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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 27 GENNAIO 2013 NUMERO 412 CULT La copertina TOBAGI E RECALCATI Facebook e i suoi fratelli se il network è poco social Il libro FRANCO MARCOALDI La vita segreta del medico che sfuggì ai nazisti All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Franco Ferrarotti “La sociologia non ha nulla di liquido” Il teatro RODOLFO DI GIAMMARCO Quell’Edipo paranoico che la Morante mette in manicomio Il museo del mondo MELANIA MAZZUCCO L’autoritratto di Dio tutti i misteri dell’Acheropita Katherine Mansfield il mio amore quasi impossibile L’inedito NADIA FUSINI e KATHERINE MANSFIELD Yiddish & kosher il ritorno degli ebrei nella nuova Berlino Il reportage MAREK HALTER e ANDREA TARQUINI MOSCA ual è il colmo per un romanziere? Diventare famoso come eroe di un romanzo scritto da un altro. Eduard Limonov vive questa situazione diviso tra vanità e or- goglio ferito: «Chiedete a lui. È Carrère che ha fatto un libro su di me. Sulla mia vita, sul mio talento. Io su di lui cosa avrei po- tuto scrivere?». E la parte del personaggio che si ribella all’autore gli riesce benissimo. Seduto a una scrivania di finto mogano, in una ca- sa umida al terzo piano di una krusciovka costruita negli anni Ses- santa per i funzionari di partito di seconda fascia, fa di tutto per smentire le tesi della biografia più letta del momento: Limonov, di Emmanuel Carrère appunto. Se siamo venuti a cercare l’intellettua- le maledetto, cinico e ribelle, allora abbiamo sbagliato. Indossa un giubbotto da sci per via del riscaldamento insufficiente e con l’aria preoccupata mi invita a pulire bene le scarpe dalla neve per non ba- gnare il logoro parquet riverniciato a mano color rosso sangue. (segue nelle pagine successive) PARIGI stato teppista in Ucraina, idolo dell’under- ground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo cari- smatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna». È in questi termini che il francese Emmanuel Carrère parla di Eduard Limonov, l’impreve- dibile e controverso scrittore russo a cui ha dedicato una biografia di grande successo: Limonov (Adelphi). Autore di culto molto apprezzato, Carrère adora mescolare realtà e finzione, proponendo libri ibridi in cui non esita a mettersi in gio- co in prima persona. Lo ha fatto anche nel caso di Limonov. «L’ho co- nosciuto all’inizio degli anni Ottanta a Parigi — ci racconta — dove si era stabilito poco dopo la pubblicazione del suo primo romanzo». (segue nelle pagine successive) DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI Q «È NICOLA LOMBARDOZZI FABIO GAMBARO Eroe, avventuriero o carogna? Parla lo scrittore russo reso famoso dal libro di Emmanuel Carrère “Non cercavo soldi né premi Volevo questa vita. L’ho avuta E non è ancora finita” EDUARD LIMONOV L’uomo che diventò romanzo Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 27GENNAIO 2013

NUMERO 412

CULT

La copertina

TOBAGI E RECALCATI

Facebooke i suoi fratellise il networkè poco social

Il libro

FRANCO MARCOALDI

La vita segretadel medicoche sfuggìai nazisti

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Franco Ferrarotti“La sociologianon ha nulladi liquido”

Il teatro

RODOLFO DI GIAMMARCO

Quell’Edipoparanoicoche la Morantemette in manicomio

Il museo del mondo

MELANIA MAZZUCCO

L’autoritrattodi Diotutti i misteridell’Acheropita

Katherine Mansfieldil mio amorequasi impossibile

L’inedito

NADIA FUSINI

e KATHERINE MANSFIELD

Yiddish & kosheril ritorno degli ebreinella nuova Berlino

Il reportage

MAREK HALTER

e ANDREA TARQUINI

MOSCA

ual è il colmo per un romanziere? Diventare famosocome eroe di un romanzo scritto da un altro. EduardLimonov vive questa situazione diviso tra vanità e or-goglio ferito: «Chiedete a lui. È Carrère che ha fatto un

libro su di me. Sulla mia vita, sul mio talento. Io su di lui cosa avrei po-tuto scrivere?». E la parte del personaggio che si ribella all’autore gliriesce benissimo. Seduto a una scrivania di finto mogano, in una ca-sa umida al terzo piano di una krusciovka costruita negli anni Ses-santa per i funzionari di partito di seconda fascia, fa di tutto persmentire le tesi della biografia più letta del momento: Limonov, diEmmanuel Carrère appunto. Se siamo venuti a cercare l’intellettua-le maledetto, cinico e ribelle, allora abbiamo sbagliato. Indossa ungiubbotto da sci per via del riscaldamento insufficiente e con l’ariapreoccupata mi invita a pulire bene le scarpe dalla neve per non ba-gnare il logoro parquet riverniciato a mano color rosso sangue.

(segue nelle pagine successive)

PARIGI

stato teppista in Ucraina, idolo dell’under-ground sovietico, barbone e poi domestico di unmiliardario a Manhattan, scrittore alla moda aParigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso

nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo cari-smatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe,ma lo si può considerare anche una carogna». È in questi termini cheil francese Emmanuel Carrère parla di Eduard Limonov, l’impreve-dibile e controverso scrittore russo a cui ha dedicato una biografia digrande successo: Limonov (Adelphi).

Autore di culto molto apprezzato, Carrère adora mescolare realtàe finzione, proponendo libri ibridi in cui non esita a mettersi in gio-co in prima persona. Lo ha fatto anche nel caso di Limonov. «L’ho co-nosciuto all’inizio degli anni Ottanta a Parigi — ci racconta — dovesi era stabilito poco dopo la pubblicazione del suo primo romanzo».

(segue nelle pagine successive)

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Q «ÈNICOLA LOMBARDOZZI FABIO GAMBARO

Eroe, avventuriero o carogna?Parla lo scrittore russo

reso famoso dal libro

di Emmanuel Carrère“Non cercavo soldi né premi

Volevo questa vita. L’ho avutaE non è ancora finita”

EDUARD LIMONOV

L’uomoche diventò

romanzo

Repubblica Nazionale

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(segue dalla copertina)

Limonov mette in evidenzatutte le lentezze e gli ac-ciacchi dei settant’anniche compirà sabato pros-simo. E continuerà per tut-ta l’intervista ad alternare

due gesti: fissarsi timidamente le puntadelle dita come uno studente imprepa-rato, e lisciarsi il pizzetto alla Trotzkycon l’autocompiacimento di chi si sen-te «un personaggio unico». Ma via via ilpersonaggio di Carrère torna fuori dasolo con un’unica piccola concessionea un sogno un po’ infantile: «Mi piace-rebbe che facessero un film su di me. Ta-rantino sarebbe l’ideale».

I suoi romanzi sono universalmenteapprezzati, ma deve ammettere che leinon è mai stato così famoso come oggi.

«Sono contento per Carrère, starà fa-cendo un sacco di soldi. Ha costruito unmito e lo ringrazio. Ma mi raccomando:non è tutto vero, il mito non deve esseremai autentico».

Che fa, rinnega leparti più scabrose?Per esempio quellain cui sodomizza suamoglie sulla colonnasonora di un discor-so di Solgenitsin?Oppure quando si fapossedere da un ra-gazzo di colore aCentral Park?

«Carrère ha sac-cheggiato i miei libri.Ha riportato cose cheavevo scritto io in pri-ma persona, ma sottopseudonimo. Io michiamo Savenko. Li-monov è un nomed’arte e di battaglia».

Dunque sono tut-te invenzioni?

«Ripeto: sono imiei libri. Ci sono co-se che ho fatto, coseche avrei solo volutofare e cose che forsenon avrei fatto mai.Ma non vi dirò maiquali. Limonov è co-me l’Henry Chinaskydi Bukowski».

Ecco tre giudizitratti dalle innume-revoli critiche a Limonov: “Un fasci-sta”, “Un genio assoluto”, “Un perfettostronzo”. Quale le sembra più corretta?

«Bellissime tutte e tre, ma assieme.Separate non vale».

Dal teppismo giovanile alla fuga inAmerica fino alla formazione del parti-to nazionalbolscevico. Il suo personag-gio è roso dall’ambizione del successo.Lo ha raggiunto, infine?

«Il successo che cercavo non era quel-lo del denaro o dei premi letterari. Vole-vo una vita di questo genere. L’ho avuta.E non è ancora finita».

Carrère le fa dire: “Una vita di mer-da”.

«Questo lo pensa lui che è un borghe-se. Io sono fiero di non essere finito co-me tanti miei coetanei persi nell’alcol inuna periferia di fabbriche e discariche».

Vede che anche lei prova pietà, per imediocri, per i falliti?

«No, la pietà non serve a nessuno. E ionon la provo per nessuno. Nemmenoper me stesso. Odierei chi mostrasse diprovare pietà per me».

Nel libro lei quasi esulta per la noti-zia che il bambino dei vicini sta per mo-rire di cancro. È davvero tanto cinico?

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DOMENICA 27 GENNAIO 2013

Teppista in Ucraina, barbone a Manhattan, dandy a Parigi. Ha combattutoe forse ucciso accanto al boia Arkan, disprezza Gorbaciov e Bulgakov,guida un partito di nostalgici dei Soviet. Settant’anni a giorni, ci accoglienella sua casa di Mosca il controverso eroe maledetto

protagonista della biografia del momento. In cui su di sé lasciache si raccontino cose anche peggiori: “Alcune vere, altre chissà...”

La copertinaVite da romanzo

«Ricordo bene, dissi che lamorte non risparmia nem-meno i figli dei ricchi. Non èforse vero? Sono un cinico nelsenso che il cinismo è il livel-lo estremo del realismo».

C’è un’altra sua sparatache inquieta il lettore: “Biso-gna impostare la propria vi-ta sulla ostilità di tutti quelliche ci circondano”.

«Verissimo. L’ho imparatogià dai compagni di scuola.La lotta tra gli individui è naturale. Si cer-ca la supremazia su ogni cosa. Dalla me-rendina alla donna, al potere. Anche orasono odiato».

Da chi? «Dai miei coetanei. Mi odiano perché

ho vissuto così, perché ho fatto scelteche loro non hanno avuto il coraggio difare. Perché scrivo bene. Io credo checome non esiste profeta in patria, nonpuò esistere un profeta della propria ge-nerazione. I giovani mi ammirano, spe-rano di imitarmi. Ma quelli che hannoavuto lo stesso tempo a disposizione e lohanno usato male sono lividi di invidia».

Neanche lei è stato tenero con i suoi

contemporanei. Sembra che faccia ap-posta a scegliere come idoli personag-gi negativi e denigrare miti universali.Cominciamo dai suoi colleghi. Il NobelIosif Brodskij?

«Poeta sopravvalutato, abile mana-ger di se stesso»

Sergej Bulgakov?«Ripugnante razzista sociale e nemi-

co della classe operaia come dimostraCuore di cane. Reso famoso da un’ope-rina piatta e senz’anima come Il Mae-stro e Margherita».

Evgenij Evtushenko?«Mediocre poeta e uomo molto me-

schino. Ve lo assicuro».

Boris Akunin?«Scrittore quello? Non scherziamo».Aleksandr Solgenitsyn?«Poveretto. Ha assistito con la fine

dell’Urss alla fine di tutto quello che ave-va scritto. Adesso la gente non legge piùquella roba. Preferisce i miei libri cheparlano di problemi universali, eterni,come il conflitto con se stessi, l’amore,l’odio».

È vero che disse no a Lawrence Fer-linghetti, il poeta-editore della beat ge-neration che voleva pubblicare il suoprimo romanzo, Io Edicka?

