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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 8 DICEMBRE 2013 NUMERO 457 CULT La copertina ENRICO DEAGLIO e ANTONIO MONDA Complottocrazia La passione dei social network per le cospirazioni Il libro GIANCARLO DE CATALDO Il signore delle stragi in fuga dal Messico All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Inge Feltrinelli “Il mio Novecento con Hemingway e Günter Grass” Il cinema MARIA PIA FUSCO Da Sorrentino a Milani l’Italia fa festa agli Oscar europei L’arte MELANIA MAZZUCCO Il Museo del mondo La “Sposa ebrea” di Rembrandt DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI ORIZZONTALI 2 Pubblicò il primo cruciverba. 4 Il solutore l’ha in pugno. 6 I fiori di una Signora. 8 La bianca ha spesso una punta. 9 È temibile quella anomala. 11 Il pittore delle Majas. 12 Crea un bacino. 14 Un lamento di Paperino. 15 Un gruppo chiuso. 16 Quantità palindroma indeterminata. 18 Può essere una traduzione francese di “giallo”. 19 Verdi la proclamò celeste. 21 Servì a uscire dal labirinto. 22 Non si scrive sulla nera. 24 Est in rebus. 25 Dovrebbe vedere il sole a scacchi. VERTICALI 1 Vi cadde la Sfinge, sconfitta da Edipo. 2 Un requisito per essere nominati in un cruciverba. 3 Scorre nei pressi della Sfinge egizia. 4 Il Dalai che pubblica libri solo come autore. 5 La provincia pakistana con Karachi. 6 Gli ostici clue, definizioni, del cruciverba inglese. 7 Dedica un reparto all'enigmistica. 8 Vi nacque Anselmo. 10 Scaccia i vampiri. 11 Aulenti fra gli architetti. 13 Fiume tipico dei cruciverba. 17 Formaggio rosso. 18 L’indimenticabile Liedholm. 20 Il bifronte della rosa. 21 Sgargiante alla luce. 23 Il primo giardino. STEFANO BARTEZZAGHI Forse non tutti sanno che si chiamava Arthur Wynne l’inventore delle parole crociate Per il Natale1913 disegnò un casellario a forma di diamante Le caselle erano vuote: a riempirle ci avrebbero dovuto pensare i lettori del suo giornale Così cent’anni fa nasceva il primo cruciverba Per festeggiare il gioco del secolo abbiamo chiesto a chi con l’enigmstica ha una certa familiarità di riproporcelo rivisto e corretto. La soluzione nelle pagine successive

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

NUMERO 457

CULT

La copertina

ENRICO DEAGLIO e ANTONIO MONDA

ComplottocraziaLa passionedei social networkper le cospirazioni

Il libro

GIANCARLO DE CATALDO

Il signoredelle stragiin fugadal Messico

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Inge Feltrinelli“Il mio Novecentocon Hemingwaye Günter Grass”

Il cinema

MARIA PIA FUSCO

Da Sorrentino a Milanil’Italia fa festaagli Oscar europei

L’arte

MELANIA MAZZUCCO

Il Museo del mondoLa “Sposa ebrea”di Rembrandt

DIS

EG

NO

DI M

AS

SIM

O J

ATO

STI

ORIZZONTALI

2 Pubblicò il primo cruciverba.4 Il solutore l’ha in pugno.6 I fiori di una Signora.8 La bianca ha spesso una punta.9 È temibile quella anomala.11 Il pittore delle Majas.12 Crea un bacino.14 Un lamento di Paperino.15 Un gruppo chiuso. 16 Quantità palindroma indeterminata.18 Può essere una traduzione francese di “giallo”.19 Verdi la proclamò celeste.21 Servì a uscire dal labirinto.22 Non si scrive sulla nera.24 Est in rebus.25 Dovrebbe vedere il sole a scacchi.

VERTICALI

1 Vi cadde la Sfinge, sconfitta da Edipo.2 Un requisito per essere nominati in un cruciverba.3 Scorre nei pressi della Sfinge egizia.4 Il Dalai che pubblica libri solo come autore.5 La provincia pakistana con Karachi.6 Gli ostici clue, definizioni, del cruciverba inglese.7 Dedica un reparto all'enigmistica.8 Vi nacque Anselmo.10 Scaccia i vampiri. 11 Aulenti fra gli architetti.13 Fiume tipico dei cruciverba.17 Formaggio rosso.18 L’indimenticabile Liedholm.20 Il bifronte della rosa.21 Sgargiante alla luce.23 Il primo giardino.

STEFANO BARTEZZAGHI

Forse non tutti sanno che si chiamava Arthur Wynne l’inventore delle parole crociatePer il Natale1913 disegnò un casellario a forma di diamante

Le caselle erano vuote: a riempirle ci avrebbero dovuto pensare i lettori del suo giornale

Così cent’anni fa nascevail primo cruciverba

Per festeggiare il gioco del secolo abbiamo chiesto a chi con l’enigmstica ha una certa familiaritàdi riproporcelo rivisto e corretto. La soluzione nelle pagine successive

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LA DOMENICA■ 32DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

La copertinaForse non tutti sanno che

Da Arthur Wynne che esattamente cent’anni fa se lo inventòa quell’Edward P. Mathers che negli anni Trenta si firmavaTorquemada. Da Margareth Petherbridge per cui l’Americaimpazzì a Bruno Makain che ha battuto ogni recordÈ grazie anche a loro se il cruciverba è diventato il gioco del secolo

Arthur Wynne(Anni Dieci)

ome si chiama la fibra del-la palma Gomuti? Un seco-lo fa, il 21 dicembre del

1913, se lo chiesero i lettori del New YorkWorld, supplemento Fun (divertimen-to) con giochi, vignette e novelle. Il nu-mero natalizio del domenicale contene-va un nuovo gioco, il “Word-Cross Puzz-le”. Un casellario a forma di diamante,con la scritta FUN circondata da casellevuote. Il lettore doveva leggere vaghe de-finizioni (sul genere: Un uccello. Solu-zione: Colomba) e ricostruire le paroleche si incrociavano in orizzontale e inverticale. Era il primo cruciverba, conte-neva uno spazio che si sarebbe prestoevoluto in casella nera: l’espediente cherendeva il gioco delle parole crociateduttile e replicabile pressoché all’infini-to. L’autore era il capo del Fun, il giorna-lista angloamericano Arthur Wynne(1871-1945).

L’invenzione ebbe successo solo nel1924 e per meriti altrui. Piccato perché isuoi capi non gli avevano consentito dimetterla per tempo sotto copyright,quell’anno Wynne rivendette i suoi cru-civerba al Sunday Express di Londra. Fu-rono i primi a uscire in Europa: il misco-nosciuto Wynne fu così il primo cruci-verbista sia del Nuovo sia del VecchioMondo. (P. S.: La fibra della palma Go-muti si chiama “doh”, ci facevano lespazzole e oggi è ricordata quasi soltan-to per essere stata menzionata nel primocruciverba della storia).

Margareth Petherbridge(Anni Venti)

ul Fun Wynne pubblicavacruciverba suoi o dei letto-ri, senza correggerli bene.

Uscivano molti errori, con proteste deisolutori e soprattutto le ironie pubblichedei commentatori di costume dell’epo-ca. Così Wynne passò a una giovane se-gretaria di redazione l’incarico di rive-dere il Cross-Word Puzzle settimanale(proprio un errore tipografico aveva

cambiato il nome al gioco, invertendol’ordine di Word Cross). La ragazza sichiamava Margareth Petherbridge, pre-se con serietà il suo impegno e codificònorme stilistiche che alzarono la qualitàdei cruciverba.

Nel 1924 Richard Simon e LincolnSchuster, due neolaureati e aspirantieditori, proposero a Petherbridge dipubblicare una raccolta di cruciverba. Illibro vendette 110mila copie in pochimesi e innescò una mania, nota come“crossoword craze”. Nel 1942 Pether-bridge (divenuta Farrar dopo il matri-monio con un altro importante editore)lanciò il cruciverba del New York Times.Durante la guerra, per i suoi meriti enig-mistici, fu eletta pin-up girl del mese daun equipaggio della Marina Usa, cheprobabilmente non l’aveva neanchemai vista in foto. Nel cinquantenario delprimo libro fu festeggiata a New Yorkcon uno storico raduno enigmistico. Erail 1975 e un sondaggio stimava in più di30 milioni gli appassionati Usa di cruci-verba.

La signora del Crossword Puzzle morìnel 1984, a 87 anni. Stava preparando lasua 134ma raccolta di cruciverba per Si-mon & Schuster (divenuta intanto unadelle maggiori case editrici al mondo).

Torquemada e Ximenes(Anni Trenta)

li inglesi ritennero i cru-civerba Usa troppo ba-nali sino a che l’orientali-

sta Edward P. Mathers non capì che oc-correva fare definizioni non piatte e di-zionariali ma enigmatiche. Per dire: sul-l’Observer firmava gli schemi con il no-me di un inquisitore, Torquemada. Ilsuo metodo fu perfezionato dal suo suc-cessore Derrick S. Macnutt (firmava Xi-menes, l’inquisitore che prese il postodel Torquemada storico), che dal 1939codificò la tecnica dei cryptic clue, cap-ziosa variante britannica del cruciverba.Esempi: “Cocaine Mixture”. Sol.: ocea-nic (che è un anagramma di cocaine).“Città importante in Cecoslovacchia”.Sol.: Oslo (cecOSLOvacchia). Nacqueuna British crossword craze, paragona-bile all’americana.

Leonard Sidney Dawe(Anni Quaranta)

el maggio del 1944 i servi-zi segreti alleati arrestaro-no e interrogarono dura-

mente Leonard S. Dawe, un mite profes-sore di fisica del Surrey (Inghilterra). Era-no insospettiti perché nei suoi cruciverbaper il Daily Telegraph erano appena com-parse Utah, Overlord, Omaha e altri ter-mini impiegati come segretissimi nomi-chiave dell’imminente sbarco in Nor-mandia. Fu quella la principale insorgen-za di una diffusa sindrome di paranoia peri possibili usi spionistici o propagandisti-ci del cruciverba. Dawe, per spiegarsi, de-ve avere avuto il suo bel daffare.

Piero Bartezzaghi(Anni Cinquanta)

uando nel 1946, a 13 anni,pubblicò il suo primo cru-civerba sulla Domenica

del Corriere Piero Bartezzaghi (1933-89),padre di chi scrive, era sempre vissuto in unambiente dialettofono. Figlio di operai, in-contrava la lingua italiana solo a scuola esui libri presi alle biblioteche ambulanti.Nel 1950 era l’autore di punta della Setti-mana Enigmistica. Introdusse neologi-smi, usò l’alfabeto a 26 lettere, scandaliz-zando i puristi. Perito chimico della Mon-tecatini, divenne un enigmista a tempopieno nel 1960, firmando regolarmente le“parole crociate a schema libero” di pagi-na 41, le più difficili della Settimana Enig-mistica. Grazie anche alla rarità del cogno-me, “il Bartezzaghi” è diventato un mododi dire per “difficoltà inestricabile” (per ca-si come la compilazione della dichiarazio-ne dei redditi, o analoghi).

