IL TIRO A VOLO 306

10

description

Il Magazine della Federazione Italiana Tiro a Volo

Transcript of IL TIRO A VOLO 306

Page 1: IL TIRO A VOLO  306
Page 2: IL TIRO A VOLO  306
Page 3: IL TIRO A VOLO  306

3

Numero 30619 NOVEMBRE 2014

DirettoreLuciano Rossi

Direttore ResponsabileLuigi Agnelli

Direzione e RedazioneFederazione Italiana Tiro a VoloViale Tiziano 7400196 RomaTel. 06 45235200Fax 06 [email protected]

CoordinatoreRedazionaleMassimiliano [email protected] : @ILTIROAVOLO

Grafica& MultimediaAndrea Tei

Tutti i diritti riservatiVietata la riproduzione anche parziale se non autorizzata.

Aut. del Tribunale di Roma n.111 del 17 marzo 1994

SPONSOR FEDERALI

306

pag 4 COMUNICARECON GLIALLIEVI

pag 8 IL TIRO A VOLO GUARDAAL FUTURO

pag 9

IN CORPORESANO

RICORDANDOGIGETTO PETRINI

Munizioni Baschieri & PellagriBornaghiCleverChedditeFiocchi MunizioniNobel Sport ItaliaRC Eximport

ArmiCaesar Guerini Perazzi Armi Pietro Beretta

Macchine lanciapiattelliFAB

Macchine lanciaelicheRodenghi

PiattelliEurotarget

AbbigliamentoBeretta

Dispositivi acusticiEurosonit

All’età di 84 anni è scomparso Luigi Petrini: Gigetto per i tantissimi amici. Marchigiano doc, classe 1930, nella vita Petrini ha svolto la professione di maestro con vocazione sincera e dedizione assoluta, dedican-dosi all’insegnamento dei valori assoluti della vita che, con capacità encomiabile, ha saputo portare anche nel mondo del tiro a volo. “Sono molto addolorato per questa scomparsa – ha dichiarato il Presidente Luciano Rossi – perché con Gigetto se ne va una delle perso-ne che ho considerato mie maestre di vita. Nella sua esistenza ha compiuto un percorso completo e pieno, sia in ambito civile che in ambito sportivo”. Tesserato presso il Tav Castelfidardo, Luigi Petrini ha iniziato la sua carriera sportiva come dirigente societario e negli anni ha percorso tutte le tappe della carriera arbitrale

arrivando fino al rango internazionale. La sua esperienza si è coronata, a livello dirigenziale, con gli incarichi di Presidente Regionale della Fitav Marche prima e di Consigliere Nazionale poi, incarico che ha ricoperto per due mandati consecutivi dal 1997 al 2004. “Mio amico personale e vicino alla mia famiglia – ha proseguito Luciano Rossi – Gigetto è stato per tutti noi un esempio di signorilità e la sua esperienza nel mondo sportivo è paradigmatica. Non si è mai improvvisato, ma ha costrui-to la sua carriera percorrendo, passo dopo passo, tutto il percorso con modestia. Il nostro dolore, unito a quello dei tanti che lo amavano, è parzialmente consolato dalla certezza che ha potuto riab-bracciare sua moglie Chiaretta, scomparsa due anni fa . Al figlio Alessandro vanno le condoglianze mie, dell’intero Consiglio Federale e di tutta la famiglia del tiro a volo Italiano”. Commosso anche il ricordo di Sergio Dubbini, Consigliere Nazionale marchigiano. “Ho avuto il piacere di conoscerlo e di calcare con lui le pedane della nostra regione. La sua correttezza e lealtà sportiva sono sta-te un faro per i tanti tiratori che hanno avuto l’onore di incontrarlo”. Al Presidente Rossi ed al Consigliere Dubbini si unisce il Segretario Generale Fabio Fortuni, che esprime il suo profondo dolore per la scomparsa dell’amico Gigetto: “Con affetto sincero ha saputo comunicare a noi tutti insegnamenti di contenuto umano e sportivo.”

Ufficio Stampa Fitav

CO

NT

RO

CO

PERT

INA

In copertina

Allievi e maestri: in una serie di immagini scattate in occasione della recente edizione di Giovani e Campioni e di alcune delle maggiori rassegne stagionali del Settore Giovanile della Fitav sintetizziamo quella magica alchimia che lega i fuoriclasse di oggi a quelli del futuro. Sul tema si sofferma in un’accurata analisi Giordano Fasoli nel testo che pubblichiamo in questo numero.

