Repubblica Il dissenso di carta ai tempi dell’Urss...

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DOMENICA 9 AGOSTO 2009 D omenica La di Repubblica D omenica La di Repubblica l’attualità La grande caccia ai vu’ cumprà JENNER MELETTI I l 7 gennaio 1610 Galileo scrisse una lettera ad Antonio de’ Medici che raccontava brevemente ciò che aveva incomin- ciato ad osservare in cielo con uno dei suoi cannocchiali esattamente quattrocento anni fa, a partire dalla fine dell’e- state del 1609. La lettera terminava con una notizia di gior- nata: «Questa sera ho veduto Giove accompagnato da tre stelle fisse, totalmente invisibili per la loro piccolezza». E notava con comprensibile e giustificato orgoglio: «Possiamo credere di es- sere stati i primi al mondo a scoprire da vicino e così distintamente qualche cosa dei corpi celesti». Fu il primo storico accenno alle scoperte che sarebbero state an- nunciate con dovizia di particolari il 12 marzo seguente al mondo intero, nella prima grande opera dello scienziato, il Sidereus Nun- cius, “Messaggio (o Messaggero) Celeste”, in cui ai satelliti di Giove veniva assegnato il nome di Astri Medicei. (segue nelle pagine successive) PIERGIORGIO ODIFREDDI spettacoli Il fumetto d’arte: film, mostre, musei MARIO SERENELLINI i sapori Il ghiaccio, brivido d’estate LICIA GRANELLO e MARINO NIOLA Guardare stelle le ILLUSTRAZIONE DI GIPI ELENA DUSI A ccade una volta l’anno, d’estate. È la notte in cui ri- cordiamo che l’altra metà della terra è il cielo, che il nostro sguardo può arrivare lontano e che tra noi e le stelle non c’è differenza, almeno negli ingredienti. Accade quando ai duemila punti luminosi che pos- siamo vedere in una notte d’estate e che forniscono «la stessa illuminazione di una lampada da cinquanta candele alla distanza di quattrocento metri», secondo la stima che l’astronomo Gino Cecchini fece mezzo secolo fa, si aggiunge lo sciame delle Per- seidi: le stelle cadenti della notte di San Lorenzo. Ma afferrare la na- tura delle stelle è questione più complicata che non posarvi sopra lo sguardo per un momento. Qualcuno ha calcolato che vediamo duemila stelle in una notte e seimila nel percorso della volta celeste in un anno, ma che nella nostra galassia i punti luminosi arrivino a cento miliardi e che altrettante siano le galassie nell’universo. (segue nelle pagine successive) Nelle notti d’agosto la pioggia delle Perseidi ci spinge ad alzare lo sguardo e a porci domande a metà strada tra l’astrofisica e la poesia Un esercizio cominciato giusto quattrocento anni fa con Galileo Galilei la memoria Il dissenso di carta ai tempi dell’Urss LEONARDO COEN cultura Andreotti racconta: la Dc e il cinema FILIPPO CECCARELLI Repubblica Nazionale

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DOMENICA 9 AGOSTO 2009

DomenicaLa

di RepubblicaDomenicaLa

di Repubblica

l’attualità

La grande caccia ai vu’ cumpràJENNER MELETTI

Il 7 gennaio 1610 Galileo scrisse una lettera ad Antonio de’Medici che raccontava brevemente ciò che aveva incomin-ciato ad osservare in cielo con uno dei suoi cannocchialiesattamente quattrocento anni fa, a partire dalla fine dell’e-state del 1609. La lettera terminava con una notizia di gior-nata: «Questa sera ho veduto Giove accompagnato da tre

stelle fisse, totalmente invisibili per la loro piccolezza». E notavacon comprensibile e giustificato orgoglio: «Possiamo credere di es-sere stati i primi al mondo a scoprire da vicino e così distintamentequalche cosa dei corpi celesti».

Fu il primo storico accenno alle scoperte che sarebbero state an-nunciate con dovizia di particolari il 12 marzo seguente al mondointero, nella prima grande opera dello scienziato, il Sidereus Nun-cius, “Messaggio (o Messaggero) Celeste”, in cui ai satelliti di Gioveveniva assegnato il nome di Astri Medicei.

(segue nelle pagine successive)

PIERGIORGIO ODIFREDDI

spettacoli

Il fumetto d’arte: film, mostre, museiMARIO SERENELLINI

i sapori

Il ghiaccio, brivido d’estateLICIA GRANELLO e MARINO NIOLA

Guardarestellele

ILLU

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DI G

IPI

ELENA DUSI

Accade una volta l’anno, d’estate. È la notte in cui ri-cordiamo che l’altra metà della terra è il cielo, che ilnostro sguardo può arrivare lontano e che tra noi e lestelle non c’è differenza, almeno negli ingredienti.Accade quando ai duemila punti luminosi che pos-siamo vedere in una notte d’estate e che forniscono

«la stessa illuminazione di una lampada da cinquanta candele alladistanza di quattrocento metri», secondo la stima che l’astronomoGino Cecchini fece mezzo secolo fa, si aggiunge lo sciame delle Per-seidi: le stelle cadenti della notte di San Lorenzo. Ma afferrare la na-tura delle stelle è questione più complicata che non posarvi sopra losguardo per un momento. Qualcuno ha calcolato che vediamoduemila stelle in una notte e seimila nel percorso della volta celestein un anno, ma che nella nostra galassia i punti luminosi arrivino acento miliardi e che altrettante siano le galassie nell’universo.

(segue nelle pagine successive)

Nelle notti d’agostola pioggia delle Perseidici spinge ad alzare lo sguardoe a porci domandea metà stradatra l’astrofisica e la poesiaUn esercizio cominciatogiusto quattrocento anni facon Galileo Galilei

la memoria

Il dissenso di carta ai tempi dell’UrssLEONARDO COEN

cultura

Andreotti racconta: la Dc e il cinemaFILIPPO CECCARELLI

Repubblica Nazionale

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(segue dalla copertina)

Per districarsi non basta il telescopio del monte Palomar, cheraccoglie la stessa radiazione di un milione di occhi umani. Ecosì, in un universo fatto di luci e di ombre, va a finire che sia-no le seconde a prevalere. Non che l’oscurità sia un problemaper gli astronomi, anzi. Lo è semmai il suo contrario, come di-mostra il big bang con la sua luce troppo intensa per essere co-

stretta in una legge della fisica. È tra le pieghe più buie dell’universo cheoggi ci si arrovella per tentare di spiegare quella materia e quell’energiaoscura che nessuno vede e che eppure esiste, perché così ci assicurano legeometrie degli astri che si muovono sul tavolo da biliardo del cosmo.

Così, dimenticata la luce come occhio umano la intende, è su altre on-de che i telescopi di oggi sono sintonizzati. Raggi X, raggi gamma, mi-croonde, particelle e antiparticelle — molte delle quali residui della gran-de esplosione iniziale che da quattordici miliardi di anni corrono lungol’universo — sono i nuovi protagonisti di quella che è stata chiamata l’a-stronomia dell’invisibile. Forse l’unica scienza che mentre viaggia lonta-no nello spazio viaggia anche lontano nel tempo e cerca di avvicinarsi ilpiù possibile all’origine, con lo scopo di immaginarsi come sarà la fine.

Che cosa rimane delle stelle ai tempi dell’astronomia dell’invisibile?«Eccole, ci sono sempre. Possiamo guardarle da qui», dice Paolo De Ber-nardis, l’astrofisico della Sapienza di Roma che nel 1998 ha lanciato dal-l’Antartide il pallone Boomerang per raggiungere l’esterno dell’atmosfe-ra e raccogliere le microonde che formano la radiazione cosmica di fon-do, ovvero l’eco del big bang. Accende uno schermo nero con ascisse, or-dinate e grafici che schizzano in su e giù: «Questi sono i dati che il satelli-te Planck ha appena iniziato a trasmetterci dallo spazio. Nei diciotto me-si in cui resterà in orbita, dovrà scandire l’intero arco del cielo e disegnareuna mappa della distribuzione della radiazione cosmica di fondo. Dalsuo tracciato otterremo un’immagine dell’universo primordiale». Fu-rono proprio le microonde “eco del big bang”, scoperte per caso nel1964 da due radioastronomi piuttosto infastiditi da un sibilo persi-stente nelle loro antenne, a suggerire per prime l’idea di un universoin costante espansione il cui passato, per forza di logica, doveva fini-re col convergere in un unico punto.

E mentre Planck con pazienza raccoglie dati nel punto più freddodell’universo («solo un decimo di grado sopra allo zero assoluto», di-ce De Bernardis), il telescopio Agile, figlio di Agenzia spaziale italia-na, Istituto nazionale di astrofisica e Istituto nazionale di fisica nu-cleare, segue il sentiero della sua orbita con a bordo un “occhio” sen-sibile ai raggi X. Il suo collega Herschel disegna la mappa del cosmonei colori dell’infrarosso e il satellite Fermi osserva lo stesso panora-

ELENA DUSI

la copertinaGuardare le stelle

26 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9 AGOSTO 2009

13,7L’età

dell’universoin miliardi

di anni

4,6L’età

del Solein miliardi

di anni

5I miliardidi anni

che il Solevivrà ancora

150 MILIONILa distanzain chilometri

tra il Solee la Terra

8 ANNI LUCELa distanza

di Sirio,la stella piùvicina a noi

ma, ma con la sensibilità per i raggi gamma. «Tutte queste onde ci raccontano la storia dell’universo. Ognuna lo fa

con il suo linguaggio, ma il messaggio che sta alla base è identico», spiegaPiergiorgio Picozza dell’università di Tor Vergata, il padre di quel satellitePamela costruito in collaborazione con l’Infn e con l’Asi che a marzo nellagrammatica delle onde ha colto i primi segnali della materia oscura. «Infondo con il big bang è cominciato un grande esperimento fatto dalla na-tura e che noi non riusciamo ancora a interpretare. Possiamo studiarlo percapire come si muovono stelle e galassie. Ma possiamo andare oltre, e por-gli domande più profonde. Per esempio qual è la natura della materia e del-l’energia oscura, che compongono il ventitré e il settantatré per cento delcosmo e che noi non riusciamo in nessun modo a interpretare».

L’enorme buco nero della nostra conoscenza nasce nel cielo, ma finisceper toccare la Terra. «Per quel che ne sappiamo la materia è fatta di atomi:protoni, neutroni, elettroni. Ebbene, ci siamo resi conto che con questomodello riusciamo a spiegare solo il quattro per cento di ciò che ci circon-da nell’universo. Il resto? Sulla materia oscura abbiamo qualche idea. Perl’energia oscura non riusciamo nemmeno a immaginare una soluzione»,allarga le braccia Antonio Masiero, direttore dell’Infn di Padova. «Le stel-le», conclude De Bernardis, «continuiamo a guardarle, ma non è più da lo-ro che vengono le domande difficili».

E, come quando la luce è troppo forte e ci si schermano gli occhi con lamano, c’è chi una soluzione prova a cercarla mettendosi il cielo alle spallee cercando riparo sottoterra. «Potrà sembrare bizzarro, visto che abbiamomillequattrocento metri di roccia sulla testa, ma qui fra le altre cose stu-diamo il Sole», dice Eugenio Coccia, direttore dei Laboratori del Gran Sas-so dell’Infn. «La fusione nucleare che avviene al suo interno emette neu-trini. E queste particelle, che sono le più diffuse nell’universo, potrebberorappresentare l’ago della bilancia del nostro destino. La loro massa rap-presenta probabilmente la differenza fra un universo che si espande al-l’infinito e uno che torna a contrarsi per finire in un big crunch».