«Sì. Mi chiese di scopiazzare un fina-le da Taxi Driver. L’eroe, cioè io, avreb-be dovuto uccidere un personaggio fa-moso come De Niro nel film. Devo direche è una di quelle cose che ogni tantoho pensato di fare. Ma non mi andava discriverla».

Passiamo ai politici. Ha detto cheGorbaciov andrebbe ghigliottinato. Epoi è stato amico di un criminale diguerra come Karadzic. Conferma?

«Ghigliottina o fucilazione, sceglietevoi. Gorbaciov meriterebbe di esserepunito per quello che ha fatto lasciandosgretolare un impero e facendoci per-dere la dignità. Quanto a Karadzic era unuomo mite e colto, sono fiero di essere

NICOLA LOMBARDOZZI

Limonov. E ora fatemi un film

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stato suo amico. Un giorno sarete co-stretti a rivalutarlo».

Anche il boia Zeljko Arkan?«Ho combattuto al suo fianco. Aveva

un passato criminale ma era un guerrie-ro che lottava per la sua patria».

Carrère teme che nella ex Jugoslavialei abbia sparato sui civili.

«Mai. Gente in divisa ne ho vista ca-dere mentre sparavo. In guerra è così».

Adesso sembra di vedere il Limonovleader del semiclandestino partito na-zionalbolscevico. A proposito, perchéun nome così contraddittorio?

«Marketing. Serve solo ad attirare l’at-tenzione e a risvegliare antiche energie.

Siamo un partito di duri contro uno sta-to poliziesco. Niente a che vedere conl’opposizione borghese che va in piazzadi tanto in tanto».

Ma ha ancora un senso avere nostal-gia dell’Urss?

«Macché nostalgia! L’Urss per i russiè come la Roma imperiale per l’Occi-dente. Nessuno pensa a ricostruirla co-sì com’era. Ma vogliamo che rimangaoggetto della nostra fierezza storica.Un’ispirazione da non perdere».

Per questo obiettivo ha smesso discrivere romanzi?

«Non ne scrivo più dal 1990. E forsenon ne ho scritti mai. In America i miei

libri uscivano con la dicitura fictionalbiography. Il romanzo inteso come unastoria del tutto inventata non ha più sen-so. Roba dell’Ottocento. È come l’operalirica, la danza classica, la pittura figura-tiva. I capolavori passati restano. Ma fa-re opere nuove è ridicolo. Meglio i saggi.I verbali. Le storie vere, magari un po’“migliorate”. Lo dico io, ma lo sanno be-ne gli editori. Il successo di Carrère ne èun esempio».

Successo di Carrère ma anche di Li-monov. Non le pare?

«Diciamo che lui ha spiegato Limo-nov ai borghesi. Speriamo capiscano».

(segue dalla copertina)

«All’epoca ci eravamo anche un po’ frequentati», raccontail cinquantacinquenne scrittore francese. «Era un artistaemarginato e stravagante, le cui provocazioni appariva-

no lontane dalla serietà un po’ grigia dei dissidenti sovietici dell’e-poca. Ci sembrava una specie di Jack London russo».

In seguito lo ha perso di vista?«Sì, ma ogni tanto giungevano notizie che lo rendevano meno sim-

patico. Ad esempio, nei Balcani ha combattuto al fianco dei serbi. Piùtardi in Russia ha creato il partito nazionalbolscevico che assomi-gliava a una specie di milizia fascista. Nel 2006 però, a Mosca, mi so-no reso conto che Limonov era molto stimato dall’opposizione de-mocratica russa. A me sembrava una specie di fascio-comunista, mai democratici del suo paese lo consideravano quasi un eroe. Sorpre-so e incuriosito, ho deciso allora di fare un reportage su di lui, sco-prendo un personaggio assolutamente romanzesco, la cui storia midice molto della Russia contemporanea e del caos ideologico in cuiviviamo. Oltretutto, ricostruire la biografia di Limonov mi ha per-messo di scrivere qualcosa che non avevo mai scritto, vale a dire unromanzo d’avventura un po’ alla Dumas».

Alla fine ha capito chi è veramente Eduard Limonov?«È uno che coltiva l’ambiguità, un personaggio sfuggente. Mentre

scrivevo il libro, spesso non sapevo cosa pensare di lui. Da un lato misembrava un personaggio affascinante e picaresco, dotato di gran-de vitalità, energia e coraggio. Dall’altro mi sentivo a disagio per cer-te scelte e dichiarazioni ingiustificabili. Temevo di valorizzare trop-po un individuo discutibile. Alla fine ho cercato di mostrare le sue di-

verse facce, senza rinchiuderlo in uno schema precostituito».Un eroe maledetto?«Forse. In ogni caso un ribelle che non si è mai schierato dalla par-

te del potere. Nel 2004, dopo due anni e mezzo di prigione, avrebbepotuto diventare uno scrittore adulato e ben pagato. Invece è rima-sto povero ed emarginato. Nonostante in lui ci sia una dimensioneindiscutibilmente fascista, è sempre stato dalla parte delle mino-ranze e dei più deboli. È un po’ un Robin Hood, il che lo rende sim-patico. In definitiva, è un uomo rimasto fedele al sogno di tutti i bam-bini di vivere una vita avventurosa».

Perché ha scritto la biografia mettendosi in scena apertamente?«Non ho la pretesa di dire la verità assoluta su Limonov, ma solo la

storia come l’ho vista io. Il mio è al contempo biografia e romanzo, dicui, per onestà nei confronti del lettore, rivendico la soggettività. Nonè una biografia all’americana con centinaia d’interviste. Per rico-struire la sua vita, mi sono basato soprattutto sui suoi libri, fidando-mi di lui e della sua memoria. Perché sono convinto che nei libri nonabbia mentito, il che naturalmente è perfettamente discutibile».

Come ha reagito il diretto interessato?«Ha deciso di non fare commenti né rettifiche. Non nasconde però

di essere contento, dato che il libro gli ha permesso una specie di re-surrezione. In Francia, molti dei suoi libri che erano ormai esauritisono tornati in libreria. Ciò mi fa molto piacere, perché è innanzitut-to uno scrittore di valore, autore di libri importanti. Soprattutto i ro-manzi autobiografici, meno i suoi libri politico-filosofici».

Cosa crede che pensi Limonov di lei?«Con me è sempre stato gentile e disponibile, ma al contempo di-

stante. Non ha mai cercato di affascinarmi o di sembrare migliore odiverso da quello che è. Io e lui non apparteniamo allo stesso mon-do. Per lui sono un intellettuale borghese e socialdemocratico, il che,dal suo punto di vista, è il peggio che ci possa essere. Eppure mi ha di-mostrato una certa riconoscenza e simpatia. L’ultima volta che ci sia-mo visti a Mosca mi ha detto: “Ti auguro di finire male”. Che per lui èprobabilmente un augurio molto amichevole».

FABIO GAMBARO

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Carrère.Ma non volevosi trasformasse in mito

FOTOROMANZO

1. Limonov nella Piazza Rossa (2008). 2. Dieci anni prima in corteo

a Mosca in qualità di leader del Partito nazionalbolscevico. 3. Posa

da attore, l’anno è il 1992. 4. Parigi 1983, cappotto militare e macchina

da scrivere. 5. I due scrittori, Limonov e Carrère, insieme a Mosca

6. Ottobre 1980, occhialoni da miope e maglietta dei Ramones

sul Lungosenna a Parigi. 7. Al centro, in poltrona, un giovane Limonov

(primi anni ’70) in versione dandy. 8. Nel 2004 all’uscita dal carcere

9. Nel 2002 al processo in cui fu condannato, tra le altre cose,

di voler invadere il Kazakhistan. 10. Durante la guerra nella ex Jugoslavia

a fianco dei serbi. 11. Con Tanja, felici, a New York (1975)

I LIBRI

Il trionfo della metafisica,memorie di uno scrittorein prigione (Salani,

252 pagine, 16 euro),

uscito in Russia

nel 2005 e da noi

in libreria dal 31 gennaio,

è l’ultimo tra i libri

di Limonov a essere

tradotto in italiano

Gli altri sono: Diariodi un fallito oppureun quaderno segreto(Odradek, 2004),

Libro dell’acqua (Alet Ed.

2004), Eddy-baby ti amo(Salani, 2005), Russianattack (Salani, 2010)

Il libro di Carrère,

Limonov, è stato

pubblicato in Italia

nel 2012 da Adelphi

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La cucina kosher è di gran moda nei ristoranti ma anche in tv, i concertidi musica israeliana fanno il tutto esaurito,mentre maicome quest’anno la festa di Hanukkah ha riempito le strade di luci e di gente

Il reportageGiorno della memoria

L’INIZIATIVA

In occasione

del Giorno

della memoria,

è in edicola

con Repubblicail docufilm

su Simon

Wiesenthal

Non vi ho maidimenticato(7,90 euro)

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DOMENICA 27 GENNAIO 2013

BERLINO

Quando ricorre la Ha-nukkah, o qualsiasi altrafesta religiosa ebraica, laGemeindehaus è stracol-

ma, i cantori della sinagoga li senti dalontano, anche sul Kurfürstendamm,l’avenue del lusso a Berlino Ovest, e ifuochi della festa della luce illuminanoil fine anno berlinese non meno del Na-tale cristiano. Le sinagoghe della me-tropoli hanno festeggiato tutte insiemea Fasanenstrasse, il luogo più chic del-la capitale tornata unita, democratica eborghese. Nei ristoranti la cucina ko-sher è di nuovo di moda e nel fitto ca-lendario musicale le tournée di gruppiisraeliani, o i concerti della cantautriceebrea polacca Chava Alberstein, fannosempre il tutto esaurito. “Ich bin derAvraim, der feise Marveche”, “sonoAbramo, l’abietto speculatore”, la stro-fa dell’ironica canzone di Chava sul-l’antisemitismo si ascolta in ogni party,salotto o discoteca, come le sue versio-ni riviste dei canti della guerra d’indi-pendenza israeliana del 1948.

Berlino, inizio 2013, ventiquattroanni dopo la riunificazione tedesca,sessantotto anni dopo la vittoria allea-ta del 1945: vita e cultura ebraica sonotornate più vivaci che mai, com’eranell’antica capitale della Repubblica diWeimar, prima di quell’austriaco chesedusse la Germania fino alla rovina.L’ebraismo che risorge nell’ex capitaledel Reich, specie nella luce del Giornodella memoria, è l’ennesima umiliantedisfatta di Adolf Hitler.

Oranienburgerstrasse, quartiereMitte (il centro dell’Est): basta scende-re alla stazione Hackescher Markt del-la S-Bahn (il métro sopraelevato) e pas-seggiare, per toccare con mano il ritor-no. Ecco la sinagoga che i nazisti bru-

studiare la miaseconda iden-tità, siamo coloroche cercano». Quasicitando Hermann Hesse.

