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Collana Spettacolo e Comunicazione 4 2019 Università degli Studi Roma Tre Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo FILCOSPE CINEMA E IDENTITÀ ITALIANA Cultura visuale e immaginario nazionale fra tradizione e contemporaneità a cura di STEFANIA PARIGI, CHRISTIAN UVA, VITO ZAGARRIO

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CollanaSpettacolo e Comunicazione

4

2019

Università degli Studi Roma TreDipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo

FILCOSPE

CINEMA E IDENTITÀ ITALIANACultura visuale e immaginario nazionale fra tradizione e contemporaneità

a cura diStefania Parigi, ChriStian Uva, vito Zagarrio

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Comitato scientifico:Luca Aversano, Marina Galletti, Raimondo Guarino, Giovanni Guanti, Edoardo Novelli, Stefania Parigi, Veronica Pravadelli, Mirella Schino, Anna Lisa Tota, Vito Zagarrio.

Impaginazione e cura editoriale: © Libreria Efesto

Elaborazione grafica della copertina: Mosquito mosquitoroma.it

Redazione: Mattia Cinquegrani

Edizioni: ©Roma, ottobre 2019ISBN: ###-##-######-##-#

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SOMMARIO

Stefania Parigi, ChriStian Uva, vito Zagarrio, Introduzione 9

roberto De gaetano, Il romanzesco cinematografico italiano 13

SUZanne Stewart-Steinberg, Grounds for Reclamation:‘From the Swamps to the Days of Littoria’ 25

ICONE NAZIONALI E ITALIANITÀ

Silvio aloviSio, Il corpo e l’anima di una nazione.Immagini d’infanzia nella Serie Cuore della Film Artistica Gloria 47

aleSSio SCarlato, La povertà del potere: appunti sull’identità religiosadel cinema italiano 59

fabio anDreaZZa, Il culto della patria, del littorio e della decima musa.Nazionalismo e cosmopolitismo negli allievi del CSC (1935-1938) 69

giUlia raCiti, Il brusio del dialetto come godimento plurale della lingua 77

franCeSCo Ceraolo, Un paese fondato sul melodramma 85

franCeSCo verona, “Verdi come il padre?”Identità italiana e messa in crisi della tradizione verdiana nel cinema degli anni Sessanta 93

lUCa MaZZei, L’italiano di legno nello specchio di Hollywood.La ricezione del Pinocchio Disney in Italia tra fascismo e dopoguerra 103

PANORAMI CONTEMPORANEI

naUSiCa tUCCi, La realtà della finzione.Tracce identitarie nel cinema italiano contemporaneo 117

franCeSCo feDeriCi, L’identità italiana attraverso il racconto delle migrazioni.Musei, mostre e percorsi espositivi 127

gabriele lanDrini, Dall’intervallo alla RecessGli adolescenti di Disney Channel e l’identità italiana 137

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Stefano gUerini roCCo, Il Paese delle meraviglie. Percorsi di costruzione identitariae possibilità di (tras)formazione nel cinema di Alice Rohrwacher 157

vito Zagarrio, Labirinti. Il piano sequenza nel cinema italiano contemporaneo 167

vittoriano galliCo, Il Divo di Paolo Sorrentino.Scrittura cinematografica di una storia controversa 181

Dario CeCChi, Mediare il medium. Narrazioni dell’identità e strategiedell’emancipazione in Liberami di Federica Di Giacomo 191

DINAMICHE DI GENDER

gabriele rigola, Ménage all’italiana.Ugo Tognazzi e le dinamiche di rapporto tra i sessi, tra cinema, identità e discorsi sociali 203

ilaria a. De PaSCaliS, Cartografie immaginarie e politiche sessualiin Mimì metallurgico ferito nell’onore 213

enriCo biaSin, «Per un po’ di tempo camminai come Yul Brynner».I giovani uomini italiani del dopoguerra al cinema 223

elena D’aMelio, ‘The ideal man’.Amedeo Nazzari and national melodramatic masculinity 235

raffaello alberti, Fellini e la ‘formazione incompiuta’.Il maschio italiano tra sessualità e cattolicesimo 245

valentina re, «Le bellezze italiane sono tutte curve».Identità in conflitto sulle pagine di Cinema nuovo (1952-1958) 255

