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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 19 AGOSTO 2012 NUMERO 390 CULT La copertina ADAM GOPNIK Racconto, dunque sono Così fare storie ci rende umani La recensione FRANCO MARCOALDI La vita di Simic ironia e poesia per ragionare controcorrente All’interno La lettura ALAIN DE BOTTON Non accusate chi vi tradisce il matrimonio è un miracolo Musica ANGELO FOLETTO Claudio Abbado conquista Lucerna con un Mozart emozionante Il libro ALESSANDRO BARICCO Una certa idea di mondo: “Scoprite Spinoza e Leibniz” Tutto su mia madre Come nacque Pippi Calzelunghe Spettacoli ANAIS GINORI e ASTRID LINDGREN Fine dei giochi viaggio nei resti delle Olimpiadi L’attualità GABRIELE ROMAGNOLI BELGRADO «L ui rovescia qualunque cosa, è uno che butta giù tutto». Masha sorride al suo uomo sotto la pergola di un ristorante sulla collina bel- gradese di Vracar: sta parlando di un mae- stro dell’eversione o di un marito pasticcione? Lui le prende le mani attraverso la tavola, urta ben due bicchieri e le inonda il vestito di vi- no bianco. Ridono, lui si scusa. Srdja Popovic, quarant’anni, snello, chiacchierone, accogliente, dichiara tre grandi passioni: i pesci (è laureato in biologia), la spazzatura (è stato consigliere governativo per l’ambiente) e Tolkien (ha creduto a lungo di essere uno hobbit). Ma la sua storia ne testimonia una quarta predominante: per la de- mocrazia. È il direttore esecutivo di Canvas, Center for Applied Non- Violent Action and Strategies: qualcosa che visto da lontano appare molto grande, una specie di istituzione internazionale. (segue nelle pagine successive) LUCA RASTELLO I nuovi profeti della rivoluzione non somigliano più a Che Guevara. Non pensano che il potere nasca dalla canna del fucile. Semmai da twitter e dai cellulari. Il loro riferimento non sono più Lenin o Mao, e nemmeno Khomeini. Sono Gandhi, Aung San Su Kyi, Nelson Mandela. Predicano e fomenta- no la ribellione e la disobbedienza civile, non la guerra civile. Sono l’incubo dei dittatori di lungo corso, si sono rivelati capaci, contro ogni previsione, di scuotere e far crollare come castelli di sabbia re- gimi che sembravano di ferro. La loro “Internazionale” non ha nes- sun “centro”. Non è riconducibile a nessuna delle ideologie “forti” che avevano segnato il Novecento e nemmeno ai sussulti nazio- nalistici e religiosi che poi le hanno soppiantate. Non hanno mai preteso di “esportare” alcunché, nemmeno la democrazia. E co- munque non alla maniera dei nostalgici di Bush. (segue nelle pagine successive) SIEGMUND GINZBERG L’arte ACHILLE BONITO OLIVA Quelle strisce di Daniel Buren che trasformano tutto in pittura Professione rivoluzionario Incontro in esclusiva con Srdja Popovic, lo stratega di ogni rivolta non violenta dal Cairo a Kiev Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 19AGOSTO 2012

NUMERO 390

CULT

La copertina

ADAM GOPNIK

Racconto,dunque sonoCosì fare storieci rende umani

La recensione

FRANCO MARCOALDI

La vita di Simicironia e poesiaper ragionarecontrocorrente

All’interno

La lettura

ALAIN DE BOTTON

Non accusatechi vi tradisceil matrimonioè un miracolo

Musica

ANGELO FOLETTO

Claudio Abbadoconquista Lucernacon un Mozartemozionante

Il libro

ALESSANDRO BARICCO

Una certaidea di mondo:“ScopriteSpinoza e Leibniz”

Tutto su mia madreCome nacquePippi Calzelunghe

Spettacoli

ANAIS GINORI

e ASTRID LINDGREN

Fine dei giochiviaggio nei restidelle Olimpiadi

L’attualità

GABRIELE ROMAGNOLI

BELGRADO

«Lui rovescia qualunque cosa, è uno che buttagiù tutto». Masha sorride al suo uomo sottola pergola di un ristorante sulla collina bel-gradese di Vracar: sta parlando di un mae-

stro dell’eversione o di un marito pasticcione? Lui le prende le maniattraverso la tavola, urta ben due bicchieri e le inonda il vestito di vi-no bianco. Ridono, lui si scusa. Srdja Popovic, quarant’anni, snello,chiacchierone, accogliente, dichiara tre grandi passioni: i pesci (èlaureato in biologia), la spazzatura (è stato consigliere governativoper l’ambiente) e Tolkien (ha creduto a lungo di essere uno hobbit).Ma la sua storia ne testimonia una quarta predominante: per la de-mocrazia. È il direttore esecutivo di Canvas, Center for Applied Non-Violent Action and Strategies: qualcosa che visto da lontano apparemolto grande, una specie di istituzione internazionale.

(segue nelle pagine successive)

LUCA RASTELLO

Inuovi profeti della rivoluzione non somigliano più a CheGuevara. Non pensano che il potere nasca dalla canna delfucile. Semmai da twitter e dai cellulari. Il loro riferimentonon sono più Lenin o Mao, e nemmeno Khomeini. Sono

Gandhi, Aung San Su Kyi, Nelson Mandela. Predicano e fomenta-no la ribellione e la disobbedienza civile, non la guerra civile. Sonol’incubo dei dittatori di lungo corso, si sono rivelati capaci, controogni previsione, di scuotere e far crollare come castelli di sabbia re-gimi che sembravano di ferro. La loro “Internazionale” non ha nes-sun “centro”. Non è riconducibile a nessuna delle ideologie “forti”che avevano segnato il Novecento e nemmeno ai sussulti nazio-nalistici e religiosi che poi le hanno soppiantate. Non hanno maipreteso di “esportare” alcunché, nemmeno la democrazia. E co-munque non alla maniera dei nostalgici di Bush.

(segue nelle pagine successive)

SIEGMUND GINZBERG

L’arte

ACHILLE BONITO OLIVA

Quelle striscedi Daniel Burenche trasformanotutto in pittura

Professionerivoluzionario

Incontroin esclusivacon Srdja

Popovic,lo strategadi ogni rivoltanon violentadal Cairoa Kiev

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 19 AGOSTO 2012

La copertina Si chiama Srdja Popovic, serbo, quarant’anni. Si è fatto le ossacon il regime di Milosevic. Da quando ha fondato un centroper la strategia non violenta, tutti gli attivisti del mondo,dalle primavere arabe alle rivolte arancioni, vanno a scuola da lui“La democrazia”, dice in esclusivaa “Repubblica”, “si conquista con l’umorismo”

L’uomo che insegnaa fare la rivoluzione

(segue dalla copertina)

Visto da vicino appare in-vece molto piccolo, unufficietto con bagno efrigorifero, incastrato inuna struttura commer-ciale semiprefabbricata

a Novi Beograd, quattro impiegati fracui lui stesso. Ma visto e analizzato per lesue imprese, assume proporzioni enor-mi. Candidato al Nobel, inserito da Wi-red nella lista delle «cinquanta personeche cambieranno il mondo» e da Forei-gn Policy in quella dei «cento personag-gi più influenti del pianeta», Popovic èl’uomo che ha fatto dell’azione disob-bediente un marchio e un insieme diprocedure, un sapere esportabile e unamateria di studio universitario. E di co-se ne ha «buttate giù», in effetti: non so-lo bicchieri, dato che c’è la mano di Can-vas nei rivolgimenti politici di paesi co-me Georgia, Ucraina, Libano, Maldive,Tunisia, Egitto. Questo marito goffo èquanto di più simile vi sia oggi alla figu-ra di quello che in passato si usava chia-mare “rivoluzionario professionale”.

La sua fede nonviolenta nasce dalpragmatismo: «Spesso il solo campo incui un movimento civico non può vin-cere è quello militare: affrontare il pote-re su quell’arena è come fare a pugnicon Mike Tyson. Fu l’errore del movi-mento contro l’apartheid in Sudafricaprima della svolta nonviolenta ed è og-gi quello della lotta ad Assad in Siria». Eha solide basi accademiche, come l’a-nalisi sistematica su 323 situazioni diconflitto fra il 1900 e il 2006: «Le campa-gne nonviolente — dice — hanno suc-cesso nel 53 per cento dei casi, quelleviolente nella metà: 26». Popovic siconcentra sulle conseguenze di lungoperiodo: «La posta in gioco nella Primaguerra mondiale — spiega — era il ter-ritorio: vecchi imperi e Stati nascenti incerca di spazio. Il risultato non fu cheun’effimera ridistribuzione delle colo-nie. L’esito della Seconda, che oppone-va le grandi ideologie, fu la Guerra fred-da. La lotta di Gandhi, invece, fu l’iniziodella fine del colonialismo. Il BlackPower ha creato le premesse per unmondo governato anche da neri. Soli-darnosc ha scatenato l’effetto dominoche ha portato al crollo dell’Urss. Gli ef-fetti delle strategie non violente sonopiù concreti sul lungo periodo: produ-cono cambiamenti di civiltà».