Corrado Tedeschi (Anni Sessanta)

entre la rigorosa Setti-mana Enigmistica do-minava il mercato ita-

liano dei cruciverba, fra i concorrenti si se-gnalò il fiorentino Corrado Tedeschi(1899-1972). Personaggio estroso, fondòla Nuova Enigmistica Tascabile, rivolta a

un pubblico non sofisticato (tipica defini-zione: “Scodinzola e abbaia”), target di uncoinvolgente marketing pionieristico: ru-briche di posta, diplomi, medaglie, titolionorifici, club, raduni, gite sociali. Alla N.E. T. venivano allegati dischi a 45 giri (nepubblicarono Mina e Battiato). Tedeschipresentò alle elezione del ’53 il Partito Net-tista Italiano, noto come “Partito della Bi-stecca” perché il programma prometteva450 grammi di carne bovina al giorno aogni italiano. Più costate per tutti.

Georges Perec(Anni Settanta)

ella bibliografia del gran-de scrittore francese Geor-ges Perec (1936-1982)

compare il libro Mots Croisés, parole cro-ciate. È una raccolta degli schemi che Perecpubblicò sul settimanale Point dal 1976. Icruciverba di Perec rispettavano la tradi-zione francese del cruciverba con defini-zioni argute, basate su doppi sensi (Unesempio “Era sempre contento di essere invena”. Sol.: Nosferatu). La collaborazioneal Point consentì a Perec di lasciare il suoposto da impiegato e scrivere il complessoromanzo che aveva in testa. Uscì nel 1978,era: La vita, istruzioni per l’uso.

Eugene T. Maleska(Anni Ottanta)

el Bronx c’è una scuola de-corata con motivi cruci-verbistici e intitolata a Eu-

gene T. Maleska (1916-1993). Eruditoprovveditore agli studi, Maleska divenneeditor dei cruciverba del New York Timesalla fine degli anni ’70 e governò il parco de-gli autori imponendo parametri severi e in-flessibili. Pubblicò le sue corrispondenzecon i solutori in un libro in cui li classificò incinque categorie: i dormiglioni (a cui va be-ne tutto), gli stridenti (non sopportano dinon saper risolvere), i sussultori (si agitanoper presunti errori), i cavillosi (badano allesfumature), i “Gotcha!” (“Ti ho beccato!”,convinti di aver trovato un errore). Chi tro-vava un vero errore in uno schema edito daMaleska entrava a far parte del GotchaClub, con diritto a tessera e carta intestata.

N

N

N

M

Q

STEFANO BARTEZZAGHI

C

FACILITATEAlcune lettere sono già inserite nello schemaper facilitare il solutore

A SCHEMA FISSOLe caselle nere sono disposte nello schemacon assoluta simmetria

A SCHEMA LIBEROLe caselle nere sono disposte senza alcunaregolarità

I tipi

I magnifici diecidelle parole crociate

SG

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■ 33DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

Will Shortz(Anni Novanta)

l successore di Maleskanella prestigiosa cattedradel NYT è stato Will

Shortz (1952). Laureato in Enigmatologyalla Indiana University, esperto e studio-so di giochi di ogni tipo, Shortz ha adotta-to una politica più liberale di Maleska. Haavvicinato il “cruciverbese” alla lingua ditutti i giorni, slang e marchi commercialicompresi. A urne presidenziali aperte,nel 1996, pubblicò un cruciverba che di-chiarava in anticipo il vincitore. In realtàschema e definizioni erano ordite in mo-do che potesse risultare come soluzionecentrale sia “Clinton elected” sia “Bob Do-le elected”. Appassionato di cruciverbaegli stesso, Bill Clinton accettò nel 2007 discrivere di suo pugno le definizioni di uncruciverba, per Shortz. Esempio: “Unparty a cui non parteciperò”. Sol.: GOP(Grand Old Party, il partito repubblica-no).

Bruno Makain(Anni Duemila)

enigmista BrunoMakain (1915-2008)morì più che novan-

tenne, subito dopo aver ricevuto in ante-prima il numero 4000 della SettimanaEnigmistica, a cui ancora collaborava. Neaveva letto anche il numero 1, nel 1932, eaveva cominciato a pubblicarvi giochi dalnumero 35. Una collaborazione, moltoassidua, in un arco di 76 anni, probabil-mente un record pubblicistico a livellomondiale. La rivista lo celebrò con un“Forse non tutti sanno che...” a lui dedi-cato.

Questo ferrarese, modesto e forbito, fi-glio di cappellai, autore di innumerevoligiochi enigmistici, parlava delle parolecrociate con entusiasmo e gratitudine,come di uno stimolo a informarsi e a met-tersi alla prova, nella sfida settimanale, eleale, fra autori e solutori. Probabilmenteè lui il migliore testimonial per un giocoche ha dominato l’editoria periodica del-l’ultimo secolo e le ha inoculato il virusdell’interattività, sempre senza parere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I

L’

SENZA SCHEMAVa individuata la posizionedelle caselle nereche separano le parole

CRUCIERMETICOIl solutore indovinadove scrivere la soluzionedi ogni definizione

Poche cose posso dire a proposito del cruciverba, essendo io un maniaco di rebus e crittografie, forsei due soli giochi, a mio parere, che contengono l’enigma. Ho giocato in passato ai cruciverba finché,proprio per colpa del grande Piero Bartezzaghi, mi diventavano troppo difficili, obbligandomi a fare

ricorso a dizionari ed enciclopedie.Ho ripiegato sugli “incroci obbligati”, piccolo schema intrigante e scacchistico in cui le definizioni so-

no fornite alla rinfusa. Non ho avuto l’opportunità di conoscere personalmente Piero Bartezzaghi, ma conosco e tantissimo

stimo Stefano, che anni fa mi ha fatto l’onore di pubblicare delle mie crittografie sulla rubrica che tene-va su La Stampa — Ricordo un episodio curioso: gli avevo scritto una lettera a conclusione della qualegli avevo lasciato una mia creazione piuttosto bella e francamente non tanto facile, senza indicargli lasoluzione. Nella sua risposta non si faceva cenno a quella crittografia, si parlava d’altro, ma sul retro del-la busta stava scritta la soluzione, come se all’ultimo minuto prima di spedirla gli fosse arrivato il lampodi genio. Buon sangue non mente.

Smisi per colpa del BartezzaghiPAOLO CONTE

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL PRIMOQui sopra, a sinistra, la pagina del New York World, supplemento Fun, su cui il 21 dicembre del 1913 comparivail primo “World-Cross Puzzle”. Autore Arthur Wynne, era a forma di diamante e in cima, in chiaro, riportava la parola FUNA destra, invece, la soluzione al cruciverba pubblicato in copertina: è l’equivalente enigmistico di una cover musicale che riprende le forme del capostipite e a quello si ispira (autore Stefano Bartezzaghi)

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Soluzione

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LA DOMENICA■ 34DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

MANTOVA

uomo dietro la ma-schera, la coscienzadella Germania, quel-

lo che usa trucchi da cinema e lenti a contat-to colorate per verificare sul campo i comporta-

menti dei propri concittadini, alla fine si diverte.Günter Wallraff non lo nasconde: «Per me è un gioco

esistenziale, una recita, sono assieme attore e regista.Certo che è divertente, ma è anche utile a cambiare le co-

se». Infatti. La sua è una recita che ha prodotto i reportage piùesplosivi, e che ha trasformato l’ex operaio in una leggenda del

giornalismo investigativo. Nella Repubblica federale Wallraff èormai punto di riferimento per ogni denuncia, mentre in Svezia

e Norvegia il suo nome è così noto che il verbo “indagare sotto co-pertura” si dice “walraffa”. In Italia, quando recentemente è ve-

nuto a presentare il suo ultimo libro (Germania anni dieci, L’ormaeditore), il pubblico è re-

stato in fila ore per conqui-stare, a pagamento, una

poltrona a teatro.Nel suo lavoro il make up è

meno importante di quantosi possa immaginare, «anche

se ovviamente mi faccio aiuta-re da un professionista, uno

che lavora per il cinema: per fa-re la parte dell’immigrato afri-cano mi sono dovuto far tingerela pelle...» e poco importa se ipigmenti neri sono dannosiquando ci si diverte a svelarel’imbarazzo dei borghesi chevedono un africano farsi avan-ti nelle loro associazioni diamanti della natura. Non ser-vono neppure grandi capacità

da trasformista, ci spiega Wall-raff, quanto piuttosto prontezza

di riflessi e flessibilità. Ma a farfunzionare la messa in scena «so-

no soprattutto la superficialità e ilpregiudizio altrui». Un parrucchi-

no e un paio di lenti a contattoscure, e Günter diventava Ali Si-girlioglu, immigrato dall’Ana-tolia, “straniero robusto di-sponibile a qualsiasi tipo di la-voro, anche come operaio ad-detto ai lavori più umili e pe-santi, anche per un salario

minimo”, come recitaval’annuncio pubblicato sui

giornali per far partirel’inchiesta più famosa,

poi diventata un libro, Ganz Unten (“Proprio in fondo”), pub-blicato in Italia nel 1986 come Faccia da turco. «Per trasfor-

mare il linguaggio in modo convincente mi fu suffi-ciente troncare un paio di sillabe finali, invertire lacostruzione della frase o parlare semplicementeuno zoppicante dialetto di Colonia. Bastarono que-ste poche cretinate perché la gente iniziasse a dirmisenza peli sulla lingua quello che pensava di me». Inquel caso la recita durò a lungo: due anni di sfrut-tamento e lavori massacranti per svelare le male-

fatte e gli abusi degli industriali tedeschi. «Un sabatostavo rientrando nel mio appartamento di Duisburg, dove

vivevo, e trovai mia madre che era venuta a farmi visita. Non mi eroancora cambiato, quindi entrai in casa così com’ero, come Ali. Parlam-

mo un po’ poi uscii di nuovo. Quando tornai come Günter, mia madre michiese chi fosse quel turco. “Uno che mi aiuta nell’inchiesta”, le dissi. “Ma tu

ti fidi troppo!”, mi mise in guardia lei, “Quell’uomo mi ha fatto una brutta im-pressione. Aveva uno sguardo…”». Vestendo i panni dell’immigrato Ali, Wallraff

smascherò i successi industriali costruiti sui sacrifici degli immigrati. Ganz Untenvendette in poche settimane tre milioni di copie e fu tradotto in trenta lingue, trasformandoil cronista investigativo in un paladino degli oppressi. Altre volte l’ingresso in una realtà al-ternativa alla propria fa perdere la concentrazione: «Durante un’inchiesta sui call centeravevo preso il nome di Michael. I primi giorni avevo stretto un buon rapporto con i colleghi,brave persone sfruttate come me, e quando mi presentarono un amico gli strinsi la mano di-cendogli tranquillamente: “Piacere, Günter”. Ho visto le facce stupite intorno a me e a quelpunto non ho potuto fare altro che tamponare l’emergenza: “È il mio secondo nome…”. Ilfatto è che niente succede come l’hai preventivato, e allora devi sempre improvvisare...».

