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innamorato il Caruso la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 NUMERO 506 Cult ENRICO FRANCESCHINI LONDRA UORE MIO! VITA MIA! Ani- ma mia! Sangue mio! Bellezza mia! Gioia mia! Ciaciarella mia! Mimmina mia!». È Ca- ruso che parla. O meglio, scrive. O forse, canta: perché le lettere del padre di tutti i tenori, che Christie’s ha scoperto e mette al- l’asta il 19 novembre a Londra, sono l’equi- valente di una lunga canzone d’amore, con una donna come principale destinataria, Ada Giachetti, colei che fu la madre dei suoi due figli, più varie altre comprimarie nel corso del tempo. Un romanzo sentimentale, un feuilleu- ton, un’opera lirica o magari una soap opera, come verrebbe chiamata oggi: in cui l’amo- re della sua vita lo lascia per l’autista di fa- miglia, lui prima le fa causa poi continua a mandarle soldi fino alla morte, la sorella mi- nore sostituisce la maggiore nel suo letto, una spasimante sudamericana sospira per lui, una giovane americana di buona fami- glia lo sposa, un’altra lo denuncia per mole- stie allo zoo di Central Park, New York, e co- sì via, in un carosello di passioni estasiate e furibonde, degne di un dramma di Puccini. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN COMMENTO DI ANDREA BOCELLI ENRICO CARUSO MILANO, 4/11/1897 M IA ADA!VITTORIA! VITTORIA! Nel vero senso della parola. Vitto- ria riportata su tutti e senza che neanche io ne avessi po- tuto pensare, perché incerto della parte in tutto e per tutto. Figurati che credevo, se cantavo come alla prova genera- le, che mi davano un bel congedo in carta bol- lata. Invece non è stato così, perché? Perché la mia adorata mimma pregava per me, non è vero che pregavi per me? Avevo un po’ di nervoso prima di uscire perché avevo la vo- ce, specialmente nei bassi, pesante molto, ma poi venuto il momento d’uscire, dopo d’a- vermi segnato e passato nel mio pensiero tutti i miei più cari, sono uscito. Ho cantato il mio primo duetto stupendamente e special- mente per il tempo, perché la sera prima non ne indovinavo nessuno tant’era la paura che avevo. Esco di nuovo a cantare la mia picco- la romanza e alla fine di questa, che finisce con uno splendido si bemolle, viene giù il tea- tro di applausi, sicuro che sono durati un 5 minuti. Tesoro mio! Se avessi potuto tenerti vici- no in quel momento, perché pensavo a te mentre il pubblico applaudiva; pensavo Oh! se la mia Ada sarebbe qui come sarebbe con- tenta di me, t’assicuro che mi avresti morsi- cato tutto o vita mia cara. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE L’immagine. Letizia Battaglia, la mia vita in bianco e nero Officine. I giochi letterari di Queneau & Co. Spettacoli. Intervista a Robert Wyatt con assolo di Jonathan Coe L’incontro. Christopher Nolan, chi l’avrebbe detto che sarei arrivato fin quassù La copertina. L’era della nuova mediocrità Straparlando. Il lungo viaggio di Topazia Alliata La poesia. L’utopia romantica di Mário De Andrade Timoroso in scena e focoso in privato Nelle lettere inedite il grande tenore come non l’avete mai sentito «C FOTO EVERETT COLLECTION/CONTRASTO

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innamoratoil Caruso

la domenicaDI REPUBBLICADOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 NUMERO 506

CultENRICO FRANCESCHINI

LONDRA

UORE MIO! VITA MIA! Ani-ma mia! Sangue mio!Bellezza mia! Gioiamia! Ciaciarella mia!Mimmina mia!». È Ca-

ruso che parla. O meglio, scrive. O forse,canta: perché le lettere del padre di tutti itenori, che Christie’s ha scoperto e mette al-l’asta il 19 novembre a Londra, sono l’equi-valente di una lunga canzone d’amore, conuna donna come principale destinataria,Ada Giachetti, colei che fu la madre dei suoidue figli, più varie altre comprimarie nelcorso del tempo.

Un romanzo sentimentale, un feuilleu-ton, un’opera lirica o magari una soap opera,come verrebbe chiamata oggi: in cui l’amo-re della sua vita lo lascia per l’autista di fa-miglia, lui prima le fa causa poi continua amandarle soldi fino alla morte, la sorella mi-nore sostituisce la maggiore nel suo letto,una spasimante sudamericana sospira perlui, una giovane americana di buona fami-glia lo sposa, un’altra lo denuncia per mole-stie allo zoo di Central Park, New York, e co-sì via, in un carosello di passioni estasiate efuribonde, degne di un dramma di Puccini.

>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

CON UN COMMENTO DI ANDREA BOCELLI

ENRICO CARUSO

MILANO, 4/11/1897

MIA ADA! VITTORIA! VITTORIA! Nelvero senso della parola. Vitto-ria riportata su tutti e senzache neanche io ne avessi po-tuto pensare, perché incerto

della parte in tutto e per tutto. Figurati checredevo, se cantavo come alla prova genera-le, che mi davano un bel congedo in carta bol-lata. Invece non è stato così, perché? Perchéla mia adorata mimma pregava per me, nonè vero che pregavi per me? Avevo un po’ dinervoso prima di uscire perché avevo la vo-ce, specialmente nei bassi, pesante molto,ma poi venuto il momento d’uscire, dopo d’a-vermi segnato e passato nel mio pensierotutti i miei più cari, sono uscito. Ho cantato ilmio primo duetto stupendamente e special-mente per il tempo, perché la sera prima nonne indovinavo nessuno tant’era la paura cheavevo. Esco di nuovo a cantare la mia picco-la romanza e alla fine di questa, che finiscecon uno splendido si bemolle, viene giù il tea-tro di applausi, sicuro che sono durati un 5minuti.

Tesoro mio! Se avessi potuto tenerti vici-no in quel momento, perché pensavo a tementre il pubblico applaudiva; pensavo Oh!se la mia Ada sarebbe qui come sarebbe con-tenta di me, t’assicuro che mi avresti morsi-cato tutto o vita mia cara.

>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

L’immagine. Letizia Battaglia, la mia vita in bianco e nero Officine. I giochi letterari di Queneau & Co. Spettacoli. Intervistaa Robert Wyatt con assolo di Jonathan Coe L’incontro. Christopher Nolan, chi l’avrebbe detto che sarei arrivato fin quassù

La copertina. L’era della nuova mediocritàStraparlando. Il lungo viaggio di Topazia AlliataLa poesia. L’utopia romantica di Mário De Andrade

Timoroso in scenae focoso in privatoNelle lettere inediteil grande tenorecome non l’avetemai sentito

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la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 28LA DOMENICA

<SEGUE DALLA COPERTINA

ENRICO FRANCESCHINI

DI TUTTO DI PIÙ, come c’è stato di tutto e di più nella vita di un arti-sta senza uguali, nato nel 1873 da una povera famiglia a Napoli,osannato sui palcoscenici di Milano, San Pietroburgo, Londra,New York, primo grande divo moderno della canzone, direttodal vivo da Arturo Toscanini. Ma la caratteristica straordinariadel “Caruso innamorato” che esce prepotentemente fuori daqueste lettere (piuttosto sgrammaticate, in verità) è che si trat-ta di una corrispondenza del tutto inedita. Non l’aveva mai lettaneppure Enrico Caruso junior, suo figlio e autore della sua bio-grafia ufficiale. Il tenore aveva consegnato le missive, insieme auna montagna di altre carte personali, appunti, fotografie, car-toline, telegrammi, ritagli, conti e assegni, a un intimo amico,

Antonino Perrone, all’epoca residente negli Stati Uniti, a Boston, poco prima di ripartire nelmaggio 1921 per Napoli, dove Caruso sarebbe morto appena tre mesi più tardi per i postumidi una pleurite mal curata e altri disturbi, alla precoce età di quarantotto anni. Accadde al-l’hotel Vesuvio, per l’occasione anche quello trasformato in palcoscenico, come per l’adegua-to finale di un’opera, con il divo attorniato da una corte di familiari, medici, amici, servitori.

Fu dunque quasi un testamento spirituale, nelle sue intenzioni probabilmente da mante-nere segreto, quello che consegnò all’amico eche la famiglia di quest’ultimo ha poi custo-dito gelosamente per generazioni, fino allarecente decisione di venderlo, affidandolo auna delle più grandi case d’aste del mondo. El’attesa per l’asta è spasmodica per un archi-vio che, dicono i curatori di Christie’s, contie-ne la «storia non detta» del leggendario can-tante, una nuova fonte essenziale per com-prendere meglio il suo talento, la sua tecnicae la sua spesso problematica vita privata. Nefanno parte ben duecentoquindici lettere au-tografe di Caruso ad Ada Giachetti, la sopra-

no di cui si innamorò mentre era sposata conun altro uomo e che ripudiò il marito per fug-gire con lui, lettere d’intenso desiderio ses-suale («Ada, ho bisogno di sentire il tuo corpoincollato al mio per il resto delle nostre vite»),più altre centoventuno di Ada a Caruso, col-me di romanticismo («Mi sembra di impazzi-re, non riesco a controllarmi, mi pare di mori-re, sono due giorni che non ricevo una tua let-tera, che tortura è questa»). Ci sono testimo-nianze del furore di Caruso quando la rela-zione termina fra accuse reciproche, insieme

alle prove che sino alla fine il tenore continuòa inviare denaro a quella che è stata certa-mente la donna della sua vita.

Sebbene non certo l’unica: venti lettere au-tografe di Caruso a Rina Giachetti, sorella diAda e a sua volta cantante, e centotrentacin-que lettere di Rina a Enrico, raccontano in chemodo lei prese il posto della sorella nel cuore,e sotto le lenzuola, del cantante. E poi altre let-tere d’amore, di Caruso a Dorothy Benjamin,l’americana che divenne la sua prima moglie,di svariate innamorate a lui, come l’ereditie-ra argentina Vina Velasquez, («Mi tesoro,son las 11 de la noche y no puedo dormir»), oLuisa Starace, e della seconda moglie Teresa,della soprano Luisa Tetrazzini, delle donneche gli facevano causa e a cui lui pagava i dan-ni al tribunale di Manhattan pur di mettere atacere i sordidi pettegolezzi.

In questo incredibile archivio c’è molto al-tro ancora, riflessioni sulla fama, sulla pau-ra di andare in scena, sulla stanchezza («Ilpubblico mi ha chiesto un bis per cinque mi-nuti ma io sono crollato a terra stremato e cisono voluti quattro uomini per portarmivia»). Ma su tutto il materiale spicca il “Ca-ruso innamorato”: il più famoso e il più pa-gato cantante della sua generazione, il pri-mo a incidere dischi e a venderne un milionedi copie, la voce e il cognome diventati sino-nimo della lirica, che fa cantare la carta co-me se fosse uno spartito per il suo privato,struggente “elisir d’amore”.