Nonostante le ridotte dimensionidella struttura, Canvas ha fornito trai-ning e formazione ad attivisti di oltrequaranta paesi («Siamo dappertuttosul pianeta, come i piccioni. E come lo-ro ci adattiamo a diversi climi e situa-zioni»), ma sono state le “primaverearabe” a metterlo sotto i riflettori, so-prattutto dopo che uno dei leader diPiazza Tahrir dichiarò che il movimen-to egiziano non avrebbe vinto senzal’«addestramento» dei suoi dirigenti aBelgrado. Srdja non ama l’espressione«primavere arabe»: «Vorrei vederle so-stituite da “Estate mediterranea”, unprocesso di reale crescita democraticache coinvolga anche l’Europa, connet-tendosi con movimenti come OccupyWall Street o Indignados». E che cosahanno questi in comune con le rivoltecontro le dittature? «L’indipendenzadalla politica tradizionale e l’età: a Lon-dra, a Madrid, come in Tunisia, o a Ge-rusalemme, in piazza ci sono per lo piùgiovani privati del futuro. Cambia po-co se chi si batte per la sua dignità lo facontro nemici molto visibili come i dit-tatori o più sfuggenti come le banche. Èessenziale però che anche i movimen-ti dei paesi ricchi dicano che cosa vo-gliono: per ora sappiamo soltanto checosa non vogliono. Intercettare biso-gni sentiti e formulare una propria vi-

sione del futuro è la via. In Serbia nel2000 capimmo presto quello che vole-vamo».

Canvas è derivazione naturale di Ot-por (Resistenza), il movimento che ro-vesciò Slobodan Milosevic. In quella fu-cina si forgiarono i suoi strumenti con-cettuali: «Ogni nostro seminario iniziacon qualcuno che dice “Fantastico, mail vostro modello a casa mia non puòfunzionare”. Solo che noi non offriamomodelli, ciò che mettiamo a disposizio-ne è la coscienza degli errori commessi.Otpor ha fatto tesoro di dieci anni di er-rori clamorosi: noi serbi in effetti siamopiuttosto lenti...». Si riferisce alle guer-

re? «Ai nostri atteggiamenti: nel ’92 oc-cupammo il rettorato e proclamammouna libera repubblica, tenevamo semi-nari, concerti e Milosevic era felice esoddisfatto. Noi cantavamo Lennon elui governava. E armava i tank per farfuori i croati. Se ti limiti a occupare unospazio e, peggio, se ti rinchiudi in un’i-dentità, i duecento “intelligenti” chehanno capito tutto e si oppongono aglialieni, hai perso».

Otto anni dopo Otpor spiazzò il regi-me catturando il consenso con umori-smo, strategie a basso rischio («intasarela città guidando lentamente, senza in-frangere alcuna legge; o invitare la gen-

te a far rumore sui balconi all’ora del tgper dimostrare che non li guardava: miopadre batteva una grossa latta d’olio, e ivicini invidiosi misero lo stereo sul bal-cone con su i Metallica»), cura della co-municazione e addirittura del marchio(«Il pugno di Otpor, piuttosto leftist, no?Funziona: l’ho visto persino in Nige-ria»), emarginazione dei violenti («Di-fendemmo la polizia dai tifosi, gli agen-ti videro tutt’altro da quello che raccon-tavano i comandanti e iniziarono a di-subbidire. Se non riconosci l’uomo sot-to la divisa e lo demonizzi, perdi»).

E da tutto il mondo piovvero invitiperché Otpor condividesse la sua espe-

rienza, un’onda che dilagò fino ad ali-mentare sospetti — in verità sollevatidai regimi spaventati — che il movi-mento fosse una specie di creatura del-la Cia. Popovic ride: «Magari bastasse-ro un po’ di dollari e quattro serbi paz-zi: la democrazia nasce dalla solleva-zione di grandi numeri. È facile sosti-tuire un’élite con un’altra élite sul mo-dello guevarista o su quello golpista:quella sì che è roba che si esporta». Can-vas in effetti è quasi interamente finan-ziata dalla Orion, la seconda compa-gnia telefonica serba, proprietà di Slo-bodan Djinovic, vecchio compagno dilotte: «Lo parassitiamo anche — ridac-

LUCA RASTELLO

EGITTO

Al Cairo Piazza Tahrir è diventata

il simbolo delle rivolte

che incendiano da due anni

il Nordafrica. Hosni Mubarak

è stato destituito l’11 febbraio 2011

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 19 AGOSTO 2012

chia Srdja — non pagando le bollette».Capire le ragioni dell’obbedienza e

scardinarle, affrontare la paura, cam-biare la percezione collettiva: «Fu im-portante anche fare del movimentoqualcosa di molto cool, una moda: a uncerto punto se non eri dei nostri non ri-morchiavi...». Così la generazione natanegli anni Settanta, a cavallo fra il ricor-do del benessere titoista e le guerre diMilosevic, vinceva la battaglia per laconquista del senso comune e ridefini-va l’orizzonte dell’azione civica: «Tuttii grandi movimenti all’inizio sono per-cepiti come qualcosa di minoritario,strano e radicale. È accaduto anche a

Greenpeace, ma ora non c’è governoche non abbia una politica ambientale.L’obiettivo per movimenti come Oc-cupy è diventare mainstream». Ingag-giando solo le battaglie che possono es-sere vinte e procedendo per gradi:«Raggiunto un risultato, apparente-mente minimo, ho i numeri per alzareil tiro e passare a strategie offensive dinon cooperazione».

Spudoratamente sincero («Non sipuò negare che incontrare attivistizimbabweani a Città del Capo sia unmodo per rendersi bella la vita»), l’uo-mo che ha fatto dell’umorismo un’ar-ma letale contro i dittatori non rispar-

mia sé stesso: «Adoro le procedure co-dificate. Ne ho una che vale per la pescae per le ragazze: primo, prendi tuttoquello che puoi, secondo pesca alme-no una preda da record, terzo ricordache il peggior giorno sull’acqua è me-glio del migliore al lavoro». Puoi parla-re con lui una notte intera, di politicainternazionale o di ricordi d’infanzia:ne esci comunque provocato, con lasensazione che il mondo sia in fondopiù vasto di quanto pensavi. Un po’ piùintelligente e disposto all’azione. Lui,intanto, ha da farsi perdonare da Ma-sha quella battuta sulla pesca.

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ALLA LAVAGNA

Srdja Popovic

nel suo ufficio

al Canvas

In copertina,

un ritratto

dell’attivista

con alle spalle

il simbolo di Otpor

e in mano

il suo manuale:

La lottanon violenta: 50 punti cruciali,tradotto

in sedici lingue

OTPOR

Popovic,

tra i fondatori

del movimento

di opposizione

“Otpor”,

contribuisce

alla caduta

del presidente

serbo Slobodan

Milosevic nel ’99

UCRAINA

Nel 2004 la “Rivoluzione arancione”

ispirata dalle teorie del Canvas

fa cadere il governo filorusso

di Viktor Janukovic

in favore di Viktor Yushenko

ZIMBABWE

Popovic ha contatti dal 2003

con i militanti non violenti

che si oppongono al presidente

Robert Mugabe,

al potere da oltre trent’anni

TUNISIA

È stata il primo focolaio

delle primavere arabe alla fine

del 2010. Le grandi manifestazioni

di piazza hanno costretto

alle dimissioni Ben Ali

Metamorfosidel ribelleSIEGMUND GINZBERG

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(segue dalla copertina)

Eppure c’è chi li ritiene i maggioriispiratori, sia pure a distanza, deipiù disparati movimenti che ulti-

mamente hanno stupito il mondo. Dal-le Primavere arabe ad Occupy WallStreet. Purché poi non finiscano per de-luderlo anche loro. C’è chi li ha definiti«rivoluzionari riluttanti». Altri comeuna sorta di mosche cocchiere. Qual-cuno addirittura sostiene che il loro po-sare come promotori delle Primaverearabe sarebbe una «interpretazione ci-nica e megalomane della storia». Il piùnoto di questi rivoluzionari di tipo nuo-vo è probabilmente Srdja Popovic. Erauno studente di biologia dell’Univer-sità di Belgrado quando assieme ad al-tri undici amici lanciò la campagna cheavrebbe portato alla caduta di Milose-vic. Sarà stato anche merito di altri fat-tori, comprese le bombe Nato.

Sta però di fatto che, da allora, il suo“Centro per strategie applicate non-violente” ha fatto scuola in una qua-rantina di Paesi. Vantano il successopiù strepitoso nella caduta del regimedi Ben Ali in Tunisia e di Mubarak inEgitto. Piazza Tahrir sembra aver se-guito alla lettera le loro indicazioni,tempestivamente tradotte in arabo, sucome individuare il punto debole di unregime (nel caso egiziano i militari) e«fraternizzare con la polizia, mante-nendo nel contempo la disciplina del-la non-violenza». Che poi alle elezioniabbiano vinto gli islamisti è un altropaio di maniche: la loro ricetta prescri-ve come si rovescia una dittatura, noncosa succede dopo. Non ha funziona-to allo stesso modo in Libia e non stafunzionando per niente in Siria. AYahya Shurbaji e Ghiyath Matar, so-prannominato “piccolo Gandhi”, chedistribuivano rose e datteri affrontan-do i soldati di Assad, è subentrato unorrendo massacro da tutte le parti.Non ha funzionato la “rivoluzione ver-de” in Iran. E in Cina nemmeno ci han-no provato. A Kiev dopo la rivoluzionearancione è tornato Yushchenko. Nonsi vede ancora quale protesta civilepossa scrollare Putin.

