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DIREZIONE REDAZIONE E SEDE LEGALE: VIA G. NICOTERA, 29 - 00195 ROMA Tel. 06.3242351 - 06.3242354 Fax 063242356 - Sito: www.gazzettaamministrativa.it Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 374/2010 Gazzetta Amministrativa GAZZETTA AMMINISTRATIVA DELLA REPUBBLICA ITALIANA TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN QUESTO NUMERO pareristica a cura dell’ Fondatore Enrico Michetti

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DIREZIONE REDAZIONE E SEDE LEGALE: VIA G. NICOTERA, 29 - 00195 ROMATel. 06.3242351 - 06.3242354 Fax 063242356 - Sito: www.gazzettaamministrativa.it

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 374/2010

Gazzetta Amministrativa

GAZZETTA AMMINISTRATIVADELLA REPUBBLICA ITALIANA

TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

IN QUESTO NUMERO

pareristica a cura dell’

Fondatore Enrico Michetti

DIREZIONE REDAZIONE E SEDE LEGALE: VIA G. NICOTERA, 29 - 00195 ROMATel. 06.3242351 - 06.3242354 Fax 063242356 - Sito: www.gazzettaamministrativa.it

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GAZZETTA AMMINISTRATIVADELLA REPUBBLICA ITALIANA

TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

IN QUESTO NUMERO

pareristica a cura dell’

Fondatore Enrico Michetti

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Presidente Onorario: Dott. Pasquale de Lise (Presidente emerito del Consiglio di Stato)

Presidente del Comitato dei Saggi: Avv. Ignazio Francesco Caramazza

(Avvocato Generale emerito dello Stato)

CONSIGLIO SCIENTIFICO Presidente: Prof. Alberto Romano Vice Presidenti: Dott. Luca Palamara, Avv. Massimo Mari e Dott. Ing. Massimo Sessa Componenti del Consiglio Scientifico Nazionale: Prof. Edoardo Ales, Dott. Andrea Baldanza, Prof. Enzo Baldini, Prof. Antonio Bartolini, Prof. Salvatore Bellomia, Pres. Franco Bianchi, Prof. Antonio Briguglio, Prof. Roberto Caranta, Prof. Agostino Cariola, Prof.ssa Lucia Cavallini, Prof. Roberto Cavallo Perin, Prof. Guido Corso, Prof. Enrico Follieri, Prof. Fabio Francario, Prof. Carlo Emanuele Gallo, Prof. Vincenzo Caputi Iambrenghi, Prof. Giovanni Leone, Prof. Fiorenzo Liguori, Prof. Bernardo Giorgio Mattarella, Prof. Francesco Merloni, Prof. Fabio Merusi, Pres. Filippo Paone, Prof. Nino Paolantonio, Pres. Calogero Piscitello, Prof.ssa Paola Piras, Prof. Aristide Police, Dott. Giuseppe Rotondo, Prof. Mario Sanino, Prof. Salvatore Raimondi, Dott. Alfredo Storto, Prof. Antonio Romano Tassone, Dott. Andrea Paolo Taviano, Prof. Luciano Vandelli. Componenti del Consiglio Scientifico Internazionale: Prof. Vicente Alvarez Garcìa, Prof. Rodolfo Carlos Barra, Prof. Andrea Biondi, Prof. Alejo Hernandez Lavado, Prof. Emanuele Lobina, Prof. Dimitris Xenos.

COMITATO DI REFEREE Componenti: Prof.ssa Francesca Angelini, Prof. Raffaele Bifulco, Prof.ssa Paola Chirulli, Prof. Alfredo Contieri, Pres. Dott. Pasquale de Lise, Prof. Francesco De Leonardis, Prof. Roberto Miccù, Prof. Fulvio Pastore, Prof. Marco Prosperetti, Prof. Emilio Paolo Salvia, Prof. Filippo Satta, Prof.ssa Elisa Scotti, Prof. Stefano Vinti.

COMITATO DI DIREZIONE

Direttore: Prof. Enrico Michetti Vicedirettori: Avv. Valentina Romani, Avv. Paolo Pittori e Avv. Rodolfo Murra Coordinatore Ufficio di Direzione: Avv. Domenico Tomassetti Caporedattore: Avv. Emanuele Riccardi Componenti: Dott.ssa Anna Cinzia Bartoccioni, Dott. Antonio Cordasco, Dott. Michele de Cilla, Dott. Angelo Domini, Dott. Federico Mazzella, Prof. Salvatore Napolitano, Prof. Stefano Olivieri Pennesi, Dott. Francesco Palazzotto, Dott. Paolo Romani.

REDAZIONE Direttore Responsabile: Dott.ssa Marzia Romani Coordinatore Osservatorio riforme istituzionali ed amministrative: Pietro Marrazzo Responsabile Organizzazione: Dott. Filippo Gai Redattori: Dott. Davide Ambroselli, Prof. Maurizio Asprone, Avv. Luca Baccarini, Avv. Giulio Bacosi, Dott. Filippo Barbagallo, Dott. Marco Benvenuti, Avv. Sergio Caracciolo, Avv. Gaetano Cammarano, Avv. Fabrizio Casella, Dott. Francesco Colacicco, Avv. Maria Cristina Colacino, Dott. Pasquale Colafemmina, Avv. Fulvio Costantino, Dott. Paolo Cortesini, Dott.ssa Flora Cozzolino, Avv. Anna Maria Crescenzi, Avv. Ilaria de Col, Ing. Andrea Di Stazio, Dott. Fabrizio De Castris, Avv. Giovanna De Maio, Avv. Maurizio Dell’Unto, Avv. Stefano Di Giovan Paolo, Avv. Paolo Ermini, Dott.ssa Matilde Esposito, Dott. Daniele Fabbro, Avv. Fabio Falco, Avv. Enrico Gai, Avv. Riccardo Gai, Avv. Antonino Galletti, Avv. Andrea Grappelli, Avv. Andrea Iacobini, Avv. Livio Lavitola, Avv. Francesco Lettera, Avv. Carmine Medici, Dott. Fabrizio Pagniello, Avv. Giuseppe Petretti, Avv. Gianluca Piccinni, Avv. Enrico Pierantozzi, Avv. Andrea Pistilli, Avv. Luigi Marcelli, Dott. Adriano Marini, Avv. Tiziana Molinaro, Avv. Simone Morani, Prof. Gianluca Montanari Vergallo, Dott. Gennaro Napolitano, Avv. Mario Nigro, Avv. Andrea Perrotta, Avv. Giuseppe Petrillo, Avv. Marcello Anastasio Pugliese, Avv. Anna Romano, Prof.ssa Maria Rosaria Salerni, Dott. Fernando Santoriello, Avv. Stefano Sassano, Avv. Francesco Scittarelli, Dott. Michele Scognamiglio, Dott.ssa Claudia Tarascio, Avv. Michela Urbani.

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Gazzetta Amministrativa -1- Numero 1 - 2015

SOMMARIO

SEZIONE RISERVATA AI SAGGI ED AI CONTRIBUTI SCIENTIFICI

LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA in CODICE ROSSO: DIAGNOSI E CURA della Prof.ssa Clara Di Maggio e del Pres. Franco Bianchi ......................................................................................... 5 LO SCIOGLIMENTO DEGLI ENTI LOCALI A CAUSA DI INFILTRAZIONI DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. IL MODELLO ITALIANO del Dott. Giovanni Polcini Tartaglia .................................................................................................................... 24

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO E RIFORME ISTITUZIONALI

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 58 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 61 INTERVENTO PUBBLICO O PRIVATIZZAZIONI: DIRITTO E POLITICA ECONOMICA PER LA CRESCITA del Dott. Sabato Vinci ..................................................................................................................................................... 61 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 74 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI DISCIPLINA DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO (L. N. 241/1990) E SUGLI ENTI LOCALI ........................................................................................................................................................................................ 74 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 80

USO DEL TERRITORIO: URBANISTICA, AMBIENTE E PAESAGGIO

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 83 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 92 L’ANALISI DEL PRINCIPIO DI “CHI INQUINA PAGA” RISPETTO AL PROPRIETARIO INCOLPEVOLE, ALLA LUCE DELLA RECENTE SENTENZA DELLA C.G.UE,III, 4.3.2015, CAUSA C-534/2013, M.A.T.T.M. E ALTRI CONTRO FIPA GROUP S.R.L. E ALTRI della Dott.ssa Francesca Romana Marcacci Balestrazzi ................................................................................................ 92 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 98 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 103

UNIONE EUROPEA E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

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Gazzetta Amministrativa -2- Numero 1 - 2015

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................. 109 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 111 STUDENTI E UNIVERSITÀ. L’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO RISOLVE IL CONFLITTO DI GIURISPRUDENZA SUI PRESUPPOSTI PER IL TRASFERIMENTO DEGLI STUDENTI DA UNA UNIVERSITÀ EUROPEA AD UNA UNIVERSITÀ ITALIANA. IL DIRITTO DI STUDIARE IN EUROPA dell’Avv. Francesca Cosentino ........................................................................................................................................ 111 GIURISPRUDENZA ..................................................................................................................................................... 120 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 123

CONTRATTI, SERVIZI PUBBLICI E CONCORRENZA

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................. 128 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 130 I INCERTEZZA DEL CONTENUTO DELL’OFFERTA: IL CASO DELLA MANCATA INDICAZIONE DEI COSTI DA INTERFERENZE E COSTI AZIENDALI dell’Avv. Salvatore Napolitano ....................................................................................................................................... 130 LIMITI OGGETTIVI DI AMMISSIBILITÀ ALLE VARIANTI PROGETTUALI IN SEDE DI GARA della Dott.ssa Tiziana Molinaro ...................................................................................................................................... 134 CRITERI INTERPRETATIVI IN ORDINE ALLE DISPOSIZIONI DELL’ART. 38, CO. 2 BIS E DELL’ART.

