ALEXANDER DUBCEK - NuovAtlantide...scatenato in politica interna quell’atto sulla carta che loro...

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Francesco Bonicelli Verrina Patricia Prochazkova ALEXANDER DUBCEK Socialismo dal volto umano (1921-1992) Elison Publishing

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  • Francesco Bonicelli VerrinaPatricia Prochazkova

    ALEXANDER DUBCEK

    Socialismo dal volto umano(1921-1992)

    Elison Publishing

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  • A nonna Ceci e a nonna Margit.

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  • Indice

    Capitolo I – La sua storia 5

    Capitolo II – Dubcek nelle pagine dell’unità dal 1969 al1988. E una discussione parlamentare aRoma (29-30 agosto 1968) 38

    Capitolo III – Alexander Dubcek 1990-1992. L’anti-machiavelli 73

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  • I

    LA SUA STORIA

    Se come gli antichi avessimo fiducia nel valoresimbolico dei numeri, potremmo asserire che la storiacecoslovacca sia stata segnata dal numero otto.

    Il 1848, come un po’ in tutta Europa, ha sancito lanascita effettiva delle istanze nazionali boema e slovacca(istanze nate separate e prima dormienti sotto l’alaprotettiva degli indiscutibili vantaggi della vita sotto latollerante ed illuminata corona asburgica, che proprioallora iniziò a mancare sempre più di lucidità e ad accusarei colpi della vecchiaia millenaria). Il 1918 ha decretato lanascita dello stato repubblicano cecoslovacco, sortodall’instabile unione (formalizzata a Pittsburgh) fra cechi eslovacchi, minata dall’inconciliabilità fra il socialismoliberale e umanitario del padre fondatore Tomáš GarrigueMasaryk e lo strapotere del clero irredentista slovacco,affiancato dalle forze centrifughe rappresentate da sudeti(minoranza tedesca), magiari, ucraini e ancor piùdall’espansionismo della Polonia, la quale, almeno fino altragico epilogo del settembre 1939, non giocò certo inEuropa il ruolo della vittima sacrificale, partecipando anzial lauto banchetto compiuto ai danni di Praga, grazie aHitler, “paladino” delle minoranze etniche, con lamediazione di Mussolini, e grazie al tatticismo colpevoledell’URSS e dei cerimonieri di quell’ingiustizia perpetrata aMonaco, tra il 28 e il 30 settembre 1938 (l’otto ricorrente):Chamberlain e Daladier, i premier rispettivamente di Gran

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  • Bretagna e Francia, i quali, inetti, assistettero allosmembramento della Cecoslovacchia e si meritarono dalord Winston Churchill la frase: c’era da scegliere fra ildisonore e la guerra, hanno optato per il disonore e noneviteranno neanche la guerra, mentre Anthony Eden avevarassegnato in segno di protesta le dimissioni da ministrodegli Esteri.

    Il 1948 (anno del “glorioso febbraio rosso”) segnòl’inizio della dittatura del partito comunista cecoslovacco,che assunse tutto il potere, con il nulla osta del capo dellostato Edvard Beneš (ex presidente del governo cecoslovaccoin esilio prima a Parigi e poi a Londra), già reodell’esproprio e dell’espulsione delle minoranze etnichedalla Cecoslovacchia post-bellica e di un’amnistia perchiunque avesse commesso reati ai danni di cittadini diorigine tedesca nel periodo bellico (ivi compresi per tragicaironia della sorte molti ebrei).

    Il partito comunista cecoslovacco prese il potere con uncolpo di stato (senza l’aiuto dell’Armata rossa, ritiratasi dalpaese nel 1946), ma dopo aver ottenuto anche un’ampiapercentuale di voti, raccolta soprattutto fra il ceto medioceco, rassicurato dall’iniziale presa di posizione del capo delpartito, Klement Gottwald (che parve addirittura favorevolead aderire al Piano Marshall, salvo poi essere richiamatoall’ordine da Stalin), il quale aveva affermato di nonintendere attuare la riforma agraria (e a rigore attuò ineffetti l’abolizione della proprietà sia piccola sia grande!),tema caro invece ai socialdemocratici ed al partitocontadino slovacco, il quale aveva la maggioranza dei votinella parte slovacca e soffrì pertanto la più pesanterepressione.

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  • Ultimo membro non comunista e non ideologico diquel governo fu Jan Masaryk, un abile tecnico prontamenteeliminato dal nuovo regime, inventando maldestramenteun suicidio improbabile. Figlio del padre dellaCecoslovacchia, ex ambasciatore a Londra, un dandy d’altritempi dalle memorabili battute, Masaryk per tutta la duratadella guerra aveva tenuto alto il morale dei suoicompatrioti, facendo sentire la sua voce dalle trasmissionidi Radio Londra ed organizzando la resistenza cecoslovaccaall’estero, la quale diede anche un aiuto fondamentale aiservizi speciali britannici, contribuendo per esempioall’eliminazione di uomini come Reinhard Heydrich, iltemibile Reichsprotektor del “protettorato” tedesco diBoemia.

    Jan Masaryk fu rimpiazzato al ministero degli Esteri daVladimír (Vlado) Clementis, slovacco, un membropiuttosto “eretico” del partito (come molti membri diorigine slovacca), già ostile al patto Molotov-Ribbentrop(l’alleanza fra URSS e Terzo Reich, durata fra 1939 e 1941)e ostile alla guerra sovietica contro la Finlandia. Egli fusoprattutto attivo nel sostegno ad Israele, che appena nato,come enclave socialista nel mondo arabo, volutaparticolarmente da Stalin, oltre che da Churchill (il qualefra l’altro in Europa centro-orientale avrebbe sognato unagrande e pacifica confederazione di paesi, autonoma daidue blocchi), aveva già da fronteggiare l’ostilità dei paesilimitrofi e le armi per combattere il “risorgimento”israeliano partirono soprattutto dall’aeroporto diBratislava. Clementis, come Josef Pavel e altri, era già statodiffamato e perseguitato dagli stalinisti durante la guerracivile in Spagna.

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  • Prima ancora della collettivizzazione forzata delle terre,delle numerose condanne a morte, della repressioneculturale, della chiusura dei conventi e dell’apertura deicampi di lavoro forzato, Clementis fu già nel 1950, insiemea Rudolf Slánsky e a numerosi altri (particolarmente ebreiaccusati di “sionismo”), una delle prime vittime del sistemadi odi personali, o “lotta per la sopravvivenza” spietata esanguinosa, interna agli apparati gerarchici clientelari,carrieristi e classisti del partito unico: una persecuzionedisordinata che non risparmiò né “ortodossi” né “eretici”. Ibeni degli accusati, messi all'asta, andavano ad arricchire disolito il "clan" Gottwald. In particolare i servizi,ossessionati da un violento antisemitismo, servendosi disubalterni opportunisti dei vari ministeri, costruirono unarete di relazioni fittizia intorno all'agente doppiogiochistaebreo statunitense Noel Field, il quale, dopo la laurea adHarvard era stato una spia sovietica al Dipartimento diStato USA, poi aveva combattuto in Spagna ed era riparatoin Svizzera, con un posto alla Lega delle Nazioni a Ginevra,da dove aveva lavorato per salvare numerosi partigiani edoppositori ebrei, in collaborazione con i servizi segretiamericani. Era poi stato arrestato a Praga nel 1949.

    Viliam Široky fu il vittorioso. Egli era un altro slovacco,già doppiogiochista ai tempi della repubblica fascistaslovacca, quando aveva tradito durante la resistenza il padredi Alexander Dubcek, Štefan.

    Il suo strumento furono le spettacolari accuse delpubblico ministero Josef Urválek, grazie al quale spianò lasua strada al ministero degli Esteri e al ruolo di primoministro, eliminando i diversi concorrenti interni alpartito. Aveva numerose affinità elettive con Antonín

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  • Novotny, già kapò al lager di Mauthausen, successore diGottwald alla segreteria del partito e di Antonin Zápotockyalla presidenza della repubblica. La loro gloria finì con leaccese discussioni nel comitato centrale del partito prima edopo il Natale 1967 (risultato del XIII Congresso deldicembre 1965), terminate con l’elezione di AlexanderDubcek, primo segretario del partito comunista slovacco, aprimo segretario del partito comunista cecoslovacco, dopoil capodanno del 1968 (ecco di nuovo l’otto). Del resto datempo si avvertiva che qualcosa stesse per cambiare epersino Leonid Breznev, era venuto pochi mesi prima aPraga, interpellato d’urgenza da un preoccupatissimoNovotny che si era sentito rispondere, dalla contropartesovietica: questi sono affari vostri, arrangiatevi!

    L’ultima volta che ricorrerà il numero otto sarà il 1988,quando il vecchio e stanco Gustáv Husák, simbolo dellaNormalizzazione, ovvero il ventennio di repressione e lentae progressiva rimozione delle riforme dubcekiane, sidimetterà dalla carica di segretario del partito (su pressionidi Michail Gorbaciov), segnando la fine di un’era che sisarebbe ufficialmente conclusa il 17 novembre 1989, dataculmine della Rivoluzione di velluto, con le dimissioni delpresidente della repubblica Gustav Husak e del primoministro Ladislav Adamec, la scomparsa del ruolo guida delpartito dalla costituzione e Havel, Dubcek e Marian Calfain piazza Venceslao accolti e acclamati da un bagno di follainneggiante "Dubcek al castello!", al termine delle trattativecon gli esponenti del vecchio regime in rottamazione, dopogli ultimi ordini di repressione che l'esercito e le milizie delpopolo avevano disertato.

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  • Husák (classe 1913) aveva esercitato la professione diavvocato anche durante il regime fascista, come molti altricomunisti slovacchi, non Clementis, non Dubcek, avevaaccettato l’alleanza fra Unione Sovietica e Germanianazista, nella quale si collocava comodamente la repubblicafascista slovacca, stato fantoccio guidato da monsignorJosef Tiso (riconosciuto ufficialmente anche dal Vaticano).Era entrato nella clandestinità all’inizio delle ostilità fratedeschi e sovietici. Pare che in una lettera, pubblicata dopoil 1968 da esuli cecoslovacchi a Parigi (fra i quali MilanKundera), avesse chiesto a Stalin di annettere la Slovacchiaall’URSS, eventualità gradita a quei comunisti nazionalistislovacchi che avevano preferito avere a che fare con ilregime fascista in una Slovacchia indipendente, piuttostoche con il regime liberalsocialista della Cecoslovacchiamasarykiana democratica, fra le due guerre, e che nonvolevano più saperne di stare con Praga dopo la guerra.Mosca fece leva proprio su questo per cercare di dividereBratislava da Praga anche nel 1968 e poi nel 1992 (e nonstupisce che oggi Robert Fico, premier ex comunista dellaSlovacchia, sia il miglior alleato di Vladimir Putinnell’Unione Europea). Saldamente inserito fra gli“ortodossi” del partito, Husak era caduto comunquevittima, per fatti personali, delle purghe degli anni ’50.Credendo nella riforma federale del paese (unica riformadel 1968 a non essere toccata nel successivo ventennio) evolendosi vendicare di Novotny (comunque già invisoanche ai sovietici per il suo dogmatismo) si allineò aDubcek nel 1968, salvo poi tradirlo, trovandosi con AloisIndra, Vasil Bil’ak, Miloš Jakeš e vari altri, fra coloro cheinvocarono segretamente l’intervento armato del Patto di

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  • Varsavia, attraverso l’ambasciata sovietica a Praga. Alcunidei generali slovacchi più intransigenti avevano già trattatosottobanco con l’URSS quando erano al servizio dellarepubblica fascista ed erano quindi delle vecchieconoscenze dei generali russi.

