il Giornale Domenica17giugno2007 Cronache TIPIITALIANI · istituto meccanico, ... re dimostrazione...

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STEFANO LORENZETTO A lberto Vincenzo Vaccari, lo Sherlock Holmes dei tarli, l’unico italiano capace di di- stinguere a colpo d’occhio un tru- meau antico da una volgare imita- zione, non poteva che nascere a Bo- volone, grosso centro della Bassa veronese all’origine della mia pre- senza su queste pagine. Nel 1984 scoprii che la capitale del mobile in stile, ormai incapace di distingue- re il vero dal falso, era riuscita nel- l’impresa di dedicare una via alla memoria di Alberto Moravia, ben- ché vivente: il Consiglio comunale l’aveva scambiato per un martire di Cefalonia. Vittorio Feltri elogiò l’«acuto cronista» di provincia in un articolo sul Corriere della Sera, donde la nostra amicizia e l’assun- zione al Giornale molti anni dopo. Niente a confronto con l’esperien- za che il perito più temuto dai con- traffattori visse in quello stesso pe- riodo al fianco del padre Liberale, falegname all’epoca ormai ottan- tenne. Di mezzo c’era Giuseppe Maggiolini, l’ebanista milanese na- to nel 1738 che lavorò anche per Napoleone, massimo interprete del gusto neoclassico, tanto che da lui prese nome il mobile chiamato maggiolino. Per rendere l’idea: un suo cofanetto intarsiato che i Mu- sei civici di Milano dovevano pre- stare al Louvre per una rassegna fu valutato dieci anni fa dallo stes- so Vaccari, ai fini della polizza assi- curativa, 2 miliardi di lire. Raccon- ta lo studioso: «Giorgio Polvara, un designer che scriveva per Antiqua- riato, la rivista di Giorgio Mondado- ri, ci chiese d’accompagnarlo a una mostra per visionare una cop- pia di comò che un importante anti- quario aveva comprato da una del- le più famose case d’asta londinesi. Gli expertise attribuivano i due cas- settoni al Maggiolini. Appena vede in lontananza i comò, mio padre sbotta in dialetto: “Mah! Del Maggiolini quei lì? Me par d’aver- li fati mi”. Polvara ba- sito: “Che cosa dice, Vaccari! Starà scher- zando, spero”. E pa- pà: “No, no. Provi a farli rovesciare a gam- be in su. Se sul fondo troverà degli spicchi d’aglio attaccati con la colla a caldo, signifi- ca che li ho fatti io, in- sieme con Giuseppe Merlin”. L’antiquario accetta malvolentieri di capovolgerli: c’era l’aglio. Mio padre e Merlin l’avevano mes- so convinti che potes- se servire a tenere lontano i tarli. Imma- gini la faccia del- l’espositore. Per quel- le due copie perfette, costruite negli Anni 30, chiedeva 600 mi- lioni di lire, oltre 700.000 euro di og- gi». Merlin, artigiano con bottega ad Asparetto, fra Bovolone e Cerea, è considerato l’iniziatore dell’indu- stria del mobile in stile. Camilla Ce- derna, nel libro Casa nostra, scrive che a partire dal 1928 «fu aiutato e protetto dall’onorevole fascista Bruno Bresciani, cultore d’arte, amante di castelli medievali e colle- zionista di mobili antichi autenti- ci». E ricorda il grande spavento provato durante la guerra da un vecchio che passava davanti alla bottega dell’eclettico falegname: «Udì un susseguirsi di schioppetta- te. Pensò a un rastrellamento tede- sco e si buttò nell’erba. Era invece la famiglia Merlin che impallinava i mobili per farli apparire tarlati». Scuote la testa Vaccari: «Una leg- genda metropolitana. Semmai i bu- chi si fanno con i punteruoli». Sarà anche un caso, ma dopo ol- tre mille conferenze tenute in giro per l’Italia su questi argomenti, qual è l’unica località che non ha mai invitato a parlare Vaccari? In- dovinato: Bovolone. Paesotto al- quanto permaloso, se è vero che nel 1981 l’onorevole dc Giuseppe Costamagna scomodò il presidente del Consiglio e i ministri dell’Inter- no, della Difesa, delle Poste e delle Partecipazioni statali perché cen- surassero la Rai, colpevole d’aver consentito a Ugo Tognazzi di pre- sentarsi travestito da San Giusep- pe, con la sega da falegname in ma- no, nella trasmissione Telepatria international di Renzo Arbore e di dire