Ma la vecchia talpa è paziente. Tra imaestri di Popovic ci sono veterani delpacifismo americano sulla breccia dadecenni. Il settantaquattrenne GeorgeLakey, infaticabile sostenitore di tuttele cause non violente — dai minatoriinglesi ai monaci singalesi, e ovvia-mente le Primavere arabe — è tra i pa-dri nobili di Occupy Wall Street («Pen-sano che sia anarchico, io semmai so-no attratto dalla socialdemocrazia allanorvegese»). Strategy for a Living Revo-lution, il suo manuale per la conquistadel potere in cinque fasi, senza spargi-mento di sangue, risale al 1973. GeneSharp è un professore ottantacin-quenne dall’aspetto timido e fragileche vive a Boston. Era amico di Ein-stein. Un suo libricino di 93 pagine, di-sponibile su Internet in 24 lingue, inti-tolato Dalla dittatura alla democrazia,potrebbe essere il prontuario di tutte lerivoluzioni non violente di questi ulti-mi anni. In Tunisia ed Egitto era diven-tato un best-seller, come negli anniVenti in Europa lo erano i manuali perla rivoluzione armata, e più tardi, inAsia e America latina le istruzioni per laguerriglia. Si articola in 198 “metodid’azione”. Il punto 18 parla dell’impor-tanza di bandiere e colori. Il punto 7 in-siste sul ruolo di slogan, satira e simbo-li. I punti 20, 37 e 47 sull’importanzadelle preghiere in pubblico, della reli-gione e del raccogliersi a protestarenelle piazze. Manca solo il rock’n’roll,che aveva rivoluzionato la sua Americanegli anni Cinquanta, e fece crollare,secondo la brillante interpretazione diTom Stoppard per il teatro, il muro delcomunismo negli anni Ottanta e, inversione islamica, ha dato la squilla an-che alle Primavere arabe. Ma altrovepurtroppo è un’altra musica.

Repubblica Nazionale

te. Dal giorno dopo, il divano nonentra già più nel salotto.

Spenta la fiamma, mi aggiraiper le strade svuotate di Atlanta,record per la più incongrua dellesedi olimpiche. Nulla aveva piùsenso. Togli i cerchi e quel che èdentro, non più inscritto, debor-da. Una cattedrale nel deserto èun modo di dire, un megastadio incittà è un modo di impazzire.Quello di Atlanta l’han fatto salta-re con l’esplosivo. L’ho visto acca-dere sullo schermo di una tv d’al-bergo. Era come veder cancellataun’estate. Come se bruciassero ilettini del bagno dove hai amoreg-giato a sedici anni. Salvo che quelposto l’avevi detestato e l’unicapassione era uscita dal retro conuna borsa da ginnastica.

Al quarto giorno di Olimpiade,implacabile, esce il pezzo sullemigliaia di preservativi trovati nel

villaggio olimpico. A Roma ci abi-tano, inconsapevoli, scampati al-la contraccezione. A Sarajevo laguerra civile ha evitato di radere alsuolo parte degli impianti. A Pe-chino, rara eccezione, sopravvi-veranno il Nido d’Uccello e l’Ac-quario Lucente, il contrappasso dibellezza alla bruttezza della città,la cui lontananza era una danna-zione allora e una fortuna oggi.

Una città che ospita le Olimpia-di fa testamento per se stessa: sicondanna a un’eredità ingestibi-le, si ritrova qualche pachidermain cucina e un album fotograficoin cui era disperatamente bella efamosa. La mostra “The Post-Olympic City” di John Pack e GaryHustwit, da cui le foto di questepagine sono tratte, ne è la riprova.I due fotografi espongono a NewYork, città dove lavorano e che hatentato invano di aggiudicarsi leOlimpiadi. Non sa che cosa non siè persa.

Il bambino guarda e vedeun carcere. Vede una chie-sa. Vede una palestra. Vedeun relitto di cemento divo-rato da termiti umane, in-sozzato da graffitari osses-

sionati, chissà perché, dai cerchi.Vede niente. Una spianata, polve-re, nemmanco più i detriti. L’ecodi un’esplosione che non è nellesue orecchie: è accaduta primache nascesse, pure quella. Niente.Alza lo sguardo, deluso. Non capi-sce che cosa stia guardando, in-cantato, suo padre.

L’uomo ha occhi retrovisori, lamemoria come uno schermo. Ve-de una pista, otto frecce che fru-sciano fra i flash. Vede un parquet,una squadra che è apparsa solo insogno. Vede uno stadio, una pro-cessione laica tendente all’infini-to, officiata in un bilinguismoostinato e secondo una geografia

opinabile, fuochi artificiosi, mu-sica pop & stop, colombe e parole,retorica alzo zero, accettata comel’avventura di una notte, faccia-mo due settimane dai, poi ognunoper la sua strada.

Quel che resta dei Giochi: no-stalgia e architettura da (stra)paz-zo, favole e quartierini residenzia-li, record e trampolini di periferia,tuffi nel passato, un presente dabuttare. È una regola con pocheeccezioni, sindrome post-olimpi-ca che colpisce in maniera quasiinesorabile. Il decorso della ma-lattia è pre-scritto. Prendi unacittà, trovale tre maneggioni (disolito la triade è composta da: unpolitico in scadenza, un ex atleta,una signora molto bionda), falleassegnare i Giochi. Vai con la pri-ma festa: avremo le Olimpiadi,qui, a casa nostra! A metà esultan-za arriva una domanda: che cosasignifica, esattamente? Lavori incorso, appalti misteriosi, traffico,speculazioni, polemiche. Ma ne

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DOMENICA 19 AGOSTO 2012

L’attualitàMomenti di gloria

vale la pena: per quindici giorniperfino Atlanta o Seul possono di-ventare la capitale del mondo. Ri-flettori puntati. In scena con il bel-letto e le impalcature. Una popo-larità senza precedenti e senza fu-turo. Perfino le eterne Atene e Ro-ma avranno, dopo, qualche rim-pianto. Niente sarà come prima.

Miliardi di spettatori davantiagli schermi, migliaia di microfo-ni e antenne a ripetere quel nome.Occhi, occhi, occhi. Ogni cittàospitante è come una ballerinasulla pedana di un night, impe-gnata in una lap dance. Volanobanconote ai suoi piedi. Tuttoquel che accade sembra inedito eirripetibile. Ognuna è la stella.Finché dura la musica. Poi si spe-gne. Una lunga preparazione, iltrucco, i costumi, l’attesa, l’an-nuncio, i fari, i suoni, gli applausi,i commenti, i soldi. Poi: camerino,

spoliazione, strucco, abiti ficcatiin una borsa da ginnastica, scarpebasse, uscita dal retro, parcheg-gio. Una donna qualunque escedal lavoro. È notte, è stanca e do-mani è un giorno qualsiasi. Le bri-ciole di brillantini rimaste sullaguancia saranno, vagamente fuo-ri luogo.

I residenti nella città, fuggiti daiparenti in campagna o all’esteroper due settimane, tornano a casa.Le casse mettono i sigilli, i soldivengono riposti in cassaforte e iconti non tornano. Mai. Tempotre mesi ed escono i primi articolisulle speranze deluse di Londra,Pechino, Atene e indietro fino a,certo, Atene. È sempre stato così,ma ogni volta, quando comincia,si pensa sarà diverso. È come unastoria d’amore. Alla fine ti restanoricordi e mobilia. Nel caso dei Gio-chi, particolarmente ingombran-

Quel che resta di un’OlimpiadeGABRIELE ROMAGNOLI

Ogni città ospitanteè come una ballerina

sulla pedana di un nightVolano banconote

ai suoi piediFinché dura la musica

Ma finito lo show,camerino, strucco, abitificcati in una borsada ginnastica,uscita dal retro

Una donna qualunque

FineGiochi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

dei

LE IMMAGINI

Le foto

di queste pagine

sono della mostra

The Post-Olympic City

di Gary Hustwit

e John Pack

e diventeranno

un libro

nella prossima

primavera

Incomincia sempre allo stesso modo: una grande festaper celebrare la prima vittoria, l’assegnazione. Poi arrivanogli appalti milionari e i disagi. Infine, lo spettacolo in mondovisioneper quindici giorni. E quando si spengono i riflettori?Viaggio da Città del Messico a Pechinonell’archeologia industriale di un evento

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 19 AGOSTO 2012

Da Giotto a Klimt a Hokusai a Poussin a SteinbergUn esercizio cominciato per gioco, come omaggioal modo di rappresentare il mondo vegetale

dei grandi maestri, ora diventa un libro a metà tra un’enciclopediae un antico erbario. Perché la storia dell’uomoe quella delle piante hanno le stesse radici

A bottega

Come ogni anno, anchequesta estate sono anda-to a trovare Tullio Perico-li nella sua casa di Rosara,vicino ad Ascoli Piceno. Ecome ogni anno ho assi-

stito alla stessa scena: Tullio, seduto suuna poltroncina in vimini, che rimiraassorto per un tempo interminabile ilbellissimo paesaggio dei monti Sibilli-ni, che si gode dalla sua terrazza. Che

cosa ha ancora da scoprire l’artista mar-chigiano in uno scenario che conosce amenadito, da decenni? Tutto o quasi, ri-sponderebbe lui. Non foss’altro perchéi continui cambi di luce e aria mutanoogni volta la conformazione di una cre-sta collinare, la massa di un campo la-vorato, il profilo di un calanco, la sago-ma di una casa, la chioma di un albero.

Vedere per conoscere, ma prima an-cora vedere per abitare: per tornare a farparte integrante della terra. Ecco cosa faPericoli, «sedendo e mirando» in leo-pardiana compagnia. È come se ognivolta che sta su quella terrazza, Pericoliriprendesse il filo di un discorso interio-re mai interrotto, che rimescolando dicontinuo le carte della memoria perso-nale e della Storia, della geologia e del-l’arte, finisce immancabilmente per“rianimare” entrambi i contraenti deltacito contratto: tanto il pittore, quantoil paesaggio che gli sta di fronte.

