La lottizzazione della Rai_Partiti politici e servizio pubblico televisivo in un quadro comparato

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Matteo Mezzalira La lottizzazione della Rai Partiti politici e servizio pubblico televisivo in un quadro comparato

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Matteo Mezzalira

La lottizzazione della Rai

Partiti politici e servizio pubblico televisivo in un quadro comparato

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Indice Introduzione……………………………………………………………………………………4 Capitolo 1 – Le vicende storiche Gli inizi: dal fascismo al dopoguerra…………………………………………………………..6 Gli anni ’60: l’era Bernabei e il monopolio statale………………………………………….....9 Gli anni ’70: la fine dell’era Bernabei e la proliferazione delle televisioni “libere”………....12 Gli anni ’80: l’arrivo di Fininvest e il tramonto del monopolio……………………………....14 Gli anni ’90: il trionfo del duopolio e la “discesa in campo” di Berlusconi………………….16 Gli anni recenti: il “regime” e la rivoluzione digitale.………………………………………..18 Figura 1. Organigramma aziendale della Rai…………………………………………………22 Tabella 1. Consiglio d’Amministrazione attuale (luglio 2012)………………………………23 Capitolo 2 – Breve analisi comparativa tra servizi pubblici televisivi: la situazione italiana e i casi di Gran Bretagna, Francia e Germania Il servizio pubblico in Italia Contesto………………………………………………………………………………………...23 Quadro legislativo………………………………………………………………………………..24 Penetrazione della politica: relazione tra nomina dei vertici, indipendenza, imparzialità e pluralismo interno………………………………………………………………………………..24 Mezzi di finanziamento…………………………………………………………………………...25 Mission del servizio pubblico………………………………………………………………….…..25 Il servizio pubblico in Gran Bretagna Contesto………………………………………………………………………………………...26 Quadro legislativo………………………………………………………………………………..26 Penetrazione della politica: relazione tra nomina dei vertici, indipendenza, imparzialità e pluralismo interno………………………………………………………………………………..26 Mezzi di finanziamento…………………………………………………………………………...27 Mission del servizio pubblico……………………………………………………………………...27 Il servizio pubblico in Francia Contesto………………………………………………………………………………………...28 Quadro legislativo………………………………………………………………………………..28 Penetrazione della politica: relazione tra nomina dei vertici, indipendenza, imparzialità e pluralismo interno………………………………………………………………………………..29 Mezzi di finanziamento…………………………………………………………………………...30 Mission del servizio pubblico…………………………………………………………………...…30 Il servizio pubblico in Germania Contesto………………………………………………………………………………………...31 Quadro legislativo………………………………………………………………………………..32 Penetrazione della politica: relazione tra nomina dei vertici, indipendenza, imparzialità e pluralismo interno…………………………………………………………………………….….33 Mezzi di finanziamento…………………………………………………………………………...33 Mission del servizio pubblico……………………………………………………………………...34

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Conclusione…………………………………………………………………………………...35 Appendice 1 – Cronologia delle cariche dirigenziali della Rai Tabella 2. Presidenti della Rai……………………………………………………………………..37 Tabella 3. Direttori generali della Rai……………………………………………………………….37 Tabella 4. Amministratori delegati della Rai…………………………………………………………38 Appendice 2 – Intervista a due esperti………………………………………………………..39 Bibliografia…………………………………………………………………………………...43

Sitografia……………………………………………………………………………………...44

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INTRODUZIONE La parola “lottizzazione” viene da “lotto” (fr. lot, da un’antica voce franca, col significato di “eredità, sorte, bottino, parte assegnata”) e ha una connotazione di tipo edilizio-urbanistico. In tempi recenti, però, il termine è stato sempre più riferito all’ambito politico, ad indicare la spartizione concordata di cariche dirigenziali in aziende ed enti pubblici tra i diversi partiti politici o fazioni, ai fini di distribuire tali cariche a guisa di benefit per i sostenitori di quelle parti politiche stesse. Il vocabolo lottizzazione fu applicato per la prima volta alla Rai (in un’accezione fortemente polemica) dal giornalista e scrittore Alberto Ronchey, in una lettera inviata a Ugo La Malfa il 14 ottobre 19681, ma si può dire, senza timore di essere smentiti, che la televisione è, in Italia, il mass media che più di ogni altro ha subìto l’influenza della politica nel corso del tempo. Prima dell’affermazione di Ronchey, la Rai era già sotto uno stretto controllo politico, più precisamente del Governo, all’epoca monopolizzato già da venti anni dal partito della Democrazia Cristiana. La situazione cambia con la Riforma del 1975, che pone le premesse per l’istituzionalizzazione della spartizione partitica della Rai: sotto la bandiera del pluralismo, la concessionaria del servizio pubblico viene messa a disposizione del Parlamento, non più del Governo. Ciò porterà ad una progressiva lottizzazione delle reti e dei rispettivi telegiornali a favore dei partiti più forti nell’emicerchio, ovvero la solita Democrazia Cristiana (che si accaparra l’intera Raiuno), il Partito Socialista Italiano (a cui va Raidue) e il Partito Comunista Italiano (che si impossesserà di Raitre). Questo quadro verrà ribaltato da Tangentopoli: i partiti storici si dissolvono e vengono sostituiti da nuove forze politiche (Forza Italia, Lega Nord, Partito Democratico della Sinistra, Centro Cristiano Democratico) ma la lottizzazione sarà un fenomeno che sopravviverà e, al contrario, prospererà nella cosiddetta Seconda Repubblica, venendo coadiuvato da un principio nuovo, la par condicio. Detto questo, la domanda sorge spontanea: perché la televisione italiana è sempre parsa un’appendice della politica, uno strumento asservito al potere e ai partiti? E fino a che punto tale percezione ha corrisposto alla realtà dei fatti e quanto, invece, vi è stato di strumentalizzazioni polemiche? Questo lavoro cercherà di dare una risposta a tale quesito, suddividendosi in due parti. La prima riguarda le vicende storiche del servizio pubblico che, nel nostro Paese, è incarnato nella Rai, con un focus particolare sui meccanismi di nomina dirigenziale e sull’influenza che il potere politico ha ed ha avuto su di essa. La seconda si presenta come un breve confronto, 1 Il segretario repubblicano aveva chiesto a Ronchey di accettare, da “indipendente” ma su designazione del suo partito, una nomina nel Comitato Direttivo e nel Consiglio d’Amministrazione dell’azienda. Ronchey però rifiuta. A questa prima lettera ne seguirono altre due, datate rispettivamente 21 ottobre e 14 novembre dello stesso anno. E in tutte e tre compare, in questo nuovo significato televisivo, la parola “lottizzazione”. Nella prima lettera Ronchey ne denuncia l’imminente pericolo; nella seconda rafforza la sua analisi; nella terza rifiuta definitivamente la proposta. Ecco una selezione delle tre lettere: 1. “Caro La Malfa, un’improvvisa spartizione del potere, concordata fra democristiani e socialisti senza chiedere altri consigli e a quanto pare senza ripensamenti, sta per sconvolgere il Telegiornale e i Servizi giornalistici della televisione. […] Si direbbe che i partiti perseguano in questo delicato servizio pubblico un puro profitto di potere -così come altrove il mondo della pubblicità e degli affari piega le televisioni commerciali a fini di puro profitto economico- senza riguardo per la qualità dell’informazione e per l’opinione pubblica, con grande sperpero di risorse tecniche e culturali. Ai lottizzatori della tv basta che ogni redazione abbia un direttore democristiano e un vicedirettore socialista. […]” 2. “[…] Esempi: Telegiornale, Servizi collaterali, programmi culturali-educativi. Questa lottizzazione non può essere funzionale per l’azienda né utile dal punto di vista dell’interesse pubblico; è semplicemente meccanica […] e per assurdo un socialista è nei migliore dei casi un “vice” per definizione”. 3. “Non ho avuto sufficienti garanzie contro la prospettiva che la RAI-TV sia gestita in base a un rigido accordo fra due partiti, scavalcando il Comitato Direttivo dell’azienda […]. In tali circostanze, non vedo quale apporto potrei dare alla RAI-TV se fossi membro del suo Consiglio d’Amministrazione e del suo Comitato Direttivo […]. Ti ringrazio della fiducia che il tuo partito mi aveva dato, designandomi a quegli incarichi in condizione di autonomia e come professionista indipendente”.

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tenendo fermi i parametri di comparazione, tra le emittenti di servizio pubblico di Italia, Gran Bretagna, Francia e Germania. Dopo la conclusione, un’appendice riporta gli elenchi dei presidenti, dei direttori generali e degli amministratori delegati della Rai, oltre a due interviste dedicate al parere di due esperti, a loro modo diversi, sull’attuale condizione della Radiotelevisione Italiana.

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CAPITOLO 1 – LE VICENDE STORICHE Gli inizi: dal fascismo al dopoguerra

Sa come si costruisce un potere personale in un’azienda? Ma semplicemente così: il potente mette i suoi amici nei posti chiave e fa sempre sentir loro che, se stanno seduti dove stanno seduti, lo devono a lui. Essi devono capire bene anche questo: che in quattro e quattr’otto, se il potente lo volesse, potrebbe rispedirli a casa.

(Ettore Bernabei) La specificità della gestione fortemente politicizzata della televisione in Italia emerge già in modo inequivocabile dal quadro in cui il servizio pubblico venne a crearsi, durante il Ventennio fascista. Il 27 agosto 1924, grazie all’impegno del ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano, nacque l’Unione Radiofonica Italiana (URI), la prima società concessionaria della radiodiffusione2. L’URI era di proprietà privata, partecipata da aziende come General Electric, Società Idroelettrica Piemontese (SIP) e FIAT3. Nel 1927 il Governo ne assunse il controllo azionario e la trasformò in un ente pubblico, l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (EIAR)4. L’EIAR si configurò quindi come uno straordinario mezzo di propaganda a disposizione dell’establishment politico al potere e per oltre quindici anni svolse il compito di coagulare consenso attorno all’ideologia totalitaria di Mussolini. A seguito della caduta del regime fascista, l’EIAR cambiò denominazione e diventò RAI (Radio Audizioni Italiane) il 26 ottobre 1944, con il decreto legislativo luogotenenziale n. 4575. Sotto la supervisione degli Alleati e con l’instaurazione della repubblica6, nel 1947 venne delineato il nuovo quadro legislativo, a dir la verità piuttosto carente (ma prontamente sfruttato dal partito che avrebbe egemonizzato la vita politica dei decenni successivi, la Democrazia Cristiana), che avrebbe regolato le trasmissioni radiofoniche della RAI7: così non fu toccato il diritto dell’esecutivo alla gestione esclusiva del servizio pubblico di radiodiffusione (tramite il Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni che, tra le altre cose, controllava l’approvazione dello statuto aziendale e provvedeva alla nomina del presidente e dell’amministratore delegato dell’ente concessionario) e vennero creati due organi nuovi, il Comitato per la determinazione delle direttive di massima culturali, artistiche ed educative8 e la Commissione parlamentare di vigilanza9. Entrambe le figure collegiali saranno sempre poco considerate, specialmente la seconda avrà un impatto pari allo zero per ciò che riguarda 2 Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia, 2001 (IV edizione), pag. 19. 3 “La Radiotelefonia in Italia: dalla SIRAC alla RAI”. http://www.cisi.unito.it/marconi/rai.html 4 F. Monteleone, Storia della radio e della televisione, cit., pag. 47. 5 Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti, 2004, pag. 5. 6 Che il popolo italiano aveva scelto nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946. 7 Decreto legislativo n. 428 del 3 aprile 1947, “Nuove norme in materia di vigilanza e controllo sulle radiodiffusioni circolari”. http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:1947-04-03;428$art5 8 Era un organo tecnico chiamato a sovrintendere alla programmazione; nella prassi, tuttavia, si trovò ad occuparsi solo di aspetti culturali e d’intrattenimento. Era composto da personalità del mondo della cultura, delle arti, di associazioni di categoria. Il presidente era nominato dal Consiglio dei Ministri. Cfr. decreto legislativo n. 428 del 3 aprile 1947, artt. 8, 9 e 10. 9 Ivi, artt. 11, 12, 13 e 14. La Commissione era composta da 17 rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari, portati nel 1949 a 30, e aveva “il compito di vigilare affinché [fosse] assicurata l’indipendenza politica e l’obiettività informativa”. Tuttavia, sia l’indeterminatezza dei suoi compiti che la facoltà di intervenire ex post e non ex ante, penalizzò enormemente fin dall’inizio l’azione della Commissione.

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il tentativo di un indirizzo maggiormente democratico da imprimere all’attività dell’azienda, paralizzata dalle contrapposizioni tra i partiti che rifletteranno i rapporti di forza presenti in Parlamento10. Il 10 febbraio 1950 la RAI prese parte alla costituzione dell’Union Européenne de Radiodiffusion (UER), di cui divenne membro permanente nel Consiglio d’Amministrazione. Due anni dopo, precisamente il 26 gennaio 1952, lo Stato italiano concesse alla RAI11 l’esclusiva dei servizi di radiodiffusione e telediffusione per la durata di vent’anni, ovvero fino al 15 dicembre 197212, mentre il 19 novembre dello stesso anno un decreto ministeriale definì il canone d’abbonamento per la televisione13. Il 3 gennaio 1954 l’annunciatrice Fulvia Colombo diede avvio alle trasmissioni televisive regolari del Programma Nazionale14, mentre l’11 aprile 1954 si giunse al nome attuale di Radiotelevisione Italiana (Rai)15. Come si può subito notare, l’EIAR, la prima emittente radiotelevisiva del nostro Paese, nacque in un contesto egemonizzato dal Governo e la RAI susseguente non è altro che una costruzione in buona parte identica a quella che l’ha preceduta, anch’essa sotto il controllo, più o meno evidente, dell’esecutivo. Come la società che l’aveva preceduta, il primo Consiglio d’Amministrazione della RAI era composto da 15 membri compresi presidente, due vicepresidenti e direttore generale16, ma se l’EIAR era a partecipazione mista pubblica e privata, la situazione emergenziale post-bellica impose allo Stato, nello specifico al Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni, il rilevamento dell’intero pacchetto azionario, tramite l’IRI17. La Convenzione del 26 gennaio 1952 delineò una nuova struttura del Consiglio d’Amministrazione: i membri designati direttamente dall’esecutivo passavano da 4 a 6 e sempre all’esecutivo spettavano l’approvazione delle cariche di presidente, amministratore delegato e direttore generale, mentre gli altri 10 membri erano eletti dagli azionisti (in sostanza l’IRI), per un totale di 16 persone18. Di fatto la Convenzione del 26 gennaio 1952 considerava le nomine dei quadri dirigenti un incarico “di esclusiva competenza del Governo”19. Il deputato socialista Giovanni Pieraccini attaccò duramente in Parlamento la nuova Convenzione:

“E’ mai possibile che ad un certo momento, addirittura all’improvviso, si decida di un fatto di tale importanza come il rinnovo della concessione alla RAI, senza che l’opinione pubblica venga interpellata, senza che il Parlamento ne venga a conoscenza? Fino a questo momento il Parlamento è all’oscuro di tutto quanto è avvenuto. […] Come potete voi, uomini che vi chiamate democratici (che sostenete anzi di essere i “veri” rappresentanti della “vera” democrazia contro la minaccia delle forze totalitarie di destra e di sinistra) non aver sentito, non dico la necessità di modificare questo articolo [del codice postale, nda], ma almeno il dovere morale, comunque, di informare il Parlamento, di aspettare la discussione di questo bilancio, prima di pubblicare il decreto presidenziale? Il rinnovo è avvenuto all’improvviso

10 Franco Monteleone, Storia della RAI dagli Alleati alla DC, 1944-1954, Laterza, Roma-Bari, 1980, pag. 103. 11 Precisamente con la Convenzione tra Stato e RAI approvata con d.p.r. n. 180, che innovava quella stipulata tra la monarchia e l’EIAR risalente al 1927. 12 A. Grasso, Storia della televisione, cit., pag. 5. 13 Ibidem. 14 Così si chiamava Raiuno, unico canale televisivo a disposizione dei telespettatori fino al 1961. 15 F. Monteleone, Storia della radio e della televisione, cit., pag. 275 16 Struttura che ricalcava lo statuto dell’EIAR approvato con il regio decreto-legge del 29 luglio 1933. F. Monteleone, Storia della radio e della televisione, cit., pag. 50. 17 Istituto per la Ricostruzione Industriale. Ente pubblico fondato nel 1933 da Benito Mussolini, con lo scopo di salvare dal fallimento le banche italiane colpite dal Venerdì Nero. Sopravvisse al cambio di regime e nel dopoguerra divenne la più grande holding pubblica italiana. Alcune delle aziende più famose da essa gestite erano Rai, Alitalia, Società Autostrade, Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma, SME, Finmeccanica, Fincantieri. L’Istituto venne liquidato nel 2002. 18 Giulia Guazzaloca, Una e divisibile: la RAI e i partiti negli anni del monopolio pubblico (1954-1975), Mondadori Education-Le Monnier, Milano-Firenze, 2011, pag. 22. 19 Ivi.

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con una discussione fra poche persone. E lo abbiamo dovuto apprendere dalla stampa e poi leggerlo sulla Gazzetta Ufficiale”20.