LE IMMAGINI

ENRICO CARUSONEI PANNI DEL DUCA DI MANTOVA NEL “RIGOLETTO” E ADA GIACHETTINEL RUOLO DI MUSETTA NELLA PRIMADE “LA BOHÈME”NEL 1895. AL CENTRO, UNA DELLELETTERE CHE CARUSOSCRISSE ALLA SUA AMATA(4 NOVEMBRE 1897,TRASCRITTAIN QUESTE PAGINE) E UNA DI QUELLECHE ADA SCRISSE AL TENORE (PARIGI, 23 LUGLIO 1912)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Va all’astal’archivio segretodel cantantecon le letterealla sua amataLe nascoseprima di morireEcco il perché

La copertina. Il Caruso innamorato

Cara Ada

RTV-LA EFFE

DOMANI SU RNEWS (ORE 13.45 E 19.45, CANALE 50 DEL DT E 139 DI SKY) IL VIDEOSERVIZIO SULL’ARCHIVIOSEGRETO DI ENRICO CARUSO

la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 29

Amore mio,io non cantoche per te

<SEGUE DALLA COPERTINA

ENRICO CARUSO

BUENOS AIRES, 20/5/1900

AMORE MIO TANTO non mi dir niente perquello che sto per dirti sappi che... inuna sola parola senza andare per lelunghe.. Mi sono tagliato i baffi. Ohlo detto!

Sì Amore l’ho dovuto fare perché mi davanogrande noia ad impastricciarli e poi anche inriflesso alle opere che debbo fare come Werter ealtre così ho creduto bene tagliarli però ve’, almio ritorno li avrò o perbacco se li avrò.Altrimenti non ho coraggio di presentarmi a te,perciò spero che non mi dirai niente per questoanzi appena avrò tempo mi farò una fotografia ete la mando.

BUENOS AIRES 8/6/1900

Amore della mia vita!Ripiglio adesso a scriverti da che ti ho speditol’ultima mia. Dunque la notte del 6 finii di scrivertie dal mondo in cui ti scrissi puoi ben supporre inche stato ero. Difatti ero stanco ma però ero pienodi vita (e guarda bene la chiusa della letteraprecedente) e esaltato. Mi posi sul letto ma chevuoi, invece di addormentarmi pensavo a te epensando pensando feci ciò che non dovevo fare,cioè a dire chiusi gli occhi ecc. ecc.Dopo, reso ancor più stanco di prima, miaddormentai felicemente col tuo nome sullelabbra. La mattina seguente, cioè il giorno 7, misvegliai sognandoti: eri nuda al letto, ed io tibaciucchiavo tutta. Il pubblico ha seguitato per 5 buoni minuti achiedere il bis, e io duro, non lo ho concesso … labattaglia non era ancora finita, ci stava ancora ilfinale. Stavo rauco che più non ne potevo, masiccome c’è un anima buona che prega per me, equesta sei tu, con alla fine del «Baluardo m’è ilvangelo», presi uno di quei si naturali; che me losentii in testa molto bene, e lo tenni fino aquando più non potetti, portandolo più come unbaritono, e giù il teatro, come la prima sera, unapplauso lungo lungo coprì tutto il finaledell’orchestra e coro. Caddi a terra, e rimasi finoa che cala la tela come regola, e dopo ci vollero 4persone per alzarmi tanto che ero stanco.

LONDRA 20/5/1904

Non ho potuto scriverti questi giorni avantiperché ho avuto moto da fare e tu lo hai vedutocioè in 9 giorni fare 2 opere. Il debutto fu per mefelicissimo col Rigoletto. Feci i soliti bisricevendo applausi entusiastici. I Pagliacci poi è stato il colmo dell’entusiasmo. Liho ubriacati tutti senza dargli a bere.

LONDRA 25/5/1904

Di voce sto magnificamente, ma cara mia mi hapreso una di quelle fifite che avanti di cominciareogni rappresentazione, divento talmentenervoso che sono quasi quasi brutale con tutti:vorrei trovare qualche cosa che mi calmi ma nonriesco; mi hanno detto che la camomilla fa bene,ma ho paura di impiastricciarmi lo stomaco.

NEW YORK 28/1/1908

Adesso cominciamo a provare il Trovatore. Quigli accenti drammatici non vogliono entrare intesta a questa gente poiché quando io facciodegli accenti o singhiozzi son freddinell’applaudire; invece quando canto come unautoma sono tutti contenti e fanno i matti. Io hocapito che invece di affaticarmi a dare fare e farecanto in una certa maniera che per gli americanifa effetto e per me è un risparmio ed è perciò chetutti dicono, ah! Come canta Caruso quest’anno.Magnifico!

E dire che da bambinogli preferivo Del MonacoANDREA BOCELLI

DOPO DI LUI, NULLA è stato come prima: EnricoCaruso ha rivoluzionato il mondo della lirica. Lasua carriera segna una discontinuità epocale,modificando l’approccio interpretativo e i gustidel pubblico. Da un lato, tornisce d’inedita

vitalità i grandi ruoli ottocenteschi, rinnovandoli, dall’altroquasi inventa quella tenorilità eroica, di virilità torrida, che lepartiture della Giovane Scuola, al giro di boa del secolo,andavano sempre più chiedendo ai loro protagonisti. Interprete carismatico, d’intelligenza musicale superlativa,ha saputo divulgare nel mondo l’immenso patrimonio delmelodramma: spettacolo nobile e popolare di cui l’Italiavanta con giusto orgoglio la paternità. E poi, fu un grandevisionario, comprese per primo le enormi potenzialità dellanascente industria discografica ed anche grazie a taleintuizione divenne una star planetaria, con oltre un milionedi dischi venduti. Anche nella tecnica vocale, è stato un pioniere. È interessantericordare come Mario Del Monaco descrivesse il segreto dellapropria potenza emissiva, come frutto dell’emulazione

dell’impostazione vocale di Enrico Caruso: un approccio allafonazione con ampio coinvolgimento dell’aritenoide, che è ilmuscolo tensore delle corde vocali e — cito testualmente —“affondando, scavando la laringe, dando massima cavitàall’organo vocale”. Infine, un ricordo del mio primo incontro con lavoce di Caruso: un anziano zio melomane mi narrò,con passione ed eloquenza, delle prodezzeartistiche di quell’interprete napoletano. Dopocotanta presentazione, quando ebbi modo diascoltarne la voce, mi lasciò perplesso...Avevo forse sei o sette anni, ed ero avvezzoal timbro imperioso di Del Monaco, o aquello dolce e appassionato di Gigli... Nonavevo i mezzi per contestualizzarel’artista né per comprendere quanto, sulrisultato finale, potessero agire i mezzirudimentali per captare le voci...Naturalmente ebbi modo di ricredermiampiamente, quando crebbi e quando miavvicinai allo studio del canto.

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ti scrivo

la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 30LA DOMENICA

anni in cui il potere politico e criminale di Palermo stacambiando, i primi cadaveri eccellenti, la guerra di ma-fia che si annuncia alla periferia dell’impero. Con la suagonna svolazzante e con i suoi zoccoli, Letizia arrivasempre per prima sulla scena del delitto. È testimoneoculare nella Palermo più cupa, le sue foto fanno il girodel mondo. E c’è un nuovo amore ancora. Anche lui sichiama Franco. E anche lui fa il fotografo. Compagnoper lunghissimi anni. Quando finisce una storia priva-ta ne comincia una pubblica: la “primavera” palermi-tana, il vento che spazza via i notabili invischiati con iboss, le paure e le speranze di una città. Letizia vienenominata dal sindaco Orlando assessore comunale, de-lega alla Vivibilità Urbana. Porta sempre quelle suegonne colorate e gli zoccoli. «È stato il periodo più bellodella mia vita, più bello della fotografia, mi sentivo cit-tadina e quindi più che solo una fotografa. Ma io non fa-cevo politica, io amministravo, facevo cose concrete,vedevo un angolo sporco e facevo sistemare una pian-ta». Dopo la giunta “colorata” di Leoluca Orlando, l’ele-zione alla Regione Siciliana. «Esperienza inutile, nonfacevo niente, non mi facevano sapere niente».

Poi le stragi. Prima Falcone e Borsellino, un anno dopodon Pino Puglisi. Letizia non vuole fotografare più i mor-ti, gli amici morti. Parte per Parigi. È depressa, per lun-ghi mesi passa le sue giornate al tavolino di un bistrò.«Senza parlare, senza bere perché io non bevo nulla». So-lo una grande solitudine. Lei dentro un gorgo e gli altriche la onorano. Le arrivano i premi più prestigiosi. Dalla

ATTILIO BOLZONI

PALERMO

ERCHÉ TI SEI SPOSATA A SEDICI ANNI? «Perché ho incontrato un uomo che mi amava e mi of-friva il mondo». Torna indietro con i pensieri e con i sensi, sul suo viso scivolano allegrie,pene, qualche tormento. Un sorriso tenero svela però che si è acquietata, che ha capitoche è andata come doveva andare. Se poi sia stata lei a prendersi da sola il mondo o il mon-do a prendersi lei, a questo punto della sua esistenza poco le importa mentre è al riparonella sua casa di Palermo. Un palazzo che sa molto di famiglia. Il suo appartamento è alsecondo piano. Sullo stesso pianerottolo abita il fratello Salvatore, verso mezzogiornogli odori delle due cucine si confondono. All’attico ci sta sua figlia Patrizia. Al superatti-co l’altra figlia Angela, che dopo un viaggio in India è diventata Shobha. Per raccontarese stessa Letizia Battaglia non sa da che parte cominciare. «Dall’inizio o dalla fine? Daquando ero bambina o da quando sono andata a vivere a Parigi, dai miei nipotini o dallemie foto?». Una, bellissima, è alle sue spalle.

Milano, 1971. Un uomo con la faccia coperta da dita nodose. «È Pier Paolo Pasolini al circolo Turati, quel gior-no c’erano anche Dario Fo e Mario Capanna». Milano? «Sì, sono stata lì tre anni, ma forse è meglio iniziare dalprincipio, quando sono nata...».

Pensa all’inizio e ricomincia dalla fine: «Adesso mi sento forte nella testa e nelle mie idee, ho avuto tanto enon voglio più nulla».

Letizia è fatta così, generosamente sottosopra. E così: «Adesso posso non avere più pudori: io sono una maestradi fotografia». E così: «Io non sono una fotografa, la fotografia è solo una parte di me».

Dobbiamo fermarci davanti a un caffè, ricordare per un po’ la nostra Palermo e mettere in ordine uno dietrol’altro momenti e sentimenti.

A marzo Letizia Battaglia compirà ottant’anni. «Sono nata nel 1935, mio padre faceva il marittimo, ci spostava-mo da una città all’altra, Palermo, Trieste, Civitavecchia, Napoli, ancora Palermo...». La memoria pesca lontano. Al-la guerra, i bombardamenti. «Ho negli occhi ancora l’immagine della nostra casa sventrata a Civitavecchia e quel-la di un cane che trascinava, chissà dove, la manica di una giacca con dentro il braccio di qualcuno».