LO SGUARDO DOCUMENTARIO

MirCo MelanCo, Anni Sessanta.L’identità italiana dell’arretratezza vista con gli occhi del cinema del reale 271

Daniele Dottorini, La memoria del fuoco.Mito e racconto nel cinema del reale italiano contemporaneo 281

Mattia CinqUegrani, Tra arcaismo e modernità.Il cinema documentario di Cecilia Mangini 293

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giaCoMo raveSi, Padri d’Italia.Autobiografia e dinamiche generazionali nel documentario italiano contemporaneo 303

Mariangela PalMieri, Le due Italie.Il Sud come periferia nel documentario 313

PatriZia fantoZZi, Visitazione di un’idea di popolo come utopia estetica del mondo.I cortometraggi di Vittorio De Seta 323

FRONTIERE, MIGRAZIONI, PERIFERIE

giUSePPe Previtali, Vite al confine.Spazi e immagini delle migrazioni nella cultura visuale italiana 335

MaSSiMiliano Coviello, Lo sguardo dell’altro sulla penisola.Le migrazioni attraverso il cinema italiano 343

leonarDo De franCeSChi, Cittadinanza e narrazioni audiovisive in Italia.Istruzioni per un’inclusione differenziale 353

toMMaSo Di giUlio, Who Framed Rome?Periferie urbane ed esistenziali nella Roma nel cinema italiano contemporaneo 363

ITALIANI ALL’ESTERO

antonio Catolfi, Lo stile cinematografico italiano all’estero.Artisti e artigiani del set, professionisti e luoghi produttivi 375

MarCo bertoZZi, Identità mediali e culture in transito.Immagini migranti, dall’atelier di Teledomenica a Ricordati di noi 387

giUS gargiUlo, Fritaliens. Slittamenti dell’italianità nel cinema francese 395

DoM holDaway, MaSSiMo SCaglioni, Studiare la circolazione.Metodologie e problematiche di un progetto di ricerca 405

MarCo CUCCo, Le istituzioni e le politiche a sostegno della distribuzione internazionaledel cinema italiano 417

Paolo noto, Il cinema italiano negli Istituti Italiani di Cultura all’estero.Alcuni casi di studio 427

lUCa barra, Marta Perrotta, Il cinema italiano nelle reti televisivee piattaforme digitali statunitensi 435

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VIAGGI IN ITALIA TRA CINEMA, FOTOGRAFIA E TELEVISIONE

PalMira Di MarCo, Chi legge? In viaggio con Mario Soldati e Cesare Zavattini 447

anna biSogno, I viaggi in Italia di Mario Soldati tra cinema e televisione 457

brUno roberti, Un viaggio in Italia. L’Odore del sangue 465

Caterina Martino, Viaggio in Italia con Bob Dylan.Identità del paesaggio (inter)nazionale nel percorso fotografico di Luigi Ghirri 475

AUTORI, TEORIE E FILM

enriCo MenDUni, L’Italia sul mare nel cinema di Francesco De Robertis.Un problema ancora aperto 487

DaviD brUni, «Siate sempre tutti uniti sotto una sola impresa».Tradizione nazionale e identità italiana nel cinema di Alessandro Blasetti (1932-1938) 497

tereSa bionDi, Antropologia dell’immaginario nazionale e ‘processi di (dis)identità’nel cinema di Luchino Visconti 507

MarCo Maria gaZZano, Lo sguardo al futuro di Carlo Lizzani teorico 517

Chiara CaPobianCo, L’Italia che si riconosce nel cinema dei drammi popolari:il caso di Assunta Spina (1915). Un nuovo modello del rapporto identitario nazionalefilm-spettatore 527

lorenZo MarMo, Spazio, paesaggio, mappa.Roma e la modernità nel cinema noir di Pietro Germi 537

IDENTITÀ LOCALI E IDENTITÀ NAZIONALI

Paolo villa, Film in the Piazza.Le piazze d’Italia come luogo d’identità nazionale nei cortometraggi del dopoguerra 551

angela bianCa SaPonari, L’iconizzazione del Sud tra antropologia visualee industria culturale 561

antioCo floriS, L’Identità locale vs identità nazionale. Il caso Sardegna 573

lUCa banDirali, Il Salento si alza.Come una regione di confine nel bacinodel Mediterraneo è diventata un’area di interesse nell’ambito del cinema europeocontemporaneo 583