Non è mai tutto luce sen-za ombre, figuriamoci per il ri-torno degli ebrei a Berlino. «Il di-battito sulla legalità della circonci-sione, o le critiche alla politica di Israe-le, ci ricordano che dobbiamo sempreconfrontarci anche con umori antie-braici», ammonisce il presidente del-la comunità. Non mancano sfide e mi-nacce. Antisemitismo nostalgico dei

ANDREA TARQUINI

RitornoBerlino a

ciarono nella Notte dei cristalli risortaad antico splendore e trasformata inmuseo con la cupola dorata che vedibrillare da ogni dove. Ecco la gloriosapasticceria Barcomi. Passeggio conDieter Graumann, presidente della co-munità ebraica, e lo ascolto. «Questogermoglio sbocciato è un grande rega-lo per tutta la società tedesca», mormo-ra sorridendo. In vent’anni, sono venu-ti ad abitare in Germania centodieci-mila ebrei. La diaspora impensabile fi-no a ieri approda qui, dove in tante sta-zioni le lapidi che calpesti ogni mattinacorrendo al lavoro ricordano i deporta-ti sui treni della morte. Vengono quidall’ex Urss fuggendo dai nuovi antise-mitismi. Oltre a Israele il nuovo appro-do si chiama Bundesrepublik Deut-schland. «Torno spesso per coordinarecon gli amici dell’intelligence tedescala caccia agli ultimi nazisti», mi narra ilvecchio amico Efraim Zuroff, erede diSimon Wiesenthal. «Ma quandovent’anni fa per problemi meteo il miovolo New York-Tel Aviv si fermò fuoriprogramma a Francoforte mi sentii nelpaese degli assassini. Acqua passata».«Che proprio nell’ex capitale del Reichla comunità ebraica risorga, con la suavita culturale così diversificata, è unaconquista grandiosa», mi dice Grau-mann. «E non dimentichi i quindicimi-la giovani israeliani che vivono a Berli-no, per studiare musica o facoltà scien-tifiche». E per godersi la movida berli-nese: «È come a Tel Aviv: fa solo piùfreddo, in compenso non abbiamopaura dei kamikaze», mi dice la giova-ne Siva prima di mescolarsi ai suoi ami-ci berlinesi. «E come da noi, lo studio ègratuito e al massimo livello di qualità».

Oranienburgerstrasse, la cupola do-rata della sinagoga divenuta museo tie-ne viva la memoria di quello che KarolWojtyla denunciò come “il Male asso-luto”, il nazismo. E poche stazioni di U-Bahn più a ovest, ascolti la giovane rab-bina Gesa Ederberg esultante per la fol-la alla Hanukkah: «Non pensavo sareb-be venuta tanta gente, sembra un mi-racolo». Un altro miracolo: ha riaperto,per la prima volta dai tempi del Kaiseruna scuola rabbinica. «È una conquistaenorme» dice Graumann. «Ci incorag-

tocchi ogni giorno, fino alla grandiosainiziativa del maestro Daniel Baren-boim, che qui ha fondato la sua orche-stra giovanile del dialogo, israelo-pa-lestinese. «Certo, davanti a molte isti-tuzioni ebraiche è necessaria la prote-zione anti-terrorismo della polizia,ma non ci lasciamo intimidire», diceDieter Graumann. «Vogliamo dare al-la Germania un nuovo ebraismo posi-tivo». Discoteche di tendenza, caseeditrici, convegni e concerti. O il cen-tro di studi ebraici, affollato da giova-ni che ti dicono subito, quando vai avederli, «mi sento tedesco, ma voglio

gia, tanto più che la rassegnazione pes-simista non appartiene alla nostra Wel-tanschauung, la visione del mondo».

Persino i telecuochi lanciano tra-smissioni sulla cucina ebraica. Il GrillRoyal, poco lontano dal Berliner En-semble, li segue, la cucina ebraica tor-na cool nella capitale preferita dei gio-vani europei. Senti sempre più spessoparlare ebraico o yiddish, la lingua de-gli ebrei della Mitteleuropa. Il Semi-nario rabbinico, Consiglio centraledegli ebrei di Germania, è stato elettoa interlocutore a pari dignità col go-verno di Angela Merkel. La svolta la

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In vent’anni oltre centomila ebrei sono venuti a vivere in Germania,e tra di loro i più giovani hanno scelto la capitale per studiare e divertirsi. “È la nostra più bella vittoria sul Terzo Reich”

LE IMMAGINI

Due rabbini

accendono le luci

della menorah

davanti alla Porta

di Brandeburgo

durante la festa

di Hanukkah

In alto, negozi

ebraici a Berlino

oggi e (sotto)

durante il nazismo

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DOMENICA 27 GENNAIO 2013

neonazi, e ancor più pericoloso l’anti-semitismo dei giovani arabi radicali,come quelli che settimane fa hannopestato a sangue il rabbino Alter sottogli occhi di sua figlia. «Purtroppo il la-tente antisemitismo del subconscioc’è sempre stato: a volte religioso, cri-stiano o musulmano» mi avverte Cri-stina von Braun, direttrice del Zen-trum für jüdische Studiendella glorio-sa università Humboldt, uno dei tregrandi atenei della capitale. «E ognipaura della modernizzazione lo risve-glia. Persino la riunificazione tedescaha creato cambiamenti e un terrenopsicologico su cui può crescere». Ep-pure qui, nella piccola Londra mitte-leuropea, l’ebraismo ha rimesso radi-ci. Contagia tutti. «Siamo fieri: un cen-tro di studi di cultura ebraica non eramai esistito a Berlino fino a oggi, ab-biamo soddisfatto sogni di ceti intel-lettuali antichi come i tempi del Kaisere di Weimar», è felice Cristina vonBraun. I loro studi contagiano il mon-do globale, «molti ricercatori e studio-si americani e israeliani vengono quida noi, dieci anni fa sarebbe stato in-concepibile. Proprio ieri», mi raccon-ta «un ricercatore americano che la-vora qui da noi mi ha detto una frase ri-velatrice: “Se gli ebrei non tornasseropiù in Germania i nazisti avrebberovinto postumi, e non lo vogliamo”».Nel gelido porto di Kiel, ammiraglidella Bundesmarine consegnano allaHel’ha’Halama le Israel, la marinaisraeliana, l’ultimo dei sei Dolphin, U-Boot silenziosi, invisibili e veloci inimmersione, prodigi made in Ger-many per salvare Israele con l’armadell’ultima difesa. La seconda disfattadi Hitler è completa, qui nella vivaceBerlino anche ebraica. Dall’oggi al do-mani, come canta Chava Alberstein, esist nur ein Katzensprung. È solo il saltod’un gatto. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il mio primo incontro con i tedeschi fu a Varsavia nel 1939, avevotre anni. Quando il frastuono delle bombe e l’urto delle case checrollavano finalmente si acquietarono, gli ebrei poterono ascol-

tare l’annuncio del loro destino: Judenrein (libera dai giudei, ndt).Rincontrai i tedeschi poco più di quarant’anni dopo a Berlino, la

città dove nel Diciottesimo secolo il filosofo Moses Mendelssohnpreparò l’emancipazione ebraica. E che due secoli più tardi Hitleravrebbe svuotato di tutti i suoi ebrei.

Per sfida, avevo deciso di rivolgermi ai berlinesi in yiddish. Loro na-turalmente mi comprendevano, dal momento che lo yiddish, se si hacura di evitare gli ebraismi e conformare la sintassi al modello tede-sco, può essere apparentato a uno dei tanti dialetti che costellanoquesto paese ultradecentralizzato.

All’università, ai giornalisti radiotelevisivi, annunciai dunque chequesta lingua grazie a cui comunicavamo si chiamava yiddish, cheera nata quasi duemila anni fa proprio qui, sul suolo germanico. Kante Goethe vi avevano attinto la gran parte delle loro ricerche linguisti-che o letterarie. Questa lingua, proseguii, era nata dalla necessità diresistere a un mondo ostile, di proteggersene. Filiazione del tedesco,nel corso dei secoli si era arricchita e diffusa in tutto il mondo.

A quell’epoca, numerosi intellettuali si chiedevano se per gli ebreifosse possibile visitare la Germania, girare per Berlino come se nien-te fosse. Fu allora che incontrai Nathan Levinson, il gran rabbino diBaden e Amburgo, di origine tedesca e rientrato dall’esilio sotto l’u-niforme dell’esercito americano. «Sapete perché sono qui?», mi con-fidò. «Per privare Hitler di quest’ultima e fondamentale vittoria: unaGermania Judenrein». Le sue parole mi fecero riflettere.

In seguito, lavorando al mio film I giusti, dedicato agli uomini e al-le donne che rischiarono la loro vita per salvare degli ebrei durante laguerra, ho scoperto che cinquemila ebrei erano scampati allo ster-

minio a Berlino grazie a una rete di aiuto composta datedeschi. Sulla celebre Alexanderplatz cominciai a

guardare i passanti con occhio diverso. Prima mi do-mandavo chi fra loro avesse preso parte alla distruzione del

mio popolo; ora mi domandavo chi fra loro avesse rischiatola vita per salvare gli ebrei.

Oggi gli ebrei sono tornati. Berlino non è più Judenrein. Ci so-no sei sinagoghe piene zeppe il giorno del Kippur, un teatro chefa il tutto esaurito ogni sera, c’è perfino un’edicola con pubbli-cazioni in yiddish. Chi, alla fine di questo secolo, si ricorderà an-cora della Shoah? Due popoli sicuramente: i tedeschi e gli ebrei.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

MAREK HALTER

Parlando in yiddishsull’Alexanderplatz

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Repubblica Nazionale

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Yvonnepercorse adagio la lun-ga sala del Concert Hall, scin-tillante di luci. Accennò un in-chino a vari conoscenti, pococonsapevole degli sguardiammirati degli uomini e del-

l’aria di entusiasta familiarità delle donne.D’un tratto si sentì strattonare appena la gon-na; abbassò gli occhi e vide Mrs Mason, unadonna robusta e baffuta in un abito aggressi-vamente scollato, che le sorrideva tendendoil braccio verso di lei.

«Buonasera, Mrs Mason» disse Yvonnecon un sorriso e le strinse con garbo la mano.

«Buonasera, Lady Mandeville... Tutta so-la? Spero che suo marito non stia poco bene».

«Teme di covare un raffreddore di testa»,rispose Yvonne, «e così ha pensato bene di ri-guardarsi e di starsene vicino al fuoco».

«Oh molto saggio, davvero molto saggio»disse Mrs Mason arruffando il pizzo sul dé-colleté finché non ebbe l’aspetto di un pic-cione: «I mali di stagione sono molto diffusi».

«Sì, purtroppo» replicò Yvonne. «La mia Ethel ha avuto un raffreddore spa-

ventoso: dal naso ora le è sceso nei bronchi eha una orrenda tosse grassa. Certo, lei fa tan-te storie, ma io conosco il segreto di queste co-se: dei begli impiastri di senape forte».

«Davvero?» disse Yvonne. Lanciò un’oc-chiata alle robuste braccia rosse di Mrs Ma-son e rabbrividì un poco.

«Spero che lei non stia covando nulla»,proseguì Mrs Mason, «intorno agli occhi, miacara, mi sembra un po’ gonfia».

Si voltò verso una donnina diafana se-duta vicino a lei, il cui pallore era accen-tuato da un gran viluppo di gerani scarlattie di capelvenere che le si arrampicava sul-la spalla sinistra...

«Posso presentarle la mia amica, MrsWood... ».

«Piacere» disse Yvonne, e si allontanò perprendere posto.

«Una giovane donna molto distinta», disseMrs Wood. «Quanta grazia, Amelia. Sembraun disegno di du Maurier, non trovi?».

«Oh sì, una bambina tanto cara» disse MrsMason facendosi energicamente aria con ilventaglio. «Conoscevo già suo marito primache si sposassero: una pasta d’uomo, conmolto senso pratico. Non sai niente di lei?»

«No, a parte il fatto che è Lady Mandeville.Su racconta, ti prego».

«Oh, è la nipote del dottor Parratt, sai. Èbrava gente della chiesa d’Inghilterra, tran-quilla e premurosa, che abita in Bellevue ave-nue. Era la figlia di Oswald Parratt, il fratellominore, un buono a nulla. Hanno fatto di tut-to, ma alla fine lui se n’è andato di casa e si ètrasferito a Parigi per darsi all’arte».

Mrs Wood si lasciò sfuggire una piccolaesclamazione a fior di labbra che avrebbe po-tuto essere di orrore, pietà o comprensione.

