12 Cronache Domenica12agosto2007 TIPIITALIANI · catartica di Oreglio:...

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STEFANO LORENZETTO «N el 2008 compirò 12 an- ni». Il segreto di Carlo Pastori, clown, attore, cabarettista, musicista, cantante, ballerino, fisarmonicista che ho rin- tracciato a Nauders, Austria, in un hotel dove i proprietari escludeva- no che fosse mai arrivato, è tutto qui: essendo nato il 29 febbraio del 1960 bisesto, ma nel suo caso nien- t’affatto funesto, festeggia ogni quattro anni e dunque ha trovato il modo di preservare per l’eternità il bambino che è in lui, quello che fra i tanti morti contati da Georges Ber- nanos nella propria vita appariva allo scrittore francese il più morto di tutti, e invece a Pastori, e alla famiglia di Pastori, e agli amici di Pastori, e al pubblico di Pastori si presenta ogni giorno vivace, imper- tinente, felice. «Dopo Claudio Bisio, Maurizio Crozza, Paolo Cevoli, Sergio Sgrilli e Roberto Ciufoli della Premiata dit- ta, un altro pelato», si descrive con modestia. Di Bisio, in particolare, è il sosia quasi perfetto («in me- glio»). Stavano insieme in televisio- ne nel cast di Zelig, e con loro Fla- vio Oreglio e Ale & Franz. I Marte- sana in corpore sano, s’erano ribat- tezzati. Audience, successo, soldi, starlet, la gente che ti ferma per strada («la domanda più cretina che mi sentivo porre in quel perio- do era: “Com’è dal vivo Michelle Hunziker?”, e come vuoi che sia la Hunziker, sei cieco?»). Ma poi que- sto milanese calvo che aveva propo- sto di chiamare provocatoriamen- te Family pride il Family day, e il 12 maggio era sul palco a intrattenere il milione di manifestanti radunati in piazza San Giovanni a Roma, s’è ricordato della sua vera natura – «un pagliaccio di strada, è così che nasco» – e ha deciso di diventare cantastorie, di dedicarsi anima e corpo soltanto ai bambini. Senza per questo rinuncia- re allo spirito del ca- baret: uno dei suoi spettacoli s’intitola W la fisa!, «è bella la fi- sa, è comoda, in sce- na mi serve anche da sedia, se avessi scelto il flauto mica potevo sedermici sopra». Una prima sterzata alla sua vita l’aveva già data nel 1987, quando gli nacque il primogenito, Giaco- mo, e con Bano Ferra- ri e Roberto Abbiati fondò il Teatro d’arti- ficio, una compagnia di clown, per non re- stare senza copioni quando poi si sareb- be trovato a far ride- re Giovanni, Elia e Martino, gli altri tre fi- gli arrivati subito do- po, il più piccolo oggi dodicenne. Fino ad al- lora era stato in J. Walter Thompson, agenzia di pubblicità tra le più note al mondo, coordinatore del repar- to creativo dal quale uscirono cam- pagne come «Un diamante è per sempre» per De Beers, «Ciribiribin Kodak» con l’alieno nano e gli spot di Beppe Grillo per Yomo. D’inven- tiva ne ha sempre avuta da vende- re, e lo attesta la foto con la maglia dell’Inter sulla carta d’identità («una fede, come Peppino Prisco di- venterò milanista in punto di mor- te, così schiatterà uno di loro»). Un giorno ha preso la moglie Pa- trizia Barbati, insegnante elemen- tare, e i quattro figli e li ha portati via da Milano, a vivere nell’unico luogo dove gli pareva che fosse pos- sibile ritagliarsi uno scampolo di pace, a Treviglio, il paese dell’Albe- ro degli zoccoli, «cercavo qualcosa che mi ricordasse i tre mesi d’esta- te della mia infanzia scalza a Ma- lonno, in Valcamonica», lui che era cresciuto giocando da solo in un condominio di via Porpora, zona Loreto, e a 17 anni perse il padre e fu costretto a lavorare di giorno e studiare di sera per mantenere la madre e i due fratelli più piccoli. Ha ancora nelle narici il profumo di dopobarba del papà melomane che si prepara per andare alla Sca- la con gli Amici del loggione. Com’è diventato attore? «Fine della quinta elementare. La mia classe vince un premio per la rappresentazione teatrale I miste- ri pasquali. Il maestro Guerino Pe- saola, zio del Petisso, l’allenatore, sceglie l’alunno che dovrà ritirare il riconoscimento all’Arengario. Scrive i nostri nomi su dei foglietti e li mette dentro il cappello. Ero cer- tissimo che avrebbe pescato il mio. Alla premiazione chiesero ai geni- tori: “Chi di voi è disposto a lascia- re che suo figlio venga a fare spetta- coli all’estero per i nostri emigran- ti?”