforma sullo stato della scrittura diAltezza reale, in un’altra ancora loprega di inviargli una copia del ma-noscritto di Tra le razze, mostrandoun’attenzione insolita alle opere let-terarie del fratello. Oppure ironizzasu un critico a loro ostile, «per fortunal’asino stavolta ha almeno fatto cita-zioni». La corrispondenza non a casos’interrompe col 1914, la GrandeGuerra che li divise. Ma poi riprendenell’èra di Weimar.

Vecchie cartoline postali ingiallitedal tempo, le frasi scritte veloci daThomas si leggerebbero ancora per-fettamente, il gotico corsivo è l’osta-colo e non l’inchiostro ormai un po’sbiadito della sua stilografica. «È statauna fortuna enorme, regalataci dal ca-so» racconta ancora il professor Wis-skirchen. I due nipoti di Heinrich vi-vono a Praga da una vita. Quel logorobustone dimenticato in cantina è riu-scito a sopravvivere sotto la polvere,come detto, a minacce e tragedie del-la storia. Dall’occupazione nazista, al-le perquisizioni della Gestapo, fino al-l’implacabile e curiosissima censuradel comunismo. Jindrich e Ludvikhanno capito subito il valore della sco-perta, e hanno negoziato duro. «È sta-ta una trattativa insieme onesta e dif-ficile», ammette Wisskirchen. Il prez-zo pagato è perché i media tedeschihanno ipotizzato un finanziamentodel governo federale. Grazie al qualequelle ottantuno “e-mail del mondodi ieri” da Praga hanno raggiunto pri-ma Lubecca e poi la luce.

I carteggi noti finora documenta-

ANDREA TARQUINI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Macché invidia e gelosiac’eravamo tanto amati

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■ 33DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

Caro Heinrich, sebbene tu non abbia rispo-sto alla mia ultima lettera, sono d’un tale umoreda perdonare tutto e tutti, e ti annuncio che hochiesto al signor Hartungen se ha una stanza li-bera per me. Visto che in questi giorni tutti viag-giano per un paio di settimane, non so cosa faredel mio tempo, e vorrei impiegarlo per curarmi eriposarmi un po’ a Riva, e anche per lavorare. Tusei ancora là? E ci resti fino a maggio? Io qui ho so-lo un appuntamento col dentista, parto subitodopo. Non ho molto da raccontare, ma tutto va ameraviglia, credo che sarò molto loquace. Saluti T.

Lubecca, 2.11.1904presso FR. Boy-Ed

Caro Heinrich,affettuosi saluti dalla patria, dalla città natale,

che è insieme commovente e imbarazzante. ABerlino è andato tutto bene. Katia e sua madre mihanno accompagnato, siamo stati a meraviglia,ospiti di loro parenti, Gimmi mi ha portato allaCasa degli artisti, mi hanno accolto con un ap-plauso. Ho letto passi diFiorenza, e lo farò anchequi. Gli abitanti di Lubecca si annoieranno, mavoglio impressionarli con la storia. Martedì saròdi nuovo a Monaco, quando vieni a trovarci? Midarà molta gioia.

Tuo T.

Monaco, 4 giugno 1908Franz-Joseph-Strasse

Caro Heinrich, grazie per la tua cartolina. Il maestro vuole an-

cora far qualcosa di stupendo, mi sono detto. Quiè terribilmente caldo, nonostante i temporali.Cerco di completare il lavoro, sebbene sia spes-so preda di stanchezza e disperazione. Nei primigiorni non sono riuscito a far nulla — la foto daRoma è giunta, quella da Vienna non ancora. Quiadesso c’è la festa della musica. Domani vado aun matinée, dove saranno eseguiti pezzi di Eh-renberg. Vorremmo anche andare al Kuensl-tertheater (Faust o quel che volete). E quindi citrasferiremo solo dopo il 15. I bambini stanno be-ne. Katia ti saluta di cuore. Ti prego di ricordare aInés di Fontane.

T.

Monaco, 27.2.1909Caro Heinrich,ho dimenticato di scriverti che adesso bevo

sempre yogurt, e mi permetto di consigliare di farlo stesso, se non lo hai ancora provato. Ha unbuon sapore, e aiuta a regolare le funzioni. Chie-di a Hartungen se si può bere tranquillamente ilcaffè decaffeinato che ora è in vendita. L’ho as-saggiato, ha un sapore molto buono, non ho no-tato effetti collaterali e secondo il mio medico èinnocuo. Ma non mi fido al cento per cento di lui.

Di cuore, T.

11.6.1910Caro Heinrich, eccoti un ritaglio

della Frankfurter Zeitung che forsenon hai ancora visto. Meno maleche l’asino almeno ha citato le mieallusioni. Ieri Katia aveva la febbrealta, e mi sono molto preoccupato,ma oggi sta di nuovo bene.

Saluti T.

(Data illeggibile)C. H.,mercoledì 24 mattina parto sen-

za tappe per Firenze, quindi arri-verò il 25 presto. Non ti permetteredi lasciare Firenze proprio mentreio arrivo! Al momento mi sistemeròin un albergo presso la stazione, epoi mi sposterò da madame Hou-

dini. Posso scendere là? Forse riuscirai a rispon-dermi scrivendo una cartolina entro mercoledì.Arrivederci! T.

Monaco, 26.2.1914Polschingstrasse 1

Caro Heinrich,sono stato pregato di avere un tuo autografo

da una persona cui non posso dire di no. Ti pre-go, scrivi il tuo nome su un foglio e spediscimelo.Il tuo romanzo, lo sto leggendo con interesse emeraviglia. Avrà un grande successo, credo. Itempi sono maturi. Mamma sta di nuovo meglio.È in ansia per sua sorella a Lubecca, che soffre ditrombosi, e sembra si stia avvicinando alla fine.

Saluti di cuore, T.