Il primo ritorno in Sicilia. Le elementari alle Ancelle, le alunne con i guanti, gli inchini, i rampolli della grassa bor-ghesia e dell’aristocrazia siciliana. «Fra i banchi ho conosciuto tutta la Palermo bene, io non avevo la divisa fatta dalsarto ma quella che dava la scuola... Un giorno venne una vecchia nobile a casa mia e le dissi “Mamma arriva, intantosi accomodi in salotto”, lei mi guardò con disprezzo e rispose: “Salotto? Mia cara, questo non è un salotto”... non mele sono mai dimenticate le parole e gli occhi di quella donna».

Le prime ansie, i primi slanci, le prime ribellioni. È adolescente ed è già donna. L’amore si chiama Franco. È in-cantata, nel 1951 si sposa. E nonostante l’età, lui — che di anni ne ha sette in più — segna come su una mappa il per-corso della vita di Letizia. «Sarei dovuta diventare una delle tante belle ed eleganti signore di Palermo». Sognava al-tro. Per fortuna arrivano le figlie. Prima Cinzia, poi Angela e Patrizia. Il matrimonio è come una prigione. E dura tan-to, troppo. Letizia se ne va. «Se l’avessi fatto prima avrei tolto infelicità a me e a mio marito... Franco non c’è più dasei anni, l’ho ritrovato, fino all’ultimo giorno sono stata vicina a lui». Nel 1971 — dopo una lunga analisi — lascia laSicilia per Milano. Comincia come cronista, collabora prima con Le Oree poi con Abc, settimanali anticonformisti eanticlericali molto diffusi in quegli anni, servizi di politica e scatti molto osé per l’epoca. Con il “pezzo” le chiedeva-no sempre le foto, altrimenti non glielo pubblicavano. Letizia diventa Letizia: fotografa.

E dopo il primo amore abbandonato a Palermo, trova il secondo amore. Santi, anche lui fotografo. Letizia è curiosa, avida di vita. È in quei mesi che conosce l’altra Milano. E Pasolini. «Ce l’avevo già dentro,

ma da quel momento non me lo sono fatto scappare più... qualche mese prima avevo anche incontrato a Vene-zia Ezra Pound... piangevo...».

Da Palermo quelli del quotidiano L’Ora, che giù tutti chiamavano il L’Ora, prima chiedono a lei e a Santi qualchearticolo sui siciliani diventati “milanesi”, poi il direttore Vittorio Nisticò li vuole in redazione. Scendono. E Letizia èancora nella sua Sicilia. «Ma già allora non c’era una sola Letizia». Fa volontariato alla “Real Casa dei Matti”, l’ospe-dale psichiatrico di via Pindemonte. Fa scuola di teatro al Teatès di Michele Perriera, fa foto che porta sulle scriva-nie di talentuosi giornalisti come Salvo Licata, Mario Genco, Nino Sofia. E si butta nella mischia siciliana. Sono gli

Il matrimonio a sedici anni, la Milano di Pasolini,la Palermo delle stragi, della primavera e di oggiUna vita in bianco e nero ora raccolta in un libro“Certi giorni questi vicoli ancora mi emozionano”

L’attualità.Testimoni

IL LIBRO

“DIARIO” DI LETIZIA BATTAGLIASARÀ IN LIBRERIA DA MERCOLEDÌPROSSIMO 19 NOVEMBRE PER CASTELVECCHI(176 PAGINE, 50 EURO). DA QUI, PER GENTILECONCESSIONEDELL’EDITORE E DELL’AUTRICE, SONO TRATTE TUTTE LE FOTOPUBBLICATE IN QUESTE PAGINE

Arrivava sempre prima sulla scena del delitto“Ma preferisco il periodo da assessore: vedevoun angolo sporco e ci facevo mettere una pianta”

BattagliaLetizia

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la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 31

Francia, dalla Germania, da Londra. È anche la primadonna europea a vincere negli Stati Uniti la borsa Euge-ne Smith. La consacrazione. Torna un’altra volta a Pa-lermo. Ma da quel momento non farà più una mostra nel-la sua città. «Sono passati venticinque anni...».

Letizia è impastata con Palermo, la ama e la patisce,prova rabbia ma non può farne a meno. «Mi emozionosempre camminando nei vicoli... una statua della Ma-donna, un Gesù, gli odori, una finestra sbilenca...».

Sta molto a casa. Con il cane Pippo che azzanna le suescarpe e con il telefono che squilla sempre. Amici vicinie lontani, parenti. «Come le tartarughe mi sono rico-struita una corazza e ho ricostruito la famiglia. L’amorec’era per tutti ma in qualche modo si era disperso». Par-la dei suoi fratelli, quelli che ci sono ancora e quelli chenon ci sono più. E di Massimiliano, Gianfranco, France-sca, Matteo e Marta, i suoi cinque nipoti. E delle sue«splendide figlie». Fotografa ancora. Fotografa le bam-bine. Ce ne sono bellissime, raccolte con cura e scelte perDiario, il suo ultimo libro. «Le cerco, le rincorro, in loro miritrovo io stessa bambina». Quando va in giro per Paler-mo la fermano, l’abbracciano. «Quando ero deputata al-la Regione tutti mi chiamavano onorevole e io alzavo ildito medio della mano e rispondevo “Tié”. Gli onorevolidi solito vengono chiamati onorevoli anche quando nonsono più in carica, a me invece continuano a salutarmisempre nello stesso modo: “Ciao Letizia”...». Ciao Letizia.

LE IMMAGINI

QUI SOPRA “FUNERALI DEL SINDACO DEMOCRISTIANO VITO LIPARI,UCCISO DALLA MAFIA” (1980, CASTELVETRANO). SOTTO “QUARTIERE

ALBERGHERIA” (1977, PALERMO). NELLA PAGINA DI SINISTRA“QUARTIERE KALSA. IL PANE” (1979, PALERMO) E “QUARTIERE LA CALA

LA BAMBINA CON IL PALLONE” (1980, PALERMO). ACCANTO AL TITOLO “LETIZIA CON LE FIGLIE PATRIZIA E SHOBHA” (2014)

“ E poi ci sono le bambine, oggi fotografosoprattutto loro. Le cerco, le rincorro, finisce che mi ritrovo io stessa bambina ”

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la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 32LA DOMENICA

Officine. Esercizi di stile

FABIO GAMBARO

PARIGI

EI TOPI CHE SI COSTRUISCONOda soli il labirinto da cui si propongono discappare». Non senza ironia, Raymond Queneau definiva così imembri dell’Oulipo, l’Ouvroir de littérature potentielle fondatoinsieme all’amico François Le Lionnais a Parigi, in un ristorante diSaint-Germain-des-Près, il 24 novembre del 1960. Non un movi-mento né una scuola letteraria, più semplicemente un laboratorioper un gruppo ristretto di amici appassionati di letteratura, giochie matematica, alle prese con meccanismi letterari calibratissimi,sempre attraversati da una vena di poetica follia. Da allora l’Ouli-po, alle cui attività hanno partecipato anche Italo Calvino, Geor-ges Perec e Marcel Duchamp, ha attraversato in maniera quasi sot-terranea oltre mezzo secolo di storia letteraria francese, rivelan-

dosi un punto di riferimento insostituibile per tutti coloro interessati alle ardite esplorazioni linguistiche di una «let-teratura potenziale» preoccupata innanzitutto di elaborare regole, tecniche e strutture, a partire dalle quali far na-scere opere spiazzanti e imprevedibili.

A questa avventura appassionante, anche se non sempre conosciuta come meriterebbe, la Francia sta per ren-dere omaggio con una bella mostra organizzata dalla Bibliothèque de France negli storici locali della Bibliothèquede l’Arsenal e intitolata “Oulipo: la littérature en jeu(x)”. Aperta dal 18 novembre al 15 febbraio, la mostra curatada Camille Bloomfield e Claire Lesage presenterà oltre trecento documenti, molti dei quali inediti, ripercorrendocosì la storia del gruppo dalla nascita ai giorni nostri, ricordando tra l’altro che le attività di questi sorprendenti gio-colieri della parola proseguono oggi attraverso le ricerche di una quindicina di scrittori, tra cui Marcel Bénabou, Jac-ques Roubaud, Paul Fournel, Hervé Le Tellier et Anne Garréta.

Grazie alla vasta scelta di libri, manoscritti, dise-gni, foto, quadri, lettere, progetti, appunti e giochi, ilvisitatore avrà la possibilità di entrare nell’officinaoulipiana, scoprendo tutte le sfumature di un inge-gneria poetica che trasforma la letteratura in ars com-binatoria, ma sempre in nome della più grande libertàartistica. «Mi impongo delle regole per essere total-mente libero», ricordava paradossalmente Perec, chesi considerava «un prodotto dell’Oulipo al 97%». Nona caso molte delle sue opere sono nate sfruttando inmaniera sistematica le procedure elaborate dal grup-po. Si pensi al romanzo intitolato La scomparsa, unlunghissimo “lipogramma” scritto interamente sen-za mai usare parole contenenti la lettera “e”, che infrancese significa rinunciare a circa un terzo del vo-cabolario, al genere femminile e al tempo presente.Per non parlare del suo capolavoro, La vita istruzioniper l’uso, il cui spettacolare manoscritto è strutturatocome un’immensa scacchiera su cui l’autore si muoveseguendo un elaborato reticolo di regole e vincoli.

Quando Queneau e Le Lionnais inventarono l’Ouli-po come “sottocommissione” del Collegio di Patafisi-ca di Alfred Jarry, probabilmente non immaginavanoche la loro passione per i giochi letterari avrebbe avu-to tanto successo e incontrato tanti estimatori. Calvi-no per esempio si unì al gruppo nel 1972, proponendodiversi testi tra cui il Piccolo sillabario illustratoe L’in-cendio della casa abominevole, un gioco poliziesco astruttura combinatoria che doveva essere lo spuntoper un futuro romanzo. E che l’esperienza oulipianasia stata particolarmente importante per lo scrittoreitaliano, trapiantato in quegli anni Parigi, lo confer-

mano i romanzi di quel periodo — Le città invisibili, Ilcastello dei destini incrociati e Se una notte d’invernoun viaggiatore — tutti costruiti attorno a regole estrutture assai complesse. Come ricorda Raffaele Ara-gona nel bel catalogo dell’esposizione, Calvino evoca-va spesso «il miracolo di una poetica apparentementeartificiale e meccanica che tuttavia poteva dar luogoa una libertà e a una ricchezza infinite».

E come Calvino, molti altri membri del gruppo — daJacques Bens a Harry Mathews, da Paul Braffort a JeanLescure — hanno lasciato innumerevoli testimonianzeindividuali e collettive, figlie di una creatività tutta im-perniata sulla triade gioco-invenzione-sorpresa, solo ap-parentemente gratuita e stravagante. Dagli anagram-mi alle parole incrociate, dalla poesia visiva ai giochi astruttura multipla, la produzione dell’Oulipo è ricca e va-riegata, a cominciare da Cento miliardi di poesiedi Que-neau, esempio perfetto di una letteratura fatta d’infini-te combinazioni che invita il lettore a giocare con il testo,sfruttandone tutte le potenzialità. I membri del gruppoerano però coscienti di non essere certo i primi a muo-versi in tale direzione, motivo per cui inventarono il “pla-gio per anticipazione”. Che poi era un modo per rendereomaggio a quegli autori che in passato avevano fatto del-le regole e delle strutture l’asse portante del loro lavoroletterario: da Arnaut Daniel, il trovatore provenzale delXII secolo inventore della sestina, fino a Raymond Rous-sel, il cui Come ho scritto alcuni dei miei libri è semprestato considerato un sorta di guida spirituale da tutti gliscrittori dell’Oulipo.