che veniva «da Bobbolone, provincia di Verona». «Un omag- gio», ride Vaccari. «L’attore era molto legato a Bovolone e a Bruno Piombini, suo fornitore di fiducia». Diplomato in restauro e antiqua- riato all’Accademia d’arte e design Leonetto Cappiello di Firenze, re- stauratore accreditato presso la So- printendenza ai Beni storici e arti- stici del Veneto, autore del manua- le Dentro il mobile edito dalla Zani- chelli, Vaccari, 54 anni, è una pre- senza fissa nei salotti televisivi – da Mi manda Lubrano su Raitre a Can- dido su Tmc, da Unomattina saba- to e domenica su Raiuno a Mattina in famiglia su Raidue – ma anche nelle aule di tribunale, come consu- lente tecnico d’ufficio, quando i giu- dici non sanno che pesci pigliare. Entro ottobre dovrà periziare in un sol colpo la bellezza di otto contai- ner zeppi di mobili antichi. A chi appartengono? «Erano di un nobile che portò a spasso nella sua tenuta l’erede al trono d’Inghilterra. I due figli, inca- paci di dividersi l’eredità da buoni fratelli, sono finiti in causa». Compito non facile per lei. «Sono anche ausiliario di polizia giudiziaria. Un giorno mi convoca un pubblico ministero di Pordeno- ne. Indagava su uno stand seque- strato a una mostra d’antiquaria- to. Di primo acchito sembrava ro- ba nuova, invece erano mobili fran- cesi dell’800 restaurati male, con le levigatrici elettriche. Chiedo ai carabinieri: ma perché li avete con- fiscati? “Eh, professore, perché ab- biamo studiato. Non lo vede? Man- cano i segni dell’usura, gli spigoli smussati, le macchie d’inchio- stro...”. Scusate tanto, ma su quale testo avete studiato?, ribatto io. “Su quello di Alberto Vincenzo Vac- cari”. Da sprofondarsi». Non è presuntuoso a definirsi «lo storico del mobile italiano»? «Sì, ma che posso farci? È la veri- tà». Non ha rivali? «Ci sarebbe Alvar González-Palacios, un critico d’arte di origini cubane che ha collaborato con Federico Zeri. Ma al- la conoscenza della storia io unisco quel- la dei materiali: le- gno, chiodi, colle, vernici. Sono nato in bottega, fin dalle ele- mentari ho sempre fatto i compiti sul bancone della fale- gnameria, durante le vacanze scolasti- che aiutavo mio pa- dre. Ho restaurato con queste mani un cassone di casa Pe- trarca e la sacrestia di Santa Maria in Or- gano, opera del mo- naco olivetano fra Giovanni da Verona, forse il maggior in- tarsiatore di tutti i tempi. Papa Leone X gli commissionò i rivestimenti li- gnei per la Stanza della Segnatura in Vaticano che contiene i più famo- si affreschi di Raffaello. Purtroppo le tarsie furono bruciate dai lanzi- chenecchi durante il sacco di Ro- ma del 1527». González-Palacios ha scritto mol- ti libri. «Nel frattempo io compilavo l’Enci- clopedia del mobile italiano. È pronta, devo solo decidere a quale editore consegnarla. Dentro ci so- no trent’anni di lavoro. Ricostrui- sco la storia del mobile città per cit- tà, fino ai centri produttivi più pic- coli, come Bovolone, Cerea, Asolo, Bassano, Chiavari, Saluzzo. Per ogni località analizzo gli stilemi del- le varie epoche. Solo a Milano, a partire dal ’600 e fino all’arrivo de- gli Austriaci, si contano sette diver- si tipi di gambe dei mobili tra baroc- chetto e rococò». Perché non è diventato falegna- me? «Mi mancava qualcosa. Volevo ca- pire che cosa stavo facendo. Perciò ho cominciato a studiare». Che differenza c’è fra mobile d’ar- te e mobile in stile? «Il mobile d’arte è uno sguardo al passato ma con inventiva. Il mobile in stile è la copia del passato». E come si riconosce un mobile an- tico vero? «La differenza tra vero e falso è la stessa che passa tra dire e non di- re. Se il venditore tace, nel 50% dei casi l’acquirente inesperto rimedia una fregatura. Ci sono in giro copie fatte alla perfezione con legni vec- chi. Da due banchi da chiesa si può ricavare un tavolo fratino del ’600, così chiamato perché stava nel re- fettorio dei frati, indistinguibile da uno autentico». L’incompetente non ha difesa. «Deve chiedere al venditore che gli spieghi