Il rinnovo era stato condotto in segreto, con evidente disappunto e sdegno delle sinistre, le quali però per anni non andarono oltre alla critica anticapitalistica, abbastanza semplicistica e ottusa, del nuovo mezzo a disposizione degli italiani, senza mai proporre soluzioni per una gestione migliore del tubo catodico; solo la DC comprese e colse l’opportunità in pieno. Vediamo qui una caratteristica fondamentale che sarà destinata a manifestarsi lungo i decenni successivi: la mancanza della cultura dell’indipendenza politica del servizio pubblico radiotelevisivo, che si espresse in una sorta di “vassallaggio al Governo”21. Inoltre, la Rai si contraddistingueva già allora nel quadro europeo per essere una specie di azienda a connotazione ibrida, a metà strada tra ente pubblico e società privata, nella quale finanziamenti di tipo diverso, come canone di abbonamento e ricavi pubblicitari, si affiancavano sistematicamente22. Nel primo biennio di attività il presidente della RAI fu il giurista cattolico-liberale Carlo Arturo Jemolo, sostituito nel 1946 dal democristiano Giuseppe Spataro. Di fatto l’azienda era saldamente in mano ad un ristretto gruppo torinese, guidato dal direttore generale Salvino Sernesi e soprattutto dal vicedirettore Marcello Bernardi, che rappresentava la continuità manageriale tra il periodo fascista e quello repubblicano-democratico. Sernesi proveniva dalla SIP, la prima grande società telefonica italiana, come molti quadri dell’EIAR. Al loro fianco operavano dirigenti come Giulio Razzi (l’autore, tra l’altro, di Faccetta nera), Antonio Piccone Stella (attento ad una produzione di livello colto23), Sergio Pugliese (drammaturgo e giornalista, ex-EIAR), Fulvio Palmieri, Aldo Passante, Marcello Severati. Era una dirigenza di area liberale e simpatie massoniche (Ettore Bernabei li chiamerà sprezzantemente “quelli del Circolo del Whist”, o “gli aziendali”, o ancora “i mandarini”), poco condizionabile dai compromessi tra i partiti politici e ancorata ad un modello culturale rispettoso del moderatismo cattolico. Il gruppo di vertice si distingueva per una conduzione sobria, ma poco sensibile alle dirompenti novità che il mezzo avrebbe arrecato. A consolidare il potere dei cosiddetti “torinesi”, venne messo a capo della SIPRA24 (in cui resterà per un quarto di secolo) Enrico Martini detto “Mauri”, comandante nelle Langhe delle brigate partigiane “azzurre” (contrapposte a quelle “rosse” dei garibaldini) e medaglia d’oro al valor militare. Amintore Fanfani, una volta assunta la carica di segretario della Democrazia Cristiana, impose come amministratore delegato Filiberto Guala, proveniente dal movimento dell’Azione Cattolica. L’arrivo di Guala, nel 1954, si configurò come il primo vero attacco al “fortino” torinese ex-EIAR, in nome del concetto, finora scarsamente applicato, di “servizio pubblico”. Guala era convinto di avere una “missione” sociale da portare a termine e, in nome di una salda matrice cattolica, volle utilizzare la televisione per migliorare gli italiani. Benché

20 Discorso alla Camera dei Deputati dell’On. Pieraccini, 18 giugno 1952. 21 F. Monteleone, Storia della RAI, cit., pag. 161. 22 Nella giurisprudenza la Rai è considerata un soggetto di diritto privato, salvo il fatto che il sistema “non è lineare. Infatti se si considera pubblico il servizio delle telecomunicazioni e lo si riserva allo Stato, è incoerente farlo attuare poi attraverso un privato consentendo solo dei poteri di controllo attraverso una partecipazione finanziaria di maggioranza” (Augusto Fragola, La radiotelevisione nella giurisprudenza, Cedam, Padova, 1971, pagg. 21-23). 23 Radio Tv Libere, “Antonio Piccone Stella”. http://www.storiaradiotv.it/ANTONIO%20PICCONE%20STELLA.htm 24 La SIPRA (Società Italiana per la Pubblicità Radiofonica Anonima) è la concessionaria della Rai che gestisce in esclusiva la pubblicità su tutti i mezzi di comunicazione (radio, tv, carta stampata, cinema e web). Fondata a Milano il 9 aprile 1926, nel 1933 venne acquistata dall’ente pubblico Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) e da quel momento la sua storia procedette di pari passo con quella dell’EIAR prima e della Rai poi. Attualmente è una delle due maggiori concessionarie italiane per la pubblicità, insieme a Publitalia ’80 della Mediaset.

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rigidamente vincolata da un articolato sistema di regole “cattolicissime” (il Codice d’autodisciplina, redatto da monsignor Galletto e approvato da papa Pio XII in persona), Guala ebbe il merito di aprirsi al polimorfismo della società dando avvio alla campagna di reclutamento dei cosiddetti “corsari” (ovvero i partecipanti ai “corsi” di formazione). Fu una lungimirante operazione manageriale, emblematica di quella visione didattica del tubo catodico che aveva l’amministratore delegato. Da allora la Rai non ha mai più trovato il coraggio e la volontà “politica” di chiamare a raccolta le più giovani e brillanti intelligenze del Paese. Tra i “corsari” di quel periodo ricordiamo Furio Colombo, Umberto Eco, Gianni Vattimo, Enrico Vaime, Piero Angela, Adriano De Zan e Gianfranco Bettetini. Nonostante le sue indiscutibili capacità manageriali, la scarsa propensione di Guala ad accettare supinamente direttive e raccomandazioni da parte dei suoi “padrini” politici, la sua eccessiva intransigenza e soprattutto la sua opposizione all’introduzione della pubblicità fecero calare rapidamente la sua popolarità in azienda. Guala venne “fatto fuori” con modi bruschi: secondo Franco Chiarenza25 a seguito di un articolo di Alfredo Panicucci apparso su “Epoca” ispirato da Aldo Passante, secondo Bernabei per un complotto ordito dal “Circolo del Whist” cui, ignaro, avrebbe partecipato persino papa Pacelli 26. Gli anni ’60: l’era Bernabei e il monopolio statale Il 6 luglio 1960 la Corte Costituzionale intervenne in merito alla legittimità del monopolio pubblico radiotelevisivo. Una società privata, collegata con il quotidiano Il Tempo (di proprietà di Renato Angiolillo), aveva chiesto infatti il permesso di trasmettere programmi propri27. La sentenza 59/196028 confermò la legittimità costituzionale dell’esclusiva Rai e negò quindi la possibilità di fondare un’emittente privata, ma obbligò la stessa Rai a garantire a tutti i cittadini il diritto d’accesso e l’obiettività dell’informazione. Dieci mesi prima dell’inaugurazione del Secondo Programma29 (4 novembre), il 5 gennaio 1961 il liberale Novello Papafava dei Carraresi fu nominato presidente della Rai e, soprattutto, Ettore Bernabei30 direttore generale: egli ricoprì tale carica fino al 1974. Fiorentino, laureato in Lettere Moderne, nacque il 16 maggio 1921 ed iniziò la carriera giornalistica nel 1946. Dal 1951 al 1956 fu direttore del Giornale del Mattino, nello stesso anno venne chiamato a Roma per dirigere Il Popolo, organo di stampa del partito della Democrazia Cristiana. Non appena giunto in Rai, Bernabei si accorse che l’azienda andava governata non con le buone idee, ma con la conquista dei posti di comando. Fanfani, suo sponsor politico, fu il primo a capire le enormi potenzialità del nuovo mezzo e si denotò come assoluto protagonista della creazione di uno “zoccolo duro” democristiano nella Rai. Bernabei, raccogliendo anche i frutti che Guala aveva seminato, si prefisse alcune azioni decisive: sottrarre potere al gruppo “massone” torinese inserendo uomini fedeli nei posti chiave dell’organigramma aziendale, spostare l’asse politico della Rai dal centrodestra al centrosinistra (favorendo l’ingresso dei socialisti, ma restando sempre molto vicino ai poteri forti della Chiesa, specialmente all’Opus Dei) e promuovere lo sviluppo dell’azienda. Iniziò così una dura lotta tra la vecchia e la nuova lobby, con Bernabei grande stratèga di ogni scelta relativa alla società. Nel 1964 fu scelto come presidente Rai Pietro Quaroni, ex-ambasciatore, come vicepresidente lo scrittore di sinistra moderata Giorgio Bassani e come vicedirettore il socialdemocratico Italo De Feo, 25 Franco Chiarenza, Il cavallo morente, Bompiani, Milano, 1978, pag. 73 26 Ettore Bernabei, (con Giorgio dell’Arti) L’uomo di fiducia. I retroscena del potere raccontati da un testimone rimasto dietro le quinte per cinquant’anni, Mondadori, Milano, 1999. 27 A. Grasso, Storia della televisione, cit., pag. 87 28 Sentenza “Il Tempo-Tv”. http://www.giurcost.org/decisioni/1960/0059s-60.html 29 Questo era il nome della seconda rete Rai fino al 1976; prese poi il nome di TV2 (1976-1983) e infine di Raidue (1983-…). 30 it.wikipedia.org

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nominato direttamente dal ministro degli Esteri Giuseppe Saragat31. Come si nota da queste prime righe, la Rai non è mai stata indipendente. Sono in parecchi al giorno d’oggi che chiedono a gran voce, forse un po’ sbrigativamente, che i partiti escano dalla gestione dell’azienda pubblica32, probabilmente perché al momento il problema della qualità scadente dei programmi offerti dalla Rai è più vistoso e più urgente da risolvere che in passato, ma la discussione su chi dovrebbe tenere le redini dell’azienda e se è giusto che lo debbano avere i partiti politici è antica, come dimostra questo articolo di Indro Montanelli apparso nel maggio del 1964 sul “Corriere della Sera”:

“I partiti della maggioranza litigano fra loro non per dare uno stabile assetto di azienda di Stato alla RAI-TV, ma per la spartizione dei posti dirigenziali. […] Ma nessuno in questa polemica ha detto ciò che andava e andrebbe detto: e cioè che un’azienda di Stato è al servizio dei cittadini, non dei partiti e delle loro correnti; e che farne uno strumento di propaganda politica e di pubblicità commerciale è un sopruso, una immoralità, un’infamia”33.

E questo articolo di due anni più tardi, apparso sul settimanale “Epoca”:

“La polemica in corso tra esponenti politici per alcune nomine di dirigenti della RAI-TV fa nascere un grave interrogativo. La Radiotelevisione penetra in tutte le case ed è al servizio di tutti: e allora perché questo ente pubblico è affidato al controllo dei partiti?” (R. Morello, Milano) “[…] Io credo che il governo, designando i nuovi capi della Rai, non abbia voluto ispirarsi soltanto ad un concerto politico, ma abbia voluto anche scegliere delle persone che per la loro provenienza ed esperienza costituissero, in certo modo, un punto ideale di incontro tra cultura, politica e funzionalità. Non a caso tutti i dirigenti attuali della Rai sono scrittori e giornalisti. Uno scrittore e un giornalista si suppone siano abbastanza indipendenti dal partito cui idealmente aderiscono per assumere, se necessario, decisioni che corrispondano agli interessi generali anziché ad interessi di natura particolare. Con ciò il governo intese conformarsi nel modo migliore all’indirizzo tracciato dalla Corte Costituzionale nella sentenza che riconosceva il carattere pubblico del servizio radiotelevisivo”34.

Già negli anni ’60, di conseguenza, le poltrone erano divise tra i partiti maggiori. Nel 1966 i socialisti sostituirono Bassani, accusato di essere troppo “filobernabeiano”, con Luciano Paolicchi, già responsabile della commissione culturale del PSI. Un altro socialista, Enrico Manca, fu posto a capo del telegiornale. Bernabei restò in carica per anni, barcamenandosi con abilità:

“Nel ’62 avevo appoggiato la riconferma di Rodinò come amministratore delegato e questo me lo aveva reso alleato. Avevamo firmato insieme tutta una serie di ordini di servizio che avevano pian piano ridotto parecchio il potere dei vecchi mandarini. Però nel 1965, venendo a

31 A. Grasso, Storia della televisione, cit., pag. 138 32 Giorgio Simonelli, professore di “Storia della radio e della televisione” e di “Giornalismo radiofonico e televisivo” all’Università Cattolica di Milano, si rivolge provocatoriamente a “quelli che parlano della “lottizzazione” come un male” e che pensano “che la politica deve uscire dalla governance della Rai” con la seguente domanda: “Questa gente si è mai chiesta, allora, chi la deve governare? Essendo la Rai un’azienda pubblica che fornisce un servizio pubblico, non si può eliminare del tutto una certa qual dose di politica. La questione è un’altra: bisogna cercare di mettere persone competenti e di qualità ai posti-chiave dell’azienda, e non semplicemente dei “valletti” buoni solo a servire il potente di turno. Immaginare una Rai (o qualsiasi servizio pubblico) senza politica è fantascienza”. Anche il Capogruppo del Popolo della Libertà nella Commissione di Vigilanza Rai, il senatore Alessio Butti, è concorde nel ritenere che il servizio pubblico “non può prescindere, al momento, da una presenza pubblica nella società e nel board”. 33 Indro Montanelli, TV: monopolio di complicità, in “Corriere della Sera”, 10 maggio 1964. 34 Italo De Feo, Chi deve controllare la RAI-TV?, “Epoca”, 2 gennaio 1966.

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scadenza nuovamente il mandato di Rodinò, fu impossibile insistere per una terza riconferma. I dorotei, tra l’altro, volevano ad ogni costo uno di loro fiducia assoluta. E venne nominato Granzotto, il quale arrivò in RAI con un compito preciso: farmi fuori o almeno neutralizzarmi”35.

Gianni Granzotto venne nominato amministratore delegato il 29 aprile 1965. Il suo ingresso originò da un’ampia convergenza di interessi tra socialisti, socialdemocratici e repubblicani, ma venne meno al suo obbiettivo soprattutto perché non riuscì a far passare il progetto di trasformazione dell’impresa contenuto nel Rapporto sulla Rai del 196836, commissionato a Gino Martinoli, Salvatore Bruno e Giuseppe De Rita, in cui si auspicava una maggiore trasformazione della Rai in senso aziendale ed efficiente:

“[il progetto sosteneva] di fare della RAI un gruppo polisettoriale integrato, capace di affrontare adeguatamente un mercato che allora si presentava sempre più complesso, più difficile, più internazionalizzato. Un gruppo capace di produrre in proprio, di promuovere iniziative nei mercati collaterali (musica, teatro, ecc…), di essere pesantemente presente nel mercato internazionale dei prodotti e dei servizi, di coltivare adeguato spirito imprenditoriale in una realtà in cui si capiva che avrebbero vinto gli imprenditori e non gli equilibri politici. Belle idee e buone intenzioni, che si scontrarono, uscendone sconfitte, con la banale verità che quello era tempo politico, tempo del primato della politica, e lo era tanto dato che il maggiore avversario di quel Rapporto fu proprio Bernabei, più coerente con la sua intelligente politica che fedele alla potente azienda che aveva costruito” 37.

Il rapporto, che nelle intenzioni di Granzotto doveva ostacolare l’ascesa di Bernabei, venne accolto fra molte polemiche; gli autori sono accusati di “utopismo tecnocratico” e di privilegiare una nuova strategia di rapporto con il pubblico. Le sinistre denunciano il rafforzamento del carattere imprenditoriale e “neocapitalista” dell’azienda. Così il primo vero tentativo di razionalizzare l’intero modello televisivo si risolve, paradossalmente con l’aiuto delle forze di sinistra, come un’occasione prontamente sfruttata da Bernabei per disegnare un nuovo organigramma e rafforzare le posizioni democristiane ai vertici della azienda. Attraverso i suoi ordini di servizio, in quegli anni Bernabei diventò il vero padrone della concessionaria del servizio pubblico, portando a termine il progetto di piazzare i suoi uomini ai posti nodali dell’azienda e delineando una formidabile e compiuta lottizzazione. Nel marzo del 1969 Granzotto si dimise per i contrasti con Bernabei e per protestare contro le pesanti interferenze politiche sull’azienda. Anche Bernardi, l’ultimo esponente degli “aziendali” ex-EIAR, fu alla fine estromesso da Bernabei. L’ex presidente della Corte Costituzionale Aldo Sandulli sostituì Quaroni alla presidenza; vicepresidenti diventarono Umberto Delle Fave e Italo De Feo, amministratore delegato il socialista Paolicchi. Nel CdA entrarono anche i cattolici Pietro Prini (filosofo38) e Giambattista Cavallaro e il socialista Massimo Fichera (il futuro direttore di Rete 2)39.

“La legge della televisione italiana rimane insomma ancora quella che viene fissata dalle decisioni dei partiti, e il suo rispetto è garantito dalla nomina, alle cariche veramente importanti, di personaggi di partito. […] Ai posti di comando della RAI-TV rimanevano uomini che dovevano la loro nomina soltanto alle loro posizioni di partito, o ai loro rapporti

35 E. Bernabei, L’uomo di fiducia, cit. 36 Giuseppe De Rita, Gino Martinoli, Salvatore Bruno, Rapporto sulla Rai, supplemento a “Mondo Economico”, 5 aprile 1969. 37 Giuseppe De Rita, prefazione a Mamma Rai, di Claudio Ferretti, Umberto Broccoli, Barbara Scaramucci, Le Monnier, Firenze, 1997. 38 it.wikipedia.org 39 it.wikipedia.org

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con le maggiori forze politiche del Paese. Le loro carriere, del tutto rispettabili, si inserivano però in un quadro politico”40.

Gli anni ’70: la fine dell’era Bernabei e la proliferazione delle televisioni “libere” Il decennio più turbolento della storia dell’Italia post-seconda guerra mondiale si aprì, in ambito tv, con un pesante intervento censorio da parte del presidente Aldo Sandulli e del vicepresidente Italo De Feo nei confronti di Sergio Zavoli41, a causa di un servizio di Tv742, Un codice da rifare (3 febbraio); in seguito Sandulli si dimise43: Nel 1972 nacque la prima emittente televisiva privata, Telebiella44. In Rai Luciano Paolicchi rassegnò le dimissioni da amministratore delegato. Il nuovo esecutivo Andreotti approvò una proroga di un anno della concessione governativa alla Rai e insediò una commissione presieduta da Aldo Quartulli per studiare la riforma, ormai divenuta necessaria. Nel 1973 si assistette ad un boom delle televisioni “libere”, così il Governo varò un decreto ad hoc che bloccava la proliferazione di emittenti private45. L’anno successivo però, in luglio, vennero depositate le sentenze n. 22546 e 22647 della Corte Costituzionale che dichiararono, rispettivamente, l’illegittimità costituzionale del decreto e il diritto dei privati a trasmettere programmi esteri e in ambito locale, ponendo le premesse per la trasformazione del servizio pubblico radiotelevisivo. Il 5 agosto Telemontecarlo cominciò a trasmettere in italiano. Il 24 settembre iniziarono le trasmissioni di Telemilanocavo48, piccola emittente di proprietà di Giacomo Properzj e Alceo Moretti, captabile in un quartiere residenziale di un sobborgo del capoluogo lombardo, Milano 2, costruito dall’imprenditore edile Silvio Berlusconi. L’ultima battaglia che Bernabei, prima delle sue dimissioni, dovette combattere, fu quella con il segretario del Partito Repubblicano Italiano Ugo La Malfa, il quale si oppose fermamente, in nome dell’austerity degli anni ’70 e di un discutibile tradizionalismo anticonsumistico (che gli valse anche l’appoggio del PCI), all’introduzione del colore in Italia. Il 18 settembre si concluse l’avventura di Bernabei alla Rai.