“Prova lo yogurt,a me fa bene”

THOMAS MANN

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I DOCUMENTILe cartolinequi pubblicatesono stateconcessedal museoBuddenbrookshausdi Lubeccain Germania,la città nataledei fratelli Mann

LE IMMAGINII fratelli Mannin una fotografiadel 1902:a sinistra Heinrich(1871-1950)e a destraThomas(1875-1955)Nell’altra pagina,in alto a sinistra,i due fratelliin una litografiadi HerbertSandberg del 1969

Monaco, 10.4.1904Konradstrasse 11

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SpettacoliDa paura

A vent’anni cominciòper gioco a scrivereracconti (qui pubblicati)sulla rivista dell’aziendaelettrica in cui lavoravaPoi dal 1925debuttò alla regia con dieci film privi di sonoro,di cui noveora restauratiIn arrivo in Italia

LA DOMENICA■ 34DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

LA MOSTRAAlfred Hitchcock(1899-1980)nel 1979. In basso,cerchiato di giallo, sul set di The farmer’swife nel 1928Una mostra dedicataal maestro del brividoè in corso al Palazzo Realedi Milanofino al 27 settembre,(catalogo a curadella CinémathequeFrançaise)

primo, The Pleasure Garden, è di produzione tedesca. Girato traMonaco, Genova e Lago di Como, tra mille peripezie anche eco-nomiche, inaugura la complicità che durerà una vita con Alma Re-ville, sua assistente e futura moglie. L’ultimo, Blackmail, è doppio:muto e sonoro, il primo sonoro made in England, girato quasi con-temporaneamente, sempre da Hitchcock, che anticipa nellarealtà del set la trovata di Cantando sotto la pioggia. Fa infatti dop-piare Anny Ondra, che parla inglese come Zsa Zsa Gabor, da un’at-trice nascosta dietro le quinte mentre lei articola le frasi.

La riscoperta del primo Hitchcock non è solo curiosità archeo-logica: è un tassello finora mancante nella conoscenza di un’inte-ra cinematografia, quella britannica anni Venti e del suo maestroin fasce, anticipatore, poco più che ventenne, dell’occhio voyeurdi Finestra sul cortile fin dalla prima sequenza dell’opera prima,The Pleasure Garden, dove un vecchio satiro si fa sorprenderementre con il binocolo esplora le gambe delle girls in scena. Già, ilcosiddetto Hitch Touch: inaugurazione d’un cinema in cui allospettatore spetta «la poltrona migliore». È l’imposizione, malignae coinvolgente, d’una visione in soggettiva, cui l’autore ci obbligafin dai suoi raccontini, pubblicati nella pagina accanto, Gas e TheWoman’s Part, scritti a vent’anni su The Henley Telegraph — pe-riodico aziendale degli impiegati della Henley Company, dove siconsumava in lavoretti secondari prima di diventare regista —mini-soggetti pieni di suspense, con svelamento umoristico fina-le. Fin da allora, due esercizi di stile. E una sola, beffarda filosofia:«Avete visto tutto quel che la cinepresa vi ha fatto vedere. Dovetecrederci. Perché la cinepresa, come ben sapete, non può mentire».

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Muto, lo è sempre stato. Non solo per le frequentiostilità verso la musica, grande intrusa del cine-ma. Psycho, oggi impensabile senza il suono diBernard Hermann, doveva essere, per il regista,muto di note. Solo immagini: partitura visiva.La doccia, ma pure altre celebri sequenze —

l’aereo che assilla Cary Grant in Intrigo internazionale, gli appo-stamenti e assalti degli Uccelli, Gregory Peck con il bicchiere di lat-te lucente in Io ti salverò —, sono diventate paradigmi dello sguar-do. Il suono, se c’è, non si sente: si “vede”. Perché Alfred Hitchcock,nato cinematograficamente con il muto, ha sin dagli esordi con-cepito il cinema come un fenomeno emotivo prima che narrativo:l’azione vissuta, anziché illustrata.

Il cinema muto degli esordi in Gran Bretagna riaffiora adesso dicolpo, esplosivo e rivelatore, postuma chiavetta di volta del mae-stro del thriller: è un pacchetto di nove titoli, realizzati in quattroanni, tra il 1925 e il 1929, restaurati dal British Film Institut, con ilripristino di sequenze perdute e dei viraggi d’epoca, in occasionedelle Olimpiadi di Londra, ora in tour negli Usa, presto alla Cine-teca di Bologna. Aggiunti dall’Unesco nel registro della Memoriadel mondo, in quanto «opere tra le più belle del cinema muto bri-tannico e abbozzi dell’Hitchcock futuro», i nove titoli (più il di-sperso The Mountain Eagle) sono, negli anni Venti, l’altra facciadel made in England: alcuni già conosciuti — grazie a preziosi fe-stival cinefili quali il Bergamo Film Meeting — come The Lodger,terza regia, già con il tormentone dell’innocente sospettato di de-litto. I primi sei escono tutti nello stesso anno (1927) e valgono aHitchcock, allora ventiseienne, l’appellativo di Young Genius. Il

Hitchcock

E lasciò subitosenzaparole

MARIO SERENELLINI

muto

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■ 35DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

ALFRED HITCHCOCK

Non s’era mai addentrata, prima, in quell’angolo di Parigi.Era quella Montmartre? Quel luogo orribile dove sul fardella notte s’aggira il pericolo, dove le anime innocenti

periscono senza preavviso, dove la fatalità tiene di mira gliimprudenti, dove i teppisti fan festa. Avanzava, guardinga,

all’ombra del gran muro, gettando dietro di sé occhiate furtive,temendo la minaccia nascosta, forse già alle calcagna.

Di colpo, si butta in una stradina, senza nemmeno saperedove conduce... a tastoni nella notte d’inchiostro, con il

pensiero fisso di scampare all’inseguitore... va avanti... oh,quando sarà tutto finito?... Poi vede ritagliarsi nell’oscurità

una porta illuminata... qui... ovunque sia, dice a se stessa.La porta era pochi gradini in basso... Gradini consunti che

si son messi a scricchiolare quando ha cominciato ascendere... E lì, rabbrividendo, ha sentito le risate avvinazzate:

erano di certo... oh, no, questo no. Tutto, ma questo no!Giunta all’ultimo scalino, scopre una bettola puzzolente,

intasata di relitti umani, un tempo uomini e donne, in pienaorgia... Anch’essi l’intercettano subito, visione di purezza

in preda al terrore. Una mezza dozzina di uominisi precipitano su di lei, incitati dalle urla degli altri.