tutto dell’og- getto su cui ha mes- so gli occhi. Alla fine della descrizione, do- po aver trattato il prezzo, può preten- dere che gli siano messe per iscritto le caratteristiche del mobile. A quel punto molti antiquari si ri- fiutano di farlo. Ov- vio: mentono. Se in- vece rilasciano un’at- testazione con foto, quella diventa una prova di autenticità anche nelle aule giu- diziarie, in caso di dubbi». Che trucchi si usano per ottenere un mo- bile anticato? «Infiniti. Certi falsifi- catori arrivano a mettere le assi di le- gname tenero, tipo abete, pino e frassino, come pavimentazione nei pollai. Le galline raspano, l’urina fa il resto. Ma basta incidere la su- perficie del legno per accorgersi che dentro è nuovo. A volte sono stato costretto a far ricorso alla da- tazione spettroscopica presso il la- boratorio del Museo d’arte e scien- za fondato a Milano da Gottfried Matthaes, un fisico tedesco. Certo, se sono stati utilizzati legni vecchi, le analisi di Matthaes servono a ben poco». E a quel punto? «Subentra l’esperienza. Un inca- stro fatto con macchinari elettrici sarà sempre irrimediabilmente di- verso da uno fatto a mano. Oggi si usano le colle viniliche. Nell’anti- chità esistevano solo colle a caldo ottenute da pesce, bue e coniglio. I chiodi venivano forgiati sull’incudi- ne a uno a uno: non ce n’erano due uguali fra loro e ogni epoca ha avu- to i suoi». È vero che qui nella Bassa seppel- livano i mobili per invecchiarli? «No. Ma c’era chi seppelliva per un certo periodo le ferramenta: mani- glie, pomelli, cerniere, serrature. Poi versava sulla terra abbondante acido muriatico. In tal modo l’otto- ne arrugginiva in fretta e prendeva la caratteristica colorazione verda- stra. Per rendere vetusto un mobi- le lo si frusta con una catena, in modo da provocare delle ammacca- ture, o lo si bruciacchia col ferro da stiro». Come va l’industria del mobile d’arte? «Va scomparendo. In passato qui c’erano circa 3.000 botteghe arti- giane, per lo più piccole, con due o tre falegnami. Stanno chiudendo una dopo l’altra. Oggi sono la me- tà». Come mai? «Poca innovazione, scarsa cultura, insensibilità politica. Basti pensare che il Centro professionale di ebani- steria di Bovolone, passato dalla Regione Veneto alla Provincia, que- st’anno ha avuto solo otto iscritti. Un tempo era una delle poche scuo- le del mobile in Italia. Ora vorreb- bero addirittura accorparla a un istituto meccanico, snaturandone la specificità. Un delitto. Ho lancia- to una sfida agli enti pubblici: affi- datemi per tre anni la scuola con pieni poteri, senza stanziare un so- lo euro in più, e io ve la rivitalizzo. Se fallisco mi mandate via con un calcione nel sedere e nota di deme- rito a vita». Hanno raccolto la sfida? «Ma le pare? Silenzio di tomba. Ho appena scritto persino a Giorgio Napolitano». Per dirgli che cosa? «Le pare normale, signor presiden- te della Repubblica, che la televisio- ne di Stato si occupi solo di cibo, con cuochi che spadellano da matti- na a sera, e non dedichi neppure un quarto d’ora all’artigianato? So- no trent’anni esatti che la Bbc ingle- se trasmette Antiques roadshow, un programma di 50 minuti che parla di antiquariato e restauro ed è stato esportato negli Usa, in Cana- da, in Olanda, in Svezia. Come pos- siamo pretendere che i giovani s’appassionino alla storia e alla cre- atività? Stiamo perdendo la nostra identità nazionale. Abbiamo cre- sciuto una generazione da Ikea». Eppure non si sono mai visti in Tv così tanti spot di modelle discinte che stampano baci col rossetto su mobili antichi fabbricati l’altro ie- ri. «Lo so. Alcuni di questi produttori mi hanno spiegato che con tre mesi di pubblicità il loro fatturato sale da 10 a 40 milioni di euro. Appena smettono, ritorna a 10. Un’ulterio- re dimostrazione che il messaggio televisivo è importante. Del resto è solo grazie alla Tv che sono riusci- to a smascherare in diretta una fal- sa credenza gotica, ritenuta vec- chia di cinque secoli, esposta al Mu- seo Bardini