Page 4: IL TIRO A VOLO  306

4

COMUNICARECON GLI ALLIEVI

SETTORE GIOVANILE

Giordano Fasoli è l’autore del testo “Comunicare con gli allievi”. Nelle altre immagini che corredano il testo, Giordano Fasoli è colto dall’obbiettivo fotografico nel corso di alcune lezioni pratiche in pedana

306

Di Giordano Fasoli

Abstract

Le relazioni umane sono costituite da varie forme di comunicazione. Dalla capacità degli interlocu-tori di scambiarsi adeguatamente le informazioni dipende il rapporto interpersonale, l’efficacia della comunicazione e la probabilità che venga raggiunto l’obiettivo comune. Nella società attuale la comu-nicazione di massa permette, ad esempio, un enor-me flusso di informazioni. Comunicare è un dono naturale perché oltre alla comunicazione verbale esiste quella non verbale costituita da gesti, atteg-giamenti, comportamenti, dal modo di vestirsi e

La comunicazione al centro di tuttoUn lavoro interessante, al passo con i tempi, quello di Giordano Fasoli, che viviseziona gli aspetti principali della comunicazione, in modo chiaro ed esaustivo. Il suo lavoro costituisce un esempio da seguire perché l’approccio al tema è profondo e ricco di spunti preziosi per chi si confronta con i giovani quotidianamente ma vuole fare chiarezza prima con se stesso e con ciò che ritiene importante trasmettere. Tante le domande a partire da quelle più importanti: a cosa serve la comunicazione? Come comunichiamo didatticamente con i nostri allievi? Per raggiungere quindi obiettivi importanti, passando attraverso metodi e stili di insegnamento diversi, dove ognuno troverà un parte di se stesso e non dimenticando mai che oltre a trasmettere conoscenze e creare competenze, il tecnico è soprattutto un educatore dove il tiro a volo rappresenta il mezzo e non il fine.

Alberto Di Santolo

così via. Nella società attuale, la comunicazione è spesso unilaterale. La pubblicità è il miglior esempio per questo genere di comunicazione, ma anche la tv, il web sono un esempio per il ruolo attivo e pas-sivo che si crea nella dinamica comunicativa. Pur-troppo, anche nelle comunicazioni interpersonali, sovente ciò che dice un interlocutore non viene correttamente recepito dall’altro: la non corretta formulazione dei propri pensieri obbliga chi riceve l’informazione all’interpretazione: che comporta un enorme rischio di fraintendere il significato origina-le del mittente. Formulare con chiarezza le proprie idee significa essere consapevole di ciò che accade dentro di sé e di cosa si vuole dall’altro. L’incapacità di formulare con chiarezza le proprie idee crea gli equivoci che portano al conflitto nelle relazioni, per esempio, tra istruttore ed allievo.

A cosa serve la “comunicazione”?

Comunicare letteralmente significa far comune ad altri ciò che è nostro. Significa trasmettere dei con-tenuti, delle idee. La comunicazione tra un istrut-tore ed i suoi allievi riguarda un ambito relazionale di prima importanza ed è proprio in questo ambi-to che si colloca la contrattazione tra le due vo-lontà: quella dell’allievo e quella del suo coach. Un istruttore, quando comunica con un allievo (atleta), deve sempre ricordare che la sua parola, il suo at-teggiamento devono influenzare non solo il gesto tecnico, ma tutto il comportamento, dalla fase di preparazione fino a quella agonistica o amatoriale che sia. Comunicare bene significa insegnare me-glio; ciò determina un maggior apprendimento ed una migliorare relazione, sia a livello individuale sia interpersonale: entrambi gli aspetti favoriscono una migliore prestazione. Il tiro a volo come tutte le attività umane, richiede un lungo processo di ap-prendimento per raggiungere la maestria, grazie alla quale si potrà raggiungere lo scopo ultimo di uno sportivo: la prestazione.

La comunicazione didattica: l’istruttore

Nessun istruttore è istituzionalmente allenato a co-municare bene. La comunicazione è un’abilità e così come le capacità motorie sono allenabili, lo è anche