40 Arrigo Levi, La Televisione all’italiana, Etas Kompass, Milano, 1969, pag. 144. 41 Sergio Zavoli (Ravenna, 1923) è un giornalista e scrittore, operante all’interno della Rai fin dal 1947. Fu presidente della concessionaria del servizio pubblico dal 1980 al 1986. Vicino al Partito Socialista Italiano, entrò in politica tra i Democratici di Sinistra prima e nell’Ulivo poi. Attualmente è presidente della Commissione di Vigilanza e senatore del Partito Democratico. 42 Tv7 è una trasmissione di approfondimento del Tg1 che andò in onda per la prima volta il 20 gennaio 1963 in seconda serata, alle ore 22.10. Fin dalla nascita si caratterizzò come una trasmissione capace di superare il grigio conformismo e la staticità tipici dei telegiornali di allora, affrontando temi scomodi (mafia, manicomi, emigrazione, aborto, droga, ecc.) in modo più possibile critico e obiettivo, lasciando spazio alla pluralità delle opinioni. In alcuni casi Tv7 dovette fare i conti con la censura dei vertici Rai, come accadde nel 1967, quando un servizio di Furio Colombo sui bombardamenti americani ad Hanoi provocò le dimissioni del direttore del telegiornale Fabiano Fabiani. 43 A. Grasso, Storia della televisione, cit., pag. 121. L’inchiesta di Zavoli sul Codice Rocco fu bloccata dal Consiglio d’Amministrazione. Per la prima volta nella storia della televisione italiana i giornalisti scioperarono contro la decisione, causando le dimissioni del presidente della Rai Aldo Sandulli. 44 In realtà c’è chi dice che la prima emittente privata sia stata Telediffusione – Telenapoli, nata nel 1966. Per approfondimenti: Pietrangelo Gregorio, “Telediffusione – Telenapoli”. http://www.storiaradiotv.it/TELEDIFFUSIONE%20ITALIANA%20-%20TELENAPOLI.htm 45 Era il decreto ministeriale n. 156 del 29 marzo 1973, “Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni”, che sottoponeva la creazione di ogni emittente radiofonica e televisiva all’autorizzazione del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni. http://www.espertorisponde.ilsole24ore.com/Documenti/ProblemaDellaSettimana/2009/102009/20091026/LEGGE/Dpr_156_1973.pdf 46 Sentenza “Televisioni private”. http://www.giurcost.org/decisioni/1974/0225s-74.html 47 Sentenza “Telebiella”. http://www.giurcost.org/decisioni/1974/0226s-74.html 48 it.wikipedia.org

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Le novità nel settore televisivo continuarono anche nel 1975: anzi, il 1975 sarebbe stato l’anno “spartiacque”. La cosiddetta “Riforma della Rai”, attuata tramite la legge n. 103 del 14 aprile49, recò nuove norme in materia di diffusione: il monopolio della Rai venne riconfermato, ma quest’ultima sarebbe dipesa non più dal Governo ma dal Parlamento, per garantire maggiore pluralismo, completezza e obiettività; lo scopo era assicurare l’eguaglianza e la rappresentazione di tutte le componenti politico-culturali della società italiana (solo così il PCI, seconda forza partitica italiana, poté accedere alla futura Raitre). Inoltre si cominciarono a regolamentare le trasmissioni via cavo. Da questo momento la Rai, invece di affrontare le problematiche che il mercato avrebbe imposto, diventò una sorta di benefit mediatico a disposizione di tutti i partiti presenti nell’emiciclo: ecco lo spettro della lottizzazione che diventa realtà, la spartizione di incarichi e di poltrone in accordo con le proporzioni, tratte dai risultati delle elezioni, esistenti tra i diversi schieramenti e correnti50, anche se non mancavano pareri discordi, come quello illuminante del socialista Giuliano Amato:

“La Rai non dovrà più dipendere dal Governo. Non dovrà dipendere nemmeno dal Parlamento, cosa questa che potrebbe portare a trasmissioni non meno paludate e non meno censurate di quelle attuali, con la differenza che ciò accadrebbe con l’avallo concorde di maggioranza e opposizione. L’ente gestore dovrà essere […] disponibile, finalmente, all’accesso diretto di organismi culturali e sociali”.

In questo modo la televisione venne accorpata al sistema politico, senza però che svolgesse una funzione di vigilanza sulle istituzioni. Compito di vigilanza e controllo che, al contrario, fu assegnato alla politica stessa grazie alla creazione della nuova apposita Commissione parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza sui servizi radiotelevisivi51 che, rispetto alla precedente, passava a 40 membri designati pariteticamente dai presidenti di Camera e Senato, acquisiva il diritto di nominare 10 membri (di cui 4 su indicazione delle regioni) su 16 del CdA Rai. I principi fondamentali del sevizio pubblico vennero esplicitati e sono: indipendenza, obiettività e apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali. Il 23 maggio il socialista Beniamino Finocchiaro fu eletto presidente della Rai e il democristiano Michele Principe direttore generale, sostituendo Bernabei. Grazie all’effetto della Riforma (e alle insistenze dei repubblicani), nel 1976 Tg1 e Tg2 assunsero fisionomie diverse e le due reti cominciarono a farsi concorrenza interna. Il 28 luglio la sentenza n. 202 della Corte Costituzionale52 riaffermò che le trasmissioni radio e tv private non potessero eccedere l’ambito locale. Nel 1977, dopo anni di sperimentazioni e di polemiche parlamentari, la Rai diede inizio ufficialmente alle trasmissioni a colori. Il consigliere d’amministrazione democristiano Pier Antonino Berté venne eletto direttore generale. Nel 1978 Berlusconi acquisì Telemilano da Moretti e Properzj per la cifra simbolica di una lira53. A giugno l’attesa ristrutturazione Rai, che significò una vera a propria spartizione partitica del servizio pubblico

49 “Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva”. http://www.camera.it/_bicamerali/rai/norme/listitut.htm 50 Il rischio evidente della “lottizzazione selvaggia” fu più volte messo in risalto da numerosi esponenti del Partito Repubblicano Italiano, forse l’unica forza politica consapevole degli errori che si sarebbero commessi con la Riforma del 1975 e che si opponeva alla deriva partitocratica impressa alla concessionaria. 51 Anche il funzionamento della nuova Commissione parlamentare di Vigilanza non mancò di destare perplessità. Si veda, ad esempio, l’acuto giudizio che ne diede il socialista Giuliano Amato ad un convegno nel novembre 1978: “La Commissione parlamentare è stata un vero paradosso: non ha strumenti di informazione adeguati e percepisce perciò con fatica la realtà dell’azienda, ma ha preso ad esercitare su di essa poteri di direzione, impartendo indirizzi sugli stessi programmi. Tali indirizzi, ovviamente, o scivolano sopra la Rai senza lasciarvi traccia, o entrano in essa malamente, creandovi dei cortocircuiti”. 52 Sentenza “Radio Libere”. http://www.giurcost.org/decisioni/1976/0202s-76.html 53 A. Grasso, Storia della televisione, cit., pag. 313

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televisivo: Reteuno e Tg1 alla DC, Retedue e Tg2 al PSI, la nascente terza rete sarebbe toccata al PCI, ma quando nel 1979 si ebbe finalmente il battesimo di Rete 3, nonostante la lottizzazione concordata 12 mesi prima, la direzione del canale venne affidata a Giuseppe Rossini, fedele fanfaniano, e il Tg3 a Biagio Agnes, della corrente più a sinistra della DC. Al PCI andò solo il condirettore Sandro Curzi. Gli anni ’80: l’arrivo di Fininvest e il tramonto d el monopolio La proliferazione delle televisioni private locali non scalfì il predominio Rai finché non apparve all’orizzonte la spregiudicata condotta imprenditoriale di Silvio Berlusconi, che mise a nudo sia la debolezza intrinseca della strategia aziendale della concessionaria del servizio pubblico sia la totale mancanza di regole giuridiche nell’universo mediatico nazionale (le due cose erano strettamente collegate, poiché le forze politiche si erano semplicemente preoccupate di spartirsi la Rai senza dare un fondamento giuridico all’intero sistema). La Fininvest di Berlusconi, con la sua Telemilano (mutata in Canale 5 il 30 settembre 1980), sviluppò pienamente il progetto bernabeiano che vedeva nella pubblicità il motore di una moderna emittente televisiva. L’imprenditore milanese si rese anche conto che senza un autentico appoggio politico la sua strategia sarebbe stata destinata al fallimento. In tale ottica stabilì un rapporto durevole con il segretario del Partito Socialista Italiano Bettino Craxi, il quale intervenne più volte in suo sostegno a colpi di decreto-legge (il famoso “decreto Berlusconi” è del 1984). Rispetto al collaudato ma ingessato servizio pubblico della Rai, la televisione commerciale si presentò agli italiani sotto la triplice bandiera della gratuità, della libertà (le prime emittenti private si chiamavano appunto “libere”) e del “disimpegno”: ciò significava niente canone d’abbonamento, meno ingerenze dello Stato nella vita dei cittadini ed un maggior edonismo personale, collegato con l’instaurarsi di un immaginario “morbido”, spettacolare e ludico al tempo stesso. Toccò alla presidenza di Sergio Zavoli e alla direzione generale di Willy De Luca (nominati il 12 giugno 1980) opporsi all’ascesa esponenziale della Fininvest e organizzare il contrattacco della Rai, che in agosto si vide rinnovare dal Consiglio dei Ministri la concessione esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo per altri sei anni. A De Luca, prematuramente scomparso54, successe Biagio Agnes, amico personale di Ciriaco De Mita, all’epoca segretario della DC. Agnes decise di seguire contemporaneamente due strategie di comando: la prima riguardava l’ingresso ufficiale dei comunisti, la seconda invece va sotto il nome di “zebratura”. Quanto all’ingresso del PCI in Rai, significativo è il racconto che ne fa Angelo Guglielmi. Biagio Agnes, Enrico Manca e Walter Veltroni si diedero appuntamento in una saletta riservata di un ristorante romano e decisero che il PCI, per la prima volta nella storia della televisione italiana, avrebbe avuto la facoltà di nominare il direttore di rete e il direttore di testata di una delle tre reti della Rai, il terzo canale55. La zebratura invece è un perfezionamento della lottizzazione, la difficile arte di coniugare spartizione politica e professionalità: invece di assegnare territori di influenza ben determinati, come fino a quel momento era stato fatto, all’interno dello stesso territorio Agnes fece convivere, a strisce, quote prefissate di democristiani, socialisti, socialdemocratici, repubblicani ecc…. L’operazione di Agnes si rivelò vincente all’interno (la componente democristiana ne uscì rafforzata, mentre lo spazio concesso ai comunisti, cui fu assegnata buona parte di Raitre, garantì una stabilità politica all’azienda), ma perdente all’esterno, di fronte all’insorgere delle nuove televisioni private commerciali. La Rai cominciò a trovarsi in

54 Morì il 21 luglio 1982, a soli 57 anni, al termine di un intervento davanti alla Commissione Parlamentare di Vigilanza, a Palazzo San Macuto, Roma. 55 Angelo Guglielmi, Stefano Balassone, Senza rete. Politica e televisione nell’Italia che cambia, Rizzoli, Milano, 1995.

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difficoltà con la concorrenza proprio perché era una non-azienda, una sorta di dicastero aggiunto (come sostenne giustamente De Rita: “L’unica possibile risposta sarebbe stata quella di un’impresa complessa e auto propulsiva, connotazione però cui aveva da tempo rinunciato”56). Per tale motivo i primi anni Ottanta per la Rai sono nerissimi: la concorrenza delle tv private e, fra tutte, quelle di Berlusconi (che tra il 1982 e il 1984 acquisì altri due reti, Italia 1 e Retequattro), si fece sentire. Già nel 1983 Publitalia ’80, la concessionaria pubblicitaria del gruppo Fininvest, superò in termini di profitti la Sipra. Tra il 13 e il 16 ottobre 1984, a seguito delle denunce della Rai, i pretori di Torino, Pescara e Roma ingiunsero alle tre emittenti televisive Fininvest di sospendere l’interconnessione dei loro ripetitori, limitatamente alle tre regioni d’Italia di loro competenza57; successivamente le reti vennero oscurate. La questione era seria, poiché riguardava l’indirizzo che la Corte Costituzionale aveva indicato nel 1974, cioè il divieto formale alla copertura nazionale per le emittenti private. Il 20 ottobre 1984 Craxi varò il primo decreto-legge finalizzato a sanare la posizione di Berlusconi (n. 69458), ma il tentativo venne bocciato dalla Camera dei Deputati; il secondo sforzo, ponendo su di esso la fiducia, andò a buon fine (decreto “Berlusconi bis”, n. 807 del 6 dicembre 198459). Il segretario del PSI però non si fermò qui, ma presentò un “decreto Berlusconi ter” (n. 223) il 1° giugno 1985, atto a prolungare lo status quo, in assenza di una legislazione in materia60. Cinque anni dopo, nel 1990, in concomitanza dell’approvazione della cosiddetta “Legge Mammì” tesa a riordinare il settore delle trasmissioni radiotelevisive, il giornalista Vittorio Feltri, direttore de “L’Europeo”, commentò così i decreti craxiani ormai superati:

“Per quattordici anni, diconsi quattordici anni, la Fininvest ha scippato vari privilegi, complici i partiti: la DC, il PRI, il PSDI, il PLI e il PCI con la loro stolida inerzia; e il PSI con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l’altro la perla denominata “decreto Berlusconi”, cioè la scappatoia che consente all’intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Bettino Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura, in un soprassalto di dignità, e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna”61.

Nel giro di pochi anni la Fininvest, poi Mediaset dal 1993, si conformerà alla Rai, sia sul format dei programmi, sia sulla struttura organica delle tre reti; viceversa, anche la Rai si conformerà a Fininvest-Mediaset, ritenendo che il suo compito fosse quello di contrastare il potere della concorrenza sul piano degli ascolti e dimenticando che un servizio pubblico si può distinguere anche dalla qualità dei programmi. E’ questo il cosiddetto “duopolio imperfetto”, padrone del campo televisivo italiano fino all’alba del terzo millennio: la competizione impari tra un’emittente nata per conseguire scopi puramente speculativi ed un’altra investita di un ruolo di pubblica utilità, ma che contemporaneamente insegue il record di ascolti. La famigerata “Legge Mammì” darà valore legale a questo assetto, limitandosi a constatare la situazione esistente e sanando ogni tipo di abuso commesso anteriormente. Distorsione accentuata dall’anomalia venuta a crearsi in seguito all’elezione di Silvio

56 G. De Rita, prefazione a Mamma Rai, cit. 57 Franco Scottoni, Tre pretori contro i colossi TV, “La Repubblica”, 17 ottobre 1984. 58 Governo Craxi, “Decreto Berlusconi”. http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto-legge:1984;694 59 Governo Craxi, “Decreto Berlusconi bis”. http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto-legge:1984;807 60 Governo Craxi, “Decreto Berlusconi ter”. http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto-legge:1985;223 61 Vittorio Feltri, “L’Europeo”, 11 agosto 1990.

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Berlusconi a presidente del Consiglio, che ha fatto temere una specie di “dittatura mediatica”62. Nel 1986, dopo mesi di braccio di ferro tra democristiani e socialisti, venne eletto presidente della Rai il socialista Enrico Manca che successe a Sergio Zavoli (ottobre). Venne finalmente creato l’Auditel63. Il 1987 fu l’anno del trionfo della lottizzazione: Raiuno e il Tg1 andarono alla DC con Giuseppe Rossini e Antonino “Nuccio” Fava, Raidue e il Tg2 al PSI con Luigi Locatelli e Alberto La Volpe, infine Raitre e il Tg3 al PCI con Angelo Guglielmi e Sandro Curzi. Mai la lottizzazione era stata così esplicita e, tutto sommato, perfetta. I due big Pippo Baudo e Raffaella Carrà passarono a Fininvest; per la Rai è uno smacco senza precedenti. Nel 1988 fece discutere una proposta del Governo di vietare agli editori di quotidiani di possedere televisioni e viceversa (gli organi mediatici la chiameranno “l’opzione zero”); eccetto il PSI64, la normativa non piacque a nessuno, né a Indro Montanelli, che la definì “un’enorme bischerata”, né alla FIAT, che dovette abbandonare il progetto del diritto di opzione su Telemontecarlo. Silvio Berlusconi dovette rinunciare a “Il Giornale” (venduto a suo fratello Paolo), ma in cambio ottenne la possibilità di diretta e la conferma legale per le sue tre reti (in pratica l’istituzionalizzazione del duopolio). Il 4 giugno il Consiglio dei Ministri approvò il disegno di legge elaborato dal ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni repubblicano Oscar Mammì che abolì le regole de “l’opzione zero” e confermò la norma antitrust (il divieto a possedere più di tre reti). Tempi duri per la Rai, costretta dall’aggressività delle televisioni private ad un periodo di bilanci in rosso: nonostante l’aumento del canone, l’anno si chiuse con un passivo di 80 miliardi65. Nel 1989, tra il crollo del muro di Berlino e l’accordo del camper66, le dimissioni forzate di Luigi Locatelli dalla posizione di direttore di Raidue portarono alla nomina di un altro socialista, Giampaolo Sodano. Nomina, questa, tormentata per l’astensione dei consiglieri designati dal PCI e del rappresentante del PLI, ma soprattutto per il no del repubblicano Giovanni Ferrara, ormai da tempo sul piede di guerra contro la Rai e contro il sistema della lottizzazione da parte delle segreterie di partito. “Me ne vado perché mi hanno detto che a quest’azienda non arriverà più una lira finché siederò sulla poltrona di viale Mazzini”. Con queste parole il 10 novembre Biagio Agnes presentò, dopo otto anni come direttore generale, le sue dimissioni. Nello stesso mese Emilio Fede passò in Fininvest, promettendo un Telegiornale:

“con poca politica, nel senso dei partiti; l’attenzione verso il Palazzo sarà minima e indispensabile, non per sfiducia verso i suoi protagonisti, ma per evitare che la gente si annoi, come è accaduto per i Tg della Rai”67.