Tale inesausto, ininterrotto lavorio,ormai va avanti da decenni e nel 1998 haconosciuto una tappa decisiva, quando

FRANCO MARCOALDI

artealbero

dell’

L’ Estetica botanicadi Tullio Pericoli

LA PREDICA AGLI UCCELLI

Dipinto tra il 1295 e il 1299, è uno degli affreschi della Basilica Superiore di Assisi

LA PREDICAZIONE DI SAN ROMUALDO

Particolare della Tebaide (1460) alla Galleria dell’Accademia di Firenze

IL BANCHETTO NEL BOSCO

Pannello del Nastagio degli Onesti (1483). È al Museo del Prado, Madrid

SAN GIROLAMO IN PREGHIERA

Dipinto del 1482, è conservato al Museum voor Schone Kunsten di Gand

L’immagine

Repubblica Nazionale

MONTREAL 1976 La torre dell’Olympic Stadium dei Giochi invernali

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DOMENICA 19 AGOSTO 2012

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SARAJEVO 1984 Il podio per lo sci sul monte Igman, sede dei Giochi invernaliLAKE PLACID 1980 Dopo i Giochi invernali nello stato di New york

CITTÀ DEL MESSICO 1968 Il Palacio de los Deportes

LOS ANGELES 1984 Grand Olympic Auditorium (ora Glory Church of Jesus Christ)

ATENE 2004 Il complesso sportivo (Oaka) LONDRA 2012 Olympic Park

BARCELLONA 1992 Piscina Municipal de Montjuïc

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 19 AGOSTO 2012

Tullio ha incontrato sul suo tragittoquel piccolo classico della letteraturache è il libro di Jean Giono, L’uomo chepiantava gli alberi. La storia è famosa,ma il suo valore educativo, a maggiorragione in un paese pericolosamente“distratto” come il nostro, mai sottoli-neato a sufficienza. Vi si racconta la vi-cenda di un pastore, incontrato da Gio-no durante una passeggiata in Proven-za nel 1913, che nella vita si è dato ununico scopo: piantare alberi. Non persé, ma per il bene della terra. Così, men-tre il mondo conoscerà due guerremondiali andando incontro alla rovina,quell’uomo infaticabile pianta decinedi migliaia di querce, betulle, faggi, su-scitando nello scrittore francese un’e-norme ammirazione. Né potrebbe es-sere altrimenti, visto che «quel vecchiocontadino senza cultura ha saputo por-tare a buon fine un’opera degna di Dio».

Ed eccoci arrivati al 1998, quando loscrittore Michael Krüger, per conto del-la casa editrice tedesca Hanser, chiedea Pericoli di intervenire su quel testo. Di

sicuro ha individuato l’uomo giusto. Incompenso, sbaglia la richiesta: utilizzala parola “illustrare”, poco gradita aTullio che ora, a tanti anni di distanza,gli risponde a tono: «Il racconto di Gio-no non aveva proprio bisogno di illu-strazioni, era così limpido, compiuto,conteneva in sé già tutto. Immaginicomprese. Non aveva bisogno di essere“tradotto” in figure, o “spiegato” con fi-gure. Era invece un grande testo ispira-tore, un vero generatore di immaginiche avrebbero sì potuto nascere daquelle parole, ma poi andare con le lorogambe per strade diverse, strade pro-prie».

È esattamente quanto fa l’artistamarchigiano, come si evince osservan-do il libro (pubblicato in Italia da Sala-ni), con il racconto di Giono variamen-te appuntato dai più diversi segni e di-segni: ciuffi d’erba, casette trascinate involo da un vento furibondo, rapidischizzi del volto dello scrittore francese,lepri e cinghiali, ghiande, appezza-menti di terreno con centinaia di minu-

scole piante messe a dimora.Poi il racconto finisce e Tullio final-

mente si scatena, liberando tutta la suafantasia secondo un procedimento“analogico”, nient’affatto illustrativo.Tanto che a un certo punto compare,del tutto inattesa, una doppia paginacon ventinove alberi disegnati “alla ma-niera di”. Ventinove esercizi di stile at-torno a Giotto e Klimt, Paolo Uccello eCranach, Poussin e Klee, Piero di Cosi-mo e Hokusai, Botticelli e Steinberg.Con l’albero che si fa linea in movimen-to, macchia di colore, sferica chioma, fe-sta di frutto e fiore, tronco dolente, om-brello, gigantesca foglia innervata,puzzle metafisico, astratta geometria.

Già allora si intuiva come quella affol-lata doppia pagina prefigurasse un altrolibro, e difatti tale ora è diventato: Attra-verso l’albero. Una piccola storia dell’ar-te, in cui ciascuna reinvenzione artisti-co-vegetale trova finalmente il suo giu-sto spazio, l’aria e la luce necessaria perdistendersi e respirare. Il tutto accom-pagnato da una stringata quanto pun-

tuale introduzione dell’autore, che ri-corda il desiderio di «ripercorrere sinte-ticamente un tratto della nostra storiadell’arte, analizzando le forme che lapittura ha inventato per rappresentarel’albero e osservando come l’albero èservito alla pittura».

La visione di questa mini-enciclope-dia botanico-pittorica, al contempofantastica e realissima, mi ha inevitabil-mente trascinato altrove, secondo i det-tami di quello stesso procedimentoanalogico così felicemente praticato daPericoli. Come lui si è rivolto alla tradi-zione pittorica, nella consapevolezzache il paesaggio è stato “visto” e dunquericreato a partire da un certo momentostorico (il Rinascimento), c’è chi ha fat-to qualcosa di simile con la scrittura:Mario Rigoni Stern in Arboreto salvati-co. Anche qui osservazione diretta edevocazione estetico-sentimentale viag-giano di conserva. Ma stavolta il perso-nale prontuarietto botanico-culturale,affonda nel mito e nella letteratura. Co-sì il pino silvestre torna ad essere il sim-

bolo della verginità degli antichi greci; iltiglio, «albero felice» di Plinio e sinoni-mo di giustizia, perché attorno ad esso«si riunivano i saggi a sentenziare». Laquercia rivive nella descrizione di Tol-stoj in Guerra e pace, né mancano, da ul-timo, i due alberi preferiti dallo stessoRigoni Stern: il larice, che certe popola-zioni siberiane indicavano come «albe-ro cosmico lungo il quale scendono ilSole e la Luna sotto forma di uccelli d’o-ro e d’argento». E la betulla, che il poetaSergej Esenin considerava «l’albero-fanciullo, l’albero-amore». La lettera-tura e la pittura. Mario Rigoni Stern eTullio Pericoli, ciascuno con la propriaarte, questo ci insegnano: dietro e sottoe dentro a ogni albero — meraviglia pri-ma della natura e congiunzione tra laterra e il cielo — sono celate mille storieche ne modificano nel corso del tempola nostra percezione. Sta a noi preser-varle e rinnovarle: per poter guardarel’albero, ogni albero, con occhi antichie sempre nuovi.

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LE INIZIATIVE

Il libro Attraverso l’albero. Una piccola storia dell’arte di Tullio Pericoli (Adelphi, 80 pagine,

8 euro) sarà in libreria dal 29 agosto. Fino al 23 settembre, venticinque dipinti di Pericoli

sono esposti alla Rocca Roveresca di Senigallia nella mostra “Graffiature. I paesaggi

di Tullio Pericoli e Mario Giacomelli”. In occasione della 23esima edizione del Rossini Opera

Festival, la Galleria Franca Mancini di Pesaro ospita la personale di Pericoli intitolata

“Quelques Riens pour Rossini” per il 220esimo anniversario dalla nascita del compositore:

ritratti a olio e disegni a china, acquerello e matita che interpretano la fisionomia del musicista

Infine, Pericoli sarà al Festival della Mente di Sarzana il 2 settembre alle 11,30

per l’incontro “Pensare con la mano” insieme alla storica dell’arte Anna Ottani Cavina

IL CARDINALE FRANCESCO GONZAGA

Un affresco della Camera degli sposi nel Palazzo ducale di Mantova (1471 - 1474)

RESURREZIONE DI CRISTO

L’opera, realizzata tra il 1475 e il 1479, è conservata nel Staatliche Museen di Berlino

CODICE

Uno dei disegni realizzati tra il 1500 e il 1515 per lo studio della prospettiva

IMMACOLATA CONCEZIONE

L’opera del 1505 si trova alla Galleria degli Uffizi di Firenze

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 38

DOMENICA 19 AGOSTO 2012

Karin aveva sette anni ed era a letto con la febbre. Le vennein mente una ragazzina dai capelli rossi con un nome buffoLa madre, Astrid Lindgren, fece il resto. Nacque così la monellapiù famosa della letteratura, del cinema e soprattutto della tvSiamo andati a Stoccolma a parlare con l’originale

Nel 1969 il registaOlle Hellbomscelse l’isola di Gotlandper girare tutta la serie,la scrittrice era sul set

SpettacoliEnfant terrible

STOCCOLMA

La macchina da scrivere, lefoto di figli e nipoti, i bloc-chi per gli appunti, la vistasugli alberi di Vasapark.