Dei telescopi sotto alla montagna abruzzese, che esattamente vent’an-ni fa venne dedicata alla ricerca, oggi non mancano gli emuli. Come Ice-Cube, uno strumento che per vedere i neutrini si fa schermare da uno stra-to di ghiaccio dell’Antartide spesso millequattrocento metri. O l’esperi-mento italiano Nemo, che cerca riparo dalle radiazioni dell’ambiente ac-cucciandosi sul fondo del mare al largo di Capo Passero. «Non c’è nulla distrano», sorride Coccia, «se già Aristotele parlava di un gruppo di pazzi chesi avventuravano nelle profondità delle caverne per osservare le stelle. Noisiamo i loro eredi. Guardiamo la luce che entra dall’imboccatura, si riflet-te sulla superficie dell’acqua e ci racconta come è fatto il cielo».

88Sono le

costellazionidella

Via Lattea

2.000Le stellevisibili

a occhionudo

8 MINUTIIl viaggiodella lucedal Sole

alla Terra

LE PERSEIDIQueste stellecadenti sonoi residuidel passaggiodella cometaSwift-Tuttle LO SCIAME

È visibiledal 17 luglioal 24 agostoMa raggiungeràil suo piccoil 12 agosto

Una volta all’anno, a San Lorenzo, guardiamoin su, verso i duemila astri visibiliin una notte d’estate. Un gestoantico che ha poco a che farecon la moderna“astronomiadell’invisibile”

L’oscurosegretodel cosmo

Repubblica Nazionale

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(segue dalla copertina)

Una scoperta che, come Galileo capì immediatamente, con-futava definitivamente la centralità della Terra per i moticelesti, e avrebbe potuto e dovuto aprire la via all’accetta-zione del sistema copernicano. Egli inviò dunque subitouna copia del Sidereus Nuncius e la richiesta di un parere aKeplero, che le ricevette l’8 aprile 1610. In soli undici giorni

questi rimandò una Discussione col Nunzio Sidereo in cui difendeva e ap-poggiava Galileo, pur criticandolo per aver voluto dare l’impressione diaver fatto tutto da solo, tacendo i nomi di tutti i suoi predecessori (a parteCopernico). L’ingrato Galileo non si degnò invece di rispondere alla ri-chiesta di Keplero di poter avere uno strumento per confermare personal-mente i dati, e questi dovette attendere fino all’agosto 1611 per riuscire aprocurarsene uno. Ma non appena l’ebbe, in altri dieci giorni di osserva-zioni confermò l’esistenza dei pianeti medicei e scrisse generosamente eimmediatamente una Relazione sulle proprie osservazioni dei quattro sa-telliti di Giove per testimoniarlo.

Già prima della Relazione di Keplero, Galileo aveva avuto un importan-te riconoscimento scientifico dai matematici gesuiti del Collegio Romano,dai quali si era recato nella primavera del 1611: essi lo ricevettero con tuttigli onori, e lodarono il Sidereus Nunciusin un’orazione pubblica. E a Romalo scienziato toscano fu osannato da nobili e prelati: in particolare, fu ar-ruolato dal principe Federico Cesi nell’Accademia dei Lincei, da lui fonda-ta nel 1603, e fu esonerato da Paolo V dall’obbligo di rimanere inginoc-chiato al suo cospetto, durante un’udienza.

Ma non tutti accettarono così entusiasticamente le nuove scoperte. Untal Ludovico delle Colombe, ad esempio, in una lettera del 27 maggio1611 a padre Cristoforo Clavio, si arrampicò sui vetri sostenendo che laLuna sembravaavere asperità simili a quelle terrestri, ma in realtà que-ste erano come «figure di smalto bianco dentro una gran palla di cri-stallo». Al che Galileo si divertì a ribattere, in una lettera del 16 luglio1611 a Gallanzone Gallanzoni, che se era lecito immaginarsi ciò che fa-ceva comodo, allora lui avrebbe accettato di credere a questa sfera tra-sparente di cristallo, ma avrebbe sostenuto che non era liscia, bensìcon montagne immense e trenta volte più alte di quelle terrestri.

Nel frattempo egli era però già andato oltre il Sidereus Nunciusconle sue scoperte. In una lettera del 30 luglio 1610 informò Belisario Vin-ta che «la stella di Saturno non è una sola, ma un composto di tre, lequali quasi si toccano, né mai tra loro si muovono o mutano». A Giu-liano de’ Medici e Keplero mascherò invece la notizia di questa «stra-vaganza» nell’anagramma smaismrmilmepoetaleumibunenugt-tauiras, da risolvere come: altissimum planetam tergeminum obser-vavi, cioè «ho osservato che il pianeta più alto è triplo».

Galileo era stato indotto a credere che Saturno fosse “trigemino”dalla bassa risoluzione del suo cannocchiale a venti ingrandimenti.Con uno a cinquanta ingrandimenti Christian Huygens scoprirà poinel 1655 che il pianeta ha un anello sottile e piatto, e possiede anch’es-so un satellite che chiamò Titano. Nel 1671 Giovanni Cassini scoprirà

a sua volta altri due satelliti, Giapeto e Rea, e capirà che gli anelli sono inrealtà più d’uno, concentrici e complanari.

Tornando a Galileo, nel settembre del 1610 egli si trasferì da Padova aFirenze, dov’era stato assunto come «matematico primario allo Studio di

Pisa e filosofo del Serenissimo Gran Duca», con una cattedra quale so-gnano tutti i professori: senza dover, cioè, né insegnare né far esami. Loscienziato continuò le sue osservazioni e l’11 dicembre 1610 annunziò aGiuliano de’ Medici un’ulteriore scoperta con l’ulteriore anagramma haecimmatura a me iam frustra leguntur oy, cioè «queste cose immature sonoda me raccolte invano», da risolvere come: Cynthiae figuras aemulatur ma-ter amorum, cioè «la madre degli amori (Venere) imita le figure di Cinzia (laLuna)». Keplero provò a decifrare sia questo che il precedente balzano an-nuncio «in lettere trasposte», proponendo soluzioni sbagliate rispetto alleintenzioni di Galileo, ma fortunosamente corrette alla luce degli sviluppisuccessivi. Precisamente, nel primo caso salve umbistineum geminatumMartas proles, cioè «salve, o gemelli furiosi, figli di Marte», che anticipavala scoperta nel 1877 dei due satelliti di Marte (Phobos e Deimos). E nel se-condo caso macula rufa in Iove est gyratur mathem etc., cioè «c’è una mac-chia rossa su Giove che gira matematicamente», che anticipava la scoper-ta di una «macchia permanente» avvistata da Cassini nel 1665 e visibile fi-no al 1713, e della Grande Macchia Rossa (ri)avvistata nell’Ottocento.

Quanto alle fasi di Venere da lui osservate, Galileo rilevò in una lettera aGiuliano de’ Medici del primo gennaio 1611 che esse non erano tanto unascoperta, quanto un «veder col senso stesso quello di che non dubitava l’in-telletto»: in base alla teoria eliocentrica, infatti, tutti i pianeti girano intor-no al Sole e devono dunque comportarsi allo stesso modo in cui si com-porta la Luna girando attorno alla Terra. E sia Galileo che Keplero sapeva-no vedere, con l’occhio della mente, ben al di là di quanto permettesse lo-ro di vedere il cannocchiale con l’occhio del corpo. Nessuno dei due potéinfatti recarsi sulla Luna di persona per intuire come si sarebbe vista di là laTerra, ma entrambi descrissero ugualmente lo spettacolo nei loro libri: ri-spettivamente, nella prima giornata del Dialogo sopra i due massimi siste-mi del mondo, e nel romanzo di fantascienza Sonno.

I variopinti risultati della loro immaginazione, oggi confermati dalle te-stimonianze degli astronauti che quarant’anni fa misero per la prima vol-ta il piede sul nostro satellite, superano ogni sbiadita invenzione poetica.Da un lato, la Terra ha nel cielo della Luna fasi uguali e contrarie a quelleche la Luna ha nel cielo della Terra. Dall’altro lato, poiché la Luna mostrasempre la stessa faccia alla Terra, questa si può vedere soltanto dalla facciaa noi visibile della Luna e, dove si vede, appare fissa nel cielo. Il che signifi-ca che chi si trovi sulla faccia visibile della Luna in un periodo di Terra pie-na, può osservare «questo globo fatal», immobile nel cielo, ruotare nel cor-so di ventiquattro ore: una meravigliosa dimostrazione visiva del moto dirotazione terrestre, che potrebbe far esclamare a un autocosciente poetalunare: «Che fai, tu, Terra, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa Terra?».

I terrestri poeti dell’inconscio, invece, della Luna sanno soltanto una co-sa: che c’è. Ma anche quelli dilettanti di astronomia non sanno molto di più,visto che persino il Leopardi amante di Galileo continuava a scrivere igna-ro nel 1819 che la Luna «da nessuno cader fu vista mai se non in sogno»(Canti, XXXVII, 17-18), benché fin dal 1687 Isaac Newton avesse non solocomposto il verso: «La Luna cade continuamente verso la Terra» (Princi-pia, III, 4), ma anche calcolato esattamente di quanto essa cade: fatte le de-bite proporzioni, esattamente della stessa quantità di cui cade una melanello stesso tempo qui da noi. Il che dimostra che c’è più poesia sparsa neilibri di scienza di quanta ne possano raccogliere i letterati nelle loro anto-logie, e che non basta guardare e cantare il cielo per vederlo e capirlo.

PIERGIORGIO ODIFREDDI

Gli occhi di Galileo

e la Luna di cristallo

DOMENICA 9 AGOSTO 2009 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 27

LA LUNASarà in fase

calante(Luna nuova

è il 20 agosto)facilitando

l’osservazione

LA FREQUENZACon la Terra

nella partepiù densa

dello sciamesi vedranno 110meteore all’ora

LA VELOCITÀLe stelle

cadenti entranonell’atmosfera

alla velocitàdi 59 chilometri

al secondo

200 MILIONIGli anni delcosmo alla

nascita delleprime stelle

73 %La quotadi energia

oscuranel cosmo

23 %La quota

di materiaoscura

nel cosmo

4 %La materia

fattadi atominormali

MENO 270°La

temperaturamedia

dell’universo

100I miliardidi stelle

della nostragalassia

100I miliardi

di galassienell’interouniverso

100.000Il diametro

dellaVia Lattea

in anni luce

LE METEOREAppariranno

in un puntodel cielo checoincide con

la costellazionedi Perseo

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Repubblica Nazionale

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l’attualitàVu’ cumprà

Si chiamano Moustafà, Seylla, Shahibuel. Prima facevanol’operaio o il camionista ma la crisi li ha speditia ingrossare l’esercito degli abusivi che vendono mercetaroccata sulle spiagge e nelle città. Sono la nuova“emergenza estiva”, al punto da far intervenire l’esercitoEppure i primi a difenderli sono proprio i turisti

28 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9 AGOSTO 2009

chissimi acquistano. Seylla, trentatré anni, senegalese, vende copri-

costume. «L’esercito? Possono mandare anchel’aviazione, ma cosa risolvono? Il problema vero èun altro: noi che siamo qui abbiamo fame e nonpossiamo mangiare la sabbia. Fino a quattro mesifa lavoravo in un’azienda di Alfonsine. Ci sono sta-to non un mese ma dodici dei quindici anni che hopassato in Italia. Mi hanno lasciato a casa e sonoqui perché, anche se questo lavoro non mi piace,riesco a pagarmi quei due o tre panini che mi riem-piono lo stomaco. Adesso si sopravvive, ma que-st’inverno? Invece di mandarci i soldati il governodovrebbe dire: Seylla, hai pagato i contributi perdodici anni, la pensione non possiamo dartela maecco un po’ di soldi — facciamo cinquemila, me-glio diecimila euro — per tornare a casa tua. Eccofatto. Loro mi danno il denaro, io consegno la tan-to preziosa carta di soggiorno e amici come prima.Invece ti licenziano e dicono che senza stipendionon sei più in regola. Ti buttano via. Io in Senegal,senza un soldo, non ci torno. Non puoi tornare acasa e dire: sono un fallito. Piuttosto muoio qui».