Gli anni ’90: il trionfo del duopolio e la “discesa in campo” di Berlusconi La girandola delle nomine porta nel 1990 alla designazione di Gianni Pasquarelli, forlaniano e amministratore delegato di Società Autostrade, alla direzione generale della Rai. Ad agosto la Gazzetta Ufficiale pubblica la legge n. 223/90 (la “Legge Mammì”) “Disciplina del sistema 62 Tra la sterminata letteratura al proposito: Peter Gomez, Marco Travaglio, Regime. Biagi, Santoro, Massimo Fini, Freccero, Luttazzi, Sabina Guzzanti, Paolo Rossi, tg, gr e giornali: storie di censure e bugie nell’Italia di Berlusconi, BUR, Milano-Bari, 2004. 63 L’Auditel è la società che si occupa di misurare e pubblicare i dati di ascolto delle emittenti televisive. 64 Giorgio Battistini, “Il PSI difende l’opzione zero, ma Agnes e la DC sono scettici”. http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/05/14/il-psi-difende-opzione-zero-ma.html 65 A. Grasso, Storia della televisione, cit., pag. 477 66 Il cosiddetto “accordo del camper”, chiamato dalla stampa anche “patto CAF” dai cognomi dei contraenti, ovvero Craxi, Andreotti e Forlani, fu una presunta collaborazione siglata nel maggio ’89 e atta a formare un governo stabile tramite l’accordo tra i due maggiori partiti del momento, la DC e il PSI. 67 A. Grasso, Storia della televisione, cit., pag. 511

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radiotelevisivo pubblico e privato”68: dopo 14 anni di assenza di regole e irrazionale Far West, l’Italia si avvia finalmente ad avere una legge sull’etere, articolata su diversi punti, di cui i più importanti sono i seguenti:

- Antitrust: nessuno può possedere più di tre reti. Niente quotidiani per chi ha tre reti, fino all’8% per chi ne ha due, fino al 16% per chi ne ha una.

- Diretta: anche le tv private avranno diritto alla diretta. Tutte le reti a copertura nazionale avranno l’obbligo di avere un proprio telegiornale.

La star televisiva del 1991 è il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che il 28 febbraio annuncia a reti Rai unificate la fine della Prima Guerra del Golfo (16.467.000 spettatori).

“Un Presidente che può avere accesso alla televisione e che potenzialmente potrebbe averlo a ogni giorno dell’anno e ad ogni ora del giorno, fatalmente viene ad ottenere un potere di influenza sull’opinione pubblica, e in definitiva un potere fondamentalmente “esecutivo”, di cui i costituenti non potevano avere la più pallida idea”69.

Il 17 febbraio 1992 scoppia “Mani Pulite”70. Il margine di ascolti della Rai sulla Fininvest si assottiglia ancora, mentre il socialista Walter Pedullà diventa il nuovo presidente dell’azienda pubblica. A dicembre, tra gli scandali e il caos di Tangentopoli, la Commissione di Vigilanza, presieduta dal forlaniano Luciano Radi, approva un documento che modifica la legge sulla Rai, con un Consiglio d’Amministrazione ridotto e i cui membri nominati direttamente dai presidenti di Camera e Senato. L’emendamento vede luce con la legge del 25 luglio 1993, che dà mandato ai presidenti delle Camere di scegliere i 5 consiglieri d’amministrazione della concessionaria del servizio pubblico. D’ora in avanti la transizione causata da Tangentopoli e dal “Governo dei Professori”71 si esprimerà anche in Rai: a partire da luglio il presidente è il pidiessino Claudio Demattè e direttore generale l’indipendente Gianni Locatelli, subentrato al democristiano Pasquarelli. Il Governo Amato fa passare la legge n. 515/93 (la cosiddetta “Legge sulla par condicio”) che introduce una nuova disciplina per le campagne elettorali, demandando fondamentali compiti di controllo alla Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei servizi radiotelevisivi e al garante per l’editoria. Il contenuto del provvedimento legislativo si sostanzia nel divieto, nei trenta giorni precedenti le votazioni, di ogni forma di propaganda elettorale, di diffusione dei risultati di sondaggi sull’esito delle elezioni o sugli orientamenti politici degli elettori72. Il Governo vara il decreto-legge n. 558 del 30 dicembre 1993 (il cosiddetto “decreto salva Rai”, più volte reiterato73), un’iniziativa

68 “Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”. http://www.conna.it/Leggi/223_90.htm 69 Umberto Eco, Va in onda dal Colle il quinto potere, “La Repubblica”, 22 dicembre 1991. 70 Con l’espressione “Mani Pulite” si intende un’operazione giudiziaria a carico del pool della Procura della Repubblica di Milano, iniziata nel 1992 con l’arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, e allargatasi fino a coinvolgere quasi tutte le principali personalità politiche dell’epoca in un giro di mazzette e finanziamenti illeciti ai propri partiti e movimenti (“Tangentopoli”); lo scandalo fu talmente grave da dissolvere DC, PSI, PLI, PRI, PSDI, e modificare fortemente l’assetto del sistema partitico ereditato dal Dopoguerra, inaugurando una differente stagione della politica italiana, la cosiddetta “Seconda Repubblica” o, forse più correttamente, “Prima Repubblica bis”. 71 Il cosiddetto “Governo dei Professori” è stato l’esecutivo in carica dal 28 giugno 1992 al 28 aprile 1993 ed è stato ribattezzato in questo modo poiché era un governo “misto”, cioè formato sia da uomini politici che da personalità provenienti dal mondo accademico; il presidente del Consiglio era il costituzionalista socialista Giuliano Amato. 72 “Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica”. http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1993;515 73 I decreti-legge con i quali è stato prolungato il primo “salva-Rai” sono i seguenti: d.L. 28 febbraio 1994 n. 141, d.L. 29 aprile 1994 n. 263, d.L. 30 giugno 1994 n. 418, d.L. 29 agosto 1994 n. 517, d.L. 28 ottobre 1994 n. 602, d.L. 22 dicembre 1994 n. 721, d.L. 28 febbraio 1995 n. 56, d.L. 29 aprile 1995 n. 134, d.L. 28 giugno 1995

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finalizzata al risanamento economico Rai, ormai in crisi da diversi anni. Intanto il settore televisivo del gruppo Fininvest assume ufficialmente la denominazione di Mediaset. Il 26 gennaio 1994 Silvio Berlusconi “scende in campo” e vince le elezioni politiche dello stesso anno, ma a dicembre il suo governo cade per la defezione della Lega Nord di Umberto Bossi. In Rai viene eletta Letizia Moratti presidente (13 luglio), che costringe alle dimissioni tre direttori generali in 24 mesi. Tra i tredici quesiti referendari dell’11 giugno 1995 proposti dai Radicali c’è spazio anche per l’abrogazione della disposizione della Legge Mammì che definisce la Rai come azienda “a totale partecipazione pubblica”: la consultazione si conclude con la vittoria del “sì”, aprendo teoricamente la via all’ingresso di capitale privato nella concessionaria del servizio pubblico televisivo. Nelle elezioni del 1996 si ha la vittoria dell’Ulivo di Romano Prodi, preceduta da un grande dibattito sulla par condicio. Dopo accese polemiche, a Giuseppe Morello subentra, come presidente Rai, lo scrittore di sinistra Enzo Siciliano74. Dal 15 luglio il nuovo direttore generale diventa Franco Iseppi75, dopo la breve reggenza di Aldo Materia. Intanto Mediaset si quota in Borsa. Nel mese di agosto il Governo Prodi, per evitare l’oscuramento di una delle reti di Berlusconi (a causa del risultato del referendum dell’anno precedente), vara un decreto-legge che proroga lo status quo in attesa dell’approvazione del progetto di legge elaborato dal ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni Antonio Maccanico76. A settembre viene nominato presidente della Commissione di Vigilanza Francesco Storace (Alleanza Nazionale). Il 1997 è un momento di stanca e di flessione generale della tv italiana: sia Rai che Mediaset producono programmi di modesta qualità e il pubblico diminuisce. In controtendenza però Milena Gabanelli e il suo Report: con i suoi reporter d’assalto la Gabanelli riesce a fare del vero giornalismo d’inchiesta, ma solo perché è “esterna”. Infatti la redazione di Report non appartiene alla Rai, ma svolge il suo lavoro autonomamente e poi lo vende a Raitre77. Tra il 1998 e il 1999 il valzer delle nomine Rai continua, e sulle poltrone di Viale Mazzini si avvicendano personaggi di dubbia competenza. Gli anni recenti: il “regime” e la rivoluzione digi tale Il nuovo millennio si apre con un accordo tra Rai e RCS, la quale entra nel Consiglio d’Amministrazione tramite un proprio rappresentante. Nel frattempo si assiste al boom delle pay tv e del digitale (Telepiù, Stream). Nel 2001, a febbraio, poco prima delle elezioni politiche, viene approvata fra aspre polemiche una più restrittiva legge sulla par condicio78: è previsto il divieto degli spot politici in tv e l’obbligo per la Rai di trasmettere messaggi politici autogestiti e gratuiti. Durante la tesa campagna elettorale suscitano forti polemiche, da

n. 252, d.L. 28 agosto 1995 n. 355, d.L. 27 ottobre 1995 n. 441, d.L. 23 dicembre 1995 n. 543, d.L. 26 febbraio 1996 n. 76, d.L. 26 aprile 1996 n. 212, d.L. 22 giugno 1996 n. 330, d.L. 8 agosto 1996 n. 4387, d.L. 23 ottobre 1996 n. 540. Quest’ultimo è stato convertito in legge, con emendamenti, il 23 dicembre 1996, legge n. 650. “XIII Legislatura, Disegni di legge e relazioni, documenti”. http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/xv/076/00000002.pdf 74 In tale veste suscitò scalpore la sua decisione di non mandare in onda il Tg1 delle ore 20 al posto della diretta in prima serata dell’apertura della stagione del Teatro alla Scala di Milano, con l’opera lirica Macbeth: era la prima volta che succedeva nella storia della televisione italiana. 75 Autore televisivo (uno dei suoi programmi più noti è “L’Albero Azzurro”), in Rai ha sempre curato i programmi di Enzo Biagi. Dal 1998 al 2003 è stato anche il primo direttore di Rai Vaticano. 76 P. Gomez, M. Travaglio, Inciucio. Come la sinistra ha salvato Berlusconi. La grande abbuffata Rai e le nuove censure di regime, da Molière al caso Celentano. L’attacco all’Unità e l’assalto al Corriere, BUR, Milano, 2005, pag. 154. 77 A. Grasso, Storia della televisione, cit., pag. 637. 78 E’ la legge del 22 febbraio 2000, n. 28. http://www.agcom.it/default.aspx?DocID=586

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parte del centrodestra, le trasmissioni di Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e Michele Santoro79, accusate di eccessiva parzialità. Le elezioni vengono comunque vinte dalla Casa delle Libertà di Berlusconi. Il 24 giugno Telemontecarlo diventa La7 (di proprietà del gruppo Telecom Italia-Seat Pagine Gialle). Il 2002 è stato un anno denso di polemiche e aspre contestazioni. A febbraio Roberto Zaccaria rassegna le dimissioni da presidente della Rai dopo il duro scambio di battute con il ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri (Alleanza Nazionale), sottolineando la fine di un ciclo, quello della “Rai dell’Ulivo”. La nomina del nuovo CdA porta con sé le usuali proteste. Alla fine vengono nominati Ettore Albertoni (giurista, Lega Nord), Marco Staderini (manager e ingegnere, Centro Cristiano Democratico), Carmine Donzelli (editore, Democratici di Sinistra), Luigi Zanda (manager, L’Ulivo), con il presidente Antonio Baldassarre (Forza Italia). Risale ad aprile il famigerato “editto bulgaro”, con il quale Silvio Berlusconi provoca l’allontanamento dalla Rai di Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e Michele Santoro, rei di essere stati troppo faziosi durante la campagna elettorale dell’anno precedente80. Il Consiglio d’Amministrazione non conferma i loro programmi nel palinsesto della stagione successiva e di conseguenza i due consiglieri in quota al centrosinistra, Zanda e Donzelli, si dimettono, seguiti poco dopo anche da Staderini. Il CdA dimezzato continua a operare, mentre, tra polemiche infuocate, si discute sulla possibilità di azzerarlo e ripartire con uno nuovo. A settembre il ministro Gasparri presenta il suo disegno di legge sul riassetto radiotelevisivo: viene abolito il limite secondo il quale nessun editore può crescere oltre il 30% in un singolo settore, ma viene introdotto un nuovo limite del 20% sull’insieme delle risorse complessive del sistema comunicazione; per questo la legge abolisce anche il divieto di incroci fra televisioni ed editoria, pur nel limite del 20%. È previsto il passaggio totale al digitale terrestre entro il 2006 e una parziale privatizzazione della Rai a partire dal 2004 79 Le trasmissioni “incriminate” sono Il Fatto di Enzo Biagi, Satyricon di Daniele Luttazzi e Il raggio verde di Michele Santoro. Il Fatto è un programma di approfondimento sui principali fatti del giorno, in onda dopo il Tg1, di cui Biagi è autore e conduttore. Rilevanti le interviste a personaggi noti dello spettacolo, del giornalismo, del mondo politico. Nel 2001, a ridosso delle elezioni politiche, l’autorevole giornalista fa un’intervista al comico toscano (premio Oscar nel 1997 con “La vita è bella”) Roberto Benigni; questi commenta, a modo suo, il conflitto d’interessi e il “contratto con gli italiani” che Berlusconi aveva firmato qualche giorno prima a Porta a porta. Gli esponenti di Forza Italia scaricano roventi polemiche su Biagi, accusato di sfruttare la televisione pubblica per impedire la vittoria elettorale di Berlusconi. Tra le maggiori voci critiche si elencano Giulio Andreotti, Giuliano Ferrara e Maurizio Gasparri. Satyricon (Raidue) invece è il programma di Daniele Luttazzi, liberamente ispirato al format statunitense David Letterman Show. Nonostante gli ottimi dati di ascolto, suscita violente reazioni negative a causa delle azioni dissacranti del conduttore-ideatore; nel mese di marzo, la sua intervista al trentasettenne Marco Travaglio per l’uscita del suo libro L’odore dei soldi provoca la pesante reazione del leader di Forza Italia che, chiamato direttamente in causa dal contenuto del volume, minaccia la dimissione dei sui consiglieri nel CdA Rai. In ogni caso, tutte le puntate del programma vengono portate a termine. Il raggio verde, infine, è il programma di Michele Santoro, in onda su Raidue. La celebre intervista di Luttazzi a Travaglio diviene oggetto di approfondimento da parte di Santoro in una delle puntate della sua trasmissione, scatenando l’ira di Berlusconi, che interverrà in diretta telefonica. In un’altra puntata, Santoro trasmette l’intervista a Indro Montanelli, il quale accusa Berlusconi e Fini di voler sostituire lo squadrismo fascista con l’espansione della corruzione, con effetti ben peggiori. Forza Italia avanza contro Santoro un esposto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) con l’accusa di violazione della par condicio e di favorire l’Ulivo. In risposta l’Authority commenta che “Il raggio verde non è un programma di comunicazione politica”, ma “una trasmissione di informazione” e che, essendo il regime di par condicio non ancora iniziato, non sarebbe possibile procedere contro la trasmissione in alcun modo. Conseguenza di tutto ciò è che gli esponenti della Casa delle Libertà scelgono di disertare il palcoscenico della Rai come azione di protesta, finché non vengano varate nuove regole per il servizio pubblico. 80 Il 18 aprile 2002 Berlusconi, in visita ufficiale a Sofia, Bulgaria, pronuncia all’agenzia Ansa le seguenti parole: “L’uso che Biagi...Come si chiama quell’altro? Santoro... Ma l’altro? Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga”. In effetti, pochi mesi dopo tale dichiarazione, i programmi di Biagi (Il Fatto) e Santoro (Sciuscià) non vengono riconfermati nel palinsesto Rai dell’autunno successivo (Luttazzi era già stato cacciato dai teleschermi), nonostante i buoni dati di ascolto.

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(l’azienda diventerà una public company), riformato il criterio della nomina del CdA (da 5 a 9 membri, scelti dall’assemblea dei soci su proposta dei presidenti di Camera e Senato e con il vaglio della Commissione Parlamentare di Vigilanza). Nel 2003 nuove consultazioni per i vertici Rai: ai primi di marzo la decisione dei presidenti delle Camere, che scelgono Paolo Mieli (ex-direttore del “Corriere della Sera”) come presidente, Francesco Alberoni (sociologo), Giorgio Rumi (storico), Marcello Veneziani (intellettuale di destra), Angelo Maria Petroni (direttore della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione). Dopo pochi giorni però, per “difficoltà di ordine tecnico e politico” 81, Paolo Mieli rinuncia alla carica. Nuovo presidente Rai diventa Lucia Annunziata e il neo-direttore generale è Flavio Cattaneo. Nonostante le critiche del centrosinistra che lamenta la deriva “totalitaria” del Paese (non prendendo in considerazione il mondo della stampa e limitando l’analisi al puro ambito televisivo, Berlusconi controlla tre reti Mediaset e possiede la fetta più grande della Rai: questa situazione ha portato diversi commentatori a parlare di un nuovo “regime”82), la Legge Gasparri viene approvata, ma il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi si rifiuta di promulgarla e la rinvia alle Camere; i punti più controversi del atto riguardano il pluralismo dell’informazione e le posizioni dominanti in campo pubblicitario. Il testo della legge, parzialmente emendato, viene promulgato il 3 maggio 2004. Il 31 luglio debutta Sky Italia, la nuova pay-tv del magnate australiano Rupert Murdoch, nata dalla fusione di Telepiù con Stream. Il resto è storia recente: nel giro di pochi mesi si succedono alla presidenza di Viale Mazzini i reggenti il sociologo Francesco Alberoni e il “vecchio” Sandro Curzi, fino alla nomina di Claudio Petruccioli nel 2005. Quest’ultimo rimase al suo posto fino alla scadenza del suo mandato, nel 2009, nonostante le critiche sollevate da più parti per la scarsa competenza mostrata e l’eccessivo servilismo politico83. A Petruccioli subentra Paolo Garimberti che resta presidente per tre anni, mentre nella posizione di direttore generale si avvicendano Alfredo Meocci, Claudio Cappon, Mauro Masi e Lorenza Lei. Nel frattempo la Rai aumenta la sua offerta di canali: dalla “manna” rappresentata dal digitale terrestre e dal beauty contest84 che lo regola, nascono Rai 4, Rai Storia, Rai 5, ecc. Si delinea così l’attuale bouquet di canali digitali disponibili. Dal 2010 inizia il processo di transizione dal segnale analogico al digitale terrestre, finché nel 2012 (il 4 luglio per la precisione) la Rai, come così le altre emittenti italiane, spegne definitivamente tutti i suoi canali analogici. La caduta del Governo Berlusconi IV, avvenuta il 12 novembre 2011, mette la parola “fine” (forse?) a vent’anni di politica condizionata, nel bene e nel male, a destra come a sinistra, dal Cavaliere. Il 16 dello stesso mese il Capo dello Stato Giorgio Napolitano nomina Mario Monti premier. Comincia l’era del cosiddetto “Governo tecnico”. Anche la Rai, quindi, ne subisce le conseguenze: dopo le usuali difficoltà per i vari contrasti politici, l’attuale organigramma dei vertici aziendali85 è