di Firenze. L’aveva fat- ta costruire il fondatore Stefano Bardini, un antiquario morto nel 1922, riadattando un badalone, un grande leggio da chiesa. Un’altra volta a Mi manda Lubrano ho dimo- strato che un secrétaire acquistato da un triestino a una televendita era falso, nonostante Vittorio Sgar- bi sostenesse il contrario». Da che cosa l’ha capito? «Da un “1860” posticcio che il falsa- rio aveva ingenuamente scritto a matita all’interno per retrodatare il mobile. Solo che l’anno era stato tracciato nel punto meno adatto, cioè dove scorreva un cassetto. Con più di un secolo di sfregamen- to, la data si sarebbe dovuta cancel- lare. Il giorno dopo Sgarbi ha chia- mato Antonio Lubrano dichiaran- dosi d’accordo con me: “Mi sono sbagliato”». Una bella soddisfazione. «Abbiamo insegnato entrambi alla Domus Aurea, una scuola d’anti- quariato itinerante. Fra i docenti c’era anche Sergio Corradeschi, il consulente di fiducia della famiglia Berlusconi. Daniela Santanchè è stata mia allieva. Ricordo la prima lezione all’hotel Duo- mo: c’era la crema di Milano, sembrava di stare a una sfilata di Armani, e io invece m’ero presentato in jeans. Appena torna- to a casa, corsi a com- prarmi un abito blu. Per l’imbarazzo quel- la sera commisi una gaffe imperdonabile. Illustrando una delle peculiarità del Rina- scimento, la prospetti- va, citai il punto di fu- ga. Non so come, mi scappò un’altra paro- la di due sillabe». Se Napolitano le dà udienza, magari lei scopre qualche mobi- le taroccato anche al Quirinale. «Ci sono già stato in visita al Quirinale. E ho visto solo arredi autentici, a comincia- re dai mobili settecen- teschi di Pietro Piffet- ti, l’ebanista dei Savoia che fece la boiserie della cappella privata del re intarsiata in avorio, e dai seggio- loni di Andrea Brustolon, scultore di origine bellunese vissuto tra ’600 e ’700, che fu definito da Mo- lière “il Michelangelo del legno”». Ma presto gli ambientalisti ci co- stringeranno a comprare creden- ze in plastica per impedire il di- sboscamento dell’Amazzonia. «Basta fare come in Francia, dove per ogni albero tagliato se ne deve piantare uno nuovo. Sarebbe ben strano che proprio gli ecologisti vie- tassero la cosa più naturale di que- sto mondo. In fin dei conti tutti gli uomini vengono deposti in un mobi- le, la culla, quando nascono e chiu- si dentro un mobile, la bara, quan- do muoiono». (380. Continua) [email protected]t , , TIPI ITALIANI Tognazzi faceva acquisti a Bovolone La differenza fra vero e falso? Quella che passa tra dire e non dire. Se il venditore tace, nel 50% dei casi l’acquirente inesperto resta fregato. Per invecchiare il legno si mettono le assi nei pollai: ci pensano le galline Le colle animali sono inconfondibili I pezzi d’antiquariato hanno i chiodi fatti a mano. Maniglie sepolte ed ecco l’ottone anticato. Ho scritto la prima enciclopedia con gli stilemi d’ogni epoca, città per città. Al signor capo dello Stato: l’artigianato sta morendo Così lo Sherlock Holmes dei tarli smaschera i falsificatori di mobili ALBERTO VINCENZO VACCARI È nato nellacapitale dell’arredo in stile. S uo padre costruì negli Anni 30 due comò che una casa d’aste londinese attribuì al Maggiolini, l’intarsiatore di Napoleone: li riconobbe dagli spicchi d’aglio sul fondo... FRA TV E TRIBUNALI Alberto Vincenzo Vaccari, perito antiquario. Per i giudici fa il consulente tecnico d’ufficio. Lanciato da «Mi manda Lubrano», compare spesso in Tv. Ha restaurato un cassone di casa Petrarca e le tarsie lignee di fra Giovanni da Verona, il monaco che rivestì la Stanza della Segnatura in Vaticano affrescata da Raffaello Ugo Tognazzi travestito da San Giuseppe falegname in un programma di Renzo Arbore: «Vengo da Bobbolone». La parodia fu censurata dalla Dc in Parlamento Alberto Vincenzo Vaccari in un laboratorio di restauro. «A differenza dei critici d’arte che conoscono solo la storia, io del mobile conosco anche i materiali con cui viene fatto» il Giornale Domenica 17 giugno 2007 Cronache 15