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DeniS brotto, Disfunzioni, disgregazioni, digressioni. Se l’identità italiana si fa aporia 593

giaCoMo Martini, L’importanza dei territori nella storia del cinema italiano.Dagli stimoli culturali e antropologici alle film commission 603

QUESTIONI POSTCOLONIALI

gina annUnZiata, La costruzione dell’identità italiana e dell’alterità colonialenel cinema muto italiano 613

SaMUel antiChi, Cronache dell’Impero. La ridefinizione dell’identità nazionale italianaattraverso la rappresentazione dell’alterità africana nei cinegiornali dell’Istituto Luce 623

Maria franCeSCa PireDDa, Rovine e macerie.Permanenze e rimozioni dell’identità coloniale nel cinema italianodal secondo dopoguerra alle migrazioni contemporanee 631

gaia giUliani, Gli eroi son tutti giovani e belli.Il cinema degli eroi tra memoria coloniale, condanna del fascismo e nuovi e vecchi modellidi genere (1949-1954) 641

ATTORI E DIVI

DeniS lotti, 1924: Maciste pro o contro Mussolini?Corrispondenze tra divismo cinematografico e potere politico 655

anna MaSeCChia, «Ho servito il Re, il Duce e i Presidente della Repubblica».Vittorio De Sica anni Cinquanta 663

SiMona bUSni, Divismo e melò secondo Michelangelo Antonioni 673

CriStina Colet, Monica Vitti. Un’icona della modernità 683

Marina PellanDa, Un esempio di identità italiana.Il magistero d’attore di Gian Maria Volonté 693

alberto SCanDola, Il buono, il mammo(ne), il bello, il cattivo.Stefano Accorsi e le maschere dell’italianità 701

GENERI E SIMBOLI DELL’ITALIANITÀ

CeCilia brioni, Rita e «La Zanzara».La costruzione dell’identità giovanile italiana nei film Musicarelli (1958-1968) 713

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ClaUDio biSoni, Il cinema musicale italiano degli anni Sessanta e l’identitàdelle nuove generazioni tra nazionale e globale 723

roSSella CataneSe, Vespa, Lambretta e Geghegé. Beat e Mods all’italiana 733

elio freSCani, Identità italiana e storia in Totò al Giro d’Italia 743

ChriStian Uva, Italiani alla deriva.Note su cinema e maschi da spiaggia nell’epoca del boom 753

Stefania Parigi, La ‘ricostruzione’ delle vacanze.Mare e spiagge negli schermi dei primi anni Cinquanta 765

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Giuseppe PrevitaliVite al confine.

Spazi e immagini delle migrazioni nella cultura visuale italiana1

Fra le immagini più iconiche che negli ultimi anni hanno abitato l’in-formazione italiana vi è senza dubbio quella del corpo senza vita di Alan Kurdi, trascinato sulle coste turche nel settembre 2015. Un’immagine iconica, eternamente replicata nel dibattito pubblico e divenuta il simbolo di un rinnovato desiderio di svecchiamento del quadro legislativo in mate-ria di immigrazione e regolazione del movimento nello spazio europeo. Una fotografia sulla quale si è incardinata la versione – opportunamente aggiornata – di quel ‘mai più’2 che, come una litania, accompagna i sem-pre più numerosi naufragi nel Mediterraneo. Perché proprio quella fra le molte immagini di sofferenza è divenuta, nel breve volgere di qualche giorno, un vero e proprio meme della tragedia3? Riprendendo la nota posizione elaborata da Stephen Eisenman in riferimento alle immagini scattate nel carcere di Abu Ghraib4, Sergio Benvenuto ha insistito – a proposito – sull’importanza del contenuto iconografico della fotografia di Alan, evidenziando giustamente come quello che vediamo nell’immagine «potrebbe essere un qualsiasi bambino italiano o tedesco»5.