L’han presa. Lei grida. Un vago pensiero le attraversa lamente — avrebbe fatto meglio a lasciarsi raggiungere dal suo

inseguitore — mentre la trascinano brutalmente per la bettola.La sua sorte è stata decisa dalla banda: senza proroghe.

Si sarebbero spartiti tutto quel che aveva su di sé... e leistessa... E allora? Non era il cuore di Montmartre? Lei dovevasparire: un bel boccone per i topi. L’hanno legata e sospintalungo un oscuro passaggio, hanno agganciato una scala a

strapiombo sul fiume. «I topi d’acqua faranno festa», ridono.E poi... dondolano il suo corpo legato prima di buttarlo nel

vortice d’acqua nera. Lei affonda, affonda, affonda. Avverte solouna sensazione di soffocamento... È la morte... E poi...

«Finito, signora», è la voce del dentista: «Cinque scellini, grazie».

Il ruolo della donnaRoy Fleming aveva visto tutto. Aveva visto sua moglie farsi

trattare malamente da uno che era solo un maniaco.Sua moglie, che nemmeno un’ora fa l’aveva baciato

indugiando teneramente sulla culla delicata dove dormivail centro del loro universo. Nemmeno un’ora fa. E adesso la

vedeva, oggetto alla mercè dello sprezzo d’un altro: giocattoloscalciato via dalla passione bestiale d’un indegno.

Lei si drizzò sulle ginocchia, aprì le braccia gentili,rivolgendo una preghiera appassionata all’uomo che l’aveva

umiliata: «Arnold, ma non capisci? Tu non l’hai mai veramenteamata. Non è stata che un capriccio passeggero: una follia, chesvanirà. Sei tu che amo. Pensa a quei giorni a Parigi. Ti ricordi,

Arnold, quando siamo partiti insieme, tu e io, abbiamodimenticato tutto?». L’uomo attraversò la stanza, andò adappoggiarsi al tavolo a poca distanza da dove se ne stava

rincantucciata, squadrandola con uno sguardo cui lei cercòdi sottrarsi. «No — disse con voce amara — , non ho mai

dimenticato». Sempre carponi, gli si avvicinò e posò una manotremante sul suo ginocchio: «Arnold, ma non capisci? Devo

lasciare immediatamente l’Inghilterra. Devo andare anascondermi da qualche parte: in qualsiasi posto, ma

lontanissimo da qui. L’ho uccisa, per te, Arnold. L’ho uccisaperché ti aveva sottratto a me. Diranno che è un assassinio: ma

non importa, se tu vieni via con me. In un altro Paese,ripartiremo da zero: insieme, tu e io». Roy Fleming vide e sentì

tutto. Questa assassina prostrata era la donna che avevagiurato di amare e onorare, fino a che morte non li separi. MaRoy restò immobile. Era inflessibile? O sopraffatto dall’orroredella scena? S’era appena reso conto della propria impotenza?

L’uomo che lei chiamava Arnold la sollevò di colpo,attirandola a sé in uno slancio di passione. «C’è qualcosa neituoi occhi — disse con voce feroce — che farebbe fuggire lamaggior parte degli uomini. Questo qualcosa è qua, adesso:

è uno dei motivi per cui ti desidero. Hai ragione, Winnie.Sono pronto. Andremo a Ostenda con il primo battello:

e lì cercheremo dove nasconderci».Lei si raggomitolò su di lui, le loro labbra s’unirono

in un lungo bacio rotto dai singhiozzi. E Roy Flemingcontinuava a non rivelarsi: né la mano alzata per difenderel’onore della sua sposa, nè una parola d’accusa o il minimo

cenno di vendetta contro l’uomo che gli aveva rubato l’amoredella moglie. Forse non gliene importava nulla? No, questo no,

ma semplicemente — non l’avete capito? — era seduto in seconda fila nel palco!

Dai numeri 1 e 4 di The Henley Telegraph,Londra, giugno e settembre 1919

(Traduzione di Mario Serenellini )

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BLACKMAIL (1929)Il regista e Anny Ondra sul setde Il ricatto, girato anche in sonoro

THE FARMER’S WIFE (1928)Ancora Lillian Hall-Davies è la mogliedel fattore con Jameson Thomas

Il cinema sonoro ha una gamma di temi più ampia ma un campo d’attrazione più limitatoQuel che attira l’orecchio è locale, quel che attira l’occhio è universale‘‘

‘‘I suoi primi soggetti

Anestesia

DOWNHILL (1927)Hannah Jones e Isabel Jeans nel filmche in italiano fu intitolato Il declino

THE PLEASURE GARDEN (1925)C’è un guardone nel suo primo film:lo ritroveremo ne La finestra sul cortile

CHAMPAGNE (1928)Betty Balfour protagonista del filmche qui uscì col titolo Tabarin di lusso

THE LODGER (1927)Elisabeth Allan in una scena del primovero successo (in italiano Il pensionante)

THE MANXMAN (1929)Anny Ondra, la prima passione biondadi Hitch, ne L’isola del peccato

EASY VIRTUE (1927)La fatale Isabel Jeans con Robin Irvinein Virtù facile

THE RING (1927)Tradotto in Vinci per me! con LillianHall-Davies e Carl Brisson

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LA DOMENICA■ 36DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

“Non è mai troppo presto”, bisognerebbe dire oggi ribaltando l’assuntodel maestro Manzi. Startup, app ma anche invenzioni per combattere il cancro: è la risorsa della creatività dei più piccoli. Né geni né alienati,solo ben indirizzati