46, CO. 1 TER DEL D.LGS. 12.4.2006, N. 163 dell’Avv. Maurizio Dell’Unto .......................................................................................................................................... 137 GIURISPRUDENZA ..................................................................................................................................................... 145 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 152

PUBBLICO IMPIEGO E RESPONSABILITÀ

DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................. 154 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 161 AUTONOMIA ED INDIPENDENZA DELLE AVVOCATURE PUBBLICHE: ANCORA UNA VOLTA C’E’ BISOGNO DELL’INTERVENTO DEL GIUDICE dell’Avv. Rodolfo Murra .................................................................................................................................................. 161 SULLA COMPUTABILITÀ DEI RISERVATARI ANCHE VINCITORI PER MERITO NELLA QUOTA DI RISERVA NEI CONCORSI PUBBLICI dell’Avv. Francesco De Clementi .................................................................................................................................... 166 GIURISPRUDENZA ..................................................................................................................................................... 174

PATTO DI STABILITÀ, BILANCIO E FISCALITÀ

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................. 178 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 181 SPLIT PAYMENT: LA SCISSIONE DEI PAGAMENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. PROBLEMATICHE IN EVIDENZA del Prof. Stefano Olivieri Pennesi, della Dott.ssa Laura Ferrero e dell’Avv. Daniela Muntoni ..................................... 181 GIURISPRUDENZA ..................................................................................................................................................... 186

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- sommario -

Gazzetta Amministrativa -3- Numero 1 - 2015

PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 196

GIUSTIZIA E

AFFARI INTERNI NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 199 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 203 LA DIRIGENZA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: DISCIPLINA ATTUALE E PROSPETTIVE FUTURE del Dott. Sabato Vinci ..................................................................................................................................................... 203 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 218 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 221

INCENTIVI E SVILUPPO

ECONOMICO NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 224 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 226 DIRITTO PUBBLICO ED ECONOMIA DELLO SVILUPPO: LA SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE COME STRATEGIA DI CRESCITA del Dott. Sabato Vinci ..................................................................................................................................................... 226 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 234 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 242

COMUNICAZIONE E INNOVAZIONE NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 245 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 247 PRE-COMMERCIAL PUBLIC PROCUREMENT. LA VALLE D’AOSTA PIONIERA NEL PRE-COMMERCIAL PUBLIC PROCUREMENT dei Dott.ri Fabrizio Clermont, Francesco Fionda, Giorgio Gallo, Paolo Lanzi ............................................................ 247 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 263

SANITÀ E SICUREZZA SOCIALE

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 265 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 268 DICHIARAZIONE SULL’ETICA, SULLE PRATICHE SCORRETTE E REGOLAMENTO SULLE MODALITÀ DI VALUTAZIONE DEI CONTRIBUTI SCIENTIFICI PUBBLICATI IN GAZZETTA AMMINISTRATIVA DELLA REPUBBLICA ITALIANA ........................................................................................................................................................................................ 278

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Sezione riservata ai Saggi ed ai Contributi Scientifici

Gazzetta Amministrativa -4- Numero 1 - 2015

SEZIONE RISERVATA AI SAGGI ED AI CONTRIBUTI SCIENTIFICI

SOMMARIO LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA in CODICE ROSSO: DIAGNOSI E CURA della Prof.ssa Clara Di Maggio e del Pres. Franco Bianchi ......................................................................................... 5 LO SCIOGLIMENTO DEGLI ENTI LOCALI A CAUSA DI INFILTRAZIONI DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. IL MODELLO ITALIANO del Dott. Giovanni Polcini Tartaglia ................................................................................................................... 24

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Sezione riservata ai Saggi ed ai Contributi Scientifici

Gazzetta Amministrativa -5- Numero 1 - 2015

LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA IN CODICE ROSSO: DIAGNOSI E CURA della Prof.ssa Clara Di Maggio e del Pres. Franco Bianchi, Magistrato e attuale Presidente del TAR Marche

Diagnosi della malattia dell’istituzione “Giustizia Amministrativa”. Sintomi: difficile correlazio-ne tra norme legislative e Codice del Processo; difficile ricaduta dei principi essenziali del Codi-ce del Processo Amministrativo sulla percezione che i cittadini hanno della Giustizia Amministra-tiva. Fonti inquinate delle norme legislative, spesso compromissorie. Incertezze ed incapacità nell’applicazione delle norme da parte delle Amministrazioni Pubbliche. Contrasti permanenti tra Poteri dello Stato. Uso saltuario, spesso ignorato, del potere istruttorio del Giudice Ammini-strativo. Cura: metodo di giustizia “a misura” e “non a fiuto”. “Non c’è giustizia senza cuore”; preva-lenza della giustizia sostanziale su quella formale: principio quasi ignoratoca. Diagnosis of the condition of the institution "Administrative Justice". Symptoms: difficult corre-lation between legislation and the Code of the Process; difficult fallout of the essential principles of the Code of Administrative Process on the perception that people have of Administrative Jus-tice: polluted source of legislation, often compromise; uncertainty in the application of rules by the Public Administrations contrasts between state powers; occasional use, often non-existent, de investigative power of the Administrative Judge. Care: method of justice "suitable" and "not to snuff", "No justice without heart"; prevalence of substantial justice of the formal. Sommario: 1. Lei è un Giudice Amministrativo.Vorrei intrattenerla su questo ramo della nostra Giustizia. Che ne pensa? 2. Come nasce un contenzioso davanti al Giudice Amministrativo di I° grado, ossia davanti al TAR?3. Quali sono i passaggi storici della Giustizia Amministrativa? 4. Quale idea prevalse? 5. Come si comportarono con il nuovo sistema di Giustizia gli Italiani di al-lora?6. Mi è sembrato di capire che la situazione iniziale si era ribaltata ed allora come si corse ai ripari? 7. A questo punto, vorrei porle delle domande più specifiche,quasi fossi una sua alun-na, se Lei mi permette. Che cosa sono gli interessi legittimi? 8. Con la Costituzione Repubblica-na del 1948 che cosa avviene nel sistema di Giustizia Amministrativa? Quando nascono i TAR? 9. So che nell’anno giubilare 2000 il sistema GA ebbe uno scossone…Di cosa si trattava? 10. Come si pronunciò la Corte Costituzionale? 11. Mentre in Italia accadeva questo, come si tra-sformava la Giustizia Amministrativa negli altri Stati europei? 12. Nel 2010, in Italia viene pro-mulgato il Nuovo Codice del Processo Amministrativo(C.P.G.A.). Ma non è il Primo?Come ha influito e influirà sul nostro Sistema di Giustizia Amministrativa? 13. Quali mutamenti ha porta-to? Il Codice del Processo Amministrativo è punto di partenza oppure di arrivo? 14. La vigente normativa, in tutti i Settori della Pubblica Amministrazione,come si correla con il Codice? 15. I Principi essenziali del Codice del Processo interpretano l’idea che la gente ha della Giustizia Amministrativa? 16. Questa espressione è un po’ fuori dalle righe di un parlare aulico e solen-ne…17. Mi risulta che i Presidenti di Tribunali, in occasione dell’inau-gurazione dell’anno giu-diziario denuncino le verità sullo stato della Giustizia. E’ vero?18. Il Giudice deve soltanto ap-plicare la Legge. Perché insorgono tante difficoltà e problemi? Mi può dare una risposta specifi-

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Gazzetta Amministrativa -6- Numero 1 - 2015

ca che riguardi la Giustizia Amministrativa? 19. Molti Ministri e Deputati si vantano di aver semplificato le Leggi. E’ così?20. La denuncia delle leggi imperfette, che creano,alla fonte, danni costanti,, non dovrebbe provenire, ad alta voce, da tutti e, per primi, dai Legislatori e dai Magi-strati? 21. Ma quali sono i migliori rimedi per garantire la Legalità? 22. Quando si parla di Le-galità spesso si arriva allo scarica-barile. 23. Non riesce a darmi risposte più ottimistiche? 24. La pluralità delle giurisdizioni può essere fattore negativo del nostro sistema di giustizia?25. Perché i rapporti tra Magistratura e Potere Esecutivo si sono deteriorati da almeno un decen-nio?Cosa serve per garantire equilibrio ed armonia tra questi tre Poteri: Legislatori- Governo – Giudici?26. L’abolizione dei Tribunali Amministrativi è auspicata da molti. Perchè? 27. Qual è l’errore più grave per un Giudice? 28. E per un Giudice Amministrativo?29. Il Giudice ammini-strativo è il Giudice dei Poteri Pubblici. Perché tanti reciproci contrasti?30. Quali sono, a suo avviso, i punti deboli del Giudice amministrativo? 31. Quali sono gli attuali mezzi istruttori e co-gnitori che la Legge appresta? 32. Ma che succederà in Tribunale se si applicherà questo meto-do? 33. Quale sarà il vantaggio “sostanziale” di questo modus decidendi, per dirla con uno degli aggettivi a Lei tanto graditi? 34. Questa sua teoria e pratica ha avuto l’approvazione dei suoi Colleghi? 35. C’è una somiglianza tra le istruttorie del Giudice Ordinario e quelle avviate dal Giudice Amministrativo?36. In conclusione, potrebbe schematizzarmi i vari passaggi del metodo di Giustizia che Lei auspica ed applica? 37. In sostanza, la condotta del Giudice Amministrativo dovrebbe muovere dalla consapevolezza che un profondo e vasto accertamento del rapporto con-troverso nel quale vive l’atto impugnato, costituisce obbligo ineludibile. E’ così? Cosa succede poi? 38. Cos’altro dovrebbe fare il Giudice? 39. L’audizione delle parti non allunga i tempi del processo? 40. Ma questo mezzo istruttorio non aggrava i costi del processo? 41. Ci sono altri ri-medi? 42. Ancora la Giustizia “a misura”?43. Si potrebbe parlare di trasparenza degli atti? 44. A questo punto si potrebbe parlare di Giustizia “sostanziale”? 45. In concreto, che cosa si po-trebbe già fare per avviare questo processo a soluzione? 46. I primi a sentire l’esigenza di una Giustizia sostanziale non dovrebbero essere i Giudici? 47. Un’ultima domanda, Presidente. L’incisività del Giudice Amministrativo si potrebbe connotare come “abuso di potere”?48. Un Giudice siffatto potrebbe essere definito un Giudice naturale? 49. E l’illegalità? Può esistere l’illegalità legale? 50. E’ troppo arduo chiedere ad un Giudice che cosa è, per lui, la spiritualità? 51. Moltissimi di noi Italiani, che viviamo nel 2015, siamo convinti che la crisi che stiamo attra-versando è prevalentemente crisi di valori. Lei che ne pensa?.