Page 5: IL TIRO A VOLO  306

SET

TO

RE G

IOV

AN

ILE

5

306

la comunicazione: anche il coach può apprendere stili comunicativi più funzionali nella trasmissione di informazioni ai tiratori. Fare l’istruttore è un me-stiere difficile che richiede una reale preparazione; egli deve saper trasmettere ed insegnare la tecnica che impone le regole durante l’allenamento, duran-te le gare e spesso impone precetti educativi circa l’alimentazione o comportamenti pre-allenamento/gare. Il tiro a volo è troppo “scientifico” per lascia-re spazio a persone impreparate. Nel tiratore la figura dell’istruttore è di estrema importanza per-ché ai compiti “istituzionali”, cioè tecnici, si deve aggiungere il lavoro di preparazione fisico-atletica e una discreta conoscenza della psicologia indivi-duale (e di gruppo). L’istruttore è un vero “forma-tore” che non può prescindere dalla conoscenza psicologica della struttura della personalità dei suoi atleti (che generalmente sono dei minori) e per-tanto dovrebbe agire utilizzando modelli pedago-gici adeguati per le fasce di età di cui si occupa. Le diverse funzioni a cui deve assolvere un istruttore sono: il professionista (la professionalità riguarda le idee, i programmi, i progetti, i suggerimenti); l’inse-gnante (è la persona che aiuta il tiratore a parlare “tiravolisticamente”; possiamo paragonare infatti il tiro a volo ad una materia scolastica, per esempio l’apprendimento di una lingua straniera: si comin-cia con la grammatica poi con qualche vocabolo e con le frasi, poi si comincia a leggere e a scrivere e finalmente si arriva alla padronanza; ogni perso-na impara una lingua straniera in modo diverso da ogni altra); l’educatore, (deve trasmettere lezioni di sport e di vita agli allievi, questo vuol dire aiutare a crescere e formare uomini e donne, cioè la perso-nalità); lo psicologo (deve capire i ragazzi, dare lo stimolo giusto per ogni ragazzo in ogni situazione); il genitore (deve saper sostenere quando è neces-sario ed essere severo quando è indispensabile) e l’allenatore (deve saper far integrare queste diver-se funzioni).

Conoscere le proprie idee

Istruttori non si nasce, si diventa! Ciascuno si troverà a passare da un ruolo di atleta a quello di istruttore/allenatore per diversi motivi, dove la voglia, la passione e il bisogno di sport magari sono gli stessi, ma ciò che cambia è il modo di metterli in atto e di esprimerli; chiedersi quali mezzi usare nel percorso, dove giungerete, quanto tempo avre-te a disposizione è un modo per guardare la realtà, percepire se stessi, il proprio ruolo e l’ambiente, elementi fondamentali su cui riflettere per cono-scere come ci si relaziona con il proprio ruolo. Pri-ma di fare ciò è opportuno riflettere su ciò che è nostro! Quindi, prima di poter comunicare, dob-biamo sapere cosa vogliamo comunicare, questo ci costringe a pensare. Le regole per giungere ad una comunicazione efficace, sono essenzialmente: il sa-pere “cosa” comunichiamo, a “chi” comunichiamo e “come” lo facciamo. Questo vuol dire che prima di trasmettere degli insegnamenti di tiro a volo, è im-portante sapere che idea si ha del tiro a volo stesso. Senza consapevolezza delle nostre idee corriamo il rischio di perdere molto tempo e fare meno bene pur investendo molte energie. Sono problemi che sembrano di natura filosofica ma, sebbene lo siano, hanno un forte riscontro operativo/pratico. Quan-do un istruttore insegna una nuova tecnica di tiro non può prescindere dalle seguenti problematiche:

1. idea di tiro che ha (cosa), e di conseguenza la sua

metodologia di allenamento (come);2. idea di tiratore che l’istruttore ha (chi).

I tiratori, prima di essere tali, sono degli esseri uma-ni, di conseguenza avere “consapevolezza “ di cosa intendiamo per “essere umano” diventa fondamen-tale. L’idea di sé, degli altri, condiziona fortemente le scelte, in tutti i sensi, pedagogico, psicologico, di-dattico. È importante che un istruttore sia “consa-pevole” di che tipo di allenamento far fare all’allie-vo, quali obiettivi si pone, quali modalità preferisce attivare. Questo è importante per non improvvisa-re un allenamento senza obiettivi di insegnamento/apprendimento, senza avere un’idea di chi siamo, quali sono i nostri limiti e quali le nostre risorse, chi sono gli allievi che abbiamo di fronte. Spesso però il “giovane istruttore” non ha delle idee chiare su ogni cosa, ha delle impressioni, ma non è sicuro né convinto dei diversi argomenti tiravolistici. Pri-ma di trasmettere una “filosofia” bisogna averla già formulata. Ogni istruttore deve subito cominciare a formare la “propria filosofia”.