Sono alti come struzzi i vigili urbani, che que-st’anno hanno un nuovo giocattolone, il“Segway”. «È un mezzo a due ruote — annuncia ildepliant che spiega la campagna del Comune“Stop all’abusivismo commerciale” — che si gui-da in piedi e che consente ai vigili di muoversi confacilità sulla rena». «Per fortuna si vede da lontano— dice Hammed, tunisino di Cesena — e noi scap-piamo. Quante volte fanno i sequestri? Tot i dè, tut-ti i giorni, come dice quello della pubblicità». Si ri-de anche, fra le dieci piazzole del supermercato daspiaggia. «Gli abusivi — racconta Giulio Parisini,del bagno Romea — arrivano qui alle cinque emezzo, al massimo alle sei di mattina, per occupa-re il posto. Segnano con un bastone i confini dellaloro piazzola e aspettano con calma i turisti. I “ne-

gozi” aprono poi alle dieci e mezzo e vanno avantifino a mezzogiorno e mezzo, quando la spiaggia sivuota per il pranzo». Non c’è tensione, in questafetta di litorale. «Fra il mare e i primi ombrelloni cisono quaranta metri di spiaggia, così i venditorinon disturbano troppo. Al sabato e domenica nonsono più dieci ma anche quaranta o cinquanta, eallora c’è qualche problema».

Anche i venditori fanno la pausa pranzo, nellagrande pineta. Focacce o pane comprati al forno,un quarto di pollo. Se arrivassero adesso, i vigili ve-drebbero solo Moustafà e gli altri fare un picnic. Iborsoni sono nascosti nei cespugli. Chi ha mercepoco voluminosa ha sepolto il pacco in una bucanella sabbia. Didì, marocchino di trentacinqueanni, vende orologi di “marca”. «Il guadagno? Perora niente. Prendi cinquanta o cento euro in ungiorno, ti va bene per dieci giorni poi arrivano i vi-gili o i finanzieri che ti sequestrano millecinque-cento euro di orologi. Devi ripartire da zero, anzida sottozero. Fino ad aprile ho fatto il camionista,duemilaseicento euro al mese per girare l’Europa.Prima hanno ridotto lo stipendio, poi ci hanno da-to le ferie lunghe, di tre mesi». Shahibuel, del Ban-gladesh, è qui da due mesi. Il suo banchetto è quel-lo «Tutto a 1 euro». «Io non ho i documenti. Riescoa guadagnare venti-venticinque euro al giorno.Dopo dodici giorni di vendita è arrivato il seque-stro. Ma l’affitto lo devo pagare. Siamo in sei in duestanze, a Marina di Ravenna. Paghiamo duecentoeuro a testa».

Destra e sinistra — su questa che sembra diven-tata la nuova emergenza estiva — si mescolano co-me la sabbia e l’acqua sul bagnasciuga. «Quello deivenditori abusivi — dice Fabrizio Matteucci, sin-daco di Ravenna, del Pd — è oggi un problema se-rio. Quando erano pochi, la sinistra stava dalla lo-ro parte. Adesso sono troppi e alcuni sono insi-stenti: vanno a disturbare chi, nei pochi giorni di

MARINA ROMEA (Ravenna)

Non si fermano mai, gli occhi di Mou-stafà. Gli uomini in divisa possonoarrivare da ogni parte. «Se riesco avederli prima che ci siano addosso,

mi organizzo. Prendo su metà della mia roba e l’al-tra la lascio qui. Così io salvo qualcosa e loro sonocontenti perché fanno un sequestro. Gli altri ven-ditori scappano veloci, sono giovani. Io ho cin-quantadue anni, ho la pancia. Mi incammino ver-so la pineta, cerco di non farmi notare. Non ho piùl’età per fare la lepre».

Ride, Moustafà, e guarda verso sud, verso norde verso la pineta. «Pensa te se alla mia età devo fa-re il commerciante abusivo. Io faccio il venditoreambulante a San Lazzaro, vicino a Bologna. Là inestate non c’è nessuno e allora vengo qui a fare lastagione. Quest’anno mi è andata bene, ma l’annoscorso mi hanno fatto tre sequestri, a Classe, Pun-ta Marina e Milano Marittima. Mi hanno dato an-

che cinquemila euro di multa, per fortuna il giudi-ce di pace me l’ha tolta. Ho un appartamento, a Ca-salecchio, settecento euro di affitto più le bollette.Una cosa l’ho capita: l’Italia per noi è finita. Hoquattro figli e li ho già mandati in Marocco. Non èbello, per loro, vivere da poveri in mezzo ad altri ra-gazzi che hanno tutto. Provo a guadagnare qual-cosa, prima di partire anch’io, con mia moglie. Dinotte dormo in macchina, perché andare a casa etornare qui mi costerebbe quaranta euro. Quelliche sono qui in vacanza stanno meglio di me ma disoldi ne hanno pochi. Guardano, chiedono, trat-tano e non comprano nulla».

Una giornata al mare, con gli uomini-lepre. Lafetta di spiaggia che sta fra l’acqua e la prima fila diombrelloni dei bagni Solidea e Romea sembra unsupermercato diviso in dieci reparti. Ci sono an-che le offerte speciali: «Tutto a 1 euro», annunciaun cartello; «Tutto a 3 euro», è scritto su un pezzodi cartone. Forbicine, borsette, carte da briscola,cestini, zainetti, mutande, magliette, asciugama-ni, cinture, orologi. Con un po’ di pazienza, si tro-va tutto. Moustafà ha ragione: tanti guardano, po-

Nel bazar degli uomini-lepre

il prezzo medio degli abiti

venduti dagli abusivi

10-15 eurola bigiotteria: braccialetti,

collane, orecchini

3-10 eurole borse griffate Vuitton,

Gucci, Prada, YSL

50-100 euro

JENNER MELETTI

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 29DOMENICA 9 AGOSTO 2009

ferie, vuole essere lasciato in pace. Alcuni reagi-scono ai sequestri. L’altro giorno a Lido Adriano unvenditore che scappava con il borsone ha travoltoun’anziana villeggiante e le ha incrinato il femore.A Marina invece i turisti si sono messi a inveire con-tro i vigili che sequestravano merce contraffatta.La vacanza cambia la gente. Il milanese che a casasua magari ha voglia di tirare sotto l’auto il lavave-tri, qui si rilassa, si sente più buono e solidale, e in-veisce contro le forze dell’ordine. L’esercito? I pro-blemi sono altri. Qui in Italia non riesci più adespellere nessuno, il meccanismo si è inceppato enon mandi a casa nemmeno quelli che non sonoin regola. Comunque non ci sono dubbi: la sinistravera è per il rispetto della legge».

I commercianti sono ogni giorno sulpiede di guerra. La crisi economica an-nulla o accorcia la vacanza ma la colpa è

sempre degli extracomunitari. «Una fami-glia tedesca — denuncia l’Ascom — ha lasciatol’hotel dopo un solo giorno perché infastidita da-gli abusivi che in modo arrogante e prepotente vo-levano vendere la loro merce». Il comandante deivigili urbani, Stefano Rossi, fino a due anni fa era inpolizia e comandava la squadra mobile ravenna-te. «Il sindaco ha ragione. Abbiamo arrestato di-ciannove persone, per resistenza o perché nonavevano obbedito all’ordine di espulsione, e nes-suno ha lasciato l’Italia. Come vigili non facciamosolo i sequestri. Cerchiamo di trovare anche chi or-ganizza questo traffico illecito. Quando ero in po-lizia, a Pinarella trovai pacchi di cd che arrivavanoda Napoli e su ognuno c’era il nome dell’extraco-munitario cui erano destinati. Ma parlare di racketmi sembra eccessivo. Nel racket c’è vessazione, pi-ramide di comando, subordinazione. Certamen-te questo è un commercio organizzato su largascala: le false borse Vuitton o Fendi non vengonocucite di notte dai senegalesi di Marina Romea».

A Rimini, in attesa dei soldati (ne stanno arri-vando trenta) l’attacco agli abusivi, come in un’a-zione di commando, parte già dal cielo e dal mare.«Quelli della polizia nautica, con le moto d’acqua— racconta Roberto Biagini, assessore pd alla si-curezza — sono bravissimi. Arrivano sulla battigia,i venditori scappano e noi, con i nostri gruppi in-terforze, siamo lì ad aspettarli. In alto c’è sempreun elicottero, della polizia o della finanza, che ci se-gnala i fuggitivi. Quest’anno abbiamo già seque-strato merce per un milione e mezzo di euro».

Non è facile, la battaglia contro «questi soggettiche creano bazar sulla spiaggia». L’assessore cel’ha anche con i turisti che stanno dalla loro parte.«A Torre Pedrera, l’altro giorno, abbiamo fatto un

blitz e in tanti hanno insultato vigili e poliziotti:“Ma andate a prendere i delinquenti veri, vergo-gnatevi”. Io ho subito dichiarato: turisti come que-sti non li vogliamo, vigili e poliziotti sono lavorato-ri e vanno rispettati. Adesso arrivano i soldati, maa cosa servono? Bisogna accompagnarli con poli-zia e vigili, come se avessero bisogno della badan-te. E però lo sapevamo che quest’anno sarebbestata dura. Con la crisi tanti stranieri hanno persoil lavoro e allora vengono qui a fare gli abusivi.L’anno scorso ce n’erano cinquecento, quest’an-no sono raddoppiati».

Negli angoli meno illuminati di viale Vespucci,la sera, qualche senegalese cerca di esporre la suamerce. Pronto a fuggire appena vede una divisa.Poche ore di sonno, in macchina o in uno scanti-nato. Domani alle cinque e mezzo bisogna dise-gnare, con un bastone, i confini della piazzola.

il prezzo medio di orologie occhiali non griffati

10-15 eurocostumi da bagno maschilie femminili, teli da spiaggia

8-12 euromerce mista: pennarelli,mazzi di carte, mollette...

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la memoriaMade in Urss

Opere letterarie proibite, documenti sulla repressione, analisipolitiche controcorrente: questi testi underground circolavanotra gli studenti e l’intellighenzia ribelle al regime sovieticograzie a una rudimentale rete editoriale “fatta a mano”Ora il Centro Sakharov ha allestito una mostra a Moscache raccoglie i reperti di questa opposizione tenace e segreta

MOSCA

“A nalisi del samizdat”.Non è il titolo di unamostra. E neanchequello di un saggio. E

però la mostra esiste: nel senso che il Cen-tro Sakharov di Mosca ha allestito unaesposizione dedicata allo sterminato etempestoso mare dell’editoria clandestinanell’epoca sovietica (samizdat significaletteralmente “edito in proprio”). Si chia-ma, con un pizzico di ironia, Samizdat.Made in Urss (chiude il 30 agosto) e in una

delle bacheche è esposta la primapagina dattiloscritta di un rapporto

del Kgb protocollato col numero3461-a, indirizzato al Comitato cen-

trale del Pcus e dedicato al fenomenodi queste pubblicazioni «a mano»:

«Un’analisi del cosiddetto samizdat chesi sta diffondendo tra i circoli degli intel-

lettuali e degli studenti mostra che negliultimi anni ha subìto dei cambiamentiqualitativi», è l’allarmato incipit. Il docu-mento porta la data 21 dicembre 1970. Inalto a destra si legge che è «segreto». A sini-stra ci sono otto firme. Difficile decifrarle,così, su due piedi. Salvo l’ultima, quella diViktor Grishin, al tempo segretario del Co-mitato del partito comunista di Mosca equindi, automaticamente membro delComitato centrale del Pcus. I servizi segre-ti spiegano che «se cinque anni fa erano incircolazione soprattutto opere letterarie,ideologicamente sbagliate, attualmentehanno maggiore diffusione i documenti

programmatici politici».