. Ricordo lo sguardo d’intesa fra me e mio padre. Un mese dopo partivo per la Svizzera con Teresa Fedeli, che mi ha insegnato a suo- nare la fisarmonica. Abbiamo gira- to Lussemburgo, Francia, Germa- nia, Belgio, Portogallo. Dormiva- mo nelle baracche dei minatori. An- cor oggi i miei spettacoli nelle pe- diatrie li faccio il giorno di Natale, o a Ferragosto, quando la solitudine si fa sentire. Ci vado non solo per i piccoli malati e per i loro genitori. Ci vado per me. Ogni volta che en- tro in un reparto oncologico, cre- sco». (Estrae dal portafoglio la foto un po’ sgualcita di una bimba). Chi è? «Questa è Lucia, morta di leuce- mia a tre anni. Ballava le mie can- zoni davanti a medici e infermieri. I genitori Gigi e Michela Brizzi sono di Pavia. A Rimini mi hanno sentito per caso interpretare in piazza Vo- la cigno, l’ultima ninnananna che avevano cantato alla figlia prima che finisse in coma. Hanno voluto conoscermi, siamo diventati amici. Lucia s’è spenta nel 2000, il 22 di- cembre. Lo stesso giorno in cui se n’è andato mio padre. Quando era viva, per me questa bambina non esisteva. Adesso che è morta, io la sento viva, c’è, la porto con me». Perché ha scelto come pubblico i bimbi? «Perché non hanno la diplomazia degli adulti. Se quel che gli raccon- ti non gli interessa, ti mollano subi- to. Ma sono anche gli unici capaci di gratitudine vera. Arrivo in una piazza dove non sono mai stato e scopro che le mie canzoni mi han- no preceduto. I piccoli spettatori re- alizzano che sono proprio io ad aver inventato quel- le storie, è come se le avessi scritte per ognuno di loro». Prima era un’entità astratta. «Un giorno torno da Roma in treno. Un padre dice al figlio: “Quel signore lì è Car- lo Pastori, canta le canzoni che ti piac- ciono tanto”. Matteo s’avvicina, mi osser- va, poi torna dal pa- pà e gli fa: “Ma cosa dici! Carlo Pastori non esiste”». Mette più paura una platea di bambi- ni o di adulti? «Di adulti. Nei gran- di prevale la diffiden- za. Il facce ride’ è una sfida, un’orda- lia. Il cabaret nac- que in posti dove la gente andava per be- re, mangiare, chiac- chierare, fumare, trombare, e poi c’era un di più, il comico, che doveva comunque por- tare a casa la serata. Sei mesi fa m’è capitato d’esibirmi con Oreglio al casinò di Campione d’Italia. La gente sotto il palco ci girava le spal- le e mangiava aragosta. Son cazzi. I bambini, quando s’accendono le luci e attacca la musica, smettono di mangiare. Il teatro è gioco, tan- t’è vero che in francese e in inglese non esiste il verbo recitare, solo jouer e to play, giocare. Il giorno che non mi divertirò più io per pri- mo, farò l’imbianchino». Chi è il più grande nemico dei bambini? «Nemico dei bambini è chi gli rac- conta che non esistono la mamma e il papà. Come fa Walt Disney con Paperino e Qui, Quo, Qua». La Rai ha cancellato da anni La Tv dei ragazzi. «Un capolavoro assoluto. Metteva i paletti: di qua i bambini, di là gli adulti. La Tv era veramente uno strumento di servizio. Se comincia- va uno spettacolo interessante sul- la seconda rete Rai, una freccia bianca lampeggiava sullo schermo per avvisarti. Oggi l’unica preoccu- pazione che hanno le televisioni è di costringerti a non cambiare ca- nale». I suoi figli vengono a vedere lei a teatro anziché stare al computer, guardare la Tv, giocare col Game boy, trafficare col telefonino? «Fanno tutto ciò che ha detto, an- che se non nello stesso ordine». Ne ha messi al mondo quattro, tut- ti con la stessa moglie. È da eroi. «Lo rifarei». Nessun interesse per la Hunziker. «Non è che siccome stai a dieta non guardi il menù. Ma è più interes- sante coltivare un unico amore. Mia moglie mi ha in- coraggiato nelle