1 Una prima versione di questo contributo è apparsa su «Wide Screen», 7, n. 1, 2018. Esso deve molto agli insegnamenti e ai suggerimenti di Federica Sossi, cui la va la mia riconoscenza. Bianca Trevisan è stata una interlocutrice preziosa in questa e in altre occasioni, per mettere a punto alcune idee che trovano espressione anche in questa sede.2 Per maggiori approfondimenti sul tema, cfr. f. SoSSi, Le parole del delirio. Immagini in migrazione, riflessioni sui frantumi, Ombre Corte, Verona 2016, pp. 117-20.3 Cfr. G. Marino, La ‘foto del bambino’. L’immagine nell’epoca della sua riproducibilità social, in «Visual History. Rivista internazionale di storia e critica dell’immagine», II, 2016.4 Cfr. S.f. eiSenMann, The Abu Ghraib Effect, University of Chicago, Chicago 2007.5 S. benvenUto, La foto del bambino, doppiozero.com, <http://www.doppiozero.com/materiali/commenti/historia-lucida> (ultimo accesso: 29.12.2018).

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Un’immagine, insomma, che accettiamo di far circolare nel nostro sistema mediale perché visivamente addomesticabile e al contempo – e in modo paradossale – generica e individuale: è Alan, ma potrebbe essere qualcun altro (chiunque, si potrebbe dire, purché non troppo ‘altro’ dal ‘noi’ in cui lo spettatore occidentale si inserisce)6. Che sia proprio sui corpi, sulla loro movimentazione e visibilità discrezionale che si gioca la partita del discorso sulle immagini delle migrazioni, sembrano confermar-lo numerosi altri esempi. Si pensi ad esempio ai corpi allineati in bare o sacchi anonimi (e anonimizzanti) dopo il naufragio del 3 ottobre 2013, o agli scatti raccolti negli anni da Sara Prestianni, attivista e fotografa impegnata a documentare le traversate migratorie e le modalità del loro contenimento/respingimento. Penso in particolare ad alcune immagini7 del 2011, che mostrano le scansioni dei corpi dei migranti, scrutati da apparecchiature medicali e/o metal detector, in un processo di spossessa-mento del corpo e dell’identità che attraversa in maniera trasversale tanto le politiche migratorie quanto le narrazioni che ne vengono proposte.

Questi due casi, due fra i numerosi possibili, ci dimostrano quanto le immagini giochino oggi un ruolo di primo piano nel definire l’agen-da politica e gli atteggiamenti nei confronti di questioni cruciali come quella delle migrazioni. In questo senso, in accordo con la prospettiva di Rancière8, è necessario riconoscere l’implicazione reciproca di estetica e politica e – soprattutto – la natura discorsivamente costruita della soglia fra visibile e invisibile (o – potremmo forse dire adottando espressioni che si rifanno alla riflessione di Butler – fra ciò che degno o meno di visibi-lità). Spostando la nostra attenzione sul cinema – e tenendo fermi questi presupposti metodologici – sono numerosi i film (e, nel paradigma di una generale rilocazione del cinematografico9, le opere) che hanno messo al centro della propria indagine la questione delle migrazioni in Italia10.

6 A parlare di iper-singolarizzazione attraverso l’accumulo di dettagli sottoqualificanti è stato, come è noto, L. boltanSki, Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, Raffaello Cortina, Milano 2000.7 Gli scatti sono visibili sul profilo di Sara Prestianni, flickr.com, <https://www.flickr.com/photos/saraprestianni/> (ultimo accesso: 29.12.2018).8 Per maggiori approfondimenti riguardo questi concetti, che attraversano la riflessione del filosofo, cfr. J. ranCière, La partizione del sensibile. Estetica e politica, Derive Approdi, Roma 2016; P.S.H. favero, Dentro e oltre l’immagine. Saggi sulla cultura visiva e politica nell’Italia contemporanea, Meltemi, Milano 2017, pp. 11-24.9 Cfr. F. CaSetti, La galassia Lumière. Sette parole chiave per il cinema che viene, Bompiani, Milano 2015.10 Pur avendo come limite cronologico il 2010, è comunque prezioso il recente volume di G. vanoli, Nella terra di mezzo. Cinema e immigrazione in Italia. 1990-2010, Meltemi,

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Vite al confine.Spazi e immagini delle migrazioni nella cultura ViSuale italiana

Scegliamo qui di concentrarci su alcuni oggetti specifici, diversi sia per la forma che per la strategia discorsiva che sottendono, nella convinzione che da essi si possano trarre utili spunti di riflessioni o metodologie da applicare più diffusamente in altre circostanze.