Non aveva bisogno d’altro Astrid Lind-gren, chiusa dentro al suo studio, perimmaginare un’eroina rivoluzionariaal comando della propria vita senza do-ver essere una principessa, sposarsi,imparare le buone maniere. In Dalaga-tan 46 tutto è rimasto come dieci annifa, quando la più famosa autrice svede-se, 145 milioni di libri venduti nel mon-do, tradotta in sessanta lingue anche senon ha mai vinto il Nobel, se n’è andatacon un sorriso, partendo per l’ennesi-ma avventura. È in questa casa di cin-que stanze che Lindgren è morta all’etàdi novantaquattro anni. «Vorrei la pacesulla Terra e qualche bel vestito», avevarisposto a chi le chiedeva cosa deside-rasse per il compleanno. Fino alla cat-tedrale di Gamla Stan, l’8 marzo 2002,festa della donna, sfilarono il governo,la famiglia reale riunita e centomila per-sone. Il corteo funebre di una Regina deicuori cresciuta in una fattoria delloSmåland, tra i laghi e i boschi di betulla.Una semplice segretaria dattilografache ha incontrato il successo per caso,ormai quarantenne.

«Raccontami una storia». Era il 1943,Karin aveva sette anni ed era al letto conla febbre. Le venne in mente un nome.Pippi Långstrump. «Anzi, mamma,raccontami di Pippi Calzelunghe». Ècosì che Lindgren cominciò a narrare,ogni sera, le gesta di una bambina tal-mente forte da sollevare un cavallo,sconfiggere Maciste, vivere da sola conun mucchio di monete d’oro e unascimmietta per amico, ignorando l’ob-bligo della scuola, gli ordini dei poli-ziotti, l’autorità in generale. «Ho trova-to solo il nome, il resto è venuto tuttodalla sua fantasia», ricorda oggi Karin,che si occupa dell’omonima fondazio-

ne dedicata alla madre. Un patrimonioimmenso. Oltre quaranta libri, moltiracconti e storie brevi, ma anche testiteatrali, canzoni, decine di film e serietelevisive, quasi tutte con il regista OlleHellbom. Fu lui a scegliere nel 1969 l’at-trice Karin Inger Nilsson, che ha incar-nato Pippi, rendendola famosa nelmondo intero. Lindgren andava spessosul set, nell’isola di Gotland, dov’è statagirata tutta la serie e fino all’ultimo mi-nuto prima delle riprese, parlava conHellbom per sistemare i dialoghi.

A Stoccolma, in Dalagatan 46 c’è an-cora la cameretta di Karin e lo studio do-ve è stato finito il primo manoscritto diPippi Calzelunghe, pubblicato nel 1945dall’editore Rabén & Sjögren, doveLindgren andò poi a lavorare curandotutta la collana per l’infanzia. Aveva co-minciato da ragazza in un giornale diVimmerby, la regione natale dove ades-so si può visitare la vecchia casa di fa-miglia e un museo dedicato ai suoi per-sonaggi, come quello che esiste a Stoc-colma, sull’isola di Junibacken. Nonavrebbe mai lasciato la campagna diVimmerby se non fosse rimasta incintaa vent’anni di un uomo sposato e mol-to più anziano di lei. Uno scandalo perl’epoca. Lindgren fu costretta a partireper Copenhagen, dove lasciò il piccoloLars in una casa-famiglia. Dopo tre an-ni, sposò Sture Lindgren, rappresen-tante dell’Automobile Club di Stoccol-ma. Nacque Karin e finalmente ancheLars tornò a vivere con la madre. Pippiche rifiuta di andare alla Casa degli Or-fani è un riferimento a quella vicendapersonale? «È probabile — glissa la fi-glia — che quell’esperienza abbia in-fluenzato i suoi libri».

Appuntava pensieri e frasi a mano, lasera, su un blocco. Riprendeva moltidettagli intorno a sé. Pippi era fisica-mente simile a un’amichetta di Karin.L’albero della limonata è una storia chesi raccontava a proposito di un vecchioolmo della fattoria di Vimmerby, dovesi giocava a «camminare senza toccaremai il pavimento», come fanno Tommy

e Annika a Villa Villacolle. I riferimentialla sua casa natale, dov’era cresciuta li-bera nella natura con i fratelli, si ritrova-no in altre opere, e in particolare inEmil, uno dei suoi libri preferiti. «Gio-cavamo come se non ci fosse domani»,

ripeteva spesso Lindgren. «Pippi le as-somiglia molto», ammette Karin. «Erauna donna anticonvenzionale e moltodeterminata». Una protofemministaanche se, precisa la figlia, Lindgren nonha mai aderito ad alcun gruppo o asso-

IoPippiCalzelunghe

ANAIS GINORI

L’ALBUM

Un’immagine di Karin neonata

con la mamma. A destra,

l’edizione svedese di PippiCalzelunghe e l’attrice della serie tv

Karin Inger Nilsson nel 1969

“Quando dissi alla mamma:racconta la mia storia”

Repubblica Nazionale

Parlare della pace è parlare di qualcosa che nonesiste. La pace genuina è introvabile in questomondo e probabilmente non è mai esistita, se

non come un obiettivo che non siamo mai stati capa-ci di raggiungere. Tutti vogliamo la pace. Ma comepossiamo fare e da dove dovremmo cominciare? Cre-do che dovremmo cominciare dal basso, dai bambini.

Voglio parlare dei bambini. Delle preoccupazioniche ho rispetto a loro, e delle mie speranze per loro. Ibambini di oggi, un giorno, manderanno avanti il mon-do, se ne sarà rimasto qualcosa. Saranno loro a decide-re rispetto alla guerra e alla pace e sul tipo di società chevorranno – se vorranno una società in cui la violenzacontinua a crescere, o se preferiranno una società in cui

la gente viva in pace e fratellanza. C’è qualche speran-za che saranno capaci di creare un

mondo più pa-cifico diquello che cisiamo dati? Eperché ab-biamo fallitocosì misere-volmente, no-nostante tuttala buona vo-lontà che c’è?L’intelligenza ele facoltà intel-lettuali sonocongenite, ma ibambini non na-scono con un se-me che germogliaautomaticamentee si trasforma in be-ne o in male. Ciò chedecide se un bambi-no diventerà unapersona aperta, fidu-ciosa, affettuosa, conuna propensione a deisentimenti comunita-ri o un lupo solitariospietato e distruttivodipende da coloro che

lo mettono al mondo e gli insegnano il significato del-l’amore – o da chi non è capace di mostrargli che cosacomporti l’amore. «Überall lernt man nur von dem,den man liebt», disse Goethe, e quindi deve essere ve-ro. Si impara solo dalle persone che si amano. Un bam-bino circondato dall’amore e che ama i suoi genitoriimpara da loro un atteggiamento di amore verso tuttociò che lo circonda, e mantiene questo atteggiamentoper tutta la vita.

Quanti bambini hanno ricevuto le loro prime lezionidi violenza «von denen die man liebt», da quelli cheamano, dai loro stessi genitori? E poi hanno trasmessole lezioni imparate di generazione in generazione? «Chirisparmia la verga, rovina suo figlio», ci ammoniva l’An-tico Testamento. Molte madri e padri hanno seguitoquesto insegnamento da allora. Hanno spesso brandi-to il bastone e lo hanno chiamato amore. Ci sono dav-vero tanti “bambini rovinati” in questo nostro mondodi oggi: quanti dittatori, tiranni, oppressori, torturato-ri... Che razza di infanzia hanno avuto? È una cosa chemeriterebbe davvero di essere studiata. Io credo chedietro alla maggior parte di loro ci sia un padre tiranni-co o qualche altra figura responsabile della loro educa-zione, che ha brandito una verga o una frusta.

Traduzione Luis E. MorionesTratto da Never Violence!

© Saltkrakan AB/Astrid Lindgren 1978

Volete la pace nel mondo?Incominciate dai bambini

ASTRID LINDGREN

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ciazione di donne. Pippi Calzelungheha una carica sovversiva rimasta intat-ta. «È incredibile, no? Dopo così tantotempo», osserva ancora la figlia. «Noncredo che mia madre avesse fatto uncalcolo preciso, era semplicemente ilsuo modo di vedere il mondo». Lind-gren ha affrontato anche temi difficili,ad esempio il lutto o il suicidio in libricome Mio piccolo Mio, I Fratelli Cuor-dileone. Davanti alle critiche, ribattevaspesso: «I bambini sanno da soli cosacensurare quando leggono». E a chil’accusava di non dare il buon esempio,di essere una cattiva educatrice, ri-spondeva: «Diamo amore, molto amo-re e ancora amore. Il buon senso verràda solo».

Lindgren utilizzò la sua fama mon-diale per alcune battaglie politiche. Èriuscita a far cadere un governo nar-rando una favola, Pomperipossa in Mo-nismania, nella quale denunciavaun’aliquota pari al 102 per cento delreddito. Era il 1977, il premier socialde-

mocratico fu costretto a dimettersi.Una legge per la protezione degli ani-mali porta il nome Lex Lindgren, maforse la sua vittoria più famosa è quellaper bandire le punizioni corporali suibambini. Lindgren iniziò la sua cam-pagna contro le sculacciate in Germa-nia, nel 1978. Invitata a ritirare un pre-stigioso premio, scatenò polemicheinternazionali con un discorso che as-sociava la violenza sui piccoli a quelladella guerra. Un anno dopo la Sveziaera il primo paese al mondo a varareuna legge su questo tema, e ancora og-gi la normativa è citata come esempioda seguire. No Violence! il testo ineditodi quel discorso è stato pubblicato dal-la fondazione Astrid Lindgren in occa-sione del decimo anniversario dellamorte della scrittrice (ne riportiamo unpassaggio in queste pagine). Chi è fortedev’essere anche buono, dice PippiCalzelunghe. E, spesso, la forza non èdove si pensa che sia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA FAMIGLIA

La piccola AstridLindgren e Gunnarcon i genitorisulla soglia di casaA sinistra;Astrid con la figliaKarin in passegginoal VasaparkenIn basso, Karinadolescentecon la madrenella casadi campagnaLe foto sonodella fondazioneAstrid Lindgren