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STEFANO LORENZETTO

A lberto Vincenzo Vaccari, loSherlock Holmes dei tarli,l’unico italiano capace di di-

stinguere a colpo d’occhio un tru-meau antico da una volgare imita-zione,nonpotevache nascereaBo-volone, grosso centro della Bassaveronese all’origine della mia pre-senza su queste pagine. Nel 1984scoprii che la capitale del mobile instile, ormai incapace di distingue-re il vero dal falso, era riuscita nel-l’impresa di dedicare una via allamemoria di Alberto Moravia, ben-ché vivente: il Consiglio comunalel’aveva scambiato per un martiredi Cefalonia. Vittorio Feltri elogiòl’«acuto cronista» di provincia inun articolo sul Corriere della Sera,donde la nostra amicizia e l’assun-zione al Giornale molti anni dopo.

Nienteaconfrontocon l’esperien-za che il perito più temuto dai con-traffattori visse in quello stesso pe-riodo al fianco del padre Liberale,falegname all’epoca ormai ottan-tenne. Di mezzo c’era GiuseppeMaggiolini, l’ebanista milanese na-to nel 1738 che lavorò anche perNapoleone, massimo interpretedel gusto neoclassico, tanto che dalui prese nome il mobile chiamatomaggiolino. Per rendere l’idea: unsuo cofanetto intarsiato che i Mu-sei civici di Milano dovevano pre-stare al Louvre per una rassegnafu valutato dieci anni fa dallo stes-so Vaccari, ai fini della polizza assi-curativa, 2 miliardi di lire. Raccon-ta lo studioso: «Giorgio Polvara, undesigner che scriveva per Antiqua-riato, la rivistadiGiorgioMondado-ri, ci chiese d’accompagnarlo auna mostra per visionare una cop-piadi comòche un importante anti-quario aveva comprato da una del-le più famose case d’asta londinesi.Gli expertise attribuivano i due cas-settoni al Maggiolini. Appena vedein lontananza i comò, mio padresbotta in dialetto:“Mah! Del Maggioliniquei lì?Mepard’aver-li fati mi”. Polvara ba-sito: “Che cosa dice,Vaccari! Starà scher-zando, spero”. E pa-pà: “No, no. Provi afarli rovesciareagam-be in su. Se sul fondotroverà degli spicchid’aglio attaccati conlacollaacaldo, signifi-ca che li ho fatti io, in-sieme con GiuseppeMerlin”. L’antiquarioaccetta malvolentieridi capovolgerli: c’eral’aglio. Mio padre eMerlin l’avevanomes-so convinti che potes-se servire a tenerelontano i tarli. Imma-gini la faccia del-l’espositore.Perquel-le due copie perfette,costruite negli Anni30, chiedeva 600 mi-lioni di lire, oltre700.000 euro di og-gi».

Merlin, artigiano con bottega adAsparetto, fra Bovolone e Cerea, èconsiderato l’iniziatore dell’indu-stria del mobile in stile. Camilla Ce-derna, nel libro Casa nostra, scriveche a partire dal 1928 «fu aiutato eprotetto dall’onorevole fascistaBruno Bresciani, cultore d’arte,amantedi castelli medievali e colle-zionista di mobili antichi autenti-ci». E ricorda il grande spaventoprovato durante la guerra da unvecchio che passava davanti allabottega dell’eclettico falegname:«Udì un susseguirsi di schioppetta-te. Pensò a un rastrellamento tede-sco e si buttò nell’erba. Era invecela famiglia Merlin che impallinavai mobili per farli apparire tarlati».Scuote la testa Vaccari: «Una leg-gendametropolitana. Semmai i bu-chi si fanno con i punteruoli».

Sarà anche un caso, ma dopo ol-tre mille conferenze tenute in giroper l’Italia su questi argomenti,qual è l’unica località che non hamai invitato a parlare Vaccari? In-dovinato: Bovolone. Paesotto al-quanto permaloso, se è vero chenel 1981 l’onorevole dc GiuseppeCostamagna scomodò il presidentedel Consiglio e i ministri dell’Inter-no, della Difesa, delle Poste e dellePartecipazioni statali perché cen-surassero la Rai, colpevole d’averconsentito a Ugo Tognazzi di pre-sentarsi travestito da San Giusep-pe, con lasega da falegname inma-no, nella trasmissione Telepatriainternational di Renzo Arbore e didire che veniva «da Bobbolone,provincia di Verona». «Un omag-gio», ride Vaccari. «L’attore eramolto legato a Bovolone e a BrunoPiombini, suo fornitore di fiducia».