NextNativi digitali

RICCARDO LUNA

Se in questi giorni d’estate faticate alevare il telefonino o il tablet dallamani dei vostri bambini, e sietepreoccupati che diventino troppodipendenti dalla tecnologia, leggetequesta storia. Sembra una favola,ma è successo veramente. All’iniziodi luglio, l’otto per la precisione, aRoncade, provincia di Treviso a die-ci minuti da Venezia. Se alzi lo sguar-do, Venezia la vedi benissimo. Quic’è H-Farm, una fabbrica di startup,ovvero nuove imprese tecnologi-che. Da fuori in realtà vedi solo prativerdissimi e tanti casali agricoli. Madentro i casali dove una volta c’era-no grano e latte, ci sono computer eragazzi. L’8 luglio le porte di questoluogo così speciale si sono aperteper il campo estivo di venticinquebambini di età diversa: dai 5 ai 12anni. Obiettivo dichiarato: far fare

loro una app. Obiettivo laterale: farcapire a noi adulti come la creativitàdei più piccoli possa ricevere unaspinta incredibile dalle nuove tec-nologie. Il progetto era promosso dadue ragazze che a questo argomen-to stanno dedicando tutte sé stesse:Elena Favilli e Francesca Cavallo.Un paio di anni fa hanno lasciato l’I-talia e si sono insediate a San Franci-sco per far crescere la loro Timbuk-tu, una piattaforma per iPad cheproduce un giornale per bambini.

Me se vi capiterà di scaricare un nu-mero di Timbuktu vedrete che l’as-sunto di Elena e Francesca non è fa-re una app perbambini, ma fare unaapp con i bambini. Tutto un altromondo. Il diario di quei cinque gior-ni in Veneto è un piccolo capolavo-ro di pedagogia che racconta passodopo passo come si accende la crea-tività dei più piccoli, di come ancheloro all’inizio seguano percorsi con-venzionali, ma poi, se messi sullastrada giusta, inizino a volare. Lastrada giusta è quella che porta allaLuna, non solo metaforicamente.Infatti il tema assegnato era la scuo-la dei sogni e il progetto è decollatoquando si è deciso che quella scuolasarebbe stata tra le stelle. La app “lascuola dei sogni” sarà davvero sullostore di Apple alla fine di agosto, maquello che conta davvero, diconoElena e Francesca, è il senso di que-

sto esperimento: «È stato il lavoropiù emozionante che abbiamo maifatto, è la prima volta che applichia-mo in concreto per un periodo cosìprolungato i principi di cui parliamosempre e cioè che l’iPad non è unostrumento di alienazione, ma anzidi ri-scoperta e ri-appropriazionedel mondo; e che i bambini sono ca-paci di creare oggetti complessi emeravigliosi se lasciati liberi...».

Questa piccola storia è tutt’altroche isolata. Sempre più spesso nelmondo viene fuori un bambino cheha sviluppato una app e le loro storieogni volta ci lasciano a bocca aperta.Ma davvero? Che genio sarà... Inve-ce di solito non si tratta di un genio:le app infatti sono parte di un feno-meno molto più grande. Quello del-la esplosione sempre più precocedella creatività e del talento. Per ca-pirne la portata facciamo un rapido

Tanmay Bakshi, 9 anni, frequentaa Brampton la Great Lakes Public School:

ha messo a punto e pubblicato un’applicazioneche aiuta gli studenti a imparare le tabelline

L’approvazione in App Store ha fatto clamore a scuola e piace a tutti i suoi coetanei

L’applicazione Bakshi è arrivatain iTunes il giorno di San Valentino,

si chiama tTablesProgettata da un bambino per i bambini,

presenta domande di moltiplicazione in base al livello di conoscenza

Da notare che la famiglia di Bakshi è emigratain Canada nel 2004. Fortemente influenzato da suopadre, programmatore di computer, matematico

e scienziato, Bakshi unisce genio e talentoSono sempre di più i ragazzini impegnati in questo

ambito e il loro livello di capacità e conoscenzanon spaventa più. Quella di Bakshi è una storia

a lieto fine, di esempio a tutti i bambini che vogliano accostarsi al mondo delle applicazioni

SVILUPPATORI

I bambini fino a 14 anniche fanno acquistisu Internet

2,3 milioni

Bambini fino a 14 anniche frequentanoi social network

54,4%

Oltre la metàdei bambini da 3 a 5 anniutilizzano il pc

52,3%

Un gioco da ragazziIl futuro?

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■ 37DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

LA SCUOLA SPAZIALE

IL METODOI bambini sono stati divisi in gruppi, ciascuno doveva occuparsi di un aspettodella costruzione della app (design, illustrazione, suono, video)L’iPad è l’approdo di un processo creativo basato sugli spunti offerti dal contesto naturale:foglie, sassi, colori, scope, erba, carta, spaghi, eccetera

IL RISULTATOLa Scuola Luna è l’app realizzata. I bambini l’hanno immaginatadotandola di un parcheggio per i missili con i quali devono arrivare ogni mattina, una stanza per le bidelle con lunghe scope da usare in volo,un’aula con una finestra dalla quale calarsi sulla Terra ogni tanto per fare ricreazione, un salotto spaziale con le sedie di gelatina e le pareti ricoperte di erba spaziale per non farsi male rimbalzando e una palestra in cui insegnare ai rinoceronti a danzare approfittando dell’assenza di gravità

passo indietro. Guardiamo gli ulti-mi due secoli. Di solito siamo porta-ti a pensare che i grandi inventori o igrandi scienziati abbiano raggiuntoil loro traguardo più importante daanziani. Invece è vero esattamente ilcontrario. Lo hanno fatto da giova-ni. Albert Einstein, per esempio, chetutti ricordano con la criniera bian-ca, ha pubblicato i suoi quattro lavo-ri fondamentali sulla fisica a 24 anni.Prima di lui i fratelli Wright e i fratel-li Lumiere hanno “inventato” il voloe il cinema quando erano trentenni.Più o meno l’età in cui Rita Levi

Montalcini scoprì il fattore nervosodi crescita che le varrà il Nobel. Altritempi, si dirà, tempi in cui si morivaprima e a trent’anni non eri così gio-vane. E invece via via che la vita me-dia si allungava, l’età delle invenzio-ni si abbassava. Erano ventenni i pa-dri di Internet quando lavoravanoalla rete e al web. Erano ancora piùgiovani i fondatori di Google Larry

Page e Sergey Brin. Ne aveva dician-nove Mark Zuckerberg quando nel-la sua cameretta universitaria lanciòFacebook. E da qui agli adolescentiche fanno app milionarie il passo èbrevissimo.