«Poi», disse Mrs Mason tirando su i lunghiguanti e lisciando bene le pieghe, «ha sposa-to una perfetta sconosciuta». La sua voce erapiena di raggelante disprezzo. «È mortaquando è nata questa ragazza, Yvonne. Dico-no che il padre non si sia mai ripreso e che labambina sia stata allevata alla bell’e meglio,finché lui è morto quando lei aveva diciasset-te anni. Ricorderai che a quel tempo il dottorParratt e sua moglie erano all’estero, così so-no stati loro a correre in soccorso di Yvonne— che non aveva un penny — e a portarla aMexchester».

«È proprio da loro» mormorò Mrs Woodcon un fil di voce.

«Sì. La bambina — a quel tempo era unadonna solo per metà — non conosceva nem-meno il catechismo, non aveva vestiti e fu-mava... L’hanno rivoltata come un guanto.Una mutazione profonda, e siccome era bel-la, Geoffrey Mandeville s’innamorò di lei e lasposò. Certo, come ho detto anche a Yvonne,

fu un vero colpo di fortuna, un colpo di fortu-na straordinario. Lei, a dire il vero, rimasestordita da questa vicenda».

«Ed è un matrimonio riuscito?».«Non è niente male».«Hanno figli?».«No, non ancora, ma immagino che ne

avranno senz’altro. Se li possono permette-re, e Geoffrey è proprio quel tipo di uomo:buono, serio e molto coscienzioso...».

Mrs Wood lanciò a Yvonne un’occhiata in-curiosita: era appoggiata allo schienale dellapoltrona, e a riposo il viso pallido e delicatoaveva un’espressione stranamente fiacca, icapelli chiari e lucenti acconciati in sbuffi ericcioli alla moda. Indossava un lungo cap-potto a chimono di velluto nero e sembraval’incarnazione stessa del languore e dell’ele-ganza.

Nel frattempo la ragazza rifletteva: «Sonostata proprio una stupida a venire qui. Non socome ho potuto farlo; sarebbe stato facilissi-mo evitarlo. Ma la tentazione era troppogrande... chissà se sarà lo stesso... chissà se siaccorgerà di me... non ci penso nemmeno adandare da lui dopo...».

Un uomo uscì sul palco per aprire il pia-noforte. Yvonne si mosse appena nella pol-trona; aprì e serrò le mani in modo convulso.Un attimo dopo Jacques Saint Pierre s’in-chinò davanti al pubblico. Lei non alzò gli oc-chi finché non fu seduto al piano, poi... nonera cambiato: la stessa figura sottile, gli stessifolti capelli neri spazzolati all’indietro, la boc-ca imbronciata, inquieta, le belle maniespressive da musicista.

Quando lui cominciò a suonare, un’im-provvisa ondata di colore le riempì il viso. Re-miniscenze: squisiti ricordi agrodolci comin-ciarono ad affollarsi davanti a lei — una com-pagnia variegata, triste, affascinante. Chiusegli occhi... di nuovo nelle stanze di papà, Jac-ques al piano, Emil semisdraiato sul tavolo,Jean vicino al fuoco a fare schizzi di tutti loro...Lei, rannicchiata accanto al padre, con ilbraccio di lui che la cingeva, guancia controguancia, cuore contro cuore. Un boato di ap-plausi assordanti seguì l’Appassionata. Ilsuono brusco, duro, le fece quasi male fisica-mente, parve abbattersi sulla sua anima feri-ta, tremante, in una successione di colpi bru-tali. In preda a un impulso ingovernabile sialzò e uscì a passi rapidi dalla sala.

«Mi indichi il camerino» disse. L’uomo laguardò con aria interrogativa. «Monsieurnon desidera vedere...». «Sono un’amica diMonsieur Saint Pierre. Ho un appuntamen-to». L’uomo chinò appena il capo. Percorse-ro un lungo e stretto corridoio di pietra, e ol-trepassarono una porta a vento. «La secondaporta a destra» disse il suo accompagnatore,e la lasciò lì. Yvonne rimase immobile per unistante: si sentiva quasi soffocare, il suo cuo-re batteva con un rumore sordo, forte e cupo.Poi, di colpo, corse verso la porta e bussò.

«Entrez» disse una voce. Aprì la porta e ri-mase trepidante sulla soglia, qualche tremu-la lacrima sulle ciglia. Jacques era in piedi ac-canto a un piccolo fuoco e fumava una siga-retta. Alzò gli occhi con aria interrogativa, epoi, nel vederla, le corse incontro e le preseentrambe le mani... «Yvonne... Yvonne».

«Jacques... Jacques». Lei rideva e nellostesso tempo piangeva, bella in modo indi-cibile, inebriante... La piccola, incantevolecrisalide dei giorni in cui prendeva lezioneera diventata un’affascinante farfalla dell’al-ta Società. E questo caro ragazzo affettuosoera diventato per lei l’uomo ideale, il musici-sta ideale, il simbolo di una vita felice, i gior-ni trascorsi a Parigi.

«Oh», disse Yvonne d’impulso, come unabambina, «quanto sono stata triste...». Dove-va dire tutto, confidarsi, chiedergli consiglio,avere la sua comprensione. Doveva udire an-cora il tono curioso e carezzevole della sua vo-ce... «Oh Jacques».

Lui tirò a sé una sedia. «Tenez», disse, «de-

vo tornare a suonare. Mi aspetti qui: nessunole si avvicinerà. Ecco le sigarette, poi deve rac-contarmi tutto...».

«Oh sì... sì» esclamò lei.Jacques uscì e chiuse la porta. Yvonne pre-

se una sigaretta, l’accese con l’ombra di unsorriso sul volto. Il suono del pianoforte giun-geva fievole sino a lei. Se solo avessero potu-to vederla adesso: tutte quelle grasse, imper-turbabili filistee, quell’idiota di suo marito.Quando Jacques tornò, lei sembrava un’ado-rabile bambina colta in flagrante e l’uomotrattenne il respiro. Era eccitato dalla musicae le sue mani tremavano un poco. Non avevavoglia di ascoltare una confessione lunga eopprimente; avrebbe voluto prendere ladonna tra le braccia e baciarla. Sembravascosso da una violenta passione.

«Be’, mi racconti tutto» disse, e appog-giandosi alla mensola del camino guardò nelfuoco. Yvonne si alzò e si avvicinò. Parlò infretta, con voce bassa, uniforme. «Solo que-sto, Jacques. Al ritorno da Parigi, oh, pensa-vo davvero di morire. Jacques, volevo mori-re. Piangevo tutte le notti, ma mi avevano inpugno, mi torturavano con ogni mezzo. Èandata avanti per settimane, finché alla fineho deciso che, malgrado tutto, li avrei lascia-ti. Ma non avevo un quattrino, nemmenoper comprare i francobolli, e poi non avevostudiato. Non potevo né insegnare, né cuci-re, niente...». Gli posò una mano sulla mani-ca. «Hanno distrutto tutti i miei ideali, tuttele mie speranze, mi facevano sempre torna-re a Parigi col pensiero, quegli scemi, era uninferno... e papà l’arcidiavolo. Bon Dieu, erosenza amici, senza casa, senza speranza...Poi è arrivato Lord Mandeville e ha chiesto lamia mano. Sì, è andata così, e ora siamo spo-sati da nove mesi».

L’uomo si voltò bruscamente; aveva il re-spiro profondo.

«Ah, è vero!» disse Yvonne. Lui pensò chenon aveva mai visto nessuno tanto pallido.«E... ora sono qui. Pensavo che, una volta spo-sata, sarei stata libera, e invece sono in gab-bia. Questo mastodontico bruto che fischiet-ta tutto il giorno Little Mary stonandone ilmotivo, e che non sa distinguere un quadroda una réclame del whisky... è mio marito,povera me» esclamò.

Lo guardò come una bambina e d’un trat-to lui la prese tra le braccia. Lei si sentì comese si fosse lasciata il mondo alle spalle. Sem-brava che lui le desse proprio il sostegno dicui aveva bisogno. Jacques si chinò e sus-surrò: «Rimani qui fino alla fine del concertoe poi ti riaccompagno a casa. Su da brava,promettimelo». Annuì e lui la fece sedere dinuovo in poltrona. Yvonne non si mosse più,non alzò mai gli occhi, né accennò un gestofinché lui non fu davanti a lei con un lungocappotto e un cappello di feltro morbido.«Vieni» le disse.

Fuori, nelle vie fredde e illuminate rico-minciarono a parlare. L’aveva presa a brac-cetto e continuava a stringerle la mano. Ognivolta che lo faceva, lei si sentiva percorsa daun tremore: era come se Yvonne avesse lapropria vita nella mano, e lui ora la schiaccia-va, così. «Non possiamo andare a parlare daqualche parte?» disse Jacques. Yvonne ri-fletté un istante, poi rise. «Be’, c’è casa mia: èun piccolo cottage da giardiniere non lonta-no dal cancello, che gli alberi nascondonodalla strada e dalla casa. Ci sono solo duestanze che ho arredato io stessa; Geoffrey nonha mai varcato la soglia. Andiamo lì». Tuttociò era quasi deludente: Yvonne non si senti-va più infelice, non capiva più che cosa l’a-vesse fatta stare tanto male. Sembrava chenon le importasse più di nulla, tranne che eraviva e colma di amore, e molto eccitata.

«Jacques», disse, «intorno a te hai l’auradella Grande vita; mi fai di nuovo provarequell’adorabile sensazione di irresponsabi-lità». Lui fece una risatina. Si sentiva quasi im-pazzire nel camminare così, stringendole

forte la mano. Varcarono l’ampio cancello diferro. Yvonne fece strada lungo un sentieropieno di erbacce e poi in un piccolo spiazzocircondato di alberi. La casa era lì, in un luo-go desolato. Lei si chinò a prendere la chiaveda sotto lo zerbino. «Entra», disse, «e dammiqualche fiammifero».

Era una stanza piccola e quadrata: Yvonneaccese quattro candele sulla mensola del ca-mino. «Ti piace?» chiese gioiosa. Lui si guardòintorno: qui c’erano tutti i suoi tesori parigi-ni, i quadri di suo padre, bizzarri drappi distoffa che gli erano familiari, uno schizzo acarboncino di lui al piano; poi si voltò versoYvonne. I suoi lucenti capelli chiari splende-vano alla luce della candela; la bocca era scar-latta, gli occhi brillanti. Era ancora avvolta nelsuo lungo mantello. Mai prima nella sua vitaYvonne aveva avuto tanto bisogno di amore.Si sentiva una donna primitiva, con impulsiprimitivi, bisogni primitivi; ogni convenzio-ne, ogni scrupolo venne gettato alle ortiche.Jacques scagliò via il cappotto. Poi fece unpasso avanti. Lei non riusciva a guardarlo marimase ferma, all’improvviso muta.

«Vieni», disse lui, «lascia che ti aiuti a to-glierlo» e afferrò il mantello. «Grazie» mor-morò lei, d’un tratto assurdamente felice diavere indosso un bel vestito. Poi lui l’afferrò,la baciò brusco, più volte. «Lasciami», disselei, «lasciami», e tuttavia si abbandonò tra lesue braccia. «Yvonne... Yvonne... guardami».Gli cinse il collo con le braccia e alzò il viso.«Oh, tu mi uccidi» gemette.

Yvonne — in disordine, rossa in viso — en-trò nel vestibolo di casa. Lord Mandeville uscìdalla biblioteca. «Ciao, cosa c’è... cos’è suc-cesso?» disse. «Hai avuto un incidente? Dov’èla carrozza?». «Sono tornata a piedi», disseYvonne, «e il vento mi ha scompigliata». «Tisei tagliata un labbro» disse Lord Mandeville.«Hai del sangue sul mento». «Non è niente»ribatté Yvonne. Salì le scale adagio; poi sivoltò e disse: «Vado a letto». «D’accordo, fa’pure. Vengo anch’io. Non vuoi mangiarequalcosa?». «No, grazie».