mie scelte. Quando deci- si di fare il cantasto- rie a tempo pieno, lei non lavorava perché voleva occuparsi so- lo dei figli». Ha temuto di lasciar- li senza pane? «È vero che per far bene il giullare devi aver fame, ma se l’ansia di non riusci- re a mantenere la fa- miglia prende il so- pravvento, diventa controproducente». E lei era in ansia. «Mi sono ritrovato con 300 euro sul con- to corrente. Il telefo- no non squillava mai. L’avevo messo giù male». Riesce a scherzarci. «La linea della vita per i miei figli è sem- pre stata: asilo, scuo- la, padre che va in gi- ro per le piazze a fare il Gioppino. Martino, l’ultimo nato, alla mater- na chiese a un amichetto: “Tuo pa- pà che spettacoli fa?”. Non è mai esistito per loro un padre idraulico o commercialista. Vedono il lavoro come un mix di arte e corporeità». Crede d’essere un buon padre? «Io credo. E questa è già una fortu- na. Domando di essere un buon pa- dre. Lo domando al Padre, a mia moglie, ai miei figli, a me stesso. Poi faccio le mie belle cazzate al pa- ri di tutti gli altri padri». Come si arriva in Tv e perché la si lascia? «La prima volta il produttore di Ze- lig, Roberto Bosatra, mi chiese: “Da quanti anni fai teatro?”. Tredi- ci, risposi io. “Stasera ti vedrà il tri- plo della gente che ti ha visto in 13 anni”, replicò lui. Su Italia 1 ho fat- to anche Colorado café. Sono anda- to in Tv per dire cose a persone che altrimenti non avrei mai potuto raggiungere. Però non m’interessa entrare nel giro di Lele Mora. Oggi il comico è considerato un gladiato- re televisivo: deve riempire la sce- na, spaccare il mondo, sloggiare. Avanti il prossimo!». Così ha scelto di servire i piccini. «È un’operazione furba. Sono an- che imprenditore. Ho intravisto uno spazio. Al mare a Ostuni, il me- se scorso, eravamo in tre famiglie di amici: 30 persone. È già una mez- za platea. Qui in Sudtirolo idem. Del gruppo io sono quello che ha meno figli. Di recente mi hanno por- tato un bimbo in carrozzella, si chiama Matteo, è cieco. A scuola, quarta elementare, la maestra gli aveva dato per tema “Il mio cantan- te preferito”. I suoi compagni di classe avevano scritto chi Laura Pausini chi Tiziano Ferro. Lui ave- va dettato: “Il mio cantante preferi- to è Carlo Pastori”. L’insegnante di sostegno non capiva: “Ma chi è ’sto Pastori?”. Non faccio parte del grande giro e neppure di quello pic- colo, mi accontento delle briciole. Coltivo un submercato che, oltre a darmi da mangiare, mi mette in pa- ce con me stesso, non mi obbliga a scendere a compromessi. Se mi chiedono l’esclusiva, rifiuto, per- ché ho il mio amico prete di Vigolo Vattaro che mi chiama a fare uno spettacolo in Valsugana e in cam- bio mi offre mezza forma di vezze- na e io me lo tengo stretto. Certo, mi chiamano anche nelle crociere sulle Grandi Navi Veloci o sui va- scelli privati nelle Cicladi, e lì sono marchette». Ma il suo spettatore tipo resta Matteo. «Non sapeva di venire a un mio con- certo. I genitori, che nemmeno mi conoscevano, hanno voluto fargli una sorpresa. Mi ha riconosciuto dalla voce e ha avuto un fremito. È stato un incontro commovente, di parole. Alla fine ci siamo abbraccia- ti e gli ho detto: guarda, Matteo, io sarò anche il tuo cantante preferi- to, ma devo ammettere che tu sei il mio bambino preferito». Quante serate fa in un anno? «Circa 120». Le manca la famiglia mentre è in giro per l’Italia? «Tantissimo». Dice il segretario dell’Udc che an- che all’onorevole Cosimo Mele mancava tanto la famiglia. «Sì, ho letto: la vita dei parlamenta- ri costretti a rimanere a Roma è molto dura... Ho una proposta. Sic- come so che hanno anche chiesto più soldi, io darei l’aumento alle mogli. Oppure abbasserei lo stipen- dio ai mariti, così la smettono di an- dare a troie». Chi gliel’ha fatto fare di esibirsi al Family day? «Me l’hanno chiesto. Ho accettato perché penso che a un certo punto della vita devi scegliere su quale barca salire. Non credo che siamo tutti sulla stessa barca. Siamo su