Tutto ciò sta accadendo per duemotivi fondamentali. Il primo è ilfatto che oggi grazie alla rete un ra-gazzino ha accesso a una quantità di

informazioni inimmaginabile ventianni fa. Il secondo è che la tecnolo-gia sta diventando sempre più faci-le. Ci sono tanti modi di dirlo, manessuno è efficace come la storia diJack Andraka che lo scorso anno havinto la più grande competizionemondiale per giovani scienziati, l’I-SEF. Jack ha vinto non perché ha fat-to una app o un bel sito. Jack ha vin-to perché a quindici anni aveva in-ventato uno sticker per individuareprima, con più efficacia e con costiminori, il tumore al pancreas. Unragazzino di quindici anni! Al qualeera morto lo zio per un tumore alpancreas e che si era messo in rete acercare di capire se c’era un modoper salvarlo.

Davanti alla potenza incom-mensurabile della storia di Jack An-draka tutte le altre impallidiscono,anche quelle più meritevoli comequella di Cesare Cacitti che a tredi-

ci anni insegna agli studenti delmaster di Architettura digitale diVenezia come si costruisce unastampante 3D. E si potrebbe anda-re avanti a lungo. Dire per esempiodel debutto imminente di TabulaFabula, una piattaforma che portail metodo Montessori sul tablet«perché oggi Maria Montessoriuserebbe il digitale», dicono i pro-motori. Ma tutto in fondo è rac-chiuso nel ribaltamento di un para-digma che noi italiani conosciamobene: «Non è mai troppo tardi» cidiceva il maestro Manzi in tv mezzosecolo fa cercando di insegnare l’i-taliano a un popolo in gran parte dianalfabeti. «Non è mai troppo pre-sto», dovremmo dirci oggi, per met-tere i ragazzi e i bambini in condi-zione di progettare il futuro. Conqualche accortezza, certo. Ma sen-za paura.

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Jack Andraka a 15 anni ha vintol'ISEF 2012 per uno sticker che consente di individuare

prima e meglio il tumore al pancreas

Ionut Bodisteanu è un teenagerromeno che ha inventato

un’auto che si guida da solaCosto: 4mila dollari

SCIENZIATI

Ha solo 13 anni, Cesare Cacittie glieli dai tutti, ma al Master

di secondo livellodi Iuav in Architettura digitale,

in pochi gli stanno dietroHa cominciato ad interessarsi

di elettronicaquando frequentava

le scuole elementari ed è statoinvitato a corsi post-universitari

di secondo livello perché sta finendo di costruire

una stampante 3DLui che frequenta la terza media

MAKERS

IL CAMPTimbuktu (una piattaforma per iPad che produce un giornaleper bambini) ha organizzatoun camp di cinque giorni(dalle 9.30 alle 15.30)

L’OBIETTIVORealizzare una appimmaginandola loro scuola ideale

Gli undicenni italianisono i più internauti:il 78% di loro naviga

11 anni

Le app dedicateai bambini in venditanell’Apple store

500mila

I bambini tra 6 e 8 anniche scaricano musicafilm e giochi dal web

42,7%

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LA DOMENICA■ 38DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

I saporiAnticiclonici

fredda

LICIA GRANELLO

Maledetto Caronte. Il caldofiacca e svuota, come uncrudele aspiratore dienergie. Se tutto diventafaticoso, figurarsi cucina-re. La sola idea di avvici-

narsi ai fornelli triplica la sensazione di esse-re sotto un enorme asciugacapelli. Eppure,mangiar bisogna. E poi chi l’ha detto che il cal-do fa passar la fame?

I piatti freddi sono i migliori amici dell’e-state in cucina. Ma c’è freddo e freddo. L’in-salata di pasta — e in scia quelle di riso, orzo,farro su su fino a cous cous e tabulè — è sicu-ramente fredda, ma parte da una matrice cal-da: bisogna cuocere il carboidrato di turno,scolarlo, farlo raffreddare (possibilmentenon ripassandolo nell’acqua fredda perchégli si toglie sapore, ma allargandolo sulla te-glia e spruzzandolo con acqua e olio). Nelfrattempo, la pressione finisce sotto i tacchi esi perde il piacere di preparare la cena. Stessodiscorso per vitel tonné, torte salate e bru-schette.

Una pilatesca via di mezzo prevede l’utiliz-zo di precotti, surgelati e conserve varie, dif-fusissime scorciatoie che permettono di con-centrarsi esclusivamente su assemblaggi e ri-finiture. In compenso, la qualità della mate-ria prima risulta spesso insoddisfacente —mai provato le verdure già pronte per confe-zionare l’insalata russa? — e i costi di prepa-razione visibilmente lievitati.

L’altra base per la verdura fredda soffre diun obbligatorio peccato originario, visto chepane e affini vengono sì cotti in forno, maquasi mai tra le mura di casa (anche se l’auto-produzione è in crescita esponenziale): pa-gnotte fresche e rafferme, e poi grissini, fo-cacce, crackers, piadine, friselle (il pane deimarinai) sono supporti meravigliosi per ognitipo di companatico a disposizione, sia in ver-sione salata che virata al dolce.

I seguaci della nuova cucina, invece, si ba-loccano con la magìe dell’azoto liquido, chegrazie al suo bassissimo punto di ebollizione(-195°) consente di «cuocere» i cibi (creme,zuppette, praline) per semplice, rapidissimaimmersione. Più a portata di mano, ma net-tamente più lenta (almeno tre ore di riposo)la marinatura compiuta con una miscela inparti uguali di sale e zucchero, che solidifica iltuorlo dell’uovo lasciandolo cremoso all’in-terno, per farne insalate goduriose e perfino— prolungando il tempo a una notte intera —per creare della pasta alternativa (e a prova diceliaci) da condire a crudo.