    Fingendosi in linea di continuità con Dubcek, peringannare l’opinione pubblica, Husák fu quindi designatoda Mosca quale nuovo segretario, smantellando tuttaviauna dopo l’altra le riforme, rimuovendo uno dopo l’altrotutti i riformisti e attuando un crescendo di insulti, accusee misure repressive contro Dubcek (il quale visse gli annidella Normalizzazione in regime di vera e propria libertàvigilata e di arresti domiciliari per alcuni periodi), idubcekiani e tutti gli oppositori in generale, in seguitoraccolti nella formazione clandestina per i diritti civili e lanon-violenza: Charta 77, un movimento civico perl’applicazione dei diritti umani (fra i quali abolizione dellatortura e dei reati politici e d’opinione) sottoscritti aHelsinki nel 1975 dai due blocchi. Breznev e gli altri capinon avrebbero mai immaginato che impatto avrebbescatenato in politica interna quell’atto sulla carta che loroavevano preso, non come impegno, ma solo come gestopuramente cosmetico per ripulire agli occhi dell’opinionepubblica occidentale la propria immagine. Solo JurijAndropov, il saggio capo del KGB, pare avesse manifestatoprima delle perplessità.

    Motore del riformismo nel 1968 furono la ringiovanitaAccademia delle Scienze cecoslovacca, gli scrittori e igiornalisti, vera espressione del popolo (va notato, oltreall’altissima percentuale di alfabetizzati fin dal diciottesimo

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  • secolo, grazie alla riforma scolastica di Maria Teresa, ancheche la lingua ceca, quanto quella slovacca, fino al 1918,avevano conservato comunque la loro dimensione di linguedel popolo e non delle elite).

    Cavalli di battaglia dei riformisti cecoslovacchi furonofin dalla metà degli anni ’60 la riabilitazione di personaggicome Vladimír Clementis e Rudolf Slánsky (vedi sopra), exsegretario generale del partito, attraverso commissioni perun riesame di quei processi farsa, un certo revisionismostorico, una nuova e più puntuale lettura di Marx e delleteorie marxiane, la grande mobilitazione civica, che nelcorso dei primi sei mesi del 1968, portò i membri delpartito comunista cecoslovacco a raddoppiarespontaneamente. Qualcosa di simile accadeva in Poloniacon il revisionismo marxiano di Leszek Kołakowski eAdam Schaff, sostenitori del pluralismo socialista, secondoi quali nel giovane Marx sarebbe stato difficile ritrovareaffermazioni riferite alla proprietà come furto o inneggiantialla dittatura del proletariato.

    Secondo i revisionisti del marxismo semmai si sarebbepotuto rilevare e rivalutare alla luce dell’idea del Karl Marxante-1848, un ruolo del proletariato, prima dell’influenza diFriedrich Engels, come unica classe dotata di quel grado diconsapevolezza necessario per liberare tutte le altre classi,quindi democratizzare la società ottocentesca,riappropriandosi dei mezzi di produzione contro ilcapitalismo sfrenato e monopolistico che prima di tuttoaveva schiacciato le libertà conquistate dalla piccolaborghesia e il lavoro artigianale indipendente.

    Dubcek nel suo discorso natalizio del 1967 aveva giàespresso quanto fosse anacronistico (se non un regalo

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  • all’opposizione) continuare la “caccia alle streghe” anzichétrovare cosa potessero fare di buono per la società anche inon-comunisti. La tragica competizione politica, quanto lalotta di classe e il partito comunista stesso avrebbero potutoessere finalmente superati realizzando un’autentica societàmarxista. Il ruolo guida del partito non doveva più essereconfuso, secondo le parole di Dubcek, con laconcentrazione di potere nelle mani dei dirigenti delpartito, il partito non doveva sedare la creatività del popoloe pretendere di rappresentare tutti gli interessi della società,limitando le libertà degli altri partiti, piuttosto dovevaservire da garanzia, accompagnare verso un’umanità nuova,perseguendo il massimo coinvolgimento dei lavoratori e ditutti i gruppi sociali, senza lotta per la spartizione delpotere. Una guida accompagna, dà l’esempio, non trascina,non obbliga, non impone e sa mettersi da parte quandoserve.

    Già il filosofo marxiano ceco Josef Ludvík Fischer, nellasua opera del 1933 (anno in cui Hitler vinsedemocraticamente le elezioni in Germania), opera a noinota grazie alla preziosa traduzione italiana di SergioCorduas (1977), La crisi della democrazia. Rischi mortali ealternative possibili, aveva concepito tale situazione post-democratica o ultra-democratica (condivisa in qualchemisura anche da Václav Havel e simile alla teoria piùrecente del politologo brasiliano Roberto MangabeiraUnger), una sorta di ritorno alla democrazia comunitaria distampo ateniese, una urgente evoluzione della democrazia,nella quale si potessero superare le dinamiche competitivedi massa (o di branco secondo Elias Canetti) dei partiti, lacandidatura (che può promuovere il più spavaldo anziché il

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  • più saggio), la disciplina di partito, le lotte ideologiche,l’asfittica idea stessa di “maggioranza”, la denigrazione delleidee minoritarie, la demolizione sistematica degli avversari,gli slogan propagandistici, che comprimono la libertà dipensiero dell’individuo e la vita autonoma delle comunità edelle associazioni naturali: promuovere un grande continuodinamico ricircolo di persone, energie, idee indipendenti,in tutti gli ambiti, la rotazione delle cariche, contro laprofessionalizzazione e la fossilizzazione dei ruoli e delleidee; uno schema nuovo di autentica democrazia anti-dogmatica e anti-sacerdotale veramente rappresentativa evitale, che non poteva essere garantita o stimolata né dalleideologie, né dalla sola libertà economico-politica, né dalcentralismo, ma dalla più vasta illimitata libertà culturale edal rinnovamento culturale. Quindi già in Fischer sitrovavano i presupposti della Primavera di Praga, il motoredi una grande liberazione culturale pluralista e civica, senzaconnotazioni di carattere religioso (come invece ebbe ilsindacalismo in Polonia).

    Dubcek aveva detto, nel suo discorso del dicembre 1967,che non avrebbe più fatto uso di “ricette altrui”. Nei primimesi del 1968 era stata abolita la censura, erano stati apertii confini ed erano state reintrodotte le libertàd’informazione, opinione e associazione, la televisione, igiornali, le riviste e le case editrici tornavano indipendentidal partito, una grande libertà culturale che avevarisvegliato registi e attori, teatri, cinema, i mimi dellagrande tradizione praghese, e fra costoro il futuropresidente della Cecoslovacchia post-comunista, VáclavHavel, autore teatrale, ma anche futuri grandi diHollywood come Miloš Forman, autore de Il nido del

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  • cuculo. Anche la musica ebbe una grande rinascita rock,penso per esempio a Karel Kryl e Jaromir Nohavica. Eranostate ritirate le condanne politiche e scrittori nuovamenteliberi avevano dato la linfa per il manifesto delle duemilaparole (27 giugno 1968), scritto da Ludvík Vaculík,romanziere ex operaio della Bata, propugnato dall’unionedegli scrittori (presieduta da Eduard Goldstucker, giàvittima delle purghe), che sarebbe diventato di fatto ilmanifesto del nuovo corso. Proprio quel manifesto, il qualepur essendo espressione delle forze non comuniste era tesoa sottoscrivere sia le riforme sia il ruolo guida del partito,cercò di mettere in allerta il popolo e la dirigenza da quelloche sarebbe potuto succedere in estate, quando tuttiavrebbero abbassato la guardia.

    Nel 1967, in segno di rottura con Mosca e di continuitàcon la politica del 1948, in Slovacchia il sentimento pro-Israele si era fatto sentire durante la Guerra dei sei giorni.Lo scrittore slovacco Ladislav Mnacko, ex partigianocomunista e giornalista, inviato di guerra in Vietnam,autore di opere molto critiche come Il gusto del potere (ilromanzo slovacco più tradotto all’estero) e i reportages inritardo, andò in Israele come protesta contro la posizionefilo-araba del governo di Praga. Il mito di Davide e Goliafaceva presagire il futuro scontro Praga-Mosca. Nel suoreportage La settima notte, raccontò le sue notti insonnidal 20 al 27 agosto 1968, durante l'invasione, concomunicazioni e trasmissioni interrotte, aeroporti e valichioccupati e bloccati, minuto per minuto, dalla sua casa aBratislava, in Suche Myto.

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  • L’economista Ota Šik (poi consigliere economico diVáclav Havel e modello delle economie emergenti), vice-premier, aveva proposto il passaggio da un modellocollettivizzato, statalizzato e centralista, senza nessunaforma di intraprendenza imprenditoriale, a un sistema dicooperative autogestite, all’interno di una forma di mercatosufficientemente liberalizzata (incentivi alla produttività,contrattazione libera, liberalizzazione dei prezzi) da poterrivitalizzare l’economia e la vita politica e culturale,promuovendo la più ampia partecipazione eresponsabilizzazione politica della base, attraverso lespontanee e libere associazioni di genere, di età, diprofessione, delle minoranze e delle comunità locali,finanche di culto.

    Radovan Richta, giovane ricercatore a capo di unambizioso progetto di studi dell’Accademia delle Scienze, ilvolume scritto a più mani: Civiltà al bivio: le conseguenzeumane e sociali della rivoluzione scientifica e tecnologica,aveva asserito che non poteva dimostrare nessun vantaggiodi fronte al mondo la trasformazione di una società insocietà marxista, se poi quella società non fosse stata piùlibera, democratica, colta e progredita del mondocapitalista. La Cecoslovacchia stava diventando, all’altezzadell’esempio storico dei grandi eretici medievali Jan Hus eComenio, un grande laboratorio esemplare non solo per ilmondo socialista ma anche per il mondo capitalista. Unagrande opera di rivitalizzazione liberale o libertaria delsocialismo, che preoccupava a est quanto a ovest,sparigliando le carte dell’opportunistico equilibrio dipotere fra i due blocchi e ridando speranze alla terza via

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  • europea da cui trassero linfa tanto l’Eurocomunismoquanto Solidarnosc.