barche diverse. Prima di me in mol- ti avevano rifiutato. Di alcuni si sa. Di altri non si sa e non si deve dire. Ma su una questione come la fami- glia, che è antropologica, non ideo- logica, io mi sono sentito di prende- re posizione, di scegliere con chi im- barcarmi». A parità di pelata, perché Bisio è più famoso di lei? «Perché il merito, se Dio vuole, pre- mia le persone giuste, vedi Fiorel- lo. Sono felicissimo per Claudio. Ha l’intelligenza e l’umiltà di dare spa- zio anche all’ultimo arrivato. Non ti ruba la scena, non t’impalla mai». Com’è riuscito a trasformare le tragedie di Shakespeare in uno spettacolo per clown? «Grazie a Francesco Nicolini, uno degli autori di Marco Paolini. Mi ha visto fare Lezione di volo, che nar- ra l’ultima notte di un pagliaccio. Un angelo clown va a trovare un vecchio collega sulla pista di un cir- co, fanno una gag insieme, poi il cherubino regala all’amico un paio d’ali e se lo porta con sé. Nicolini ci ha colto, bontà sua, la capacità d’in- terpretare la clownerie in modo drammatico, e così ha preso tutte le morti tragiche del Bardo, da Giu- lio Cesare a Romeo e Giulietta, da Cleopa- tra a Desdemona, ed è venuto fuori The clown Shakespeare company». Ha paura della mor- te? «Non della mia. Di quella dei miei cari. Sperimento questo terrore tutte le sere quando i figli escono di casa. Per me, scel- go l’opzione di Fabri- zio Canciani, uno dei comici della scuderia catartica di Oreglio: vorrei morire nel son- no come mio nonno, e non urlando di terro- re come i passeggeri del pullman che stava guidando». Il monello che fu non è mai morto. «Però non soffro del- la sindrome di Peter Pan. Anche se, met- tendomi al volante dell’auto, ancor oggi mi dico, come quando ero bambino: “Adesso il ca- pitano prende il timone della sua nave e parte”». Se lo dice o si limita a pensarlo? «No, no, me lo dico proprio, ad alta voce. E quando imbocco una galle- ria trattengo il fiato finché non so- no sbucato dall’altra parte». Dentro il Gottardo è già più diffici- le. «La scritturo come autore». Cantastorie atei ne conosce? «No, mi dispiace. Magari ce ne sa- ranno. Ma l’educazione resta sem- pre legata a una fede. Sennò che speranza gli dai, ai bambini? Che cosa gli racconti? Che è solo una salita? Che poi finisce tutto? Io l’ul- tima cosa che racconterei a un bambino è che poi finisce tutto». (385. Continua) [email protected]t , , TIPI ITALIANI Il maestro, zio del Petisso, scelse me Andavo a fare le scenette per i nostri minatori all’estero. Ancor oggi passo Natale e Ferragosto nei reparti di oncologia pediatrica. Lì conobbi Lucia, tre anni: da viva per me non esisteva; da morta è più viva che mai Sono rimasto con 300 euro in banca Mi accontento delle briciole ma non devo scendere a compromessi. Sono pelato come Bisio, ma lui è molto più bravo: il merito, se Dio vuole, premia le persone giuste. La Hunziker? Anche se sei a dieta il menù lo guardi Il comico di «Zelig» fugge dalla Tv per fare il cantastorie dei bambini CARLO PASTORI L avorava in pubblicità. Poi s’è messo a fare il clown a tempo pieno. Ha avuto quattro f igli dalla stessa moglie. Per questo l’hanno chiamato sul palco del Family day: «Non è vero che siamo tutti sulla stessa barca...» «W LA FISA!» Carlo Pastori, milanese, con la fisarmonica, che in scena gli serve anche da sgabello. «Se avessi scelto il flauto, mica potevo sedermici sopra». È nato il 29 febbraio 1960, «quindi nel 2008 compirò 12 anni». Sulla carta d’identità indossa la maglia dell’Inter, «ma in punto di morte diventerò milanista, così schiatta uno di loro...» Carlo Pastori canta in piazza per i bambini. «Faccio 120 serate l’anno». Prima d’esibirsi a «Zelig», era capo dei creativi delle campagne pubblicitarie per De Beers, Kodak e Yomo «Hanno portato Matteo a un mio spettacolo: è cieco, mi ha riconosciuto dalla voce. “Sei il mio cantante preferito”, ha detto. E tu se il mio bambino preferito, gli ho risposto» 12 Cronache il Giornale Domenica 12 agosto 2007