La data del 3 ottobre, già evocata, segna uno spartiacque nella storia recente delle migrazioni nel Mediterraneo: a partire da quell’evento ha infatti preso piede l’operazione Mare Nostrum della Marina Militare, con un dispiegamento di forze navali e aeree11 per l’intercettazione delle imbarcazioni poco dopo la partenza. In accordo con la prospettiva di anestetizzazione dei conflitti e dismissione dei temi militari dal discorso pubblico12, la campagna è stata presentata come un’operazione umanita-ria, avente come scopo quello di salvaguardare le vite dei migranti (piutto-sto che – come si è invece rivelata – un tentativo di controllare e impedire il movimento e l’arrivo in Europa). Ciò che ci interessa qui più da vicino sono le modalità con cui l’operazione è stata comunicata sui media nazio-nali, in particolar modo attraverso la web-serie sponsorizzata dalla Marina La scelta di Catia: 80 miglia a sud di Lampedusa13 (Burchielli, 2014).

La prima immagine proposta dalla serie è già emblematica della poli-tica visiva di cui l’opera (e la Marina Militare con lei) si fa portavoce: vediamo un mare sconfinato, rispetto al quale nave Libra (di cui Catia Pellegrino è comandante) appare piccola, impotente. Dopo queste pre-messe avviene il primo, emblematico contatto con i migranti che – facen-do eco a una retorica dell’invasione a lungo contrabbandata dalla stampa nazionale14 – appaiono come una massa e sono spesso inquadrati dall’alto, a sottolineare anche visivamente la loro posizione di dipendenza. Vediamo qui dispiegarsi quella narrazione discorsiva dei migranti come gruppo

Milano 2018.11 Va rilevato che in questo arsenale erano anche presenti alcune unità di droni Predator B. Per maggiori approfondimenti sull’uso dei droni, già problematico in scenari di con-flitto e qui – se possibile – ancora più discutibile, cfr. G. ChaMayoU, Teoria del drone. Principi filosofici del diritto di uccidere, Derive Approdi, Roma 2014.12 Cfr. a. Dal lago, Le nostre guerre. Filosofia e sociologia dei conflitti armati, Manifestolibri, Roma 2010.13 La scelta di Catia: 80 miglia a sud di Lampedusa, <https://www.youtube.com/watch?v=mJ_bCowQvBo> (ultimo accesso: 22.12.2018). A tal proposito, cfr. SoSSi, Le parole del delirio, cit., pp. 149-155.14 per maggiori approfondimenti, anche per le immagini tratte dalla stampa che riporta, cfr. R. CoSentino, La Scelta di Catia. L’operazione Mare Nostrum, questionedimmagi-ne.org, <http://www.questionedimmagine.org/argomento/immigrazione/sbarchi/dallo-sbarco-al-salvataggio-lepopea-del-soccorso-in-mare-la-scelta-di-catia-80-miglia-a-sud-di-lampedusa-o-parte-2/> (ultimo accesso: 22.12.2018).

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acefalo e incontrollabile che, con le armi della retorica e approfittando di una informazione giornalistica spesso tendenziosa, silenzia le pretese di esistenza degli individui che arrivano sulle coste italiane15. Ce lo conferma, ad esempio, l’attenzione riservata alle dichiarazioni dei membri dell’e-quipaggio sull’importanza di mettere in atto protocolli di contenimento profilattico; il medico di bordo, infatti, dichiara: «Potremmo venire in contatto con popolazioni infette».