Scrivere tutto un romanzosenza la lettera “e”o una poesia con versidi una parola solaA divertirsi cosìcominciaronomezzo secolo faautori comeQueneau, Calvino, PerecOra Parigi ha deciso:la “letteratura potenziale”val bene una mostra

BandaOulipo

La

FOTO DI GRUPPORIUNIONE DELL’OULIPO DEL 23 SETTEMBRE 1975 A CASA LE LIONNAIS.SEDUTI DA SINISTRA: ITALO CALVINO, HARRY MATHEWS, FRANÇOISLE LIONNAIS, RAYMOND QUENEAU, JEAN QUEVAL, CLAUDE BERGE

IN PIEDI DA SINISTRA: PAUL FOURNEL, MICHÈLE MÉTAIL,LUC ETIENNE, GEORGES PEREC, MARCEL BÉNABOU,PAUL BRAFFORT, JEAN LESCURE, JACQUES DUCHATEAU

COSA ACCADREBBESE L’OULIPONON FOSSE MAI

ESISTITO O SE FOSSE SUBITOSCOMPARSO?A BREVE LO RIMPIANGEREMMO.ALLA LUNGA TUTTO TORNEREBBEIN ORDINE E L’UMANITÀFINIREBBE PER TROVARE,ANNASPANDO, CIÒ CHE L’OULIPOSI SFORZA DI PROMUOVERECOSCIENTEMENTE

FRANÇOIS LE LIONNAIS“LE SECOND MANIFESTE”

PARIGI, 1973

«D

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la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 33

STEFANO BARTEZZAGHI

UNA LINEA

immaginaria, edell’immaginario,lega Jacopo daLentini, il notaio

duecentesco che ha istituito ilsonetto, a RaymondQueneau, che settecento annidopo ha incominciato a porsidomande al riguardo: come seuno fosse il sogno dell’altro, ola sua ombra. Cosa significascrivere poesie composte dadue quartine e due terzine diendecasillabi, in cui sialternano quattro rime? Cosasignifica scrivere un romanzosenza usare la lettera “e”? Due affermazioni di Queneauaiutano a capire. Da giovane,Queneau era statosurrealista, aveva bazzicato iluoghi di elucubrazione della«scrittura automatica» e se neera allontanato. Disse di sé diavere frequentato la«negazione della letteratura»(lo scardinamento surrealistadi ogni forma precedente, peresempio il sonetto) e di averepoi negato anche quellanegazione. Propugnava unritorno alla letteraturaclassica? Sì e no. Negli anniTrenta la sua crisiesistenziale, oltre cheletteraria, fu superata propriocon un viaggio in Grecia: alritorno affermò che il poetaclassico che scrive unatragedia seguendo regole checonosce è più libero del poetacontemporaneo che scrivequello che gli passa per latesta ma è schiavo di altreregole, a lui ignote. La libertà della scritturaautomatica, della fantasiaonirica, dell’inconsciosvincolato non produce opere.L’artista cerca il gioco fra lapropria libertà espressiva e lerestrizioni di una grammaticao di una tradizione artisticacasomai da trasgredire. Nei

primi anni Cinquanta siincominciò a parlare dicreatività, cercando diancorare a qualchefondamento tecnico oscientifico la passata visioneidealistica dell’ispirazione.Nel 1960, dopo un convegnoassai conviviale sull’opera diQueneau, a lui e almatematico François LeLionnais venne l’idea difondare un gruppo di studio edi sperimentazione: nacquel’Ouvroir de littératurepotentielle (Oulipo). Ilgruppo e il suo modo dilavorare assieme nonassomigliava ad alcunprecedente, salvo forseall’impresa patafisica diAlfred Jarry. Nel gruppo, mapossibilmente in ognipartecipante, dovevanoconvivere l’intelligenzaletteraria e la scientifica. Iltono di ogni lavoro e di ogniriunione doveva risultarecostantemente semiserio,senza che mai l’aspetto delrigore prevalesse sullo spiritogiocoso e gioioso, né l’inverso.Né puro seminario scientificoné puro cabaret letterario maun continuo compenetrarsidelle due modalità: unainterminabile jam session diparole. Al centrodell’attenzione, la contrainte,traducibile come «vincolo» o«restrizione», a metà stradafra la regola di gioco el’istituto letterario (mal’Oulipo ha avuto anche uninteressante spin offpittorico). Occorreva provarea inventare nuovecontraintes, mirandoidealmente alla stessapotenza generativa dellarima, del verso metrico, dellatragedia classica. Il senso diqueste operazioni è indicatodall’aggettivo che comparenel nome del gruppo, e chedefinisce l’orizzonte apertodalla contraintes: potentielle.La letteratura potenziale è lapossibilità non ancoraesperita, la forma che non haancora trovato la materia incui sostanziarsi. Un esempio:la riduzione delle poesie piùnote in strofette chesembrano haiku giapponesi(o poesie di Sandro Bondi). Siottiene mantenendo solo leparole finali di ogni verso.«Vita/oscura,/smarrita./Dura/e forte/paura./Morte/vitrovai...». Da una sottrazionenasce un testo nuovo: era lì, inpotenza, e la contrainte lo hamesso in atto. Questo lospirito della letteraturapotenziale: una burlascientificamente condottache gioca con i veri strumentiche producono la poesia. Efinisce per farceli conosceremeglio.

RAYMOND QUENEAU

“CENTOMILA MILIARDIDI POESIE” (1960) SONO DIECI

SONETTI I CUI VERSI POSSONOCOMBINARSI TRA LORO

FINO A PRODURRE IL NUMEROPROMESSO DAL TITOLO (OGNI

VERSO È SINTATTICAMENTECOMPATIBILE CON GLI ALTRI,

ED È STAMPATOSU UNA STRISCIA DI CARTA

LIBERA DA TRE LATI)

GEORGES PEREC

NEL 1969 SCRIVE IL ROMANZO“LA SCOMPARSA” DA CUI

È ASSENTE LA VOCALE “E”;È LA STORIA DELLA SPARIZIONE

DI ANTON VOYL (IL NOMECORRISPONDE ALLA PAROLA

"VOYELLE", VOCALE, PRIVA DI E).LA LEGGENDA VUOLE

CHE ALL’USCITA DEL ROMANZONESSUNO SI ACCORSE DELLAPARTICOLARITÀ ALFABETICA

La vera libertàè rispettareregole assurde

ITALO CALVINO

NE “IL CASTELLO DEI DESTINIINCROCIATI” (1973) I RACCONTI

NASCONO DA UNA GRIGLIADI LINEE DI TAROCCHICHE SI INTRECCIANO

SU UN TAVOLO DA GIOCO.OGNI NARRATORE-GIOCATORE

DEVE RIASSUMERELA SUA STORIA IN UNA

SEQUENZA DI TAROCCHI,SENZA USARE PAROLE

MARCEL BÉNABOU

IL SUO “UN AFORISMA PUÒNASCONDERNE UN ALTRO”

(1980) È UNA MACCHINALETTERARIA PER PRODURRE

AFORISMI. L’AUTORE INDIVIDUAFORMULE AFORISTICHE

E ALCUNI INSIEMI DI PAROLE,DALLA CUI COMBINAZIONE

SI RICAVANO AFORISMI INEDITI(COME: “NE UCCIDE

PIÙ L’ARINGA CHE LO SPADA”)

A SINISTRA, DOSSIER PREPARATORIOPER UN ROMANZO POLIZIESCO DI FRANÇOIS LE LIONNAISE MICHEL LEBRUN.SOPRA, RITRATTO IN CIFREDI ETIENNE LÉCROART.SOTTO, IL MANIFESTO DELLA MOSTRA “OULIPO, LA LITTÉRATURE EN JEU(X)”ALLA BIBLIOTHÈQUE DE L’ARSENALDI PARIGI DA MARTEDÌ 18 NOVEMBREAL 15 FEBBRAIO 2015

JACQUES JOUET

“METRO POETICO” (1995) È UNA RACCOLTA DI POESIE

SCRITTE IN METRÒ. OGNIVERSO È STATO COMPOSTO

MENTALMENTE IN UNA TRATTAE TRASCRITTO ALLA FERMATA

SUCCESSIVA. IL LIBROCONTIENE ANCHE LUNGHI

POEMI SCRITTI PERCORRENDOININTERROTTAMENTE

L’INTERA RETE PARIGINA © RIPRODUZIONE RISERVATA

QUI SOPRA,ESTRATTODEL DOSSIERPREPATORIODI “LA VITAISTRUZIONIPER L’USO”DI GEORGESPEREC:UNA BOZZADI PAGINACON DISEGNI

A SINISTRA, QUADERNO CON APPUNTI PREPARATORI PER “LENTE SORTIE DE L’OMBRE” DI JACQUES BENS,TRA I FONDATORI DELL’OULIPO

A SINISTRA, “ORESTE”DI HARRY MATHEWS

via di un drammatico incidente (caddeda una finestra al quarto piano duranteun party alcolico a Londra, e rimase pa-ralizzato). Wyatt oggi risiede a Louth, nelLincolnshire, dove lo abbiamo raggiuntoal telefono in occasione della pubblica-zione di Different Every Time, un doppioalbum che raccoglie i brani più rappre-sentativi del suo vasto repertorio, da Ju-st As You Area The Age of Selffino a Moonin June dei Soft Machine, unitamente auna nuova biografia curata da MarcusO’Dair per l’editrice Serpent’s Tail, chesarà presentata dal cantante il 23 no-vembre alla Queen Elizabeth Hall delSouthbank Centre di Londra.

A gennaio compirà settant’anni, ma è

da tempo che lei ormai conduce una vi-

ta da eremita della musica. Come mai?

«È vero, mi piace la solitudine. Vorreianzi essere molto più solo, ma non sonoun monaco e sfortunatamente non vivoin un monastero. Mi accontento di una so-litudine che non è mai totale, ci sono gliamici e poche altre persone che vedo ognitanto, ma da tempo ho smesso di suona-re in giro. Sono concentrato più che altronel mettere ordine nella mia vita. Per lamusica ho vissuto in modo spericolato eadesso sto provando solo a comportarmimeglio. Poi, certo, a volte mi capita anco-ra di suonare per qualcuno, ma accadedavvero molto raramente. L’ispirazioneperò continua ad arrivarmi. Possono es-sere delle piccole linee melodiche o ar-moniche che sento nella mia testa, o ma-gari mentre sono al pianoforte, oppurequando suono la tromba. Ma possono ar-rivare anche mentre cammino per stra-da, così, all’improvviso».