81 A. Grasso, Storia della televisione, cit., pag. 742 82 P. Gomez, M. Travaglio, Regime, cit. 83 P. Gomez, M. Travaglio, Inciucio, cit., pag. 5. 84 Il meccanismo del “beauty contest” (varato durante il Governo Berlusconi e presente anche in altri Paesi) prevede la cessione gratuita da parte dello Stato delle frequenze rese libere dal passaggio alla tecnologia digitale terrestre: le nuove frequenze, al posto di venir vendute ad altre potenziali emittenti, vanno gratis “ai più belli”, cioè alle televisioni già sul mercato, che sono più consolidate e che, si suppone, possano disporre in modo migliore delle nuove risorse. 85 Al riguardo, Giorgio Simonelli si dice “moderatamente ottimista”, anche se tiene a precisare che “per ora” non può “formulare giudizi”. Secondo il professore “Anna Maria Tarantola è una donna che, noto il suo curriculum, è adatta a risolvere la crisi economica della Rai”, mentre “il PD ha nominato Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, due personaggi espressioni della società civile” che “non avranno competenze specifiche, ma sono di indubbia rettitudine morale. Altre parte politiche hanno agito diversamente, ma non sta a me giudicare. Un passo avanti rispetto agli anni scorsi è stato fatto: questo è un CdA più equilibrato”. Per Simonelli, inoltre, “un punto cruciale che la nuova amministrazione dovrà affrontare è quello del digitale terrestre: assistiamo ad un brulicare

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così composto: presidente della Rai Anna Maria Tarantola86, direttore generale Luigi Gubitosi87, consiglieri d’amministrazione Marco Pinto (area Governo), Antonio Verro, Antonio Pilati, Luisa Todini, Guglielmo Rositani (area PdL), Gherardo Colombo, Benedetta Tobagi (area PD) e Rodolfo De Laurentis (area terzo polo)88.

di nuovi canali, perlopiù di proprietà dei maggiori broadcaster già sul mercato” e perciò “sarebbe ora di mettere un po’ di ordine nel settore e razionalizzare l’offerta televisiva”. 86 Marco Mele, “Rai, Tarantola eletta presidente”. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-07-13/tarantola-eletta-presidente-063843.shtml?uuid=AbRQN56F 87 Redazione Corriere online, “Rai: cda nomina Gubitosi direttore generale”. http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Economia/Rai-cda-nomina-Gubitosi-direttore-generale/17-07-2012/1-A_002265413.shtml 88 Redazione Il Post, “È stato eletto il nuovo consiglio di amministrazione della RAI”. http://www.ilpost.it/2012/07/05/il-casino-della-vigilanza-rai/

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Rai – Radiotelevisione Italiana

Ministero dell’Economia e

delle Finanze (99,56%)

SIAE (0,44%)

Consiglio d’Amministrazione

Direttore Generale (comprende Rai Vaticano e Rai

Quirinale)

Vice Direttore Generale per il coordinamento

dell’offerta

Area trasmissiva (Rai Way)

Area Commerciale (Sipra)

Area Editoriale

Televisione Radiofonia (marketing, ottimizzazione palinsesto e programmi, produzione, risorse radiofoniche,

Radio1, Radio2, Radio3, Isoradio, GR Parlamento, WebRadio Rai,

programmi radiofonici, canali radio di P.U.)

Nuovi Media e DTT (Digitale Terrestre, supporto e

pianificazione, ingegneria multimediale, Rai.tv, Rai.it)

Reti (Raiuno, Raidue, Raitre, Rai 4, Rai 5, Rai Premium,

Rai Movie, Rai Storia, Rai YoYo,

Rai Gulp, Rai News, Rai Sport 1, Rai

Sport 2, Rai HD, Rai Scuola, Rai Italia)

Informazione (Tg1, Tg2, Tg3, TgR, Tg

Sport, Rai Parlamento, Rai

News 24, Televideo, corrispondenti esteri)

Supporto Tv (risorse televisive, produzione

Tv, Rai Teche)

Generi (Rai Cinema e 01 Distribution, Rai

Fiction, Rai Educational)

Elaborazione personale. Fonte: Rai Marketing, 2011

Figura 1. Organigramma aziendale della Rai:

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Tabella 1. Consiglio d’Amministrazione attuale (luglio 2012):

CAPITOLO 2 – BREVE ANALISI COMPARATIVA TRA SERVIZI PUBBLICI TELEVISIVI: LA SITUAZIONE ITALIANA E I CASI DI GRAN BRETAGNA,

FRANCIA E GERMANIA

He who prides himself on giving what he thinks the public wants is often creating a fictitious demand for low standards which he will then satisfy.

(John Reith)

Prima di iniziare il confronto tra le emittenti di servizio pubblico televisivo dei maggiori Stati europei è meglio ricapitolare brevemente la situazione italiana. Il servizio pubblico in Italia Contesto Il servizio pubblico Rai (reti generaliste: Raiuno, Raidue Raitre, Rai 4, Rai 5, Rai News, Rai HD) contende al soggetto privato Mediaset (Retequattro, Canale 5, Italia 1, La5, Italia 2, Mediaset Extra, TgCom 24) il primato del mercato, con il servizio a pagamento Sky (Sky 1, Sky 1 HD, Sky Tg 24 e molti altri canali tematici) che occupa una buona fetta del settore ed un altro emittente privato, Telecom Italia Media (LA7, LA7d, LA7 HD), come quarto incomodo.

Carica Nome e cognome Quota Presidente Anna Maria Tarantola Ministero dell’

Economia e delle Finanze Gherardo Colombo Partito Democratico

Rodolfo De Laurentis Unione di Centro Antonio Pilati

Popolo della Libertà Marco Pinto Ministero

dell’Economia e delle Finanze

Guglielmo Rositani Popolo della Libertà

Benedetta Tobagi Partito Democratico Luisa Todini

Popolo della Libertà

Consiglio d’Amministrazione

Antonio Verro Popolo della Libertà

Direttore generale Luigi Gubitosi Ministero

dell’Economia e delle Finanze

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Quadro legislativo Il quadro legislativo all’interno del quale la Rai agisce è quello scaturito dalla Legge Gasparri (legge n. 112/2004, “Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, nonché delega al Governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione”89), dal Contratto nazionale di Servizio con lo Stato90 e dal Testo Unico della Radiotelevisione91. Il Contratto, rinnovato ogni tre anni, autorizza la Rai a svolgere il servizio pubblico e stabilisce norme in materia di servizio agli utenti, per esempio il canone di abbonamento, e di obiettivi generali e specifici dell’azienda, tra cui qualità dell’offerta dei programmi e dell’informazione, pluralismo, tutela dei minori, passaggio al digitale terrestre, fair play finanziario. Il Testo Unico, dal canto suo, definisce principî, fini e competenze degli organi dello Stato, delle regioni, della Commissione di Vigilanza, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, disciplinando anche l’ambito tecnico del settore. Penetrazione della politica: relazione tra nomina dei vertici, indipendenza, imparzialità e pluralismo interno Attualmente (2012) la Rai è soggetta ad un particolare disciplina di governance, altamente politicizzata92. Così come dettato dalla legge n. 112 del 3 maggio 2004 (la Legge Gasparri), il Consiglio d’Amministrazione è composto da nove membri, sette dei quali vengono eletti dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza e due indicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (il maggiore azionista della Rai)93. Tra i consiglieri di sua nomina, il Ministero dell’Economia indica il presidente del Consiglio d’Amministrazione il quale, per insediarsi, deve ottenere un voto di gradimento da almeno due terzi dei membri della Commissione Parlamentare di Vigilanza. Il Consiglio vota anche il direttore generale, che è anch’esso di nomina del Ministro dell’Economia. I membri del CdA hanno un mandato di tre anni, rinnovabili. La Commissione di Vigilanza, figura istituzionale creata dalla Riforma del 1975 formata da “quaranta membri designati pariteticamente dai Presidenti delle due Camere del Parlamento, tra i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari” 94, non è espressione della società civile, ma un organo di controllo politico e tutela degli interessi particolaristici di ciascun partito e, globalmente, del Parlamento. Il segnale positivo è certamente che la sorveglianza sul servizio pubblico si è aperta alla presenza dell’opposizione, ma essa rimane comunque prerogativa

89 Legge Gasparri, “Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, nonché delega al Governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione”. http://www.camera.it/parlam/leggi/04112l.htm 90 “Contratto di servizio 2010-2012”. http://www.segretariatosociale.rai.it/regolamenti/contratto2010_2012.html 91 Decreto legislativo n. 177 del 31 luglio 2005, “Testo unico della radiotelevisione”. http://www2.agcom.it/L_naz/dl177_05.htm 92 Il senatore Alessio Butti, Capogruppo del PdL nella Commissione di Vigilanza, ridimensiona il ruolo della politica nella gestione della concessionaria radiotelevisiva: “Non nego che in qualche caso la politica abbia influito sulla scelta di questo piuttosto che quel direttore di rete o testata, ma il collegamento non è così diretto. […] Le figure di vertice delle reti e delle testate sono troppe e spesso troppo pagate, ma solo una piccola parte fa chiaramente riferimento ad una esplicita parte politica. Lo stesso vale per i vertici aziendali”. 93 Si veda la Tabella 1. 94 “Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi”. http://www.camera.it/_bicamerali/rai/norme/listitut.htm. Secondo il senatore del PdL Alessio Butti essa “è uno strumento di indirizzo e controllo del servizio pubblico di straordinaria importanza”, che “avrebbe potuto essere un pungolo nei confronti del Governo e del Consiglio d’Amministrazione Rai per migliorare la qualità del pluralismo e dell’offerta televisiva, invece si è ridotta a trattare piccolo cabotaggio”.

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della classe politica, e quindi non assicura un’informazione veramente indipendente e libera da essa. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), invece, è un organismo istituito dalla Legge Maccanico del 1997 al quale è affidato il duplice onere di salvaguardare la corretta competizione degli operatori sul mercato e di tutelare il pluralismo e le libertà fondamentali nel settore delle telecomunicazioni, dei mezzi di comunicazione di massa, di internet e delle poste. Non è un’authority indipendente, poiché i suoi quattro commissari sono eletti per metà dalla Camera dei deputati e per metà dal Senato della Repubblica, mentre il presidente è proposto direttamente dal Presidente del Consiglio (d’intesa col Ministro dello Sviluppo Economico). Dopo tali scelte, le investiture ufficiali vengono dal Presidente della Repubblica. Il collegio resta in carica per sette anni. Come ulteriore protezione da rischi di squilibri e favoritismi, in Italia esiste il regime di par condicio95, che prevede l’obbligo per le emittenti televisive di assicurare a tutti i soggetti politici imparzialità ed equità di accesso: gli spazi in tv, perciò, sono ripartiti in parti uguali tra tutti i movimenti che si presentano agli elettori. I messaggi politici autogestiti devono avere durata massima di 3 minuti e devono essere trasmessi in appositi contenitori, gratuitamente. Non possono essere divulgati i risultati di sondaggi nei quindici giorni precedenti la data delle votazioni, né la presenza di personaggi politici e/o candidati in programmi a carattere non informativo. Mezzi di finanziamento Fin dalla sua istituzione la Rai si finanzia sia con il canone d’abbonamento, che è uno dei più bassi ma anche più evasi d’Europa96, sia con la pubblicità, gestita in esclusiva dalla concessionaria Sipra. Tutti coloro che detengono un televisore sono tenuti a pagare il canone, ad eccezione di scuole, università, centri sociali diurni per anziani ed enti assistenziali no-profit, qualora ne facciano richiesta. Esiste anche un canone “speciale” adattato per gli esercizi pubblici, i locali aperti al pubblico o comunque fuori dall’ambito familiare97. Mission del servizio pubblico La mission della concessionaria è, come recitano il Contratto di Servizio e il Testo Unico, fornire un servizio pubblico di qualità e rispettoso dell’identità valoriale del Paese secondo i principi di libertà, completezza, obiettività e pluralismo dell’informazione, garantendo un numero adeguato di trasmissioni dedicate all’educazione, alla formazione e alla cultura; assicurare l’accesso alla programmazione, nei limiti indicati dalla legge, in favore dei partiti rappresentati in Parlamento, delle organizzazioni associative nazionali e delle autonomie locali, dei sindacati, delle confessioni religiose, dei movimenti, degli enti culturali, delle minoranze etniche e linguistiche; valorizzare della lingua e la cultura italiana; trasmettere gratuitamente messaggi di utilità sociale o di interesse pubblico e di contenuti, in fasce orarie appropriate, destinati specificamente ai minori; destinare una quota non inferiore al 15

95 Legge n. 515 del 10 dicembre 1993, “Disciplina delle campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica” (http://www.senato.it/istituzione/108469/108476/genpagspalla.htm), integrata dalla legge n. 28 del 22 febbraio 2000, “Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica” (http://www2.agcom.it/l_naz/l_220200_28.htm). 96 Relazione sulla gestione, “Le risorse”. http://www.bilancio2007.rai.it/ita/relazione/rel02.htm 97 Associazione Ampi, “Tutto quesiti sul canone televisivo ed il canone radio: chi, quando e come si paga l’abbonamento RAI”. http://www.associazioneampi.it/normative_pdf/LE%20ISTRUZIONI%20PER%20L'USO%20PER%20PAGARE%20CORRETTAMENTE%20L'ABBONAMENTO%20RAI.pdf

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percento dei ricavi annui alla produzione di opere europee; sviluppare la tecnologia digitale terrestre; tutelare le persone portatrici di handicap; potenziare i centri di produzione decentrati. Il servizio pubblico in Gran Bretagna

Contesto

Il sistema televisivo della Gran Bretagna è un sistema misto, caratterizzato da un’emittente di servizio pubblico, la British Broadcasting Corporation (BBC) che possiede parecchi canali generalisti (i più seguiti sono BBC One, BBC Two, BBC Three, BBC Four, BBC HD, BBC News) e da altre emittenti private nazionali: la Independent Television (ITV 1, ITV 2, ITV 3, ITV 4, ITV HD), Channel 498 (Channel 4, Channel 4 More, E4) e Channel 5, oltre alla piattaforma a pagamento di Rupert Murdoch BritishSkyBroadcasting (BSkyB) e UKTV (partecipata dalla stessa BBC tramite la sua sezione Worldwide). La BBC è stata fondata nel 1922 e dal 1926 è un ente pubblico . Quadro legislativo In un sistema giuridico di common law99, tra le poche fonti scritte vanno ricordati il Television Act del 1954100, la Royal Charter101 e l’Agreement between the Secretary of State for National Heritage and the BBC102. Il primo pose le premesse del superamento del monopolio della BBC, consentendo anche ai privati l’ingresso nel mercato radiofonico e audiovisivo. Il secondo e il terzo documento sono quelli su cui si basa il servizio pubblico: la Royal Charter è la concessione reale per lo svolgimento dell’attività, è stata concessa per la prima volta nel 1926 (con durata decennale) e in seguito rinnovata continuamente, l’Agreement stabilisce l’autonomia nella scelta dei programmi, dei palinsesti, nella gestione del canone e gli obblighi della concessionaria nei confronti degli utenti e dei parametri di qualità; l’Agreement viene ratificato dalla House of Commons. Il settore privato, invece, è disciplinato diversamente.

Penetrazione della politica: relazione tra nomina dei vertici, indipendenza, imparzialità e pluralismo interno Fin dal 1926 la BBC è stata considerata sotto la giurisdizione del Governo, precisamente del ministero delle Poste; nella realtà i vari esecutivi succedutisi si sono trovati d’accordo col Parlamento nel decidere che il potere dei primi era da considerarsi solo in linea di principio e che la società dovesse essere indipendente dal Governo nello svolgimento delle sue attività. Tale indipendenza è considerata indispensabile per togliere al partito di maggioranza la tentazione di servirsi delle radiodiffusioni per fini politici. La mirabile indipendenza della BBC è accettata da tutti come un dogma: è per questo che, nella prassi, l’autonomia di

98 Nonostante riceva ridottissimi fondi statali, Channel 4 è in realtà un’azienda di proprietà pubblica ed è costretta a comportarsi in modo più simile alla BBC che a ITV. Si autofinanzia tramite un’abbondante raccolta commerciale e pubblicitaria. 99 Il sistema del common law è un modello di ordinamento giuridico, di matrice anglosassone, basato più sui precedenti giurisprudenziali che su atti normativi scritti (sui quali è basata invece l’altra grande tradizione giuridica europea, il civil law, di matrice continentale). Questo sistema è attualmente in vigore nel Regno Unito, negli Stati Uniti d’America e in parecchi Paesi del Commonwealth. 100 en.wikipedia.org 101 BBC Trust, “Charter and Agreement”. http://www.bbc.co.uk/bbctrust/governance/regulatory_framework/charter_agreement.html 102 Ibidem.

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gestione è sempre stata più accentuata di quanto lasciassero intuire gli articoli del suo statuto. Sia il Governo che il Parlamento, nell’esperienza inglese, hanno un raggio d’azione limitato in materia di televisione: il Parlamento esercita il suo controllo sul bilancio e dibatte sia la Royal Charter che l’Agreement, mentre il Governo ha il diritto di proporre nomine al Board of Governors e di revocare o rinnovare la Royal Charter. Il Board è composto da 12 membri in carica per 5 anni, non licenziabili dal potere esecutivo, nominati formalmente dalla Regina, in pratica dal Primo Ministro, dopo una lunga fase di selezione. I Governors nominano a loro volta il direttore generale. Nonostante sia considerata un “modello” in tutta Europa e oltre per onestà e competenza, nemmeno la BBC è sfuggita a critiche riguardo la sua presunta parzialità. In ogni caso, il grado di autonomia dal Parlamento di cui gode è ampio e fattuale; rarissime le ingerenze del Governo (il Primo Ministro Thatcher però vietò la messa in onda delle registrazioni audio dei terroristi dell’IRA). La BBC, con le Producers’ Guidelines, ha stabilito regole di imparzialità interna (le clausole dell’Agreement vietano l’editorializing, ovvero la parzialità motivata), definite quale “ragion d’essere” dell’azienda, di pluralismo interno e di tutela delle minoranze. Secondo le Guidelines, la BBC ha l’obbligo di servire l’interezza della nazione, quindi deve dare spazio a tutti i principali punti di vista. L’imparzialità, ad ogni modo, non è un principio di validità assoluta: riguardo ai principi fondamentali della democrazia è consentita la deroga all’assoluta neutralità e al distacco (questa è l’unica “eccezione”). Il fine del servizio è che la gente si faccia un’idea propria dei fatti e ne tragga personali considerazioni, non si deve capire quale sia l’opinione del giornalista. La disciplina delle campagne elettorali è diversa per il settore pubblico da quello privato. Il Representaion of the People Act del 1983103 e il suo emendamento del 2000104 recano disposizioni sulle presenze televisive dei candidati, mentre per gli spazi di propaganda esistono degli accordi specifici tra BBC e partiti. Non è ammessa la pubblicità politica.