Wallraff oggi ha settantun anni, ma ne dimostra cinquanta. «Faccio allenamento per iltriathlon», si schermisce. Però di certo non è più un ragazzino, e alcuni servizi non li può piùfare. Ma il suo metodo ha fatto scuola, e c’è già una squadra di giovani reporter — il Team

Wallraff —che lavora con il suo coordi-namento per portare le indagini piùdifficili in tv. E comunque più che l’aspet-to fisico, la parte più importante della recitaè l’«immersione» nella realtà da indagare: «AColonia vivo in un quartiere pieno di immigrati.Non è così difficile trasformarmi in uno di loro: li fre-quento, raccolgo informazioni, imparo a comportarmicome loro». A volte è necessario il sacrificio. Vestendo i pan-ni di Ali, Wallraff ha lavorato da operaio alla Thyssen, ha frit-to patatine da McDonald’s e ha persino fatto la cavia umana perfarmaci sperimentali. «Se per raccontare le sofferenze altrui devosoffrire anch’io, va bene anche così», teorizza lui.

Che fosse dotato di spina dorsale l’aveva fatto capire da subito al-la Bundeswehr: aspirante libraio, aveva ricevuto la chiamata per ilservizio militare. Era tempo di guerra fredda e i pacifisti venivano con-siderati tout court renitenti alla leva. Wallraff finì in un ospedale psi-chiatrico. «Ci passai dieci mesi. Alla fine, il referto su di me fu: persona-

lità abnorme, inabile alla guerracome alla pace. Il più bel titolod’onore che potessi mai riceve-re», racconta. Il diario dell’ospe-dale psichiatrico finì nelle mani diHeinrich Böll. Lo scrittore inco-raggiò il giovane a non mollare. Ildiario uscì a puntate su un giorna-le, prima con uno pseudonimo,poi con la firma di quello che le au-torità militari avevano già etichet-tato come matto. Ma in quegli am-bulatori, il “matto” aveva impara-to che se si paga di persona, si rie-sce a raccontare le verità imbaraz-zanti. Dovette trovarsi un lavoro,ma allo stesso tempo decise di di-ventare un camaleonte, prenden-do di volta in volta le sembianzedei più sfortunati. È entrato allaThyssen e i suoi pezzi furono ac-colti dal giornale dei metalmecca-nici. Ha vestito i panni dell’alcoliz-zato per narrare il trattamento in unaclinica psichiatrica. Si è trasformato instudente alla ricerca di una stanza, perscoprire i pregiudizi dei padroni di casa. Siè improvvisato venditore di napalm incaccia di un contratto con le forze arma-te Usa. Ha passato le giornate per stra-da, nei panni di un senzatetto, per stu-diare le reazioni della gente. «Unavolta dovetti presentare il mio do-cumento d’identità per entrare inun dormitorio. L’impiegatoguardò la foto, mi disse: questonon sei tu, è molto più magro dite. Gli risposi: “Ho il cancro, la

foto è di quando facevo la chemio. Ora sto meglio”. E si convinse».Il primo libro, Tredici reportage scomodi, aprì la via a servizi ancora

più impegnativi: in Grecia, dove Wallraff fu arrestato e finì sotto le ma-ni dei carnefici della dittatura. «Fui picchiato, torturato. Rimasi quat-tordici mesi nella prigione di Korydallos, fino alla caduta del regi-me». Poi indossò i panni di un trafficante d’armi che of-friva le sue merci al generale Antonio Spinola, ex presi-dente portoghese. «Ogni dubbio scomparve quando glidissi che ero molto amico del leader cristianosocialebavarese Franz-Josef Strauss. Mi fece capire che frapersone delle stesse tendenze, che la pensavano allostesso modo, ci si intendeva bene…». Spinola gli ri-velò i suoi progetti di golpe in patria. Wallraff li re-se pubblici in una conferenza stampa di clamoreplanetario. Nel ’77 arrivò il reportage nel cuoredel giornalismo popolare, quella Bild Zeitungabituata a usare la penna come una clava, in-curante di distruggere vite e reputazioni.«Non ho mai dimenticato la lezione del librodi Böll, L’onore perduto di Katharina Blum», rac-conta l’uomo che in redazione si faceva chiamareHans Esser. Da quell’esperienza nacquero tre libri cheperò l’editore della Bild riuscì parzialmente a far censurare.

E oggi? «Oggi non sono più solo. Quando ho cominciato a lavora-re in questo modo, mi è capitato spesso di ritrovarmi isolato e con le spal-le al muro, quasi indifeso davanti a minacce e querele dei vari potenti. Ades-so il mio lavoro viene riconosciuto e rispettato, la gente mi chiede aiuto. Pensi,c’è persino qualche industriale colto in flagrante che rispettosamente mi domandadi aiutarlo a cambiare».

Fingendosi immigrato firmò la sua inchiestapiù famosa, “Faccia da turco”.Ma per svelare la realtàGünter Wallraff è stato anche metalmeccanico e senzatetto, cronista alla Bild e operatore di call center. Ora ha raccoltoi suoi ultimi lavori in un libro. E ci racconta i trucchi del mestiere:“Basta davvero poco perché la gente si riveli per quello che è”

L’attualitàOld Journalism

GIAMPAOLO CADALANU

IL LIBROGermaniaanni dieci.Faccia a faccia con il mondo del lavorodi Günter Wallraff(L’orma editore,194 pagine, 13 euro)è in libreriaLa sua inchiestapiù celebre restaFaccia da turcoedita da Pironti

L’

L’uomoche si mettenei pannidegli altri

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■ 35DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

Operaio metalmeccanico, 1966

Operatore di call center, 2007 Impiegato in un panificio del gruppo Lidl,2008

Günter Wallraff, 2013

Senzatetto, 2009 Richiedente asilo somalo, 2009 Fattorino, 2011

Ha ragione Günter Wallraff, icona del giornalismo e della letteratura d’inchie-sta. A tenere in piedi la messa in scena nelle indagini sotto copertura sono so-prattutto la superficialità e il pregiudizio altrui. Quando nel centro di deten-

zione di Lampedusa i funzionari si convincono che io non sia l’iracheno Bilal el Ha-bib ma il romeno Roman Ladu, uno di loro mi sussurra «pizda, pizda, pizda» all’o-recchio, che a Bucarest è un modo poco elegante di nominare i genitali femminili.«Tutti i romeni ridono quando sentono la parola pizda. Questo non ride per niente.Per me non è romeno», osserva lui subito dopo. «Oppure è soltanto frocio», conclu-de il suo collega al computer. Il pregiudizio offusca la ragione, anche negli interroga-tori. Così i poliziotti rinunciano a capire. E questo permette a Bilal-Roman Ladu, cioèa me, ripescato in mare dopo quasi cinque ore alla deriva, di rimanere rinchiuso ot-to giorni nel centro senza essere scoperto e di denunciare su l’Espresso le degradanticondizioni di detenzione.

Günter però può contare su un grande vantaggio. Si traveste per entrare nellarealtà. Poi rimette i panni di giornalista e racconta in tv, sui giornali, nei libri quelloche ha visto. È fortunato a dover fare questo dalla sua Germania. Lì la televisione, prin-cipale strumento di comunicazione che anche lui utilizza, non ha remore a manda-re in onda inchieste scomode. E il pubblico tedesco ancora si indigna, si informa,guarda e legge. Lavorasse da noi, Wallraff scoprirebbe che per raggiungere la stessaaudience dovrebbe presentarsi con la maschera del Gabibbo, oppure l’abbiglia-mento simil mortuario delle Iene o ficcarsi sulla testa lo sturalavandini di CapitanVentosa. La tv italiana di massa usa il travestimento per raccontarle le storie, non perscoprirle. Se ancora vi chiedete il perché, allora vi siete persi Videocracy, il dramma-tico film di Erik Gandini.

Anni fa, quando scrivevo di cronaca nera a Milano, una mattina vedo Capitan Ven-tosa che intervista un colonnello dei carabinieri nel piazzale della caserma. Un co-lonnello nella sua divisa impeccabile davanti alla telecamera di un programma di pri-ma serata che risponde serio all’intervista di un uomo in tutina gialla e sturalavandi-ni in testa. Se anche l’Arma accettava il surreale, l’Italia si era definitivamente arresa.Ecco perché, oltre a Wallraff, ammiro i suoi lettori, italiani e non: lo seguono da qua-rant’anni e, come Günter, non si sono arresi mai.

Senza neppureuno sturalavandini sulla testa

FABRIZIO GATTI

ALIASNel manifesto pubblicitario della sua casa editrice (Kiwi-verlag), alcune delle “maschere”

indossate da Günter Wallraff nel corso della sua lunga carriera

Monaco nel monasterodel principe Thurn und Taxis, 1972

Oppositore in Greciadurante la dittatura dei Colonnelli, 1974

Reporter alla Bild, 1977

Operaio turco alla Thyssen, 1984 Autista e guardia del corpoper un trafficante di esseri umani, 1985

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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LA DOMENICA■ 38DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

Sul lettinoL’inedito

MailerFreud

A un livellomolto altosi è elevatofino a diventarela quintessenzadell’uomod’affari ebreosecondo cuila cosa piùimportante è fareil proprio doverePerché dovefiniremmo maise tutti se neandasseroin giroa fare ciò che vogliono?