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STEFANO LORENZETTO

«Nel2008 compirò12 an-ni». Il segreto di CarloPastori, clown, attore,

cabarettista, musicista, cantante,ballerino, fisarmonicista chehorin-tracciato a Nauders, Austria, in unhotel dove i proprietari escludeva-no che fosse mai arrivato, è tuttoqui: essendo nato il 29 febbraio del1960 bisesto, ma nel suo caso nien-t’affatto funesto, festeggia ogniquattro anni e dunque ha trovato ilmodo di preservare per l’eternità ilbambino che è in lui, quello che frai tantimorti contatidaGeorges Ber-nanos nella propria vita apparivaallo scrittore francese il più mortodi tutti, e invece a Pastori, e allafamiglia di Pastori, e agli amici diPastori, e al pubblico di Pastori sipresentaognigiornovivace, imper-tinente, felice.

«Dopo Claudio Bisio, MaurizioCrozza, Paolo Cevoli, Sergio SgrillieRobertoCiufoli dellaPremiatadit-ta, un altro pelato», si descrive conmodestia. Di Bisio, in particolare, èil sosia quasi perfetto («in me-glio»). Stavano insieme in televisio-ne nel cast di Zelig, e con loro Fla-vio Oreglio e Ale & Franz. I Marte-sana incorporesano, s’eranoribat-tezzati. Audience, successo, soldi,starlet, la gente che ti ferma perstrada («la domanda più cretinache mi sentivo porre in quel perio-do era: “Com’è dal vivo MichelleHunziker?”, e come vuoi che sia laHunziker, sei cieco?»). Ma poi que-stomilanesecalvo cheavevapropo-sto di chiamare provocatoriamen-te Family pride il Familyday, e il 12maggio era sul palco a intrattenereil milione di manifestanti radunatiin piazza San Giovanni a Roma, s’èricordato della sua vera natura –«un pagliaccio di strada, è così chenasco» – e ha deciso di diventarecantastorie, di dedicarsi anima ecorpo soltanto ai bambini. Senzaper questo rinuncia-re allo spirito del ca-baret: uno dei suoispettacoli s’intitola Wla fisa!, «è bella la fi-sa, è comoda, in sce-na mi serve anche dasedia, se avessi sceltoil flauto mica potevosedermici sopra».

Una prima sterzataalla sua vita l’avevagià data nel 1987,quando gli nacque ilprimogenito, Giaco-mo,econBanoFerra-ri e Roberto Abbiatifondò il Teatro d’arti-ficio, una compagniadi clown, per non re-stare senza copioniquando poi si sareb-be trovato a far ride-re Giovanni, Elia eMartino,gli altri tre fi-gli arrivati subito do-po, il più piccolo oggidodicenne.Finoadal-lora era stato in J.Walter Thompson,agenzia di pubblicità tra le più noteal mondo, coordinatore del repar-to creativo dal quale uscirono cam-pagne come «Un diamante è persempre» per De Beers, «CiribiribinKodak» con l’alieno nano e gli spotdi Beppe Grillo per Yomo. D’inven-tiva ne ha sempre avuta da vende-re, e lo attesta la foto con la magliadell’Inter sulla carta d’identità(«una fede, come PeppinoPrisco di-venterò milanista in punto di mor-te, così schiatterà uno di loro»).

Un giorno ha preso la moglie Pa-trizia Barbati, insegnante elemen-tare, e i quattro figli e li ha portativia da Milano, a vivere nell’unicoluogodovegli parevache fosse pos-sibile ritagliarsi uno scampolo dipace, aTreviglio, il paese dell’Albe-ro degli zoccoli, «cercavo qualcosache mi ricordasse i tre mesi d’esta-te della mia infanzia scalza a Ma-

lonno, in Valcamonica», lui cheeracresciuto giocando da solo in uncondominio di via Porpora, zonaLoreto, e a 17 anni perse il padre efu costretto a lavorare di giorno estudiare di sera per mantenere lamadre e i due fratelli più piccoli.Ha ancora nelle narici il profumodi dopobarba del papà melomaneche si prepara per andare alla Sca-la con gli Amici del loggione.Com’è diventato attore?«Fine della quinta elementare. Lamia classe vince un premio per larappresentazione teatrale I miste-ri pasquali. Il maestro Guerino Pe-saola, zio del Petisso, l’allenatore,sceglie l’alunno che dovrà ritirareil riconoscimento all’Arengario.Scrive i nostri nomi su dei foglietti eli mette dentro il cappello. Ero cer-tissimo che avrebbe pescato il mio.Alla premiazione chiesero ai geni-tori: “Chi di voi è disposto a lascia-