Ciò che prende forma è un potere disciplinare che ha lo scopo prima-rio di controllare e medicalizzare i corpi sottratti al mare. Ciò avviene sia attraverso la messa in evidenza dei dispositivi medicali e tramite l’atto di scrutare i corpi attraverso dei metal detector che – incidentalmente ma non troppo – pare sottolineare quel nesso, mai apertamente esplicitato ma presente sottotraccia in diversi passaggi della serie, fra immigrato e (potenziale) terrorista16. All’altro capo di questo plesso discorsivo che incrocia sapere disciplinare, potere e sicurezza17, gli uomini della Marina sono presentati in modo fortemente individualizzato, attraverso inserti che ricordano quelli tipici di certa reality TV. L’uso ricorrente di primi piani, di un montaggio trasparente e – soprattutto – della colonna sonora in un senso fortemente drammatizzante – rende le immagini di salvataggio non troppo diverse da quelle di un film di fiction ad alto tasso di tensione. In questa drammaturgia è Catia Pellegrino, protagonista positiva della serie e donna forte che ha deciso di abbracciare una carriera ritenuta appannag-gio pressoché esclusivo del sesso maschile, il deus ex machina con cui lo spettatore è chiamato ad empatizzare18.

Nella teatralizzazione degli sbarchi che abbiamo visto prendere forma negli ultimi anni, Lampedusa ha senza dubbio avuto un ruolo privilegiato. Posta in gioco cruciale per la politica italiana, l’isola è divenuta col tempo un confine, una frontiera dispersa nel mare e – soprattutto – un luogo di respingimento preventivo. Come ha osservato Federica Sossi in un volume

15 a. Dal lago, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 1999. 16 Per maggiori approfondimenti su questo tema, cfr. A. orSini, L’ISIS non è morto. Ha solo cambiato pelle, Rizzoli, Milano 2018, pp. 102 e ss.17 Come è noto, si tratta di un tema di chiara ascendenza foucaultiana: con riferimento più specifico al tema che qui ci riguarda, cfr. M. foUCaUlt, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 1993; iD., Nascita della clinica. Una archeologia dello sguardo medico, Einaudi, Torino 1996; iD., Bisogna difendere la società, Feltrinelli, Milano 2009.18 Utile per valutare il tono encomiastico della serie è anche la lettura della biografia/diario di bordo ispirato alla serie, cfr. C. Pellegrino, La scelta di Catia, Mondadori, Milano 2015.

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Vite al confine.Spazi e immagini delle migrazioni nella cultura ViSuale italiana

non più recentissimo19 ma ancora assai attuale, Lampedusa è soprattutto un luogo duale, che vive di una spazialità doppia e incomunicabile. È come se, estremizzando i termini, esistessero due isole: quella turistica e quella fantasmatica, ma presente, esperita dai migranti, in centri di tran-sito e detenzione la cui presenza è resa invisibile agli occhi dei villeggianti. Anche qui a entrare in gioco è soprattutto una dinamica di sguardi richiesti e negati, di una visibilità/mobilità discrezionale che determina chi possa appropriarsi dello spazio e secondo quali modalità. La narrazione dell’in-vasione ha in Lampedusa un proprio luogo privilegiato e l’isola si presenta come un autentico laboratorio extra-giuridico di nuove pratiche securitarie di tracciabilità e contenimento dispiegate sui corpi dei migranti in arrivo.

Se Lampedusa è uno spazio visivo e plurale, è naturale pensare che la narrazione delineata sino a questo punto abbia trovato riscontro anche nei racconti visivi che ne sono stati fatti. Il film Fuocoammare (Rosi, 2016) è da questo punto di vista fondamentale, soprattutto per la funzione riepilogativa che sembra svolgere nei confronti delle rappresentazioni che dell’isola sono state fornite. Esso è infatti in grado di giustapporre e articolare, sebbene non sempre in modo pienamente coerente, le diverse prospettive che hanno dato corpo all’immaginario italiano di Lampedusa con specifico riferimento alle migrazioni. La natura paradossale dell’i-sola intesa come costruzione scenica e ideologica si manifesta già dalla sequenza introduttiva: dopo un cartello dal contenuto già emblematico20, vediamo un’immagine del centro di accoglienza di Lampedusa, con le sue apparecchiature di rilevamento, mentre ascoltiamo la registrazione di una comunicazione radio fra un’imbarcazione in difficoltà e il personale della capitaneria di porto.