Gli infiltrati del KgbInteressante è scoprire come il Kgbavesse ottimi informatori dentro ladissidenza. Infatti si segnala che «apartire dal 1965 sono comparsi più diquattrocento studi e articoli su questio-ni economiche, politiche e filosofichenei quali, da vari punti di vista, viene cri-ticata l’esperienza storica dell’Urss; vie-ne revisionata la politica interna ed ester-na del Pcus; vengono proposti vari pro-grammi per attività di opposizione». Pro-prio qui sta l’essenza del successo che eb-bero i samizadt: la capacità di creare un’o-pinione sotterranea di opposizione alregime, maturata dopo il Ventesimo Con-gresso del Pcus, quello che liquidò il cultodella personalità di Stalin e aprì l’epoca(breve) del “disgelo”.

Sulle pareti del locale che ospita l’espo-sizione campeggiano novantasei fotori-tratti dei dissidenti più famosi, da Aleksan-

dr Solgenitsyn a Andrej Siniavskij. C’è ilpoeta Evgenij Evtushenko, e ancora eccoAnna Achmatova, Venedikt Erofeev, JosifBrodskij, Evgenija Ginsburg, Natalia Gor-banevskaja... I samizdat prosperano a talpunto che il Comitato centrale è costrettoa indagare sulle ragioni che ne alimentanola produzione incessante e inarrestabile,nonostante la feroce repressione.

La fronda dentro il PcusMolti di questi documenti — scrive il rela-tore del Kgb — e molte delle idee che ap-paiono in questi fogli clandestini «sonopresi in prestito dalle piattaforme politichedei dirigenti jugoslavi, dei seguaci di Dub-cek e di alcuni partiti comunisti occidenta-li. Per esempio, nell’articolo intitolato Ri-guardo alcune correnti politiche e socialinel nostro Paese, firmato da Roy Medvedev,famoso per la sua opera antisociale, sigiunge alla conclusione che nella societàsovietica siano comparsi dei nuovi partiti edelle nuove correnti ideologiche. In questoarticolo si afferma che all’interno del Pcusvi siano delle forze che si pronuncerebbe-ro contro il “conservatorismo”; che esiste-rebbero e si pronuncerebbero per un riso-luto smascheramento di tutti i delitti delperiodo del culto della personalità, per unapulizia all’interno dell’apparato statale deiburocrati dogmatici e carrieristi».

Accanto a questo foglio, ce n’è un altro incui sempre il Kgb — addirittura il suo pre-sidente Vladimir Semiciasnij — l’8 giugno1966 riferisce che «adesso circola una rac-colta di tutti i materiali relativi al processoSiniavskij-Daniel (due dissidenti accusatidi attività antisovietica perché avevanopubblicato in Occidente opere satirichecontro l’Urss, ndr) preparata dalla casaeditrice Letteratura politica. Questi fattisono stati possibili grazie alla negligenza dialcune case editrici». Succedeva che certepubblicazioni fossero autorizzate inizial-mente, poi d’improvviso vietate, come funel caso de Il Maestro e Margherita. Neglianni Sessanta il capolavoro di Mikhail Bul-gakov apparve sulla rivista Moskva. Dopo-diché, per più di due decenni, la censura neimpedì la diffusione. Ma quelle pagine fu-rono ricopiate e dattilografate in centinaiadi copie. Una di queste è esposta accantoad altri libri “illegali”, come Tutto scorre diVassilj Grossmann, il grande autore di Vitae destino; o Il Dottor Zivago, che circolavain fogli battuti a macchina a spazio uno, perrisparmiare la carta.

Si prova emozione nel vedere 1984 diGeorge Orwell ridotto alla grandezza di unmazzo di carte, fotografato pagina dopopagina da un’edizione di “S. P.”, riservato a“uso di servizio” e cioè alla nomenclatura eagli archivi segreti. Del libro di Orwell, gliapparatchik tirarono duecento esemplari.Qualcuno se ne procurò uno. Era questa lacatena del samizdat. Funzionava come untam-tam. Il Kgb spesso riusciva a infilarenella rete qualche suo uomo. Tuttavia, nel-lo stesso tempo, all’interno dei servizi esi-

steva una fronda, che probabilmentediffondeva i libri proibiti dal Comitato cen-trale. Per quale motivo? Perché i dirigentipiù consapevoli del Kgb si rendevano con-to che l’Urss era sull’orlo del collasso. Ungioco sottile, quindi, legava l’intellighenziadell’opposizione e l’ala liberale del Pcus.

In questi anni di intrecci oscuri e ancorapoco studiati, i samizdat cambiano volto.Diventano sempre più veicoli di con-troinformazione, affrontano tematichecome quelle legate ai diritti umani e alla li-bertà di coscienza: ecco in vetrina i testibattuti a macchina della Dichiarazioneuniversale dei diritti umani del 1948, maidiffusa in Urss; le opere di Ivan Ilijn, un fi-losofo emigrato all’estero e oggi moltoamato da Putin, che sviscerano i nodi dellapolitica e della religione, argomento tabù.Nascondere la verità storica è un delitto neiconfronti del popolo è la copertina di unpamphlet del 1967 firmato da P. Grigo-rienko: i riferimenti sono alle rivolte del1953 nella Germania Est, all’Ungheria del1956, alla Primavera di Praga. Non a caso lepareti della mostra sono coperte anchedalle foto di quegli avvenimenti che si al-ternano con le immagini della misera vitaquotidiana sovietica.

A macchia d’olioLudmila Vasilovskaja, curatrice della mo-stra, spiega che quando ha ideato questo«progetto» capiva benissimo quanto sa-rebbe stato difficile «abbracciare una cosainabbracciabile», perché il samizdat eradiventato come una macchia d’olio allar-gata fino ai punti più sconosciuti dell’im-pero sovietico, era il termometro del mal-contento, delle illusioni perdute.

Sentimenti magistralmente descrittinella lettera a Stalin di Fjodor Raskol-nikhov, un diplomatico sovietico richia-mato in patria nel 1938, all’epoca delle“purghe”, che scelse di rimanere in Franciae morì a Nizza l’anno dopo. «Lei mi ha mes-so fuorilegge — scrisse al tiranno —. Inquesto modo mi ha ragguagliato sulla si-tuazione dei diritti dei cittadini sotto il suodominio, anch’esso fuorilegge. Rispondocon lo stesso metodo. Le restituisco il miobiglietto d’ingresso nel regno del sociali-smo da lei costruito e rompo con il suo re-gime. Il socialismo costruito da lei e daisuoi architetti, sotto il quale non si tro-va altro posto che dietro le sbarre, nonha a che fare con il vero socialismo, èaltrettanto lontano come la prepo-tenza della sua dittatura personaleche nulla ha a che fare con la dittatu-ra del proletariato».

LEONARDO COEN

Samizdat, il dissensoè un tam-tam di carta

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 9 AGOSTO 2009

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CULTURA*

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9 AGOSTO 2009

Ah, il cinema, il cinema italiano, la sua fantasti-ca adolescenza, i suoi miracoli: e chi può rac-contarlo meglio di lui? Ecco, metti Giulio An-dreotti davanti a due telecamere per circa seianni. In ventuno sessioni di quarantacinqueminuti ciascuna, specie di intermittente e in-

terminabile reality, risponde con cauto divertimento easciutta ironia alle domande più pazzesche. Curioso come lascimmia di una fiaba orientale, rivede foto, vignette, appun-ti, reperti; gli passano davanti agli occhi spezzoni di film e dicinegiornali. Non di rado emettendo lampi di sorpresa die-tro le ampie lenti, si inabissa fra le sue antiche carte e i suoi in-finiti ricordi, che poi sono quelli non solo del cinema italia-no, ma dell’Italia stessa.

In tutto quaranta ore di girato. Per ora c’è un dvd grezzo e unmateriale articolato in tre puntate (Ricostruzione, Propagan-dae Censura). Ma il cinekolossal andreottiano rischia di rima-nere incompiuto, opera in forse, periclitante, magari condan-nata alla visione di pochi intimi, monumento allo spreco e al-la dissipazione della memoria. Prodotta da Tatti Sanguineti edall’Istituto Luce con la collaborazione del ministero dei Beniculturali, la testimonianza dovrebbe chiamarsi I panni spor-chi si lavano in famiglia, cioè con la stessa accorata immagineche il giovane sottosegretario con delega agli Spettacoli scagliòcontro Umberto D. e il neorealismo. Nel mitico archivio an-dreottiano Sanguineti e Pierluigi Raffaelli, infallibile studioso

e assatanato cinedocumentarista, hanno scovato la brutta co-pia di quella storica sparata, dieci foglietti scritti a mano, e lareplica personale di De Sica.

A sessant’anni di distanza, in tempi di panni messi pure adasciugare nella più affollata piazza mediatica, il presidente, ilsenatore a vita, il Divo, l’uomo più rappresentativo dell’anti-co regime affronta, secondo il meticoloso calcolo degli auto-ri — da lui ormai quasi completamente sedotti — la bellezzadi centouno argomenti. Dagli sfollati di guerra che coltivava-no patate davanti allo Studio 5 di Cinecittà alle riprese di QuoVadis, film che a giudizio di Andreotti giovò al Paese quanto ilPiano Marshall; dal tragico rogo della Minerva film (Roma,1947, ventisei vittime) alla guerra dei seni tra la Loren e la Lol-lo (lui sta decisamente con la seconda: più libera, spiritosa,simpatica, romana); dalla visione a Castelgandolfo di unapellicola su Maria Goretti, con Pio XII turbato dalla scena del-la santa che si tira su la gonna per fare il bagno, fino a SilvioBerlusconi. E nulla aveva da rimproverare Andreotti a que-st’ultimo: fino a quando, una domenica pomeriggio, scana-lando in poltrona alla ricerca della partita della Roma, non siè imbattuto nella «monta taurina del Grande Fratello».

Candore d’antan di smagati protagonisti. Più ci si allonta-na nel tempo, in realtà, e più si capisce come e perché — uo-mini, abitudini, virtù e male arti — la Dc abbia esercitato co-sì a lungo il suo dominio sulla società italiana. In questo sen-

FILIPPO CECCARELLI

Da Totò a MediasetAndreotti ricorda

Riaprì Cinecittà dopo la guerra,rilanciò la Mostra di Venezia,arruolò Alberto Sordi e polemizzòcon i registi del neorealismo:la sua lunghissima carriera politicaè intrecciata a sessant’annidi spettacolo italiano. Adessoquesto enorme bagaglio di memoriaè riversato in quaranta oredi videointervista-fiumeche Tatti Sanguineti ha giratoma che per ora resta clandestina

LOCANDINENella foto grande,Giulio AndreottiAccanto, alcunelocandinedi film citatinell’intervista-fiumedi Tatti Sanguineti

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 9 AGOSTO 2009

so più di ogni altro Andreotti ha messo il bollo democristianosu ciò che ancora non si chiamava immaginario collettivo; eil cinematografo, che con un filo di diffidenza a sua volta DeGasperi liquidava come «questa vostra lanterna magica», èper il giovane sottosegretario una passione, ma anche una pa-lestra, un laboratorio, un mercato da costruire, un campo dialleanze, mediazioni, combinazioni, pesi e contrappesi.