“Cosa” comunichiamo

Per una comunicazione efficace è importante co-noscere i valori di fondo, le idee, quelli che noi chiamiamo valori antropologici (l’antropologia è la scienza che studia l’uomo) che ogni allenatore ha e che tecnicamente si traducono in come funzionano le due identità istruttore-allievo e che determina-no il tipo di interazione che si va ad instaurare. È importante che ogni istruttore abbia chiari i valori su cui “costruisce” il tiratore; questa chiarezza gli darà sicuramente più stabilità. Capirete sicuramen-te la notevole differenza di considerare noi o l’altro come cose o come persone: quando un istruttore, nell’insegnare, si sforza di capire le differenze indivi-duali, cioè la capacità del tiratore di fare o meno, di capire o meno determinate cose e sceglie gli inter-venti più adatti a questo tipo di situazione (cercan-do in qualche modo un adattamento funzionale alla situazione stessa), sta mettendo in pratica, anche se non lo sa, tutti i valori sopra menzionati!

“Chi” siamo e con “chi” comunichiamo: l’identità

Per arrivare ad una comunicazione efficace abbiamo visto che è importante avere chiari i propri valori, la propria filosofia. Abbiamo visto che è importante, oltre a sapere il compito da svolgere, anche con “chi “ andiamo a svolgerlo e “come”. Il “chi” richiama il concetto d’identità. La comunicazione implica una relazione in cui due identità (un io = l’istruttore, e un tu = l’allievo) interagiscono. Dal grado di inte-

Page 6: IL TIRO A VOLO  306

6

SET

TO

RE G

IOV

AN

ILE

306

razioni e funzionamento di queste due parti sarà determinato l’individuo. Conoscere come siamo, come sentiamo, come pensiamo, come incarniamo le emozioni ci aiuta a capire quali sono i nostri limiti, quali i nostri punti di forza. Questo serve per fermarsi ad osservare noi stessi e gli altri, a va-lutare come alleniamo, come un tiratore in pedana capisce il tiro e risponde, come questo comunicare risente del suo mondo emotivo (es. sotto stress ri-esce a rispondere? come funziona? quanto riesce a mantenere il suo grado di concentrazione?), come il funzionamento cognitivo ed emotivo determina il funzionamento motorio tecnico-tattico (come usa il proprio corpo? riesce ad utilizzarlo a fondo? quali parti del corpo blocca inconsapevolmente?). Non si può dare per scontato che tutti conosca-no “naturalmente” i quattro linguaggi d’esistenza. Nessuno li conosce tutti alla perfezione, c’è chi ne conosce meglio uno di un altro, chi ne utilizza uno più degli altri. Il lavoro è imparare a conoscerli tut-ti, usarli e saperli integrare. Ognuno di noi, in base alle esperienze di vita, acquisisce canali preferiti di comunicazione che spesso diventano automatici. Alcuni di noi infatti, sono più centrati sulla sfera razionale; chi invece è più centrato sul lato emo-tivo. Nel rapporto, nella prestazione sportiva, il ti-ratore e l’istruttore sono un “tutto”, di cui non è possibile ignorare una parte senza falsare l’altra o distruggere il resto.

L’importanza degli obiettivi

Per la crescita dell’istruttore è importante capire la finalità del lavoro. Se non sa dove va a finire il proprio lavoro, l’istruttore non può lavorare bene, deve conoscere lo scopo, l’obiettivo. Sapere perché fa quello che sta facendo. Gli obiettivi generali di tutti gli istruttori/allenatori all’interno di una team sono:

- velocizzazione e ottimizzazione dell’apprendimento;- coesione emotiva;- innalzamento delle prestazioni.

Se è più facile identificare degli obiettivi comuni, è meno facile trovare una modalità comune per rag-giungerli, cioè il “come” conseguire questi scopi.

“Come” comunicare

Come già precedentemente indicato, la comunica-zione implica una relazione in cui due identità (un io = l’istruttore, e un tu = l’allievo) si incontrano,

interagiscono attraverso il linguaggio verbale e il linguaggio non verbale. Queste identità non sono in un rapporto statico, bensì dinamico, il che significa che si influenzano reciprocamente. Detto ciò dob-biamo sottolineare quanto sia importante essere consapevoli di “come” si esprimono i contenuti, le idee, attraverso la comunicazione. “Non si può non comunicare”, ogni comportamento, infatti, è comu-nicazione. Teniamo presente che nessuno di noi è perfettamente identico nelle diverse relazioni. Nella comunicazione possiamo distinguere un:

1. aspetto di fondo – valori antropologici;2. aspetto tecnico – a due livelli: a) comunicazione

verbale ciò che esprimiamo con le parole, attra-verso concetti chiari, precisi e comprensibili; b) comunicazione non verbale, ciò che esprime il nostro corpo, attraverso gli atteggiamenti.