Nel suo album Comicopera del 2007

ha reinterpretato una canzone dei

C.S.I. di Giovanni Lindo Ferretti, can-

tando in italiano una cosa come «il no-

stro mondo è adesso». Come vede il

presente? Si sente fuo-

ri dal nostro tempo?

«In un certo sensovorrei allontanarme-ne, ma non ci riesco. Èc o m e

quan-

do c’è una guerra in corso. È molto diffici-le chiudersi nel proprio mondo quando ilmondo è in guerra. Non si può rimanereindifferenti. La cosa più difficile per me èquando avverto la sensazione di trovar-mi sempre dalla parte sbagliata: l’esta-blishment e l’opinione pubblica prendo-no molto spesso delle posizioni che diver-gono nettamente dalla mia».

Nella musica ha sempre cercato lo

scambio. Perché le sue collaborazioni

con altri artisti sarebbero, come dice

lei, delle «dittature benevole»?

«Perché se lavoro a un disco mio e invi-to qualcuno a suonarci, sono io che mi as-sumo la responsabilità di quello che saràil risultato finale. E così divento una spe-cie di dittatore. Viceversa se sto suonan-do per il disco di un altro, non spetta a medecidere come produrlo o come fare ilmixaggio o come registrare l’audio».

Con Björk, che la volle per Submarine,

l’intesa fu totale.

«Björk è magica. È lo specchio della suaterra, l’Islanda, che è fatta di ghiacci maanche di vulcani e di geyser da cui sgorgaacqua calda. Incarna la potenza del fuocoe la purezza del ghiaccio, ci mette corag-gio e onestà in quello che fa, nella sua mu-sica, nel modo in cui canta. Per questo col-pisce molto chi l’ascolta. È stato bello can-tare per lei, anche se ero un po’ teso».

Tornando indietro, al 1968, cosa ricor-

da del tour americano dei Soft Machi-

ne con la Jimi Hendrix Experience?

«Una energia nervosa, eccitante. Unbrano dietro l’altro, velocissimi. Non c’e-ra tempo di accordare gli strumenti, diprovare i microfoni. Si saliva sul palco e sisuonava. One, two, three, four, bang!Hendrix era grandioso, e anche molto ca-rino e gentile con tutti noi. Anche gli altridel suo gruppo lo erano. Alla fine del touril suo batterista, Mitch Mitchell, mi re-galò la sua batteria. È la stessa che ho poisuonato negli anni successivi, soprattut-to nel ’69, nel ‘70 e nel ’71. GuardandoHendrix, Mitch e Noel Redding ho impa-

rato molto. Lì con loro, sul pal-co, sembravamo una slot ma-chine».

la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 34LA DOMENICA

“Sì, ho vissuto in modo spericolatoora proverò a comportarmi meglio”A settant’anni, con un disco e un libro,uno dei padri della psichedelia inglesefa ordine nella sua vita.Ma non troppo

RobertWyattSto sempre

Spettacoli. Musica ribelle

GUIDO ANDRUETTO

SITWORTHIT?», ”Ne vale la pena?”,cantava Robert Wyattcon la sua voce dolce e straziante in Shipbuilding, unaballata contro la guerra delle Falkland composta nel1982 da Elvis Costello. Ascoltarla procura un brivido lun-go la schiena, ancora oggi. Segno che il cantautore diCanterbury, dove negli anni Sessanta si era formata unanuova scena musicale d’avanguardia in cui si fondeva-no rock psichedelico, jazz ed elettronica, ha davverodentro di sé il fuoco sacro della musica. Fondatore deiSoft Machine e dei Matching Mole, due band che hannoscritto con i Pink Floyd la storia della psichedelia ingle-se, in cinquant’anni di attività segnati anche dalla sua

militanza nel partito comunista, Wyatt ha collezionato innumerevoli collaborazionicon artisti del calibro di Brian Eno, Syd Barret, David Gilmour, Phil Manzanera, PaulWeller e Mike Oldfield. Non solo: con un pugno di altre band quali The Wilde Flowers,Gong e Caravan, Wyatt è il creatore di un’evoluzione della psichedelia chiamata “pro-gressive rock” e di un particolare sottogenere particolarmente colto e adorato dallacritica che prende proprio il nome di “Canterbury sound”.

Nato a Bristol nel 1945, da quando ha ventotto anni vive su una sedia a rotelle per

RICHARD WRIGHTHA CREATOQUELL’AURORA

BOREALE DI ARMONIEINTORNO AI PINK FLOYDCHE LI HA RESI COSÌ RICONOSCIBILI,EPPURE È SEMPRE STATOSOTTOVALUTATO

CAPITA ANCORACHE SUONIPER QUALCUNO

MA È RARO. L’ISPIRAZIONE,INVECE, QUELLA RESTAPUÒ PRENDERMIQUANDO SONO AL PIANOO PER STRADA, COSÌ,MENTRE CAMMINO

© RIPRODUZIONE RISERVATA

dalla parte sbagliata

«I

la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 35

JONATHAN COE

WYATT. POCHI MINUTI FA

questa pagina erabianca. La fissavo, nonsapendo cosa scrivere.Poi ho chiuso gli occhi e

ho aspettato di vedere qual era la primacosa che mi saltava in mente pensando aRobert Wyatt. È stata un’immagine dellamia scrivania. Una piccola scrivania inlegno di pino che avevo comprato nel1991. Era sistemata in un angolo dellanostra camera da letto nel piccoloappartamento preso in affitto per alcunimesi a poca distanza da King’s Road, aChelsea. Sopra c’era un laptop Toshibanuovo di zecca, mio orgoglio e miafelicità. Me ne vantavo spesso con gliamici, spiegando che quel laptop avevaun hard drive della capacità di 20 MB,grande abbastanza da poter contenerel’intero romanzo che mi ero riproposto discrivere. Infatti avevo iniziato a scrivere.Avevo anche già un titolo — La famigliaWinshaw — e un’idea alquanto concretadella trama e della struttura. Era un libroambizioso, ma l’ambizionefondamentale era quella di scriverequalcosa di fortemente politico che nondesse ai lettori l’impressione di leggereun’arringa. Coniugare rabbia concordialità e comprensione: sarebbe statopossibile? Per molto tempo non ne fuisicuro. Restavo seduto alla scrivaniatutto il giorno e tutta la sera, scrivevoquello che riuscivo a scrivere, ma non eramolto. Poi, più avanti, in quello stessoanno, quasi il giorno stesso in cui uscì,comprai l’album Dondestan di RobertWyatt. Era il suo primo vero album dopoOld Rottenhat, uscito circa sei anniprima, e all’improvviso — riascoltandoquella voce, penetrando in quellasonorità, sentendomi accolto in quellospazio lirico nel quale l’impegno politicoera sempre andato d’accordo con lagenerosità e l’umorismo — mi sispalancò un mondo di nuove possibilità.L’ispirazione che stavo cercando era dasempre lì, sotto il mio naso. Era lì,nell’album di Robert del 1974, RockBottom, quando i suoi straordinarivocalizzi senza parole nella parteintroduttiva di Sea Song avevano fornitouna confortante colonna sonora a moltiadolescenti in preda a delusioni d’amore.Era lì, in Nothing Can Stop Us, nelle suesublimi versioni di cover come StrangeFruit e At Last I Am Free. Ed era stata lì,sicuramente, in Old Rottenhat, l’albumche aveva cristallizzato l’emergere asprodella thatcherite meglio di chiunquealtro, ma che aveva altresì presagitol’ascesa del New Labour dieci anni primache Tony Blair emendasse la Clausola 4(“Se dimentichiamo le nostre radici e chi

Jonathan Coe.Misi su un suo discoe iniziai a scrivere

ERO UN PO’ TESOMA È STATO BELLOCANTARE

PER BJÖRK. È LO SPECCHIODELLA SUA TERRAINCARNA LA POTENZADEL FUOCO E LA PUREZZADEL GHIACCIO. CI METTECORAGGIO E ONESTÀ

QUEL GIORNOCON JIMI HENDRIXSEMBRAVAMO

UNA SLOT MACHINEUN BRANO DIETRO L’ALTRO,NEANCHE IL TEMPODI ACCORDAREGLI STRUMENTI E PROVARE.SI SALIVA E SI SUONAVA

ELVIS COSTELLOÈ UN GRANDE:È CAPACE DI PORTARE

SUL PALCO UN QUARTETTOD’ARCHI, POI DI COLPOUN SET DI PERCUSSIONIE DOPO UN’ORA E MEZZAUN LIVE ROCK’N’ROLL.MAGNIFICO

siamo/il movimento si disintegrerà comefanno i castelli costruiti sulla sabbia”). La più famosa caratteristica delle band diCanterbury — al di là del lorovirtuosismo strumentale,dell’autolesionismo tipicamente inglesee di certe tendenze dadaiste — era la loroassoluta incapacità di raggiungere unvasto pubblico, di spiccare il volo dallepagine delle riviste specializzate dimusica per raggiungere i mass media ela coscienza nazionale. Troppoespansivi? Troppo chiusi? Chissà. Unadelle due ovvie eccezioni a questa regolafu Tubular Bells di Mike Oldfield. L’altra èRobert Wyatt. Nel trambusto del mondomusicale britannico alla fine degli anniSettanta, la maggior parte degli artistiche erano riusciti ad affermarsi facevafatica a restare a galla. Robert, invece,pareva procedere a vele spiegate. Buona parte della longevità e dellapopolarità di un artista dipendono indefinitiva dalla fortuna, ma in questocaso non penso che la fortuna ebbe moltoa che farci. Oggi le sue canzoni sono piùconosciute, sempre più trasmesse e piùamate che mai. E questo dipendesicuramente dall’ampiezza della suavisione. Dopo i suoi album per la Virgindegli anni Settanta, Wyatt sviluppò unanuova prospettiva, più apertamentepoliticizzata, senza perdere nulla del suoumorismo o della sua autoironia — eranoun po’ il suo marchio di fabbrica. Tutto aun tratto la sua musica non fu piùintroversa, ma proiettata verso l’esterno,inclusiva, universale. Iniziò a parlare (e acantare) per una generazione intera. Esono sicuro che lo feceinconsapevolmente, altrimenti se nesarebbe astenuto. Rabbrividisco al solopensiero di come sarebbero stati gliultimi decenni senza il commentocontinuo e alternativo fornito dallamusica e dalle parole di Robert. Una voltadisse che non aveva nulla da obiettarealle canzoni che non avevano senso,perché quando le canzoni hanno senso ilpiù delle volte a lui quel senso nonpiaceva. Per quanto riguarda le suecanzoni, saranno anche indefinite,sicuramente. In qualche caso addiritturaeccentriche. Per me, però, hanno unsenso di gran lunga superiore allamaggior parte delle cose che ci sono almondo oggi. Sempre più, Robert Wyatt èla voce del buonsenso. Canzoni sensateper tempi insensati. Non sorprende diconseguenza che io, come innumerevolialtre persone, sia stato ispirato edelevato da esse così a lungo. E per questosarò loro grato per sempre.