E’ una bellissima sala quella nella quale sto entrando, da sola, come scrittrice interes-sata all’evento che si svolgerà qui tra poco e cioè l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Giustizia Amministrativa. Ho sentito parlare del Presidente di questo Tribunale e mi voglio accertare, di persona, della sua pre-parazione e serietà.

Ammiro le statue e i dipinti che affrescano le pareti e penso che da quando sono stati isti-tuiti i TAR, cioè i Tribunali Amministrativi Regionali, questi hanno risieduto in luoghi particolarmente importanti sotto il profilo sto-rico e artistico.

Anche qui è avvenuto così e, secondo me, non è un caso, dato che il Tribunale Ammini-strativo assume sempre più la valenza di un luogo nel quale il cittadino può rivendicare ed avere giustizia, rispetto alle pretese, spesso

molto vigorose, delle Amministrazioni Pub-bliche.

Ma ecco, sta arrivando il Presidente. Mi avvicino, mi faccio riconoscere e gli chiedo un’intervista. Lui accetta. In una sala adiacen-te comincio a porgergli le mie domande.

1. Lei è un G.A. Vorrei intrattenerla su

questo ramo della nostra Giustizia. Che ne pensa?

Questa opportunità di divulgazione che Lei mi offre è una buona occasione per una riflessione generale sullo stato della Giustizia Amministrativa nel nostro Paese e, più in ge-nerale, sullo stato di legalità e giustizia nell’Amministrazione. “Divulgare” vuol dire trasmettere ad altri nozioni e concetti com-prensibili a tutti, anche se relativi a discipline e tecniche specialistiche.

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Gazzetta Amministrativa -7- Numero 1 - 2015

2. Come nasce un contenzioso davanti al

Giudice Amministrativo di I° grado, ossia davanti al TAR?

In generale, i contenziosi proposti davanti ai Giudici possono riguardare due o più sog-getti privati che litigano fra loro, oppure due o più soggetti privati o pubblici che litigano contro una Pubblica Amministrazione e vice-versa.

Alcuni Stati, in Europa, hanno optato per il sistema cosiddetto Monistico, che affida tutto il contenzioso, anche quello contro la PA ad un unico Giudice. Altri Stati hanno optato, invece, per il cosiddetto sistema Dualistico che devolve le controversie intentate contro la PA ad un Giudice diverso da quello Ordina-rio.

L’analisi comprova che in tutti gli Stati Europei esistono Giudici speciali o specializ-zati per i contenziosi nei quali è parte la PA, e che sono, comunque, distinti da quelli Ordi-nari.

3. Quali sono i passaggi storici della

G.A? Già lo Statuto Albertino del 1848 prevede-

va la formazione di un Consiglio di Stato e stabiliva che si sarebbe dovuta emanare una legge sul suo riordinamento. Il Ministro dell’Interno Galvagno, nel 1850, propose un disegno di legge che istituiva una giurisdizio-ne unica, per qualunque contenzioso, anche se proposto contro una PA, da assegnare ai Tribunali ordinari.

Nel 1854, Rattazzi, Ministro dell’Interno, riteneva, al contrario di conservare i Tribunali speciali del Contenzioso amministrativo per non compromettere gravi interessi ai danni dell’Amministrazione.

Fu il Rattazzi a vincere la contesa, nel 1859, quando riuscì a trasformare l’Ordinamento Amministrativo con 4 leggi, cogliendo l’occasione della II^ guerra d’Indipendenza (durante la quale il Governo aveva assunto pieni poteri).

Con l’Unificazione del Regno, riprende il dibattito fra sostenitori della giurisdizione u-nica che auspicavano l’abolizione del conten-zioso amministrativo allora vigente con la PA, e coloro che, soddisfatti del buon funzio-

namento, volevano mantenere il sistema del contenzioso amministrativo distinto da quello ordinario.

4. Quale idea prevalse? Prevalsero i sostenitori del Giudice Unico. Nel 1865 fu approvata la legge

sull’unificazione amministrativa del Regno d’Italia e così vennero aboliti i Tribunali del contenzioso amministrativo che passò al Giu-dice Ordinario, considerato più garantista quando giudicava sugli atti della PA. Ma il Giudice Ordinario non poteva modificare né annullare l’atto, poteva soltanto disapplicarlo. A quel tempo moltissime controversie contro la Pubblica Amministrazione erano affidate ad un Ricorso amministrativo, di tipo gerar-chico, mentre, in materia di contabilità e pen-sioni, la giurisdizione del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti rimase immutata.

5. Come si comportarono con il nuovo si-

stema di Giustizia gli Italiani di allo-ra?

Il Giudice Ordinario, unico anche per la PA, si accorse subito che la maggior parte delle posizioni giuridiche dei cittadini, di ele-vato interesse, come una licenza, un’autorizzazione, un nullaosta, un permesso, una concessione, un contributo ecc…erano rimaste prive di tutela giurisdizionale, in quanto il Giudice Ordinario non riusciva a sindacarli in giudizio e con i mezzi del giudi-zio poiché tali atti non erano lesivi di diritti civili né di diritti politici.

Il povero cittadino per i torti subiti a causa dell’operato della PA,non trovava più un vero Giudice cui rivolgersi!Doveva accontentarsi dei semplici Ricorsi amministrativi che veni-vano decisi dalla stessa Amministrazione che gli aveva creato guai. Possiamo immaginare con quale fiducia!

6. Mi è sembrato di capire che la situa-

zione iniziale si era ribaltata ed allora come si corse ai ripari?

Si corse ai ripari nel 1889 con la cosiddetta legge Crispi che affidò al Consiglio di Stato la competenza a giudicare sui ricorsi contro gli atti ed i provvedimenti della PA aventi ad oggetto interessi di individui ed Enti. Gli atti

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Gazzetta Amministrativa -8- Numero 1 - 2015

relativi a diritti civili e/o politici verso la PA, rimasero affidati al Giudice Ordinario. Lo scopo era quello di ridare tutela giudiziaria ai tanti rapporti contenziosi tra cittadini e PA

Nasce così, nel 1889, il sistema italiano Dualistico di Giustizia Amministrativa. E’ quello ancora vigente. Questo sistema preve-de due Giudici distinti di pari importanza per le cause contro la PA: il Giudice Ordinario per le controversie tra cittadini e Pubblica Amministrazione, in tema di diritti soggettivi; il Giudice Amministrativo in tema di interessi legittimi.

7. A questo punto, vorrei porle delle do-

mande più specifiche,quasi fossi una sua alunna, se Lei mi permette. Che cosa sono gli interessi legittimi?

Sono tutte le posizioni giuridiche del citta-dino nei rapporti con la PA, diverse dal diritto soggettivo, che assicurano al cittadino e a tutti gli altri Soggetti la cura dei propri inte-ressi materiali e morali, per il conseguimento del cosiddetto bene della vita, cui essi aspi-rano.

Vi è oggi un eccesso di giurisdizione am-ministrativa che andrebbe ristretta ai soli con-tenziosi più rilevanti contro la PA. Tante tipo-logie degli attuali ricorsi potrebbero essere affidate ad altre Istituzioni non giurisdizionali che, con pari competenza, potrebbero ugual-mente tutelare i cittadini.

La distinzione tra le due posizioni giuridi-che, oggi, è di minore interesse perché en-trambe sono parimenti tutelate in giudizio, anche sotto il profilo risarcitorio che, dal 2000, è consentito- ricorrendone i presuppo-sti- per ogni lesione derivante da qualsiasi il-legittimo operato della PA..

8. Con la Costituzione Repubblicana del

1948 che cosa avviene nel sistema di Giustizia Amministrativa? Quando na-scono i TAR?

Con la Costituzione Repubblicana si con-ferma il Sistema dualistico di tutela del citta-dino nei confronti della PA e si prevede, con l’art. 125, l’istituzione di Tribunali Ammini-strativi di primo grado, in ogni Regione.

Nel 1971, con la l.n. 1034, nascono, in o-gni Regione d’Italia, i TAR, i Tribunali Am-

ministrativi, che cominciano a funzionare il 1/1/1974. Il Consiglio di Stato resta solo Giu-dice di appello, a parte la sua storica e nobile “attività consultiva”. Si istituzionalizza così il doppio grado di giudizio anche nel processo amministrativo, per uniformità con l’Ordinamento giudiziario ordinario.

9. So che nell’anno giubilare 2000 il si-

stema GA ebbe uno scossone…Di cosa si trattava?

Nell’agosto 2000, in pieno Giubileo, entra in vigore la legge n.205 che trasforma radi-calmente il Processo Amministrativo. Si in-troduce un nuovo sistema di riparto della giu-risdizione tra Giudice Ordinario e Giudice Amministrativo, basato non più sulle situa-zioni giuridiche tutelate (ossia diritti soggetti-vi od interessi legittimi) ma su blocchi di ma-terie. In concreto, la giurisdizione esclusiva del GA viene ampliata a “blocchi” di materie di interesse rilevantissimo nell’attuale società, quali : gli appalti di lavori e forniture in qual-siasi settore della PA, ivi incluse le Società miste, costituite ormai a migliaia, anche nei piccoli Comuni, per svolgere i più disparati servizi; i servizi pubblici, l’edilizia e l’urbanistica…

Sorsero critiche alla riforma e, quindi, si ricorse al parere della Corte Costituzionale.

10. Come si pronunciò la Corte Costitu-

zionale? Il monito della Corte fu che il Giudice

Amministrativo deve restare Giudice dell’Amministrazione tutte le volte in cui essa esercita una funzione o potestà pubblica, cioè quasi sempre. La sentenza della Corte Costi-tuzionale riconobbe anche la legittimità della svolta del Legislatore di affidare al GA, to-gliendolo al Giudice Ordinario, il risarcimen-to del danno derivante dall’attività illegittima della PA.

11. Mentre in Italia accadeva questo, co-

me si trasformava la Giustizia Ammi-nistrativa negli altri Stati europei?

E’ sorprendente constatare che , senza al-cuna forma di coordinamento da parte dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa, in un momento favorevole corri-

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Gazzetta Amministrativa -9- Numero 1 - 2015

spondente all’ultimo decennio del secolo scorso, un numero rilevante di Stati Europei abbia adottato provvedimenti di contenuto so-stanzialmente analogo, tramite un “rimodel-lamento” significativo dei propri Sistemi di Giustizia Amministrativa. Questa sincronia è considerata, da autorevoli commentatori, chiaro indizio di una obiettiva “maturazione istituzionale della Giustizia Amministrativa”.