C’è una forte correlazione tra comunicazione ver-bale, che riguarda più il livello razionale, e la co-municazione non verbale, che invece è relativa al linguaggio emotivo e corporeo. La nostra comu-nicazione tende a definire la relazione esistente tra noi e il nostro interlocutore. Il comunicare non è sufficiente, occorre comunicare “bene”! La comunicazione consiste nella trasmissione di un determinato messaggio da un’entità emittente ad una destinataria (ricevente), pronta a riceverlo e ad elaborarlo. L’istruttore ha il difficile compito di sovrintendere al processo di insegnamento. In ogni tipo di insegnamento la padronanza della comuni-cazione è importante tanto quanto la conoscenza approfondita dell’argomento; è fondamentale quin-di che l’istruttore sappia conoscere e controllare gli aspetti extraverbali del proprio stile comunica-zionale, così come deve essere in grado di rico-noscere e interpretare i messaggi non verbali che riceve dall’allievo. Durante la comunicazione è utile accorgersi di cosa sta succedendo nell’interlocuto-re ed in sé. Riuscendo a riconoscere gli atteggia-menti corporei dell’interlocutore (allievo), potrete regolare la vostra modalità comunicativa/relaziona-le per renderla più adeguata alla situazione. Sape-re come stiamo (percezione) in una situazione di stress o di fronte ad un allievo in difficoltà, cosa pensiamo, cosa proviamo, può essere utile per non improvvisare un intervento (che solo casualmente può andare a buon fine), quanto piuttosto a pro-grammare ciò che vogliamo dire o fare in funzione degli obiettivi che vogliamo raggiungere. Questo atteggiamento di auto ascolto o di auto percezione facilita la costruzione di una relazione funzionale.

Comunicare con gli atleti di età diversa e diverso livello di specializzazione

Quella particolare capacità di entrare spontanea-mente sulla “lunghezza d’onda dell’altro” va sotto il nome di empatia, ed è in linea di massima una dote naturale poco suscettibile di trasmissione. La diffe-renza di età è importante perché ci sono notevoli differenze tra ragazzi di 14/15, ragazzi di 18/19 anni ed individui adulti. I ragazzi di 14/15 anni si trovano in una fase di passaggio che coinvolge aspetti fisi-ci, affettivi, sociali. È un periodo caratterizzato da intense modificazioni a livello somatico e psichico, iniziano a vivere la sessualità e le situazioni conflit-tuali, che comportano ansia e incertezza. L’istrut-tore in questo può aiutare il ragazzo a crescere, guidandolo verso la realtà, aiutandolo a superare quelle incertezze spesso frutto di idealizzazioni o semplificazioni, portandolo verso un maggiore

Page 7: IL TIRO A VOLO  306

SET

TO

RE G

IOV

AN

ILE

7

306

equilibrio. La comunicazione con loro dovrà essere soprattutto empatica, così da sostenerlo laddove è possibile e congruente per contrastarlo quando è necessario. Nei ragazzi di 18/19 anni troveremo più esperienza, più responsabilità. Razionalmente avremo dei ragazzi più deduttivi, con delle idee già chiare sulle preferenze e sulle aspettative, con degli schemi già acquisiti. Qui la comunicazione potrà al-ternarsi tra empatica e congruente in base ai diversi momenti e ai diversi tiratori. Una gamma più ampia e articolata è invece rappresentata dagli adulti che restano, per ora, il nostro maggiore bacino di allievi, dove le personalità che si incontrano sono formate e generalmente più forti e dove le richieste-esigenze tendenzialmente più mirate. L’allievo “adulto”, molto centrato sul dovere, è più adatto a mantenere un equilibrio della componente psico-fisica, funziona meglio nelle situazioni dove c’è tensione, ma non in quelle che richiedono una lettura veloce delle varia-zioni da intraprendere. Per quanto riguarda i diversi livelli, verificare sempre il livello a cui stanno e ba-sarsi su questo.