È, questo, un confronto di voci impossibile: mentre i migranti ricorro-no al linguaggio della preghiera («In the name of God, please!»), l’addetto alle comunicazioni cerca invano di farsi ascoltare («Your position! Your poisition!»). La dimensione dialogica è qui completamente negata, come se le due voci provenissero da spazi (si potrebbe quasi dire dimensioni) diversi e non potessero in alcun modo comunicare. Questa doppiezza attraversa tutto il film, che appare strutturato attorno a due linee principa-li, destinate a intrecciarsi solo tangenzialmente. Da una parte, sottraendosi

19 Cfr. F. SoSSi, Storie migranti. Viaggio tra i nuovi confini, Derive Approdi, Roma 2005.20 «L’isola di Lampedusa ha una superficie di 20km2, dista 70 miglia dalla costa africana, 120 miglia da quella siciliana. Negli ultimi 20 anni circa 400.000 migranti sono approda-ti a Lampedusa. Nel tentativo di attraversare il canale di Sicilia per raggiungere l’Europa, si stima siano morte 15.000 persone».

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allo stereotipo della Lampedusa turistica, Rosi ci mostra – adottando uno stile che potremmo definire neoverista21 – l’isola vissuta dagli abitanti. Il personaggio di Samuele, nel suo muoversi liberamente, ci introduce a esistenze abitudinarie, raggiunte dalle notizie dei naufragi per mezzo della radio, come se provenissero da uno spazio altro, lontanissimo da sé. In un’altra parte dell’isola vediamo invece lo spazio vissuto dai migranti, derivante da una somma di spazialità diverse eppure accomunate da una medesima logica di confinamento, dall’esercizio di un potere coercitivo su corpi che vengono privati del loro diritto alla mobilità. In questi nuovi campi del presente, «surrogati di patrie» nel senso arendtiano22, il proprio sé diviene incomunicabile, incondivisibile: Rosi sottolinea con forza que-sto elemento, mostrandoci corpi che sono quasi sempre visti a distanza, dietro una superficie schermante come un monitor o un vetro.

Se Fuocoammare già propone una visione più complessa e plurale del rapporto fra spazio e identità nel contesto migratorio, Io sto con la sposa (Del Grande, Augugliaro, Al Nassiry, 2014) è senza dubbio un testo prezioso per il suo esplicito desiderio di contro-narrare l’esperienza di chi attraversa il Mediterraneo per giungere l’Europa. Dopo un cartello nero che – di nuovo – ha il sapore di una dichiarazione di poetica23, il film ci introduce al proget-to dei registi di favorire, rischiando di essere incriminati, l’attraversamento dei confini europei di una serie di migranti. Il film si presenta sin da subito come un atto politico, nel quale anche il pubblico è invitato a schierarsi in prima persona contro il quadro legislativo esistente e a favore della libera movimentazione dei corpi. Cioè emerge in un efficace tentativo di riscrittu-ra della «figura del migrante come un soggetto attivo, che non elemosina i propri diritti, bensì lotta e combatte per la loro affermazione»24.

Il tentativo primario è quello di far suggerire l’esistenza di una spa-zialità alternativa rispetto a quella della rigida compartimentazione delle identità e dell’impedimento dei movimenti, correndo a fianco delle strut-ture di segmentazione dello spazio e mettendone conseguentemente in

21 Cfr. I. Perniola, L’età postdocumentaria, Mimesis, Milano-Udine 2014, p. 119.22 Cfr. H. arenDt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino 2009. Per maggiori approfondimenti sulla diffusione del modello del campo nella contemporaneità, cfr. G. agaMben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 2005, pp. 131-211.23 «Il loro passaporto nelle ambasciate europee vale carta straccia. […] L’Italia è solo un paese di transito. L’obiettivo è la Svezia. Dopo lo sbarco in Sicilia il viaggio riprende da Milano, in macchina […]. Con le leggi sull’immigrazione attualmente in vigore non c’è altra soluzione. A meno che a quelle leggi non si decida di disobbedire. Noi l’abbiamo fatto».24 S. gUerini roCCo, Il viaggio della sposa, in «Cineforum», n. 539, novembre 2014, p. 24.