Quando fu nella sua stanza accese tutte leluci. Un grande fuoco ardeva dietro la gratadel camino; le tende erano accostate e la stan-za era molto calda: si soffocava. Corse allospecchio, gettò via il mantello e si guardò conespressione critica.

«Oh, ho vissuto... ho vissuto», disse forte, «edomani, ovvio, vedrò Jacques. Sta per succe-dere qualcosa di bello, di stupendo. Oh, fi-nalmente sono di nuovo viva!». Scagliò via ivestiti, con foga, si spazzolò i lunghi capelli epoi d’un tratto guardò l’ampio letto vuoto. Sisentì invadere da una sensazione di intolle-rabile disgusto. Vicino al cuscino di LordMandeville vide un grande flacone di euca-lipto e due fazzoletti puliti. Dal vestibolo alpiano di sotto giunse il rumore di catenacci ti-rati, poi la luce si spense... Balzò nel letto, e al-l’improvviso, d’istinto, con un piccolo gestoinfantile si mise un braccio sopra il viso comea nascondere qualcosa di orrendo e spaven-toso, mentre i passi pesanti del marito risuo-navano su per le scale...

Nello stesso istante Jacques Saint Pierreera seduto nelle sue stanze all’Hotel Mexche-ster e scriveva una lettera...

«Stasera, pensa un po’, ho visto Yvonne. Èdiventata una signora dell’alta Società; ti as-sicuro, non è più una di noi. Che noia. Ha l’i-nevitabile passione tutta femminile di volerriaccendere fuochi che ormai da tempo sonosolo cenere... Fa’ in modo, mia cara, che nonsucceda pure a te. Suo marito è molto ricco, e,come dicono qui, “così tedioso da dar noiaanche all’ombra”. Adieu chérie, fra due gior-ni sarò di nuovo da te, se riesco a evitare l’in-cantevole Yvonne. C’è uno scotto da pagare,sai, quando si è tanto affascinanti.

Jacques Saint Pierre». ©2006 Arnoldo Mondadori editore

S.p.a. Milano

LA DOMENICA■ 30

DOMENICA 27 GENNAIO 2013

La giovane nobildonna si precipitò nel camerino del teatro:era quel pianista il suo uomo ideale, non il vecchio ricco e noiosoche aveva appena sposato. Dall’antologia ora in uscitail racconto autobiografico della scrittrice

neozelandesescomparsa novant’anni fa

L’ineditoPassioni

KATHERINE MANSFIELD

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La lady, il fuoco e la cenere

L’ILLUSTRAZIONE

Katherine

Mansfield

in una

illustrazione

di Tullio Pericoli

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 27 GENNAIO 2013

MansfieldKatherine

Se l’amato-odiato marito John MiddletonMurry avesse esaudito la richiesta diKatherine Mansfield, non leggeremmo

oggi il racconto che pubblichiamo qui a fianco,fortunosamente ritrovato da un giovanissimodottorando del King’s College di Londra. Per-ché l’esigente scrittrice, una specie di Cechovredivivo per alcuni, per altri una reincarnazio-ne del Dickens più intimista, aveva lasciatoscritto di bruciare tutto ciò che non aveva pub-blicato in vita. Soprattutto negli ultimi mesidella sua breve, ma ardente esistenza, Katheri-ne Mansfield, come il suo coetaneo FranzKafka, sembrò con una capriola allontanarsidalla letteratura...

Ci sono scrittori così, che vanno hors de lalittérature. Scrivono come se la vita fosse un’e-sperienza iniziatica che nella scrittura prendeforma e significato, come se scrivere fosse il lo-ro modo di «fare anima». L’espressione è diKeats, che se fosse vissuto nel suo stesso secoloavrebbe scritto forse non più poesie, ma rac-conti come quelli che scrive lei: istantanee del-l’assoluto colto nel particolare più insignifican-te, nel dettaglio più effimero, epifanie dell’infi-nito nel tempo finito dell’esistenza umana.

Esigente Katherine lo è sempre stata. Già invita ripudia la sua prima raccolta, Una pensio-ne tedesca, che uscì nel 1911, con successo. Mal’editore fallì e il libro scomparve. Allo scoppiodella guerra contro la Germania, altri editori —immaginando che la descrizione feroce dell’a-nimo germanico avrebbe compiaciuto il pub-blico — le chiesero di ripubblicarlo, ma lei de-clinò l’offerta. Aveva bisogno di denaro, ma il li-bro non le piaceva più. Lo aveva superato.

A quegli anni appartiene questo raccontoenigmatico in cui si cela la sua storia d’amorecon Garnet Trowell, violinista, che la rifiuta, e leiper ripicca sposa George Bowden, che ha undi-ci anni più di lei, ma subito abbandona per tor-nare da Garnet, e rimane incinta, una gravidan-za che in Baviera terminerà con un aborto. Loconfessò lei stessa. Pur nella brevità e ingenuitàdella composizione, v’è già il colpo d’ala dellascrittrice che sarà. E la profonda percezione del-la complessa sensibilità della donna in amore.

Istantanee d’infinitotra Cechov e Dickens

NADIA FUSINI

IL LIBRO

Il racconto “Un episodio da poco”,

che qui anticipiamo,

è uno dei quattro inediti

dell’antologia curata

da Franca Cavagnoli

Tutti i raccontidi Katherine Mansfield

(1888-1923),

in libreria dal 29 gennaio

per gli Oscar Mondadori

(868 pagine, 13 euro)

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Repubblica Nazionale

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DOMENICA 27 GENNAIO 2013

Gli effetti speciali, i tre mesi di riprese per una scenafinale lunga dieci secondi, la protagonista all’ospedalecon un collasso nervoso. Tutti i segreti del filmche cinquant’anni fa cambiò per semprela nostra idea di gabbiani, corvi e passerotti

SpettacoliAli spiegate

PARIGI

«Ma lei mangia come unuccellino!». Già spe-culare in Psycho, dove«l’uccellino» rivelerà

la sua rapacità nella scena della doccia, il parago-ne di garbo davanti ai sandwich anemici dell’im-pacciato Norman Bates (Anthony Perkins) trionfain tutto il suo humor macabro, se riascoltato alla lu-ce del film successivo di Alfred Hitchcock, Gli uc-celli, che capovolge di colpo il menu: il volatile chemangia come l’uomo. Anzi, mangia l’uomo.

Passerotti, gabbiani, corvi, tortore, cornacchie,lovebirds (“inseparabili” in italiano): ali, becchi,artigli, un’altra metà del cielo improvvisamenteminacciosa, scatenata su un’umanità rimpiccio-lita, vista dall’alto, in fuga. Quasi un riscatto, la re-surrezione vendicativa degli uccelli, impagliati oriprodotti in stampe ossessive in ogni angolo delmotel di Psycho. Contro ogni previsione dellostesso Hitchcock, che nel 1960 ancora non pensa-va al film successivo: Gli uccelli uscirà nel 1963,dopo sei mesi di riprese (di cui tre per i dieci se-condi finali) e un anno di postproduzione, e quil’ornitologia maniacale e la pulsione assassinadell’implume Bates sarebbero diventate incuboseriale. Gli uccelli, moltiplicazione a catena d’uninnocente, ma non innocuo, automatismo omi-cida, ampliano su un’intera comunità la deviataaggressività domestica di Psycho. Quante docce?Gli scolaretti in corsa sotto la pioggia di becchistizziti nell’incalzante “sequenza dei corvi”, la nu-be voracemente distruttiva che piomba sulla cit-tadina in relax e, soprattutto, nel granaio, l’assal-to sadicamente «maschio» dello stormo accanitosul corpo di Tippi Hedren, algida bionda di turno:è la furia di cento coltellate, metafora, ancor piùchiara che in Psycho, dello stupro, reso esplicitoda Hitchcock nel film di dieci anni dopo, Frenzy,dove alla vittima finita in un “contorno” di patatefa da piano alternato l’ispettore che inforchettauna quaglia all’uvetta, eco sardonica dell’incro-cio uccidere-fagocitare, delitto-banchetto.

Per il bis pennuto della doccia, trentadue in-quadrature diverse (meno della metà di Psycho:settantadue), ma altrettanti giorni di lavorazione(sette) per una sequenza di poco meno d’un mi-nuto che diventerà anch’essa un cult. E analogo ri-corso a una controfigura, stavolta per collasso ner-voso dell’attrice, ricoverata in ospedale con un oc-chio pesto e contusioni varie. Perché gli uccellimeccanici inizialmente previsti (costati duecen-tomila dollari sui due milioni e mezzo del budgettotale) furono scartati dal regista che preferì ricor-rere agli originali, pazientemente attaccati con fili

(quasi) invisibili dalla costumista Rita Riggs al tail-leur della Hedren. Gli uccelli, insomma, sono sta-ti il vero problema de Gli uccelli. Per tentare di ad-domesticare almeno parte d’un esercito di mi-gliaia di volatili d’ogni specie, catturati con grandidifficoltà tra gli scarichi di Bodega Bay, fu impie-gata un’équipe al comando di Ray Berwick, addet-ta poi a nutrirli e curarli fino all’ultimo ciak. Tra itrucchi più ingegnosi per trasformarli in diligentiinterpreti, le mini-calamite attaccate da RobertBoyle alle zampe delle cornacchie perché si alli-neassero in buon ordine su una grondaia primadell’attacco mortale: con il risultato che, nel tenta-tivo di volar via, i pennuti ruotarono in avanti, re-stando appiccicati a testa in giù in bella fila, spie-dino pendulo. Più pragmatico, Hitchcock adottasoluzioni elementari, basate sulla semplice illu-sione ottica, mescolando silhouette piatte ai corviveri o posticci: «Lo spettatore non può accorgerse-ne, perché l’occhio capta prima di tutto il movi-mento: vede uccelli vivi e inconsciamente gli pareche lo siano tutti». Per gli effetti speciali più com-plessi, ricorre invece al falso più dichiarato: il dise-gno animato con tutte le tecniche del momento(rotoscopio, vapore di sodio e pittura di sfondi).Suo complice è il veterano Ub Iwerks, antico papà,con Walt Disney, di Topolino, che nei numerosipiani d’attacco incorpora tra gli uccelli le sagomeanimate, meritandosi per gli effetti visivi l’unicanomination agli Oscar, soffiatogli da Emil Kosa jr.per Cleopatra. In una recensione mingherlina do-po l’anteprima mondiale a Cannes 1963 — evoca-ta ora dalla Cinémathèque Française che celebra icent’anni degli Universal Studios — FrançoisTruffaut definisce Gli uccelliun «film d’effetti spe-ciali ma realistici» (371 piani sui 1400 del film, unrecord allora, anche per il budget a disposizione) epromuove il regista, d’affermata maestria, «atletacompleto del cinema». Atletismo non solo otticoma anche sonoro. L’autore ottiene finalmentequel che non gli era riuscito in Psycho: evitarel’obbligo della musica e sfruttare le valenze emo-tive del suono, per accrescere nello spettatore unsenso di malessere. Con i compositori Remi Gas-smann, Bernard Herrmann (qui solo superviso-re) e Oskar Sala, che aveva perfezionato il Trau-tonium, sintetizzatore dei suoni naturali, il regi-sta innesta strida d’uccelli alterate elettronica-mente proprio quando ci si attenderebbe la mu-sica. Risultato: picchi di suspense e d’angoscia.Perché, spiega Hitchcock, «per rendere al meglioun suono, occorre immaginarne il dialogo equi-valente. E nel granaio, che cosa direbbero gli uc-celli alla donna? “Ora lei è nostra. E noi le stiamoaddosso. Non abbiamo bisogno di lanciar gridadi trionfo né di cedere all’ira: commetteremo unassassinio silenzioso”». Come dire: «Me la man-gio come un uccellino».