    Molti giovani occidentali arrivavano a Praga per vederecosa stesse succedendo, mentre in Europa occidentale glistudenti occupavano le università e gli operai le fabbriche egli eserciti sparavano ancora sulle folle (l’autunno caldodell’anno seguente) e in Italia la parità di genere dovevaancora venire (1975). Dubcek aveva un dialogo aperto,continuo e diretto con il popolo e con i giornalistinazionali ed esteri. Suoi bracci destri in tale compitofurono il popolare e fotogenico addetto stampa epresidente del parlamento, Josef Smrkovsky (morto forseanche per cause psicosomatiche cinque anni dopol’invasione), già capo della resistenza praghese, ministrodell'Agricoltura nei primi anni del dopoguerra,sopravvissuto alle purghe, la sua vice Marie Miková e JiríPelikán, presidente della televisione cecoslovacca, poi esulein Italia dopo l’invasione sovietica ed eurodeputato delpartito socialista italiano. Pelikán fu vittima di un parzialerifiuto da parte dell’intellighenzia di sinistra italiana, masoprattutto fu vittima di un vero e proprio boicottaggio daparte dei servizi segreti del suo paese, i cui agentibersagliarono diversi politici italiani, di vari schieramenti,con finte lettere piene di insulti e polemiche, firmatePelikán.

    Nel caso di Dubcek fu assolutamente vera l’affermazionedi Anton Srholec, prete slovacco prigioniero del regimenegli anni di Novotny, secondo la quale l’amicizia è unasorta di cospirazione. Dubcek poté contare soprattutto suun gruppo di amici che lo seguirono fino in fondo nella

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  • sua pacifica “cospirazione” e su un popolo che losommerse di lettere, cartoline, biglietti (che lui leggeva con isuoi occhiali spessi, “immaginando il vivo volto di chi leaveva scritte”), al quale si rivolse direttamente eapertamente sempre, e che continuò a protestare e sabotaresenza mai cadere nella trappola della violenza tesadall’esercito sovietico. Persino i suoi cugini americani gliscrissero.

    Dubcek era cresciuto in Kirghizistan, nella steppa, dovei suoi genitori, ammaliati da un sogno utopico, eranoandati a fondare un kolchoz con altri comunisti slovacchi(della Interhelpo). Aveva ben capito cosa significasse ilregime sovietico, aveva subito un certo razzismo, avevafatto la fame con la sua famiglia, aveva visto ledeportazioni di scheletrici bambini “kulaki” ucraini e lepurghe dei suoi miti giovanili. Suo padre, falegname, chelavorava alla Ford di Gorkij, aveva dovuto lasciare la Russiae il suo lavoro per non perdere la cittadinanza cecoslovaccae non finire in un gulag per il semplice fatto di esserestraniero, nel 1938. La guerra, con le sue trattative sottobanco fra il regime fascista e i sovietici, mentre Alexandercombatteva come partigiano nella formazione Jan Zizka(eroe hussita), e poi la scuola politica a Mosca, avevanofatto il resto nell’accentuare il suo sano scetticismo verso ilmodello sovietico, la sua diffidenza verso il dogmatismo dimolti suoi colleghi, pur non scalfendo la sua fiducia nelsocialismo romantico e umanitario1 del suo nonno vetraioe dei suoi genitori, i quali, da immigrati negli USA (nel1927 tutti i sindacalisti e i socialisti cecoslovacchimarciarono contro l'ingiustizia del processo Sacco-Vanzetti

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  • anche nelle città ceche), avevano partecipato ai primi vagitidel sindacalismo statunitense, che contava allora su unampio sostegno da parte degli immigrati slovacchi,numerosissimi, tanto che c'erano sindacati slovacchi emolta propaganda socialista era in slovacco, nelle grandimetropoli industriali statunitensi di inzio secolo.Sognavano di andare negli Stati Uniti con il Titanic, perfortuna, è proprio il caso di dirlo, la povertà di mezzi nonglielo permise e dovettero andare con una nave meno cara.

    Alexander Dubcek era stato operaio, meccanico, cassiere,autista. Durante l’inverno del 1944 era rimasto ferito (suofratello, Julius, di cittadinanza statunitense, era morto e suopadre era stato imprigionato), si era salvato nascondendosisotto le foglie in un bosco e grazie al misterioso gesto diclemenza di un soldato tedesco, il quale pur avendolo vistodecise di tirar dritto. Infine una donna, Anna Ondrišová(anche i suoi genitori erano stati in Kirghizistan conInterhelpo), lo aveva curato. Era diventata sua moglie, eradi sei anni più grande di Alexander. Si erano sposati inabiti folclorici, in chiesa, come aveva voluto lei, sposati daun prete partigiano, e Dubcek non si era curato dellosdegno risentito dei compagni. Ebbero quattro figli ma ilprimogenito morì di polmonite, ancora in fasce.

    Per un pelo Alexander Dubcek non era nato a Chicago.Doveva chiamarsi Milan, come l'eroe dell'aviazioneslovacca Stefanik, ma si era chiamato Alexander come uncaro vicino di casa e amico di famiglia. Era nato a Uhrovec,il 27 novembre 1921, il villaggio dei suoi genitori, nellaSlovacchia centrale, nella casa annessa alla scuolaprotestante, dove, per ironia della sorte, era già venuto alla

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  • luce l’eroe del risorgimento slovacco del 1848, L'udovítŠtúr.

    Dubcek credeva fortemente nel federalismo, per allargarela base di partecipazione ed avvicinare il governo aicittadini, ma credeva con altrettanto vigore nell’unità fracechi e slovacchi, per la quale si spese ancora, instancabile,nel 1992, fino alla data della sua tragica e misteriosa morte,in seguito ad un incidente automobilistico, il 7 novembredello stesso anno, proprio a un mese dal voto parlamentare(un referendum popolare non ci fu mai) sulla divisione frai due paesi, tanto voluta dai nuovi partiti sorti come funghie tanto osteggiata da Václav Havel stesso, che protestandodiede le dimissioni da presidente della repubblica.

    Dal comitato urbano del partito a Trencín (la cuiuniversità è oggi dedicata a Dubcek), Dubcek fu mandato apresiedere il comitato provinciale di Banská Bystrica nel1953, nella Slovacchia centrale. Da lì iniziò la sua un po’inconsapevole e involontaria rivoluzione (la vera rivoltasecondo Albert Camus, L’uomo in rivolta, consiste nonnell’egoistico risentimento verso l’ingiustizia ma nelprogressivo accrescimento di un senso di disagio neiconfronti di qualcosa di esterno che percepiamo comeingiustizia universale), mantenendosi lontano dagli onorima sempre in stretto contatto con il popolo, con gliappartenenti ai più diversi gruppi sociali, soprattutto noncomunisti, fra l’altro imparò a parlare correntemente inungherese (cosa non facile per uno slavo, quanto per unlatino) con i magiari locali, compreso il suo barbiere Tibor.Curiosamente si fece notare, come il giovane MichailGorbaciov (protetto di Andropov) in Caucaso, per il suo

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  • pragmatismo in campo agrario, promuovendo nella suaregione il più possibile le cooperative agricole piuttosto chele fattorie statali, cercando di diversificare le colture abeneficio dei campi (malgrado la dissennata pianificazionecentrale che ha devastato e inquinato tremendamente lecampagne slovacche) e cercando di attrarre investimenti,dal reticente potere centrale, per sviluppare l’industria ditrasformazione dei prodotti agricoli in quella regione.Dubcek si occupò di ingiustizie nei processi nella suaprovincia andando egli stesso a protestare presso i tribunaliquando gli pareva che qualcuno fosse stato ingiustamenteaccusato e condannato, magari solo per motivi ideologici opersonali. Accadeva spesso infatti che qualcuno diventassecapro espiatorio del sistema, ovvero venisse accusato disabotaggio della pianificazione o dei macchinari, a causa diopinioni personali o di suoi familiari, o addirittura spessoa causa di pareri tecnici pratici (specie in campo agricolo)dati per esperienza ma contrari ai progetti fantasiosi didirigenti che spesso non sapevano nulla di agricoltura.

    Nel maggio del 1962, Antonín Novotny (che già datempo si portava ovunque andasse panini da casa, temendol’avvelenamento) fu spronato da Nikita Krusciov a tenere ilXII Congresso del partito ed a velocizzare il processo di de-stalinizzazione. Riluttante Novotny (che a differenza delleader sovietico manteneva ancora nelle sue mani tutte lecariche chiave del regime), riuscì appena a procrastinare ilcongresso soltanto fino a dicembre.

    Il febbraio 1963 fu quindi la grande occasione diDubcek che venne chiamato a partecipare alla commissionedi riesame dei processi degli anni ‘50, caldamente desideratada Krusciov stesso.

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  • L’impatto delle dichiarazioni di Krusciov, sui criministaliniani, al XX Congresso del PCUS (il partito comunistadell’URSS) del 1956, era già stato esplosivo, provocando laliberazione e l’ascesa di Wladyslaw Gomulka in Polonia e larivoluzione in Ungheria prontamente repressa però daisovietici stessi (nelle decisioni militari i membri stalinistierano ancora i più influenti nel PCUS), senza però riuscirea fermare un processo ad effetto domino inarrestabile.

    Dubcek fu uno dei membri più attivi nella commissioned’inchiesta cecoslovacca (egli era un leale uomo d’apparatoma senza dubbio anche le esperienze di vita del padredevono aver influito sulla sua maturazione), facendosinotare dalla base, dagli intellettuali sempre più insofferential regime e probabilmente anche da Krusciov. Gli effetti deilavori e delle indagini della commissione furono la drasticarimozione di personaggi chiave come l’eminenza grigiaJosef Urválek (il grande accusatore) e dello stesso primosegretario del partito comunista slovacco (sempreufficialmente autonomo da quello cecoslovacco) KarolBacílek.

    Il ruolo di primo segretario del partito comunistaslovacco significava di fatto essere vice del primo segretariodel partito comunista cecoslovacco, con sede a Praga. Il 4aprile 1963, Antonín Novotny tribolò parecchio cercandodi evitare la nomina di Alexander Dubcek a primosegretario del partito comunista slovacco, ma il processo fuinevitabile e Dubcek poté tornare a Bratislava, nel quartieredi Slavín, dove la famiglia si era stabilita fin dal suoingresso nel comitato centrale slovacco (1949), dove paretornasse malvolentieri, preferendo forse la vita rurale di

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  • provincia di Banská Bystrica (vita che conservòcostruendosi una casetta in campagna a Senec, dintorni diBratislava, dove andava a caccia, a fare l’orto e lunghenuotate al lago).