Il buon senso ci fa percepire che le inno-vazioni introdotte nell’uno o nell’altro Paese non costituiscono riforme meramente tecni-che, ma che si sia voluto un cambio deciso e sostanziale del modello di GA, che, forse, è apparso agli stessi Legislatori, inadeguato alle effettive esigenze di tutela del cittadino, oggi ufficialmente riconosciuti dall’Ordinamento comunitario, dalla Convenzione dei Diritti dell’uomo e dagli stessi Ordinamenti costitu-zionali degli Stati che alle due fonti superiori si erano già adeguati.

12. Nel 2010, in Italia viene promulgato il

Nuovo Codice del Processo Ammini-strativo(C.P.G.A.). Ma non è il Pri-mo?Come ha influito e influirà sul no-stro Sistema di Giustizia Amministrati-va?

Il Codice del Processo Amministrativo è entrato in vigore il 16 settembre 2010 e ri-marrà a lungo al centro dell’attenzione di stu-diosi ed operatori. Occorrerà tempo per sco-prirne tutte le innovazioni e gli effetti diretti sul sistema di Giustizia amministrativa ed in-diretti sull’intero Ordinamento che, per ob-bligo di Costituzione (art. 97) deve assicurare una “buona Amministrazione”.

13. Ma quali mutamenti ha portato? Si

può dire che il Codice del Processo Amministrativo è punto di partenza oppure di arrivo?

Il C.P.G.A., come in sigla viene denomi-nato, va considerato punto di arrivo perché positivizza i più rilevanti approdi della Giuri-sprudenza Amministrativa, rispetto ai quali non dovrebbero esserci, almeno, arretramenti di sorta, pena una attenuazione della tutela raggiunta.

Il Codice è, nel contempo, anche punto di partenza perché la disciplina unitaria in essa

contenuta è “leggera e a maglie larghe”. L’espressione è usata indistintamente da tutti i commentatori.

La Giurisprudenza creativa, ovverosia “pretoria” , che ai Giudici Amministrativi piace molto,continuerà a svolgere il suo ruo-lo: ben venga, se il Legislatore sarà attento e soprattutto più rapido a tradurre in norme cer-te di legge i suoi approdi condivisi! Altrimen-ti, tante vittime innocenti continueranno a ri-manere sul campo. Auguriamoci che la Giuri-sprudenza “creativa” non crei gli stessi gua-sti che ha creato la Finanza ”creativa”!

14. La vigente normativa, in tutti i Settori

della Pubblica Amministrazione,come si correla con il Codice?

Sul versante della normativa sostanziale, nelle materie di attività amministrativa (nelle quali ricadono la maggior parte delle migliaia di leggi vigenti) si riscontra frequentemente come la Legge, chiamata a disciplinare mate-rie nuove, rese complesse dall’evoluzione della tecnica e dell’economia, non riesca più da tempo a ben selezionare i molteplici inte-ressi pubblici perseguibili, tutti concomitanti e spesso in conflitto tra loro, disciplinati da norme generali ed astratte.

L’attività amministrativa ne è pesante-mente gravata perché è chiamata non soltanto ad applicare la legge per assicurare protezio-ne ai diritti ed agli interessi tutelati, ma, so-prattutto, ad individuare e scegliere, fra i tan-ti, quale diritto ed interesse debba essere per-seguito nel caso concreto. L’attuazione delle vigenti leggi, tutte dense di concetti indefiniti (tecnici e non) impone all’Amministrazione la messa in atto e la cura di procedimenti amministrativi articolati e complessi.

Per individuare le finalità pubbliche perse-guite dalla legge, occorre una ampia ricogni-zione degli interessi di tutte le parti coinvolte, occorre far partecipare tutte le parti al proce-dimento, rispettare le clausole generali, i principi ed i canoni di azione, quali la buona fede, la correttezza, la trasparenza, la pubbli-cità, l’imparzialità, la ragionevolezza, il con-traddittorio, la proporzionalità, l’affidamento; occorre ancora adempiere ad obblighi e dove-ri nuovi, con il rischio elevato di violare, nel percorso, regole di legittimità capaci di inva-

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Gazzetta Amministrativa -10- Numero 1 - 2015

lidare il provvedimento conclusivo. Nel 1962, il prof. Giannini ricordava, nel

suo Discorso Generale sulla Giustizia Ammi-nistrativa, che i Giudici Amministrativi ave-vano buoni orecchi, ma erano “senza occhi e senza braccia”! Oggi nessuno di noi sente di avere mutilazioni di questo tipo!

15. I Principi essenziali del Codice del

Processo interpretano l’idea che la gente ha della Giustizia Amministrati-va?

Non molto tempo fa, si diceva che nel giu-dizio penale domina “il fatto” , nel giudizio civile domina il ”diritto” , nel giudizio ammi-nistrativo domina “il nulla”!

Il “nulla“ , evocato anche dal prof. Gian-nini, ora si è, massicciamente, riempito di contenuti che, considerati tutti insieme, prefi-gurano un rapporto naturale, congenito che si instaura necessariamente tra Cittadino e Pub-blica Amministrazione in ogni e qualsiasi procedimento amministrativo.

Ma veniamo al nocciolo della questione. Per parlare dell’idea che si ha attualmente

di Giustizia Amministrativa, farò una breve riflessione sui primi tre articoli del Codice.

Il Codice, all’art. 1, apre affermando che la Giurisdizione Amministrativa deve assicurare una tutela piena ed effettiva secondo i princi-pi della Costituzione e del Diritto europeo. Anche nel nostro Ordinamento, come in quel-lo degli altri Stati dell’area comunitaria, i principi- guida e le direttive comunitarie de-vono tipicizzare ed uniformare l’esercizio della funzione amministrativa.

Il Codice, al secondo articolo, sancisce che il Processo Amministrativo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo, previsto dall’art. 111 del-la nostra Costituzione. Parliamo del “giusto processo” elevato dalla Convenzione ad uno dei diritti fondamentali dell’uomo.

Il principio del “giusto processo”, applica-to al processo amministrativo, deve garantire, in ogni sua fase, il principio di parità delle parti e del contraddittorio e deve assicurare una tutela piena ed effettiva del ricorrente i cui diritti ed interessi azionati in giudizio, de-vono risultare pienamente soddisfatti e devo-no conseguire concretamente tutte le legittime

aspettative, il cosiddetto “bene della vita”. Una qualunque azione, da chiunque portata in giudizio davanti al GA, implica l’esistenza di un rapporto tra il Soggetto – attore e la PA, rapporto che va esplorato ed accertato dal GA con tutti i mezzi di cui dispone – se ne ha vo-glia – per appurarne la legittima disciplina applicabile al caso.

L’art. 3 del Codice rafforza i principi sopra accennati e, quindi, se noi, operatori del dirit-to, chiamati a svolgere il nostro ruolo di Giu-dici, vogliamo essere operatori di “buona vo-lontà” dobbiamo considerare queste norme del Codice come principi-guida, ossessiva-mente presenti nella nostra mente e nella no-stra coscienza in ogni fase del giudizio.

Oggi l’oggetto sostanziale del “giusto processo amministrativo” è sempre e comun-que un rapporto del cittadino con un potere amministrativo. Il cittadino leso dall’esercizio di un pubblico potere deve trovare, nell’era del “giusto processo” e della “tutela piena ed effettiva” la adeguata soddisfazione giudizia-le della pretesa azionata nei confronti dell’Amministrazione.

Ed il Giudice potrà pervenire ad una “giu-sta decisione” solo se il suo giudizio sarà “a misura” e non “a fiuto” , come sovente finora è avvenuto!

16. Questa espressione è un po’ fuori dalle

righe di un parlare aulico e solenne… L’espressione è mia personale, ne rivendi-

co la paternità, in tutte le sedi, fino alla no-ia,ed ogni volta che mi capita!

Anche se esistono soluzioni lessicali degne di nota e di elevata considerazione, tuttavia, nella sostanza delle cose, l’interesse del citta-dino è legato ad una situazione giuridica sog-gettiva, collegata all’esercizio, più o meno di-screzionale o più o meno vincolato, di un po-tere amministrativo: la tutela di questo inte-resse passa, necessariamente, per la cono-scenza e l’accertamento del rapporto con l’Amministrazione, in ogni suo possibile a-spetto rilevante, dedotto in giudizio. Ogni rapporto fra Cittadino e Pubblica Ammini-strazione, di cui è spia, generalmente, l’attivazione di un procedimento e l’emanazione di un provvedimento – deve es-sere conosciuto dal Giudice in tutta la sua

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Gazzetta Amministrativa -11- Numero 1 - 2015

configurazione, in quanto l’esercizio del pote-re, discrezionale o vincolato che sia, sottostà, comunque, al principio generale di legalità, il cui mancato rispetto è evocato in giudizio dal ricorrente ed accertato nel processo e con il processo dal Giudice, con le diverse tipologie di decisioni consentite.

Stavo annotando su un quadernino tutti i passaggi più significativi di questo colloquio ed ero talmente concentrata sui miei appunti che non mi accorgo che una persona, forse una sua segretaria, era sopraggiunta e ricor-dava al Presidente che era atteso in sala per dare inizio alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario.

Lui si scusa, ma mi promette che, alla fine della manifestazione, avremmo continuato la nostra piacevole chiacchierata.

Lo seguo anch’io. Per fortuna trovo una poltrona libera sulla quale sedermi, dato che l’aula è affollatissima.

Ci sono molte Autorità presenti all’inaugurazione, ma capisco che l’interesse è rivolto a lui e l’attesa è quella delle sue pa-role. Mi sento molto fiera per aver individua-to la persona giusta che mi spiegasse che cosa è oggi per noi Italiani la Giustizia ammini-strativa e, se davvero è ammalata tanto da de-siderare per lei l’eutanasia, quale cura può es-sere messa in atto per salvarla!

Risuona, accompagnata dalle note dell’Inno d’Italia, l’eco delle parole del Presi-dente :

In nome del Popolo italiano dichiaro aper-to l’Anno Giudiziario!