(Traduzione di Anna Bissanti) © 2014 Marcus O’Dair/Serpent’s Tail

London www.profilebooks.com© RIPRODUZIONE RISERVATA

IERI E OGGI

IN BASSO ROBERT WYATTAI TEMPI DEI SOFT MACHINE(IL SECONDO DA SINISTRA)E IN QUESTORITRATTO COMEÈ OGGI A QUASISETTANT’ANNI

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la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 36LA DOMENICA

Next. Semaforo verdeDa Los Angeles a Seoul,come usare le informazioni per migliorare la vita nelle metropoli

JAIME D’ALESSANDRO

LOS ANGELES

ER INCONTRARE IL FUTURObisogna attraversare il passato, almeno a Los Angeles.Bisogna entrare nel municipio, Downtown, anno 1928, salirne le scalinate mo-numentali, percorrerne i corridoi troppo grandi e troppo vuoti e camminaresui pavimenti in graniglia con disegni déco. La City Hall sembra ferma a Il gran-de sonno di Chandler con echi che arrivano fino a L. A. Confidential di Ellroy oa L. A. Noire della Rockstar Games. Il presente è visibile solo in alcune foto al-le pareti: Eric Garcetti, sindaco democratico di appena quarantatré anni. Il fu-turo invece ha il volto di Peter Marx, da febbraio il primo “Chief Innovation Te-chnology Officer di Los Angeles”. Carica che, fino a ieri, apparteneva al mon-do delle aziende hi-tech e non certo a quello dell’amministrazione pubblica.Barba bianca, tono pacato, Marx ha passato alcuni anni a Roma quando erapiccolo. Il padre lavorava a Cinecittà. «Ho anche una Vespa», racconta sorri-

dendo mentre ci sediamo nella sala del consiglio. Con un lungo passato nel mondo dei videogame, primadi esser chiamato da Garcetti era vicepresidente della Qualcomm, colosso dei microprocessori per mo-bile. «Chi me lo ha fatto fare? Lavorare su un’intera città è un’opportunità unica. Non capita due volte»,spiega. «La tecnologia sta cambiando la nostra vita e la vita di molti di noi si svolge nelle metropoli. LosAngeles è sempre stata una città che guardavaavanti. Uno dei nodi di Arpanet, il primo nucleo diquel che poi sarebbe diventata Internet, era qui. Esempre qui ci sono università come il California In-stitute of Technology. È grazie agli Open Data cheportiamo avanti questa tradizione». Lo scorso 31maggio, il sito data.lacity.org, ha aperto i battenti:pubblica in tempo reale tutte le informazioni rela-tive alla città, dagli incidenti stradali al consumoidrico ed energetico e chiunque può usarle per svi-luppare servizi. Ma soprattutto i 37 dipartimentidell’amministrazione comunale possono incrocia-re i dati riducendo gli sprechi e aumentando la pre-cisione degli interventi. «Oggi gli smartphone, do-mani le automobili e dopodomani le infrastrutturestradali, trasmetteranno una quantità enorme diinformazioni che riguardano la città», continuaMarx. «Devono essere pubbliche. Perché non è cor-retto che i dati siano appannaggio di pochi, e d’al-

tra parte le risorse a disposizione de-gli enti pubblici sono limitate. Ci

MILANO, GENOVA, ROMA E SOPRATTUTTO BOLOGNA E TORINO STANNO APRENDO PORTALI DEDICATI A OPEN DATA DOVE VENGONO PUBBLICATE STATISTICHE E ANALISI. MA PER ELABORARE

SeoulIL 96 PER CENTO DEI CITTADINIÈ CONNESSO AL WEB. TUTTI I SERVIZIDELLA MUNICIPALITÀ SONOACCESSIBILI DA MOBILE E PERFINODA SMART TV. INTANTO SI LAVORAA MIGLIORARE SISTEMI INTELLIGENTIPER LA GESTIONE DEL TRAFFICO

SingaporeÈ LA CITTÀ CHE DA VENTI ANNIHA INVESTITO LE RISORSE MAGGIORIIN OPEN DATA E BANDA LARGA.HA IL SISTEMA INTEGRATODEI TRASPORTI PIÙ COMPLETO. I DATIVENGONO GESTITI IN TEMPO REALEPER MIGLIORARE LA VIABILITÀ

Se i Big Data sono il braccio destro del sindaco

PChicagoÈ LA REGINA DEGLI OPEN DATA.LA CITTÀ ORGANIZZAIN CONTINUAZIONE HACKATHON,MARATONE DI HACKER,PER SVILUPPARE APPLICAZIONILEGATE AI SERVIZI AI CITTADINIE SOSTIENE I PROGETTI MIGLIORI

NizzaL’ANNO SCORSO HA LANCIATO“CONNECTED BOULEVARD”: SENSORIPER IL TRAFFICO, SUI CASSONETTI,NEI PARCHEGGI. IN CENTROSI PERDEVA IL 47 PER CENTO IN MENODI TEMPO PER IL PARCHEGGIO. ORAVIA APP SI SPENDONO POCHI MINUTI

Barcellona

Rio de JaneiroVENGONO RACCOLTI I DATIDA TUTTA L’AREA URBANA,DAL TRASPORTO ALLA CRIMINALITÀ,CHE POI VENGONO GESTITIIN MANIERA INTEGRATA.ANCHE IN QUESTO CASO I DATI SONO APERTI

Italia

TUTTI I TRASPORTI E I SERVIZIAI CITTADINI SONO ONLINEE VENGONO GESTITI IN TEMPO REALE.ALLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE IL COMUNE DÀ ACCESSO AI DATIE ALLE INFRASTRUTTUREPER SVILUPPARE NUOVI PROGETTI

la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 37

sono molte persone in gamba che lavorano per que-sto municipio e molte altre che lavorano per societàprivate. L’unico modo per sfruttare il talento delleune e delle altre è permettere che tutti possano ac-cedere alle informazioni».

Anche Chicago ha recentemente lanciato unprogetto simile, mentre fra i comuni più attivi ci so-no New York, San Francisco, Boston, Atlanta. Ma ilpunto non è tanto se le nostre città diventerannosmart, ma comefaranno a diventarlo, quanto tem-po ci metteranno e quanti investimenti sarannonecessari. «Di progetti pilota per una “città intelli-gente” l’Italia è già piena», sottolinea Nicola Villa,che per la Cisco si occupa proprio di Big Data e ana-lisi avanzate. «Peccato che non basti installare trepanchine o qualche lampione dotato di sensori perfare il salto di qualità. Dal trasporto pubblico ai te-lefoni che abbiamo in tasca, è un proliferare di stan-dard diversi che rendono difficile se non impossi-bile la costruzione di servizi che funzionino davve-ro». City Protocol, nato a Barcellona due anni fa, hacome missione proprio quella di creare piattafor-me per le città partendo spesso dalla logica degliOpen Data. Dell’organizzazione, alla quale si ade-risce pagando una piccola quota annuale, fannoparte quaranta città: Amsterdam, Buenos Aires,Genova, Helsinki, Istanbul, Livorno, Milano, Mo-sca, New York, Parigi, Roma, Seoul, Stoccolma,Taipei, Torino, Venezia. E multinazionali di primagrandezza del calibro di Microsoft, Cisco, Fujitsu,GdF Suez, Hp, Ibm, Italtel, Oracle, Siemens, Te-lefonica, più una serie di università e centri di ri-cerca. Prosegue Villa: «Molte iniziative interessan-ti falliscono proprio per l’assenza di un denomina-tore comune. Capita che un’azienda municipaliz-zata faccia un bando e acquisti dei mezzi che usanocerti sensori che poi magari non si parlano con quel-li installati ai semafori da qualcun altro. L’altroostacolo è lo stabilire chi raccoglie, possiede e or-ganizza i dati in modo che siano accessibili e fruibi-

li». A Los Angeles è un compito che svolge il Comu-ne, ad Amsterdam è invece una società a parteci-pazione pubblica così come a Singapore dove si in-crociano i dati (anonimi) forniti dagli operatori te-lefonici con i sensori sparsi per la città e i gps mon-tati sui mezzi pubblici, così da modificare in temporeale sia le tariffe di accesso al centro secondo il traf-fico sia la coordinazione dei semafori.

Stiamo parlando di volumi di dati enormi chevanno elaborati in tempo reale. Se semplicementesi immagazzinano su un database per poi essereelaborati in seguito non sarà possibile fornire ser-vizi puntuali. Bisogna abbandonare il concetto deidati statistici e passare a quello dei “dati predittivie prescrittivi” che permettono non solo di cambia-re subito il numero di tram su una certa linea se-condo il numero di passeggeri, ma di anticipare leesigenze della città secondo le condizioni che sistanno verificando. «Il futuro è una grande mappatridimensionale della città, interattiva, accessibi-le a tutti e che muta secondo per secondo», imma-gina Marx. «Quando lavoravo al videogame Sim-Citypensavo che un’immagine verosimile delle no-stre metropoli avrebbe potuto avere un aspetto delgenere. Ma SimCity è solouna simulazione, nel no-stro caso invece sarà la rappresentazione di una co-sa vera». Che, per una volta, potrebbe esser privadi copyright. E per questo anche piena di pericoli,aperta sia a buone idee sia a chi i dati vuole usarliper un suo tornaconto. «Non a caso ad Amsterdamla società che raccoglie e gestisce i dati è a parteci-pazione pubblica», nota Giancarlo Capitani del Po-litecnico di Milano. «Se le grandi multinazionalidell’hi-tech iniziano a sviluppare applicazioni e ser-vizi per le smart cities attingendo agli Open Data,di fatto gli si lascia campo libero in un settore stra-tegico. Bisogna avere una visione di insieme e com-piere scelte precise». Esattamente quel che in Ita-lia non sta accadendo salvo pochissime eccezioni.

LE INFORMAZIONI E GESTIRE IL TRAFFICO IN TEMPO REALE C’È ANCORA MOLTA STRADA DA FARE

AmsterdamDOPO LOS ANGELES, HA NOMINATOUN CHIEF INNOVATION TECHNOLOGYOFFICER. TUTTA LA CITTÀ È CABLATAIN FIBRA: CONTROLLO DEI CONSUMIENERGETICI, SISTEMADI ILLUMINAZIONE CONNESSO WI-FI E SISTEMA DI VIABILITÀ INTEGRATO

Perché siano davvero utili vanno elaborate in tempo reale. Già, ma da chi?

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Los AngelesÈ STATA LA PRIMA CITTÀ A DOTARSIDI UN CHIEF INNOVATION TECHNOLOGYOFFICER. DAL 31 MAGGIOMETTE ONLINE TUTTI I DATI RELATIVIALLA VIABILITÀ, AL CONSUMOENERGETICO, ALLA RACCOLTAE ALLO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI

San FranciscoHA INIZIATO A CONNETTEREGLI AUTOBUS NEL 2004. REALIZZA“ECO MAPPE” DELLA CITTÀ USANDOLE RILEVAZIONI TERMICHEDELLA NASA PER AUMENTAREIL RISPARMIO ENERGETICO.IL COMUNE SOSTIENE LE START UP

la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 38LA DOMENICA

Mandorlee misticanzaNIKO ROMITO

propone un mix di verdure di campo condite con aceto di vino,extravergine e salemarino, appoggiate su una crema moltodensa, realizzataemulsionandomandorle e acqua

Sapori. Vecchi e nuovi

LICIA GRANELLO

L MEDITERRANEO FINISCE là dove finisce l’ulivo”, so-steneva lo storico francese Bernard Braudel. Inrealtà, negli ultimi anni i cambiamenti climati-ci hanno spinto gli ulivi fin quasi a un passo dal-le Dolomiti, non esattamente il territorio cuipensava il dottor Keys quando negli anni Cin-quanta mise in connessione cibo, geografia elongevità nei suoi studi cilentani.