io&

Era ebreo, nipote di un rabbino, lai-co, figlio di una turbolenta fami-glia di Brooklyn, e a modo suo bel-

lo, di una bellezza dura, proletaria, dapiccoletto che porta in giro una gran fac-cia, una perenne vivacità. Norman Mai-ler è stato l’autore di trenta libri, tra cui Ilnudo e il morto, La costa dei barbari, Unsogno americano, La canzone del boia,The Spooky Art. Ha scritto di guerra e dipugilato, dei corridoi del potere e di ses-so, di Hollywood e dell’antico Egitto,della Cia e di Gesù Cristo, in un vangeloapocrifo (Il vangelo secondo il figlio) chela dice lunga sulla sua ambizione, vistoche è raccontato in prima persona, dalui, Gesù/Mailer. Ha fatto del new jour-nalism un’arte (vedi Le armate della not-te). Ha avuto sei mogli (in sequenza), no-ve figli e un numero imprecisato di nipo-ti. È sempre stato un egomaniaco in lot-ta con se stesso (e qui spunta Freud), unmachista conclamato (vedere le sue pa-gine su Marilyn Monroe per intendere),un antifemminista brutale e confesso(anche se ha cercato di rimediare in zo-na Cesarini, lodando le “scrittrici”, tantee brave), un uomo perennemente tenta-to dalla violenza (lo scontro con la se-conda moglie è finito a coltellate o a for-biciate, le versioni sono confuse, ma il ri-sultato è lo stesso, la terza ha preferito ilconvento). Un outsider della politicache coltivava ambizioni politiche (si ècandidato a sindaco di New York), mache beveva e si faceva. Uno scrittore cheha avuto ogni riconoscimento e guada-gnato soldi a palate — ma li ha dissipaticon generosità. Oltre che generoso erasimpaticissimo, estroverso, curioso.Ma, almeno a sentire i custodi del “cano-ne” letterario, non ha mai scritto il ro-manzo che tutti si aspettavano da lui, il“grande romanzo americano”, la storiaautobiografica del ragazzino geniale diBrooklyn che diventa il portavoce dellasua generazione, il Bildungsroman del-l’America a cavallo della guerra. PerchéIl nudo e il morto e il successo precoceche ne è derivato gli hanno lasciato unsegno per tutta la vita. Perché quelle ot-tocento pagine scritte a venticinque an-ni, nel 1948, l’esperienza durissima «del-l’orgia della guerra» che le ha ispirate, e ilriconoscimento generale che le ha ac-colte hanno prodotto il paradosso diun’angoscia da secondo libro, di unblocco dello scrittore in uno scrittoreche invece ha scritto, e tanto, eccome,ma senza mai concedersi la soddisfazio-ne di ritornare a quel successo, a quei ri-conoscimenti.

La biografia uscita ora in America(Norman Mailer: A Double Life) si inter-roga sul perché Mailer, nella sua fluvialeproduzione di romanzi, saggi, testi, nonabbia mai affrontato il tema della suagiovinezza a Brooklyn. Voleva rispar-miare la sua famiglia, si chiede l’autore,J. Michael Lennon, o se stesso? C’eraqualcosa che voleva nascondere o, alcontrario, c’era troppo poco? A quantopare, anche Lennon non ha trovato unarisposta. Salvo alcuni dettagli autobio-grafici scoperchiati da Mailer stesso.Che diceva di essere stato, nella sua in-fanzia, fisicamente, «un codardo». È perquesto che ha passato buona parte dellasua vita a fare a cazzotti? Non scrisse del-la sua prima giovinezza perché non vo-leva esporre le memorie familiari o per-ché non lo ispiravano? Mailer confessa-va di non saper inventare, di saper soloraccontare le cose veramente accadute.Per questo amava il giornalismo. Perquesto restano grandi, di lui, i libri doveha messo la vita sua e altrui, dove parla dipassioni vere, dove, da cronista, raccon-ta la vita. Fossi al posto dei grandi criticiamericani mi accontenterei. E pazienzaper Brooklyn.

Uno scrittoresenza romanzo

IRENE BIGNARDI

LE IMMAGININorman Mailere Sigmund Freud(sotto) nei disegnidi Tullio PericoliNella pagina accanto,lo scrittorea Brooklyn nel 1965Sotto, il padredella psicoanalisinel suo studioa Vienna nel 1937

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“La sua eraun’etica cupa,inesorabilee austera”In unsaggioche soloora vienepubblicatoin Americauno degli autoripiù provocatoridella Beatgenerationprende a pugni“l’inventoredella religionedel Ventesimosecolo”

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■ 39DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

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l’Uomo. Il misticismo ha la spiacevole facoltà di fondere insiemevita pubblica e privata del singolo, presenta come sua ultima mi-naccia la subordinazione all’istinto della ragione, anche se la so-cietà domina l’istinto con la ragione. Freud è stato l’ultimo geniodella società del Ventesimo secolo, e dopo di lui ci sono stati sol-tanto i suoi emuli. Alla sua morte, avvenuta nel 1939, la rovina delsuo mondo gli appariva ormai chiara. Proprio mentre scivolava inquell’oscura notte, sulla quale si era rifiutato di fare congetture,l’ultimo ideatore della civiltà sentì abbattere tutte le paratie.

Ed effettivamente calò una notte oscura, perché la guerra all’i-stinto che era stata il presupposto logico progressista del XIX seco-lo, il prodotto del periodo vittoriano — per così tanto tempo dasembrare vincente — , fu travolta e degenerò al punto da non es-sere più riconoscibile nei campi di concentramento e nella bom-ba atomica. La diga della civiltà esplose al cospetto dei flussi soffo-cati dell’istinto, e perfino quando le palizzate furono travolte dalleforti ondate, rimase una paralizzante ironia, le macerie della civiltàsi dissolsero nell’istinto e ne alterarono il linguaggio; gli uomininon furono assassinati a milioni ma sterminati, le scorie atomichenon furono una lenta fatalità ma un fall-out. Forse sarebbe meglioricorrere all’immagine di Freud del cavaliere e del cavallo, della ra-gione che controlla l’istinto, del super-ego che tiene le redini, del-l’id che è il cavallo, e del cavaliere che è l’ego che incoraggia o re-prime le diverse irruenze dell’animale. Secondo quell’immagine,

© RIPRODUZIONE RISERVATA

erFreud era inconcepibile che non ci fosse una civiltà— a prescindere da quanto alto fosse il prezzo da pa-gare in termini di sofferenza individuale, di nevrosi,di allontanamento dell’individuo dai propri istinti.L’alternativa — un ritorno alla barbarie e allo statoprimitivo — era semplicemente estranea al concetto

culturale di Freud della vita. Poiché apparteneva alla bassa classemedia ed era un ebreo mitteleuropeo affermatosi nella società bor-ghese, Freud non fu soltanto lo specchio, ma in definitiva l’essen-za stessa della cultura tedesca. Si potrebbe sostenere che la naturadegli ebrei, il significato dell’ebraismo, non consista tanto nel sen-tirsi un popolo, bensì nel ricreare al loro interno, quasi fossero ope-re d’arte, i modelli di una cultura a loro sempre estranea. È dunquepossibile che soltanto un estraneo riesca ad afferrare e compren-dere meglio le consuetudini, le snobberie, il potere o anche la sta-bilità borghese, e che egli non prenda mai per scontati questi valo-ri, ma li debba acquisire tramite un esercizio immaginativo dellavolontà, del talento e del coraggio sociale. Freud non era predesti-nato per nascita a diventare a quarant’anni un giovane e rispetta-to neurologo (sic) della società medica viennese: gli occorsero l’ap-plicazione della sua precoce ambizione e la sottomissione di buo-na parte dei suoi istinti più ribelli per fare suoi la formazione, gli usie gli atteggiamenti del medico viennese. Non sorprende quindi se,al momento di dedicarsi alla sua seconda carriera, con quel lungoardimentoso passaggio nelle correnti sommerse del sogno, al ter-mine del quale avrebbe creato niente meno che la religione impe-rante del Ventesimo secolo, l’etica cupamente razionale della psi-canalisi, era già molto pretendere che si adoperasse a trasformarei presupposti stessi della società occidentale in una nuova visionedi matrimonio, di famiglia e di uomo. Difficilmente gli si sarebbepotuto chiedere di più: che la visione fosse rivoluzionaria e che laricerca non si concentrasse sui presupposti, ma sulle dinamiche.Pur di salvare quel mondo, Freud fu pronto a mettere in pericolo lasua stessa incolumità nel mondo borghese (del quale era entrato afar parte). Il suo amore non dichiarato fu sempre per la classe me-dia, ma non era semplicemente nelle possibilità di un unico intre-pido provocare due sovvertimenti di pensiero. La società era ma-lata, Freud se ne rendeva conto, ma la risposta inevitabile per luiera ridefinire la natura dell’uomo in modo tale da mantenere inte-gra la società e così pure Freud nel suo studio e nella stanza dove ri-ceveva. Se la civiltà era troppo pesante ai vertici e quindi instabilenelle sue strutture e istituzioni, e di conseguenza l’istinto era in-taccato nella sua espressione e in grado di pervenire alla bellezza(la bellezza melanconica, sia chiaro) soltanto tramite la sublima-zione, così doveva essere. L’uomo, per qualsiasi ragione, e la ra-gione ultima era misteriosa — Freud non aveva propensione alcu-na per il misticismo — , doveva accettarsi per quello che era, un es-sere corrotto che può diventare un po’ meno corrotto senza mairiuscire a essere perfetto — , e in cambio la sua civiltà si sarebbe pro-babilmente evoluta e sarebbe diventata meno tragica. Ma questaera una visione rigida. In cambio dell’austerità, e la psicanalisi pu-ra era austera, severa, inesorabile (in contrapposizione a varietàpiù amabili e amichevoli che oggi abbondano in un’America cheama il piacere), all’uomo sarebbe stata concessa quanto meno ladignità di conservare la propria civiltà. Non si può certo esageraredicendo quanto ciò sia tipicamente da classe media e profonda-mente ebraico. Parte dell’elemento paradossale presente nell’at-teggiamento mentale di Freud è che egli fu capace delle più fini di-stinzioni intellettuali e delle più sottili analisi del punto di vista con-trario del dibattito, e tuttavia non possedette quasi nessuna au-tentica capacità come filosofo. A un livello molto alto, egli è si è ele-vato fino a diventare la quintessenza dell’uomo d’affari ebreo (contanto di sigaro), e la totalità della sua filosofia in uno stato depres-so poteva in definitiva essere quantificata come non molto di piùdi un profondo lamento, del tipo: «Non ho mai vissuto un periodoparticolarmente positivo in vita mia, e il mondo è tutto un lupomangia lupo, ma io ho creato una famiglia e l’ho tirata su pren-dendomi cura di lei, e chissà, i figli non danno mai retta ai genitoriin ogni caso, ma forse costruiranno un mondo migliore, quantun-que io ne dubiti. La cosa più importante è fare il proprio dovere,perché in caso contrario tutto diventerebbe caos. Quel che inten-do dire, insomma, è dove finiremmo se tutti se ne andassero in gi-ro a fare tutto ciò che vogliono?».