    Secondo il giornalista americano e biografo di Dubcek,William Shawcross, ma del resto appare anche dalle vividepagine delle memorie di Dubcek stesso, il rapporto fraAnna e Alexander fu sempre un rapporto di amoreprofondo e di collaborazione e stima reciproca. Anna nonera particolarmente devota al partito e probabilmenteanche ciò influenzò in certa misura una posizione piùserena e distaccata nei confronti dell’ideologia, da parte diDubcek. Quando Anna insieme ai tre figli (Peter, Pavel,Milan) sentì al notiziario la novità dell’elezione di suomarito, il 5 gennaio 1968, a primo segretario del partitocomunista cecoslovacco, pianse, ma non lacrime di felicità.

    Il processo era ormai innescato quindi già nel 1963 el’unione slovacca degli scrittori colse subito la novitàfacendo il suo affondo contro la giustizia del regime cheaveva represso la libertà d’opinione e imprigionatoinnocenti scrittori e ucciso uomini come Clementis, grandeamico del giornalista, redattore di Rude Pravo (il dirittorosso) e poeta slovacco Laco Novomeský, imprigionato finoal 1956, completamente riabilitato grazie a Dubcek nel1963, anno in cui divenne presidente dell’unione slovaccadegli scrittori, base del sostegno a Dubcek negli anni avenire e anche dopo l’invasione russa. Novotny criticò daKošice (città simbolica della Slovacchia orientale da doveera iniziata la liberazione dell’Armata rossa e si eraproclamata la libertà cecoslovacca) il lassismo di Dubcekche lasciava pubblicare certe cose e di tutta risposta il

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  • comitato centrale fece cadere anche il suo braccio destroViliam Široky, ultima pedina del potere novotniano,eleggendo primo ministro il perito chimico slovacco JozefLenárt. Lenárt fu con gli ortodossi reazionari Bil'ak, Husáke altri, uno dei comunisti slovacchi che appoggiarono in unprimo momento l’ascesa di Dubcek, percependolo solocome pedina dell’istanza nazionalista slovacca anti-ceca enell’agosto del 1968 lo abbandonarono salendo sul carrodei russi.

    Va detto che Dubcek fu sempre coerente nel crederenell’alleanza con l’URSS, pur credendo anche nell’aperturaal resto del mondo e non interpretando la lealtà comesudditanza, il che però non volle mai dire per luirinunciare alla fede e alla passione per i suoi ideali, cosache la maggior parte dei suoi colleghi intransigenti delPatto di Varsavia aveva già fatto da tempo, negando lelibertà civili e accettando di indebitarsi con l’occidente(fatto forse solo apparentemente in contrasto con la granderepressione interna nei paesi del blocco). All’epoca deltrattato di amicizia URSS-Cecoslovacchia del 1963, Dubcekaveva detto, al cospetto di Breznev, in visita a Bratislava:Noi staremo sempre in ogni questione accanto alla Russia esosterremo sempre le sue politiche ed il compagnoKrusciov nel suo tentativo di prevenire la guerra atomica emantenere la pace e seguire una politica di pacificacompetizione fra stati con differenti sistemi socio-economici. Ma questo non significa che accettiamo lapacifica coesistenza delle due ideologie. Pacificacompetizione non significa pace degli ideali, la lotta peressi continua. In ciò probabilmente Breznev vide un rigidoe perseverante uomo dell’apparato e forse questa percezione

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  • falsata fu quella che aprì la strada a Dubcek negli anni avenire, ma certo nel discorso di Dubcek ci fu più che altrouna sottile accusa fra le righe alla stessa URSS, in coma dalpunto di vista della vitalità degli ideali, un imperoreazionario e militarista, arretrato economicamente ecivilmente, i cui dirigenti furono quanto di più lontanoimmaginabile dalla coerenza e dalla promozione degliideali socialisti attraverso l’esempio, promuovendo in realtàil peggior anti-socialismo. Utile solo all’equilibrio dei dueblocchi, che nemmeno nessuno stato occidentale osò maiscalfire.

    Dubcek fu dal 1966 sempre più sotto i riflettori dellacronaca, ciò infastidiva terribilmente il sessantunenneNovotny che faceva lunghe telefonate vessatorie aBratislava, infarcite di minacce e millanterie, rendendosempre più lunghi, paranoici e snervanti i suoi interventipubblici e rendendosi sempre meno popolare e gradito alpubblico, a vantaggio del brillante quarantacinquenneDubcek, il quale mandava giù tanti bocconi amariaspettando con pazienza il suo momento, il bagno di folladel 1° maggio 1968 per esempio.

    Tutto si delineò al quarto congresso degli scrittori aPraga, 27-29 giugno 1967, i più accesi, oltre a LudvíkVaculík, furono Jan Procházka (morto nel 1971), MilanKundera (il primo a paragonare pubblicamente l’URSS alTerzo Reich), Pavel Kohout, Ivan Klíma, Arnost Lustig,Jaroslav Seifert (primo Nobel cecoslovacco per la letteratura1984), Antonín Liehm, direttore del Giornale letterario,tutti di provata formazione e fede marxista, già vittimedelle purghe, eccetto Procházka, autore di opere distruggente realismo sulla guerra. Così come i riformisti

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  • all’interno del partito furono spesso accomunati dall’esserestati vittime delle purghe, spesso perché ebrei, sovente excombattenti della guerra di Spagna, come nei casi di JosefPavel e František Kriegel, per fare solo due esempi, expartigiani, mentre spesso i conservatori del partito nonerano né stati in Spagna né avevano fatto la resistenza (sierano rifugiati a Mosca dal 1938 con Gottwald e PalmiroTogliatti). Per i suoi molti amici e collaboratori ebreiDubcek stesso fu accusato di essere a capo di un"complotto sionista", tale passò la Primavera di Praga comefurono destinati a passare numerosi altri tentativi riformistiilluminati, con l'antisemitismo sempre in agguato.

    Quella notte di giugno quindi Liehm lesse la lettera diAleksandr Solzenicyn contro la censura. Tre i temidominanti: la necessità di limpidezza sui sotterfugi,l’insoddisfazione per l’atteggiamento anti-israelianocozzante con il debito culturale dell’Europa orientale versol’ebraismo, l’abuso di potere dei dirigenti. Jirí Hendrych,segretario di Novotny, fu il primo ad abbandonare la sala,insieme ad altri “ingegneri dell’anima”, scrittori di partito, iquali tornarono in seguito in auge, dopo l’aprile 1969.

    Il Giornale letterario diventò da subito ricettacolo liberodi articoli per la rinascita della vita parlamentare, lariabilitazione degli scrittori emigrati e dei prigionieri deicampi di lavoro, dei cattolici, per la ripresa delle relazionicon Israele, Germania federale, una politica danubiana(tema sempre vivo quello della grande confederazionedanubiana, in una certa linea di continuità da Pál Teleki aImre Nagy, entrambi tragicamente morti), un esercito dispecialisti imputato alla sola difesa dei confinicecoslovacchi (non dell’URSS e degli altri paesi del Patto di

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  • Varsavia), un’intesa con la Jugoslavia e con il Mercatocomune europeo, il ritorno di Masaryk (un attivistachiamato Rudolf Battěk fu arrestato e torturato nel 1978proprio per aver festeggiato l’anniversario della repubblicafondata da Masaryk).

    Ampio spazio venne lasciato alle arti, specie a quelle“degenerate e borghesi” (si noti la spiazzante similitudinedi espressioni fra nazismo e comunismo sovietico), sipubblicarono gli appunti scritti su foglietti, annotati dinascosto nel campo di lavoro, da Jirí Mucha, figlio delpittore Alfons Mucha, paragonando il campo di lavoro alpaesaggio del film Metropolis e si diedero alle stampemolte altre testimonianze agghiaccianti delle vittime deiprocessi degli anni ‘50. Emersero l’uso di allucinogeni(quali la scopolamina chloralosa, che induce ad attribuirsicolpe inesistenti), le torture per far imparare a memoria agliaccusati la propria auto-accusa, immersi fino al collo invasche piene di sterco e urina, bastonati e frustati a sanguefino a perdere i sensi, scossi con fili elettrici, marchiati afuoco, messi senza acqua in piccole celle surriscaldate, etc.osservava Mucha nei suoi appunti: Quanto lavoro permettere insieme le singole deposizioni, perché si incastrinol’una nell’altra come rotelle in un orologio.

    Ivan Klíma scrisse la seguente definizione delcomunismo: Un partito sorto per costituire una societàamministrata col più severo razionalismo general’irrazionale ed il caos. Propugna una direzione scientifica eparalizza la scienza. Propugna il più giusto ordine eintanto condanna migliaia e decine di migliaia (in alcunipaesi milioni) di persone che semplicemente nutronodubbi sulla giustizia di questo ordine, propugna

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  • l’uguaglianza e crea il mito della classe eletta, propugna lapiù alta forma di democrazia e intanto liquida le garanziedemocratiche, propugna la più grande libertà e limita lelibertà più essenziali (organizza elezioni che per procedurae per risultati hanno una sola analogia nella storia, ilfascismo), carrieristi e volgari usurpatori si dichiaranoincarnazione della classe operaia e defrauda gli operai deidiritti per i quali hanno tenacemente lottato più di centoanni.1 Similmente Kołakowski definiva il suo paese unsistema in cui chi non aveva commesso alcun reato stava incasa ad aspettare la polizia che lo arrestasse. Mentre Haveldichiarò illusione che fosse sufficiente democratizzare ilpartito dominante.

    Una volta segretario del partito, Dubcek, compì il suoprimo gesto riformista nel rifiutare cariche dello stato. Ilgenerale Ludvík Svoboda, uomo autorevole ed ex capo delleforze armate prima delle purghe, fu eletto presidente dellarepubblica (il 30 marzo), mentre Oldrich Cerník fu sceltocome primo ministro. Fra i ministri del nuovo governo cifurono anche alcuni esterni al partito. Malgrado lecondanne all’evoluzione cecoslovacca da parte dei “cinque”:Germania democratica, Bulgaria, Polonia, Ungheria, URSS(infatti in tale operazione il Patto di Varsavia non potécontare sul sesto membro, la Romania, che anzi condannòduramente l’intervento), alla conferenza di Dresda del 23-24marzo, il 5 aprile venne approvato il programma diriforme, il 4 maggio Dubcek e una delegazione cecoslovaccasi recarono a Mosca. Qui Dubcek fece probabilmenteorecchie da mercante, sicché il 15 luglio un’altra riunione

    1 A. M. Ripellino, L’ora di Praga, Le Lettere, Roma, 2008. (p. 40).

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  • dei “cinque” a Dresda (Dubcek non venne nuovamenteinvitato) inviò una lettera piena di rimproveri, ma il 3agosto i sovietici, a Bratislava, apparvero nuovamenteaccomodanti e concilianti, benché stessero già preparandol’invasione. Pochi giorni dopo Tito visitò acclamato Praga,molti pensarono che solo fosse un peccato che la Jugoslavianon avesse un esercito più forte. E cosa sarebbe successoforse se l’Europa occidentale avesse varato un progettocomunitario di difesa ed avesse potuto offrire tale garanziaa Praga? Anche Nicolae Ceausescu visitò Praga in queigiorni e parve per un attimo ricomposta la Piccola Intesadegli anni ‘20, Cecoslovacchia-Jugoslavia-Romania, ilcordone sanitario danubiano per impedire l’espansionismorusso, quanto quello tedesco e quello ungherese. Ancheallora fu tutto vano.