Ma la cucina fredda è soprattutto figlia diingredienti felicemente modulabili tra di lo-ro grazie a palato e fantasia, a partire daltrionfo delle verdure di stagione: pomodori,peperoni, ravanelli, zucchine, da tagliuzzare,ritagliare, svuotare per poi riempire con ogni-bendiddio. Una volta scelti ingredienti emenù, andate sul sito del Movimento del Tu-rismo del Vino e scegliete il posto giusto dovebrindare adeguatamente la notte del 10 ago-sto. Quest’anno, Calici di Stelle festeggia il bi-centenario della nascita di Giuseppe Verdi:un’insalata di pesche, noci e caprino, un bic-chiere di Cerasuolo e le note della Traviata vimetteranno in pace col mondo. E al diavoloCaronte.

Cucinarea fuocospento

Ètempo di insalate, macedonie, panzanelle e verdure di stagione da combinare con fantasia Perché, quando il sole picchia così forte,l’istinto è quello di girare alla larga dai fornelli.O starci il minimo indispensabile

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Tavola

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■ 39DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

Gli indirizziTORINOKRABONPIZZA E NON SOLOCorso Einaudi 25/CTel. 011-0375761

ADRO (BS)DISPENSA PANI & VINIVia Principe Umberto 23Località TorbiatoTel. 030-7450757

ARZIGNANO (VI)DAMINI MACELLERIA & AFFINIVia Generale Cadorna 31Tel. 0444-452914

FERRARABOTTEGA DEL CIOCCOLATORIZZATIVia San Romano 25Tel. 0532-733620

RIVISONDOLI (AQ)VIA LATTEAVia Fonticella 71Località RivisondoliTel. 0864-642527

MATERASAPORI DEI SASSIVia Bruno Buozzi 9Tel. 0835-314262

ROMA LABORATORIODELL’OFFICINA BIOLOGICABorgo Pio 34Tel. 06-6833897

VICO EQUENSE (NA)LA TRADIZIONEVia Bosco 969Tel. 081-8028437

GALLIPOLI (LE)MARUZZELLA PESCHERIALungomare ColomboLocalità GallipoliTel. 0833-208900

SASSARIANTICA SALUMERIAMANGATIAVia Università 68Tel. 079-234710

LA RICETTA

Sciogliere 40 gr di sale in 500 gr di acqua e mettervi la carne a marinare per 20'Porre aglio, cipolla e i lime in 500 gr di acquae 5 gr di sale per 12h. Alla fine filtrare, ottenendo un liquido aromatico. Montare100 gr di albume, verso la fine versare a filo

la colatura, conservare in freezer. Montare gli altri 100 gr di albume, aggiungere succo

di limone e sale. Dividere a metà, addizionandoa una parte il succo di lampone. Dopo mezz'ora,

eliminare la schiuma in superficie. Versare l’olio in un tegame, portare a 80° e con l'ausilio di una siringa far cadere delle gocce di albume bianche e rosa. Dopo 5’ scolare. Tagliare la carne a fette sottili,condire con olio, pepe e liquido aromatico. Disporle nel piatto, con le gocce d'albume e un cucchiaio di albume ghiacciato alla colatura

Aurora Mazzucchelli è la chef del ristorante Marconi di Sasso Marconi, Bologna, dove la passione per il territorioviene trasformata in piatti gustosie puliti, come la ricetta pensataper i lettori di Repubblica

Già la parola “piatto” non èesaltante, con quel risuonaredi banalità e mancanza di ri-

lievo; l’aggettivo “freddo” certo nonla accende. Ma non bisogna fermar-si alla superficie: proprio la torridaestate ci dovrebbe convincere che, seassociamo immagini e fantastiche-rie positive al caldo (gli abbracci “ca-lorosi”, gli amori “focosi” eccetera), èperché la lingua si è assestata su valo-ri ed emozioni che risalgono all’epo-ca in cui ottenere riscaldamento delcorpo e cottura dei cibi era un lusso,una fatica o le due cose assieme.

Oggi, invece, è diverso. I piattifreddi sono diventati così il rimedioalla necessità di alimentarsi anchenella stagione in cui i tg assoldanoesperti per ripeterci, con martellanteinsistenza, che non bisogna assume-re brodi bollenti e baroli. Il pregiudi-zio contro il genere del piatto freddoè stato oramai superato anche dagourmet e gourmand. Ma non è cheil primo dei luoghi comuni. Un altroè che i cibi freddi non richiedano pre-parazioni e perizie culinarie. Ah queiveloci passaggi di vaschette, queicarpacci svogliati, quelle insalate diriso imbronciate... Non si rimanda,essendo agosto, al celebre saggio incui Claude Lévi-Strauss ha asseritoche il crudo praticamente non esiste.Basterà sottolineare che, proprio inquanto crudo, richiede una selezio-ne e una preparazione ancor più ac-curate del cotto. Chi non se ne dà perinteso è come quelli che pensano diessere convincenti dichiarando «tiparlo col cuore in mano, senza artifi-zi». Il crudo richiede mediazioni piùsapienti e l’artificio, in cucina comein letteratura, non si aggira.

L’ultima insidia riguarda alimenticome il glorioso binomio salame eformaggio: sono crudi, ma non certoindicati per mantenersi freschi. È «ilparadosso della vodka»: la si beveghiacciata e dunque non si fa piùmente locale al fatto che si tratti del li-quore più diffuso nelle non afoseRussie. Nel deserto si beve, notoria-mente e saggiamente, tè.