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MARIO SERENELLINI

1963/2013.Gli uccellacci di HitchcockRepubblica Nazionale

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DOMENICA 27 GENNAIO 2013

Adifferenza di quanto comunemente si crede, Gli uc-cellidi Hitchcock non è un film che vuole impressio-nare il pubblico gettandolo in uno stato di panico.

Piuttosto vuol raccontare l’angoscia più primitiva, più pri-mordiale, da cui l’umanità non ha ancora cessato di difen-dersi: l’angoscia dell’imprevedibile.

Per difendersi dall’imprevedibile l’umanità ha semprecercato una causa che consentisse di prevedere l’effetto, equando questa causa non era reperibile in natura, la cerca-va in una colpa individuale o collettiva, a cui ricondurre lapunizione che si abbatteva sul singolo o sulla comunità. Nona caso gli antichi Greci chiamavano la “causa” ela “colpa” con la stessa parola: aitía.

Nel film di Hitchcocknon c’è una ragione percui stormi di uccelli im-pazziti si abbattano sugliabitanti di un piccolo bor-go a sud di San Francisco,non c’è una colpa che giu-stifichi questa punizione,non c’è un rimedio che con-senta di mettersi in salvo dal-la comparsa improvvisa degliuccelli che, nel loro volo preci-pitoso e disorientato, non con-sentono ad alcuno di difender-si. Ecco l’angoscia primordiale,l’angoscia dell’imprevedibile, acui gli uomini hanno cercato diporre rimedio abitando progres-sivamente il paesaggio della ra-gione, che ha tra i suoi cardini por-tanti il principio di causalità. Quan-do si conosce la causa, l’effetto è pre-vedibile e la sua comparsa non in-quieta. Ma soprattutto, quando si co-nosce la causa è anche possibiletrovare il rimedio e salvarsi dal pericolo.

Oggi l’umanità ha raggiunto un livellodi razionalità che non ha confronto conle epoche precedenti e, grazie a questarazionalità, ha trovato rimedi a moltimali. Ma l’imprevedibile è sempre mi-nacciosamente alle porte. E qui nonpenso alla Terra che improvvisamentetrema causando sciagure a uomini e ca-se, o agli tsunami che senza preavvisoinondano cancellando ogni traccia delpaesaggio e di chi lo abitava. Pensopiuttosto a quell’imprevedibile chenon dipende da un deficit di cono-scenza come agli albori dell’umanità,ma da un eccesso di conoscenza checrea, con l’insieme dei suoi macchi-nari, un mondo a tal punto artificiale dacompromettere irrimediabilmente ilmondo naturale o, come oggi si dice l’eco-sistema, per cui a perdere l’orientamentonon sono solo gli uccelli, ma tutte le specie,compresa quella degli umani.

Forse questo è il motivo che percorre l’inte-ro film di Hitchcock, se è vero che uno dei per-sonaggi a un certo punto dice: «È la razza uma-na che rende difficile la vita sulla Terra». E que-sto non solo agli uomini, ma anche agli altri abi-tanti della Terra, di cui la cultura antropocentri-ca, ormai diffusa in tutto il mondo, ha smesso diprendersi cura, fino a perderne quasi la memoria.Se questo è il pericolo, si capisce perché Hitchcock,al termine del suo film, a differenza degli altri da luidiretti, non metta la parola “Fine”.

L’angoscia primordiale dell’imprevedibile

UMBERTO GALIMBERTI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LE IMMAGINI

Sopra, gli storyboard degli Uccelli(da Hitchcock’s Notebooks di Dan Auiler,

Avon Books). Nella foto grande,

Tippi Hedren attaccata dai corvi mentre

Hitchcock seduto mangia un pollo

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Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 34

DOMENICA 27 GENNAIO 2013

NextE-recruitment

WEB

Un’azienda su quattro usa social network e siti specializzati in contatti professionali per selezionare il suo personale. Presto non servirà nemmeno inviare il curriculum: l’interazione con i candidati avverrà solo online. Eccoperché per farsi assumere si deve gestire con attenzione la propria reputazione virtuale

«Bisogna considerare sestessi come cacciatori enon prede delle azien-de. Siamo noi a doverscegliere la vita e il lavo-ro che desideriamo...

così i social e la Rete possono aiutarci». Parolecolte da un gruppo di discussione su Linkedin,il più popolare social network dedicato ai con-tatti professionali, che esprimono le aspirazio-ni delle ultime generazioni: un mondo merito-cratico, dove le aziende navighino autonoma-mente alla ricerca delle figure più adatte alleproprie esigenze. Un mercato del lavoro demo-cratico, che dia giusta visibilità e pari opportu-nità a tutti. Negli Stati Uniti oltre i due terzi deidirettori del personale utilizzano i siti di profes-sional networking. Google ha selezionato negli

ultimi anni migliaia di dipendenti esclusiva-mente online. Il Vecchio Continente non è ri-masto indietro: già oggi un’azienda su quattroutilizza diversi social network per dialogare coni potenziali candidati (indagine EmployerBranding Online 2012 di Lundquist). «I socialnetwork», conferma Stefano Scabbio, presi-dente di ManpowerGroup Italia, «sono entratia pieno titolo nel processo di selezione del per-

sonale. Il datore di lavoro li utilizza intanto percapire che tipo di persona sei, per questo è fon-damentale che i giovani gestiscano con accor-tezza la loro presenza in Rete: i selezionatori lascandagliano per verificare in profondità gliaspetti del profilo dei candidati». «Da circa unanno e mezzo il mercato delle ricerche è cam-biato profondamente», conferma Paolo Citte-rio, presidente di Gidp, l’associazione dei diret-

tori delle risorse umane. «Un tempo si rivolge-vano al loro archivio di curriculum, adesso siaiutano con le ricerche condotte sui socialnetwork, anche perché rivolgersi alle società direcruiting costa». L’attenzione da parte delleaziende spingerà sempre di più i social network,assicura Citterio, a costituire canali privilegiatie rendere i meccanismi di ricerca più raffinati,chiedendo però un contributo economico agliutenti: «In parte lo fanno già. Per esempio anchein questo momento, mentre ci parliamo, daLinkedin mi dicono che il mio curriculum è sta-to visto da quattro utenti, e mi invitano a versa-re una piccola cifra se voglio che venga visiona-to da altri soggetti interessati».

Un maggiore uso dei social network potreb-be essere favorito dagli enti che, come Alma-laurea, si pongono come obiettivo l’inserimen-to dei neolaureati nel mercato del lavoro. «Almomento il ricorso ai social network per finalità

ROSARIA AMATO

LINKEDIN

È il principale social network

specializzato nell’attività

di stabilire e sviluppare i contatti

professionali. Presente in 200

paesi, ha superato 160 milioni

di professionisti iscritti

FACEBOOK

Il più popolare dei social network

ha sviluppato reti di ricerche

di lavoro, a cominciare da quelle

di Kelly Services e Gi Group,

attraverso le quali gli utenti sono

informati sulle offerte interessanti

TWAGO

Piattaforma nata in Germania,

mette in contatto aziende

e freelance nel settore

dell’Information Technology

e nella grafica. I rapporti di lavoro

sono esclusivamente in outsourcing

A caccia di lavoroarmati di una Rete

Il 9%delle imprese

utilizza i social

network per la ricerca

di dirigenti e quadri;

il 6%per la ricerca

degli impiegati

SOCIALNETWORK

INTRANET

Il 7% delle imprese

utilizza il proprio sito

intranet aziendale

per la ricerca

di dirigenti e quadri;

il 9% lo utilizza

per la ricerca

degli impiegati

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 27 GENNAIO 2013

E-recruitment

GL

OSSA

RIO

Googlare So.lo.mo.Procedimento

di selezione dei candidati

da parte di un’azienda

attraverso canali online

(sito internet, motori

di ricerca, social network)

Reti costituite su Internet

dalle imprese

o da imprenditori,

che servono a connettere

realtà economiche

e i loro protagonisti

Cercare su Google

Nel caso della selezione

dei dipendenti, significa

cercare informazioni

su un candidato

mediante Google

Insieme di strategie usate

da un’azienda attraverso

la Rete per trovare

candidati, attrarli

e instaurare con loro

un rapporto di lavoro

Acronimo di Social,

Local, Mobile. È la nostra

era delle comunicazioni,

attraverso la quale deve

agire anche chi offre

o cerca lavoro

di recruitment è intorno all’11 per cento», spie-ga Francesca Ralli, tra i curatori dell’indagine“Percezione dei laureati da parte delle imprese”condotta da Almalaurea con l’Università di Bo-logna e Sw, «ma se guardiamo solo alle piccolee medie imprese, che in Italia rappresentano ol-tre il 90 per cento del tessuto produttivo, ci si fer-ma al 4-5 per cento. Ed è un peccato perché è uncanale che i ragazzi utilizzano molto, che legrandi aziende conoscono bene, ma che le pic-cole imprese fanno fatica a utilizzare, perchéspesso della selezione del personale si occupa-no il proprietario o il direttore dell’azienda, cheanche per ragioni anagrafiche hanno poca di-mestichezza con i social network». L’idea di Al-malaurea, spiega Ralli, è quella di svolgere in-dagini periodiche per capire quali siano le esi-genze delle imprese, e “incrociare” questi daticol proprio database che include un milione esettecentomila laureati, arricchendolo con ele-

menti rintracciabili attraverso i profili “social”.La rivoluzione sta per arrivare dunque anche

in un mercato del lavoro asfittico come quelloitaliano, dove le conoscenze personali e fami-liari sono l’unica carta da visita dall’esito certo(il 55 per cento dei giovani trova la prima occu-pazione attraverso segnalazioni di parenti eamici, rilevava l’Istat in un’indagine del 2010;secondo Unioncamere viene assunto per co-noscenza diretta il 50,7 per cento dei dipenden-ti, ai quali è da aggiungere un 10,3 assunto sullabase della segnalazione di conoscenti/fornito-ri). Del resto il 91 per cento degli italiani tra i 18e i 30 anni è iscritto a un social network, il 55 percento a un forum, il 34 segue uno o più blog concontinuità, il 17 ne ha uno proprio (dati Due-puntozero): decisamente, i tempi sono maturi.«Grazie allo sviluppo del web e dei social, co-mincia a diventare determinante l’identità di-gitale legata alla persona», dice Davide Neve,

ceo di Skillbros, startup nata da alcuni mesi conl’obiettivo di permettere ai propri utenti di“vendere” in rete le proprie competenze. Il fu-turo, assicura Neve, vedrà uno scambio di ruo-li tra selezionatori e chi cerca di lavoro: «La pri-ma fase non sarà più l’invio di un curriculumcon conseguente attesa di un primo colloquio,ma l’interazione diretta con l’azienda che avràcon il candidato un primo approccio online».