    Il 6 maggio 1968 Luigi Longo, allora segretario delpartito comunista italiano, visitò Praga, incontrandosi conDubcek ed altri dirigenti della Primavera di Praga, insiemea Giuseppe Boffa, il più kruscioviano de L’Unità, oltre cheesperto di Europa orientale e Russia. Allora inviato delgiornale comunista a Praga era il triestino Silvano Goruppi.Tutti ex partigiani come la controparte cecoslovacca.

    Va premesso che nel 1924 Mussolini aveva firmato conBeneš un trattato anti-revisionista (contro la revisione deiconfini), -poi ampiamente disatteso dall’Italia- e le relazioniitalo-cecoslovacche, in campo economico e soprattutto incampo culturale avevano conosciuto un acme negli anni‘20, che comunque non si estinse e molti partigiani cechi eslovacchi soprattutto, militarono nella resistenza italianafuggendo dalle fila degli occupanti tedeschi. Vanno

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  • annoverati anche il comune risorgimento anti-austriaco,con il simbolo della repressione nella fortezza Spielberg diBrno, che aveva permesso la creazione di una legionececoslovacca in Italia durante la Grande Guerra el’intitolazione di alcune vie ceche a Silvio Pellico.

    Significativamente nel colloquio fra Dubcek e Longo,reso pubblico solo nel 1988 dal PCI, nel volumettoPrimavera indimenticata. Alexander Dubcek ieri e oggi2

    edito da L’Unità, Alexander Dubcek esordì dicendo che ledifferenze fra marxisti non dipendono dalle differenzegenerazionali ma dal modo di intendere il movimentopresente della società e lo stato attuale del pensierosocialista. Ognuno deve sentirsi responsabile dellaformazione della linea e deve esserci un grande ricambio.“Quale che sia la tendenza di ognuno tutti vogliono che siviva meglio”, per questo Dubcek sosteneva la creazione delfronte nazionale per raccogliere i punti di vista noncomunisti, con la ferma convinzione di non creare cosìun’opposizione o dar vita ad una lotta per il potere, mabensì per democratizzare la società, allargando la dialettica.Il fermo presupposto dubcekiano fu che non ci potesseessere socialismo senza libertà e senza democrazia. “Nonpretendiamo che le nostre soluzioni siano modelli per altripaesi” proseguiva Dubcek. “Noi sappiamo di non potercifermare a metà strada … Se noi socialisti sappiamo trovareuna via democratica al socialismo, le forze antagoniste nonne proverebbero certo piacere”. La ferma volontà di noncedere a nessuna provocazione da nessuna parte fu un altro

    2 Cur. G. Boffa, Primavera indimenticata. Alexander Dubcek ieri eoggi., L’Unità, Roma, 1988. I fogli inediti dell’incontro Dubcek-Longo(pp. 25-41).

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  • saldo principio esposto dal segretario del partitocecoslovacco. Ampia apertura alla libertà religiosa. Ribaditala cooperazione economica e politica con Mosca, ma ilrifiuto di ricette da parte degli altri paesi del Patto diVarsavia.

    Longo rispose: “Crediamo che difficoltà e pericolivengano anche dal ritardo con cui determinati problemisono stati affrontati. Ma crediamo anche che la via sceltasia la sola che consenta di superarli, sia pure a costo dipagare un prezzo”. Si capisce perché non sapendo comesarebbe andata a finire il PCI non abbia voluto renderepubblico un colloquio contenente tali affermazionicompromettenti di appoggio, quando invece sarebbe poitornato comodo renderle pubbliche nel 1988, alla vigiliadel crollo. Proseguiva Longo: “Non è un caso che oggi visiano spinte per modificare i rapporti fra masse e potere sianei paesi socialisti che in quelli capitalistici … Per questoconsideriamo positivo il movimento studentesco (in Italia)anche se rivolge critiche a noi come agli altri partiti.Riconosciamo del resto che in questo settore abbiamoavuto ritardi e incomprensioni. Riconosciamo l’autonomiadel movimento studentesco, anche se contrastiamo latendenza a contrapporsi ai partiti. Sulle critiche che civengono rivolte accettiamo il dibattito. Combattiamo letendenze a respingere il movimento studentesco perchésono prova di passività politica … Neanche noipretendiamo di offrire modelli. Ciò che facciamo loriteniamo valido per la nostra realtà … Noi teniamo contoanche delle decisioni del Concilio Vaticano II e dellerecenti encicliche che contengono una condannaabbastanza radicale del capitalismo … Abbiamo rapporti

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  • anche con il Vaticano, sia pure in forma non del tuttoesplicita. C’è una persona che stabilisce contatti fra me e ilpapa quando è necessario”.

    È interessante ricordare che Dubcek lasciò partire perincontrarsi con Paolo VI il vescovo clandestino JanChryzostom Korec, vescovo che non accettando il dialogoimpostato con l’est dal cardinale Agostino Casaroli, suimpulso di papa Giovanni XXIII, non poteva essereufficializzato nel regime e continuò a fare umili lavori persopravvivere e stare fra gli ultimi.

    Altro tema importante trattato nel colloquio fu ilrapporto con il Vietnam, la Cecoslovacchia infatti ospitònumerosi profughi vietnamiti durante quella guerra, eDubcek fu, molto più dei dirigenti sovietici, un accesooppositore della guerra in Vietnam, posizione seguita daicomunisti italiani, salvo poi, in un eccesso di zelo pacifista,difendere brevemente la Cambogia Khmer, all’epoca dellaprovvidenziale invasione vietnamita di quest’ultima.

    Ultimo punto suggestivo toccato nel colloquio furono lerelazioni economiche Italia-Cecoslovacchia, Dubceksottolineò quanto tenesse ad instaurare ottime relazionieconomiche proprio con Italia e Germania federale. Longocitò l’ENI e i suoi ottimi rapporti con Eugenio Cefis eprima con Enrico Mattei, anima della prima democraziacristiana italiana, della resistenza e del boom economicoitaliano. Mattei, forte dell’esperienza della miseria in Italia,fu attivo nel sostegno delle politiche riformiste in Iran,dove egli riuscì a strappare il controllo su molti pozzi allealtre compagnie petrolifere occidentali, proponendocontratti più equi (forse ucciso proprio per questo nel1962). Offrire un contatto con l'ENI ai cecoslovacchi

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  • significava allora offrire una possibilità di emancipazionedalla dipendenza ricattatoria dai rifornimenti petroliferisovietici. Dubcek fece anche riferimento al memoriale diYalta, scritto da Palmiro Togliatti in Crimea pochi mesiprima della propria morte, non è chiaro se in senso anti-kruscioviano, dove comunque sostenne la autonomianell’internazionalismo. Pubblicato in Italia cautamente soloalcuni anni dopo.

    Non è chiaro se Dubcek abbia frainteso i sovieticinell’incontro del 29 luglio a Cierna nad Tisou (l’incontrobilaterale era stato preceduto da una raccolta firme asostegno dell’operato del partito e del governo, da parte deicittadini cecoslovacchi), nell’estremo est della Slovacchia, adun passo dall’Ucraina (certamente durante le trattative glieserciti del Patto non smisero mai le operazioni lungo iconfini e si può immaginare il grado di tensione nelcolloquio).

    L’ambasciata sovietica aveva accusato il ministro degliInterni Josef Pavel di radunare segretamente armi ricevutedalla Germania federale. Non ce ne furono mai le prove.

    Secondo Bil'ak, Breznev aveva già detto a maggio aDubcek che i confini sovietici erano anche i confini dellaCecoslovacchia, liberata con il sacrificio di tanti giovanirussi (la solita vecchia retorica moscovita) e che avrebbefatto la terza guerra mondiale pur di impedire l’uscita dellaCecoslovacchia dal blocco sovietico. Ancora oggi VladimirPutin diffonde un documentario che vorrebbe riproporre latesi del salvataggio sovietico della Cecoslovacchia da unimminente attacco NATO!

    Il 10 luglio si era già sparsa la voce che i polacchi,guidati dal generale Wojciech Jaruzelski (noto Pinochetski

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  • del colpo di stato militare del 23 dicembre 1981 inPolonia), fossero già ai valichi. Jaruzelski portava sempre gliocchiali scuri per i danni subiti dai riflessi sulla neve, nelgulag siberiano dov’era cresciuto, deportato da ragazzo coni suoi genitori, appartenenti ad una famiglia aristocraticapolacca.

    Nella notte del 21 agosto 1968, i carri armati del Pattodi Varsavia, condannati dalla Romania, dall’Albania, dallaCina, dalla Corea del nord, dal Vietnam e da Cuba (pienazeppa di consiglieri cecoslovacchi all’epoca), varcavano iconfini cecoslovacchi (János Kadár in Ungheria aveva fintoamicizia con Dubcek, salvo spifferare a Mosca ogni cosache si erano detti), occupando militarmente le sedi delpartito e tutti gli altri edifici pubblici in ogni città.

    I militari russi, guidati da un colonnello, entrarononegli uffici del partito a Praga ad armi spianate, urlandocontro i presenti. Alexander Dubcek, che passava ormai lesue notti in bianco, fu prelevato insieme a Smrkovsky,Cerník e František Kriegel (il personaggio piùrivoluzionario, medico ebreo, volontario nella guerra civilespagnola e in Cina) e altri fra i quali Zdenek Mlynár, allorasegretario del comitato centrale del partito, e tutti furonocaricati su un aereo e condotti a Uzgorod, nell’Ucrainaoccidentale. Appena all’1, il presidium cecoslovacco,riunito d’emergenza, aveva dichiarato “l’invasione sovieticacontraria ai fondamentali principi di relazioni fra paesisocialisti e una grave violazione del diritto internazionale”.

    Nei due giorni seguenti ebbero luogo due fattiimportanti, infatti mentre Dubcek, dopo una primaresistenza, imbottito di psicofarmaci e intontito (pochimesi dopo sarebbe stato ricoverato d’urgenza per un grave

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  • crollo) firmava un documento con i russi che consentiva latemporanea presenza delle truppe del Patto di Varsavia inCecoslovacchia (in realtà per un cavillo avrebbe volutoappellarsi al fatto che quell’invasione non fosse legittimacome Patto di Varsavia, visto che la Romania nonpartecipava), seguito dagli altri (unico a non firmare fuKriegel), a Praga, su convocazione del comitato municipaledel partito, nel quartiere operaio di Vysocany, in uncapannone, difesi dalla popolazione locale, si riunivano idelegati (più di mille) del XIV Congresso, giunti nellemaniere più rocambolesche, per eleggere tutti i nuoviorgani direttivi del partito, chiedendo l’immediato ritirodelle forze d’occupazione e appellandosi ai partiticomunisti del mondo intero (un particolare appello al“compagno Longo”), si ponevano l’obiettivo immediato diottenere la liberazione degli arrestati e il ripristino dellelibertà civili. Il 23 agosto il Rudé Právo pubblicava leconclusioni del Congresso.