Mezzi di finanziamento Il servizio pubblico della BBC non è finanziato dalla pubblicità, ma solo dal canone, garantito dalle disposizioni della Royal Charter. Sebbene la pubblicità sia esclusa, nel 1999 quasi il 15% delle entrate provenivano da attività commerciali. Tali attività sono nettamente separate da quelle del servizio pubblico: infatti le operazioni di lucro sono svolte da BBC Worldwide (la società incaricata delle trasmissioni e dei servizi all’estero), creata nel 1994 come gruppo autonomo, ma le cui azioni sono interamente in mano alla BBC. BBC Worldwide ha quindi quadri dirigenziali e bilancio indipendente (per non mischiare risorse commerciali e servizio pubblico) e il suo fine è proprio lo sviluppo delle attività commerciali, per consentire alla BBC di trarre ricavi aggiuntivi rispetto al finanziamento pubblico. Il sistema “doppio” di finanziamento non è mai stato messo in discussione, a causa della più che soddisfacente qualità offerta.

Mission del servizio pubblico La BBC, dall’indirizzo datele dal fondatore John Reith (primo direttore generale dal 1926 al 1949), ha una solida tradizione di qualità, tanto da essere considerata un “modello” a livello mondiale, specie perché è riuscita a coniugarla anche con l’audience. La mission dichiarata è il trittico “informare-educare-divertire”. Il concetto di informare è declinato in modo “attivo”: la gente deve sapere per poi agire, non è solo un informare fine a se stesso. La BBC,

103 “Representation of the People Act 1983”. http://www.legislation.gov.uk/ukpga/1983/2 104 “Representation of the People Act 2000”. http://www.legislation.gov.uk/ukpga/2000/2/contents

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tradizionalmente, è attenta non solo a soddisfare i gusti dei telespettatori, ma anche di arricchirli culturalmente. Il servizio pubblico in Francia

Contesto Il mercato generalista si presenta dominato da un broadcaster privato, TF1 (ex-rete ammiraglia del servizio pubblico), e da due canali di proprietà pubblica, France 2 e France 3. Nell’esperienza francese un’istituzione “pubblica” è un’istituzione “di Stato”, cioè uno strumento a disposizione dell’esecutivo. In passato l’Office de Radiodiffusion-Télévision Française (ORTF), emittente monopolista dei tre canali pubblici (La Première Chaîne, La Deuxième Chaîne e La Troisième Chaîne Couleur), è parsa a molti osservatori troppo vicina al Governo, perciò nel 1974 la società è stata scorporata e, di conseguenza, sono nati tre canali distinti, TF1, Antenne 2 e France Régions 3. Nel 1987 il Primo Ministro Jacques Chirac105 procedette con la privatizzazione di un canale al fine di liberalizzare il mercato, e la scelta ricadde su TF1. Ora vige un sistema misto pubblico-privato, regolato complessivamente dal Conseil Supérieur de l’Audiovisuel (CSA)106. Queste le principali emittenti generaliste disponibili: il consorzio pubblico France Télévisions, nato dalla legge di riforma n. 719 del 1° agosto 2000107 e modificato dalla legge n. 258 del 5 marzo 2009108 (France 2, France 3, France 4, France 5, France Ô, Reseau Outre-Mer 1ère, e che detiene pure il 50% del canale culturale franco-tedesco ARTE), quelli privati Groupe TF1 (TF1, TMC e NT1), Métropole Télévision (M6, W9, Paris Première) e Groupe Canal+ (Canal+, Direct 8). Quadro legislativo Il mercato è strutturato da numerose regole decretate dal Conseil Supérieur de l’Audiovisuel, creato dalla legge nel 1989: per esempio, ciascuna delle emittenti di France Télévisions ha il dovere di trasmettere almeno 15 ore l’anno di opere liriche e di danza, 16 ore di musica classica, esiste un tetto massimo di 192 film all’anno, ecc. Il settore è disciplinato dalla legge n. 1067 del 30 settembre 1986, che è stata corretta nel tempo (1989, 1994, ecc.). La legge n. 1170 del 29 dicembre 1990 ha introdotto una distinzione fondamentale, attribuendo il settore delle telecomunicazioni al ministro delle Telecomunicazioni e il settore audiovisivo al CSA. I Cahiers des charges sono dei documenti, atti unilaterali di natura amministrativa (e non dei contratti) in cui si specificano le clausole di una collaborazione professionale; adottati dal Primo Ministro o dal ministro competente, essi sono impugnabili dai privati di fronte al giudice amministrativo, in caso di abuso di potere. Quasi ogni aspetto del settore televisivo viene regolamentato con dei Cahiers. Ciascun canale pubblico deve perseguire alcuni

105 Jacques Chirac (Parigi, 1932) è stato un uomo politico francese, esponente di spicco del partito gollista (RPR) e del nuovo polo di centrodestra fondato nel 2002 dall’unione di diverse correnti golliste, liberali, conservatrici e democristiane (UMP). E’ stato sindaco di Parigi dal 1977 al 1995, Primo Ministro dal 1974 al 1976 sotto la presidenza Giscard d’Estaing e dal 1986 al 1988 sotto quella di Mitterrand. Dal 1995 al 2007 ha ricoperto la carica di Presidente della Repubblica Francese. 106 Conseil Supérieur de l’Audiovisuel. http://www.csa.fr/ 107 Legge n. 719 del 1° agosto 2000 che modifica la legge n. 1067 del 30 settembre 1986, “La libertà di comunicazione”. http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000000402408&dateTexte=&categorieLien=id 108 Legge n. 258 del 5 marzo 2009, “La comunicazione audiovisiva e il nuovo servizio pubblico televisivo”. http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000020352071&dateTexte=&categorieLien=id

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obiettivi specifici (contrats d’objectifs) esplicitati dai Cahiers des charges: alcuni esempi sono la promozione della lingua e della cultura francese all’estero, lo sviluppo di nuove tecnologie, gli obblighi sulla pubblicità e sul canone, la messa in onda di programmi tematici come quelli sulla sicurezza stradale, sui portatori di handicap, così come gli investimenti programmati e le risorse previste necessarie per portarli a termine. Tutti questi obiettivi stipulati tra emittenti pubbliche (che operano con “licenza legale”) e Stato devono essere comunicate al CSA. Il controllo sull’esecuzione di tali contrats è affidato al Governo, che presenta ogni anno al Parlamento un rapporto dettagliato, in allegato alla legge finanziaria, su ogni singolo contratto. E’ stato deciso inoltre che le reti pubbliche non possano costituire canali pay-per-view.

Penetrazione della politica: relazione tra nomina dei vertici, indipendenza, imparzialità e pluralismo interno La riforma del 1° agosto 2000 ha comportato la nascita della holding pubblica France Télévisions: fino al 2009 il CSA nominava il presidente del Consiglio d’Amministrazione della holding, che era anche presidente del CdA di tutte le emittenti del gruppo. Questa procedura è stata modificata109 dal recente intervento, molto contestato, del Presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy110. Ogni società concessionaria ha un proprio Consiglio d’Amministrazione di 12 membri, composto in modo tale da garantire il pluralismo: si hanno infatti due parlamentari nominati rispettivamente dall’Assemblea Nazionale e dal Senato, quattro rappresentanti del Governo, quattro esperti scelti dal CSA, due rappresentanti del personale interno. Dalla composizione appena descritta si nota che i membri che rappresentano gli interessi dell’esecutivo sono in minoranza, ciò a vantaggio di una maggiore autonomia del servizio pubblico dal Governo, anche se non sono mancati tentativi da parte del Governo di influenzare maggiormente l’equilibrio raggiunto111. Per ciascuna società, il presidente del consorzio è assistito da un direttore generale, nominato dal Consiglio d’Amministrazione della holding su proposta del presidente stesso. I mandati durano cinque anni.

109 Durante il suo mandato come Presidente della Repubblica, Sarkozy ha fatto passare una legge che prevede che il presidente di France Télévisions sia nominato dal Capo dello Stato. La norma ha avuto applicazione il 23 agosto 2010, quando a capo della holding pubblica è stato nominato Rémy Pflimlin. Fonti: “Le président de France Télévisions sera bien nommé par le chef de l'Etat”. http://www.20minutes.fr/article/556423/Economie-Le-president-de-France-Televisions-sera-bien-nomme-par-le-chef-de-l-Etat.php, fr.wikipedia.org 110 Nicolas Sarkozy (Parigi, 1955) è un uomo politico francese, di origini ebreo-ungheresi. Giovane militante neo-gollista nel RPR di Jacques Chirac, divenne in seguito un acerrimo avversario di quest’ultimo all’interno del partito, finché è stato uno dei protagonisti della creazione del grande polo di centrodestra Union pour un Mouvement Populaire (UMP). Sindaco di Neuilly-sur-Seine dal 1983 al 2002 e più volte ministro sotto la presidenza Chirac, è stato eletto al primo colpo Presidente della Repubblica Francese nel 2007, battendo la socialista Ségolène Royal. Nel 2012 non è stato rieletto Presidente, perché i francesi gli hanno preferito il socialista François Hollande. Qualche giorno dopo la sconfitta, Sarkozy ha annunciato il suo allontanamento temporaneo dalla politica. 111 In particolare dall’azione di Nicolas Sarkozy. Di fronte alla continua riduzione degli ascolti dei canali del servizio pubblico, l’ex-Presidente della Repubblica ha fissato degli obiettivi per il gruppo in una lettera recapitata il 1° luglio 2007 al ministro della Cultura e della Comunicazione, Christine Albanel. France Télévisions, si legge, “deve affermare con forza la sua identità di servizio pubblico” attraverso “una offerta culturale più densa, più creativa, più audace [...], che marchi una maggiore differenza con i canali privati” e sia “basata su programmi popolari di qualità nelle ore di punta”. Inoltre egli ha scritto che si aspetta un Cahiers des charges rinnovato, che distingua le peculiarità di ciascuna rete e che preveda una più stretta sinergia tra di esse, anche a costo di modificare le strutture amministrative e organizzative esistenti. Un vero e proprio diktat, che non ha mancato di suscitare le critiche dei sindacati (CGT in testa) che hanno definito la lettera del Capo dello Stato “una seria minaccia per l’informazione e per il servizio pubblico audiovisivo” e privo di misure “per riportare il canone al livello della media europea”.

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Il potere del Parlamento, oltre a disciplinare il settore, si limita alla nomina di sei membri del CSA e all’approvazione del budget di France Télévisions; il Governo ha un ampio potere regolamentare (ad esempio attraverso i Cahiers des charges), è competente a scegliere alcuni membri del CdA delle reti pubbliche e approva gli statuti delle stesse. Il CSA è un’autorità amministrativa indipendente, ha funzione di vigilanza ed è formato da nove membri nominati direttamente dal Presidente della Repubblica francese: tre dei quali sono scelti dal presidente dell’Assemblea Nazionale, altri tre dal presidente del Senato e i restanti tre dal Capo dello Stato stesso, che tra essi nominerà il presidente del CSA. Il mandato dei membri del CSA è di sei anni e non può essere rinnovato. Inoltre la carica è incompatibile con qualsiasi altra carica pubblica. Le decisioni sono validamente prese in presenza di almeno sei membri. In caso di parità, il voto del presidente vale doppio. Il CSA, sia in ambito di servizio pubblico che in ambito di emittenza commerciale, ha il compito di rilasciare autorizzazioni a trasmettere (la funzione più importante), di vigilare sull’osservanza degli impegni presi dalle emittenti, specialmente durante i periodi di campagna elettorale. Nel pubblico assume il particolare ruolo di vigilanza sul rispetto del principio del pluralismo (art 13 legge n. 1067/89) e di nomina dei presidenti delle singole emittenti del gruppo France Télévisions. Per la propaganda politica sono in vigore rigidi paletti: le televisioni sono obbligate a mettere a disposizione tutti i propri mezzi tecnici a tutti i partiti presenti in Parlamento (dalle reti pubbliche i programmi di propaganda sono trasmessi gratuitamente, e i costi per realizzarli sono rimborsati direttamente dallo Stato).

Mezzi di finanziamento Le reti pubbliche si finanziano sia con il canone che con la pubblicità. Il canone (redevance audiovisuelle), nel 2012, ammonta a €125 euro nella madrepatria e a €80 nei Territori d’Oltremare112. Alcune categorie sono esentate dal pagamento: gli over65 se in situazione economica svantaggiata, gli invalidi, i mutilati di guerra, le scuole pubbliche, gli ospizi, gli orfanotrofi, gli alberghi, gli ospedali. Per quanto riguarda il secondo mezzo di finanziamento, invece, gli introiti massimi derivanti dalla pubblicità sono fissati dai Cahiers. Dopo l’annuncio (2008) da parte del Presidente Nicolas Sarkozy sull’avvio di una riflessione che avrebbe portato alla soppressione totale della pubblicità dai canali del servizio pubblico113, dal 5 gennaio 2009 la réclame è stata bandita su tutte le emittenti di France Télévisions dalle ore 20 alle ore 6. Gli spot oramai costituiscono solamente una piccola parte dei ricavi di France Télévisions (all’incirca il 10%). Un recente studio ha dimostrato che la maggior parte dei francesi è contrario alla privatizzazione del servizio pubblico114.

Mission del servizio pubblico La televisione è concepita come motore di crescita culturale e di educazione degli spettatori, ecco quindi che i Cahiers parlano del servizio pubblico in termini di rilevanza educativa, culturale e sociale. Il principio cardine che si enuclea dai Cahiers è quello di obiettività: il servizio pubblico non deve prendere posizione, ma, al contrario, rimanere neutrale. E’ tenuto,

112 “Redevance audiovisuelle: montant 2012”. http://droit-finances.commentcamarche.net/faq/4455-redevance-audiovisuelle-montant-2012 113 “Sarkozy veut supprimer la pub sur les chaines publiques”. http://www.dailymotion.com/video/x3zjxl_sarkozy-veut-supprimer-la-pub-sur-l_news 114 Secondo un sondaggio del CSA pubblicato il 12 agosto 2007 su Le Parisien, la maggioranza dei francesi si opporrebbe ad un’eventuale privatizzazione del servizio pubblico televisivo. La stessa ricerca mostra come l’86% degli intervistati si dichiarano contrari all’aumento del canone, anche se ciò servirebbe a migliorare l’offerta educativa e culturale del servizio, e il 53% non è favorevole nemmeno ad un incremento degli spot pubblicitari.

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inoltre, a divulgare solo notizie di cui sia confermata la veridicità (il cui controllo è demandato al CSA). Un altro principio molto importante è quello di uguaglianza d’accesso al mezzo a favore del Governo, di associazioni no profit, religiose e di tutte le altre forze politiche, sociali e culturali del Paese. Last but not least, il principio di adeguamento alle esigenze e all’interesse nazionale, per cui è possibile, in ogni momento, cambiare le regole di funzionamento dell’intero sistema radiotelevisivo. I canali sono ripartiti e distinguibili in virtù del decreto n. 796 del 23 giugno 2009115 emendato dal decreto n. 253 del 10 marzo 2010 116: France 2 deve svolgere il ruolo di “ammiraglia” del servizio pubblico, riunendo attorno ad essa il più largo consenso tramite un’offerta abbondante e variegata; France 3 ha una vocazione maggiormente regionale e locale, attraverso essa si devono esprimere le comunità territoriali; France 4 ha un target spiccatamente giovanile; France 5 si dedica alla cultura, alla conoscenza e all’educazione; France Ô è la rete della diversità etnica e culturale; Outre-Mer 1ère assicura la continuità territoriale alle dipendenze francesi d’Oltreoceano dei programmi della catena televisiva della madrepatria. L’obiettivo globale del servizio pubblico è dar voce a tutte le principali componenti socioculturali della nazione, e il giudizio complessivo dei telespettatori è positivo117. Nonostante ciò, l’ascolto medio delle emittenti di France Télévisions è in continua e inarrestabile diminuzione118. Il servizio pubblico in Germania

Contesto Data la specifica conformazione politico-amministrativa della Germania, il servizio pubblico tedesco comprende due canali televisivi a copertura nazionale, Das Erste della Arbeitsgemeinschaft der öffentlich-rechtlichen Rundfunkanstalten der Bundesrepublik Deutschland (“Comunità Lavorativa delle Emittenti Radiotelevisive pubbliche della Repubblica Federale di Germania, o più semplicemente ARD) e la Zweites Deutsches Fernsehen (“Secondo Canale Tedesco”, ZDF) e nove regionali; il consorzio ARTE è partecipato congiuntamente da ARD e ZDF, le quali insieme posseggono il 50% del capitale, mentre l’altra metà è in mano a France Télévisions; il canale 3sat è stato creato da ARD e ZDF in collaborazione con l’emittente pubblica austriaca (ORF) e svizzera tedesca (SRG SSR). ARD nacque nel 1950 come progetto di cooperazione tra enti locali ed il canale che trasmette a livello federale (Das Erste) è considerato il “primo canale”; esso è contornato da nove reti a carattere regionale, la Bayerischer Rundfunk (“Radio Bavarese”, BR), Hessischer Rundfunk (“Radio Assiana”, HR), Mitteldeutscher Rundfunk (“Radio Centro-tedesca”, MDR), Norddeutscher Rundfunk (“Radio Nord-tedesca”, NDR), Radio Bremen (“Radio Brema”, RB), Rundfunk Berlin-Brandenburg (“Radio Berlino-Brandeburgo”, RBB), Saarländischer Rundfunk (“Radio Saarlandese”, SR), Südwestrundfunk (“Radio del Sud-ovest”, SWR) e Westdeutscher Rundfunk Köln (“Radio Colonia-Germania Occidentale”, WDR); ognuna di esse svolge il ruolo di “terzo canale”, adattato per la propria zona di residenza (anche se oggigiorno, grazie al satellite ASTRA, il segnale di ogni emittente regionale è ricevibile in

115 Decreto n. 796 del 23 giugno 2009 “Il Cahier des charges della società di programmazione nazionale France Télévisions”. http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000020788471&fastPos=1&fastReqId=1553707249&categorieLien=id&oldAction=rechTexte 116 Decreto n. 253 del 10 marzo 2010 modificativo de “Il Cahier des charges della società di programmazione nazionale France Télévisions”. http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000021961492 117 Secondo lo stesso sondaggio del CSA pubblicato il 12 agosto 2007 su “Le Parisien”, quasi i due terzi dei francesi si ritengono soddisfatti della qualità offerta dai canali del servizio pubblico. 118 France Télévisions, Résultats 2004, Audit interne 2005, Rapports financiers 2006 et 2007 e fr.wikipedia.org

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ogni punto del Paese)119. Il quadro alquanto peculiare così dipinto deve la sua origine alla divisione in aree di occupazione da parte delle forze alleate in seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale120. ZDF, il secondo canale, iniziò a trasmettere nel 1961, conoscendo una genesi anch’essa locale di tipo “federalismo cooperativo”121 (è stata originata da un contratto unitario tra i vari Stati che componevano la RFT122) e opera come un’agenzia indipendente non a scopo di lucro. Nel panorama dell’offerta televisiva sono presenti anche imprese private, come il Gruppo RTL (RTL, RTL II) e ProSiebenSat. 1 Media (ProSieben, Sat 1, Kabel eins).