Questa cupa visione riuscì ad affermarsi al tempo di Freud,quanto meno fino alla Prima guerra mondiale. In seguito la perce-zione freudiana del possibile si incupì maggiormente, e la sua pun-ta speculativa si avventurò nelle nuove acque profonde del misti-cismo, all’Eros si aggiunse Thanatos, la pulsione di morte si impe-gnò dialetticamente con la libido. Ma il misticismo è il boia dell’e-tica della classe media. La stabilità della borghesia è sempre dipe-sa da una separazione schizofrenica (sic) del potere della religioneintesa come istituzione dalla religione intesa come rivelazionepersonale di Paradiso, Inferno, Eternità, anima, Dio, e destino del-

la selvaticità del cavallo è controllata a spese della fatica del cava-liere, ma uno va dove desidera andare, quantunque non sempre alpasso desiderato. Questa era l’immagine centrale della psicologiadi Freud, una civiltà che montava un nobile animale selvatico, macon risultati imprevisti. Perché l’animale non era controllato trop-po poco, ma di gran lunga un po’ troppo, e avvicinandosi alla suamorte il cavallo si imbizzarrì e si avviò verso un dirupo. Anche il ca-valiere però era impazzito, la sua fatica altrettanto immane. Ca-vallo e cavaliere non erano mai stati fatti l’uno per l’altro, e al ga-loppo verso il dirupo il cavaliere utilizzò i suoi speroni, non le redi-ni, e in questo preciso momento corrono il rischio di saltare insie-me, ciascuno di essi avvelenato e folle di frustrazione. (...)

Non varrebbe la pena ricordare che Freud aveva un rispetto vi-scerale per i significati di ansia e paura, se non fosse che i suoi se-guaci hanno ridotto questi concetti a campanelli d’allarme, al se-gnale di un malfunzionamento della mente. Ansia e paura sonotrattati da loro come dati di fatto, come uno scontro di ingranaggiin un gesto nevrotico. La comprensione primitiva della paura — dacui si era colti parlando con gli dei, i demoni e gli spiriti, così da es-sere naturalmente consumati dallo sgomento, dal turbamento edal terrore — è tutt’altro che dimenticata. Ci insegnano che pro-viamo ansia perché siamo sollecitati da impulsi inconsci ritenutiinaccettabili a livello sociale. Ci dicono che la paura è il ripetersi diesperienze di inermità assoluta vissute nella prima infanzia. È in-dotta in noi da situazioni che ricordano al nostro inconscio lo svez-zamento e altre privazioni nella prima parte della nostra vita. Ciòche non si esamina mai è l’eventualità che noi si possa provare an-sia perché corriamo il rischio di perdere una parte o una certa qua-lità della nostra anima a meno di agire, e quindi agiamo pericolo-samente. O anche la probabilità che noi si possa provare pauraquando le minacce di morte ci ispirano un terrore spropositato,uno spavento dovuto non soltanto al fatto che moriremo, ma, alcontrario, al fatto che moriremo male, patendo qualche insop-portabile costrizione per l’eternità. Queste spiegazioni sono nel-l’insieme estranee a ciò su cui si concentrano le scienze psicologi-che nel Ventesimo secolo. No, il nostro secolo, quanto meno il no-stro secolo americano, è una casa di convalescenza per veterani fe-riti nel corso di una guerra bimillenaria, l’immane lotta all’internodel cristianesimo per affrancare o distruggere la visione dell’uomo.

Messi di fronte al nostro fallimento (perché sembrerebbe quasiche la guerra sia stata contro di noi), gli indagatori della menteumana hanno iniziato a presentarsi nelle vesti di tranquillizzatoriintellettuali. A dominare la filosofia anglo-americana sono il Posi-tivismo Logico, gli esperti di logica, gli analisti del linguaggio, nongli esistenzialisti. A predominare in psicoanalisi sono i Freudiani,non i Reichiani o gli Junghiani. E più dell’arte, è il giornalismo a da-re forma alla coscienza apatica della nostra epoca. Così, parimen-ti, è la politica più della moralità a improntare l’attenzione moraledella nostra epoca. Poi, però, la politica, come il giornalismo, è con-cepita per tenerci nascosto l’abisso esistenziale della paura, il ter-rore che sta dietro al nostro essere calmi. Oggi un politico di suc-cesso non è un uomo che lotta con l’ingiustizia, ma è al contrariouno specialista in comunicazioni di massa, che può quantificare ilproprio successo in base alla pratica di un rituale e di un lessico po-litico che ci distoglie temporaneamente dalla paura, dall’ansia,dallo specchio del sogno, da ciascuno di quei profondi stati emo-tivi che la politica è progettata per nascondere.

A New York tra due membri del Junior Jet Set ho avuto modo diascoltare la seguente conversazione: «Non so che cosa fare. L’ulti-ma volta che ho avuto bisogno di soldi ho scritto ai miei genitori eho detto loro che dovevo abortire. Ma sono passati soltanto tre me-si. Mi chiedo se non sia troppo presto per dire loro che ho bisognodi un altro aborto».

«Di’ loro che questa volta si tratta di un negro». «Buona idea».

Molti anni fa, facendo visita a un amico malato, venni a cono-scenza del suo passatempo. Si dà il caso che fosse un attore, ma lasua indole non era dissimile da quella di un gioielliere o di un col-lezionista. Raccoglieva citazioni. Ogni volta che in un libro o in unpoema si imbatteva in un’espressione che gli piaceva in modo par-ticolare, la annotava in un taccuino che teneva per questo scopo,uno splendido taccuino di ottima carta rilegata in pelle rossa. Lasua idea, naturalmente, non era nuova. La maggior parte di noi hainiziato più di una volta a tenere un taccuino di questo genere. A di-stinguere la sua raccolta da quella di chiunque altro è che egli la col-tivò per anni, e ne fece uso...

(Traduzione di Anna Bissanti) © 2013 by the Estate of Norman Mailer

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NORMAN MAILER

Ma quanto è tristequesta psicoanalisi

Un testonato al telefono

Ci fuun periodo in cui Norman Mailer sfogava le suefrustrazioni in lunghe e quotidiane conversazionitelefoniche con uno psicanalista, Robert Lindner.

Non erano sedute d’analisi. Norman aveva letto Pre-scription for Rebellion e scritto al suo autore, il dottorLindner. S’erano incontrati a New York e avevano sco-perto che entrambi erano disgustati da McCarthy, cheentrambi avevano in antipatia Eisenhower, che entram-bi riconoscevano il genio di Freud e che erano entrambiirritati da repressione e rinunce che lo schema freudianoimponeva a beneficio della civiltà. Quanto bastava perdiventare amici e consentire a Mailer, anni dopo, di po-ter affermare con orgoglio di non essere mai stato in ana-lisi. Ora J. Michael Lennon — autore della più importan-te biografia dello scrittore, Norman Mailer. A Double Li-fe, appena uscita negli Usa per Simon&Schuster — cispiega che alla base del saggio (incompleto) che qui pub-blichiamo c’è proprio questa intensa relazione telefoni-ca. Il testo, scritto intorno al 1956, quasi dieci anni dopoil successo ineguagliato de Il nudo e il morto, è rimastoinedito fino al mese scorso. Lo ha appena pubblicato lacasa editrice Random House come primo di cinquantasaggi raccolti in Mind of an Outlaw.

(Gabriele Pantucci)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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LA DOMENICA■ 40DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

poi la sua brava evoluzione tecnica edespressiva, zompando dal lapis pri-mordiale alla stop motion o passouno (il pupazzetto animato), al car-toon 2D all’attuale, forse avveniristi-co, 3D. Insomma, in cent’anni hascandito tutte le ere, dal muto e dalbianco e nero al sonoro e al colore,dall’astrazione grafica all’iperreali-smo digitale. Tanto che si potrebberoscherzosamente ribattezzare le tappedi questa evoluzione in pellicola co-me Matitosauro, Passounosauro,Cartoonosauro, Digitosauro, 3Di-sauro....

Proprio in questi giorni l’ultimo so-stituto di bambole e peluche — per-ché anche l’evoluzione di giochi egadget non conosce pace — sta co-gliendo al volo l’occasione datagli dalSottodiciotto di Torino, festival a tar-get giovanile, per sfilare ancora unavolta in passerella. E lo fa tornando suisuoi primi passi, quelli di Gertie ap-punto. Il suo autore, Winsor McCay,già celeberrimo per le tavole a fumet-ti di Little Nemo, ricavò l’effigie delBrontosauro dalle note scientifichedell’epoca e dallo scheletro di Apato-

saurusdell’American Museum of Na-tural History. A dire il vero il primo di-nosauro della storia del cinema avevagià fatto capolino in una tavola di Inthe Land of Wonderful Dreams, nell’e-pisodio del 21 settembre 1913 intito-lato In the Land of the Antediluvians,dove Little Nemo incontra un dino-sauro azzurro di nome Bessie, in tuttoidentico al suo successore. Ma la pel-licola, ovviamente, per quanto brevepermette innovazioni prima inim-maginabili. La principale è l’innestotra creatura animata e attore in carnee ossa, e sarà alla base di quasi tutte lerealizzazioni successive già a partiredal Buster Keaton del 1923 che in Th-ree Ages, e proprio in omaggio a Mc-Cay, si farà trovare in groppa a un di-nosauro animato a passo uno. MaGertie è anche un pioniere interatti-vo, abilmente sfruttato dall’autorenei suoi vaudeville in giro per gli Usa:mentre sullo schermo il bestione di-sobbedisce e fa i capricci, in scena Mc-Cay lo rimbrotta, fino all’effetto spe-ciale — davvero stupefacente per l’e-poca — del balzo sul groppone per do-marlo.

MARIO SERENELLINI

SpettacoliDynasty

Nemmeno un de-cennio dopo da Ger-tie discendono in li-nea diretta, ma auno stadio tecnicopiù evoluto e conmaggior agio di spa-zi (dal laghetto alle fo-reste incontaminate), iprimi esemplari dell’erastop motion. È il caso de Ilmondo perduto, primoadattamento nel 1923-’25 del romanzo diArthur Conan Doyle. Quigli effetti speciali sonodovuti al grande WillisO’Brien: già artefice di qual-che commedia preistorica co-me R.F.D., 10.000 BC, dove un postinocavalca un Brontosauro per distribui-re lettere-macigni, nel 1933 sarà l’in-ventore e l’animatore di quel «dino-sauro in pelliccia» che passerà poi al-la storia col nome di King Kong: il go-rilla gigante reso da un pupazzetto diottanta centimetri.

Ancora un paio di decenni e, giustosessant’anni fa, in un crescendo dipromiscuità tra uomini e dinosauri,civiltà moderna e preistoria di ritor-no, ecco imporsi il protagonista de Ilrisveglio del dinosauro (da The FogHorndi Ray Bradbury) di Eugène Lou-rié. Questa volta papà del bestione —che proprio sulle orme di King Kongsviluppa il tema del gigante nella me-tropoli ispirando tra gli altri il Godzil-ladi Ishiro Honda — è Ray Harryhau-sen, pioniere della stop motion scom-parso lo scorso maggio a 93 anni, egrande specialista dell’animazione dicreature antiche. In Harryhausen, co-me già in McCay, la bestia antidiluvia-na perde la sua grinta preistorica e as-sume una familiarità paurosamentedomestica: «Le sue creature», ricono-sce un altro esperto di mostri, il regi-sta Tim Burton, «hanno più persona-lità di qualsiasi interprete. Le scenedella loro morte sono sempre tragi-che: la torsione finale della coda o l’ul-timo respiro esprimono tutta la pun-tigliosa passione del suo lavoro».