Gestire i gruppi di allievi

Essendo uno sport talvolta “di squadra” il tiro a volo esalta il concetto di gruppo: è uno di quei chiari esempi di sport in cui le probabilità di vittoria sono direttamente proporzionali alla preparazione dei ti-ratori in campo. L’identità di una squadra è data dal-la sommatoria delle diverse componenti e da come loro si combinano. Non tutte le persone sono tra loro compatibili e, a volte, se pure lo sono, potrebbe-ro non essere funzionali per un determinato scopo. Gli allievi di una squadra sono avvantaggiati se nel gruppo è presente una coesione elevata. La coesione è definibile come il grado con il quale i membri del gruppo desiderano rimanere nel gruppo stesso (Car-twright, 1968); è un fattore legato alla struttura affet-tiva del gruppo, al successo. Questa sembra facilitare la capacità di scambio comunicativo tra i membri che tendono a essere sintonizzati sia in termini emotivi, sia in termini motivazionali. Un obiettivo dell’allena-tore deve essere creare coesione. La squadra come ogni gruppo possiede un suo funzionamento, l’allena-tore deve avere chiare sia le leggi sia il funzionamen-to. Per il buon funzionamento della squadra ci sono dei fattori determinanti:

- Obiettivi comuni, la cui condivisione è necessaria da parte di tutti (allievi, istruttore, dirigenti del settore, ecc…). Per essere condivisi devono ne-cessariamente essere pertinenti. Oltre ad essere pertinenti e condivisi gli obiettivi devono essere chiari e non doppi. È importante che l’istruttore si accerti che gli obiettivi siano percepiti e accet-tati dai suoi allievi. Bisogna verificare che abbiano compreso non solo chiedendo ma anche osser-vando i loro comportamenti, se “vanno tutti nella stessa direzione”; osservare queste discrepanze evita momenti di crisi al coach e alla squadra.

- Suddivisione dei ruoli e dei compiti, è fondamen-tale che ogni giocatore sappia come, e per grosse linee, quanto sarà impiegato. Fargli avere una pre-cisa identità tecnica all’interno della squadra che lo motivino all’allenamento e lo facciano identifi-care nel suo ruolo.

- Regole, in ogni squadra come in ogni gruppo, ci sono quelle esplicite e quelle implicite (nascoste); è importante che quelle esplicite siano chiare e quelle nascoste siano conosciute dall’istruttore, in quanto sono esse che regolano la squadra (una

regola palese è “ci si allena sempre il marte-dì alle 16.00”; quella nascosta è che la squadra “entra in batteria alle 16.00”).

Questi fattori favoriscono la coesione di squadra, prevengono i conflitti tra i sottogruppi, sempre presenti soprattutto a livello emozionale.

Metodi didattici e stili di insegnamento

Il metodo è diverso da ogni istruttore. Però c’è una regola da cui non sfugge nessun istruttore: l’impa-rare ad insegnare. Il tiratore rispecchia sempre il carattere e il tipo di persona che è l’istruttore. Fondamentalmente si potrebbe ritenere che:

- Istruttori diversi danno atleti (tiratori) diversi;- L’atleta è frutto del modello dell’istruttore/alle-

natore;- Istruttori appartenenti a scuole con posizioni

antropologiche differenti, pur avendo strutture, metodologie e contenuti uguali, producono atleti con comportamenti diversi.

Il vero insegnamento-apprendimento deve esse-re fatto di idee chiare, spiegazioni semplici (ave-re padronanza della “materia” da insegnare, della conoscenza tecnica e deve sapere spiegare); dopo questo è importante la dimostrazione del gesto, osservare e capire se e dove ci sono problemi, provare a risolverli; invece di demonizzare gli even-tuali errori analizzarli e, prima di proporre nuove soluzioni, trovarle con gli allievi. Questo stimola la curiosità e porta a risultati più entusiasmanti; poi ripetere fino a quando ce n’è bisogno. Può sem-brare tutto molto difficile ma basta avere tecnica e buon senso, fattori che aiutano a crescere sia l’allenatore sia il tiratore: chi ragiona bene può capire molto! La metodologia cresce con il buon senso! La conduzione dell’allenamento migliora se l’istruttore ricorda i tre motivi che portano il ra-gazzo da lui e che devono essere sempre i suoi tre principi: imparare, divertirsi, realizzarsi. Più lui riu-scirà a realizzare questi tre principi, più successo avrà come istruttore.

Conclusioni

Un buon istruttore (allenatore) è colui che porta con sé conoscenza, certi principi educativi, lo sti-molo giusto per ogni ragazzo in ogni situazione, una parola, un cenno, una pacca sulla spalla, ma an-che, quando occorre, sa alzare la voce. Deve avere la capacità di comunicare, osservare e riflettere… prima di agire.