Quadro legislativo La Germania ha un ordinamento federale. Secondo la Carta Costituzionale (Grundgesetz) non è allo Stato federale, ma agli Stati federati che spetta legiferare sulla televisione, poiché l’ambito ricade nella dizione “lavoro culturale” (artt. 30, 70 e 83)123; allo stesso tempo, però, la stessa Costituzione afferma che (art. 73) la gestione delle poste e delle telecomunicazioni è da considerarsi al Bund. Questa ambiguità ha spinto la Corte Costituzionale Federale tedesca ad esprimersi (sentenza n. 105 del 1961) affermando che il settore radiotelevisivo debba essere considerato di competenza degli Stati, mentre alla Federazione è affidata solo la gestione tecnica del settore, l’assegnazione delle frequenze e la costruzione delle infrastrutture. La regolamentazione del servizio pubblico è dettata da una pluralità di leggi: gli atti normativi possono essere emanati dai singoli Länder (quando si riferiscono alle reti territoriali) oppure, se il cambiamento riveste rilevanza nazionale, sono concordati e promulgati da tutti i sedici Länder, assumendo la forma di un Accordo Interstatale sull’Emittenza (Rundfunkstaatsvertrag)124. Un ruolo centrale è ricoperto dalla Corte Costituzionale Federale, che chiarisce i nodi irrisolti o di dubbia interpretazione. Nella sua prima sentenza già ricordata (n. 105 del 1961), essa ha dichiarato che le emittenti devono rappresentare tutte le forze socialmente rilevanti, sia nell’organizzazione che nella programmazione. A metà anni Ottanta (1986) la Corte ha stabilito due importanti concetti, il cosiddetto “sistema duale”: il primo consiste nel fatto che il settore pubblico e quello privato coesistono nell’adempimento di una “missione pubblica” (con ARD e ZDF che devono offrire informazione, educazione e intrattenimento), il secondo è che un settore privato meno regolamentato è concepibile solo in presenza di un settore pubblico più regolamentato125.

119 Michael Libertus, Essential Aspects Concerning the Regulation of the German Braodcasting System. Historical, Constitutional and Legal Outlines, Arbeitspapiere n. 193 des Instituts für Rundfunkökonomie an der Universität zu Köln, Colonia, 2004, pag. 8 (leggibile e scaricabile dal seguente link: http://www.rundfunk-institut.uni-koeln.de/institut/pdfs/19304.pdf). 120 Fino al 23 maggio 1949, la Gran Bretagna occupava militarmente la parte nord-occidentale del Paese (Bassa Sassonia, Renania Settentrionale-Westfalia, Amburgo, Schleswig-Holstein), la Francia la porzione occidentale (Baden, Saarland, Renania-Palatinato) e gli Stati Uniti i territori sud-orientali (Baviera, Assia, Württemberg), oltre ai porti di Brema e Bremerhaven. Le tre potenze amministravano congiuntamente anche la metà occidentale della città di Berlino. L’Unione Sovietica, da parte sua, controllava le regioni orientali (Sassiona, Sassonia-Anhalt, Turingia, Brandeburgo, Mecleburgo-Pomerania Anteriore) e la sezione orientale della capitale. 121 M. Libertus, Essential Aspects, cit., pag. 7. 122 Repubblica Federale Tedesca. 123 Deutscher Bundestag: Grundgesetz. http://www.bundestag.de/dokumente/rechtsgrundlagen/grundgesetz/index.html 124 “Interstate Broadcasting Agreement (Rundfunkstaatsvertrag)”. http://www.iuscomp.org/gla/statutes/RuStaV.htm 125 “Broadcasting Law in Germany”. http://www.iuscomp.org/gla/literature/broadcst.htm#ToC3

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Penetrazione della politica: relazione tra nomina dei vertici, indipendenza, imparzialità e pluralismo interno Le istituzioni politiche non hanno diretta influenza sulla programmazione. Nel dettaglio, ARD è governata da un Direttore dei Programmi e da un Collegio formato dai direttori generali delle reti territoriali. Il Direttore dei Programmi è eletto a maggioranza dei due terzi dal Collegio e il suo incarico non può essere di durata inferiore ai due anni. Il suo compito è predisporre un piano comune di programmazione con le reti regionali. A livello di Land ogni rete è governata da un Consiglio Televisivo (Rundfunkrat), un Consiglio d’Amministrazione (Verwaltungrat) e un direttore generale. I Consigli Televisivi sono organi collegiali locali, derivati dai Parlamenti dei singoli Länder, la cui composizione rappresenta il più possibile la composizione dei gruppi di interesse della società (esponenti del settore produttivo, atenei universitari, organizzazioni filantropiche e artistiche, personaggi delle diverse comunità religiose, comitati di difesa delle donne, dei giovani, ecc.). Essi operano in piena autonomia126 e dettano gli indirizzi ai direttori generali degli enti televisivi, svolgendo una funzione di controllo su questi ultimi. I Consigli hanno potere finanziario, nominano il direttore generale e sono consultati obbligatoriamente da quest’ultimo nelle materie più importanti. ZDF è invece governata da un Consiglio Televisivo, un Consiglio d’Amministrazione e un direttore generale (Intendant). Il Consiglio Televisivo annovera un rappresentante per Land, tre rappresentanti del Governo Federale, dodici rappresentanti dei partiti politici (in proporzione alle quote presenti in Parlamento), e i restanti rappresentano le diverse Chiese, la minoranza ebraica, le forze sindacali, sociali ed economiche, per un totale di circa settanta membri. Questo organo stabilisce le norme interne dell’azienda, le linee generali per i programmi, il rispetto dei codici e approva i bilanci preventivi e consuntivi. Il Consiglio d’Amministrazione è formato da quattordici componenti che durano cinque anni: otto eletti dal Consiglio Televisivo, cinque rappresentanti dei Länder e uno eletto dal Governo Federale. Il ruolo del CdA è quello di controllare l’operato del direttore generale del quale può, previa approvazione del Consiglio Televisivo, decidere il licenziamento. Il direttore generale viene eletto dal Consiglio Televisivo a maggioranza di tre quinti: nomina il Direttore dei Programmi, il caporedattore e il direttore amministrativo, rappresenta ZDF a livello legale e ne è il responsabile di tutte le attività127. Come detto, la politica non ha potere diretto sul servizio pubblico di ARD e ZDF, ma opera attraverso i propri membri nominati nei Consigli d’Amministrazione e interviene nel processo di adattamento continuo degli Accordi Interstatali. Nella pratica, ARD e ZDF non sono molto influenzabili dal Governo, anche perché entrambi gli enti hanno una struttura decentrata. ARD e ZDF sono tenuti a concedere gratuitamente spazi di propaganda ai partiti durante la campagna elettorale, di durata 2 minuti e 30 secondi. Vige il principio di parità di trattamento, ma la frequenza degli spot elettorali è diversa per i partiti maggiori e quelli meno importanti (prendendo come riferimento le elezioni più recenti). In ogni momento, il precetto dell’imparzialità e del pluralismo sono regole auree.

Mezzi di finanziamento L’attuale sistema di finanziamento delle reti pubbliche è misto (canone e pubblicità) ed è stato approvato dalla Corte Costituzionale Federale nel 1994. Chiunque possieda un televisore è costretto a pagare il canone, che non è assimilato alla stregua di una tassa, poiché non sono

126 Anche perché i Consigli durano in carica sei anni, contro i quattro di una normale legislatura parlamentare. Cfr P. Gomez, M. Travaglio, Inciucio, cit., pag. 559. 127 Pasquale Rotunno, La TV in Europa. Ordinamento e funzione dei servizi pubblici, Rubbettino, Catanzaro, 2003, pag. 62.

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coinvolte le istituzioni politiche. La tariffa è fissa per 5 anni, attraverso un processo decisionale di tre livelli: ARD e ZDF comunicano i loro fabbisogni per gli anni successivi e per quali obiettivi sarà impiegato il canone; la commissione preposta, la Kommission zur Ermittlung des Finanzbedarfs (KEF), esamina a fondo le richieste e dà un parere motivato; i Länder decidono con un Accordo Interstatale l’ammontare preciso del canone, tenendo conto del parere del KEF, ma non essendo vincolati da esso. La KEF è composta da membri nominati dalla Cancelleria, dalle Corti dei Conti dei Länder e da alcuni esperti indipendenti. Dal 1976 la riscossione del canone è affidata ad una società ad hoc, la Gebuhreneinzurszentrale (“Ufficio Centrale per la Riscossione del canone”, GEZ). ARD e ZDF sono anche parzialmente finanziate dalla pubblicità, ma sono soggette a strettissimi vincoli: 20 minuti al giorno, solo nei giorni feriali e prima delle ore 20. Sia ARD che ZDF hanno l’obbligo di pareggio in bilancio.

Mission del servizio pubblico Tutti i canali di servizio pubblico locale hanno l’onere di pubblicare nella Gazzetta Ufficiale dei Länder da cui trasmettono i propri statuti e le proprie linee guida, secondo l’esperienza della BBC, mentre sia ARD che ZDF vengono sottoposte ad un controllo di qualità ogni due anni. Il trinomio fondamentale è, anche in questo caso, informazione, educazione e intrattenimento. Tutti devono avere il diritto di esprimere le proprie opinioni. I principi deontologici giornalistici di accuratezza, affidabilità e imparzialità devono essere presi come riferimento, per “assicurare la formazione di un’opinione libera, individuale e pubblica ed esprimere una molteplicità di opinioni”. Il servizio pubblico, in particolare, deve promuovere l’idea della Germania unificata, dell’integrazione europea, ripudiare ogni forma di discriminazione e propugnare il pluralismo (sentenza Corte Costituzionale Federale del 4 settembre 1986).

“E’ comprensibile che ogni servizio pubblico nazionale sue specifiche caratteristiche dovute alla particolare storia di ogni Paese e al modo in cui il proprio servizio pubblico si è venuto configurando nel tempo. E’ difficile perciò ricercare un unico comune denominatore nei diversi ordinamenti. Ma ciò che rende tali i servizi pubblici europei, ciò che li distingue dall’emittenza commerciale, […] sono alcune esigenze condivise […]: la prima è certamente quella che per servizio pubblico non deve intendersi servizio di Stato, e men che meno dei governi e dei partiti, ma servizio alla comunità nazionale; la seconda è che per svolgere al meglio la loro mission, per essere imparziali e obiettivi, i servizi pubblici debbono essere il più professionalmente autonomi dal potere politico e quindi ancorati a organi di alta garanzia civica; la terza esigenza è che debbono avere entrate coerenti che non condizionino la loro programmazione, cioè che siano il più possibile pubbliche”128.

128 Jader Jacobelli, L’Europa televisiva, in P. Rotunno, La TV in Europa, cit., pagg. 7-8.

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CONCLUSIONE Analizzando le vicende storiche della Radiotelevisione Italiana fino ad oggi e comparandola ad analoghe aziende di servizio pubblico nei principali Paesi europei, salta all’occhio la peculiarità del sistema italiano. Molti studiosi, tra cui il sociologo Peppino Ortoleva129, hanno evidenziato come l’intera storia dell’apparato televisivo nel nostro Paese è stata caratterizzata da due costanti anomalie di fondo: lo strapotere dei partiti nella vita civile e, al tempo stesso, l’enorme difficoltà di riformare per via legislativa questo settore130. Oggi la Rai, e in generale i mezzi di informazione, funzionano sempre più come strumento di legittimazione del potere (“apparato ideologico di Stato”, secondo il filosofo strutturalista francese Louis Althusser) e sempre meno come organismo al servizio della crescita civile della società. Progressivamente quella “mamma Rai” dell’era Bernabei che, pur con i suoi limiti e le sue censure, aveva svolto con fervore quasi “gesuitico” una benefica funzione pedagogica e moralizzatrice, ha lasciato il posto ad un’ottusa e mera “Rapida Assegnazione Incarichi”, descritta causticamente da Enzo Biagi. E’ ormai opinione condivisa che la riforma del 1975 non rese la televisione italiana più libera, obiettiva e pluralista, limitandosi a legittimare e, anzi, esasperando i meccanismi spartitori già da tempo applicati alla Rai fra i diversi partiti, garantendo, alla fine, una “proporzionalità” ancor più rigorosa tra l’azienda e gli equilibri politici131. Alla base c’era la convinzione che solo attraverso l’ideologia, cattolica, marxista o laica, si potesse esprimere il massimo pluralismo. Si trattava di una concezione a nostro avviso miope del principio, che produceva un pluralismo quantitativo e non qualitativo, più livellatore verso il basso che espressione dinamica di differenze, e che conteneva in sé il rischio di impoverire la nozione stessa di servizio pubblico. Difatti questo rischio si è concretizzato a partire dall’attacco delle televisioni commerciali, a cui la dirigenza Rai ha risposto in modo qualitativamente insufficiente. E’ vero che “la lottizzazione è un atteggiamento di fondo delle forze politiche italiane”132 e ne abbiamo avuto la conferma negli ultimi vent’anni, ma è anche vero che il dibattito culturale e politico in Italia non è limitato e limitabile ai partiti politici, al contrario è molto più ampio; essi non esauriscono la società italiana e non possono ambire ad essere l’unico centro promotore di iniziativa e promozione culturale democratica. Nonostante ciò, è come se i partiti non si accorgano di non poter inglobare la totalità sociale del Paese, si comportano ancora oggi, in una fase di profonda disaffezione dei cittadini verso i partiti133, come se la rappresentassero interamente, come se necessariamente ogni individuo sia schierato per una parte politica. In pratica, mostrano di credere assai più di quanto non dichiarino all’equazione telespettatori = elettori.

129 Peppino Ortoleva, Linguaggi culturali via etere, in Simonetta Soldani, Gabriele Turi (a cura di), Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, vol. II, Una società di massa, Il Mulino, Bologna, 1993, pagg. 441-488. 130 Facendo i dovuti distinguo, si può pensare di applicare, qui, il noto “paradosso di Zagrebelsky”: “L’esigenza della riforma nasce dalla disgregazione del processo di integrazione politica, perciò, in sostanza, si vuole la riforma perché non si riesce più a decidere. Quanto maggiore è la disgregazione, tanto maggiore è la necessità della riforma; ma tanto più questa è necessaria, quanto più è difficile da realizzare. Fino al limite del paradosso: dove la riforma è assolutamente indispensabile, ivi è anche assolutamente impossibile” (G. Zagrebelsky, 1985). 131 Secondo Giovanni Russo, dalle colonne del “Corriere della Sera”, la riforma della Rai che si stava delineando “si tratta di una spartizione o lottizzazione dell’informazione tra i partiti […], che invece di ovviare ai mali del passato li renderebbe […] ancora più odiosi. […] Un mezzo di informazione fondamentale e potentissimo come la RAI-TV non può essere lottizzato. […] Questa prospettiva, che è un pericolo reale, mette in luce l’assurdità di concepire la libertà di informazione come una spartizione di verità e quindi una somma di verità parziali” (Giovanni Russo, Spartizione della verità, in “Corriere della Sera”, 27 novembre 1974). 132 Giulia Guazzaloca, Una e divisibile, cit., pag. 211. 133 La fiducia degli italiani nei partiti politici si attesterebbe attualmente al 2,1% (sondaggio ISPO/3G Deal & Research S.r.l. per “Corriere della Sera”. Data di rilevazione: 10 aprile 2012. La documentazione completa è disponibile sul sito www.sondaggipoliticoelettorali.it).

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Così come la BBC è il riflesso fedele della grande tradizione parlamentare britannica, caratterizzata da un sistema bipartitico e ammantata da un senso di fair play molto caro ai cittadini del Regno Unito, la Rai è lo specchio della politica nostrana, fatta di numerosi partiti, di contrapposizioni ideologiche o comunque aprioristiche, di delegittimazione sistematica dell’avversario, di marcato squilibrio tra potere forte dei partiti e mancanza di regole certe o applicate malamente. Se in Gran Bretagna, ma anche in Germania, i mass media sono visti come attenti osservatori sulle istituzioni politiche, in Italia si è sempre verificato il contrario. A fronte di tale “arretratezza del nostro costume democratico”134 le regole formali servono a poco; come scriveva Alessandro Galante Garrone

“il comportamento inglese è un fatto di costume politico, più che di osservanza di regolamenti. Non servirebbe molto ricopiarli. Cerchiamo piuttosto di far nostro, un po’ alla volta, quel costume”135.

Oggigiorno la rivoluzione tecnologica innestata dallo sviluppo di internet sta riducendo in misura sempre maggiore la centralità assunta dalla televisione negli scorsi decenni, mentre la stessa avventura berlusconiana in politica, con le sue polemiche e i suoi conflitti di interesse, sembra avere imboccato la fase calante. La speranza è che l’incredibile moltiplicazione dei mezzi di informazione resi disponibile da internet (siti, web magazine, blog, portali, enciclopedie telematiche, motori di ricerca, ecc…) e la difficoltà connessa alla loro “censura”, faccia perdere di interesse e appetibilità il controllo ossessivo del tubo catodico. Insomma, è probabile che in un prossimo futuro la televisione pubblica abbia una ghiotta occasione, forse irripetibile, per emanciparsi definitivamente dalle strette catene della logica di potere. Ma, per ottenere qualche risultato degno di nota, occorrerà partire da una sincera svolta che investa la cultura, il costume e la morale collettivi. « Un servizio pubblico “di parte” non serve più a nessuno, neppure a chi crede di servirsene, perché diviene controproducente e crea alternate tensioni nel Paese »

(Jader Jacobelli)

134 Ferruccio Parri, Il problema politico della radio-televisione, in “Il Ponte”, XIII, 1957, pag. 1412. 135 Alessandro Galante Garrone, La polemica sulla radio-TV, in “La Stampa”, 20 maggio 1964.