TORINO

Non occorre andare in-dietro di novanta mi-lioni di anni per tro-varsi davanti un dino-

sauro vivo e pasciuto. Basta una ca-priola d’una decina di decenni ed ec-coci faccia a faccia con il primo Bron-tosauro della storia. Quella delcinema, naturalmente, che sembraseguire passo passo quella geologica.Star della preistoria nella realtà, i di-nosauri diventano cine-protagonistiall’alba del grande schermo. Risale in-fatti al 1914, ormai cent’anni fa, Gertieil dinosauro, animazione a matita didodici minuti realizzata da WinsorMcCay.

Di voracità gargantuesca, Gertieinghiotte in due bocconi le chiomedegli alberi e fa del lago sottostante unsol sorso: e forse risucchierebbe purelo schermo se il suo autore-domatorenon gli saltasse in groppa ricondu-cendolo alla ragione. Dopo Gertie, ildinosauro cinematografico seguirà

Evitando la drammaticitàrealistica della stop motion, il

cartoon riporterà poi il dinosauroalla bonomia mattacchiona della pri-mordiale matita di McCay. Se si ec-cettua la marcia apocalittica sullamartellante circolarità del Bolero diRavel in Allegro non troppo di BrunoBozzetto, l’età della pietra a disegnianimati è infatti sempre una festa. Co-me mostra perfettamente la saga deiFlintstones, serie animata di Hanna-Barbera, con auto a propulsione pe-destre e proto-animali a uso elettro-domestico, arrivati per la prima voltain Italia mezzo secolo fa.

Quindi, tra gioco e terrore,altalenano fino ai giorninostri i dinosauri del-l’ultima fase cine-evolutiva, quella di-gitale e in 3D. Ac-canto alla Disney-land preistorica ekolossal di StevenSpielberg, che avent’anni dai tre Oscarrilancia il primo JurassicPark in versione-oc-chialini, zampettano ilmini-Rex di Toy Storye il neonato Patchi,pachirinosauro smar-rito in A spasso con i di-nosauri. Dopo l’anteprimadi Torino sarà distribuito dalla Fox.Ovviamente con gadget annesso.

Nel 1914 l’animale primitivo per eccellenzafaceva la sua prima apparizione al cinemaE alla faccia dell’estinzione oggi festeggia da star una carrieraricca di successi. Cominciata grazie alla matita (e al salto sul groppone) di un disegnatore che sognava di fare il domatore

DINOSAURCERS(1987)

TOY STORY(1995)

RYU RAGAZZO DELLE CAVERNE (1971)

Gertie e i suoi fratelli

© RIPRODUZIONE RISERVATA

EFFETTI SPECIALIUno schizzo di Harryhausenmostra la tecnica chiamataDynamation, utilizzata per unirei movimenti del modellinoe gli scenari sullo sfondodando un effetto tridimensionale

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■ 41DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

LA RASSEGNAPer gli amanti del genere, da non perdere Sottodiciotto Film Festival, che nella sezione

Sono tornati i dinosauripropone anteprime e proiezioni in esclusivaLa manifestazione si svolgea Torino fino al 14dicembre. Previsto per oggi il “Dino-Day”,mentre in chiusura del festival ci saràl’anteprima nazionale di A spasso con i dinosauridi Neil Nightingale e Pierre De Lespinios

GLI ANTENATI(1963)

JURASSIC PARK(1993)

WE ARE BACK! A DINOSAUR’S STORY (1993)

DINOSAUR(2000)

UNA NOTTE AL MUSEO(2007)

L’ERA GLACIALE 3(2009)

PEPPA PIG(2008)

A SPASSO CON I DINOSAURI(2013)

L’ISOLA SCONOSCIUTA(1948)

THE GHOST OF SLUMBER MOUNTAIN (1918)

KING KONG(1933)

FANTASIA(1940)

IL MONDO PERDUTOIl manifesto di uno dei primi esempi

di film in stop motion (1925)

GERTIE IL DINOSAURO(1914)

VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA(1959)

IL RISVEGLIO DEL DINOSAURO(1953)

GODZILLA(1954)

UN MILIONE DI ANNI FA(1966)

DINO RIDERS(1988)

ALLA RICERCA DELLA VALLE INCANTATA (1988)

TI VOGLIO BENE DENVER(1989)

CADILLAC AND DINOSAURS(1993)

SUPERMARIO(1990)

L’evoluzione

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LA DOMENICA■ 42DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

Sarà dotata di scuole, negozi,un ospedale, alberghi,ristoranti, e poi centricommerciali, banche, uffici,persino un casinòe un aeroporto. Su FreedomShip ci saranno casee appartamenti per 50milaresidenti più 20mila membrid’equipaggio e la nave useràpannelli solari e onde marinecome fonti di energia

NextApocalypse

VISITATORI

30milaRESIDENTI

50mila

IL COSTO

10 miliardi

PESO

2,7LARGHEZZA

228MLN DI TONNELLATE METRI

LUNGHEZZA

1,3CHILOMETRI

C’è chi pensa di traslocare su Marte, chi su un’altra galassia,chi sogna di costruire case underground e chi sotto gli oceaniMa tra le tante soluzioni da fine-del-mondo la meno fantascientifica è quella della città sull’acquaCon tanto di strade, negozi, scuole e ospedali è già stata progettata E secondo alcuni andrebbe anche costruita. In fretta

In mezzo al mare

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■ 43DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

Nel 2023 il primo insediamento su Marte: a crederci è la societàolandese Mars OneSarebbero già 200mila le richieste arrivate da ogni parte del mondo per stabilirsi definitivamentesul pianeta rosso

Su Marte

Un’altra galassia

Da Singapore a Città del Messico: per combattereil sovrappopolamento della Terra aumentano i progetti di caseunderground. Sono a bassoimpatto ambientale e possono avere fino a 35 piani sottoterra

Sottoterra

Altra soluzione in vista, la città sotto il mare: l’ha progettata l’architetto Phil Pauley e l’ha chiamataSub-Biosphere 2 Potrà ospitare un centinaio di persone ed è del tuttoautosufficiente rispetto ad aria e cibo

Subacquea

Per fuggire dalla Terra si può andare sotto la terra, sopra laterra oppure dove la terra non c’è: nell’acqua. Per la preci-sione, sull’acqua. Sulla tenue superficie del mondo liquidoin cui è nata la vita, prima che emergessero i continenti, ein cui la vita potrebbe sopravvivere quando i continenti sa-ranno stati sommersi o resi altrimenti inabitabili all’uomo.

L’idea di una comunità galleggiante non è nuova: venne per primoa Noè, perlomeno secondo la Bibbia. Negli ultimi tempi tuttavia si è ar-ricchita di sempre più progetti che sembrano fantascientifici, ma chepurtroppo rischiano di diventare scientifici più presto di quanto cre-diamo. Uno di questi è Freedom Ship, che però non è una nave vera epropria bensì una città sull’acqua, lunga più di un chilometro, alta co-me un grattacielo di venticinque piani, dotata di scuole, di un ospeda-le di prima qualità, di negozi, centri commerciali, alberghi, ristoranti,di un casinò, di banche, uffici, di un porto con lungomare, perfino di unaeroporto, oltre che di camere o meglio appartamenti per ospitare50mila “passeggeri” o meglio residenti e altre 20mila membri d’equi-paggio o meglio di lavoratori e dipendenti. «Siamo vicini a ottenere i fi-nanziamenti per un miliardo di dollari, la somma necessaria a comin-ciare i lavori», dice Roger M. Gooch, l’imprenditore americano che halanciato l’iniziativa. Di miliardi poi ce ne vorrebbero altri cinque percompletare l’impresa. Ma chi vuole prenotare un posto a bordo può giàfarlo: le unità immobiliari costano da 200mila a due milioni e mezzo didollari, per casette da 40 a 330 metri quadri di grandezza, anche se nes-suno può dire con certezza quando sarà possibile traslocarci dentro.

Nessuno può dire con certezza nemmeno quando potrà essercenebisogno. Di certo c’è che da un po’ di tempo si moltiplicano le ipotesisulla necessità per l’Uomo di andare a vivere da un’altra parte. I thinktankpiù autorevoli pubblicano studi sui pericoli che minacciano il pia-neta. I film catastrofisti non sanno più cosa inventare per dare un sen-so alle nostre paure: effetto serra, collisione con un asteroide, guerratermonucleare, fame, sete, esaurimento delle risorse energetiche, so-vrappopolazione. La “fuga dalla terra” non appartiene più alle fantasiedei romanzi di Jules Verne, è diventata una costante dei media: circo-lano scenari di trasferimento di massa su Marte, su pianeti di un altrosistema solare che siano più simili al nostro, di ricreare un mondo ospi-tale sotto la crosta terrestre o sul fondo degli oceani. Quanto alle navi-città, prima risposta all’eventuale innalzamento dei mari provocato

dallo scioglimento dei ghiacci e dunque dal riscaldamento climatico,nel momento in cui le acque avranno sommerso le città sulla Terra, cene sono in pista più di una, la Eoseas, la Lilypad, la Princess Kaguya, seb-bene ancora lontane dall’uscire dai cantieri navali.

La Freedom Ship vi è forse più vicina: come minimo il progetto sem-bra già pronto in tutti o quasi i suoi dettagli. Che cos’è esattamente? Ilsuo inventore Roger Gooch comincia spiegando che cosa “non è”. Nonè una grossa nave: «È il tentativo di produrre opportunità per un nuo-vo stile di vita, la prima comunità mobile al mondo. Ha le dimensioniminime per risultare autosufficiente e per fare venire il desiderio di vi-verci sopra». Non è un nuovo paese: «Si atterrà al codice marittimo in-ternazionale e alle leggi dei paesi nelle cui acque si trova». Non è un truc-co per non pagare le tasse: o almeno non è uno degli obiettivi ufficialidel progetto, i cittadini di certi paesi avrebbero gli stessi vantaggi di cuigodono quando risiedono in un altro paese. Non verrà costruita in uncantiere navale: «Perché non è uno scafo. È una specie di enorme chiat-ta con un grattacielo piantato sopra». E non farà autentiche crociere,pur circumnavigando il pianeta ogni anno: «È un posto per vivere, la-vorare, andare in pensione, o anche fare le vacanze». E se uno dopo unpo’ si stanca, può prendere un aereo (fino a un massimo di 40 posti) sultetto-aeroporto e volare sulla terraferma (sempre che esista ancorauna terraferma su cui volare).