Diplomato in restauro e antiqua-

riato all’Accademia d’arte e designLeonetto Cappiello di Firenze, re-stauratoreaccreditato presso laSo-printendenza ai Beni storici e arti-stici del Veneto, autore del manua-le Dentro il mobile edito dalla Zani-chelli, Vaccari, 54 anni, è una pre-senza fissa nei salotti televisivi – daMimandaLubrano suRaitreaCan-dido su Tmc, da Unomattina saba-to e domenica su Raiuno a Mattinain famiglia su Raidue – ma anchenelleauledi tribunale, come consu-lente tecnico d’ufficio, quando i giu-dici non sanno che pesci pigliare.Entro ottobre dovrà periziare in unsol colpo la bellezza di otto contai-ner zeppi di mobili antichi.A chi appartengono?«Erano di un nobile che portò aspasso nella sua tenuta l’erede altrono d’Inghilterra. I due figli, inca-paci di dividersi l’eredità da buoni

fratelli, sono finiti in causa».Compito non facile per lei.«Sono anche ausiliario di poliziagiudiziaria. Un giorno mi convocaun pubblico ministero di Pordeno-ne. Indagava su uno stand seque-strato a una mostra d’antiquaria-to. Di primo acchito sembrava ro-banuova, inveceeranomobili fran-cesi dell’800 restaurati male, conle levigatrici elettriche. Chiedo aicarabinieri:ma perché li avetecon-fiscati? “Eh, professore,perché ab-biamo studiato. Non lo vede? Man-cano i segni dell’usura, gli spigolismussati, le macchie d’inchio-stro...”. Scusate tanto, ma su qualetesto avete studiato?, ribatto io.“Suquello diAlbertoVincenzoVac-cari”. Da sprofondarsi».Non è presuntuoso a definirsi «lostorico del mobile italiano»?«Sì, ma che posso farci? È la veri-tà».

Non ha rivali?«Ci sarebbe AlvarGonzález-Palacios,un critico d’arte diorigini cubane cheha collaborato conFederico Zeri. Ma al-la conoscenza dellastoria io unisco quel-la dei materiali: le-gno, chiodi, colle,vernici. Sono nato inbottega, fin dalle ele-mentari ho semprefatto i compiti sulbancone della fale-gnameria, durantele vacanze scolasti-che aiutavo mio pa-dre. Ho restauratocon queste mani uncassone di casa Pe-trarca e la sacrestiadi Santa Maria in Or-gano, opera del mo-naco olivetano fraGiovanni da Verona,forse il maggior in-tarsiatore di tutti itempi. Papa Leone X

gli commissionò i rivestimenti li-gnei per la Stanza della SegnaturainVaticano checontiene i più famo-si affreschi di Raffaello. Purtroppole tarsie furono bruciate dai lanzi-chenecchi durante il sacco di Ro-ma del 1527».González-Palacios ha scritto mol-ti libri.«Nel frattempo io compilavo l’Enci-clopedia del mobile italiano. Èpronta, devo solo decidere a qualeeditore consegnarla. Dentro ci so-no trent’anni di lavoro. Ricostrui-sco la storia del mobile città per cit-tà, fino ai centri produttivi più pic-coli, come Bovolone, Cerea, Asolo,Bassano, Chiavari, Saluzzo. Perogni località analizzogli stilemi del-le varie epoche. Solo a Milano, apartire dal ’600 e fino all’arrivo de-gliAustriaci, si contanosette diver-si tipidi gambedeimobili trabaroc-