    I membri tratti in arresto facevano ritorno, il 27,sconvolti e spaventati (dopo giorni di tortura psicologica,senza sapere dove fossero e cosa sarebbe stato di loro,completamente isolati dal mondo). Kriegel era stato l’unicoad essere trattenuto. I sovietici lo avevano seviziato tutto iltempo con insulti a sfondo antisemita, era stato anchel’unico a rifiutarsi di sottoscrivere l’accordo con i russi.Pare abbia detto: il massimo che potete farmi è uccidermi.Avanti uccidetemi! Era sopravvissuto a Mauthausen.

    Fu Dubcek ad accorgersi in aeroporto della sua assenza ea dire che nessuno sarebbe partito senza Kriegel e, vista latenacia, i sovietici si risolsero a portarlo e lasciarlo partirecon gli altri.

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  • Pelikán, Kundera e molti altri lasciarono nei giorniseguenti il paese.

    Alexander Dubcek rimase sempre dell’idea che unaresistenza armata non sarebbe servita a nulla se non adaggravare le cose, come raccontò a Shawcross e allatelevisione spagnola nel 1990. La non-violenza fu la suarisposta e quella di tutto il popolo cecoslovacco. I giovanicecoslovacchi salivano sui carri armati e ai russiimbambolati e affamati, che spesso non sapevano dove sitrovassero, venuti con l’idea di impedire un “colpo di statofascista”, spiegavano cosa fosse il socialismo, sui murialcuni avevano scritto: Lenin svegliati, che Breznev èimpazzito! Gli studenti di tutte le età furono i più presentinelle fila dei caduti, disarmati, davanti alle loro scuole euniversità, come a Budapest nel 1956.

    Come scriveva Enzo Bettiza, parlare di Kafka in queigiorni a Praga appariva quasi banale, ma ovviamente sipercepiva tutta l’assurdità di quel Processo.

    Scriveva in quei giorni di Dubcek Bohumil Hrabal,autore di grandi racconti e romanzi surreali, vissuto tutta lavita a margine facendo i lavori più diversi e strani, autorenel 1967 di Inserzione per una casa nella quale non vogliopiù abitare (titolo evidentemente evocativo), sulla scia diFranz Kafka e Jaroslav Hašek, Un giovane che capisce e safar valere l’ironia e l’arguzia, un giovane che si veste conl’accuratezza di un damerino, che ha sempre unfazzolettino bianco ben piegato, la cravatta e il ciuffetto,un giovane che sa saltare dal trampolino a capofittonell’acqua (una famosa foto dell’estate del 1968 ritraeDubcek mentre si tuffa in piscina a Santovka), un giovaneil quale sa che il destino e lo sviluppo del ventesimo secolo

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  • dipendono dalla rivolta e dalla speranza, dall’individualitàcreativa e dalle masse insorte, un giovane al quale lepreoccupazioni e la stanchezza, in cambio del focherelloche ha portato, beccano a tal punto il fegato, da farlosembrare un certosino che torni all’alba da preghierenotturne o un amante levatosi al mattino dal letto della suabella. Questo era Dubcek secondo Hrabal, suicida nel 1997(cosiddetta quarta defenestrazione di Praga3).

    3 La prima nel contesto delle guerre hussite (1415), la secondaall’inizio della guerra dei trent’anni (1618), entrambe ai danni diambasciatori dell’imperatore, la terza quella di Jan Masaryk (1948).

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  • II

    DUBCEK NELLE PAGINE DELL’UNITA’ DAL 1969 AL1988. E UNA DISCUSSIONE PARLAMENTARE AROMA (29-30 AGOSTO 1968).

    La Cecoslovacchia, che dagli anni ‘20 aveva avutorapporti economici importanti con il nord-est italiano,zona particolarmente calda poi nel periodo della resistenza,nell’era novotniana aveva ospitato come rifugiati politici gliuomini della “volante rossa”, quel gruppo estremista dellaresistenza di area comunista che non aveva accettato la finedella guerra in Italia e la democrazia costituzionale,continuando a compiere atti terroristici consistenti ingiustizia sommaria ed omicidi politici, i cui membridovettero infatti lasciare l’Italia.

    L’Unità (sotto la direzione di Mario Alicata, MaurizioFerrara e Giancarlo Pajetta) aveva seguito le vicende diAlexander Dubcek fin dalle prime riabilitazioni del 1963 eaveva seguito gli sviluppi del riformismo cecoslovacco congrande interesse, fin dal 5 gennaio 1968.

    L’invasione del 21 agosto, arrivata come un fulmine aciel sereno, dopo le rassicurazioni del 3, aveva coltovolutamente di sorpresa l’occidente. Come quasi tutti anchei dirigenti del partito comunista italiano si trovavano perlo più in ferie, in vacanza, o in procinto di partire. Longosi trovava a trascorrere le vacanze nella sua dacia in Russiae gli fu a lungo negato di prendere contatto con Roma,pare (inoltre Giorgio Amendola era a Sofia e GiancarloPajetta a Varsavia). Comunque la condanna

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  • dell’occupazione, unilaterale e ferma, da parte delladirezione del PCI, scritta da Giorgio Napolitano, non sifece attendere e al di là delle polemiche contro i comunistiitaliani ci fu effettivamente un periodo di rottura dellerelazioni con Mosca, fino al 1970, e di intenso e asproscontro con la stampa dell’est. Con particolare apprensionefurono seguiti gli sviluppi nella campagna contro Dubcek.

    A dimostrazione di quanto l’intervento colse alla finequasi tutti di sorpresa, basti citare l’articolo dellaDomenica del Corriere, del 3 settembre, di IndroMontanelli, già testimone in prima linea dell’occupazionedell’Ungheria nel 1956 (La sublime pazzia della rivolta):Come gli sciacalli. Prima si finge di far la pace con lavittima, per poi coglierla nella notte.

    Significativa una cartolina clandestina che circolava inquei giorni a Praga, con le foto degli scontri e delledistruzioni, con scritto: Perché?, in russo ed in ceco.Testimonianza di tutto lo sbigottimento del popolocecoslovacco che iniziò a disegnare polemicamentesvastiche vicino a falci e martelli, salutando con il salutonazista, provocatoriamente, gli occupanti che ricordavanocosì tanto quelli tedeschi di trent’anni prima (e neglieserciti delle due Germanie c’erano molti ex ufficiali esottufficiali della Wehrmacht e delle SS). Intanto ilcomitato centrale del partito continuava a invitare icittadini a non offrire spazio alla violenza agli invasori.

    Dubcek andò a Mosca il 4 ottobre per ottenere il ritirodelle truppe, richiamando il fatto che l’invasione eraillegale non essendo stata decisa all’unanimità dei membridel Patto. Non ebbe successo ma decise di non dimettersidal ruolo di primo segretario, aspettando con pazienza e

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  • sperando che un atteggiamento non-violento avrebbesfiancato e costretto alla ritirata gli occupanti, dimostrandole buone e pacifiche intenzioni sue e della Cecoslovacchia.Anche l’ambasciatore della Cecoslovacchia all’ONU fucostretto, su pressione di Mosca, a non porre all’AssembleaONU la questione cecoslovacca.

    Intanto in Italia, a Montecitorio, si era tenuta nellegiornate del 29 e 30 agosto la prima riunione bicameralestraordinaria nella storia dell’Italia repubblicana, propriosui fatti cecoslovacchi (in ballo anche l'estensione delladurata della NATO). A presiederla il presidente dellaCamera Sandro Pertini (socialista), affiancato dal ministrodegli Esteri Giuseppe Medici (democristiano), dal premierGiovanni Leone (democristiano) e dal presidente dellarepubblica Giuseppe Saragat (socialdemocratico).

    Giovanni Malagodi, segretario del partito liberaleitaliano e capo dell’opposizione liberale al centro-sinistra,fece un lungo e profondo intervento. Egli accentuò lanecessità di offrire l’esempio reale di un modello disviluppo sociale liberale occidentale al mondo dell’est, unmondo occidentale libero e forte anche a vantaggio delleesigenze del mondo comunista (“paradosso liberale”), lanecessità di una maggiore coesione fra gli stati europei(anche a costo di perdere la Francia gollista, ostile all’ideadel progetto europeo di difesa), di una maggiore elasticitàdei blocchi (perché i governi occidentali avevano pregato ilgoverno di Praga di non uscire dal Patto di Varsavia?) e diun maggior peso dell’Europa nella NATO, anziché unequilibrio fra i blocchi per garantire lo status quo. Sirichiamò al discorso applaudito di Pietro Nenni, segretario

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  • del partito socialista italiano, il quale aveva detto che lalibertà non può avere aggettivi (i comunisti Pietro Ingrao eGiancarlo Pajetta parlarono infatti ancora di “libertàborghesi”) ma è una esigenza umana e fondamentale,dichiarò insoddisfacente la dichiarazione di Longo secondoil quale non vi sarebbero state ragioni sufficienti perl’intervento militare sovietico, secondo Malagodi infattinon dovevano poterci essere ragioni in ogni caso,manifestando il suo disappunto anche con l’interventomilitare statunitense in Vietnam, pur sottolineando cheperò in quel caso era stato il regime di Saigon ad invocarel’intervento americano (fatto che faceva mantenereall’intervento una sua correttezza dal punto di vista deldiritto internazionale). Malagodi insisteva inoltre su puntiinteressanti e sempre validi, ovvero lo storicoespansionismo russo che continuava a perpetuarsi nelle suetrasformazioni politiche, preoccupante dal momento cheuna clausola ONU consentirebbe ad ognuno dei paesivincitori di occupare in caso di emergenza uno dei paesisconfitti (Italia, Germania, Giappone), e alla luce del fattoche aumentavano i missili rivolti verso l’Europa occidentaleanziché quelli verso l’America. Del resto, ricordò Malagodi,secondo quanto diceva il cancelliere prussiano Otto vonBismarck, chi controlla la Boemia controlla i Balcani(impedendo l’intesa danubiana con Tito). Il comunismorealizzato sovietico non commetteva errori, secondo illeader liberale, viveva come il fascismo solo in virtù deipropri eccessi. Infine Malagodi sottolineava la tendenzapositiva del comunismo cecoslovacco a superare ilclassismo e a trasformarsi in un certo modo in liberalismo,anche grazie al piano di riforme economiche di Šik,

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  • bloccate da firme estorte da Breznev, come già era accadutocon Hitler nel 1939. Concludeva l’intervento, Malagodi,citando l’augurio commosso di Smrkovsky, di ritornodall’Ucraina, due giorni prima: Speriamo proprio difarcela!