Capisco che la cerimonia sta concluden-dosi e, un po’ emozionata, mi pongo in attesa di riprendere il nostro colloquio. Durante l’ora della manifestazione, alla luce della re-lazione sua e di quelle degli altri relatori, a-vevo formulato sul mio quaderno di appunti alcune domande da sottoporgli alla fine.

Quando ci troviamo di nuovo di fronte, nella sala adiacente all’aula,gli chiedo:

17. Mi risulta che i Presidenti di Tribuna-

li, in occasione dell’inau-gurazione dell’anno giudiziario denuncino le ve-rità sullo stato della Giustizia. E’ ve-ro?

Personalmente credo che un cerimoniale

come quello odierno, per non rivelarsi noioso ed inutile e per essere partecipato da tutti, debba avere una finalità prevalentemente in-formativa, anzi, divulgativa, alla portata di tutti. Non ho trattato specifici argomenti giu-diziari, di tipo processuale o sostanziale, co-me avrà notato, mi sono limitato ai principii fondanti della Giustizia Amministrativa e, soprattutto, al suo stato effettivo.

Vi è, nella società, un bisogno condiviso da tutti e cioè che vi sia una concordia sociale ed un vivere nella legalità.

La Società attuale è disorientata e tormen-tata e la Giustizia Amministrativa può con-correre al perseguimento del fine ultimo al quale tutti noi aspiriamo, come ho detto pri-ma, cioè al “bene della vita”.

Di questi tempi, quando si parla di Legali-tà e di Giustizia, prevale, nell’opinione pub-blica, un diffuso pensiero pessimistico di de-grado.

Le Società di oggi, nei loro movimenti e rivendicazioni, mirano a conseguire risultati di tipo sostanziale, quali il rispetto dei diritti fondamentali della persona ed una condotta legittima dei cittadini e delle Istituzioni.

Di fronte a questi obiettivi, il Legislatore di oggi è in crisi, ormai da parecchi anni: non riesce a regolare la complessità del mondo re-ale, che muta vertiginosamente, sotto le spin-te globalizzanti dell’Economia e della Tecni-ca.

18. Il Giudice deve soltanto applicare la

Legge. Perché insorgono tante difficol-tà e problemi? Mi può dare una rispo-sta specifica che riguardi la Giustizia amministrativa?

Le normative primarie e secondarie di ogni settore dell’Amministrazione nascono confu-se e precarie, sofisticate e complesse, come il mondo di oggi. Stiamo vivendo tutti, da or-mai parecchi anni, nella giungla normativa o, se preferisce, nel labirinto o nella babele con-fusa in cui ognuno dice quello che vuole. Ciò è imputabile alla infinita pluralità di atti nor-mativi , prodotti da fonti diverse (europee, nazionali, regionali, locali) che disciplinano materie complesse e nuove, quali l’energia, la tutela ambientale, gli apparati produttivi, la protezione civile, la gestione dei rifiuti ecc..

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Gazzetta Amministrativa -12- Numero 1 - 2015

All’interno dei provvedimenti legislativi – di numero incontrollabile – si ritrovano nu-merosissime norme di difficilissima interpre-tazione ed applicazione.

19. Molti Ministri e Deputati si vantano di

aver semplificato le Leggi. E’ così? Gli strumenti “taglia-leggi” hanno dato

pochi frutti. Non bastano. La giungla norma-tiva è sempre più giungla. Il contesto norma-tivo attuale costituisce emergenza :bisogna riordinare, ma con estrema urgenza, la legi-slazione in tutti i settori dell’Ordinamento e sfoltire la giungla che soffoca e strangola i viandanti! E’ indispensabile non solo avere norme processuali semplici, leggere e snelle, ma è ancora più indispensabile averne di so-stanziali, ugualmente leggere e snelle.

Le Pubbliche Amministrazioni, per prime, i destinatari delle norme, cioè tutti noi, gli stessi Giudici, per terzi, faticano a muoversi nella giungla dell’Ordinamento amministrati-vo e quasi mai incontrano percorsi lineari, aperti, segnalati, sicuri. Da qui l’immobilismo diffuso nelle strutture burocratiche, per paura delle conseguenze. Da giudice, comprendo e giustifico, ma il Giudice non può arrestarsi: deve, comunque, decidere, anche in assenza di norme. Tale situazione necessita di un’alta e forte denuncia da parte di tutti i frequentato-ri della giungla, cioè tutti noi!

20. La denuncia delle leggi imperfette, che

creano,alla fonte, danni costanti,, non dovrebbe provenire, ad alta voce, da tutti e, per primi, dai Legislatori e dai Magistrati?

Certo, chi tace è colpevole! E i magistrati non sono esenti da questo peccato di omissio-ne. Essi, forti del principio del libero convin-cimento del giudice – di derivazione antica – si ritengono esonerati dall’obbligo di denun-ciare apertamente la giungla normativa per-ché, come pensano, a lungo andare si formerà un tendenziale indirizzo della giurisprudenza. E’ vero. Ma, nel frattempo, quante vittime in-nocenti rimangono sul campo e muoiono nel-la giungla!

Mi consenta un banale paragone, per me-glio intenderci. Questa incancrenita situazio-ne nazionale del nostro sistema normativo,

aggravata, in larga misura, dalle fonti comu-nitarie, può essere assimilata ad una strada dove si formano buche e voragini di ogni ti-po, dove i relativi progettisti, costruttori, con-trollori della strada e tutti quelli che vi transi-tano, vedono, passano, ma fanno finta di niente! Le responsabilità, a mio sommesso avviso, sono di tutti, ma crescono man mano che si sale ai vertici,

La partecipazione al procedimento ammi-nistrativo, in tutte le forme consentite dalla legge, è vera garanzia per il cittadino che oggi cura, in prima persona, insieme all’Ammi-nistrazione, l’interesse pubblico e, contempo-raneamente, il proprio interesse privato.

Al primato dell’Autorità è succeduto il primato del Consenso. Questa grande tra-sformazione, in costante evoluzione, deve rappresentare un’occasione di democratizza-zione dell’attività amministrativa e deve rea-lizzare una società più giusta e più umana.

21. Ma quali sono i migliori rimedi per

garantire la Legalità? I cittadini chiedono a gran voce non la per-

fezione formale dei provvedimenti (strumenti tipici dell’esercizio dei poteri pubblici) ma la reale capacità dei provvedimenti stessi ad es-sere rapidi, utili e capaci di curare gli interessi individuali e collettivi. Questa è la Legalità sostanziale che costituisce, a mio sommesso avviso, il possibile rimedio dei problemi.

Tutti sappiamo che l’attività amministrati-va di oggi è complessa, usa strumenti sofisti-cati che coinvolgono, nel procedimento, ope-ratori, specialisti delle diverse scienze e tec-niche, per attuare i grandi progetti di alta con-sistenza economica ed incisivo impatto am-bientale.

Le prime garanzie della legalità hanno vi-tale bisogno di norme semplici, adeguate, ca-paci di dare certezza e corretta applicazione. Questo è il compito primario del Parlamento e di tutte le Assemblee che emanano norme e regolamenti di qualunque grado e tipo.

E’ ben esercitato un potere pubblico se è soddisfatto l’interesse pubblico che costitui-sce la stella polare di ogni Pubblica Ammini-strazione che è tenuta a bilanciare equamente l’interesse pubblico con quello privato.

La legalità - che oggi manca - va garantita

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alla fonte, da una buona legge: e la fonte è in-quinata, anche l’applicazione, fatta dalle pub-bliche amministrazioni, ne risente e così ne risente anche l’applicazione a valle, fatta dai Giudici.

La Legalità, quando nasce compromessa, diventa fattore colpevole, imputabile prima-riamente alle regole incerte e imprecise, ema-nate scientemente su base compromissoria per rimetterne l’applicazione alla successiva fase esecutiva o giurisdizionale.

22. Quando si parla di Legalità spesso si

arriva allo scarica-barile. E’ vero, ma personalmente non voglio far

discorsi allo scarica-barile! Tutti noi dobbia-mo ammettere che molte disfunzioni applica-tive delle norme trovano la principale causa genetica nelle giungle normative delle disci-pline di settore, ma bisogna anche ammettere che i fenomeni corruttivi insorgono più fre-quentemente in sistemi ordinamentali ad alto tasso di complessità e di indeterminatezza.

La Legalità deve caratterizzare l’operato delle Pubbliche Amministrazioni, altrimenti il Cittadino percepirà la funzione pubblica con disaffezione verso le Istituzioni, la Politica, il Giudice!

L’Amministrazione è il necessario ingra-naggio di trasmissione tra le scelte politiche del Parlamento e del Governo e la loro con-creta attuazione. Tutti gli ingranaggi della ca-tena di trasmissione, dai primi agli ultimi, debbono funzionare. Se si inceppano – come purtroppo avviene - non bisogna prendersela con l’ultimo ingranaggio della catena, ma con quello che ha costituito la causa primitiva e prevalente del non funzionamento!

23. Non riesce a darmi risposte più ottimi-

stiche? I fenomeni distorsivi dell’azione ammini-

strativa costituiscono, come ho finora espo-sto, vere emergenze, per gli effetti che produ-cono e per l’allarme sociale che essi genera-no. Queste emergenze non sono ancora suffi-cientemente denunciate da tutti noi!

24. La pluralità delle giurisdizioni può es-

sere fattore negativo del nostro siste-ma di giustizia?

Il nostro Ordinamento configura l’unità funzionale della giurisdizione, attuandola mediante due Ordini separati, entrambi garan-ti di una tutela piena delle diverse posizioni soggettive dei cittadini nei confronti del Pote-re pubblico. E’ questo il dato costituzionale più significativo del sistema italiano di Giu-stizia. Il recente Codice del Processo Ammi-nistrativo ha tracciato confini certi tra i due Ordini giudiziari tra i quali non vi è motivo di immaginare contrasti o competizioni se gli appartenenti ai due Ordini acquisiscono il concetto di svolgere un servizio ai cittadini e se questi ultimi sappiano apprezzare il privi-legio di avere due Giudici distinti, specializ-zati nei relativi ambiti.

25. Perché i rapporti tra Magistratura e

potere Esecutivo si sono deteriorati da almeno un decennio?Cosa serve per garantire equilibrio ed armonia tra questi tre Poteri: Legislatori- Governo - Giudici?