chetto e rococò».Perché non è diventato falegna-me?«Mi mancava qualcosa. Volevo ca-pire che cosa stavo facendo. Perciòho cominciato a studiare».Chedifferenzac’è fra mobile d’ar-te e mobile in stile?«Il mobile d’arte è uno sguardo alpassato ma con inventiva. Il mobilein stile è la copia del passato».E come si riconosce un mobile an-tico vero?«La differenza tra vero e falso è lastessa che passa tra dire e non di-re. Se il venditore tace, nel 50% deicasi l’acquirente inesperto rimediauna fregatura. Ci sono in giro copiefatte alla perfezione con legni vec-chi. Da due banchi da chiesa si puòricavare un tavolo fratino del ’600,così chiamato perché stava nel re-fettorio dei frati, indistinguibile dauno autentico».L’incompetente nonha difesa.«Deve chiedere alvenditore che glispieghi tutto dell’og-getto su cui ha mes-so gli occhi. Alla finedelladescrizione,do-po aver trattato ilprezzo, può preten-dere che gli sianomesse per iscritto lecaratteristiche delmobile. A quel puntomolti antiquari si ri-fiutano di farlo. Ov-vio: mentono. Se in-vecerilascianoun’at-testazione con foto,quella diventa unaprova di autenticitàanche nelle aule giu-diziarie, in caso didubbi».Che trucchi si usanoper ottenere un mo-bile anticato?«Infiniti. Certi falsifi-catori arrivano amettere le assi di le-gname tenero, tipo abete, pino efrassino, come pavimentazione neipollai. Le galline raspano, l’urinafa il resto. Ma basta incidere la su-perficie del legno per accorgersiche dentro è nuovo. A volte sonostato costretto a far ricorso alla da-tazione spettroscopica presso il la-boratorio del Museo d’arte e scien-za fondato a Milano da GottfriedMatthaes, un fisico tedesco. Certo,se sono stati utilizzati legni vecchi,le analisi di Matthaes servono aben poco».E a quel punto?«Subentra l’esperienza. Un inca-stro fatto con macchinari elettricisarà sempre irrimediabilmente di-verso da uno fatto a mano. Oggi siusano le colle viniliche. Nell’anti-chità esistevano solo colle a caldoottenute da pesce, bue e coniglio. Ichiodi venivano forgiati sull’incudi-

ne a uno a uno: non ce n’erano dueuguali fra loro e ogni epoca ha avu-to i suoi».È vero che qui nella Bassa seppel-livano i mobili per invecchiarli?«No. Ma c’era chi seppelliva per uncerto periodo le ferramenta: mani-glie, pomelli, cerniere, serrature.Poi versava sulla terra abbondanteacido muriatico. In tal modo l’otto-ne arrugginiva in fretta e prendevala caratteristica colorazione verda-stra. Per rendere vetusto un mobi-le lo si frusta con una catena, inmododaprovocaredelleammacca-ture, o lo si bruciacchia col ferro dastiro».Come va l’industria del mobiled’arte?«Va scomparendo. In passato quic’erano circa 3.000 botteghe arti-giane, per lo più piccole, con due otre falegnami. Stanno chiudendouna dopo l’altra. Oggi sono la me-

tà».Come mai?«Poca innovazione, scarsa cultura,insensibilità politica. Basti pensareche il Centroprofessionaledi ebani-steria di Bovolone, passato dallaRegioneVenetoallaProvincia,que-st’anno ha avuto solo otto iscritti.Un tempoera unadellepoche scuo-le del mobile in Italia. Ora vorreb-bero addirittura accorparla a unistituto meccanico, snaturandonela specificità. Un delitto. Ho lancia-to una sfida agli enti pubblici: affi-datemi per tre anni la scuola conpieni poteri, senza stanziare un so-lo euro in più, e io ve la rivitalizzo.Se fallisco mi mandate via con uncalcione nel sedere e nota di deme-rito a vita».Hanno raccolto la sfida?«Ma le pare? Silenzio di tomba. Hoappena scritto persino a Giorgio

Napolitano».Per dirgli che cosa?«Lepare normale, signorpresiden-tedella Repubblica, che la televisio-ne di Stato si occupi solo di cibo,concuochichespadellanodamatti-na a sera, e non dedichi neppureunquarto d’ora all’artigianato? So-notrent’anni esatti che laBbc ingle-se trasmette Antiques roadshow,un programma di 50 minuti cheparla di antiquariato e restauro edèstato esportatonegliUsa, inCana-da, in Olanda, in Svezia. Come pos-siamo pretendere che i giovanis’appassioninoalla storiaeallacre-atività? Stiamo perdendo la nostraidentità nazionale. Abbiamo cre-sciuto una generazione da Ikea».Eppure non si sono mai visti in Tvcosì tanti spot di modelle discinteche stampano baci col rossetto sumobili antichi fabbricati l’altro ie-ri.«Lo so. Alcuni di questi produttorimi hanno spiegato che con tre mesidi pubblicità il loro fatturato saleda 10 a 40 milioni di euro. Appenasmettono, ritorna a 10. Un’ulterio-re dimostrazione che il messaggiotelevisivo è importante. Del resto èsolo grazie alla Tv che sono riusci-to a smascherare in diretta una fal-sa credenza gotica, ritenuta vec-chiadi cinquesecoli, espostaalMu-seo Bardini di Firenze. L’aveva fat-ta costruire il fondatore StefanoBardini, un antiquario morto nel1922, riadattando un badalone, ungrande leggio da chiesa. Un’altravoltaaMi mandaLubranohodimo-strato che un secrétaire acquistatoda un triestino a una televenditaera falso, nonostante Vittorio Sgar-bi sostenesse il contrario».Da che cosa l’ha capito?«Daun“1860” posticcioche il falsa-rio aveva ingenuamente scritto amatita all’interno per retrodatareil mobile. Solo che l’anno era statotracciato nel punto meno adatto,cioè dove scorreva un cassetto.Con più di un secolo di sfregamen-to, ladatasi sarebbe dovutacancel-lare. Il giorno dopo Sgarbi ha chia-mato Antonio Lubrano dichiaran-dosi d’accordo con me: “Mi sonosbagliato”».Una bella soddisfazione.«Abbiamo insegnato entrambi allaDomus Aurea, una scuola d’anti-quariato itinerante. Fra i docentic’era anche Sergio Corradeschi, ilconsulente di fiducia della famigliaBerlusconi. Daniela Santanchè èstata mia allieva. Ricordo la prima