Seimila anni dopo la domesticazione dell’uli-vo, chiediamo ancora all’alimento-simbolo del-la dieta mediterranea di farci vivere bene e a lun-go, esattamente come aveva promesso agli uo-

mini la dea Atena. E in coda all’olio, una scia di alimenti che hanno segnatola nostra storia culinaria.

Sono passati esattamente quattro anni — 16 novembe 2010 — dal giornoin cui la dieta mediterranea è stata dichiarata patrimonio culturale imma-

Mediterranea superstar.Buon compleanno dieta,premiata dall’Unescoora in versione grandi chef

10 piattid’autore

REALE CASADONNA

CONTRADA SANTA LIBERATA

CASTEL DI SANGRO (AQ)TEL. 0864-69382

Pastae patateNINO DI COSTANZO

ne elabora una versionestraordinaria: sul piatto 23 formati di pastaartigianale e tre tipologie di patate (bianche,gialle e viola) in diverse consistenze

IL MOSAICO TERME MANZI

P.ZA BAGNI DI GURGITELLO 4CASAMICCIOLA TERME (NA)TEL. 081-994722

Mare&montimediterraneiMARIANNA VITALE

ricostruisce nel piattogli elementi della piramidealimentare: lingua di vitello con pesce azzurromarinato, verdure locali,maionese al pomodoroe polvere di capperi

Alici e pappaal pomodoroVALERIA PICCINI

associa il simbolo della tradizionecontadina toscana alla reginetta del pesce azzurro in una lasagnetta con pasta fillo Completa il piatto una quenelle di sorbettoal pomodoro

DA CAINO

VIA DELLA CHIESA 4MONTEMERANO (GR)TEL. 0564-602817

Al mercatoFino a metà febbraio, a giovedìalterni, al Mercato del Carmine

di Genova, Chef Kumalé, super esperto di cucine

del mondo in Italia, declinerà al plurale il concetto di “cucina

mediterranea”, attingendo alle tradizioni culinarie dei paesi

affacciati sul mare nostrum

I laboratoriDurante le “Giornate della dieta

mediterranea – patrimonioUnesco”, a Bologna in questi

giorni, incontri e degustazioni di prodotti cilentani. Originali

i laboratori dedicati al consumoconsapevole dei prodotti ittici

e alla produzione casalinga di pane con farine antiche

L’appuntamentoCarrie D’Andrea Keys,

figlia dello scienziato-simbolo della dieta mediterranea Ancel

Keys, sarà l’ospite d’onore del primo Salone Internazionale

della Dieta Mediterranea, dal 21 al 23 novembre a Pioppi, la cittadina cilentana dove Keys

condusse le sue ricerche

ESATTAMENTEQUATTRO ANNI FA

VENIVADICHIARATA

“PATRIMONIOCULTURALE

E IMMATERIALEDELL’UMANITÀ”.

PARTENDO DALLA TRADIZIONE ECCO DIECI PIATTI

“RIVISITATI” PER FESTEGGIARLA

NEL SEGNODELL’INNOVAZIONE

“IRicciolafuméERNESTO IACCARINO

utilizza l’affumicatore a bassa temperatura per profumare la tagliata, presentata con salsa di yogurt, maionese al pompelmo, polvere di cedrangoloed extravergine

DON ALFONSO

CORSO S. AGATA 11S. AGATA SUI DUE GOLFI (NA)TEL. 081-8780026

SUD

VIA S. PIETRO E PAOLO 8QUARTO (NA)TEL. 081-0202708

la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 39

teriale dell’umanità Unesco a Nairobi. Una vittoria culturale prim’ancorache gastronomica, capace di far salivare di soddisfazione i golosi di tutto ilpianeta. Sotto il capiente cappello della dieta mediterranea, infatti, coesi-stono pizza e bruschette, piatti storici come pasta e fagioli e i crostacei sottovuoto con emulsione di agrumi della cucina 2.0, l’intero plateau dei formag-gi e la zuppa di pesce, le penne alla Norma e la pastiera napoletana. Il tutto,annaffiato da un buon bicchiere di vino (meglio se rosso) e senza demoniz-zare le carni, che, a piccole dosi, abitavano anche le tavole dei centenari abi-tanti di Pollica e dintorni.

Quella che oggi ci appare una scelta obbligata per guadagnare in salute,inseguiti come siamo dal terrore di tumori, ipertensione e diabete, un tem-po lo era per motivi opposti: le malattie da benessere erano sconosciute ai piùsemplicemente perché il benessere era un lusso, e per sopravvivere ci si do-veva accontentare degli alimenti più poveri a disposizione, ovvero farinegrezze, verdure, legumi, formaggi, pesce (povero anche lui).

Come spesso succede, è stato il mondo a consegnarci lo specchio dove ri-mirare il nostro tesoro, dai lavori di Keys — che non a caso si trasferì in pian-ta stabile nel Cilento, dove morì ultracentenario — ai mille riconoscimentiscientifici, su su fino al convegno internazionale “Food for tomorrow”, orga-nizzato appena la scorsa settimana a New York, dove gli interventi incentratisul futuro del cibo hanno spaziato dall’agricoltura sostenibile alla necessitàdi abbracciare una cultura alimentare più sana, portando a modello il regi-me alimentare esaltato da Ancel Keys.

Così, tra chi propone di dedicare alla dieta mediterranea una giornatamondiale e chi vorrebbe trasformarla in brand, la passerella è garantita dal-l’alleanza di cuochi e produttori.

In una recentissima indagine del Centro di ricerche sociali sulla Dieta Me-diterranea dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, il termine “cuci-na mediterranea” è stato sottoscritto dal primo all’ultimo dei cinquanta chefstellati italiani intervistati. Accanto a loro, gli artigiani che assicurano la qua-lità dei fagioli di Controne e dei fichi dottati, del pesce di paranza e del pro-volone del monaco. Addentando una frisella con pomodorini e alici li bene-direte tutti.

MAURIZIO DE GIOVANNI

ICIAMO LA VERITÀ: è il termine“dieta” che dà fastidio.Sappiamo che ha solo ilsignificato di “regimealimentare” e che quello che

conta è l’aggettivo che segue: ma il suonodella parola, soprattutto se pronunciatoda un dottore in camice bianco e occhialie fronte corrugata lascia insorgereimmediato il senso di colpa e lo spettro dilunghi periodi di sacrifici. Dieta: unasentenza che ha in sé la condanna, perchi come noi combatte strenuamentecontro la tendenza a mettere peso anchesolo pensando al cibo, e che è fortementeconvinto della necessità del carcere duroper tutti coloro che si ingozzanoimpunemente senza ingrassare.La dieta, si sa, viene inflitta a ogni pie’sospinto. Pressione alta? Dieta.Pressione bassa? Pure. E la risposta è lastessa per ogni malessere, dalla gastriteal ginocchio della lavandaia, dalladepressione al gomito del tennista.Dieta. Per l’uomo comune, quindi, dietavuol dire rinuncia a qualsiasi cosa abbiaun minimo di sapore e sia in qualchemaniera appetibile, privilegiandoindegne gallette di riso soffiato emerendine al polistirolo. Ma è qui che,miracolosamente, ci viene in aiuto lanostra cara, vecchia dieta mediterranea:un ombrello etimologico, un’etichettache assolve e libera da ogni peccato dinatura alimentare. Perché come possonoessere loschi e proibiti alimenti prodottidalle nostre terre, frutto di unamillenaria tradizione agricola? Comepossono rientrare in terribili liste diproscrizione cibi che caratterizzano lastoria di un popolo e che nascono al sole edalla terra di luoghi così ameni come ipaesi del bacino del Mediterraneo? Comepuò essere peccaminoso un regimealimentare che ha il sapore della culturastessa, ed è anche riconosciutodall’Unesco come patrimonioimmateriale dell’umanità?Ecco quindi che magicamente la parolaterribile, quella che evocal’automortificazione e i sordi rumoridello stomaco solitario e disperato alcospetto di ogni vetrina di rosticceria,diventa un’assoluzione e addirittura unapanacea. Perfino termini terribili, come“carboidrati” e “lipidi”, pronunciati amezza voce in nascoste piazze di spacciocome le trattorie tipiche, tornano allaluce e vengono sdoganate col sorriso,perfino dai temuti e normalmentearcigni nutrizionisti.E noi, vittime imperfette della strisciantepinguedine, potremo sederci di fronte auna meravigliosa caprese (mozzarella,pomodoro, due foglie di basilico eabbondante pane fresco) con rinnovatoardore e la coscienza limpida come l’olio.D’oliva, naturalmente extravergine.

La capreseche ci assolveda ognipeccato

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DCous cous,colori e profumiVITTORIO FUSARI

incrocia la consistenzadell’incocciatura di grano marocchinocon sapori e sentori di broccoli, pomodori,sardine essiccate, nero di seppia,extravergine e mozzarella di bufala

Compressionedi pasta e fagioliMASSIMO BOTTURA

rivisita la zuppa più classica in un bicchiereriempito a strati:crema di fagioli,bianco di radicchiospadellato,maltagliati di crosta di Parmigiano e rosmarino

LA FRANCESCANA

VIA STELLA 22MODENA

TEL. 059-223912

Ricci e cremadi cavolfiore ROBERTO PETZA

vela il fondo del piatto con una crema di cavolfiore (stufato e frullato)Sopra, mandorlecondite con scorze di limone,sale marino a fiocchi e sorbetto di ricci

S’APPOSENTU

VICO CAGLIARI 3SIDDI (VS)TEL. 070-9341045

Calamarataai frutti di mareGIUSEPPE MANCINO

declina la pastaartigianale campana in tripla cottura: bollita, spadellata con calamari, cozze, vongole, poi a bagnomaria nel vetro con verdure e frutti di mare

Baccalàpietre di RagusaCICCIO SULTANO

spadella il baccalà prima di cuocerlo a bassatemperatura.Assemblaggio con polvere di fiori di finocchio e aglio fritto, meringa salata e fagioli Cosaruciaru

DUOMO

VIA BOCCHIERI 31 RAGUSA IBLA

TEL. 0932-651265

DISPENSA PANE E VINI

VIA PRINCIPE UMBERTO 23TORBIATO DI ADRO (BS)TEL. 030-7450757

PICCOLO PRINCIPE

PIAZZA PUCCINI 1VIAREGGIO (LU)TEL. 0584-4011

ClassicaPenne con pomodorini,olive e basilico:una delle ricettepiù amate della dietamediterranea

la Repubblica

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014 40LA DOMENICA

A sette anni con “2001: Odissea nello Spazio” scoprì la magia del ci-

nema e da allora non ha più smesso di rincorrerla. Con uno scopo

piuttosto preciso: “Restituire al pubblico la stessa emozione che

provai quel giorno in sala con mio padre”. Ci deve essere riuscito se

in quattordici anni i suoi film, da “Memento” all’ultimo “Interstel-

lar”, hanno fruttato tre miliardi e mezzo di dollari. “Da ragazzino de-

cisi che avrei fatto il regista. Ed

ero certo di potercela fare, mi sa-

rebbero bastati un paio di attori e

una telecamera. Solo che non

credevo che qualcuno alla fine

mi avrebbe anche pagato”

ChristopherNolanARIANNA FINOS

PARIGI

HRISTOPHERNOLANsi imbattè nel genio di Stanley Kubrick a sette an-ni. «Mio padre mi portò a Leicester Square a vedere 2001: Odisseanello spazio. Non ricordo nulla di quel giorno, né di quel che mi dis-se papà. Ma sento ancora l’emozione del ragazzino che scopre la po-tenza del cinema. Certe immagini grandiose del viaggio finale, la

scena in cui il computer Hal legge le labbra degli astronauti, mi sono rimaste den-tro. Ecco, da regista mi piacerebbe restituire al pubblico quella stessa eccitazio-ne, il senso di magia, di grandezza che solo il grande schermo può regalare».