Page 8: IL TIRO A VOLO  306

8

306

Diego Gasperini con gli allievi del corso di Umbriaverde

IL TIRO A VOLOGUARDA AL FUTURODiego Gasperini ha condotto il corso di livello “D” per allenatori internazionali: nomi noti del tiravolismo internazionale sono stati impegnati per alcuni giorni sui “banchi di scuola” di Umbriaverde

EVENTI

Dal 5 al 9 novembre si è tenuto a Todi presso il Tav Umbriaverde il corso di livello “D” di tiro a volo dell’International Shooting Sport Federa-tion per allenatori internazionali, organizzato e promosso dalla Fitav e diretto dal formatore e allenatore internazionale di livello “A” Diego Gasperini (www.diegogasperini.com). Durante il corso sono stati trattati tutti gli aspetti sa-lienti della didattica d’insegnamento del tiro a volo con metodologie fortemente innovative e fondate su basi scientifiche e biomeccaniche, arricchito dalle lezioni di mental training tenute dal professor Alberto Cei dell’Università di Tor Vergata (Roma) e dalla lezione sulla preparazio-ne atletica tenuta dal professor Fabio Partigiani, preparatore atletico della Nazionale italiana del-le discipline olimpiche del tiro a volo. Il corso ha visto la partecipazione di nomi illustri del tiro a volo provenienti da ogni parte d’Italia e da altre nazioni. Tra i partecipanti: l’allenatore Paolo Do-nato, coach della Nazionale francese, dall’Unghe-ria il campione europeo Kàroly Gombos, Nikola Markovic della Federazione del Montenegro, Stefano Selva atleta della nazionale sammarine-

se, e inoltre Alessandro Chianese e Ferdinando Rossi, atleti della nazionale italiana di Double Trap. Al termine delle lezioni si è tenuto l’esame finale che ha permesso ai partecipanti di conse-guire la qualifica di allenatore internazionale di livello D, primo traguardo che permette di in-traprendere una carriera a livello internazionale e di accedere al successivo step del percorso di formazione Issf: il livello C. Oltre ad ottenere la qualifica di allenatore internazionale di livello D, ogni partecipante conseguirà al contempo la qualifica di allievo istruttore Fitav così come ri-cordato dal vice presidente federale Paolo Fiori, che è intervenuto durante il corso per portare un saluto ai corsisti e dare il benvenuto a tut-ti coloro avessero conseguito il diploma nella grande famiglia della Federazione Italiana Tiro a Volo. Tutti gli iscritti hanno mostrato grande in-teresse e soddisfazione per aver affrontato per la prima volta argomenti noti, ma trattati con una metodologia basata sulla ricerca scientifica promossa dalla Issf che permette una visione del tutto nuova sugli aspetti tecnici e tattici del tiro a volo.

Page 9: IL TIRO A VOLO  306

9

306

Di Fabio Partigiani

Il concetto di alle-namento è troppo spesso considerato “lineare”, nel senso che si cerca il con-dizionamento di un solo distretto mu-scolare con il solo scopo di aumenta-re la capacità dello stesso di esprime-re maggiore forza, o addirittura con il solo scopo di cerca-

re di isolarlo il più possibile: come nel classico body building. Per forza intendo, invece, l’espressione completa del termine, quindi forza veloce, esplosi-va e massima. Ognuno di noi svolge quotidianamen-te svariati movimenti nello spazio che permettono di impostare relazioni con l’ambiente circostante; quando queste capacità di adattamento sono limi-tate o addirittura interrotte, come spesso accade ad esempio dopo un intervento chirurgico, o un infor-tunio, che resetta “momentaneamente” le afferen-ze propriocettive (ovvero i segnali informativi che provengono dalla periferia verso il Sistema Nervoso Centrale), il nostro sistema di elaborazione dati non riuscirà più a controllare gli stimoli che provengono dai muscoli, determinando una perdita di equilibrio, quindi una scarsa gestione del corpo nello spazio e una carenza di stabilità. Allenarsi in questo senso diventa dunque una necessità per esprimere mag-gior forza nel gesto specifico e per prevenire vizi di postura che potrebbero creare presupposti per piccoli e grandi infortuni. Da quanto esposto risul-ta evidente l’importanza di allenare i movimenti e non i muscoli. Ciò avviene attraverso una continua ricerca dell’equilibrio che utilizza come strumento di base la propriocezione. Attraverso la propriocezione il movimento viene monitorato istante per istante attraverso l’utilizzazione di tutta una serie di muscoli profondi che permettono il mantenimento della cor-retta postura durante l’esecuzione del gesto tecnico specifico. Le sollecitazioni di questi muscoli profon-di incrementano le potenzialità del gesto che, senza