Nell’immediato, cioè fino a quando ci saranno terre a cui approda-re, la Freedom Ship passerebbe il 70 per cento del suo tempo all’anco-ra. Il suo tragitto prevede che lasci la costa orientale degli Stati Uniti ingiugno, trascorra i mesi estivi e l’autunno in Europa, partendo dallaScandinavia per scendere giù fino al Mediterraneo, a Natale sarebbedavanti alle coste dell’Africa settentrionale, in gennaio raggiungereb-be il Sud Africa, da lì rotta verso l’Australia, poi l’Asia, quindi attraver-serà il Pacifico, raggiungerà la costa occidentale degli Usa, scenderà fi-no alla Terra del Fuoco lungo il Sudamerica e infine ritornerà al puntodi partenza, per ricominciare daccapo. La città-galleggiante userebbepannelli solari e onde marine come fonti di energia, sarebbe dotata diaria condizionata e riscaldamento, di sistema anti-incendio e sistemadi riciclaggio, avrebbe i più moderni ritrovati di sicurezza e di alta tec-nologia. La brutta notizia è che, nelle immagini ricreate al computer daisuoi costruttori, somiglia a un orrendo parcheggio con aerei ed elicot-teri sul tetto. La bella notizia è che, se un giorno non avremo alternati-ve, una flotta di navi-città come la Freedom Ship potrebbero salvarcidall’estinzione o almeno dall’annegamento. In attesa di scoprire comearrivare su una Terra 2.0 in un’altra galassia, consideriamola come unasoluzione provvisoria. Una scialuppa di salvataggio non deve essereanche bella, per di più se devi caricarci sopra l’umanità intera.

107

25PIANI

ALTEZZA

METRIArca hi-techper diluvi 2.0

ENRICO FRANCESCHINI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

EOSEASCon mille metriquadrati di pannellisolari e impianto Gplè la nave ecologicapiù grande che sia maistata progettata

LILYPADCittà autosufficientee a impatto zero, potrà ospitare 50milaprofughi ambientaligrazie all’utilizzo di energie rinnovabili

PRINCESS KAGUYAAltro progetto futuribile,non un’immensa nave da crociera ma un centroper scambi culturaliinternazionali

Le a

ltre

“Tra cent’anni dovremotrovare la replica della Terrain un altro sistema solare”Alla profezia di Hawking la rivista Astronomy &Astrophysics risponde conl’annuncio della scoperta di pianeti lontani 22 anniluce: “Potrebbero ospitarci”

Le alternative

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LA DOMENICA■ 44DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

Da Gerusalemme, Beirut, Il Cairo o Marrakech (i migliori) arrivano sulle nostre tavole delle festee poi scompaiono per il resto dell’annoPeccato, sarebbero ottimi ingredienti per prime colazioni, per sportivi in calo di zuccheri e per cervelli affaticatiA patto, va da sé, di scegliere quelli buoni, sani e giusti

I saporiMediorientali

Berhi LIBIAVeri tesori vitaminici(gruppi A, B e K) a basso impattocalorico, i datteri lisci,chiari, sfilati, cilindrici,da gustare freschi

MajhoolISRAELEPiù pregiati, hannodimensioni quasidoppie dei tunisini,buccia molto scura,polpa dolce. Coltivatianche in California

Deglet NoorIRANRivali dei Majhool,sono scurissimi (noor,nero), eleganti, perfettiper le ricette di cucinaaraba, in bilico tra dolce e salato

BoufeggousMAROCCOCarnosi, vellutati,immancabili nei pranzidi nozze, a rischio per colpa del bayoud,il punteruolo rossodelle palme

TaktaktEGITTOMaturano tra dicembree gennaio, i grossidatteri dalla polpamorbidissima prodottinell’oasi di Siwa, al confine con la Libia

Nasamoni si trovano a ovest degli Auschisi: sonoun grande popolo che d’estate abbandona il be-stiame lungo il mare e penetra fino alla località diAugila per cogliere i datteri». La gente d’Africa rac-contata da Erodoto nel quarto libro delle Storiebenconosce i datteri della piana del Golfo della Sirtecon le sue palme, «che crescono numerose e gran-di e tutte fruttifere». Quattromila anni di storia, unacoltivazione originaria che aderisce perfettamen-te ai contorni della mitica mezzaluna fertile dellaMesopotamia, terra madre di gran parte dei cibi delpianeta, una ricchezza nutrizionale tanto straordi-naria da farli ribattezzare “nettari del deserto”, idatteri sono i frutti più apprezzati e misconosciutitra le dolcezze di fine anno.

Il ravvicinato count-down alle feste natalizie ciporta a casa cibi, bevande, profumi ignorati e distanti per il resto del-l’anno. Non il prezzo, e nemmeno lo scarso appeal, costringono la spe-sa di fine anno nel recinto dei menù dedicati, piuttosto l’idea che cer-ti alimenti appartengano a quel periodo dell’anno solamente. Cote-chino e bollicine dolci, lenticchie e panettone sono totalmente iden-

tificati con la ritualità di fine anno, anche se alcuni timidi tentativi diribellione gastronomica cominciano ad allungarne la vita e a dilatarei mesi di produzione.

I datteri sono campioni assoluti dei cibi natalizi. Non esiste pranzo, ce-na, festa, scambio d’auguri senza i datteri a chiudere la scaletta culina-ria, subito dopo il panettone e un attimo prima del caffè, in un surplus didolcezza tanto goloso quanto dieteticamente trasgressivo.

Ci perdoniamo sapendo che, smaltiti gli ultimi esemplari in zona Epi-fania, i datteri scompariranno dalla nostra tavola fino al prossimo Nata-le. Errore. Perché i datteri non dovrebbero venire espulsi dalla dieta (sal-vo controindicazioni specifiche) ma semplicemente essere anticipatid’orario. Pochi altri alimenti, infatti, sanno funzionare così bene comeriserva zuccherina a pronto rilascio, condita con abbondante potassio(più delle celebratissime banane). Un piccolo tesoro energetico arric-chito di vitamine del gruppo B — soprattutto quelli freschi — calcio, ma-gnesio, fosforo e ferro. Tradotto in quotidianità alimentare, dovremmomangiarli a colazione, affrontando un lavoro intellettuale o prima di fa-re sport, mentre la collocazione dopo-pasto può risultare esiziale per bi-lancia e livello d’insulina.

L’altro fattore dirimente, come sempre, è la qualità. Gli scaffali ab-bondano di pacchettini tristanzuoli adornati — si fa per dire — con im-probabili palmette di plastica. Sono datteri seriali, di provenienza tuni-sina, così scadenti da essere immersi in una glassa di glucosio per dar lo-ro un che di dolce (ma la consistenza stopposa non mente). E invece, idatteri veri, quelli che trionfano sulle bancarelle dei mercati di Gerusa-lemme e Marrakech, Beirut e Tripoli, Il Cairo e Teheran, sono suadente-mente dolci e morbidi, dai piccoli Siwa fino a Majhool e Deglet Noor, ve-re esplosioni gustative sensuali e irresistibili.

Se non avete in programma gite mediorientali, regalatevi una mattinadi assaggi tra le bancarelle etniche del mercato più distante della vostracittà. Scoprirete l’esistenza di un’incredibile varietà di datteri. E tornarea casa a piedi — magari di corsa! — sarà uno scherzo da ragazzi.

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Perché trasgrediresoltanto a Natale?

Datteri«I

LICIA GRANELLO

Mousse

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■ 45DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

Gli indirizziTORINOBANCO FRUTTA SECCA&LEGUMIMercato Madama CristinaPiazza Madama Cristina

MILANOFRUTTERIA CASAGRANDECorso di Porta VigentinaTel. 02-58314316

GENOVAANTICA DROGHERIATORRIELLIVia San Bernardo 32/RTel. 010-2468359

VENEZIADROGHERIA MASCARISan Polo 381Tel. 041-5229762

BOLOGNAANTICA DROGHERIADELLA PIOGGIAVia Galliera 27Tel. 051-223754

LIVORNOMERCATO CENTRALEVia BuontalentiTel. 0586-898236

ROMAONORATI DOLCIUMI E FRUTTA SECCACorso Rinascimento 8Tel. 06-6865268

NAPOLISALSAMENTERIADE ANGELISCorso Garibaldi 276Tel. 081-456035

BARILA CASA DELLA FRUTTA SECCACorso Mazzini 1Tel. 080-5235465

CATANIAALIMENTARI CRISTALDIVia Pacini 66Tel. 095-316422

LA RICETTA

Tre Stelle Michelin a Rubano di Padova,Massimiliano Alajmosintetizza rigore e talento,come testimoniano il libroFluidità, appena pubblicato, e questa ricetta ideata per i lettori di Repubblica

Insalata di datteri

Ingredienti per 4 personeFoglie miste (verza, daikon, rapa rossa,spinacino, lattughino, soncino)extravergine delicatosalsa di soia50 g. di mandorle varietà romana4 datteripepe nero di Sarawakscorza di limone di Sorrento canditasucco di limone fresco

Torta Pestati, lavorati connoci e mandorle tritatePoi farina, uova, miele,scorza d’arancia,lievito. Accanto, pannamontata profumatacon gocce di agrumi

FarcitiAl posto del nocciolo,metà gheriglio di nocee un cucchiaino di mascarponeprofumato con pepenero. A involtino, conuna fetta di pancetta

Pollo Tagliato in cubettoni,rosolato con cipolla e peperoni, poimantecato con yogurtgreco, mandorle,datteri, curry e servitocon riso lessato

ArrakL’acquavite diffusa tra India e Sri Lankaprende il nome da rak,alcol. Si ricava da frutti fermentati, in primis i datteri,macerati in acqua

JallabSciroppo ricavato dai datteri maceraticon melassa d’uva e acqua di rose Si serve nel tumblercon acqua, ghiaccio,uvetta e noccioline

Condire la misticanza con extraverginedelicato, qualche goccia di colatura di alicie una goccia di salsa di soiaMacinare le mandorle e frullarlecon 40 grammi di acqua, tenendoneda parte quattro, da tostare in padellae tagliare a metà. Emulsionarecon 32 grammi di olio, salee dodici gocce di salsa soiaBollire per un minuto i datteri in acqua salata,scolare, pelare, denocciolare e tagliare

Non c’è benvenuto che si rispetti in una casa saudita senza un tazzina di caffè al carda-momo e un piattino di datteri; e non c’è iftar, il pranzo rituale che interrompe il digiu-no durante il ramadan, che cominci senza assaggiare tre datteri accompagnandoli con

un sorso d’acqua. In Medio Oriente il “frutto benedetto”, come lo chiama chi crede, è moltopiù del delizioso prodotto della palma: è una medicina dell’anima (bisogna mangiarne setteal giorno per tenere lontano malattie e cattivi influssi, vuole un detto), è un afrodisiaco a buonmercato, suggerisce una leggenda popolare, ed è quasi un simbolo di fede. Maometto, è scrit-to nel Corano, durante il suo faticoso viaggio dalla Mecca verso la Medina (haijira) in fuga daipersecutori, si nutrì soltanto di acqua e datteri.