    Pietro Ingrao parlò a nome dei comunisti control’atlantismo, parlò nel suo intervento ancora di “dirittoall’esproprio”, di lotta di classe, rivendicò il fatto che leconquiste comuniste fossero anche state un patrimoniocondiviso dell’umanità, non solo dei comunisti, ancheDubcek e i riformatori erano comunisti. Invece secondoIngrao la giornata era stata sprecata come occasionestrumentale per Mariano Rumor e gli altri democristiani,per fare “volgare e rozza” propaganda anti-comunista.Ingrao (che appartenne all’ala più di sinistra del PCI, tantoche nemmeno Mosca lo vide mai di buon occhio, allastregua del “liberale” Napolitano) condannò e deprecòl’intervento militare del Patto di Varsavia ma anchel’ipocrisia del governo che si scandalizzava per laCecoslovacchia e non per il Vietnam e qui offrì il fianco aGiorgio Almirante, leader dell’estrema destra (movimentosociale), anch’egli anti-americano, per intervenire toccandoun punto nodale (anche se dopo un verboso panegirico difrecciate gratuite contro socialisti e liberali): se i comunististavano giustapponendo l’intervento sovietico a quellostatunitense, considerando tutti gli aggettivi forti con iquali avevano definito gli Stati Uniti negli ultimi mesi,stavano implicitamente (o involontariamente) offrendo unritratto, con le stesse caratteristiche di disumanità, crudeltà,imperialismo anche dell’Unione Sovietica e del Patto diVarsavia.

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  • Non è un caso infatti che il PCI sviluppasse negli anni avenire strette relazioni proprio con il partito comunistaromeno (l’unico del Patto e non aver aderito all’intervento).

    A un anno dall’elezione di Dubcek il giornale comunistaitaliano annunciava voci su una probabile espulsione dalpartito del suo braccio destro, Josef Smrkovsky, nel numerodel 5 gennaio 1969. Il 9 gennaio Goruppi riportava stralcidel discorso radiofonico di Dubcek: La nostra azionepolitica non tornerà mai sui vecchi binari. Bisognaproseguire nella riforma economica e nelle riabilitazioni.Non fare niente alle spalle dei cittadini, attuare ilprogramma senza farsi travolgere dal nervosismo. La suafiducia di spuntarla era davvero invincibile. Venivanoannunciate anche la nuova camera ceca e la nuova cameraslovacca, con membri socialisti e cattolici anche se intantocircolava da agosto stampa illegale, diffusa dagli occupanti,piena di diffamazioni contro Dubcek e i suoi amici, i qualituttavia continuarono a credere nella discussione aperta edemocratica. Il 10 una delegazione sovietica, guidata dalsegretario del comitato centrale del PCUS, visitava Praga.

    Il 17 gennaio Goruppi diede la notizia che un giovaneattivista dell’unione degli studenti, il giorno prima, a Praga,in piazza Venceslao, si era dato fuoco, il suo nome era JanPalach. Sarebbe stato seguito a Pilsen dall’operaio JosefHlavatý e di nuovo a Praga da un altro studente, Jan Zajíc, ea Jihlava, da Evzen Plocek, presidente del comitatoaziendale del movimento sindacale rivoluzionario della suacittà e quindi delegato al famoso XIV Congresso4. Morì4 Prima ancora di Jan Palach, in protesta contro l’occupazione dellaCecoslovacchia, si erano dati fuoco allo stadio di Varsavia e nella via

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  • gridando la frase di Antonio Gramsci: La verità èrivoluzionaria, in protesta con l’ipocrisia di quella sentenzapresente negli edifici pubblici cecoslovacchi: “La veritàvincerà”. I martirii delle “torce umane” avvennerosull’esempio di quello che avevano fatto i monaci buddhistiin Vietnam contro il regime filo-americano. Negli stessigiorni un giovane russo sparò a Breznev per ucciderlo, sichiamava Viktor Iljin, dichiarò di aver compiuto quel gestocontro la politica aggressiva sovietica.

    La stampa sovietica cercò di dire che Palach aveva volutodarsi fuoco per finta e che la situazione gli era sfuggita dimano, cercò di dimostrare che era un disturbato di mente,ogni tentativo fu vano e la tomba del giovane studente videun pellegrinaggio senza fine che continuò anche dopo che iservizi segreti fusero nottetempo la lapide per rendereinvisibile la tomba. Gli studenti continuarono aorganizzare stampa e incontri clandestini per diffondere ilprogramma della Primavera. Il professore di Palach, JanPatocka, noto fenomenologo, anche conosciuto come“Socrate praghese”, europeista, morì sotto tortura nel 1977,essendo fra i firmatari di Charta 77.

    Il 18 gennaio fu reso noto che le condizioni di Palacherano gravissime, che si era appreso da un suo biglietto chel’azione era stata una protesta contro il ritorno dellacensura. Nello stesso giorno vennero riportate anche leparole di Dubcek che chiedeva di togliere lo stato

    principale di Kiev, Ryszard Siwiec e Vasyl Makuch. Dopo Palach ancheun sedicenne si diede fuoco a Budapest, davanti al museo nazionale,Sandor Bauer. A maggior distanza seguirono tre casi: in Lettonia,Lituania e Germania democratica (www.janpalach.cz).

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  • d’emergenza e che gli organi di partito (paralizzatidall’occupazione) si riunissero e deliberassero per sbloccaree accelerare nuovamente le riforme. I giornalisti delleprincipali testate, che come tutto il popolo avevanocontinuato nel rifiutare la rissa, le provocazioni e l’odio,venivano via via rimpiazzati da giornalisti di partitoaddestrati per l’odio e la diffamazione.

    In prima pagina, il 22 gennaio 1969, Giancarlo Pajettascriveva: Riaffermiamo che la piena sovranità dellaCecoslovacchia e la sua realizzazione da parte degliorganismi che la rappresentano, è più che mai condizioneindispensabile ed essenziale. Il giorno prima era statapubblicata la lettera di Dubcek, Svoboda e Smrkovsky allamadre di Jan Palach, Libuse, ed agli studenti in lutto. Leparole di Dubcek, costretto a letto, in ospedale, dalle suegravi condizioni di salute, particolarmente toccanti: Poteteimmaginare la mia pena nel non potermi unire a voi inquesto momento. È difficile per me non essere con voioggi.

    Il 24 febbraio il ministro degli Esteri polacco incontravaDubcek, quale rappresentante del Patto. Dubcek chiedeva ilpagamento delle spese da parte dei russi per lostazionamento delle truppe e ribadiva il principio per cui ireati commessi da soldati esteri su suolo cecoslovaccosarebbero stati giudicati da corti cecoslovacche.

    Ripresosi, il 5 marzo, al congresso dei lavoratori e deisindacati Dubcek, seguito da Goruppi, ribadìpubblicamente l’importanza dell’indipendenza delleimprese e dell’accelerazione delle riforme. Nemmeno lamalattia lo aveva convinto a tornare sui suoi passi e nonperdeva occasione per spazientire gli osservatori sovietici.

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  • Dall’altra parte nei suoi interventi non perdeva mainemmeno occasione per invitare i cecoslovacchi a noncompiere gesti disperati.

    Intanto, alle olimpiadi di hockey in Svezia, dove igiocatori cecoslovacchi scesero in campo coprendo con ilnastro adesivo sui propri stemmi la stella rossa, alcunifacinorosi russi mandati da Mosca, spacciandosi per tifosicecoslovacchi, provocavano gravi e violenti scontrinell'intento mediatico di diffamare la Cecoslovacchia.

    Il 16 aprile (due giorni prima Husák era diventatoprimo segretario del partito comunista cecoslovacco,sostituendo Dubcek) L’Unità pubblicò stralci di un lungoarticolo di Josef Smrkovsky apparso sul Rudé Právo. Ilavoratori sono ancora in piena sintonia con il programmadi gennaio, le forze dogmatiche sono contrarie ediffondono provocazioni anonime. Queste le parole,mentre Goruppi dava anche notizia che il nuovo presidiumdel partito comunista slovacco accusava Smrkovsky stessodi essere un “dirigente di destra”. Un deviazionista.

    Gustáv Husák, primo segretario del partito comunistaslovacco nel 1968, ad agosto, di ritorno da Mosca, avevafatto un congresso indipendente in fretta e furia, riuscendoa portare, con le sue illazioni e una dose di terrorismopsicologico, dalla sua parte, ovvero contro Dubcek eSmrkovsky, buona parte del comitato centrale. Proprio il 1°maggio, Giuseppe Boffa proponeva un approfondimentosulla storia slovacca e si poneva la domanda se per glislovacchi venisse prima la riforma federale o quella politicae il 4 maggio, sempre Boffa, in un altro approfondimentoillustrava cosa distinguesse e cosa unisse le personalità di

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  • Husák e Dubcek: Dell’ex segretario si dice che sarebbe statoil dirigente ideale per tempi più pacifici, del suo successoreche è un leader per tempi difficili, il che risulta unasuperficiale semplificazione, almeno con gli occhi di oggi,visto che Husák veniva allora, nella confusione diinformazioni, comunque percepito come un continuatorepiù energico dello stanco Dubcek (un po’ come in unprimo tempo i comunisti italiani presero Jaruzelski,quando egli succedette, nel ruolo di primo segretario delpartito operaio unificato polacco, al riformista StanisławKania, nell’ottobre 1981).

    Dalla nuova segreteria Dubcek venne accusato di avernascosto suoi contatti con potenze estere e vennero via viaabolite le risoluzioni precedenti ad agosto.

    Il 19 aprile 1969 L’Unità pubblicava le parole di Dubceknel suo discorso di dimissioni. Una rivendicazione dellavoro svolto ed un invito a non disperdere i frutti del1968. Il presidente Svoboda in un discorso televisivoassicurava il popolo che Dubcek sarebbe rimasto nei cuoridi tutti il simbolo del nuovo corso inaugurato nel gennaiodel 1968. Anche Svoboda fu dimesso poco dopo.

    Il 23 aprile la notizia di due comunisti italiani espulsidalla Cecoslovacchia faceva scalpore e il pedagogo sicilianoe giudice del tribunale Russell per i diritti dell’uomo, LucioLombardo Radice, l’ideologo più autorevole del PCI diquegli anni, si occupava, dalle colonne de L’Unità, di fare ilpunto della situazione sul marxismo creativo nel nuovocorso, proponendo la sua analisi e stralci di opere diRadovan Richta (già citato), Karel Kosík e Miroslav Kusy.In particolare veniva riportato un passaggio di Richtamolto significativo della rottura in essere con il passato: I

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  • comunisti devono contrapporre agli ordini dall’alto eall’arbitrio il libero dispiegamento socialista della società edegli uomini, al dirigismo avido di potere il democratismodell’auto-amministrazione, all’ottusità burocratica laragione, alla ristretta mentalità di partito il comunismocome ventata umanistica, seguito da un altro notevolepassaggio di Kusy: L’illusione ottica dellacontrorivoluzione deriva dal fatto che si pone come limiteil modello di socialismo che da noi esisteva e che altrovecontinua ad esistere, come prima. Da tale punto di vista ènaturalmente anti-socialista tutto ciò che va al di là di talemodello. Noi invece cercavamo un nuovo modello edovevamo trascendere il vecchio e ancora oggi non loconsideriamo un sacrilegio.