A partire dall’anno 2000, alla tutela demo-litoria, ossia di annullamento, tipica ed esclu-siva del Giudice Amministrativo, si è aggiun-ta quella di accertamento e risarcitoria. Il ri-sarcimento del danno, derivante dall’attività illegittima della Pubblica Amministrazione, prima quasi sconosciuto, è passato dal Giudi-ce Ordinario al Giudice Amministrativo il quale pronuncia oggi - perché tutti ne fanno richiesta - sulla domanda di risarcimento del danno materiale subito: alla tradizionale giu-stizia demolitoria, che conduce all’annulla-mento dell’atto illegittimo, si è aggiunta, a favore del cittadino, una giustizia di tipo ripa-ratorio-patrimoniale.

Da tempo il pensiero pessimistico di de-grado della Giustizia è generalizzato. La Ma-gistratura, in generale, è ritenuta non più ca-pace di tutelare i diritti dei cittadini. I cittadini sono smarriti ed hanno perso molto dell’antico rispetto vero le Istituzioni.

Negli Ordinamenti improntati al principio della divisione dei poteri, tali contrasti sono congeniti: da noi sono più gravi e sconfortan-ti, giungendosi finanche a delegittimare il ruolo della Magistratura nella sua interezza.

Le molte, troppe falsità speculative addos-sate alla Giustizia, si correggano - se davvero

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Gazzetta Amministrativa -14- Numero 1 - 2015

si vuole cambiare - con le scelte legislative da compiersi, finalmente. Il compito non spetta agli Operatori della Giustizia, ma al Legisla-tore il quale deve scegliere quali degli attuali, indiscutibili, valori e pregi debbano essere conservati e quali sacrificati, dando copertura amministrativa strutturale al disegno scelto.

Tutti i Magistrati e gli addetti alla Giusti-zia, per essere essi i principali collaudatori delle norme, debbono denunciare, senza fin-gimenti, tutte le principali criticità delle nor-me, dei procedimenti e dei processi e sui pos-sibili rimedi, non fosse altro che per dovere di testimonianza e di collaborazione con gli altri Poteri.

Il contesto sociale da anni è arroventato, avvelenato, la professione del Giudice è sem-pre più incompresa e riserva ai Giudici stessi pochissime gratificazioni e tantissimi bocconi amari.

26. L’abolizione dei Tribunali Ammini-

strativi è auspicata da molti. Perchè? Il Giudice Amministrativo non assume au-

tonomamente iniziative giudiziarie : non è un Pubblico Ministero, titolare di autonome a-zioni. Risponde soltanto ai cittadini che, rite-nendosi lesi da una mala amministrazione, non potendo essi bussare ad altri Organi giu-diziari, si rivolgono al TAR per avere giusti-zia. Il Giudice Amministrativo diventa così mediatore di conflitti, generati, alla fonte, dal-la incerta qualità delle norme e, nel percorso, da una non perfetta applicazione.

Se queste premesse sono esatte, allora non ci si può esimere dal considerare errate e in-generose le valutazioni negative nei confronti dei Giudici amministrativi, addebitando ad essi soprattutto la responsabilità del rallenta-mento delle grandi opere e dei progetti rile-vanti per lo sviluppo del Paese. E’ vero, esi-stono all’interno della giurisdizione ammini-strativa , come in tutte le altre giurisdizioni, contrasti giurisprudenziali che creano intolle-rabile incertezza per gli operatori economici, freno inaccettabile allo sviluppo economico e annientamento del principio della certezza del diritto.

Mi consenta, tuttavia, di dare la mia rispo-sta personale a questo quesito.

La progressiva espansione della Giustizia

Amministrativa, sconosciuta fino a qualche anno fa, è diretta conseguenza dell’am-pliamento dell’attività pubblica e della sua nuova complessità. Succede che un atto, con il quale è stato mal esercitato il potere pubbli-co, venga annullato dal Giudice Amministra-tivo alla fine di un procedimento nel quale gli operatori hanno dovuto avvalersi di norme e canoni incerti, di difficile applicazione e so-vente ispirati ad una cattiva amministrazione.

La collettività, tuttavia, chiede al Giudice di essere tutore e garante di Legalità e Giusti-zia nell’Amministrazione. Egli non può delu-dere la collettività e, però, in concreto, il Giu-dice ha a che fare – quasi sempre – con leggi e norme prive delle necessarie e puntuali in-dicazioni precettive che obbligano l’interprete a ricercarne faticosamente la ratio ispiratrice tra le tante possibili e contrastanti. La Legge, tuttavia, deve essere rispettata perché è volon-tà del Parlamento e, quindi, del popolo italia-no.

Un altro limite è costituito dal fatto che i Giudici nazionali, di tutti i Paesi dell’Unione Europea, hanno il potere-dovere di sindacare la compatibilità della normativa nazionale con quella comunitaria attraverso il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia di Lus-semburgo, quindi attraverso l’immediata di-sapplicazione della legge nazionale che ap-paia in contrasto con il diritto comunitario.

27. Qual è l’errore più grave per un Giu-

dice? Ciò che è davvero riprovevole per un giu-

dice è perdere la virtù della mitezza del deci-dere e voler comunque affermare le idee pro-prie per porsi al di sopra del Legislatore.

28. E per un Giudice Amministrativo? Il Giudice Amministrativo, per cultura,

tradizione, storia e per obbligo di legge costi-tuzionale, deve rifiutare istintivamente l’interferenza nell’attività amministrativa e deve essere spaventato dal rischio di poter in-vadere la riserva discrezionale dell’ammi-nistrazione.

Il Giudice amministrativo non è tutelare di nessun potere amministrativo, Non può, quindi, esercitare nessun potere : deve soltan-to sindacarne l’esercizio,esplorando il fatto

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con tutti i mezzi istruttori ammessi. La di-screzionalità appartiene all’Ammini-strazione, ma spetta al Giudice Amministrati-vo il controllo dell’esercizio del potere tecni-co, da compiersi con la verifica della corretta applicazione di principi (anche non stretta-mente giuridici) appartenenti ad altre scienze o tecniche.

29. Il Giudice amministrativo è il Giudice

dei Poteri Pubblici. Perché tanti reci-proci contrasti?

I Poteri Pubblici, nell’attuale Stato Fede-ral-Regionale, sono molteplici, autonomi, ri-partiti sul territorio e diversi per finalità, o-biettivi, procedure e mezzi. Il TAR, Giudice Territoriale di primo grado, è chiamato ad una resa di giustizia armonica, adeguata alle specificità dei Governi locali, che applicano norme proprie, per soddisfare bisogni pubbli-ci propri.

Le Riforme costituzionali del 2001 e 2003 hanno spazzato via tutti i precedenti controlli sull’attività amministrativa. Gli atti, i provve-dimenti amministrativi, i Regolamenti, gli Statuti e quant’altro, appena approvati e pub-blicati, diventano, a tutt’oggi, immediatamen-te esecutivi. Resta un unico rimedio per il cit-tadino leso: il ricorso (costoso e traumatico) al TAR!

Da qui nasce la centralità del Giudice Amministrativo ed il suo ruolo di garante di legalità e di giustizia dell’Amministrazione.

Come vede, sto andando avanti ricordando concetti generali noti e, tuttavia, ciò mi appa-re utile, indispensabile,secondo la mia espe-rienza personale,se si vuole parlare di Giusti-zia Amministrativa anche ai non addetti ai la-vori.

Il Giudice Amministrativo, nell’attuale si-stema di giustizia, non è però un Pubblico Ministero, non grava su di lui l’obbligo di i-niziativa giudiziaria: essa appartiene soltanto al ricorrente, il quale, se si sente offeso e mal-trattato da una qualunque Pubblica Ammini-strazione e se vuole una resa di giustizia con-forme a Costituzione e legge, deve avere la voglia, la forza e la capacità (del suo avvoca-to, s’intende) di prospettare la controversia al TAR territoriale di competenza, in maniera quanto più possibile completa, sia nei motivi

di fatto, sia nei motivi di diritto, in modo che il Giudice possa trovare la regola di legge più adatta.

Il Giudice deve cogliere le deviazioni ed i vizi dell’azione amministrativa, esplorando fatto e norme, le quali si “illuminano vicen-devolmente” (parole testuali del grande Mae-stro Abbamonte). E’ questa l’essenza del sin-dacato affidato al Giudice Amministrativo.

30. Quali sono, a suo avviso, i punti deboli

del Giudice amministrativo? La regolarità formale (che prevale, pur-

troppo nei processi) non è più sufficiente a garantire una Buona Amministrazione.

Il Giudice Amministrativo deve saper in-dagare, oggi, “con nuove lenti”, le complesse attività tecniche compiute dall’Amministra-zione..

Il Giudice Amministrativo, a mio sommes-so avviso, deve cambiare l’approccio al fasci-colo di causa.

E’ ormai obbligo ineludibile del Giudice Amministrativo esplorare non solo il provve-dimento impugnato – come si fa normalmente – bensì ogni aspetto del sottostante rapporto controverso, sul quale è insorto un contenzio-so davanti al Giudice Amministrativo.

La tutela presso il Giudice Amministrativo deve certamente garantire la correttezza for-male, ma soprattutto deve garantire la corret-tezza sostanziale, che si concreta nel miglior perseguimento del bene pubblico, che è di in-teresse per tutti.

Il connotato principale e costante che con-traddistingue la Giustizia Amministrativa da quella Ordinaria è quello di contemperare le esigenze dei cittadini con quelle della Pubbli-ca Amministrazione, garantendo i diritti dei cittadini, senza ostacolare il buon prosegui-mento dell’interesse pubblico.

Il Giudice Amministrativo, forte del potere istruttorio che la Legge oggi gli riserva, non esercita appieno il ruolo, come vuole la Costi-tuzione, di garante di legalità e di giustizia nell’Amministrazione, se non ricostruisce il fatto nei suoi presupposti, e se non indaga, con nuove lenti, tutti gli aspetti della discre-zionalità, tecnica e/o amministrativa, esercita-ta. Il GA, partendo dall’atto impugnato – stante il tipo di percorso impugnatorio, che

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tale rimane, nonostante tutte le aperture au-spicabili - deve però andare oltre lo schermo dell’atto, che sovente offusca - soprattutto quando il Giudice è stanco o svogliato - le ra-gioni vere dell’azione amministrativa com-piuta.