Ma non è detto che le relazioni e i contatti sta-biliti in Rete portino a un rapporto di lavoro tra-dizionale. Possono anche mettere insieme ta-lenti, e favorire la nascita di startup. Ancora unavolta, gli Stati Uniti hanno giù tracciato la stra-da, anche perché, assicura Neve, «da noi s’inve-ste nelle startup l’equivalente di un dollaro perpersona contro gli 84 investiti in America e i 15-20 investiti in Germania». Se tutti gli analisticoncordano nell’affermare che quello dei so-cial network sarà il canale privilegiato di con-

fronto e azione in futuro, e la “reputazione” vir-tuale farà guadagnare o perdere molte oppor-tunità, è difficile stabilire qual è attualmente ilpeso dell’e-recruitment in Italia. Qualche mesefa ha avuto molta risonanza un’indagine diffu-sa da Hr & Communication specialist, secondola quale il 37,5 per cento delle imprese usa i so-cial network per la selezione dei candidati. Mada altre ricerche emergono risultati meno en-tusiasmanti: secondo l’indagine Excelsior diUnioncamere meno del 3 per cento delle im-prese ha utilizzato nel 2011 i social network peril recruitment. Più ottimistici i dati di Gidp: i so-cial network vengono usati per selezionare di-rigenti e quadri dal 9 per cento delle imprese;per gli impiegati la percentuale scende al 6. Mapercentuali a parte una cosa è chiara a tuttio: illavoro 2.0 è già cominciato e, assicura Scabbio,«non torneremo indietro».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Stefano Scabbio Presidente di ManpowerGroup Italia

MONSTER

Tra i principali motori di ricerca

che aggregano le offerte di lavoro

della stragrande maggioranza

di aziende italiane ed estere,

permettendo di filtrarle per sede,

settore, tipo di contratto

SKILLBROS

Il primo marketplace italiano

della conoscenza. Permette

di crescere professionalmente

attraverso il miglioramento

delle proprie conoscenze e l’uso

ottimale dei social network

ALMALAUREA

Consorzio universitario che fa

da ponte tra gli atenei e il mondo

del lavoro. Dispone di una ampia

banca dati di laureati messa

a disposizione delle imprese

e pubblica offerte di lavoro

‘‘

Il 6% delle imprese

utilizza per la ricerca

di dipendenti

i siti web specializzati

nell’incontro tra domanda

e offerta di lavoro;

il 9% per la ricerca di quadri

e il 7% per quella

di impiegati

RICERCA

In futuro chi saprà

costruirsi una solida

identità su Internet

e social network

specializzati, e saprà

monitorarla attraverso siti

come Klout, sarà sempre

più ricercato dalle aziende

e in grado di mettersi

in contatto con persone

con cui creare iniziative

di lavoro. Ma le applicazioni

più raffinate saranno

a pagamento

I social network sono entrati ormaia pieno titolo nel processo di selezionedel personale. Il datore di lavoro li utilizzaper capire che tipo di persona sei

FONTE: GIDP/HRDA

Business networking Employer branding

CARTA D’IDENTITÀ

Repubblica Nazionale

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I saporiVellutati

Morbida, corroborante,golosa, ma anche leniti-va, seducente, idratante.La crema è un premio,una coccola che ci rega-liamo, vuoi in versione

beauty — da barba, abbronzante, anti-ru-ghe — vuoi in versione alimentare. Cambial’utilizzo — dentro o fuori dal nostro corpo— ma non il concetto, che ruota intorno aprotezione e nutrimento. L’inverno richie-de strategie di difesa a tutto campo, scalda-re lo stomaco in primis. Le creme sono unpasso oltre il brodo e uno prima delle zup-pe: non si masticano, ma nemmeno si in-gollano, sono eccellenti servite in beata so-litudine, ma funzionano benissimo in com-pagnia di altri ingredienti, abitano il menùsenza problemi dall’antipasto al dolce, inequilibrio perfetto tra salato e dolce. La con-sistenza (textura in spagnolo, termine in-traducibile e perfetto) permette di modula-re gli ingredienti a proprio piacimento: pa-tate e castagne, riso e semola, fagioli e ricot-ta, una volta passati al mixer si prestano a ri-cette sapide o zuccherine, indifferente-mente. Le creme sono facili da pensare,veloci da preparare, salubri, economiche:bastano uno o più ingredienti-base e il giu-sto utensile da cucina per trasformare fi-nocchi, zucchine, lenticchie in altrettanteprelibatezze. A cambiarne il destino, incre-mentandone a dismisura la popolarità, l’in-gresso nelle cucine di casa di frullatori a im-

mersione (Minipimer) e termomix(Bimby).

Se un tempo gli unici modi per ottenerela giusta texturaerano il passaggio al frulla-tore (scomodo e con il brivido dello shocktermico per il vetro) e il passaverdura (cheperò insieme alle bucce trattiene anche lefibre) oggi anche il più sprovveduto fre-quentatore dei fornelli non fatica a prepa-rare la sua personale ricetta cremosa, a par-tire da frutta o verdura, cereali o legumi,bacche o latticini. Abilità e talento ne mol-tiplicano i sapori. A volte, basta poco: lascelta di materie prime biologiche, la cot-tura al vapore invece che in acqua, un cuc-chiaio di extravergine, una spolverata diparmigiano, un nonnulla di zenzero frescograttugiato, qualche cubetto di speck o dipane casereccio raffermo spadellato conolio ed erbe aromatiche.

La cucina d’autore pencola tra la nobili-tazione delle creme «in purezza», che sianoun primo piatto o un dessert, e la costruzio-ne di piatti complessi. Così, Massimo Men-tasti de “La Gallina” di Monterotondo diGavi (Alessandria) impreziosisce la cremadi cavolfiore — sbollentato e mixato insie-me a una riduzione di panna, più sale e pe-pe — con pezzetti di limone di Sorrento pe-lato a vivo, acciughe e grissini affumicatisulla corteccia, per richiamare il profumodelle stufe nelle cucine d’antàn. Al contra-rio, Nino Di Costanzo del ristorante bistel-lato “Mosaico” (hotel Terme Manzi, Ischia)utilizza due creme, piselli e peperoni, comeletto per seppie e tonno nella costruzionedel magnifico “Mare in terra”.

Gli irriducibili del dolce, insoddisfattidelle sole versioni salate, si consolino con ilpiù classico dei tiramisù: la crema di ma-scarpone, meglio se profumata con mezzatazzina di buon rum, non tradisce mai.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LICIA GRANELLO

CremeCremecontro

Il confinetra il dolcee il salato

Patate e castagne, riso e semola,

fagioli e ricotta.Basta passarli al mixercon un cucchiaio di olio, una spolveratadi zucchero o un tocco di zenzeroper trasformarli in ricette morbide e goloseDall’antipasto al dessert

Repubblica Nazionale

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LA RICETTA

Ingredienti per 4 persone

1 broccolo grande8 carote4 topinambur 1 rapa1/2 sedano rapa4 rapanelli sale qbextravergine qbaceto di lamponi qb½ cucchiaino di mieleerbe aromatiche (dragoncello, basilico,erba cipollina)

Staccare le cime dai broccoli, eliminandola parte legnosa. Bollire 3’ in acqua salatae raffreddare in acqua e ghiaccio. Riservarnequalche infiorescenza. Tagliare la parte altadelle carote (circa 4 cm), lasciando intattoil ciuffo. Cuocere 4’ in acqua bollente salata

e raffreddare in acqua e ghiaccio. Tagliare i topinambur, la rapa e il sedano rapa, cuocere

insieme 6’ e raffreddare in acqua e ghiaccioFare un soffritto con olio e due spicchi di aglio

in camicia, eliminare l’aglio e soffriggere i broccoli per qualche minuto,versare un mestolo d’acqua di cottura, frullare e aggiustare di sale e pepenero. Scaldare le verdure, condirle con olio, sale, aceto di lamponi e mieleVersare la crema ben calda, disponendo sopra le verdure, i rapanellia fettine e le erbe aromatiche. Decorare con fiori eduli

Salernitana trapiantata

a Milano, Viviana Varese

guida la cucina di “Alice”,

ristorante stellato

dove le verdure vanno

spesso in passerella,

come nella ricetta ideata

per i lettori di Repubblica

Gli indirizzi

DOVE MANGIARE

GLI SCACCHI

Strada Provinciale per Caserta Vecchia

CasertaTel. 0823-371086

Chiuso lunedì, menù da 35 euro

LE QUATTRO FONTANE

Via Quartiere Vecchio 28

Casagiove Tel. 0823-468970

Chiuso domenica sera, menù da 30 euro

‘A LUNA ROSSA

Via Vinciguerra 106

BellonaTel. 0823-966858

Chiuso lunedì, menù da 30 euro

DOVE COMPRARE

TORREFAZIONE

CERRONE

Via Mascagni 4

Santa Maria Capua VetereTel. 0823-845788

PASTICCERIA

PELOSI

Via Roma 206

Aversa Tel. 081-8901503

BIO ALIMENTARI

ARMONIA

Via Giangifrotta 74/B

San Prisco Tel. 0823-1687322

DOVE DORMIRE

PLANA HOTEL

Via Domenico Mondo 69

CasertaTel. 0823-495148

Doppia da 70 euro, colazione inclusa

B&B ART

Via Avezzana 3

Santa Maria Capua Vetere Tel. 393-9236401

Doppia da 50 euro, colazione inclusa

MASSERIA DELLA CASA

Via Mario e Silla 10

Sant’Angelo in Formis di CapuaTel. 0823-960358

Doppia da 55 euro, colazione inclusa

Sulla strada

Dove si venera il dio Broccolo

Se volete scoprire la terra delle antiche madriscordatevi l’autostrada. È molto meglio anda-re random per borghi e campagne inseguen-

do i profumi della storia. Che qui ha sempre l’odo-re verdeumido di una natura provvida e generosa.Per me la porta ideale di questa Campania Felix so-no le architetture oniriche dei ponti di Maddaloniche volano vertiginosamente da una montagna al-l’altra. Furono costruiti nel Settecento per portareacqua alle fontane della reggia di Caserta.

In pochi minuti si raggiunge il grandioso anfitea-tro di Santa Maria Capua Vetere, dove andarono inscena i combattimenti dei gladiatori tre secoli pri-ma del Colosseo. Si conserva ancora l’elmo di Spar-tacus, che qui era di casa. A un tiro di schioppo si tro-va lo straordinario tempio sotterraneo di Mitra, ildio bambino adorato dai gladiatori. Che illumina

come un sole il grembo oscurissimo della terra. Ri-saliamo alla luce come rinati. E per di più affamati.E allora andiamo senza indugi alla “Luna Rossa” diBellona, un paese che ha il nome dell’antica deaguerriera, dove salsicce e broccoli sono le divinitàsupreme della tavola. E adesso siamo pronti per ladiscesa alle Madri. Che ci aspettano al Museo Cam-pano di Capua. Le imponenti gigantesse di tufo so-no sedute in cerchio e tengono tra le braccia neonatiin fasce che sembrano spighe di grano. Ci guarda-no impenetrabili dalle profondità del tempo facen-doci sentire gli ultimi arrivati. Per riprenderci dallosturmunddrang estetico c’è un solo rimedio. Cor-rere a Vairano Patenora per rifugiarsi al “Vairo delVolturno”. E farsi coccolare da Renato Martino. Lesue meravigliose creme di broccoli con alici e le vel-lutate di zucca con funghi rendono assolutamentemitico questo viaggio archeogourmand.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ZuccaIn bilico soave tra dolce

e salato, parte dalla cottura

in forno delle fette

per eliminare più facilmente

la buccia. Poi cottura lenta

con acqua e latte

RisoBollitura prolungata

della varietà “originario”,

dal chicco piccolo e tondo

che rilascia amido nell’acqua

(o brodo) di cottura

Frullare con poco olio

LenticchieNel coccio a sobbollire

fino a quando si sfaldano,

poi ripassate in un soffritto

leggero. Versione rustica

con dadini di pane

e pancetta spadellati

CavolfioreCotto al vapore in maniera

graduata (prima il gambo,

più duro). Passato nel mixer

preservando qualche

infiorescenza da insaporire

in extravergine

PolloBollito, tritato finissimo

e aggiunto a un fondo di burro

e farina diluito col brodo

Dopo un quarto d’ora,

qualche cucchiaio di panna,

pepe e parmigiano

ZabaioneLa regina delle creme dolci

e alcoliche richiede muscoli

tonici per sbattere tuorli

e zucchero. Cottura

a bagnomaria con Marsala,

sempre mescolando

BananePer guarnire le torte

o farcire le crêpe,

la crema di banane

frullate con panna,

zucchero a velo

e succo di limone

Infine una spolverata

di cannella

CioccolataDalla ricetta più semplice

— latte, zucchero, cacao,

poca maizena per inspessire

— alla scelta di fondente

e peperoncino (o zenzero)

per la versione hot

CastagneConsistenza cremosa

e delicatamente dolcesalata,

che si utilizzi come minestra

(funghi, frutta secca,

selvaggina) o come base

del glorioso Mont Blanc

RicottaFarcitura tradizionale

dei tortelli di magro insieme

alle erbette o dessert

irresistibile se lavorata

con cacao amaro, zucchero

e un nonnulla di rum

CatalanaIl marchio dello zucchero

caramellato sigilla il piccolo

coccio con la crema

a base di latte, uova,

zucchero, maizena e buccia

di limone cotta nel forno

MARINO NIOLA

ILLU

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Orto (crema di broccoli, verdure in agretto, erbe aromatiche)

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 27 GENNAIO 2013

Precoce sul palco, “a soli quattordicianni lavoravo con Visconti”,come nell’amore, “Ero ancorauna ragazza quando mi feci conquistaredal cinquantenne Aroldo Tieri:

un Leone (io) ammansitoda una Vergine (lui)”E oggi che ha superatoi settanta, alternandositra teatro, tv e cinema,confessa: “Adesso

mi piacerebbe scrivere,se non fosse che leggo giàtroppe cose brutte...”