Più veloce?State freschi

GazpachoLa zuppetta

fredda andalusa è un inno

al Mediterraneo:mollica di pane, aceto,

olio, aglio, peperoni, pomodori, cipolla

e cetriolo, tutto frullato

PinzimonioOlive verdi, acciughe,

tuorlo d’uovo e panna, frullati e montati a filo

con extravergine di lago. Accanto

verdure crude

CarpaccioLa ricetta

di Giuseppe Ciprianivuole del controfiletto

tagliato sottilissimoSopra, maionese

lavorata con latte,salsa Worcester

e limone

PanzanellaRecupero di pane

toscano (senza sale)ammollato in acqua e aceto, sbriciolato

e mescolato con cipolla rossa,

olio, pomodoro, cetriolo e basilico

PomodoriripieniRamati maturi tagliati a metà,

svuotati e riempiticon polpa senza semi,

tonno, capperi,prezzemolo

e poca maionese

A tavola

STEFANO BARTEZZAGHI

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GuacamoleNel messicano mole(salsa) d’aguacate(avocado), la polpa va pestata con limecipolla, peperoncinoe coriandoloServire con sfogliecroccanti di mais

Barchetted’indiviaNell’incavo delle fogliepiù piccole, crema di gorgonzolalavorato con ricotta, noci sbriciolate, erba cipollina e un poco di yogurt

Tiramisùdi fruttaSavoiardi inzuppatinel succo (mirtillo, arancia...) e disposti in tegliaStrati successivi di frutta e mascarpone alla vaniglia

Aringain insalataInsalata di aringhe del tipo Bismarck, conservatesott’aceto,con fettine di cetrioli patate novellee peperoni a cubetti

CevicheIl pesce crudo in chiave peruviana:tagliato a fettine e marinato in una salsa di lime,peperoncino fresco e sale. A piacere,sedano e coriandolo

Peschee cioccolatoAperte, private del nocciolo e di parte della polpa, unita ad amarettisbriciolati, fondentegrattugiato, rum Poi zucchero a velo

Ingredienti per 4 persone

300 gr di polpa di capriolo1 l di acqua minerale45 gr di sale fino1 cipolla bianca,1 spicchio d'aglio2 lime spremuti200 gr di albume20 gr di colatura alici1 grano di pepe di Tasmania3 bicchieri di olio extravergine5 gr di succo di lampone3 gr di succo di limone

Ceviche di capriolo

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LA DOMENICA■ 40DOMENICA 4 AGOSTO 2013

la Repubblica

Col sassofono è partito da Scampia “dove ringraziavo Dio di abitare nelle case popolari”. James Brown

gli ha regalato le suescarpe, Tina Turner lo ha iniziatoal buddismo, CarlosSantana all’induismo: “ Ora il suono nasce dentro di me

come fosse un mantra”E il premio Oscar Jonathan Demme gli ha dedicato un documentario:“Dice che sono l’erede di Lennon”

NAPOLI

«Mi guardacon que-gli occhifiammeg-

gianti da predicatore rhythm & bluese mi punta il dito: “Ragazzo, tu stai fis-sando le mie scarpe. Sicuramente tipiacciono”. Ero allucinato. Volevo di-re sì, ma non riuscivo nemmeno aparlare. Allora James Brown chiamala sua stiratrice storica, quella che loaccompagnava sempre in tournée e ledice “incartale e donagliele”. Eranobellissime, di vernice nera con la pa-rola Soul scritta in bianco. A furia diportarle le ho demolite. È rimasta so-lo la scritta. Avevo pensato di incollar-la su un altro paio, ma sarebbe statoun po’ esagerato».

Enzo Avitabile, 58 anni, mi spia esorride. Sa di avermi colpito al cuorecol racconto del suo primo incontrocon Mr. Dynamite, che lo aveva scel-to come supporter, ma non lo avevamai voluto ricevere. «Quella sera peròa Pordenone il concerto cominciò inritardo per il maltempo e fu costrettoa sentirmi suonare. Finito lo spetta-colo il padrino del soul disse a quellidel suo staff, “Bring me the baby withthe saxophone”, portatemi qui ilbambino col sax. Io non ero proprioun bambino, ma visto da un gigantecome lui, quella distanza ci stava tut-ta. Quella serata ha cambiato la miavita. Lui iniziò con frasi come “il tuo

cuore è il mio cuore, e il mio cuore è iltuo cuore” e fin qui è roba da Baci Pe-rugina. Ma poi improvvisamente midisse “sei bravo, ma adesso torna a ca-sa e ricomincia dalla tua terra”. Ementre ero sulla porta ha aggiunto“però ricordati che io sono l’uomopiù veloce del mondo. Più veloce dime c’è solo Dio”. Una frase sibillina,per anni mi sono chiesto che cosa vo-lesse dire. In realtà era un invito adandare avanti, a fare la mia corsa. Ecosì ho fatto. Sono tornato a Maria-nella, che oggi si chiama Scampia,perché è lì che il mio immaginariomusicale è nato. Tra i responsori de-vozionali di sant’Alfonso de’ Liguori eil jukebox del bar. Ce n’era uno solo intutto il quartiere e io mi ubriacavo diquella musica e cercavo di rifarla. Ti-na Turner, Carlos Santana, RandyCrowford, John McLaughlin, AfrikaBambaataa. Quella lingua che noncapivo mi era diventata più famiglia-re del napoletano».

Neanche io da ragazzino sapevouna parola di inglese, eppure parlavola lingua di Little Richard e cantavoLong Tall Sally, Tutti Frutti, JennyJenny. La musica che ascoltavo da unjukebox di piazza Carlo III a Napoli, inun bar pieno di ragazzi che ballavanoda soli. «Proprio come a Marianella,solo coppie di uomini. Allora la tradi-zione popolare non mi interessava e alconservatorio studiavo composizio-ne. Tutta un’altra musica. La verità èche dopo l’incontro con James Brownho cominciato a ripensare il mio rap-porto con il dialetto. A viverlo musical-mente. Mi chiedevo: ma perché in na-poletano non posso scrivere Vivonosott’a terra a Bucarest, perché si può so-lo direA Marechiaro ce sta na fenesta?».