Da questa lunghissima intervista, certo la più spensieratadella sua carriera, viene fuori con chiarezza che il problemanumero uno dei democristiani era (giustamente) «la pacifi-cazione degli animi». In una situazione di guerra civile stri-sciante si trattava perciò di sopire da un lato le vampate del-la rivolta sociale, troncando dall’altro le spinte revansciste;c’era da aprire con prudenza alla cultura americana e un po’si trattava anche di diventare europei, ma sempre con la be-nedizione di Santa Romana Chiesa. Nel trasformare il cine-ma in un’industria (la più rilevante nel Lazio), il giovane sot-tosegretario incoraggiò gli esercenti, produsse i produttori,in qualche modo gli impose di far riscoprire al pubblico il gu-sto del sorriso, la speranza del lieto fine. A pensarci bene eraun’opera immane, ma ciò che colpisce è il modo in cui a di-stanza di oltre mezzo secolo Andreotti riesce a sminuzzarla,a triturarla, come se il suo merito storico si riducesse in fon-do al successo di un’umile arte, quella di «barcamenarsi».

Sgombera dunque Cinecittà, riapre Venezia, si appoggia aun volpone del Minculpop come Nicola De Pirro, «grande di-stributore di vaselina». Arruola Sordi, che all’inizio gli facevail verso, e detesta Visconti («uno snobbetto»); si scandalizzaper la vita sentimentale di Rossellini, ma lo difende dall’A-merica maccartista che lo considera comunista e drogato. Facostruire, sempre Andreotti, duemila sale parrocchiali e pre-sta ventimila alpini di leva a De Laurentis per Addio alle armie La grande guerra.

Sincero innamorato del grande schermo, astuto patronodel risorgente cinema, sempre disponibile a fare le tre di not-te in saletta di proiezione, dove invita la moglie, senza darloa vedere si preoccupa di quello che gli italiani devono o nondevono vedere. Perciò blocca un film di Soldati sull’occupa-zione della Fiat, un altro di De Sanctis sulla strage di Melissa,e sequestra un documentario su Matera dove si vedono i po-veri che vivono con gli animali nelle case. Però chiude anchea chiave, «buttando la chiave nel Tevere» come specifica San-guineti, un film di montaggio papista e pacifista, violente-mente antiamericano, voluto e ideato dal presidente dell’A-zione Cattolica, Gedda.

Cesare Zavattini, che di Andreotti conosce la passione ip-pica, l’accusa di essere uno «sgarrettatore» di film. In realtà isuoi successori su quella poltrona, gli austeri piemontesiBubbio e Scalfaro, si riveleranno molto più severi e ridicoli.Quanto alla censura, si comprende benissimo che rispetto aitagli e ai sequestri preferisce evitare «rogne». Perciò previe-ne, attenua, dissuade, sostituisce; fino a convincere Rizzoli agirare di nuovo un sacco di scene di un film su una religiosadell’ordine di suor Pascalina, potentissima governante di pa-pa Pacelli. È un approccio compromissorio, purgatoriale,

fatto di accomodamenti e «soluzioni dietro alle quinte».Sanguineti e Raffaelli gli fanno vedere una scena

strepitosa, una delle pochissime in cuicompaiono insieme Sordi e Totò; il co-pione prevede che il secondo menzio-

ni De Gasperi in modo che può ritener-si irrispettoso, e allora dalle carte viene

fuori che Andreotti in persona, in sede dimontaggio, ha prescritto che al posto di

De Gasperi Totò dica «Bartali» — e il labia-le lo conferma. Di questa e di altre «scioc-

chezze» ora sorride; ma in qualche modosembra anche che invochi pazienza: crede-

temi, è stato meglio così. Anche sul sesso teo-rizza una censura evolutiva che trova degna

sintesi nella formula: «Dalle caviglie di Eleo-nora Duse all’endoscopia vaginale». Formida-

bile, in compenso, è il modo in cui Andreotti as-siste all’interminabile sequenza dell’Ultimo

tango a Parigi in cui Marlon Brando comincia afare l’amore in piedi con la Schneider, e poi le sci-

vola addosso, continuando per terra fra tendaggiche vibrano e crescenti mugolii. L’impietosa tele-

camera insegue lo sguardo del Divo Giulio, che ruo-ta gli occhi, li dilata, poi «ehm, ehm... Sono scene che

si possono vedere in qualsiasi allevamento ippico»,butta lì con risentita noncuranza.

La cosa strana, e in fondo anche un po’ triste, è che

questo opus ma-gnum cine-andreot-tianum ha davanti a séun incerto destino. Il mate-riale è ben diviso, ma il montaggioancora sommario, mancano le musi-che, il repertorio è incompleto. L’occasione èunica, pure a basso costo, però servirebbe ancora qualche sol-do. Ma l’Istituto Luce, per giunta in pieno riassetto societario,traccheggia; il protagonista tace; Sanguineti, sgomento, con-fessa di sentirsi come uno di quei cosmonauti sovietici lasciatiin orbita in attesa che venga inventato il dispositivo che li ri-porti a terra. E non solo. L’indubbio valore storico del lavorosi scontra con la vacuità tutta mercantile dei tempi, come seoggi Andreotti fosse diventato di troppo; o forse come se lamemoria stessa, che di norma non reca denaro, avesse persola sua funzione. Va da sé che il regime di monopolio compli-ca il caso dei Panni sporchi. O li compra la Rai, realisticamen-te, nella persona di Giancarlo Leone, figlio di Giovanni; op-pure li acquista Mediaset, su mandato di Piersilvio Berlusco-ni, figlio del Cavaliere. Ma non è ancora finita perché non c’èimpresario — e qui la faccenda si fa cinica — che non consiglidi chiudere il tutto in un cassetto e aspettare fino a quando,per vie biologiche, non diventi un vero affare. Al che Sangui-neti perde definitivamente la pazienza: «Ma perché devo au-gurarmi che muoia Andreotti? Non intendo arruolarmi nellacategoria dei beccamorti». Quindi, fatte le debite scaraman-zie, già sogna e pianifica operazioni situazioniste, proiezionigaribaldine in giro per l’Italia: per lui è diventato un obbligomorale, si vedrà.

Ma la testimonianza di Andreotti, che da buon popolano ro-mano sulla morte ha sempre avuto un atteggiamento quanto-meno disincantato, suona in realtà come un inno alla vita e unpo’ anche come una dotta lezione sul presente, con tutte le sueprevedibili magagne, con tutte le sue eterne sorprese. Uno zi-baldone, un rosario di fatti e fatterelli, una collezione di fram-menti autobiografici. Il caldo invito di De Gasperi a non esse-re «frivolo» e a portarsi sempre appresso la moglie ai festival;cionondimeno, la gelosia di donna Livia per la Magnani. L’im-pervia e comica decorazione da appuntare sull’enorme senodi Ave Ninchi. L’anziana mamma di Andreotti che in tv scam-bia l’imitatore Noschese per il figlio: «E adesso», lo rimprove-ra, «ti metti anche a fare il buffone in tv?».

Altri tempi, davvero. Quante stranezze, allora, e quante ri-correnze. Le mamme arrembanti delle attrici (oggi veline); leinterminabili discussioni lessicali su come chiamare le pro-stitute (ancora non c’erano le escort); lo scià di Persia che aVenezia ne chiede una per la notte (e il prefetto scarica l’in-combenza sul questore); gli slogan dei senzacasa: «Più tetti emeno tette».

Perché poi alla fine il potere è sempre uguale e sempre di-verso; e se pure a perderlo ci si logora, tra una freddura e l’altra,fa ancora una certa impressione sentir dire proprio da An-dreotti che in un futuro non meglio identificato «si arriverà al-l’intercettazione del pensiero».

PIO XIITurbato da una Santa Maria

Goretti che, nel film, alza

la gonna per fare il bagno

LOLLOBRIGIDAAndreotti la preferisce

alla Loren: più libera,

spiritosa, romana

ROSSELLINIL’America maccartista

lo accusa di comunismo,

Andreotti lo difende

ZAVATTINIPolemico con Andreotti,

definito come

uno “sgarrettatore” di film

TOTÒAndreotti fece censurare

in sede di montaggio una

sua battuta su De Gasperi

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34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9 AGOSTO 2009

MARIO SERENELLINI

PARIGI

Ultima cenerentola di genio, derelitta Undicesima Musa — dopo la Decima (il cinema) e la Decima bis (il ci-nema d’animazione) —, il fumetto, alle soglie del Duemila, sta degustando la promozione a lungo insegui-ta: il riconoscimento ormai ufficiale di arte nuova, moderna, contemporanea. Gulp! Una bella soddisfazio-ne, dopo il continuo saliscendi di pregiudizi domestici anni Cinquanta (barbarie letteraria, banalizzazione

visiva e narrativa: roba per bimbi scemi, o comunque pigri) e di inattese arrampicate in cattedra (lo storico dibattito su Schulze Charlie Browntra Umberto Eco, Oreste del Buono e Elio Vittorini, coordinato da Giovanni Gandini, sul primissimo Linus,aprile 1965, o, sempre nel ‘65, in Apocalittici e integrati la famosa “fumettografia” di Eco della prima tavola dedicata da Mil-ton Caniff, l’11 gennaio 1947, al neopersonaggio di Steve Canyon). È vero che Pablo Picasso, lettore fedelissimo e entusia-sta di Krazy Kat che si faceva spedire dall’America, coltivò nel suo onnivoro attivismo immancabili vocazioni-strip, impa-ginando a fumetti il suo Guernica. Ma è anche vero che sul groppone dei pargoli, ancora qualche decennio fa, l’onesto ge-nitore segnalava, guardingo e tempestivo, gli errori di grammatica e di sintassi in aggua-to, in Topolinie Corrierini. Insomma, a poco più d’un secolo e mezzo dalla suanascita ufficiale tra i media, in aperta rottura con la solennità della pittura— attorno al 1840, a opera di Töpffer, pittore mancato —, il fumettoera fino all’altro ieri guardato come l’equivalente dei giocolierireietti sui sagrati di chiesa del buio Medioevo, senza diritto di se-poltura in terra sacra: clown a matita, sempre ai margini del-l’arte ma senza diritto di entrarvi, periferico estro mendi-cante all’ombra dei Vaticani della pittura, chiese d’arte con-sacrate, quali, a Parigi, il Louvre, il Grand Palais, il CentrePompidou.

In queste ultime stagioni, le porte sacre si sono aperteanche al fumetto: la non-arte è entrata nell’arte. Primo èstato il Louvre, che lo scorso inverno ha inghiottito — e be-nedetto —, per la prima volta, i ghiribizzi-banlieu della suaGiocondae della sua Venere di Milo(non ancora Manara), conla mostra Le petit dessein. Subito dopo, in Francia, è stata una raf-fica, un’invasione aliena. A Lione, Quintet, fantasmagorica mostraal Musée d’Art Contemporain voluta dal suo direttore, Thierry Raspail,su cinque artisti “trasversali” arte-fumetto, tra cui l’architetto-desi-gner-fumettista dei Paesi Bassi Joost Swarte. A Cherbourg, fino al 20 set-tembre, al Musée Thomas Henry, Hugo Pratt torna a trionfare con cento-cinquanta disegni e acquerelli, di cui una cinquantina inediti, in Périplessecrets, accompagnato da un sontuoso catalogo Casterman, dove si enfatiz-za la corsa, via fumetto, verso l’astrazione dell’artista lagunare, erede grafico didue miti letterari, Stevenson e Conrad, che aveva sempre sognato, come confes-sò una volta, di «disegnare un giorno qualcosa con una linea, composta di una suc-cessione di punti, e, con questa linea, raccontare tutto». Qualcosa d’impossibile e d’u-

nico, come il sorriso della Gioconda: o di Corto Maltese, che, sicuramente, talvolta sorride. O sorride sempre, ma in un va evieni interiore, ruminante e mentale, dunque inafferrabile, come il Gatto del Cheshire?