ROMA

«Non so se è sta-to un bene oun male, maho vissuto tut-

to in anticipo. A quattordici anni recita-vo con la regia di Visconti. A diciotto erola protagonista femminile del primo Ri-corda con rabbiadi Osborne in Italia, di-retta da Sbragia. A diciannove sono ap-parsa in televisione. A vent’anni mi so-no sposata, l’anno dopo ho avuto il pri-mo figlio, Davide, e a ventiquattro m’ènata Sabrina. A ventisei anni scendo aSiracusa per recitare con Aroldo Tieri,che avevo già conosciuto, e vado incon-tro a un destino che mi segnerà tutta l’e-sistenza». Donna di carattere, attricedeterminata, personalità cocciuta, ma-dre travagliata, partner indomita e cit-tadina sensibile, Giuliana Lojodice,classe 1940, artista per tutte le stagioni,fornisce subito i suoi “segni particola-ri”: «Sono positiva, di negativo ho qual-che occasionale sfuriata sul lavoro. Nonammetto la sopportazione: quello chec’è da fare e da dire, si faccia e si dica. Sodi incutere una certa soggezione, e midispiace. Ho fatto tanto, e ho dato tan-to, e ho ricevuto molto. Nessuno ha maisaputo che a un certo punto non sonostata bene, ma è successo. Zingara dilusso, preferisco vivere in albergo, an-che se adesso ho rifatto casa. Politica-mente da quando voto sono di sinistra,anche se alcune idee le condivido e al-tre no. Ho un temperamento deciso,ma poi sono anch’io malinconica, etendo a chiudermi. Non c’è stato nien-te di più bello di un Leone (io) amman-sito da una Vergine (Aroldo)».

Precoce. E intraprendente, dram-matica, brillante, popolare, intellettua-le. Sempre una questione di indole.«Fin da ragazzina avevo la disposizionetipica pugliese della capatosta, dell’in-cosciente, ed ero intollerante alla scuo-la salvo quando mi facevano “recipic-chiare”, recitare. Mi ricordo che unasuora laica disse a mia madre “questabambina ha del talento”, e più tardi unprofessore di italiano sentenziò “deverecitare”. Il palcoscenico arrivò peròsotto forma di palestra di danza, perchécondivisi con mia sorella la scuola dellaRuskaja: lei andava bene perché eramagra come un chiodo, io invece nonreggevo alla fatica. Finché mia madre(insegnante di Lettere severa e geniale,che preferiva le borgate dove la facevafare sotto ai ragazzi col coltello nel ban-co) seppe da un’ispettrice di danza cheil cognato di lei, Valerio Zurlini, prepa-rava un film, e cercava un’adolescentedella mia età (quattordici anni), per unprovino. In calzettoni bianchi, scarpe divernice e gonna a pieghe vado da Zurli-ni. C’era pure Beppe Menegatti. Lì mipresi la prima cotta per un uomo matu-ro, per Zurlini appunto, che era moltopiù grande di me, e da brava Lolita in er-ba tornai da lui di mia iniziativa, da so-la, con un pretesto. Ma lui mi rispedì acasa. Sennonché Menegatti m’avvisòche Luchino Visconti visionava delleragazze per Il crogiuolo di Miller con laBrignone e Santuccio. Vado accompa-gnata da mamma che era stata in classecon Luchino, e lui concluse che andavobenissimo per fare la streghina (ero inun coro di invasate con la Betti e la Asti).Così entro nello spettacolo e comincioa quattordici anni e mezzo la tournée,con mio padre che, dirigente dell’Inail,lo viene a sapere tornando a Roma dalMessico. “Ciccia in tournée?!” (io michiamo anche Francesca, in onore diun mio zio Ciccio di Corato), ma abboz-za». Lì è gavetta in tutti i sensi. «Mi inna-morai follemente di un attore, ma dor-mivo con due ragazze in pensioncine, emi divertivo come una matta. Tornan-do a Roma non volli più andare a scuo-la, e aspettai i sedici anni per entrare inAccademia, dove avevo già provato aessere ammessa, costringendo il diret-tore Silvio d’Amico, cattolico, a metter-si le mani nei capelli perché come pro-va avevo portato Proibito di TennesseeWilliams. A farla breve, mi prendono,non finisco però di diplomarmi, accet-tando nel frattempo la scrittura per Ri-corda con rabbia. Come donna, a di-

ciotto anni, ero ormai svirgolina e sca-fata, con un flirt accademico e varie at-tenzioni di uomini maturi, tra cui Leo-poldo Trieste che si prese una cotta paz-zesca per me. Lui logorroico folle (m’af-fascinava la chiacchiera), io che nonmollai finché cedetti a quello che sa-rebbe stato il mio primo marito, MarioChiocchio, bellissimo compagno di la-voro più grande di me di tredici anni, dacui ebbi presto i miei figli». Ma un pro-logo di lei ancora diciannovenne avreb-be cambiato tutte le carte in tavolo. «Ap-pena entrata in tv m’ero imbattuta inAroldo che, da gran volpe, mi invitò acasa sua per un tè, e io, ancora non spo-sata, l’andai a trovare a scappa e fuggi,ispirandogli una battuta ironica quan-do mi salutò, “tanto tu qua stai”, cui rea-gii ridendogli. Fatalità volle che, appe-na uscita da un Ciao Rudy con Ma-stroianni ci si ritrovasse sette anni piùtardi in un’Antigone, a Siracusa. Colpodi fulmine. Lui, cinquantenne, seppeprendere la farfallina. Il suo charme, lasua testa, la sua dedizione seria annul-larono i ventiquattro anni di distanza

tra noi, e iniziò una storia durata quat-tro decenni, finché lui c’è stato». Co-minciò anche, per Giuliana Lojodice,una difficile scissione famigliare. «Fugrave, lo so, che i miei scoprissero la co-sa attraverso le insinuazioni della stam-pa, e scoppiò un disastro, finimmo daicarabinieri. Per evitare una “separazio-ne per colpa” io accettai che i figli coa-bitassero col padre, anche se poi presiin affitto una camera sopra di loro e tut-ti i giorni piombavo a pranzo per starecon Davide e Sabrina. Più tardi, Aroldomi chiese di andare a vivere a casa sua.Soffrii, sempre tra l’incudine e il martel-lo, perché i miei figli sopportavano ap-pena il mio legame con Aroldo, e lui erasilenziosamente geloso. Ma ognuno èstato splendido, e sono anche riuscita ariunire tutti in un clima di famiglia al-largata, lavorando scritturata da Marioin una Danza macabra di Strindbergcon Herlitzka».

La carriera di Giuliana, per tantotempo consolidata dal marchio artisti-co con Aroldo, registrerà man mano al-tre occasioni, come Copenaghen diFrayn con Orsini e Popolizio, e Le con-versazioni di Anna K. di Chiti da La me-tamorfosi. «Aroldo cominciò a sentireche io accettavo anche cose diverse, ti-po Quel che sapeva Maisiedi James conRonconi, e rimase anche un po’ male,ma mi adorava e faceva finta di non es-sere geloso. Noi stavamo troppo beneinsieme: o mi faceva incazzare a morte,o mi faceva ridere, perché era diverten-tissimo. Mi conquistava con una bar-zelletta, e quando rideva lui per primomi incantava: aveva la bocca più bellad’Europa, e aveva avuto donne da pri-ma pagina, io le so tutte, e lo superavo ingelosia. Siamo stati due meridionali...».

Se ne stupisce lei stessa, di questa fer-rea vocazione. «Da quando ho comin-ciato a stare con lui non ho più guarda-to in faccia gli altri uomini, come se mifossero caduti tutti gli ormoni, e invecece li avevo tutti». I capelli di GiulianaLojodice sono stati un termometro difemminilità e disciplina, e storia del co-stume. «Ce li ho avuto castani scuri, lun-ghi fino alla vita. Poi biondi per Nina nelGabbiano, per un bel po’ col taglio Ver-gottini, e ricci e spontanei solo in Esulidi Joyce, e rosso irlandese per OscarWilde, e per Care conoscenze e cattivememoriedi Horowitz». Fondamentale,questo lavoro, che nel 1992 ha rivelatoun altro-da-sé temibile e bellissimo dilei. «La scelta del testo fu di GiancarloSepe (col quale abbiamo condiviso

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L’incontroLeonesse

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Fin da bambinaho la disposizionetipica pugliesedell’incoscienteEro intollerantealla scuolasalvo quandopotevo recitare

Giuliana Lojodice

RODOLFO DI GIAMMARCO

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molte storie importanti, fino a L’aman-te inglesedella Duras), io non m’ero maibuttata in un ruolo così violento. Smisidi fare la bella donna e la signora del tea-tro, stronzate che ci riempiono la testaper narcisismo, mentre qui c’era dabuttar fuori la tempra di una magra ecattiva quasi assassina, animata da vo-glia di rivincita su un professore che harovinato lei e famiglia, finché costui,prima di morire di cancro, le fa capire,con un nuovo esame di musica, dovesta l’impeccabilità, la conoscenza».

A che imprese attribuisce emozioni?«Al Gabbiano che m’ha fatto capire lamia natura. Per Ciao Rudy ho smessod’essere indolente, affrontando canto edanza. E oltre al testo di Horowitz, unaforte sensazione l’ho avuta in Esuli diJoyce». Dove agisce di più il suo spiritosociale? «Con altri attori mi sono anni faschierata per dare una mano alla casa diriposo dell’attore “Alda Borelli” di Bolo-gna, che era stata ridotta quasi a un la-ger, e con l’appoggio della Regione lastruttura fu restaurata, ma dato che nonsono molti i pensionati il sostegno pub-blico non c’è più, e allora noi soci assi-curiamo almeno il decoro. Do una ma-no anche all’associazione del TeatroEliseo, che tanto ha fatto per noi attoriin decenni passati». Intanto è stata (finoa venerdì scorso) la signora Frola, diret-ta da Michele Placido, in Così è (se vi pa-re), e nel film Una piccola impresa me-ridionale (di prossima uscita) sarà lamadre del regista Rocco Papaleo.

A conclusione. «Preferisco essere se-vera e modesta. Lo sa che se ci pensonon mi dispiacerebbe scrivere? Ma leg-go troppe cose brutte. Adesso stimo so-lo Irène Némirovsky. E ho a cuore il lin-guaggio dei miei figli».

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