lezione all’hotel Duo-mo: c’era la crema diMilano, sembrava distare a una sfilata diArmani, e io invecem’ero presentato injeans. Appena torna-to a casa, corsi a com-prarmi un abito blu.Per l’imbarazzo quel-la sera commisi unagaffe imperdonabile.Illustrando una dellepeculiarità del Rina-scimento, laprospetti-va, citai il punto di fu-ga. Non so come, miscappò un’altra paro-la di due sillabe».Se Napolitano le dàudienza, magari leiscoprequalchemobi-le taroccato anche alQuirinale.«Ci sono già stato invisita al Quirinale. Eho visto solo arrediautentici, a comincia-redaimobili settecen-teschi di Pietro Piffet-

ti, l’ebanista dei Savoia che fece laboiserie della cappella privata delre intarsiata in avorio, edai seggio-loni di Andrea Brustolon, scultoredi origine bellunese vissuto tra’600 e ’700, che fu definito da Mo-lière “il Michelangelo del legno”».Ma presto gli ambientalisti ci co-stringeranno a comprare creden-ze in plastica per impedire il di-sboscamento dell’Amazzonia.«Basta fare come in Francia, doveper ogni albero tagliato se ne devepiantare uno nuovo. Sarebbe benstranoche propriogli ecologisti vie-tassero la cosa più naturale di que-sto mondo. In fin dei conti tutti gliuominivengonodeposti inunmobi-le, la culla, quando nascono e chiu-si dentro un mobile, la bara, quan-do muoiono».

(380. Continua)[email protected]

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TIPI ITALIANI

‘ ‘Tognazzi faceva acquisti a BovoloneLa differenza fra vero e falso? Quellache passa tra dire e non dire. Seil venditore tace, nel 50% dei casil’acquirente inesperto resta fregato.Per invecchiare il legno si mettonole assi nei pollai: ci pensano le galline

Le colle animali sono inconfondibiliI pezzi d’antiquariato hanno i chiodifatti a mano. Maniglie sepolte ed eccol’ottone anticato. Ho scritto la primaenciclopedia con gli stilemi d’ogniepoca, città per città. Al signor capodello Stato: l’artigianato sta morendo

Così lo Sherlock Holmes dei tarlismaschera i falsificatori di mobili

ALBERTO VINCENZO VACCARI

È nato nella capitale dell’arredo in stile.Suo padre costruì negli Anni 30 due comòche una casa d’aste londinese attribuìal Maggiolini, l’intarsiatore di Napoleone:li riconobbe dagli spicchi d’aglio sul fondo...

FRA TV E TRIBUNALIAlberto Vincenzo Vaccari,

perito antiquario. Per igiudici fa il consulente

tecnico d’ufficio. Lanciatoda «Mi manda Lubrano»,compare spesso in Tv. Ha

restaurato un cassonedi casa Petrarca e le tarsie

lignee di fra Giovannida Verona, il monaco

che rivestì la Stanza dellaSegnatura in Vaticanoaffrescata da Raffaello

Ugo Tognazzitravestito daSan Giuseppefalegname in unprogramma diRenzo Arbore:«Vengo daBobbolone».La parodia fucensuratadalla Dcin Parlamento

Alberto VincenzoVaccari in unlaboratoriodi restauro.«A differenzadei critici d’arteche conosconosolo la storia,io del mobileconosco anchei materiali concui viene fatto»

il Giornale � Domenica17giugno2007 Cronache 15