A Parigi, che già tre anni fa aveva aperto le porte del Grand Palais per tenere a battesimo in un museo paludato, per la pri-ma volta in Europa, gli schizzi e gli originali di disegnatori e cartoonist della factory Disney, quest’anno la Maison Rouge hafatto Vraoum!, scoppiettante passerella, fino al 27 settembre, di fumetti di culto e di esempi parenti d’arte contemporanea.Mostra onomatopeica, storica e ludica, Vraoum!non espone ma ridispone, non loda ma esplode, giocando, in una sorta dipartita a scacchi visiva, con le pedine a fumetti e le pedane d’arte: da una parte i Lichtenstein, i Basquiat, i Keith Haring, in-gabbiati da rotondità disneyane e trame grafiche, dall’altra i folletti e i supereroi d’un universo in gabbia, nella pagina, maliberi e fuggiaschi nella loro identità immaginaria. A ruota, o in un semplice “continua”, l’Italia ha allestito a Milano, allaTriennale, Blog & Nuvole, altro zigzag d’esplorazione tra tavole, didascalie, disegni (tra cui quello, inquietante, di Giacon).

Non solo mostre temporanee. Anche musei. Definitive consacrazioni d’autori, un tempo effimeri. A Lucca, sede stori-ca di rassegne di comics, nasce quest’anno un archivio del fumetto, centro di documentazione con programmi di mostree database on line. A Angoulême, cuore e cervello delle “strisce” in Francia, ha riaperto, ingigantito, lo scorso giugno, l’ob-bligatorio Museo del Fumetto. E in Belgio, la Nuova Lovanio celebra ora il suo strip-autore e la sua creatura di fama inter-nazionale, cioè Hergé e Tintin, in un museo firmato Christian de Portzamparc, vincitore nel 1994 del premio Pritzker (il No-bel dell’architettura).

Una volta vilipeso o frainteso, il fumetto diventa museo, sonnolenta piramide egizia, prima ancora di aver reclamato eottenuto il suo statuto di star, di nona arte, in mezzo alle sue più strette, invidiose parenti, da tempo arrivate al traguardo?Tutt’altro. A tenerlo in vita, a renderlo contemporaneo, contribuiscono proprio gli artisti che, soprattutto a partire dall’Ar-te Pop, succhiano, vampiri, ispirazione e icone dalle tavole a strisce. Non solo Andy Warhol (che ha proclamato Walt Disney«il più grande pittore del Ventesimo secolo») con le sue serigrafie di Topolino, gemello seriale di Mao, Liz, Marilyn. Ma an-che David Mach, con il suo Mickey Matchead del ‘94, che accende la mostra Vraoum!. O, addirittura, con i prelievi ironica-mente chirurgici e minuziosamente paleontologici dell’artista sudcoreano Hyungkoo Lee sugli eroi di cartoon firmati TexAvery o Walt Disney, nelle installazioni alla Biennale di Venezia di due anni fa e, l’anno scorso a Basilea, al NaturhistorischesMuseum nella mostra Animatus, dove Hyungkoo Lee ha ricostruito gli scheletri di Bugs Bunny e della coppia Coyote& Bip Bip di Chuck Jones.

Come si può ora osservare alla mostra parigina Vraoum!, dove è esposto lo “scheletro” di Pippo, l’artista sud-coreano rovescia specularmente i procedimenti delle scienze naturali: non parte da particelle d’ossa, da residui discheletro per risalire all’immagine di animali sconosciuti, ma si applica all’immagine stranota delle icone di carta perattribuirvi uno scheletro. Paleontologia e Paperosofia si alleano per restituire, simmetricamente, ai propri oggetti distudio la parte mancante. Le ipotesi ossee, le radiografie scultoree di Hyungkoo Lee rappresentano, per i fan del cine-ma d’animazione e dei fumetti, non soltanto la conferma dell’esistenza, mai messa in dubbio, dei loro beniamini, maanche — specie nel caso di Pippo, esposto a Parigi, o di Qui Quo Qua e della coppia Coyote/Bib Bip, ammirati a Basilea —la scoperta, “dal vivo”, della loro meccanica comica, quasi il dietro le quinte, o il sottopelle, della loro natura animata.

L’artista sudcoreano, con tocco scherzoso, mette il dito sulle differenze e, dunque, lo specifico di arte e fumetto. L’arte ri-pete e celebra il noto (immaginario o di fede): la Madonna, il Crocifisso. Il fumetto crea l’ignoto (Steve Canyon, Superman,Topolino, Qui Quo Qua). Il fumetto apre gli orizzonti. L’arte li conferma, li codifica. Che sia il fumetto l’arte del futuro?

Il riscattodi strip

e cartoni

KIKIQui accanto,un’opera di TakashiMurakami, Kiki,in resina sintetica,fibra di vetro,acrilico e coloria olio. A sinistra,Duck General,di Richard Jackson

MICKEY MOUSEScultura in cotone e cuoio, Trophéede chasse, di Arnauld Colcomb,ispirata a Mickey Mouse

Amati e odiati, promossi a forma d’arte d’avanguardia e vituperatida genitori sospettosi, comics e cartoons trovano oggi la consacrazionedefinitiva. Mai come in questi mesi, in Francia e in Italia, si moltiplicano

le mostre e si aprono nuovi musei dedicati agli autori e ai loro personaggi di carta: messiin cornice oppure usati come spunto per trarne opere capaci di vivere di vita propria

SPETTACOLI

BALLOONL’immagineche contiene il titoloè un’opera di Sammy

Engramer, Sansparole

FumettoArteL’

del

Repubblica Nazionale

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BATMANSopra, Fat Bat di Virginie Barré;a sinistra, Batman, tavola di JoseLuis Garcia-Lopez. Tuttele immagini di queste pagine –tranne quelle altrimentididascalizzate – sono trattedal catalogo della mostra Vraoum!Trésors de la bande dessinéeet art contemporain (in corsoalla Maison Rouge di Parigifino al 27 settembre),pubblicato da Fage éditions

Hugo Pratt, 1982Corto Maltese potrebbe

diventare un grandepersonaggio televisivo di largo

richiamo popolare...Proprio il fumetto,

con l’esatta scansione a puntateche hanno anche

gli sceneggiati, potrebbediventare un’ottima e autarchica

alternativa ai vari seriald’importazione Usa

Moebius, 1983Gli artisti sono coloro

che ci rivelano qualcosadi più grande e di più potente

di loro stessi. Ogni ego è un mondoimmenso. Più un artistasi rinchiude in sé stesso

più ampio è il suo pubblicoSe l’autore continua a restringere

l’apertura della sua visione,può conquistare un’audiencecosmica, al di là della Terra

Joost Swarte, 2009Ho prima di tutto

imparato dal fumettocome raccontare una storiaDopo di che, in tutti gli altri

campi della mia attività,cerco di raccontare, in modo

chiaro, una storiaNon parlo una lingua straniera

Voglio la libertà, ma tengo moltoal fatto che gli altri

mi capiscano

PIPPOA destra, Ridicularis,

un’opera di HyungkooLee, e due schizzi di Dingo

(Pippo), il personaggiodi Disney che lo ha ispirato

SILHOUETTEQui sotto,The Big Beat,di Vuk Vidor

GRAFFITIQui accantoe in alto a sinistra,tre operedi Achraf Touloub:Haqq, !?, Haram

ASTROBOYSopra, CelluloidAstroboy, dello StudioTezuka; a sinistra,una tavola di Astroboy

Robert Crumb, 2000Sono un artista, né più

né meno come tutti quei tipiche espongono qua e là,

nei musei. Una volta,si imparava l’arte

nelle scuole, con esercitazioniquotidiane... Io non ho

ricevuto alcun insegnamento,non ho seguito corsi di nessun

genere. Ho imparato, copiandoi fumetti di Walt Disney

SWARTETre opere di JoostSwarte –The Queenof Time Seducedby the Numbermen,Showroom,Champ de bataille –tratte dal catalogodella mostra Quintet© Musée d’ArtContemporain

de Lyon© GlénatÉditions

TESTILe citazioni di Pratt, Moebius,Crumb e Swarte sono state raccoltee tradotte da Mario Serenellini

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 9 AGOSTO 2009

Repubblica Nazionale

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Brividi

Nido per molluschi crudi e caviale,compagno obbligato di frullatorie shaker, sostanza regina di granitee sorbetti:è il sovrano insostituibiledella stagione calda. In passatoun lusso per aristocratici estrattodalle neviere, oggi un piacerealla portata di tutti graziea elettrodomestici e nuove tecnologie,s’impone ormai come ingrediente-base di cene e spuntini d’agosto

i sapori36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9 AGOSTO 2009

un pezzo di ghiaccio, dicono, e non per fare un compli-mento. Eppure, dalle palle di neve ai ghiaccioli colora-ti, dalla provvidenziale borsa del ghiaccio contro febbrealta e botte alle granite, abbiamo imparato bambini aconsiderare il ghiaccio come un amico polivalente e go-loso. Una familiarità divenuta negli anni conforto ga-stronomico a tutto campo, democratico e sostanziale, da

nido rabbrividente per molluschi crudi e caviale a compagno insostitui-bile di frullatori e shaker in migliaia di cocktail, long drink, frappé,smoothies (ultimi nati nella categoria dei beveroni salutisti). E in cima atutti i cento utilizzi, sua maestà sherbeth, parola araba accomodata a «sor-betto granito» dai primi artigiani gelatieri siciliani. Fu uno di loro, France-sco Procopio dei Coltelli, che nel 1686, aprendo a Parigi il Café Procope perla vendita di «acque gelate, fiori d’anice e di cannella» regalò alla Francia laprima sorbetteria.

Certo, il ghiaccio è ingannatore. A volte, non fai tempo a estrarlo dalle va-schette che è già sciolto, annacquando invece di raffreddare. Oppure, alcontrario, ti tocca litigarci perché sta aggrappato al contenitore come se cel’avessero risucchiato dentro, e a battere di taglio contro il bordo del lavellosi rischia sia l’integrità del mobile sia lo spargimento impazzito dei cubetti

per l’intera cucina. Ma impossibile farne a meno, fin dai tempi in cui i venditoridi ghiaccio giravano per le strade con le stecche coperte da un panno caricate sucarretti, biciclette, motocarri. Perché il ghiaccio è supporto fondamentale allacorretta conservazione dei cibi, acceleratore di processi culinari e fantastica, na-turalissima droga termica: sotto il solleone di agosto, nulla di più dissetante di unafetta d’anguria in ghiaccio, di una granita di frutta, di un sorbetto di limone bat-tezzato, nel più trasgressivo dei casi, da una lacrima di vodka.

Di più: non c’è chef che risparmi alle verdure appena bollite una poderosa im-mersione in acqua e ghiaccio per immortalarne il verde originario; non c’è bar-man che rinunci a una vigorosa palettata di cubetti per emulsionare i mix di in-gredienti più o meno alcolici. In alcuni casi, come nel Campari shakerato, il ghiac-cio da solo (seppure condizionato al sinuoso movimento a uncino di chi imbrac-cia lo shaker, per far incorporare aria al liquido) trasforma il liquore in uno dei piùamati aperitivi del pianeta. In altri, il ghiaccio è solo apparente, perché a gelare lepraline non sono cubetti vaporizzati ma il ben più ghiacciato azoto liquido.

Se più che gelati e drink amate il caffè freddo, affrontate le curve della Costieraamalfitana di buon mattino (prima che il traffico diventi insopportabile) e rega-latevi un caffè shakerato alla pasticceria De Riso, Minori. In un minuto o poco piùdi robusto roteare nel bicchiere di un super frullatore, caffè, ghiaccio e poco zuc-chero diventeranno la più setosa e intrigante bevanda energetica dell’estate. At-tenzione, può dare dipendenza.