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APPENDICE 1 – Cronologia delle cariche dirigenziali della Rai Tabella 2. Presidenti della Rai: Anno nomina Nome cognome Orientamento Reclutamento/carriera 1945 Arturo C. Jemolo catto-liberale esterno/accademica 1946 Giuseppe Spataro DC esterno/politica 1951 Cristiano Ridomi DC esterno/giornalistica 1954 Antonio Carrelli / esterno/accademica 1961 Novello Papafava centrodestra esterno/amministrativa 1964 Pietro Quaroni / esterno/diplomatica 1968 Aldo Sandulli / esterno/accademica 1970 Umberto Delle Fave DC esterno/politica ---------------------------------------riforma------------------------------------------------------- 1975 Ben. Finocchiaro PSI esterno/politica 1977 Paolo Grassi socialista esterno/amm. culturale 1980 Sergio Zavoli PSI interno/giornalistica 1986 Enrico Manca PSI esterno/politica 1992 Walter Pedullà PSI esterno/accademica 1993 Claudio Demattè sinistra esterno/accademica 1994 Letizia Moratti centrodestra esterno/manageriale 1996 Giuseppe Morello / interno/manageriale 1996 Enzo Siciliano centrosinistra esterno/culturale 1998 Roberto Zaccaria centrosinistra esterno/accademica 2002 Vittorio Emiliani (reggente f. funzioni) interno/manageriale 2002 Antonio Baldassarre centrodestra esterno/magistratura 2003 Paolo Mieli (rinuncia alla carica) esterno/giornalistica 2003 Lucia Annunziata centrosinistra esterno/giornalistica 2004 Francesco Alberoni (reggente f. funzioni) interno/accademica 2005 Sandro Curzi (reggente f. funzioni) interno/giornalistica 2005 Claudio Petruccioli centrosinistra136 esterno/polit.-giornal. 2009 Paolo Garimberti centrosinistra esterno/giornalistica 2012 A. M. Tarantola / esterno/manageriale … … … … (Fonte: Rai – Radiotelevisione Italiana) Tabella 3. Direttori generali della Rai: Anno nomina Nome cognome Orientamento Reclutamento/carriera 1927 Raul Chiodelli PNF esterno/amministrativa 1944 Luigi Rusca centrodestra esterno/giorn.-manag. 1945 Armando Rossini centrodestra esterno/giornalistica

136 L’appartenenza politica di Petruccioli è stata messa in dubbio da diverse voci. In particolare da Marco Travaglio e Peter Gomez in Inciucio (BUR, 2005), da Antonio Di Pietro che lo ha definito “un presidente Rai di nomina Mediaset” e da Sabina Guzzanti in un’intervista al “Corriere della Sera” (Giovanna Cavalli, “Sabina Guzzanti: se la gente ride per Violante e Petruccioli non è colpa mia”. http://archiviostorico.corriere.it/2005/ottobre/05/Sabina_Guzzanti_gente_ride_per_co_9_051005088.shtml).

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1947 Enrico Carrara / esterno/educazionale 1947 Salvino Sarnesi / esterno/manageriale 1954 Giov. B. Vicentini DC (fanfaniano) esterno/manageriale 1956 Rodolfo Arata DC esterno/giornalistica 1961 Ettore Bernabei DC (fanfaniano) esterno/giornalistica ---------------------------------------riforma------------------------------------------------------- 1975 Michele Principe DC esterno/amministrativa 1977 Giuseppe Glisenti DC esterno/manageriale 1977 Pierantonio Berté DC esterno/polit.-giorn. 1980 Willy De Luca / interno/giorn.-ammin. 1982 Biagio Agnes DC (demitiano) interno/giorn.-ammin. 1990 Gianni Pasquarelli DC (forlaniano) interno/giorn.-ammin. 1994 Gianni Locatelli / esterno/giorn.-ammin. 1994 Gianni Bilia / esterno/manageriale 1995 Raffaele Minicucci / interno/manageriale 1996 Aldo Materia (reggente f. funzioni) interno/manageriale 1996 Franco Iseppi / interno/esterno 1998 Pierluigi Celli / esterno/manageriale 2001 Claudio Cappon / esterno/manageriale 2002 Agostino Saccà centrodestra interno/manageriale 2003 Flavio Cattaneo centrodestra esterno/manageriale 2005 Alfredo Meocci centrodestra interno/polit.-manag. 2006 Claudio Cappon / esterno/manageriale 2009 Mauro Masi centrodestra esterno/polit.-manag. 2011 Lorenza Lei centrodestra interno/manageriale 2012 Luigi Gubitosi / esterno/manageriale … … … … (Fonte: Rai – Radiotelevisione Italiana) Tabella 4. Amministratori delegati della Rai: Anno nomina Nome cognome Orientamento Reclutamento/carriera 1954 Filiberto Guala DC esterno/manageriale 1956 Marcello Rodinò DC esterno/manageriale 1965 Gianni Granzotto / interno/giornalistica 1968 Luciano Paolicchi PSI esterno/politica (Fonte: Rai – Radiotelevisione Italiana)

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APPENDICE 2 – Intervista a due esperti Giorgio Simonelli, laureato in “Storia e Critica del Cinema” con Gianfranco Bettetini, è professore di “Storia della radio e della televisione” e “Giornalismo radiofonico e televisivo” all’Università Cattolica di Milano, dove dirige anche il Master in “Comunicazione e marketing del cinema”. Ha scritto libri su registi, prodotti e programmi televisivi, nonché per riviste e quotidiani, ha organizzato vari festival di cinema e letteratura. Blogger sulla versione online de “Il Fatto Quotidiano”, da parecchi anni consulente e opinionista per il programma Tv talk di Rai Educational su Raitre. Mi parli della sua esperienza in Rai: quando e come è entrato?

Sono entrato in Rai nel 2002, per caso. A quell’epoca lavoravo con un’emittente che si chiamava Sat2000137 e sulla quale trasmettevano un programma realizzato in collaborazione con l’Università Cattolica, Il Grande Talk138. Il programma fu notato da Giovanni Minoli139, direttore di Rai Educational, il quale mi chiamò in Rai per dirigere lo stesso format. Da quella base nacque Tv Talk. Andiamo al nocciolo della questione: come funziona, in concreto, il meccanismo di nomina delle cariche dirigenziali da parte delle segreterie di partito? C’è la Legge Gasparri che si occupa del meccanismo, tra l’altro veramente complicato. E’ la Commissione di Vigilanza che controlla il sistema, che di fatto è nelle redini del Parlamento e da chi lo compone, cioè i partiti. Di conseguenza, la spartizione delle poltrone della Rai in quote che riflettono i gruppi parlamentari è inevitabile. Come giudica il meccanismo, ormai assodato, della lottizzazione? Capisco quelli che parlano della “lottizzazione” come un male e che la politica deve uscire dalla governance della Rai; ma questa gente si è mai chiesta, allora, chi la deve governare? Essendo la Rai un’azienda pubblica che fornisce un servizio pubblico, non si può eliminare del tutto una certa qual dose di politica. La questione è un’altra: bisogna cercare di mettere

137 Sat2000 era il nome utilizzato dalla fondazione (1998) al 2009 dell’emittente ora nota come TV2000. E’ un canale generalista, di ispirazione cattolica e a copertura nazionale, di proprietà della Conferenza Episcopale Italiana (CEI). 138 Il Grande Talk è stato un programma di Sat2000 e, successivamente, di TV2000, in onda dal 2001. Elaborato con l’ausilio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dalla quale provenivano gli studenti-analisti che in studio “smontavano” e commentavano i prodotti televisivi, era situato all’interno di un percorso accademico che prevedeva lezioni teoriche e laboratori di analisi televisiva. In ogni puntata gli studenti, guidati dal conduttore, si confrontavano sui fenomeni televisivi del momento. Il dialogo veniva animato ulteriormente dalla presenza di Mirella Poggialini, critica televisiva del quotidiano “Avvenire”, e di docenti dell’Università Cattolica. Gli studenti inoltre erano invitati anche a confrontarsi con uno o più ospiti. A partire dalla stagione 2002/2003 Il Grande Talk si è avvalso, per tre edizioni, della coproduzione Sat2000 – Rai Educational. Successivamente (2006) i dirigenti di Sat2000 decidono di non rinnovare la collaborazione con Rai Educational, così il direttore di Rai Educational Giovanni Minoli decide di proseguire l’esperienza degli anni precedenti creando la trasmissione Tv Talk, in onda su Rai Educational e Raitre, mentre Sat2000 continua produrre autonomamente Il Grande Talk apportando alcuni cambiamenti. Le puntate de Il Grande Talk sono terminate nel 2011. 139 Giovanni Minoli (Torino, 1945) è pubblicista, conduttore televisivo e dirigente Rai. Genero dell’allora direttore generale Ettore Bernabei, entrò nell’azienda pubblica nel 1972. Da sempre su posizioni socialiste e filocraxiane, è stato produttore di alcuni dei più celebri programmi Rai e, tra le varie cariche ricoperte, è stato direttore di Raidue (1993-1994), di Raitre (1996-1998), di Rai Educational (2002-2010) e di Rai Storia (2009-2010).

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persone competenti e di qualità ai posti-chiave dell’azienda, e non semplicemente dei “valletti” buoni solo a servire il potente di turno. Immaginare una Rai (o qualsiasi servizio pubblico) senza politica è fantascienza. Tale sistema è in grado di trovare un benefico compromesso tra competenza e pluralismo dell’informazione? Per ora assolutamente no. Fino ad adesso la spartizione del potere è avvenuto nel modo più becero, ignorando quasi completamente i criteri di qualità. Le faccio un esempio concreto: Mauro Mazza140 è un manager dignitoso, non certo cattivo; ma è stato scelto come direttore di Raiuno non per i suoi meriti professionali, ma perché in quota PdL. E questa è la logica sbagliata. Cosa ne pensa delle recenti nomine del Consiglio d’Amministrazione della Rai? Per ora non posso formulare giudizi. Anna Maria Tarantola è una donna che, noto il suo curriculum, è adatta a risolvere la crisi economica della Rai. Il PD ha nominato Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, due personaggi espressioni della società civile. Certo, non avranno competenze specifiche, ma sono di indubbia rettitudine morale. Altre parte politiche hanno agito diversamente, ma non sta a me giudicare. Un passo avanti rispetto agli anni scorsi è stato fatto: questo è un CdA più equilibrato. Sono moderatamente ottimista. Ultima domanda: secondo lei, come si può riformare la Rai? C’è chi dice fondazione pubblica ed indipendente, c’è chi dice privatizzazione, come Giorgio Gori, giornalista e imprenditore ex-direttore di Canale 5, che suggerisce lo scorporo della Rai in due parti: quella profittevole finanziata dagli introiti pubbl icitari, e quella dedicata esclusivamente al cosiddetto “servizio pubblico”, magari uno o due canali, finanziata solo dal canone. Lei cosa pensa riguardo a tali proposte? Qui si deve stabilire una volta per tutte cosa si intende per servizio pubblico: non solo il meteo, il traffico, ma anche varietà, intrattenimento, fiction, sport. Si può pensare di privatizzare una rete, come sicuramente lei sa che è stato fatto in Francia; non bisogna, però, fidarsi di una privatizzazione selvaggia. Al contrario, è assolutamente necessario che il servizio pubblico ci sia e sia di qualità: l’esperienza del Portogallo, che prima ha abolito e poi ripristinato l’emittenza pubblica, potrebbe insegnarcelo. La Rai deve puntare a divenire un medium prestigioso, come lo è la BBC. A questo proposito, forse conviene che l’intero Consiglio d’Amministrazione sia nominato direttamente dal Presidente della Repubblica, che è un organo superpartes e al di fuori della logica “manichea” dei partiti. Un punto cruciale che la nuova amministrazione dovrà affrontare è quello del digitale terrestre: assistiamo ad un brulicare di nuovi canali, perlopiù di proprietà dei maggiori broadcaster già sul mercato. Non sarebbe ora di mettere un po’ di ordine nel settore e razionalizzare l’offerta televisiva?

140 Mauro Mazza (Roma, 1955) è un giornalista professionista. In Rai dal 1990, è stato vicedirettore del Tg1 (1998-2002), direttore del Tg2 (2002-2009) e dal 2009 ricopre la carica di direttore di Raiuno.

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Alessio Butti, senatore del Popolo della Libertà. Entrato presto in politica nelle file del Movimento Sociale Italiano prima, in Alleanza Nazionale poi, nel 1992 è stato eletto alla Camera dei Deputati, nel 2006 al Senato. Attualmente è Segretario di Presidenza del Senato e Capogruppo del suo partito nella Commissione Parlamentare per l'Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi.

Mi parli della sua esperienza nella Commissione di Vigilanza della Rai: quando e come le è stato affidato questo compito? Tanti anni fa, all’epoca di Alleanza Nazionale, Fini mi nominò responsabile “Informazione e comunicazione” del partito. Entrati in Vigilanza e feci il Capogruppo di AN prima e del PdL in seguito. L’esperienza è stata affascinante ed impegnativa fino all’elezione di Sergio Zavoli alla presidenza della Commissione. Da quel momento la Vigilanza ha perso prestigio e ruolo, a dimostrazione che non sempre un grande giornalista diventa automaticamente un grande presidente di Commissione. La Vigilanza è uno strumento di indirizzo e controllo del servizio pubblico di straordinaria importanza, avrebbe potuto essere un pungolo nei confronti del Governo e del Consiglio d’Amministrazione Rai per migliorare la qualità del pluralismo e dell’offerta televisiva, invece si è ridotta a trattare piccolo cabotaggio. Andiamo al nocciolo della questione: come funziona, in concreto, il meccanismo di nomina delle cariche dirigenziali da parte delle segreterie di partito? Francamente non è così che funziona. Non nego che in qualche caso la politica abbia influito sulla scelta di questo piuttosto che quel direttore di rete o testata, ma il collegamento non è così diretto. Le nomine sono competenza del Consiglio d’Amministrazione sentito il direttore generale. Le figure di vertice delle reti e delle testate sono troppe e spesso troppo pagate, ma solo una piccola parte fa chiaramente riferimento ad una esplicita parte politica. Lo stesso vale per i vertici aziendali. Chiaramente una signora che si chiama Berlinguer141 e dirige il Tg3, al di là del profilo professionale indiscutibile, è una nomina lottizzata e potrei continuare in un elenco significativo. Come giudica il meccanismo, ormai assodato, della lottizzazione? In altre parole, tale sistema è in grado di trovare un benefico compromesso tra competenza e pluralismo dell’informazione? Per la verità io ho sempre cercato di limitare al massimo la lottizzazione di una parte e dell’altra. Però il fenomeno è storicamente radicato in Rai, basti pensare alle assunzioni dei giornalisti tra gli anni ‘70 e ’90, quasi tutti attinti dalla variegata pletora della sinistra. Non si è mai chiesto come possa essere stato sempre così forte il sindacato USIGRai142? Non si è mai chiesto perché nacquero Raidue e il Tg2 e successivamente Raitre e il Tg3? Semplicemente perché con Craxi i socialisti vollero una rete alternativa a Raiuno, dominio storico della Democrazia Cristiana e dei cattolici, e poi i comunisti pretesero per loro Raitre e il Tg3...una lottizzazione selvaggia e militante della quale ancora oggi paghiamo le conseguenze. Assodato, come dice lei, che questo era il sistema comprenderà quanto fosse necessario anche per le altre sensibilità politiche e culturali presenti nel Paese cercare un minimo di visibilità. Per quanto concerne il compromesso credo si possa individuare seguendo le mie proposte inserite in un atto sul pluralismo che il presidente Zavoli ha ammazzato nella culla e che

141 Bianca Berlinguer (Roma, 1959) è una giornalista Rai, figlia primogenita del defunto leader del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer. Ha sempre lavorato a Raitre e nel 2009 è diventata direttrice del Tg3. 142 La sigla sta per “Unione Sindacale Giornalisti Rai”.

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parlava di alternanza tra conduttori e format di approfondimento giornalistico. Un po’ quello che La7 sta attuando alternando, per la prossima stagione televisiva, il format di Santoro a quello di Formigli143, con la differenza che qui si tratta di due conduttori spudoratamente di sinistra mentre nel nostro caso avevamo pensato di alternare conduttori di diversa provenienza culturale. Anche la doppia conduzione, sempre da me proposta, sarebbe servita e infatti altri broadcaster hanno adottato lo schema. La Rai no. Comunque il compromesso, sempre che non sia al ribasso e che miri esclusivamente a soddisfare chi paga il canone, si può raggiungere aggiungendo voci a quelle esistenti. Cosa ne pensa delle recenti nomine del Consiglio d’Amministrazione Rai? Non so cosa c’entri un giudice con la televisione, penso che un dirigente della Banca d’Italia stia alla Rai come un diabetico ad una crostata di marmellata e penso che avrei agito diversamente nella scelta di alcuni nomi. Detto questo, nessun processo ai curricula, vediamo che fanno di bello. Ultima domanda: secondo lei, come si può riformare la Rai? C’è chi dice fondazione pubblica ed indipendente, c’è chi dice privatizzazione, come Giorgio Gori, giornalista e imprenditore ex-direttore di Canale 5, che suggerisce lo scorporo della Rai in due parti: quella profittevole finanziata dagli introiti pubbl icitari, e quella dedicata esclusivamente al cosiddetto “servizio pubblico”, magari uno o due canali, finanziata solo dal canone. Lei cosa pensa riguardo a tali proposte? Che Gori andrebbe accusato di plagio. Lo dico semplicemente, ma quella proposta non è sua. Io credo che una privatizzazione, ancorché parziale, sarebbe non solo rispettosa della Legge Gasparri, la 112/2004, ma anche utile per allentare la presa dei partiti e rilanciare il servizio pubblico. Ho detto ancorché parziale proprio perché sul “servizio pubblico” dovremmo aprire un capitolo a parte che non può prescindere, al momento, da una presenza pubblica nella società e nel board.

143 Corrado Formigli (Napoli, 1968) è un giornalista e conduttore che ha lavorato in Rai, a Mediaset, a La7 e a Sky. Molto vicino a Michele Santoro, gli è stato accanto durante le riprese de Il raggio verde, Sciuscià e Annozero. Dal settembre 2011 conduce il talk show Piazza pulita su La7.

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