LA SERIE

Karin Inger Nilssonin una scenadi Pippi CalzelungheA sinistra, Pippiin uno schizzodella Lindgren

L’inedito

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 40

DOMENICA 19 AGOSTO 2012

NextIsolamento

Soundsilence

of

L’unità di misura di suoni

e rumori. Zero è la soglia

dell’udibile, 20 un respiro

umano ravvicinato,

60 un ufficio mediamente

rumoroso, 90 un urlo

Decibel

Il rumore bianco, simile

a un continuo fruscio,

è considerato distensivo

Alcuni generatori di rumore

bianco sono impiegati

per coprire il rumore di fondo

Whitenoise

Tecnologia impiegata

in auricolari e cuffie musicali

sofisticate che produce

un anti-rumore e neutralizza

quelli esterni come l’aria

condizionata degli aerei

Noisecanceling

È causato da un’eccessiva

esposizione a suoni e rumori

di elevata intensità. La legge

n. 447/1995 lo definisce

come “pericolo

per la salute umana”

Inquinamentoacustico

Vivere senza rumore

GLO

SSA

RIO

Le città sono un decibel più chiassoseogni due anni. Negli open spacela produttività si riduce di un terzoIn certi shopping center il frastuonoè a livelli di fonderia. Ecco perchéil mercato punta sul “no-noise”

RICCARDO STAGLIANÒ

Il massimo di decibel

che l’Organizzazione

mondiale della Sanità

ha stabilito

per il rumore

notturno e diurno

45/55

La percentuale

di cittadini colpiti

in salute e qualità

della vitadall’aumento

del rumore (dati Ue)

25%

I miliardi di costo

stimati dall’Unione

Europea causati

dal rumore

ambientale invasivo

ogni anno

31%

open space è un abominio. C’è la col-lega che spiega le ricette al telefono al-la figlia, quello che commenta le par-tite, azione per azione, e l’altro checonvoca riunioni fiume a mezzo me-tro dal tuo orecchio. Non vorreste se-guire le loro conversazioni ma la men-te, come il cuore, è una zingara e va.Per quanto proviate a tenerla fermasul bersaglio, non c’è verso. L’ufficiosenza muri è un’arma di distrazionedi massa. L’abbiamo sempre saputo,senza averne le prove. Ce le ha forniteJulian Treasure, di mestiere sound ar-chitect, relatore all’ultima Ted Confe-rence di Edimburgo: «In spazi del ge-nere siete produttivi un terzo di quan-to non lo sareste in una stanza tran-

L’

Il livello medio

di decibel raggiunto

oggi nelle città moderne

Ogni anno cresce

di mezzo decibel

90

38

La percentuale

più alta tra le cause

di distrazione

in ufficio: la voce

dei colleghi

Seguono

i telefoni (27)

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 19 AGOSTO 2012

Acronimo per NoiseReduction Rating, il numerodi decibel “tagliati”dai moderni tappi anti-rumoreL’Nrr viene certificato in ogniprodotto di questo genere

NRR

SILICONE

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NOTTURNI

Riescono a non farvi sentire chi vi russaaccantoIn gommapiuma(Nrr 32, euro 0,40)

5

quilla. Se dovete lavorarci, portatevidelle cuffie». Non faranno di voi uncampione di simpatia, ma almeno riu-scirete a concludere qualcosa. Pur-troppo il problema è più generale. Lecittà, stima il pioniere canadese dell’e-cologia acustica Murray Schafer, sonoogni anno mezzo decibel più rumoro-se. Vivremo presto in una discoteca,senza averlo chiesto. Il suono del silen-zio è diventato l’ultimo lusso.

Non è un caso che i capi abbiano unastanza tutta per sé. Anche i peonesperò possono reclamare, a basso co-sto, la loro indipendenza acustica.Cuffie e tappi per le orecchie diventa-no così monolocali virtuali. Da noi èancora raro. Se cercate “tappi orec-chie” su Amazon.it vengono fuori die-ci risultati. Fate lo stesso esperimentosull’omologo sito americano e sareteinondati da oltre 198mila ear plug. Si-no a un paio di decenni fa, anche daquelle parti il monopolio era dei mo-delli di cotone cerato. Poi sono arriva-

ti quelli di silicone, Pvc e poliuretano.Ce ne sono di specializzati nel neutra-lizzare le frequenze del russamento, didiversi tipi di musica, dei vari sottotipidi baccano da traffico. Migliaia di sitidedicati li recensiscono, prendendoliterribilmente sul serio. Repubblica neha provati sei modelli.

Come ogni nuova scienza (merceo-logica) che si rispetti, anche quella del-l’isolamento ha una sua unità di misu-ra: l’Nrr che sta per Noise ReductionRating. Il massimo per il momento è di33 Nrr, che in pratica dimezza il livellodi conversazione di un ufficio medio(60 decibel, come vi può confermareuna delle varie app gratuite persmartphone in circolazione). Ma l’ef-fettiva riduzione dipende molto da co-me li inserite e dalla conformazionedel vostro orecchio, oltre che da unaserie di preferenze individuali. I piùclassici sono quelli a tampone, cilin-drici, da arrotolare e far espandere nelcanale uditivo. Poi ci sono a cono, a piùspire, di gomma morbida, spesso uni-ti con un lungo filo che riduce il timoreirrazionale che non riusciate più a to-glierli se spingete troppo. E altri anco-ra che sembrano di plastilina e vannomodellati per riempire l’intero padi-glione. Considerando efficacia e co-

modità d’uso, quelli a cono convinco-no di più. Ma non esiste una ricettabuona per tutti.

Universale è invece il bisogno che hacreato il loro rigoglioso mercato. Di re-cente un articolo sul New York Timeslamentava la sempre più insopporta-bile cacofonia di Manhattan. Con ri-storanti che raggiungono una media di96 dB, il frastuono di un tagliaerba. Incerte palestre, adepte dell’horror va-cui sonoro imperante, la musica di sot-tofondo tocca i 105 dB. Per contestua-lizzare, basti sapere che gli esperti so-stengono che già quindici minuti aquella soglia possono causare dannipermanenti. Ieri erano livelli indu-striali, da fonderia. Oggi li ritrovi in cer-te spiagge del Salento o della rivieraadriatica così come nei luoghi delloshopping e dello svago globalizzato.All’Hard Rock Cafe, per dire, hannocalcolato che alzando il volume dellamusica i clienti parlano meno, consu-mano di più e sloggiano prima. In ca-tene di abbigliamento giovanile comeAbercrombie&Fitch, ma anche H&M eHollister, l’intensità sonora fa desiste-re gli adulti che rimangono all’esternoconsegnando la carta di credito in ma-no ai figli. In pratica, un buttafuori acu-stico. Nicolas Gueguen, ricercatoredell’università della Bretagna del Sud,ha calcolato che in un bar con una mu-sica a 72 dB i clienti ordinano 2,6 drinke ci mettono 14,5 minuti per finirneuno. Contro 3,4 bevute scolate in un in-tertempo di 11,5, solo alzando la ma-nopola a 88 dB.

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MONOUSO

Zittiscono musicae aspirapolvereMonouso, in poliuretanomorbido(Nrr 33, 0,20 euro)

4

PREFORMATI

Si adattanoalla formadel canale uditivoper una triplaprotezione(Nrr 26; 2 euro)

3

Julian Treasure, sound architect (www.juliantreasure.com)

Portatevi al lavorodelle cuffie,con un suonorilassante comeil canto degli uccelliNon sarete simpatici,ma funziona

‘‘

La verità è che è più facile guardarealtrove che tapparsi le orecchie. Siamopiù indifesi di fronte a questo assaltosensoriale. E, come spiega l’espertoTreasure nella sua mini-lezione, il ru-more influenza il nostro comporta-mento in almeno quattro modi diver-si: fisiologico (alterando le secrezioniormonali), psicologico (condizionan-do il nostro stato emotivo), comporta-mentale (ad Abu Ghraib e Guantana-mo ci torturavano i prigionieri) e co-gnitivo. Perché i canali uditivi soppor-tano meno informazioni di quelli visi-vi. Hanno, come si direbbe oggi, unaminore larghezza di banda. È tanto fa-cile saturarli quanto è difficile seguiredue persone che parlano simultanea-mente. Perciò l’involontario multita-sking uditivo che subiamo negli openspace è catastrofico. A far perdere laconcentrazione, riporta uno studio delPolitecnico di Bari pubblicato sulla ri-vista La Medicina del Lavoro, sono inprimo luogo le voci dei colleghi (31 percento), i telefoni (27), gli impianti dicondizionamento (15), le macchine daufficio (13) e rumori esterni vari (13).«L’inferno sono gli altri» sentenziò Sar-tre. Non pensava necessariamente alcicaleccio, ma volendo...

La recente ondata di richiami all’or-dine artistico-letterari, dal documen-tario di Philip Gröning Il grande silen-zio al viaggio per monasteri di GiorgioBoatti, Sulle strade del silenzio, testi-moniano di un’urgenza crescente. Ab-bassare il rumore di fondo per cogliereil segnale, se non il senso. Resta validol’avvertimento cantato da Mina, intempi meno chiassosi: «Ci sono cose inun silenzio, che non m’aspettavomai». Se non ve lo meritate da contrat-to, almeno ricostruitevelo per pochispiccioli.