Estrema risorsa per la tavola dei poveri, o trasformati in raffinate, moderne leccornie nellepasticcerie del Cairo (coperti di cioccolato) e di Beirut (farciti di pistacchi), freschi, secchi oancora da maturare appesi ai grappoli nel loro colore arancione, i datteri vengono esposti inardite piramidi e offerti a buon prezzo nei suq di tutto il Medio Oriente. Sono un elemento fis-so del paesaggio, si direbbe, come le spezie nei sacchi di juta e il pane a larghe sfoglie avvoltonella plastica. Dopo un po’ non ci fai più caso. E francamente, se non sei del luogo, non li vai acercare. Ma può capitare di arrivare di notte a Samarah, tra Bagdad e Nassirya, dopo aver bat-tagliato per tutto il giorno con la macchina in panne e sentire il morso della fame e, al tempostesso, capire dallo sconsolato allargare le braccia dell’albergatore che non c’è nulla da man-giare, con la guerra appena finita e gli americani che pattugliano le strade. Tranne... un mo-mento... forse, sì... anzi, sì... una decina di datteri appena maturi, scuri e croccanti e un po’ dipane avanzato dal mattino. E la nottata è salva.

Quelle piramidi nei suqche salvarono anche Maometto

Sulla strada

ALBERTO STABILE

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Con gli amaretti Farciti alle noci

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LA DOMENICA■ 46DOMENICA 8 DICEMBRE 2013

la Repubblica

L’estate scorsa a New York abbagliòil grande pubblico del GuggenheimOra il settantenne artista californianoè in Italia con le sue installazioniluminose ideate nello studio più folle

del mondo, un craterenel bel mezzo del deserto:“Ho sempre amatochi dipinge la luce,Caravaggio,Vermeer,Goya. La mia ambizione

però è un’altra: non voglioilluminare qualcosa,io con la luce vogliocreare lo spazio”

VARESE

Leggenda vuole che a unaconferenza di storia del-l’arte anziché osservare leopere proiettate sullo

schermo James Turrell si perdesse nelfascio luminoso che usciva dal proiet-tore, tra i granelli di polvere che galleg-giavano in sospensione. Nacque forsequel giorno la passione per la luce diquesto settantenne californiano di LosAngeles, il più interessante esponentedi “Light and Space”, il movimento del-la West Coast che alla fine degli anniSessanta scelse come materiale da pla-smare, appunto, la luce e lo spazio. «Inrealtà la mia passione credo nacque an-che molto prima, quando ero ancorabambino e giocavo con le ombre: fu al-lora che capii che volevo lavorare con laluce, quella vera. È una passione che an-cora oggi cresce e prende forma giornodopo giorno, direi minuto dopo minu-to, e poi quando meno te l’aspetti arrivaun’intuizione, un’emozione intensache ti indirizza».

Turrell sembra un cowboy contem-poraneo, viso intenso, occhi profondi euna folta barba grigia. Lo incontriamo aVarese, a Villa Panza, per la grande mo-stra realizzata dal Fondo ambiente ita-liano, con il Los Angeles County Mu-seum of Arts, il Guggenheim di NewYork e il Getty Research di Los Angeles,in quella che era la casa del Conte Giu-

seppe Panza di Biumo, fra i primi colle-zionisti e sostenitori dell’artista. «Miopadre era un ingegnere aeronautico,pilota e appassionato d’aerei. Un gior-no stavamo viaggiando da Las Vegas aLos Angeles. Arrivammo verso il tra-monto, nell’attimo in cui la luce da rosadiventa rossa, e poi viola e infine blu. Inquello stesso momento la città iniziavaa brillare nella penombra, mentre le lu-ci si accendevano e disegnavano stradee isolati a perdita d’occhio. Fu emozio-nante. Ecco: lì, quella sera, ho avuto l’e-satta percezione della potenza della lu-ce». La stessa con cui la scorsa estate hatrasfigurato la spirale tonda del Gug-genheim di New York, e affascinato mi-gliaia di visitatori inchiodandoli per oreall’interno del museo a sperimentareun’avvolgente esperienza percettiva.«Con la luce puoi trasformare gli am-bienti, costruirli, inventarli, o anche na-sconderli».

Lo fa da tutta la vita. Dalla prima mo-stra al Pasadena Art Museum, quandoaveva poco più di trent’anni, al RodenCrater, il progetto titanico che l’ha por-tato a cercare un vulcano estinto, a tro-vare i fondi per acquistarlo e a trasfor-marlo poi in una sorta di camera oscu-ra monumentale con cui catturare i rag-gi del sole e la luce della luna. È lì, nelPainted Desert, a quaranta miglia daFlagstaff, Arizona, la città attraversatadalla mitica Route 66, che da più ditrent’anni Turrell passa sei mesi all’an-no a studiare e sperimentare luce e spa-zi, a osservare i cieli e i fenomeni atmo-sferici da stanze sotterranee studiateper inquadrare il passaggio veloce del-le nuvole, gli spostamenti delle costel-lazioni, le ombre della luna, le inclina-zioni dei raggi solari. I pochi che ci sonostati lo descrivono come un luogo uni-co. Ambienti come “The Crater’s Eye” oil “Sun and Moon Space” sono orienta-ti in modo che le aperture verso l’ester-no coincidano con particolari condi-zioni astronomiche. «Roden Crater èun luogo magico, mistico. Collega il cie-lo al centro della Terra dandoti la sensa-zione di trovarti sulla superficie del pia-neta, di far parte di uno spazio cosmicodove percepire lo scorrere del tempo,respirare le ere geologiche». Romanti-co? «Non più di quanto potessero es-serlo gli Egizi o i Greci» ride Turrell «enon più di quanto lo siano state tuttequelle civiltà che consideravano i vul-cani punti di riferimento, tanto da sfi-

dare il pericolo pur di insediarvisi ac-canto. Pensi a Pompei».

Nel 1966 l’artista aveva affittato pertrasformarlo in studio un hotel dismes-so, il Mendota, a Santa Monica. «Stavain Ocean Park district, a un miglio da Ve-nice Beach, era un posto poco costoso,nessuno voleva stare lì, ma io solo lìavrei potuto permettermi un grandestudio». Sfrattato, sei anni dopo seguì leorme del padre e iniziò a volare con unpiccolo aereo. «Volavo ogni giorno, altramonto e all’alba. La percezione del-lo spazio e della luce che hai quando cisei dentro, quando sei sospeso nell’a-ria, è completamente diversa da quellache hai stando a terra. E fu volando suldeserto che per la prima volta vidi il Ro-den Crater. Era il luogo che avevo sem-pre cercato. Aveva tutto ciò di cui avevobisogno: il buio totale della notte perpoter osservare la luce del cielo, e il sole

pieno del giorno. Soprattutto era unluogo incontaminato, lontano dalla ci-viltà». Ha sempre pensato in grandeTurrell. Visionario e determinato, hadato forma al suo sogno. Ha cercato fi-nanziatori e sostenitori per acquistare ilvulcano, e li ha trovati. Prima la DiaFoundation del Texas e il Guggenheimdi New York, poi un collezionista comeGiuseppe Panza di Biumo, poi molti al-tri ancora, tanto che oggi il suo sito ospi-ta un’apposita sezione intitolata“Friends of Roden Crater”.

«Per me la luce ha una qualità fisica,tangibile, concreta. Non è solo una que-stione di illuminare qualcosa, come av-viene nella pittura, ma di creare unospazio. Per questo avevo bisogno di unluogo in cui concentrarla. Gli ambientiche ho ricavato nel vulcano e che conti-nuo a realizzare sono luoghi dove acco-gliere la luce, dove ritagliare parti di cie-li. Ho sempre amato gli artisti che han-no dipinto la luce, come Caravaggio,Vermeer, Rembrandt, Goya, e poi gliImpressionisti e gli EspressionistiAstratti della Scuola di New York. Ma lamia ambizione è usare la luce vera inuno spazio vero».

Iniziò tutto proprio al Mendota Ho-tel. «In quel periodo utilizzavo unproiettore ad alta intensità e iniziai arealizzare una serie di opere in cui crea-vo volumi geometrici di luce mentredissolvevo lo spazio intorno». Comin-cia così a creare ambienti fatti solo di lu-ce. All’inizio erano proiezioni in interni,realizzate con le tecniche ancora limi-tate degli anni Settanta. Oggi sono am-bienti ottenuti con sofisticatissime tec-nologie in grado di trasfigurare letteral-mente le architetture. E col tempo le in-stallazioni luminose si sono aperte an-che all’esterno. Sono nati così gli Sky-scapes, i “Paesaggi di cielo”. Uno deiprimi, datato 1974, è in una sala subli-me di Villa Panza, dove James Turrellcon altri artisti californiani fu ospite inquegli anni. «Panza di Biumo è statouno dei primi collezionisti a sostenerela scuola californiana, è venuto spessoin California, è stato nel mio studio, haacquistato diverse opere mie e poi di al-tri come Bruce Nauman, Robert Irwin,Walter De Maria, Robert Ryman. E datoche le nostre opere erano progetti sitespecific, realizzati appositamente perun luogo, mi ha invitato a Varese» ricor-da. Il suo Skyscape a Villa Panza ha unnotevole impatto. È una piccola stanza

bianca con il soffitto aperto che inqua-dra una sezione di cielo per indirizzarel’attenzione a fenomeni minimi eppu-re cosmici. L’apertura sul cielo haun’inclinazione e uno studio della lucetali da creare un’illusione di bidimen-sionalità, come se si stesse osservandoun quadro. Bisogna sbattere le palpe-bre, aprire e chiudere gli occhi per rive-derlo. «È proprio questa doppia possi-bilità di visione, quest’illusione, cherende ancora più concreta la percezio-ne del cielo, delle nuvole e dei fenome-ni atmosferici che sembrano illusioni einvece sono autentici».

Ricorda i giorni in cui venne qui peril suo Skyscape: «Per me fu un’esperien-za straordinaria. Ho potuto persino vo-lare. Se l’immagina? Mio padre mi ave-va parlato molto dell’industria aero-nautica italiana, e una volta arrivato aBiumo scoprii che vicino alla Villa c’e-rano ben quattro aziende che costrui-vano aerei. La Caproni aveva appenarealizzato il Calif, un biposto eccezio-nale. L’ho provato più volte, e ho speri-mentato di nuovo, anche qui, quellamagnifica sensazione di fluttuare libe-ro nello spazio e nella luce». La stessasensazione che si prova entrando inGanzfeld, nella Scuderia Grande di Vil-la Panza, un ambiente di luce dove ognipunto di riferimento si dissolve per in-trodurre il pubblico in una dimensioneeterea. All’ingresso ha scritto: “Non so-no un artista della terra, sono comple-tamente coinvolto nel cielo”.

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L’incontroVisionari

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Adoro volare,è una passioneereditatada mio padreFu lui a farmi scoprirel’incredibile potenzadelle albee dei tramonti

James Turrell

CLOE PICCOLI

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