Lo sappiamo tutti cosa si nasconde spesso dietro gli atti dell’Amministrazione. I gravi fenomeni di illegalità e di corruzione ben no-ti, compiuti nella cosiddetta I^ Repubblica (ma le cose non sono molto cambiate in se-guito, stando ai pareri unanimi di attenti os-servatori) sono passati per atti formalmente perfetti, capaci di superare il vaglio cognito-rio, anche di tipo giudiziale, davanti al GA e quello di tante altre Istituzioni ugualmente deputate a vigilare e controllare la bontà dell’azione amministrativa. Le devianze della legalità nascono nel cuore e nella testa degli uomini ; l’esperienza amara subita deve far riflettere.

La complessità dei nuovi procedimenti ci impone di snidare, in profondo, i vizi della funzione, utilizzando tutti i mezzi istruttori e cognitori che la legge ci appresta.

31. Quali sono gli attuali mezzi istruttori e

cognitori che la Legge appresta? Consulenze Tecniche di Ufficio (C.T.U.) ,

verificazioni, ispezioni dei luoghi, audizione diretta delle parti, assistite dai loro legali e consulenti, verifiche complesse di sofisticate attività tecniche ed economiche svolte nei procedimenti amministrativi.

Tutto questo nuovo impegno, che ora spet-ta al Giudice Amministrativo, si può riassu-mere, sinteticamente, con un’espressione, da me coniata, da almeno vent’anni, della quale vado fiero: “La Giustizia Amministrativa de-ve svolgersi, nelle nostre Aule, sempre più a misura e sempre meno a fiuto”. Per essere ancora più chiaro, aggiungo che i GA do-vrebbero ricorrere sempre più frequentemente alle consulenze di ufficio, alle verificazioni tecniche, guidate da un Giudice Monocratico, incaricato dal Collegio, o guidate dal Collegio stesso, alle ispezioni dei luoghi, alle audizio-ni. Pensi come potrebbe essere carpito de visu lo stato reale dei fatti controversi, oppure co-me potrebbero essere percepiti, in camera di consiglio od in pubblica udienza, de audito i

punti controversi di una causa mediante l’ascolto delle parti e dei reciproci avvocati e tecnici di fiducia!

Auspico che tutti i Magistrati Amministra-tivi, soprattutto di primo grado, anche i più pigri e conservatori, “gufi e frenatori” (come da lessico attuale), facciano ordinario uso dei nuovi mezzi cognitori e probatori a disposi-zione.

32. Ma che succederà in Tribunale se si

applicherà questo metodo? L’esperienza ventennale praticata da Pre-

sidente, mi ha insegnato che, quando si giudi-ca ”a misura“ e non “a fiuto” , esplorando il fatto con le opportune lenti di ingrandimento, il GA può ingenerare paure e sospetti da parte delle Autorità emananti, quelle, beninteso, che gradirebbero un più superficiale control-lo. Questo è il servizio Giustizia che auspico e che applico, quando mi è consentito dal Collegio. In questo modo si rende giustizia non più guardando solo le carte, ma guardan-do negli occhi le Autorità, i cittadini, i rispet-tivi tecnici e legali di parte, “per essere reci-procamente guardati negli occhi”, nel mo-mento stesso della funzione giudicante. Ai Colleghi Magistrati ho detto che questa attivi-tà che, personalmente ho svolto da molti anni e che ora mi permetto di suggerire, appesanti-sce un po’ il nostro lavoro che – è bene dirlo , anche per mia diretta testimonianza – è mas-sacrante. Ma se si inforcano questi nuovi oc-chiali per esplorare il fatto, l’utilità che se ne trae, nella resa di Giustizia, è davvero grande! Personalmente sono appassionato ed entusia-sta di questo modus decidendi e mi sembra che lo siano anche gli Avvocati.

33. Quale sarà il vantaggio “sostanziale”

di questo modus decidendi, per dirla con uno degli aggettivi a Lei tanto graditi?

Il privilegio e la garanzia di un sindacato penetrante non sta solo nel fare emergere “in toto” il fatto controverso nella sua oggettiva realtà e nel confrontarlo con i canoni costitu-zionali del buon andamento, della legalità e della giustizia nell’Amministrazione, ma nel radicare nelle Autorità amministrative un me-todo nuovo allo svolgimento dell’attività

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amministrativa, perché essi, per primi, deb-bono acquisire un comportamento più conscio delle responsabilità che si assumono e più gratificato dall’impegno profuso nella predi-sposizione ed emanazione dell’atto. Le Auto-rità emananti sanno così, che, in caso di giu-dizio, non saranno solo i loro legali a vederse-la con il Giudice, davanti al TAR, ma saranno essi stessi ad essere guardati negli occhi dai Giudici, i quali chiederanno loro, nell’Aula di Giustizia, di giustificare l’atto e con esso il potere esercitato. Quando ci si guarda negli occhi reciprocamente, tutto è più limpido e solare!

Il GA solo così percepisce e vive la centra-lità della sua funzione giustiziale e diventa, in questo modo, garante di legalità e giustizia, mediando in nome della legge – che è uguale per tutti –tra cittadini e Autorità.

34. Questa sua teoria e pratica ha avuto

l’approvazione dei suoi Colleghi? Non proprio, anzi, sono stato anche rim-

proverato. ”..e il modo ancor m’offende”! come disse il Sommo Poeta. Me ne sono fatto e me ne farò una ragione!

35. C’è una somiglianza tra le istruttorie

del Giudice Ordinario e quelle avviate dal Giudice Amministrativo?

Il Giudice Amministrativo, forte del potere istruttorio che la Legge oggi gli riserva, non esercita appieno il ruolo, come vuole la Costi-tuzione, di garante di legalità e di giustizia (nell’Amministrazione) se non ricostruisce il fatto nei suoi presupposti, e se non indaga, con nuove lenti, tutti gli aspetti della discre-zionalità, tecnica e/o amministrativa, esercita-ta.

Liberiamo subito il campo da qualsiasi so-spetto. Le istruttorie penetranti del Giudice Amministrativo (che si fanno , purtroppo, ra-ramente) e che non sono amate dalla Pubblica Amministrazione, non sono mai investigazio-ni dirette sull’operato delle Pubbliche Ammi-nistrazioni, né sono mirate a snidare illeciti e responsabilità, o peggio a sovrapporre alla so-luzione prescelta quella ideata dal Giudice. Il Giudice Amministrativo, per cultura, tradi-zione, storia e per obbligo di legge costitu-zionale, deve rifiutare istintivamente

l’interferenza nell’attività amministrativa e deve essere spaventato dal rischio di poter in-vadere la riserva discrezionale dell’Ammini-strazione. Il Giudice Amministrativo non è titolare di nessun potere amministrativo, deve solo controllarne l’esercizio esplorando il fat-to con tutti i mezzi istruttori ammessi. La di-screzionalità spetta all’Amministrazione, ma al Giudice Amministrativo spetta il controllo sull’esercizio del potere tecnico, da compiersi con la verifica della corretta applicazione di principi non strettamente giuridici, ma appar-tenenti ad altre scienze o tecniche.

36. In conclusione, potrebbe schematiz-

zarmi i vari passaggi del metodo di Giustizia che Lei auspica ed applica?

Non riuscirò proprio a schematizzare, for-se a sintetizzare sicuramente.

Non bisognerebbe disporre mai, se non in casi eccezionali, la mera istruttoria documen-tale con semplice richiesta di atti o chiarimen-ti. La richiesta istruttoria, quando è ritenuta indispensabile, e lo è quasi sempre, va fatta, anch’essa, “a misura” , disponendo, a carico delle Amministrazioni intimate, l’ordine di effettuare una previa audizione della parte ri-corrente, assistita dai propri legali e/o tecnici di fiducia, ai quali si dà la possibilità di guar-darsi reciprocamente negli occhi ed addurre le proprie ragioni, già esposte nel ricorso.

37. In sostanza, la condotta del Giudice

Amministrativo dovrebbe muovere dal-la consapevolezza che un profondo e vasto accertamento del rapporto con-troverso nel quale vive l’atto impugna-to, costituisce obbligo ineludibile. E’ così? Cosa succede poi?

Per mia esperienza personale, applicata da oltre 2 decenni in vari TAR d’Italia, vi è un frequente ritiro o modifica del provvedimento impugnato, con riapertura del procedimento. E’ un bel risultato!

38. Cos’altro dovrebbe fare il Giudice? Dovrebbe disporre, in Tribunale, in Ca-

mera di Consiglio o Udienza Pubblica, l’audizione diretta delle Parti, assistite dai propri tecnici e difensori di fiducia , per con-tenziosi rilevanti, s’intende, come appalti di

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lavori e servizi, urbanistica ed edilizia, smal-timento rifiuti ed energia , così da percepire de visu et audito, dai diretti interessati, la conformità o meno degli atti ai reali contenu-ti. L’esperienza mi insegna che l’audizione diretta delle parti è raramente gradita ai Ma-gistrati.

39. L’audizione delle parti non allunga i

tempi del processo? Assolutamente no. Spesso, ad audizioni

svolte, i processi si rivelano addirittura diver-si rispetto a quelli proposti inizialmente e ciò rende necessaria la proposizione di “motivi aggiunti” che mai si sarebbe verificata con la valutazione “a fiuto” delle censure dedotte.

Se l’audizione delle parti non ha ancora il-luminato il Collegio, le ben note Consulenze tecniche o verificazioni, affidate a vari pro-fessionisti, mai scelti dai Giudici, ma fatti de-signare dai rispettivi Ordini, potrebbero mo-strare la via da seguire…

40. Ma questo mezzo istruttorio non ag-

grava i costi del processo? Certamente, per questo è preferibile

l’audizione delle parti, proprio perché questa non costa nulla.

41. Ci sono altri rimedi? Sì. Per particolari contenziosi, bisognereb-

be effettuare la verificazione dei luoghi. Ho praticato, mi creda, almeno per una ventina di casi questo incombente istruttorio e, forse, sono proprio l’unico in Italia! A volte la veri-ficazione dei luoghi, può far comprendere, a colpo d’occhio, con il buon senso, la descri-zione complicata del fatto contenuta nel provvedimento impugnato e può far pervenire ad una decisione più certa.