reche suo figlio vengaa fare spetta-coli all’estero per i nostri emigran-ti?”. Ricordo lo sguardo d’intesafra me e mio padre. Un mese dopopartivo per la Svizzera con TeresaFedeli, che mi ha insegnato a suo-nare la fisarmonica.Abbiamo gira-to Lussemburgo, Francia, Germa-nia, Belgio, Portogallo. Dormiva-monellebaracchedeiminatori.An-cor oggi i miei spettacoli nelle pe-diatrie li faccio il giorno di Natale, oa Ferragosto, quando la solitudinesi fa sentire. Ci vado non solo per ipiccoli malati e per i loro genitori.Ci vado per me. Ogni volta che en-tro in un reparto oncologico, cre-sco». (Estrae dal portafoglio la fotoun po’ sgualcita di una bimba).Chi è?«Questa è Lucia, morta di leuce-mia a tre anni. Ballava le mie can-zoni davanti a medici e infermieri.

I genitori Gigi eMichela Brizzi sonodi Pavia. A Rimini mi hanno sentitoper caso interpretare in piazza Vo-la cigno, l’ultima ninnananna cheavevano cantato alla figlia primache finisse in coma. Hanno volutoconoscermi, siamo diventati amici.Lucia s’è spenta nel 2000, il 22 di-cembre. Lo stesso giorno in cui sen’è andato mio padre. Quando eraviva, per me questa bambina nonesisteva. Adesso che è morta, io lasento viva, c’è, la porto con me».Perché ha scelto come pubblico ibimbi?«Perché non hanno la diplomaziadegli adulti. Se quel che gli raccon-ti non gli interessa, ti mollano subi-to. Ma sono anche gli unici capacidi gratitudine vera. Arrivo in unapiazza dove non sono mai stato escopro che le mie canzoni mi han-nopreceduto. I piccoli spettatori re-alizzano che sono proprio io ad

aver inventato quel-le storie, è come se leavessi scritte perognuno di loro».Prima era un’entitàastratta.«Un giorno torno daRoma in treno. Unpadre dice al figlio:“Quelsignore lì èCar-lo Pastori, canta lecanzoni che ti piac-ciono tanto”. Matteos’avvicina, mi osser-va, poi torna dal pa-pà e gli fa: “Ma cosadici! Carlo Pastorinon esiste”».Mette più pauraunaplateadibambi-ni o di adulti?«Di adulti. Nei gran-diprevale ladiffiden-za. Il facce ride’ èuna sfida, un’orda-lia. Il cabaret nac-que in posti dove lagenteandavaper be-re, mangiare, chiac-chierare, fumare,

trombare, e poi c’era un di più, ilcomico, che doveva comunquepor-tare a casa la serata. Sei mesi fam’è capitato d’esibirmi con Oreglioal casinò di Campione d’Italia. Lagente sotto il palco ci girava le spal-le e mangiava aragosta. Son cazzi.I bambini, quando s’accendono leluci e attacca la musica, smettonodi mangiare. Il teatro è gioco, tan-t’è vero che in francese e in inglesenon esiste il verbo recitare, solojouer e to play, giocare. Il giornoche non mi divertirò più io per pri-mo, farò l’imbianchino».Chi è il più grande nemico deibambini?«Nemico dei bambini è chi gli rac-conta che non esistono la mammae il papà. Come fa Walt Disney conPaperino e Qui, Quo, Qua».La Rai ha cancellato da anni LaTv dei ragazzi.