ÈLICIA GRANELLO

Fredde delizie per torride estati

Ghiaccio

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 9 AGOSTO 2009

Un cubetto, e lo sfiziodiventò democratico

MARINO NIOLA

L’invenzione dell’acqua fredda? Molto più difficile della sco-perta dell’acqua calda. Per questa fu sufficiente che l’uomorubasse il fuoco agli dei. Per produrre il freddo, invece, ci so-

no volute le raffinatezze di civiltà capaci di strappare alla natura ilsegreto della neve. Come quelle del lontano Oriente che per primetrasformarono i candidi fiocchi in preziosissimo ghiaccio da con-sumare durante le stagioni calde. La neve, diceva il grande poetagreco Simonide, si seppellisce viva, perché viva si conservi e ingen-tilisca l’estate.

Dal Levante il know how delle neviere si diffuse nel Mediterraneo.Alessandro Magno faceva scavare buche per congelarvi la neve edavere sempre una riserva di energia frozenper i suoi accaldati guer-rieri. Mentre i sofisticati gourmet della Roma imperiale si inebria-vano di vino innevato e di bevande ghiacciate. Oltre ad aver antici-pato la doccia scozzese immergendosi nel frigidarium delle terme.

Poi vennero le invasioni barbariche e durante il buio Medioevo leraffinatezze degli antichi diventarono solo un ricordo. Furono gliArabi a tenere in vita la cultura del freddo. E a rinfrescarci la memo-ria quando invasero la Sicilia con sorbetti da mille e una notte, fatticon la neve immacolata dell’Etna. Dalle sofisticate corti dei califfi

abbassidi granite e gelati si riversarono sulle nostre mense. Parte dunque dal Sud l’irresistibile avanzata delle golosità ghiac-

ciate, che a cominciare dal Rinascimento hanno fatto grande la no-stra pasticceria. Grazie a missionari del gusto italiano come il sor-bettiere palermitano Procopio de’ Coltelli che nel 1686 inauguranella favolosa Parigi del Re Sole il leggendario Chez Procope. Sor-betti, ghiaccioli e cremolate diventano un culto per i buongustai ditutta Europa. Simbolo di un consumo aristocratico che non è maiun mangiare per fame, ma piuttosto un sorbire per sfizio.

Con il tramonto dell’ancien régime e l’avvento della modernitàborghese anche lo sfizio diventa democratico e il ghiaccio conosceuna diffusione senza precedenti. Sono gli anni in cui gli Stati Unitidiventano leader del mercato mondiale. Dai porti del Massachu-setts e del Maine, fino a Calcutta e Hong Kong. La ruota della storiaha compiuto un giro completo e il ghiaccio, partito da Oriente vi faritorno come prodotto industriale dell’Occidente. E nelle case d’A-merica e d’Europa fa la sua comparsa la ghiacciaia. Antenata di quelfrigo che inaugura l’era glaciale di massa. Quella del cubetto fai date, che diventa simbolo di uno stile di vita on the rocks. Dal whiskyalla Coca è tutto un tintinnare di bicchieri. Anche se i vip non si ac-contentano dello stampino, ma scalpellano con destrezza miche-langiolesca blocchi traslucenti d’acqua purissima. Come fa la torri-da Sharon Stone, ape regina di Basic Istinct, col suo rompighiaccioassassino. Mentre gli assatanati Kim Basinger e Mickey Rourke diNove settimane e mezzorischiano il congelamento per stuzzicare gliappetiti.

Cubetto innocente e ghiaccio bollente, conservazione e seduzio-ne, purezza e durezza, sfizio e vizio. Una vera coincidenza degli op-posti per il più solido dei cristalli liquidi.

itinerariAccursio Craparoè l’apprezzatissimochef de “La GazzaLadra”, ristorantedell’hotel“Palazzo Failla”

a Modica (Ragusa)Sfiziosa e rinfrescantela sua anguria con cremagelata di riccio di mare,essenza di rosa caninae capelli d’angelo soffiati

Il diadema delle Dolomiti

incorona la cittadina,

dove il piacere

della tavola è legato

al rispetto per l’ambiente,

dai ghiacciai eterni

al sorbetto di tè

dell’eco-chef

Arturo Spicocchi

DOVE DORMIREHOTEL LA TAMBRA

Strada Sassongher 2

Tel. 0471-83628

Camera doppia da 100 euro (mezza pensione)

DOVE MANGIARELA STÜA DI MICHIL (con camere)

Strada Col Alt 105

Tel. 0471-831000

Chiuso lunedì, menù da 65 euro

DOVE GUSTAREPASTICCERIA GELATERIA VILLA EDEN

Strada Col Alt 47

Tel. 0471-836041

Scicli (Rg)

Nell’isola di Tiberio

e Neruda il ghiaccio

supporta trionfali vassoi

di pesce crudo

Accanto alla Grotta

Azzurra, Andrea

Migliaccio serve sorbetti

di mela annurca e creme

gelate di ricotta di bufala

DOVE DORMIRECASA CAPRILE

Via Follicara 9, Anacapri

Tel. 081-8373948

Camera doppia da 140 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIAREIL RICCIO

Via Gradola 4, Località Grotta Azzurra

Tel. 081-8371380

Sempre aperto in estate, menù da 60 euro

DOVE GUSTAREGELATERIA BUONOCORE

Via Roma 36, Capri

Tel. 081-8376151

Capri (Na)Corvara (Bz)

SeccoL’anidride carbonica solida — ovvero, il ghiaccio

secco — è perfetta per conservare cibi

Infatti, a meno 78.5 gradi, passa allo stato gassoso

senza passare da quello liquido

TritatoEvoluzione del grattugiato — che i puristi ancora

preferiscono — è la riduzione dei cubetti

in micro-ghiaccioli da utilizzare per cocktail, granite, o cibi

(molluschi, caviale, frutta...)

PressatoIndispensabili per i più raffinati le schegge di ghiaccio

ottenute dalla macchina compattatrice

Non si incollano tra loro e raffreddano molto di più,

evitando di annacquare il cocktail

EstanqueIl migliore chef del mondo, Ferran Adrià (“El Bulli”, Roses,

Spagna), celebra l’estate 2009 con uno “stagno d’inverno”:

su un’impercettibile lastra che vela il piatto, zucchero

Demerara granulare con menta piperita e tè Macha

Cestino alle mandorle con mojito e fragoleGiancarlo Morelli (“Osteria del Pomiroeu”, Seregno,

Milano) regala freschezza alla frolla di frutta secca

grazie alla spuma gelata di mojito e all’insalata

di frutti rossi, lime e menta

Tartina di foie gras con sorbetto di melone Giancarlo Perbellini (“Perbellini”, Isola Rizza, Verona)

utilizza la nota gelata del sorbetto

e la nota alcolica della riduzione di porto per bilanciare

il fegato grasso affumicato

l’appuntamentoAppuntamento rinfrescante a Cefalù

(Palermo), dove dal 16 al 20 settembreè in programma la terza edizione

del “Sherbeth festival”, festa-concorsointernazionale del gelato artigianale

Un mondo di sorbetti,cremosi, granite da esplorare grazie

ai migliori professionistidelle “acque gelate”,

già famose ai tempi di Luigi XIV

Nell’antica cittadina

dominata dagli arabi,

ricostruita con impronta

barocca dopo il terremoto

del 1693, si gustano

profumate granite

Nel capoluogo, Ciccio

Sultano serve tartare

di tonno e sorbetto di mojito

DOVE DORMIREPALAZZO HEDONE

Via Loreto 51

Tel. 0932-841187

Camera doppia da 120 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIAREIL DUOMO

Via Capitano Bocchieri 3, Ragusa Ibla

Tel. 0932-651265

Chiuso dom. e lun. a pranzo, menù da 70 euro

DOVE GUSTAREMILLENNIUM

Via Penna 15

Tel. 0932-842620

Erba limone con granita al passion fruitPaolo Teverini (“Hotel Tosco Romagnolo”,

Bagni di Romagna, Forlì-Cesena) gioca associando

alla spuma di erba limone

una granita al frutto della passione e un frullato di fragole

Azoto liquidoIl gas più presente nell’atmosfera

ha un punto di ebollizione super basso: meno 196 gradi

Evaporando, il raffreddamento è istantaneo,

ideale per sushi e gelati

Repubblica Nazionale

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Lampade, amache, poltroncine, dondoli: i mobilie gli oggetti sospesi si diffondono nelle case italianeUn mix bizzarro-funzionale che è la metaforadi una condizione di vita sempre più precaria,secondo alcuni; secondo altri, il risultato del trionfodel cemento armato dopo tanta edilizia di cartongesso

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 9 AGOSTO 2009

le tendenzeOscillazioni del gusto

AURELIO MAGISTÀ

BREAK IN VOLOIl “ristoranteper uccellini”di Droog ha piattoin porcellanae tetto spiovente

PIEDI PER TERRACi si sdraia anchein coppia sull’amacaTartaruga di Pircher,tutta in legno e cotone

NUMERO PERFETTOOspita fino a tre persone

il dondolo Nao Naodi Gandia Blasco

Il rivestimentoè completamente

sfoderabile e lavabile

Il designappesoa un filo

spesi di oggi. Un piccolo fenomeno che si è tentatidi spiegare con chiavi interpretative ambiziose:esprimerebbe lo spirito del tempo, ovvero sarebbeun’inconscia manifestazione del senso di preca-rietà e insicurezza che affligge il presente.

In realtà, la storica rarità di mobili sospesi èspiegabile con una ragione molto concreta: so-spendere un mobile significa vincolarlo a una pa-rete o al soffitto, e questo era quasi sempre impos-sibile o molto rischioso nelle case spuntate in fret-ta dall’impetuosa edilizia del boom economico e,poi, costruite al risparmio nella dura crisi degli an-ni Settanta, decennio in cui l’inflazione arrivò asuperare il venti per cento. In quelle case, su queimuri e a quei soffitti, fatti quasi sempre di matto-ni forati e tavelloni, vincolare una poltroncina oaddirittura un dondolo era un vero azzardo. Di-fatti finora gli unici elementi di arredo che hannoconosciuto una vera diffusione sono le lampade,in genere molto leggere, e i sanitari, per i quali èprevista la formazione di una spalla portante al-l’interno del muro. Perfino la celebrata poltronci-na di Bonacina, alla fine, è uscita anche nella ver-sione con basamento autoportante a forma di C,come un qualsiasi ombrellone da giardino.

Oggi i mobili sospesi conoscono una piccolafortuna. Complice il cemento armato, ovviamen-te, ma anche il design, o piuttosto quella sua ver-sione un po’ malintesa e purtroppo assai popola-re, che alla funzionalità antepone la capacità di su-scitare meraviglia e divertimento. Sentimenti chei mobili sospesi sanno quasi sempre risvegliare.Quando poi riescono a coniugare spirito ludico eattenzione alla funzione, come quelli di questapagina, diventano un’intelligente alternativa, e ilgioco è fatto.

IN & OUTDimensioniampiee generoseper Moondancedi Busnelli,in cuoioper il salottoo in tessutotecnicoper il giardino

HI-TECHSi chiamaTropico la nuovalampada sospesaFoscariniÈ formatada cerchi,ispiratiai parallelidella Terra,tenuti assiemeda gancitrasparenti

MONOPOSTOAragemdi Beaversostiene120 chili,si appendedovunque,si lavain lavatricee si riponein una sacca

Siamo tutti appesi a un filo. Ma non èuna metafora per spiegare il tormento-so precariato di tanti giovani in attesadi un lavoro sicuro, o l’ansia di perder-lo che assilla chi ce l’ha. Per una voltaqueste parole vanno interpretate in

senso rigorosamente letterale: i mobili e gli ogget-ti sospesi si diffondono nelle case degli italiani.