    Quello della Primavera è stato per Lombardo Radice ilvero socialismo. Il rinnovamento socialista che aveva apertola strada ai futuri discorsi berlingueriani di rottura convecchi tabù, sull’austerità giusta e il ridimensionamentodella spesa pubblica, sui diritti delle donne e dei giovani,sulla questione morale, sul superamento dello slanciopropulsivo della Rivoluzione d’ottobre (1982), finoall’accettazione della NATO e della democrazia liberale, delpluralismo, del dialogo con tutti i settori della società e glialtri gruppi politici e culturali, fino al rifiuto dei fondi daMosca e delle lezioni di ortodossia. Benché senza dubbiocome emerge dal saggio di Francesco Bigazzi, L’ultimoviaggio di Falcone a Mosca (2015), fondi neri continuaronoa transitare, attraverso compagnie di comodo, a membri delPCI non troppo devoti alla novità dell’Eurocomunismo.Marx non aveva mai auspicato la divisione della miseria,l’impoverimento delle masse, la dittatura sulle masse. Non

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  • è un caso che Enrico Berlinguer nel 1973 subì un attentatodei servizi segreti bulgari, viaggiando in auto a Sofia5 (unfinto incidente, reso pubblico solo nel 1991), e che spessofu definito il Dubcek italiano, come anche in un romanzodi Oscar Robertson, Berlinguer come Dubcek.

    Intanto nella stessa settimana si poteva leggere sulgiornale comunista italiano che venivano espulsi funzionaridai ministeri a Praga e che Husák aveva dichiarato, nellasua lettera di ringraziamento alla dirigenza sovietica, diintendere incrementare le relazioni URSS-Cecoslovacchia,mentre gli studenti continuavano lo sciopero della fameper la sostituzione di Dubcek e venivano ingaggiati inscontri da provocatori arruolati dalla polizia segreta.

    Circa tredicimila membri dei comitati vennero espulsi ocostretti alle dimissioni e oltre il 30% dei membri delpartito, l'85% dei leader sindacali, i sindacati tornarono alloro ruolo di mera cinghia di trasmissione al servizio delvertice del partito, nonché strumento di controllo erepressione come ogni altra associazione non abolita.Licenziati a migliaia gli espulsi dal partito, i cui figli nonpotevano poi accedere all'istruzione superiore. L'estremistanuovo ministro dell'Educazione, Jaromir Hrbek, neurologodi Olomouc, soppresse le associazioni studentesche, gli"eretici" dipartimenti di studi sul marxismo-leninismo,l'insegnamento della geografia, della filosofia, delle scienzepolitiche, delle letterature straniere, introdusse uno strettocontrollo del ministero su nomine e finanziamenti,arrivando a chiudere una quarantina di istituti persovversione, introdusse questionari obbligatori sulle

    5 Dove forse Berlinguer era andato a trattare il rilascio di agenti italiani.

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  • opinioni politiche per docenti e studenti, ore dipropaganda anti-1968 e di addestramenti militari,innescando un sistema perverso di corruzione e classismomai esistiti prima. Le condanne per motivi ideologicisuperarono di gran lunga quelle del periodo di Novotny, ilquale aveva anche concesso una amnistia nel 1964. Perinsegnare il marxismo furono chiamati esperti dallaGermania Est e dall'URSS, furono introdotti osservatorinelle aule e alle prove nei teatri, ogni lezione come ognimessa in scena doveva passare sotto l'attenta supervisione eapprovazione del partito. Solo fra il 1969 e il 1971, oltrealle migliaia di suicidi annuali, più di mezzo milione dicecoslovacchi abbandonò il proprio paese, talvolta anchemal accettati dalle democrazie liberali, come raccontò loscrittore cecoslovacco, naturalizzato canadese, JosefSkvorecky e come si evince anche da altre testimonianze,fra le quali quella di Pelikan.

    Il 31 maggio morì il padre di Alexander Dubcek,sicuramente preoccupato ma orgoglioso del figlio, cheaveva visto portare avanti, contro il sistema, il socialismodiverso in cui aveva creduto sempre. Un duro colpo per lafamiglia, sebbene padre e madre di Dubcek fossero separatie il padre, Stefan, si fosse trovato una nuova compagna, inun momento già di per sé complicatissimo. Il 30 maggiodiversi membri del partito erano stati espulsi, fra i qualiFrantišek Kriegel che se ne andò dicendo: Ho votatocontro lo stazionamento delle truppe sovietiche sulterritorio della nostra repubblica, ciò fu una violazionedella disciplina di partito! Vorrei ricordare al presidiumche l’intervento fu approvato senza consultazioneparlamentare. Vorrei anche evidenziare che nessun membro

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  • del partito è ancora stato espulso per la sua responsabilitàdiretta o complicità nella morte di dozzine di personeinnocenti, di decine di migliaia di imprigionati e torturati,sulla base di accuse inventate, molti di loro sono già mortiin prigione senza più vedere la luce della libertà. Nessuno èstato espulso dal partito per anni di gravissima crisieconomica che portò noi alle attuali condizioni. Fra glialtri anche il veterano partigiano František Vodslon disse,andandosene, che il nuovo presidium aveva innescato unprocesso repressivo che si sapeva quando fosseincominciato ma che difficilmente si sarebbe potutoprevedere dove sarebbe arrivato, visto che si è dimostratoche il sistema influenza molto gli individui che lo vivono.

    Il 21 agosto Adriano Guerra da Mosca fece sapere che laTASS (l’agenzia di informazioni sovietica), non diffondevanotizie sulla Cecoslovacchia. Ma Goruppi informò discontri gravi in occasione dell’anniversariodell’occupazione, seguiti alle dure provocazioni verbali diHusák e della nuova dirigenza. Ufficialmente due morti,imprecisati feriti e trecentoventi arresti solo a Praga, nonchiaro cosa fosse successo nel resto del paese, dove pure cifurono gravi scontri, tre morti a Bratislava. Il 24 agostofurono rese note le nuove misure di sicurezza: processo conun solo giudice, senza istruttoria e su semplice segnalazionedella polizia.

    Il 28 agosto Goruppi diede notizia che persino Cerníkaveva incominciato ad accusare Dubcek, “doppia faccia eirresponsabile”. Probabilmente il primo ministro cercò disalvarsi agli occhi della nuova dirigenza anche a costo digiocare il ruolo di Giuda. Dubcek accusato di aversottovalutato le forze opportuniste di destra che si

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  • concentravano nei mezzi d’informazione, di non averinformato i colleghi dei suoi colloqui, fu dipinto di fattocome l’unico vero responsabile del boicottaggio delprogramma sessantottino, non i “fratelli” russi. Dubcek fupersino accusato di non essere andato alla conferenza diDresda, quando non ci andò perché non invitato e tenutoall’oscuro. Il 29 agosto, Husák da Banská Bystrica, per lacommemorazione del sollevamento slovacco del 1944,ribadì che l’invasione degli alleati non era stato un attoostile. Il suo discorso non venne applaudito, mentre la follaapplaudì Dubcek e Svoboda, presenti, il primo in qualità dinuovo presidente dell’Assemblea federale. Pervennero anchedichiarazioni di lavoratori comunisti del distretto di Kolín(probabilmente nomi presi a caso, da liste di personenemmeno informate, come si usava negli anni ‘50) secondole quali Dubcek e i suoi compagni avevano tradito ilpopolo lavoratore, definendo disumanità quella deimanifestanti del 21 agosto, i quali, disarmati, avevanosubito le violenze della polizia e dell’esercito. Josef Pavelaccusato addirittura delle purghe degli anni ‘50 e di avermonopolizzato e paralizzato la sicurezza del paese eprogettato campi di concentramento per gli ortodossi delpartito (illazione più volte diffusa da Vasil Bil'ak, delegatocommissione Esteri del partito). Chieste le dimissioni.

    Dubcek fu anzi talvolta definito dai suoi troppomorbido, come già dissero molti delegati del XIVCongresso, molte cose non sarebbero evolute in quel modose Dubcek avesse lasciato da parte il suo spiritodemocratico e liquidato la minoranza estremista filo-sovietica del partito.

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  • L’11 settembre Goruppi tradusse e trasmise l’intervista diRudé Právo e Tribuna (settimanale) a Drahomír Kolder,consigliere dell’ambasciata cecoslovacca a Sofia, uno dellalinea dura. Dubcek colpevole di non aver realizzato ilcompito assegnatogli da Mosca, criticare il manifesto delleduemila parole. Ecco la grave colpa dell’ex primosegretario: non aver preso le distanze da Vaculík e daglialtri scrittori, voce del popolo.

    Il 27 settembre un’altra intervista del Rudé Právo ad unaltro esponente della linea dura, già citato, Miloš Jakeš,presidente della commissione di controllo del partito.Secondo lui ci furono false accuse contro membri “sani”del ministero degli Interni, accusati da Práce, Svoboda,Zemědělské Noviny, Vecerní Praha, nonché dal Libro nerodell’Accademia delle scienze (tutti al bando), da radio e TV,di aver commesso arresti illegali di innocenti. Intantofioccavano le espulsioni dei membri non graditi allacommissione di controllo e i provvedimenti disciplinaricontro i comitati municipali, fra cui quello di Praga,colpevole di aver organizzato il XIV Congresso.

    Il 28 settembre, grazie alla sua nuova presa di posizioneCerník venne incaricato di formare un nuovo governo,senza dubcekiani ed esterni (Cerník stesso malgrado i suoisforzi sarebbe durato fino alla Pasqua successiva). Il giornodopo arrivò anche la notizia dell’espulsione di Dubcek dalpresidium e dal comitato centrale. L’anno dopo sarebbestato espulso dal partito e da ogni altra associazione,compresa quella della caccia. Lo scrittore francese ed amicodi Dubcek, Louis Aragon scrisse: "Possono espellervidappertutto ma mai dal mio cuore!".

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  • Posta intercettata ed aperta, agenti osservatoricontinuamente intorno all'abitazione, seguendo Dubcek esuoi familiari, elettrodomestici e muri pieni di cimici(Dubcek aveva coraggiosamente smontato un televisore eun forno per trovare due cimici). Un agente lo seguiva intram mentre altri due seguivano il tram in auto e una voltaDubcek ebbe il coraggio di chiedere perché non lopotessero portare direttamente loro al lavoro. Il suoingresso di casa controllato, intimidito e punito chiunqueavesse contatti con lui o semplicemente gli sorridesse o losalutasse per strada (tant'è vero che Dubcek stesso si imposedi non scambiare sguardi e parole con nessuno per