«Un capolavoro assoluto. Metteva ipaletti: di qua i bambini, di là gliadulti. La Tv era veramente unostrumentodi servizio. Se comincia-va uno spettacolo interessante sul-la seconda rete Rai, una frecciabianca lampeggiava sullo schermoper avvisarti. Oggi l’unica preoccu-pazione che hanno le televisioni èdi costringerti a non cambiare ca-nale».I suoi figli vengono a vedere lei ateatro anziché stare al computer,guardare la Tv, giocare col Gameboy, trafficare col telefonino?«Fanno tutto ciò che ha detto, an-che se non nello stesso ordine».Nehamessialmondo quattro, tut-ti con la stessa moglie. È da eroi.«Lo rifarei».Nessun interesse per la Hunziker.«Nonè che siccome stai a dieta nonguardi il menù. Ma è più interes-sante coltivare un unico amore.Mia moglie mi ha in-coraggiato nelle miescelte. Quando deci-si di fare il cantasto-rie a tempo pieno, leinon lavorava perchévoleva occuparsi so-lo dei figli».Hatemutodi lasciar-li senza pane?«È vero che per farbene il giullare deviaver fame, ma sel’ansia di non riusci-re a mantenere la fa-miglia prende il so-pravvento, diventacontroproducente».E lei era in ansia.«Mi sono ritrovatocon300eurosulcon-to corrente. Il telefo-no non squillavamai. L’avevo messogiù male».Riesce a scherzarci.«La linea della vitaper i miei figli è sem-prestata: asilo, scuo-la, padre cheva ingi-ro per le piazze a fare il Gioppino.Martino, l’ultimo nato, alla mater-na chiese a un amichetto: “Tuo pa-pà che spettacoli fa?”. Non è maiesistito per loro un padre idraulicoo commercialista. Vedono il lavorocome un mix di arte e corporeità».Crede d’essere un buon padre?«Io credo. E questa è già una fortu-na.Domando di essereun buon pa-dre. Lo domando al Padre, a miamoglie, ai miei figli, a me stesso.Poi faccio lemie belle cazzateal pa-ri di tutti gli altri padri».Come si arriva in Tv e perché la silascia?«La prima volta il produttore di Ze-lig, Roberto Bosatra, mi chiese:“Da quanti anni fai teatro?”. Tredi-ci, risposi io. “Stasera ti vedrà il tri-plo della gente che ti ha visto in 13anni”, replicò lui. Su Italia 1 ho fat-toanche Colorado café. Sono anda-

to in Tv per dire cose a persone chealtrimenti non avrei mai potutoraggiungere. Però non m’interessaentrare nel giro di Lele Mora. Oggiil comico èconsiderato ungladiato-re televisivo: deve riempire la sce-na, spaccare il mondo, sloggiare.Avanti il prossimo!».Così ha scelto di servire i piccini.«È un’operazione furba. Sono an-che imprenditore. Ho intravistounospazio. Al marea Ostuni, il me-se scorso, eravamo in tre famigliediamici: 30persone.Ègiàunamez-za platea. Qui in Sudtirolo idem.Del gruppo io sono quello che hameno figli.Di recentemihannopor-tato un bimbo in carrozzella, sichiama Matteo, è cieco. A scuola,quarta elementare, la maestra gliavevadatoper tema“Il miocantan-te preferito”. I suoi compagni diclasse avevano scritto chi LauraPausini chi Tiziano Ferro. Lui ave-

vadettato: “Il mio cantante preferi-to è Carlo Pastori”. L’insegnante disostegno non capiva: “Ma chi è ’stoPastori?”. Non faccio parte delgrandegiroeneppurediquello pic-colo, mi accontento delle briciole.Coltivo un submercato che, oltre adarmida mangiare, mimette in pa-ce con me stesso, non mi obbliga ascendere a compromessi. Se michiedono l’esclusiva, rifiuto, per-ché ho il mio amico prete di VigoloVattaro che mi chiama a fare unospettacolo in Valsugana e in cam-bio mi offre mezza forma di vezze-na e io me lo tengo stretto. Certo,mi chiamano anche nelle crocieresulle Grandi Navi Veloci o sui va-scelli privati nelle Cicladi, e lì sonomarchette».Ma il suo spettatore tipo restaMatteo.«Nonsapevadivenireaunmiocon-

certo. I genitori, che nemmeno miconoscevano, hanno voluto fargliuna sorpresa. Mi ha riconosciutodalla voce e ha avuto un fremito. Èstato un incontro commovente, diparole.Alla fineci siamoabbraccia-ti e gli ho detto: guarda, Matteo, iosarò anche il tuo cantante preferi-to, ma devo ammettere che tu sei ilmio bambino preferito».Quante serate fa in un anno?«Circa 120».Le manca la famiglia mentre è ingiro per l’Italia?«Tantissimo».Dice il segretario dell’Udc che an-che all’onorevole Cosimo Melemancava tanto la famiglia.«Sì, ho letto: la vitadei parlamenta-ri costretti a rimanere a Roma èmolto dura... Ho una proposta. Sic-come so che hanno anche chiestopiù soldi, io darei l’aumento allemogli.Oppure abbasserei lo stipen-dio ai mariti, così la smettono dian-dare a troie».Chi gliel’ha fatto fare di esibirsi alFamily day?«Me l’hanno chiesto. Ho accettatoperché penso che a un certo puntodella vita devi scegliere su qualebarca salire. Non credo che siamotutti sulla stessa barca. Siamo subarchediverse.Primadime inmol-ti avevano rifiutato. Di alcuni si sa.Di altri non si sa e non si deve dire.Ma su una questione come la fami-glia, che è antropologica, non ideo-logica, io mi sono sentito di prende-reposizione,di scegliereconchi im-barcarmi».A parità di pelata, perché Bisio èpiù famoso di lei?«Perché ilmerito, se Diovuole, pre-mia le persone giuste, vedi Fiorel-lo. Sono felicissimo per Claudio. Hal’intelligenzae l’umiltà di dare spa-zio anche all’ultimo arrivato. Nonti ruba la scena, non t’impallamai».Com’è riuscito a trasformare letragedie di Shakespeare in unospettacolo per clown?«Grazie a Francesco Nicolini, unodegli autori di Marco Paolini. Mi havisto fare Lezione di volo, che nar-ra l’ultima notte di un pagliaccio.Un angelo clown va a trovare unvecchiocollega sulla pista di un cir-co, fanno una gag insieme, poi ilcherubino regala all’amico un paiod’ali e se lo porta con sé. Nicolini cihacolto,bontà sua, la capacitàd’in-terpretare la clownerie in mododrammatico, e così ha preso tuttele morti tragiche del Bardo,da Giu-