SPORT

Molto usatianche in piscina;a quattro spire,con cordoncinodi sicurezza(Nrr 27, 1,05 euro)

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 42

DOMENICA 19 AGOSTO 2012

Consigli per chi rientra dalle feriee trova aperti solo mercati etnici:

fate la maionese con il wasabi, tentateun pollo tandoori o un semplice couscous, aggiungete i platanosall’insalata. L’estate in cittàdiventerà un po’ più allegra

I saporiGeomenù

Il fascino discreto dei wanton. Quello deciso del pollo tan-doori e del ceviche. La condivisione allegra di cous cous etaboulé. Il gusto intrigante dei falafel. La scoperta del dashi.La dimestichezza con gli involtini primavera. L’agosto del-le vacanze obbligate, sempre più ridotte e a corto raggio, simisura con città pacificate ma comunque abitate e vivaci.

Finito senza possibilità di reintegro il tempo delle saracinescheabbassate per un mese intero e delle strade ridotte a deserti luna-ri, le settimane del non lavoro estivo si consumano tra quartieri ri-scoperti, manutenzioni casalinghe e cene sfiziose, dove speri-mentare nuove ricette, prime tra tutte quelle etniche.

I prodotti dei mercati si rivelano fonte di irresistibile tentazio-ne. Se la maggior parte degli ambulanti italiani si concede una pau-sa, i venditori di daikon e sesamo, chipotle e nuvole di drago, pla-tanos e wasabi resistono imperterriti dietro le loro bancarelle gior-no dopo giorno, al servizio dei milioni di migranti che non cono-

scono la parola ferie, ancora e sempre legati al cibo di casa(come i migranti di tutto il mondo, italiani in primis). Ap-profittare dei loro saperi è come regalarsi un corso ac-celerato di cucine del mondo. Rassegnati al caldo epazienti nelle spiegazioni, gli ambulanti “etnici”dispensano consigli di cottura e svelano i segretidi salse e marinature. Così, gli alimenti degli al-tri diventano un poco anche nostri, come te-stimoniano le ultime indagini di mercato: afronte della contrazione della spesa alimen-tare, infatti, il mercato dei cibi stranieri cre-sce del 20 per cento annuo. In più, oltre unterzo degli italiani mangia abbastanza re-golarmente cibi etnici, gustandoli al ri-storante o cucinandoli in casa. Prendereconfidenza con quinoa e uova di tobiko(alternativa di un bel colore verde flou aquelle di salmone e lompo) è menocomplicato di quanto si pensi, soprat-tutto avendo a disposizione qualchemezz’ora in più rispetto ai tempi stran-golati della cucina quotidiana. Una ta-volozza di sapori tutta da scoprire e in-cludere nelle ricette di casa secondo lapropria sensibilità culinaria, utiliz-zando il brodo di tonno essiccato perzuppe e risotti di pesce, accendendouna maionese grazie a un cucchiaino diwasabi o regalando una nota croccantealle creme con una cucchiaiata di grue (fa-ve sminuzzate) di cacao.

Orgogliosi delle proprietà antiossidantidi extravergine e vino rosso, scopriremo chele bacche himalayane sono tesori di giovinez-za da aggiungere allo yogurt e che il riso ba-smati, difeso strenuamente dalle multinaziona-li che vorrebbero brevettarlo, ha un indice glice-mico (capacità di scatenare l’insulina e quindi lo sti-molo della fame) quasi dimezzato rispetto a quellobianco. In caso di vacanze dilazionate, organizzate unagita siciliana in occasione del Cous Cous Fest, festival in-ternazionale di integrazione culturale a San Vito Lo Capol’ultima settimana di settembre, dove cuochi e cuoche di no-ve nazioni si alterneranno tra competizioni gastronomiche escuole di cucina. Cuscussiera e costume da bagno saranno un bi-nomio formidabile.

LICIA GRANELLO

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Cerco un po’ d’Africain giardino

fai da teEsotico

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 19 AGOSTO 2012

Fagioli neri CUBA

Moros bolliti con l’alloro

e aggiunti al soffritto con il riso

(cristianos) per il piatto simbolo

cubano. A fine cottura, burro

fuso, aromatizzato all’aglio

Riso basmati INDIA

Ammollo, cottura con poca

acqua e riposo a fuoco spento

per “la regina della fragranza”

(traduzione dall’indiano)

che accompagna il curry di pollo

Noodles CINA

Quattromila anni di storia

nei lunghi spaghetti di cereali

diversi (riso, miglio, frumento,

farina di fagioli) bolliti o fritti,

in versione zuppa o contorno

Feta GRECIA

Latte fresco di pecora e capra,

niente buccia e gusto sapido

(grazie alla salamoia)

per il formaggio dop da usare

nell’insalata o cotto al forno

Aji amarillo PERÙ

Il più aromatico dei peperoncini

(aji) peruviani, dal colore giallo-

arancio, si utilizza sia fresco —

come nel ceviche — sia ridotto

in pasta per profumare le salse

Miso GIAPPONE

Benefico derivato

della fermentazione dei fagioli

di soia gialla. Battezza

la più famosa zuppa

giapponese e molte pietanze

Olio di argan MAROCCO

Ottenuto dalle bacche

“dell’albero della vita”, si lavora

con mandorle e miele

per l’amlou beldi, la crema

dolce da offrire agli ospiti

Goji berries TIBET & PAKISTAN

Arrivano alla Hunza Valley—

la terra dell’eterna giovinezza—

le bacche di Lycium barbarum

dal forte potere antiossidante,

usate per yogurt e bevande

Acai BRASILE

Cresce nel nord dell’Amazzonia

il frutto dell’Euterpe oleracea,

che stimola il metabolismo

e dà sapore di cioccolato

ai frullati di Copa Cabana

LA RICETTAPesca bianca al proseccoe granita al tè verde anji bai

MESTRE

Mercatodell’AltraeconomiaVia Allegri

MILANO

Mercato Copertodella Darsena Piazza XXIV Maggio

BOLOGNA

Mercato LatinoVia San Felice 118

SALERNO

Mercato EtnicoVia Vinciprova

PALERMO

Mercato di BallaròPiazza

Ballarò

Mazzi di fagiolini chilometrici snakebeans, canestri di cavoli cinesi pakchoi e di cetrioli amari indiani bitter

gourd, mescolati a decine di altre verdure ederbe aromatiche, ancora tutte da scoprire.Sembra di essere in un mercato di Bombay,Pechino o Marrakech e invece siamo a Torino,a Porta Palazzo oppure al mercato dell’Esqui-lino a Roma. Un’anziana signora guarda consospetto i cetrioli spigolosi di luffa e le zuc-chette patola kohi dello Shri Lanka, chiede in-dicazioni al banco su come cucinarle. «Salta-te, bollite, stufate, in brodo, con le spezie…»,risponde evasivo Amit, un po’ stizzito perchégli italiani sono curiosi, ma alla fine difficil-mente mettono in borsa questi vegetali, desti-nati al consumo etnico, coltivati con successonelle nostre campagne da contadini orientali.

Qualcuno si azzarda e prova a cucinare i ca-voli cinesi alla nostra maniera e dice pure chesono buoni, oltre che a buon mercato! Basta

sostituire il wok con una comune padella, lasalsa di soia e lo zenzero con l’olio extravergi-ne d’oliva e uno spicchio d’aglio ed ecco chenasce una nuova ricetta. Pare strano, eppureera già successo secoli fa, con la scoperta delNuevo mundo con le patate, il mais, ingre-dienti precolombiani che oggi consumiamocomunemente sulle nostre tavole. Ci vorran-no decenni ma un giorno coltiveremo questeverdure nei nostri orti e le metteremo in di-spensa, qualcuno lo sta già facendo, comeGiorgio Massanova, un neo coltivatore diret-to delle colline torinesi. Forse un giorno ci fa-remo anche le conserve. Intanto ad agosto suinostri mercati il paniere etnico offre: mentamarocchina naa naa, cipollino cinese jiu cai,tuberi giapponesi daikon, spinaci acquaticithai. E foglie di crisantemo, che i cinesi nonportano sulle tombe, ma saltano in padella ap-pena colti.

Cavoli cinesi a merendaCHEF KUMALÉ

A tavola

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Gli indirizzi

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Ingredienti per porzione

1 pesca1 bicchiere di Prosecco Superiore di Cartizze15 g. di zucchero 1 bacca di vanigliafoglie di verbena1 cucchiaio di lamponi e fragolinequalche mandorla con la pelle tostata5 g. di tè verde anji bai

Tagliare la pesca a metà e cuocerla per qualche minuto in prosecco superioredi Cartizze, con pochissimo zucchero, vaniglia e verbena, far raffreddareLasciare in infusione il tè in 50 cl di acqua a 80 gradi per un quarto d'ora,filtrare, unire 10 grammi di zucchero e mettere in freezer, rimestando ognimezz’ora fino a ottenere una granita. Servire la pesca in una fondina con succodi cottura, fragoline, lamponi, mandorle e una quenelle di granita,accompagnando con pasta sfoglia spolverata di zucchero a velo e polvere di tè

Brava e rigorosa, Paola Budel

guida la cucina del Venissa,

il bel relais della famiglia Bisol

adagiato nella laguna

veneziana, dove l’esaltazione

delle materie prime locali

ben si accorda

con gli elementi esotici,

come nella ricetta ideata

per i lettori di Repubblica

TORINO

Mercatodi San SalvarioPiazza Madama

Cristina

GENOVA

Mercato OrientaleVia XX Settembre 11

LIVORNO

Mercato delle VettovaglieScali Aurelio Saffi

al Fosso Reale

ROMA

Nuovo MercatoEsquilinoVia Principe

Amedeo 188

CAGLIARI

Mercato Civicodi San BenedettoVia Cocco Ortu 50

Bulgur LIBANO

Dal Medio Oriente il frumento

integrale cotto al vapore,

essiccato e ridotto in pezzetti

Si usa nell’insalata con menta,

prezzemolo e pomodori

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 44

DOMENICA 19 AGOSTO 2012

L’infanzia in campagna, lo sporta livello agonistico. Poi, ancoraragazzina, le si aprono le portedel cinema, con i film diretti dal padree quelli accanto a Clooney e Nicolas