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Vite al confine.Spazi e immagini delle migrazioni nella cultura ViSuale italiana

discussione il potere in quanto dispositivi25. Questa prospettiva emerge in diversi punti del film, come quando il gruppo è inquadrato nell’attraversa-mento – a piedi – del confine Italia-Francia a Ventimiglia; qui, attraverso una inquadratura di grande valore simbolico, vengono ripresi insieme il tragitto dei migranti e l’autostrada che le macchine percorrono per recarsi oltralpe. Due modalità di esperire lo spazio che risultano antitetiche, in quanto la prima si fonda sul preciso tentativo di circumnavigare il blocco che impedisce (ad alcuni individui) di attraversare la seconda. Anche nella casa cantoniera che il finto corteo nuziale occuperà di lì a poco il film evidenzia la necessità di un riposizionamento del proprio sé rispetto alle tematiche migratorie: mentre lo ‘sposo’ Abdallah scrive sui muri i nomi delle persone scomparse durante il viaggio che lo ha portato in Italia, vediamo emergere, ci rendiamo conto che quelle stesse pareti ospitano già le scritte lasciate dai migranti italiani che si recavano in Francia per lavoro, sfruttando proprio quel percorso. In questo passaggio emerse la natura palinsestica della memoria26 che, questo è l’invito che ci viene rivolto, dovrebbe tenere in considerazione anche le esperienze del passato e farle risuonare con i casi del presente, per cogliere continuità strutturali che solitamente vengono trascurate.

Ancora diversa è la soluzione adottata da Com’è profondo il mare (2016)27, web-serie pensata per la fruizione su devices mobili composta da cinque brevi episodi. Sfruttando la natura immersiva dell’esperienza garantita dall’uso del first person shot28, che diventa qui il sintagma visivo prevalente, l’opera si propone di offrire uno sguardo diverso sul fenomeno migratorio, posizionando il suo spettatore nel pieno della drammatica esperienza di un salvataggio. È però nel quarto episodio che la serie rag-giunge il suo apice drammatico, mostrandoci l’arrivo sulle spiagge dei resti del naufragio: ciabatte e altri piccoli oggetti vengono restituiti dalle onde e assumono la consistenza di ‘frammenti di vite’. Immediatamente dopo, mentre la camera passa sulle spiagge, intravediamo i corpi depositati sulla sabbia, opportunamente lasciati fuori fuoco per non incorrere in una facile ‘pornografia’ del dolore. Il valore testimoniale di quelle immagini è inoltre

25 Cfr. G. DeleUZe, Che cos’è un dispositivo?, Cronopio, Napoli 2007.26 Per maggiori approfondimenti sul palinsesto come metafora della memoria, cfr. A. aSSMann, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, Il Mulino, Bologna 2015.27 Com’è profondo il mare, <http://www.repubblica.it/tecnologia/mobile/2016/11/21/news/_com_e_profondo_il_mare_webserie_verticale_come_ristabilire_un_criterio_di_verita_attraverso_il_video-152449064/> (ultimo accesso: 22.12.2018). 28 Cfr. R. eUgeni, La condizione postmediale. Media, linguaggi, narrazioni, La scuola, Brescia 2015, pp. 50-63.

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G. Previtali

ulteriormente amplificato dalle registrazioni di alcuni interventi degli ascoltatori di Radio 24, che commentano le notizie dei naufragi ricorrendo proprio a quella retorica dell’invasione cui abbiamo già fatto cenno.

Le immagini di Com’è profondo il mare sono un ideale punto di con-clusione per questa ancora parziale incursione nel territorio della politica delle immagini migratorie. La loro funzione primaria è infatti quella, per dirla con Pietro Montani29, di evidenziare un compito che viene in qualche modo affidato allo spettatore. La testimonianza di ciò che avviene sulle spiagge del Mediterraneo si trasforma così in un invito, se non in un’autentica ingiunzione, ad agire. Lavorare con le immagini delle migra-zioni, per decostruirne i discorsi legittimanti ed evidenziarne la funzione retorico-politica è dunque, soprattutto nello scenario attuale, un compito eticamente necessario, che appare già inscritto nell’iconica fotografia di Alan, con cui abbiamo aperto (e ci sembra sensato chiudere) queste note provvisorie sul tema.

29 Cfr. P. Montani, L’immaginazione intermediale. Perlustrare, rifigurare, testimoniare il mondo visibile, Laterza, Roma-Bari 2010.