lio Cesare a Romeo eGiulietta, da Cleopa-tra a Desdemona, edè venuto fuori Theclown Shakespearecompany».Ha paura della mor-te?«Non della mia. Diquella dei miei cari.Sperimento questoterrore tutte le serequando i figli esconodi casa. Per me, scel-go l’opzione di Fabri-zio Canciani, uno deicomici della scuderiacatartica di Oreglio:vorrei morirenel son-no come mio nonno, enon urlando di terro-re come i passeggeridel pullman che stavaguidando».Il monello che fu nonè mai morto.«Però non soffro del-la sindrome di PeterPan. Anche se, met-tendomi al volante

dell’auto, ancor oggi mi dico, comequandoerobambino: “Adesso il ca-pitano prende il timone della suanave e parte”».Se lo dice o si limita a pensarlo?«No, no, me lo dico proprio, ad altavoce. E quando imbocco una galle-ria trattengo il fiato finché non so-no sbucato dall’altra parte».Dentro il Gottardo è già piùdiffici-le.«La scritturo come autore».Cantastorie atei ne conosce?«No, mi dispiace. Magari ce ne sa-ranno. Ma l’educazione resta sem-pre legata a una fede. Sennò chesperanza gli dai, ai bambini? Checosa gli racconti? Che è solo unasalita? Che poi finisce tutto? Io l’ul-tima cosa che racconterei a unbambino è che poi finisce tutto».

(385. Continua)[email protected]

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TIPI ITALIANI

‘ ‘Il maestro, zio del Petisso, scelse meAndavo a fare le scenette per i nostriminatori all’estero. Ancor oggipasso Natale e Ferragosto nei repartidi oncologia pediatrica. Lì conobbiLucia, tre anni: da viva per me nonesisteva; da morta è più viva che mai

Sono rimasto con 300 euro in bancaMi accontento delle briciole ma nondevo scendere a compromessi. Sonopelato come Bisio, ma lui è molto piùbravo: il merito, se Dio vuole, premiale persone giuste. La Hunziker?Anche se sei a dieta il menù lo guardi

Il comico di «Zelig» fugge dalla Tvper fare il cantastorie dei bambini

CARLO PASTORI

Lavorava in pubblicità. Poi s’è messo a fareil clown a tempo pieno. Ha avuto quattrofigli dalla stessa moglie. Per questo l’hannochiamato sul palco del Family day: «Nonè vero che siamo tutti sulla stessa barca...»

«W LA FISA!»Carlo Pastori, milanese,

con la fisarmonica, che inscena gli serve anche da

sgabello. «Se avessi sceltoil flauto, mica potevo

sedermici sopra». È nato il29 febbraio 1960, «quindi

nel 2008 compirò 12anni». Sulla carta

d’identità indossa la magliadell’Inter, «ma in punto dimorte diventerò milanista,

così schiatta uno di loro...»

Carlo Pastoricanta in piazzaper i bambini.«Faccio 120serate l’anno».Prima d’esibirsia «Zelig», eracapo dei creatividelle campagnepubblicitarieper De Beers,Kodak e Yomo

«Hanno portatoMatteo a unmio spettacolo:è cieco, mi hariconosciutodalla voce. “Seiil mio cantantepreferito”, hadetto. E tu seil mio bambinopreferito, gliho risposto»

12 Cronache il Giornale � Domenica12agosto2007