Anche la più gloriosa delle tradizio-ni può diventare una gabbia. Una spe-cie di lingua morta, una melodia po-stuma. Invece quando in Black Taran-tella — Premio Tenco 2012 — canti AMaronna cumparette in Africacon Da-vid Crosby, o Gerardo nuvola ‘e poverecon Francesco Guccini che contro-canta in modenese, si capisce che haicompiuto una discesa nel cuore dellalingua e hai fatto scintillare il fuoco sa-cro dell’ethnos che spesso viene ovat-tato dall’oleografia canora della picco-la borghesia.

«E qui è stato decisivo l’incontro conAndrea Aragosa, il mio amico, produt-tore e manager. Mi ha sempre spinto afare ricerca. A riscoprire quanta mo-

dernità ci fosse in una salmodia reli-giosa, in quei rosari che le donne into-navano come dei mantra. In quellebotti percosse con le falci dai bottari diPortico di Caserta che facevano rivive-re il ritmo orgiastico dei coribanti — isacerdoti della grande madre Cibele —lo tiravano letteralmente fuori dalleprofondità del tempo. Ma forse senzaTina Turner non avrei capito fino infondo l’importanza di questa ricerca,che è prima di tutto interiore». È statalei a farti avvertire il suono del silenzio?«Sì, perché Tina mi ha convertito albuddismo. La prima volta che l’ho in-contrata fu nel 1983 a Riva del Garda,dove lei era ospite della EMI e io ero lìper ricevere la Vela d’oro per Megliosoul, il mio primo disco. Si andava inonda su Rai Uno. Dopo l’esibizione diTina lo stato maggiore della casa di-scografica la accompagnò al ristoran-te. Lei notò che a tavola c’era un postovuoto. Le dissero che un loro artista

emergente stava per ricevere un pre-mio e poi li avrebbe raggiunti più tardi.Al che la regina del R&B, da gran signo-ra qual è, disse “allora lo aspettiamo ecominceremo a mangiare tutti insie-me”. A quel punto si alzarono in cin-que per venirmi a prendere. E poi vol-le che mi sedessi accanto a lei. Dopoaver parlato tutta la sera mi rivelò di es-sere diventata buddista. E mi convinsea iniziare questo percorso con lei. Finoad allora avevo sempre sperimentato ilsuono, ma mai il silenzio. Mi sono resoconto che il silenzio si espandeva e sisviluppava dentro di me come unmantra. Anche più della musica». Il si-lenzio di Enzo Avitabile è quello che unpoeta come Leopardi chiama profon-dissima quiete, quel bagliore di infini-to che dorme dimenticato in ciascunodi noi. E adesso sei ancora buddista?«No, ho avuto anche una fase induistae i miei iniziatori sono stati Carlos San-tana e sua moglie, con John McLaugline il guru Sri Chinmoy, che hanno allar-gato i confini della mia mente e l’han-no aperta alla meditazione del cuore».Molti pezzi assomigliano a preghieremantriche. «Io credo molto in un rap-porto tra me e l’energia universale,puoi chiamarla karma, puoi chiamar-la samadhi. Adesso mi definisco un cri-stiano in cammino, a messa non ci va-do, ma credo molto nella preghiera co-me azione. In questo senso non vedodifferenza tra il buddismo di NichirenDaishonin e l’orazione collettiva disant’Alfonso de’ Liguori, che usava l’A-ve Maria come un mantra. E la mia mu-sica esplora questi canali misteriosi».Improvvisamente Enzo si mette a rap-peggiare il rosario. Io resto basito e luisembra posseduto dallo spirito diSant’Alfonso. Forse non è un caso chefosse anche lui di Marianella.

Mi sarei aspettato che James Browngli avesse rivelato i segreti del soul, Ti-na Turner gli avesse insegnato a mo-dulare il grido, Afrika Bambaataa arappeggiare. Invece sono stati i mae-stri di vita. «La loro musica già me l’a-vevano trasmessa attraverso la scato-la, il jukebox. Quando incontri quelliche hai scelto come maestri da loroprendi dell’altro. Non l’abbiccì. Nonfai lezione di musica, ma impari comefar nascere il suono dentro di te».

Se in Italia è ancora conosciuto, perlo più, come quello che suonava conPino Daniele ed Edoardo Bennato, ne-gli Stati Uniti Jonathan Demme, il regi-sta da Oscar del Silenzio degli innocen-

ti ePhiladelphia, ha celebrato Avitabi-le in uno dei suoi mitici documentarirock. Dopo Stop Making Sensededica-to ai Talking Heads e The Heart of Goldsu Neil Young nel 2012 è uscito EnzoAvitabile Music Lifepresentato a Vene-zia con grande successo di critica. Nonè una biografia artistica, ma la storia diuna vita in musica. «Jonathan mi hasentito cantare Salvamm’o munno al-la radio. Era in macchina a New York,stava attraversando il George Wa-shington Bridge. Ha annotato in frettae furia il mio nome su un pezzetto dicarta e ha cercato i miei dischi». Ha di-chiarato alla stampa che per due o treanni non ha fatto altro che ascoltare lasua musica. «Bontà sua! Comunquequando mi ha detto che voleva fare undocufilm sulla mia vita mi sembravaimpossibile. Invece lo ha fatto e per dipiù senza che me ne rendessi vera-mente conto. Accompagnandomi neiposti dove sono cresciuto. Con lui so-no tornato nello scantinato dell’Isola-to tre di Marianella, dove da bambinofacevo i compiti. E non mi sentivo po-vero. Anzi ero super felice e ringrazia-vo Dio di abitare in una casa popolare.Jonathan è un genio, perché mi ha fat-to fare un viaggio che racchiude il sen-so della mia vita e, insieme, della miamusica. Una discesa nel profondo del-la mia ispirazione».

Lui ha dichiarato che sei il vero ere-de di John Lennon. Cosa vuole dire se-condo te? «Che siamo sfigati tutti e due.Spero solo che la mia sfiga non sia al-trettanto definitiva».

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L’incontroMistici

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La mia musicaesplora i canalimisteriosidella preghieratra Sant’Alfonso de’ Liguori e canzoni da jukebox

Enzo Avitabile

MARINO NIOLA

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