Cage. Infine, il debuttocome cantanteMa ora che lavoraal secondo album dice:“Fin da piccola sapevoche fare l’attore

ti porta via dalla famigliaIl mio sogno in realtà

era andare alle Olimpiadi”

MILANO

L’intensità dello sguardo, latimidezza velata, e quelsuo modo di stringere lamano, garbato e amiche-

vole, rendono Violante Placido il tipo didonna ideale, bellissima ma anche rag-giungibile, mai troppo distaccata. Arri-va con passo svelto nella hall dell’alber-go nel centro di Milano, alla fine di unalunga giornata che l’attrice romana hadedicato quasi interamente all’altrasua grande passione nella vita oltre al ci-nema: la musica. Figlia d’arte nata dal-l’unione fra l’attore e regista MichelePlacido e l’attrice Simonetta Stefanelli,l’interprete di Jack Frusciante è uscitodal gruppo e della serie televisiva suMoana Pozzi è, a trentasei anni, unapersona felicemente caotica, anchenelle piccole cose quotidiane, ma con leidee piuttosto precise sulla direzioneche deve prendere la sua carriera di at-trice e di cantante. «Il cinema e la musi-ca continuano ad assorbirmi totalmen-te», racconta con un leggerissimo tre-molio nella voce, mostrando ancora uncerto pudore a parlare di sé. «Se sonoimpegnata sul set o mi sto preparandoper un film, cerco sempre di ricavarmidegli spazi per stare da sola a scrivere

canzoni o a provare con la chitarra. Perme è soprattutto un’esigenza, primaancora che un lavoro. La musica su dime ha un effetto potente da sempre, ècosì da quando ero bambina, riesce acambiarmi lo stato d’animo all’im-provviso. Forse perché fa scattare qual-cosa dentro che ci porta in contatto conle nostre emozioni più profonde».

Per Viola, il nome d’arte con cui laPlacido ha firmato l’album di debuttoDon’t Be Shy, pubblicato nel 2005, lamusica arriva al cuore, spalancando lafinestra su un mare di ricordi ed emo-zioni. «Quando ero piccola mia madreascoltava un sacco di musica a casa, e aotto anni già andavo pazza per AnnieLennox e Dave Stewart degli Euryth-mics, sentivo in continuazione il loroalbum. In macchina, addirittura, face-vo un gioco che mi divertiva molto, fin-gevo di essere un juke-box e dicevo amia mamma di mettere la moneta, poile cantavo tutte le loro canzoni. A noveanni li ho visti in concerto, il primo del-la mia vita, e l’anno dopo ero di nuovosotto il palco per Cindy Lauper. La mu-sica mi trasmetteva un senso di indi-pendenza, mi dava modo di crearmi unmio mondo, un mio sentire, e questo èstato fondamentale nella mia vita». Perarrivare a cantare su un palco, però, lagiovanissima Violante ha impiegatodel tempo, lavorando molto su stessa.«Nonostante tutto questo amore per lamusica», confessa timidamente, «hosempre avuto un blocco, non mi senti-vo adatta a suonare uno strumento. Sa-pevo che ci voleva disciplina, e io nonne avevo, ero una ragazza un po’ selva-tica. Passavo la maggior parte del tem-po in campagna, nella casa di famiglia,dove mi sentivo protetta».

A ventidue anni, però, un raggio disole filtra nel bosco delle sue paure. «Èsuccesso a Pescara, durante unweekend che stavo trascorrendo conuna mia amica a casa di Giulio Corda,che allora cantava in un gruppo pop-rock, i Giuliodorme. Tra noi è nata unaprofonda amicizia, e frequentandociho iniziato su suo consiglio a suonarenel tempo libero, ma per puro piacere.Quindi mi sono comprata una chitar-ra, un registratore a quattro tracce, eme ne stavo interi pomeriggi in cam-pagna da sola, a cantare. Mi si è apertoun mondo, ho cominciato a scriveredei pezzi che poi ho registrato nello stu-dio casalingo di Giulio. Mi sono ferma-ta tre mesi al mare per preparare il di-sco, che poi è uscito per l’etichetta in-

dipendente Benka Records, e non è ca-suale che l’abbia intitolato Don’t BeShy, “Non essere timida”. Adesso, a di-stanza di sei anni, sto lavorando al se-condo album, che sarà invece pubbli-cato dalla Mescal, e ho avviato una bel-la collaborazione con Lele Battista, uncantautore che vive qui a Milano e cheha composto un brano originale perme, mentre su altre canzoni abbiamocontaminato la nostra scrittura. Que-st’estate, accompagno in tour sia luiche Mauro Ermanno Giovanardi, e neapprofitto per testare sul pubblicoqualche inedito».

Diverso è stato invece il percorso chel’ha portata ancora ragazzina sul gran-de schermo. «Il mio rapporto con il ci-nema è stato molto più conflittuale»,ammette, «anche perché venivo da unafamiglia di artisti, e questo poteva com-plicare le cose. Crescendo mio padre hainiziato a lavorare tantissimo, c’era po-co a casa, e io ero contrariata, mi rende-

vo conto che il lavoro di attore ti porta-va via dalla famiglia. Così ho scelto dinon prenderlo in considerazione e misono buttata nello sport: facevo salto aostacoli con i cavalli a livello agonistico.Tutta la fase dell’adolescenza per me èstata solo natura, aria aperta, cavalli, ga-re, concorsi nazionali. Non andavonemmeno in vacanza, facevo solo com-petizioni. Il mio sogno era arrivare alleOlimpiadi. Se ci ripenso quella è statal’unica formazione che è riuscita a dar-mi disciplina, l’unica cosa a cui mi sonoveramente dedicata anima e corpo».Una parentesi che l’ha tenuta lontanadal chiedersi se volesse o meno diven-tare un’attrice, finché un giorno... «A di-ciannove anni sinceramente pensavoad altro, poi questo lavoro mi è venutoun po’ incontro, mi hanno cercata perpropormi degli script e sono iniziate leprime esperienze. Ho debuttato in JackFrusciante è uscito dal gruppo, ma subi-to dopo mi sono presa un anno di pau-sa: ero come svuotata, avevo capito chenon c’era consapevolezza nella miascelta e che mi si poteva anche ritorce-re contro, essendo figlia d’arte. Non vo-levo niente di regalato, perché sono unapersona orgogliosa, dovevo solo capirese quella era davvero la mia strada».

Poi arriva L’anima gemella di SergioRubini nel 2002: «È stato un nuovoesordio, pieno di consapevolezza. E dalì in poi non mi sono più fermata. Ho af-frontato molte altre tappe importanti,per esempio il film con mio padre,Ovunque sei, in cui si trattava anche inmodo coraggioso il tema dell’aldilà.Diciamo che è stata un’esperienza dif-ficile per entrambi: per lui perché si èpreso tanti rischi, sia per l’argomentoche per la scelta di coinvolgermi nel ca-st, mentre per me la vera sfida era con-frontarmi per la prima volta con lui sullavoro. Poi ho fatto tante cose piccole,ma pazzesche. Sono stata due mesi emezzo in Marocco da sola, con unatroupe straniera, a girare un film indi-pendente che non ho mai visto, ma èstata un’esperienza molto interessan-te. Oppure in India per un’altra produ-zione minore dove giravamo in mezzoalla strada, tra i mercati, nulla a che ve-dere con Bollywood».

Impossibile non chiederle di Moa-na, la miniserie per la tv dove ha inter-pretato la celebre pornodiva: «Un’altrasfida elettrizzante. Quello che deside-ravo era solo rendere al meglio la figu-ra di questa donna molto amata, cheera ancora nella memoria delle perso-

ne, realmente esistita, e con una gran-de personalità. Non volevo per forzaazzeccare ogni minimo dettaglio dellapersona, ma mi ero creata un’idea dilei, del suo sentire, che mi faceva da gui-da, e questo mi ha avvicinato ancora dipiù al personaggio». Il viaggio nel cine-ma per Violante è proseguito fuori daiconfini nazionali, come testimoniano isuoi ultimi lavori: «C’è stato The Ameri-can con George Clooney, che mi haaperto le porte all’estero e mi ha dato lapossibilità di fare un secondo film stra-niero, Ghost Rider, insieme a NicolasCage, e il prossimo autunno uscirà unfilm francese poliziesco, Le Guetteur,per la regia di mio padre, dove recitocon Daniel Auteuil, Mathieu Kassovitze Luca Argentero».

Dulcis in fundo, nel momento piùbello della carriera le arriva un ricono-scimento inatteso, viene scelta cometestimonial di L’Oreal per il 2012: «A di-re il vero mi ha un po’ spaventata laprospettiva di avere una grossa visibi-lità, perché non l’ho mai cercata, peròquando ho realizzato che altre testi-monial del marchio sono attrici impe-gnate oppure donne con una persona-lità sfaccettata, penso a Jane Fonda o aPenelope Cruz, mi sono detta che po-tevo semplicemente provare a essereme stessa».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’incontroFiglie d’arte

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Moana è stata

una sfida

Lei è ancoramolto amatae ancoranella memoriadelle persone

Violante Placido

GUIDO ANDRUETTO

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Repubblica Nazionale