IN CORPORE SANO

ALLENAMENTO FUNZIONALE, IL FUTURO DEL FITNESSLa preparazione fisica dovrebbe sempre avere un approccio globale e non analitico: il principio base è che il cervello riconosce i movimenti e non i muscoli

l’ausilio di questi “stabilizzatori”, potrebbe risultare carente. Nell’allenamento funzionale si cerca quin-di la stabilizzazione, reclutando quei muscoli che in esercizi classici intervengono in percentuali molto ridotte o quasi nulle. Questo tipo di approccio ne-cessita di un lavoro sui tre piani dello spazio: fronta-le, sagittale e trasverso. Il risultato è sicuramente un allenamento più divertente, perché le combinazioni di movimenti diventano potenzialmente infinite, più intenso, perché coinvolgendo più distretti muscolari e ricercando in continuazione l’equilibrio, l’impegno sia mentale che fisico è inevitabilmente maggiore, ed infine più soddisfacente: i risultati in virtù del maggior coinvolgimento psico/fisico arrivano prima rispetto ad un allenamento lineare. Mai provato a fare delle alzate laterali seduti su un fitball con un piede alzato e gli occhi chiusi? I muscoli coinvolti in questo esercizio sono: deltoidi, addominali, trasversi e paravertebrali, per quanto riguarda il mantenimen-to dell’equilibrio, quadricipite per la gamba alzata e flessore per la gamba appoggiata a terra. Lo stesso esercizio eseguito su un classico macchinario da pa-lestra sollecita solamente il muscolo direttamente coinvolto nel movimento, ovvero il deltoide. Le con-seguenze positive sono facilmente intuibili. Questo può essere esteso a qualsiasi movimento classico del body building, che può essere modificato, esegui-to con attrezzi differenti, in situazioni di instabilità e alternato a esercizi cardiovascolari. Ecco: questo è il Functional Training. Questa nuova metodologia si può avvalere di attrezzi assolutamente versatili, che sfruttano il peso corporeo e permettono molteplici movimenti su tutti i piani dello spazio. Sto parlando di: elastici, discosit, trx, kettelbell, tappeti elastici, fit-ball e simili. Tutti attrezzi molto leggeri, poco ingom-branti e poco costosi. Un bravo personal trainer è in grado di utilizzare tutti questi attrezzi nella maniera migliore, adattandosi perfettamente alle esigenze dell’atleta, creando sedute di allenamento sempre dif-ferenti (eliminando così la classica noia da sala pesi), efficaci e molto intense. Anche nel tiro volo, già da diversi anni, a livello di squadra nazionale e Settore Giovanile, ho introdotto questa nuova metodica di allenamento. Durante i raduni di preparazione fisica le capacità motorie vengono sviluppate con sedute di allenamento dove trovano largo spazio gli attrezzi utilizzati per l’allenamento funzionale. Naturalmen-

Page 10: IL TIRO A VOLO  306

te i metodi tradizionali non sono stati banditi com-pletamente, ma possiamo dire che coesistono con quelli più attuali. La linea di demarcazione tra l’uti-lizzo di un metodo o l’altro è data dall’esperienza del preparatore atletico. La conoscenza approfon-dita di ogni singolo atleta permetterà al preparato-re stesso di capire e valutare il tipo di allenamento da utilizzare per quel determinato tiratore. Gli at-trezzi che fanno par-te dell’al-lenamento funzionale sono uti-lizzati dai nostri at-leti anche per l’at-t i v a z i one pre-pedana (gli esercizi da eseguire trenta mi-nuti prima di entrare in pedana). Questo ci fa capire che nulla deve esse-

re lasciato al caso: tutto deve essere pianificato nei minimi particolari. Una vittoria non arriva così, per caso. Prima forse, adesso non più. La gioia di vedere un tuo atleta, lassù, sul gradino più alto del podio, compensa tutti i sacrifici fatti durante la stagione per arrivare alla meritata vittoria. Diverse volte non ar-riva. Tanta amarezza, un po’ di sconforto, ma non de-lusione. Sappiamo che è stato fatto tutto per arriva-

re preparati a l l ’ appun-tamento, lo sport è an-che questo. Chi vince, è stato cer-t a m e n t e più capace di noi. Una s c o n f i t t a brucia den-tro, ma fa riflettere e dà la giusta carica per prepararsi alla succes-siva compe-tizione con la mentalità vincente.

IN C

OR

PO

RE S

AN

O

Il preparatore atletico della Nazionale Fabio Partigiani impegnato con Erminio Frasca e Daniele Di Spigno in alcuni

esercizi descritti nell’articolo