In passato erano casi più unici che rari. Certo,c’era l’amaca, simbolo dell’ozio open air e iconadisneyana (Paperino, d’estate, la alterna all’inver-nale divano), ma più come stravaganza e citazioneesotica, difatti è di origine extraeuropea. Da noi, ilpezzo d’arredamento più memorabile che un ma-de in Italy per altri versi molto vivace ci ha lasciato,è probabilmente Egg di Bonacina. La poltroncinaa forma di uovo, in midollino, disegnata da NannaDitzel nel 1957, è stata antesignana dei mobili so-

ANTENATAEgg, disegnatada NannaDitzel nel 1957per Bonacina,è la primatra le sedutesospeseOggi anchecon basamentoautoportante

Viverea mezz aria’

Repubblica Nazionale

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l’incontro40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9 AGOSTO 2009

sere apprezzata». Beve un succo di melae si ferma per riflettere sulle sue parole:«Evidentemente se continuo a ripercor-rere lo stesso cammino vuol dire che esi-ste una forma di appagamento che su-pera la paura del giudizio».

Ma l’equilibrio maggiore le deriva dalfatto di essere una mamma: «Aver mes-so al mondo un figlio è il più grande mes-saggio di speranza nella realtà di oggi. Iostessa ho sempre fatto un po’ da madrealla mia e avevamo un rapporto moltostretto, ma ora che ho una figlia per dav-vero è tutto più sano e naturale». Tra sete biberon Jasmine Trinca ha poco tem-po libero. E le idee chiare su come pas-sarlo: «Amo stare in casa con il mio com-pagno e pochi amici. Ho sempre sogna-to una famiglia classica e adoro guarda-re mia figlia che cresce e stupirmi diquanto, a pochi mesi, sia già così indi-pendente. Talvolta sento una fitta dolo-rosa perché penso che mi lascerà pre-sto».

Ed ecco di nuovo quella risata fresca econtagiosa. Quel tintinnio che la fa sem-brare una bambina divertita e diverten-te. Non ha pudore nell’ammettere le suepigrizie: «Amo godermi la routine, lamia casa, l’indolenza tra un film e l’altro.Sono oziosa ma non nel senso latino deltermine. Starei ore a parlare con le ami-che che, da sempre, ho scelto molto piùgrandi di me. Mi dà sicurezza il fatto disentirmi radicata». Con le altre attrici haun rapporto sereno, anche se le dispia-ce che in Italia non siano abbastanza ap-prezzate. Lei, che da bambina giocavasolo con i maschi e indossava sempre ipantaloni, ha riscoperto la complicitàtra donne. «In Francia il vero divo è l’at-trice e la fascinazione per la star femmi-nile è insuperabile». Rimpianti? «Nonaver viaggiato. Ho cominciato tardi enon ho molto tempo ma, presto, sperodi recuperare e di portare anche Elsa conme perché intuisco le sue curiosità. Saràuna giramondo».

La sera, per reazione, mi sono venuti ibrividi per la febbre ma ero felicissima».Rivedersi la prima volta, però, non è sta-to facile: «Io che sono cresciuta in unacasa senza specchi mi sentivo male nelguardare un mio dente grande quasitutto lo schermo». Il film del debutto hacoinciso con l’ultimo anno di liceo. «Inpratica quei mesi li ho passati studiandosul treno Roma-Ancona. Le riprese sonodurate tantissimo perché Nanni è capa-ce di far ripetere una scena mille volte.Ma non ero mai stanca, mi sembravatutto meraviglioso e un lusso quel mododi lavorare».

Il sogno non era ancora finito. Quan-do La stanza del figlio è stato seleziona-to per il Festival di Cannes, Jasmine contutta la squadra è partita per la Costa Az-zurra. Dai banchi del liceo al red carpet.«È stata un’esperienza unica. Moretti ciha ringraziato tutti e io ero così grata perquello che mi era capitato senza averlochiesto che dopo non avrei voluto farepiù nulla con altri registi. Mi sembrava

un tradimento etico e in più, non aven-do studiato per fare l’attrice, avevo il pu-dore di rubare il posto a chi aveva fatica-to per realizzare un sogno. Poi ho capitoche, se ti capita una cosa buona, deviavere il coraggio di prenderla».

È stato proprio Moretti a sostenerla.A spingerla su altre strade. Da allora Ja-smine è stata Giorgia, la ragazzina pro-blematica della Meglio Gioventù. La“matta” come si dice a Roma. «Un per-sonaggio doloroso che mi è piaciuto su-bito, dove ho potuto lavorare d’istinto ein un modo quasi animalesco». E poi ladolce fidanzata di Kim Rossi Stuart inRomanzo Criminale. La protagonista diuno degli episodi di Manuale d’amore.E, soprattutto, è tornata a lavorare conMoretti ne Il Caimano. «Pensavo chenon mi avrebbe più richiamato, poiquando mi ha chiesto di fare un provi-no per quel film quasi non ci credevo.Interpretavo una giovane regista e, poi-ché Nanni non era tra gli attori, era co-me recitare la sua parte. Devo dire cherappresentare l’ego di Moretti non erauna cosa facile».

Ma è stata anche una grande gioia.Perché lei ama girare con gli stessi regi-sti. «È come un ritorno a casa, e la con-ferma che ho lasciato qualcosa di buo-no nel ricordo di quelli che mi hanno di-retta». Oltre che con Moretti le è capita-to con Michele Placido. Dopo Roman-zo criminale, ha lavorato con lui ancheper Il grande sogno che uscirà in set-tembre. Sarà una giovane donna conte-sa tra due belli: Riccardo Scamarcio eLuca Argentero. «È un film interessateperché racconta il ‘68 vissuto dalla par-te della polizia. Placido è un grande, luiriesce a coinvolgere gli attori come facon se stesso. È convinto che ognunopossa portare qualcosa di buono e haun istinto formidabile».

Per Jasmine il lavoro è una cosa seria.Non sarebbe di natura una disciplinata.Non è mai riuscita a rispettare un abbo-namento alla palestra e a finire gli esamidi archeologia all’università ma, con il ci-nema, è un’altra cosa: «Ogni film lo vivocome una missione». Non conosce l’an-sia del vuoto, quella del buco nero tra unfilm e l’altro, però convive con altre pau-re. Una più forte di tutte: il giudizio deglialtri. Ha paura di rivedersi. «Non ho unrapporto facile con la mia immagine e, sequalcuno mi fa un complimento, mi de-vo forzare per viverlo serenamente. Civuole equilibrio nel guardarsi, in versio-ne gigante, in una sala piena di gente cheè pronta a darti un voto. Però è anche unacelebrazione di sé e, in fondo, ho scoper-to una parte di me nascosta che ama es-‘‘

Divi per caso

Io, che non hostudiato recitazione,ho avuto l’imbarazzodi rubare il postoa chi aveva faticatoMa, se ti capitauna cosa buona,devi avere il coraggiodi prenderla

Occhi da cerbiatto, pelle di luna,risata fresca. Un po’ ragazzinaun po’ donna matura, questa attricecatapultata sui set da Nanni Moretti

racconta la sua infanziada bambina saggiapassata a far da mammaalla sua mammaE racconta il suo oggicome un “sognorealizzato”: la carrierae i film di successo;

una nuova, grande casa dove dar vitaa una famiglia classica; una figlia, Elsa,con cui progettare viaggi da giramondo

ROMA

Ci sono donne che sembra-no non avere età. Giova-nissime e insieme adulte.Acerbe ma anche morbi-

damente mature. Tra queste c’è sicura-mente Jasmine Trinca. Occhi da cer-biatto e carnagione lunare. Capellispettinati e mani affusolate. Quandoapre la porta in camicia bianca, balleri-ne e sguardo basso, è ancora l’adole-scente scelta da Nanni Moretti per in-terpretare il ruolo di ragazzina nel filmLa stanza del figlio. Quando invece par-la di sua figlia Elsa, avuta da pochi mesida quello che era il suo amico di univer-sità e ora è diventato il compagno di vi-ta, è già una donna. Sulla questione del-l’età scoppia in una risata: «In realtà so-no sempre sembrata più grande. Vale-rio Mastandrea mi chiama la nonna».

Ed ecco che, basta un lampo, ed ènuovamente una bambina. E forse èquesto il segreto del suo successo. Ècangiante, Jasmine Trinca. Saggia maanche innocente. Sguardo tenero e in-sieme furbo. Indefinita e indefinibile. Simuove per la casa del popolare quartie-re di Testaccio quasi incredula che unappartamento così grande sia tutto suo:«Sono passata da un posto minuscoload uno maiuscolo perché, a un certopunto della vita, ho avuto voglia di farele cose in modo classico. All’ottavo me-se di gravidanza mi sono trasferita qui e,con il mio fidanzato, abbiamo decisod’inaugurare la nostra realtà che io de-finisco da “anziani”». Lo racconta con ilcandido stupore di una bambina che,quasi senza accorgersene, si è vista ma-terializzare la casa di Barbie tra le mani.Una casa piena di luce. Con dei soffittitalmente alti da sembrare lontanissimi.Un posto felice. Come Jasmine: «Sonoconsapevole che qualcosa a un certo

punto ha cominciato a girare nel modogiusto. Dopo il mio primo film è comecambiato tutto e si sono realizzati tantisogni ma il più importante è quello diavere una bambina. Il mio desiderio difelicità, da quando è arrivata lei, è giàsoddisfatto».

E la vita, per Jasmine Trinca, è real-mente cambiata per caso. La sua infan-zia di piccola saggia, vissuta con unamamma che l’ha allevata con quel di-simpegno tipico dei genitori degli anniSettanta, appare oggi molto lontana.«Sono nata a Roma e ho sempre condot-to un’esistenza normale. Anche in clas-se, pur avendo tante cose da dire, nonaprivo bocca. Ero una per niente vezzo-sa e molto di sostanza. Non avevo maipensato di fare l’attrice poi, nel mio li-ceo, sono venuti a cercare una ragazzaper interpretare la parte di Irene, la figliadi Moretti ne La stanza del figlio. Era giàsuccesso che cercassero degli attori maio non mi ero neppure avvicinata pro-prio perché ero timidissima e mi vergo-gnavo. Però, in questo caso, era diverso.Volevo conoscere Nanni Moretti, per-ché ero curiosa di lui e lo avevo sempreammirato».

Non era l’unica. Il giorno del provinoc’era tutta la scuola e ognuno tentava,come poteva, d’improvvisare il suo pic-colo show per farsi notare. «Io in realtànon mi ero preparata nulla e così, quan-do mi hanno chiesto cosa mi piaceva fa-re, ho sentito un gran vuoto nella testa.Poi ho raccontato che amavo girare invespa per la città, e giocare a pallanuoto,perché sapevo che erano le cose che pia-cevano a Nanni». E la storia della vespadeve aver funzionato perché, dopo unamarea di provini, Jasmine è stata convo-cata al cinema Nuovo Sacher. Il regno diNanni Moretti. Direttamente davanti alui. Al grande regista. Mani sudate e cuo-re con mille battiti al minuto. «Mi sonofatta prestare una gonna da un’amica esono corsa incontro al mio destino. Hofatto il primo provino in una macchinacon Laura Morante e Moretti ha fatto ditutto per metterci a nostro agio. È statosimpatico e ironico. Credo abbia capitosubito che ero una ragazzina diversadalle altre, soprattutto molto pura e conuno sguardo ancora non inquinato sulmondo».

Le manca il fiato quando ricorda queimomenti. L’attesa di una risposta e, do-po la telefonata tanto desiderata, la pau-ra mista a incredulità: «La parte eramia». E poi, come in un sogno, il brividodel primo ciak. «Era una scena abba-stanza semplice e io sentivo una voce in-teriore che continuava a farmi coraggio.

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IRENE MARIA SCALISE

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Jasmine Trinca

Repubblica Nazionale