L’appuntamento è all’Hotel Le Bristol, vicino agli Champs Élysées. Davantiall’albergo delle celebrità, bloccata dietro le transenne, una piccola folla di ra-gazzi. Non sono cinefili ma fan in attesa di un’altra ospite famosa, Lady Gaga. Inquesta stessa saletta, due anni fa, l’incontro con Nolan fu cancellato all’ultimomomento, sull’onda dell’orrore della strage nel cinema di Denver in cui si proiet-tava il suo Il Cavaliere oscuro. Il ritorno. Era l’ultima traversia di una trilogia,quella di Batman, tanto geniale quando circondata da un inquietante alone oscu-ro anche fuori dallo schermo. La morte, nel 2008, di Heath Ledger, al cui Jokersarebbe stato tributato un Oscar postumo. Vari incidenti sul set e, nel 2012, lasparatoria in sala. Ultimata la resurrezione cinematografica dell’Uomo pipi-strello, Nolan è uscito dal girone infernale di Gotham per rivedere le stelle.E si è lanciato nella sua odissea spaziale e sentimentale. Il suo Interstellarè un kolossal basato sulle più moderne teorie scientifiche, ma anche il suofilm più romantico: «Il cuore della storia è la relazione tra un padre e un fi-glio, il diverso modo in cui questo rapporto può essere interpretato o messoalla prova. E anche per questo il film è pieno di amore e di speranza».

Figlio di un pubblicitario inglese e di un’assistente di volo america-na (ha entrambe le cittadinanze) Christopher Jonathan James No-lan, quarantaquattro anni, ha passato l’infanzia tra Londra e Chi-

cago. A sette anni prese in mano la telecamera: «Ho iniziato agirare film con la Super8 di mio padre». Il fratello sceneggiato-re, Jonah, di sei anni più giovane, annovera tra i primi ricordiquello di Chris che gira filmini con i pupazzetti in viaggio versolo Spazio, in una casalinga stop motion. Ciuffo biondo ben petti-nato, abiti eleganti da ufficio, una compostezza che è retaggio de-gli anni nel collegio a indirizzo militare. A contrastare la freddez-za dell’aspetto, la timidezza con cui si racconta. Spiega così le giac-che che indossa sul set e il suo non vestire casual come tanti suoicolleghi: «Sono abituato alle uniformi dai tempi della scuola. E ten-

do a indossare lo stesso tipo di vestiti per non perdere tempo a sceglierli. E poi letasche della giacca possono rivelarsi molto utili per infilarvi oggetti inutili».

Nolan è abituato ai set fai-da-te. Ha iniziato a fare sul serio all’università, gi-rando cortometraggi autofinanziati. Fu al corso di letteratura inglese che co-nobbe Emma Thomas, oggi sua moglie, madre dei loro quattro figli e sua pro-duttrice. Nel 1989 il primo cortometraggio, Tarantella: «Non so nemmeno se esi-sta ancora, da qualche parte» ride. «Era una serie di immagini messe l’una ac-canto all’altra a contrasto, per la pura gioia di farlo. Poi subito dopo è nata l’am-bizione, la necessità di sostenere le immagini con una narrazione». Seguono duecorti, Larceny e il kafkiano Doodlebug in cui un uomo insegue un insetto in unastanza per poi scoprire che si tratta di una copia di se stesso e subire la stessa sor-te. Suscitano apprezzamenti, ma Nolan deve comunque pagarsi il debutto nellungometraggio. «The Followingl’abbiamo girato con un gruppo di amici nei fi-ne settimana, una grande fatica». Il film, in bianco e nero, è un rompicapo noirche contiene già gli elementi tipici del cinema di Nolan. Gli scarti temporali, i col-pi di scena, la paranoia dei personaggi. Della sua formazione da autodidatta spie-ga che «il vantaggio è stato il confronto fin da subito con ogni aspetto pratico etecnico del cinema. Ho imparato a registrare il suono, a montare, a usare la ca-mera. E questo mi ha dato una conoscenza d’insieme a la capacità di capire lequalità tecniche dei collaboratori». The Followingarrivò in sala e Nolan ebbe co-sì i soldi per finanziare Memento: «Un budget da quattro milioni e mezzo di dol-lari, un set vero: lì la mia vita è cambiata». Il film, infatti, gli valse l’attenzionemondiale e una candidatura all’Oscar per la sceneggiatura. Tra gli estimatoriSteven Soderbergh che fece il suo nome per dirigere Insomnia, glaciale thrillercon Robin Williams e Al Pacino. Forte di questo successo (113 milioni di dollariincassati nel mondo) Nolan presentò alla Warner la sua versione di Batman, cheabbandonava la componente pop per abbracciare atmosfere shakespeariane.Crebbero i budget. Batman-Gli inizicostò 150 milioni, Il cavaliere oscuro185, Ilcavaliere oscuro. Il ritorno 250. Accanto alla saga, altri progetti, autoriali e am-biziosi: The Prestige e soprattutto Inception.

In quattordici anni i suoi film hanno fruttato tre miliardi e mezzo di dollari.L’intento di Nolan è evidente: mettere insieme il mainstream e il cult. Evidente,e ricorrente, la sua ossessione per il tempo, nella struttura o nella narrazione.«Sono attratto dalla soggettività del tempo. E da questo punto di vista Inter-stellar è il culmine di un lungo rapporto di fascinazione. Perché stavolta, per leleggi della fisica, siamo entrati in territori in cui il tempo è davvero diverso, sog-gettivamente e scientificamente. E se c’è un antagonista in questa storia, se c’èun nemico, è proprio il tempo».

Per usare uno degli scarti temporali che tanto piacciono a Nolan, tornando alragazzino folgorato dal cinema, in quel settimo anno di vita oltre alla scopertadi Kubrick c’è anche quella di Spielberg. «Interstellar è certamente una costolaideale di 2001 ma i riferimenti a quell’Odissea sono più che altro tecnici, il modoin cui Kubrick ha mostrato lo Spazio e le astronavi. E poi il suo genio è inimitabi-le. Puoi esserne ispirato, influenzato, ma non puoi navigare nelle sue acque. Lasua estetica, personalità, filosofia sono uniche. Il mio Interstellardeve molto an-che a Incontri ravvicinati del terzo tipo, non a caso credo sia il film più per fami-glie che ho mai fatto. Io sono cresciuto nell’età d’oro dei blockbuster, dei film diSpielberg e Lucas. Ed era un’epoca in cui l’etichetta “per famiglie” non aveva una

connotazione negativa. I migliori kolossal di Hollywood di quel periodo sono perla famiglia. Stavolta ho voluto regalare un’esperienza al cinema che padri e figlipotessero vivere insieme». Il nome in codice di Interstellar, sul quale, in pieno

stile Nolan, si era tenuto il segreto fino all’ultimo, è stato Flora’s Book, dalnome della figlia. «La prima cosa che ho fatto è stata cambiare nel copio-ne il personaggio del ragazzo con una femmina. Flora è la mia primoge-nita, mi sono molto identificato — anche se da padre di quattro ragazzi-ni ci tengo a dire che li amo tutti allo stesso modo! Anche il personaggiodi Matthew McConaughey si prende cura di entrambi i figli, sebbene lastoria lo porti verso la figlia con cui condivide la passione per la scienza».

La famiglia è anche un serbatoio creativo: «Da sempre lavoro conmia moglie e mio fratello Jonah. Con loro non ho bisogno dirapporti politici e diplomatici. C’è uno scambio onesto di opi-nioni. Con Emma, mia moglie, applichiamo i criteri con cuigestiamo la famiglia alla troupe. Abbiamo creato una sortadi compagnia itinerante, e devo dire che ci troviamo bene».Il fratello Jonah è l’alleato della scrittura: «Lavorerei sem-pre con lui, ma ora sta sviluppando progetti tutti suoi ed èsempre più impegnato». Nessun accenno all’altro fratello,Matthew, coinvolto qualche anno fa in una misteriosa vi-cenda, un omicidio da cui è stato assolto. Nolan è molto ri-servato, rispetto a un passato fatto di momenti anche diffi-cili. «Se, nel film, potessi mandare un messaggio al ragazzoche ero, gli direi di non preoccuparsi. Perché tutte le cose,anche quelle brutte, succedono per una ragione. Della miavita non vorrei cambiare niente perché quello che ho vissu-to mi ha fatto arrivare dove sono ora, dove volevo essere. Adodici anni ho capito che avrei fatto il regista. Mi sarebberobastati una telecamera e due attori. L’unica cosa a cui nonavrei mai pensato è che per realizzare il mio sogno qualcunomi avrebbe pagato».

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LA SCUOLA MI HA ABITUATO ALLE UNIFORMI. MA SE TENDO A INDOSSARE SEMPRE LO STESSO TIPO DI VESTITI È SOPRATTUTTO PER NON PERDERE TEMPOA SCEGLIERLI. E POI LE GIACCHE HANNO UTILISSIMETASCHE PER INFILARCI DENTRO LE COSE PIÙ INUTILI

NEL VECCHIO COPIONE IL PROTAGONISTAERA UN BAMBINO. HO CAMBIATO IN ONOREDI FLORA, LA NOSTRA PRIMOGENITA MA SIA BEN CHIARO: I MIEI QUATTRO FIGLILI AMO TUTTI ALLO STESSO MODO!

SE POTESSIMANDARE

DAL FUTURO UN MESSAGGIO

AL RAGAZZO CHE ERO

GLI DIREI DI NONPREOCCUPARSIPERCHÉ TUTTE

LE COSE, ANCHE QUELLE

BRUTTE, SE ACCADONO

È PER UNA RAGIONE

L’incontro. Stelle

C