42. Ancora la Giustizia “a misura”? Certamente. La Giustizia “a misura” di-

venta un Servizio Pubblico per i Cittadini e per le stesse Pubbliche Amministrazioni che agiscono, generalmente in buona fede, ma sovente si perdono – non per loro colpa – nel-la giungla impraticabile delle norme e della giurisprudenza. Mi permetta di aggiungere ancora. Un siffatto accertamento giudiziale, come lo sto delineando a lei che mi sta ascol-

tando con interesse e che ringrazio, reca un altro vantaggio, secondario, ma non da buttar via : esso agevola la realizzazione di un basi-lare principio vigente nel nostro ordinamento dal 1993 : quello della separazione tra attività politica di programmazione e di indirizzo, oggi affidata ai Soggetti Politici, e attività amministrativa-gestionale, affidata ai Sogget-ti Burocratici. Questi ultimi, dovendo essi stessi spiegare, direttamente al Giudice, la ratio dei loro atti e la finalità con essi perse-guita, mettono, nel corso del procedimento, più attenzione nella motivazione dell’atto, giustificando debitamente il potere esercitato e trovano più forti ragioni di autonomia e di resistenza, nei confronti delle Autorità politi-che sovrastanti, proprio come vuole la Legge. Non è poco per i tempi che corrono!

43. Si potrebbe parlare di trasparenza

degli atti? La funzione amministrativa – contenuta

negli atti e provvedimenti impugnati – è l’oggetto costante del processo amministrati-vo. Nel processo e con il processo, come ho già detto, il Giudice Amministrativo deve far emergere il rispetto della generale trasparenza e razionalità delle funzioni pubbliche eserci-tate.

Le norme sul procedimento amministrati-vo e sulla semplificazione della funzione pubblica sono certamente strumenti di garan-zia, ex ante, di legalità e di giustizia. Quando non bastano (e purtroppo ciò accade sovente, anche a causa della abolizione di tutti i con-trolli, voluta a salvaguardia delle autonomie locali e dei livelli autonomi di governo) viene in aiuto il Giudice Amministrativo, con la sua funzione equilibratrice tra cittadino ed Auto-rità, ovvero tra interesse individuale privato ed interesse pubblico. Il privilegio e la garan-zia di un sindacato penetrante non sta solo nel far emergere, in toto, il fatto controverso nella sua oggettiva realtà e nel confrontarlo con i canoni costituzionali del buon andamento, della legalità e della giustizia nell’Amministrazione, ma nel radicare nelle Autorità amministrative un approccio nuovo allo svolgimento dell’attività amministrativa che essi, per primi, debbono acquisire, un comportamento, come ho detto prima,, più

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conscio delle responsabilità che si assumono e più gratificato dall’impegno profuso nella predisposizione ed emanazione dell’atto.

44. A questo punto si potrebbe parlare di

Giustizia “sostanziale”? Sì. Questa è la nuova frontiera della Giu-

stizia Amministrativa e già il Legislatore sembra spingere verso la concezione sostan-zialistica dell’Azione Amministrativa per su-perare gli inutili ed infiniti formalismi delle norme e della giurisprudenza, una giungla, davvero, ed una emergenza nazionale, dato che tutto il Popolo italiano evidenzia e de-nuncia questo problema! Questo è il concetto che sto ripetendo : le Autorità emananti, san-no che in caso di giudizio non saranno solo i loro legali a vedersela con il Giudice, davanti al TAR, ma saranno essi stessi ad essere guardati negli occhi dai Giudici, i quali chie-deranno loro, nell’Aula di giustizia, di giusti-ficare l’atto e con esso il potere pubblico e-sercitato.

45. In concreto, che cosa si potrebbe già

fare per avviare questo processo a so-luzione?

L’inosservanza di norme che regolano le forme e le procedure non dovrebbe necessa-riamente ed automaticamente, invalidare sempre e comunque, l’atto amministrativo. Il vizio permane, ma si dissolve in mera irrego-larità , irrilevante, qualora sia possibile accer-tare, nel processo e con il processo, che lo scopo sostanziale fissato dalla legge è stato comunque raggiunto dal provvedimento am-ministrativo. Lei capisce che già questa posi-zione potrebbe rivoluzionare l’andamento di una istruttoria!

46. I primi a sentire l’esigenza di una

Giustizia sostanziale non dovrebbero essere i Giudici?

Infatti. Noi dovremmo denunciare, ma contemporaneamente dalle nostre Aule di giustizia dovrebbe uscire il formalismo esa-sperante e si dovrebbero far entrare i Valori sostanziali, da porre al centro delle nostre in-dagini giudiziarie. Noi Giudici amministrativi già abbiamo la possibilità di esercitare , nel Processo e con il Processo, un sindacato in-

tenso sull’azione amministrativa della Pub-blica Amministrazione.

Un Legislatore attento,tuttavia, in attesa di riforme normative più vaste e rilevanti, po-trebbe, con piccole norme di facile scrittura, aiutare il Giudice Amministrativo a dare una “spallata” al formalismo (tanto odiato quanto protetto) che sta mietendo vittime innocenti sul campo.

Non abbiamo più spazio per tentennare!

47. Un’ultima domanda, Presidente. L’incisività del Giudice Amministrati-vo si potrebbe connotare come “abuso di potere”?

Mi permetta di chiarire. ”L’eccesso” di potere - da non confondere mai con “l’abuso” di potere – è l’applicazione ipocri-ta della legge. Anche queste parole, direi te-stamentarie, sono del Prof, Abbamonte.

Se i Giudici Amministrativi sono più inci-sivi, gli Amministratori non dovrebbero te-mere, per ciò solo, la compromissione del si-stema di gestione delle loro Comunità territo-riali; è la Costituzione che vuole un sindacato penetrante, accordando ai cittadini tutela nei confronti di tutti gli atti amministrativi, nes-suno escluso, (artt. 24 e 113 Cost) i quali atti amministrativi devono perseguire sempre il buon andamento e l’imparzialità dell’ammi-nistrazione, nonché assicurare giustizia e le-galità (art, 100). L’eccesso di potere, costante parametro di vaglio della legalità e della giu-stizia, presente nelle nostre sentenze ed ordi-nanze, deve essere dunque snidato e represso.

Mi piace osservare - e quando mi capita abbondo - che con tutte le copernicane tra-sformazioni subite dall’Ordinamento e dalla PA negli ultimi decenni, vige sempre, per tut-ti i soggetti che operano nell’Ammini-strazione, il principio costituzionale che ogni attività, senza eccezione alcuna, va sempre finalizzata al perseguimento dell’interesse collettivo o pubblico, che dir si voglia. E’ be-ne esercitata la potestà pubblica, se è soddi-sfatto l’interesse pubblico. E’ questo il conno-tato vero della PA., pur nella sua nuova veste, sovente privatistica, e nei suoi fini. E se qual-cuno dice che oggi tutto è cambiato, noi giu-risti rispondiamo che, nella sostanza, nulla è cambiato!

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La stella polare dell’interesse pubblico è sempre più alta e brillante! L’interesse pub-blico è la guida per ogni operatore!

Pensiamo agli interessi pubblici che deve tutelare un Comune: l’ambiente, l’urbanistica, la viabilità, l’istruzione, i servizi pubblici, la riscossione delle imposte…Non bastano i soldi per tutto. Si rischia il dissesto. Siamo già al dissesto!

E, in caso di conflitto, quale interesse pub-blico prevale? Lo stabilisce il titolare del po-tere, motivando i propri atti,a giustificazione del potere esercitato. Se nasce un contenzioso (auspico che accada il meno possibile) la pa-rola passa al Giudice Amministrativo, Giudi-ce della funzione pubblica, il quale entra in campo per tutelare, in via diretta, l’interesse pubblico e, in via mediata, quello privato.

L’istruttoria penetrante - come io la inten-do - compiuta dal Giudice Amministrativo con consulenze, verificazioni, audizioni, ispe-zione dei luoghi ed altro, potrebbe apparire come una sorta di investigazione diretta sull’operato delle PA. Sono note le critiche e perfino i tentativi di delegittimazione compiu-ti nei confronti del GA da parte di Soggetti Politici, i quali arrivano anche a tacciare i Giudici ed i provvedimenti giurisdizionali di invasività delle scelte politiche ed ammini-strative compiute!

Può darsi che qualche giudice ecceda : in tal caso il biasimo è giustificato!

Il biasimo generalizzato tanto di moda, in questi anni,verso le Istituzioni giudiziarie, è il segno dei tempi negativi che stiamo vivendo. Vorrei ricordare e ribadire che il Giudice Amministrativo, per tradizione, storia, Costi-tuzione è il Giudice Ordinario della Funzione Pubblica; esso rifiuta istintivamente il coin-volgimento diretto e l’interferenza nell’attività amministrativa ed è, a dir poco, spaventato dal poter sostituire l’Amministrazione. E’ un “credo” fermo di noi Giudici Amministrativi quello di lasciare all’Amministrazione la “riserva” dell’Amministrazione. E’ questa la soglia in-valicabile per noi Giudici Amministrativi! E’ un dato genetico che ci portiamo appresso. Eppoi gli Avvocati, alla pari dei Giudici, so-no i garanti delle competenze intangibili della PA!

48. Un Giudice siffatto potrebbe essere de-

finito un Giudice naturale? E’ in questo senso che si coglie la centrali-

tà della posizione riservata dalla Costituzione al Giudice Amministrativo, il quale la realiz-za, nel suo ambito territoriale, secondo il principio del Giudice naturale, sotto gli occhi delle Autorità e dei cittadini che vedono, nel-le sentenze rese e nei moniti ivi contenuti, la misura reale della tutela dei singoli nei con-fronti del potere, quasi una Giustizia “sotto la quercia”. Per la verità ribadisco che noi Ma-gistrati, consapevoli del ruolo spettante al GA – come lo sto delineando – oltre che rendere giustizia sotto gli occhi delle Autorità e dei Cittadini, dobbiamo guardare negli occhi le Autorità ed i Cittadini ricorrenti per essere, a nostra volta, guardati negli occhi, attraverso una previa, generalizzata, ricca e penetrante attività istruttoria - non più solo documentale - che, forse, mi si permetta, è mancata finora nel processo amministrativo del GA italiano.

Posso sintetizzare per coloro che legge-ranno queste pagine il suo pensiero? Se sba-glierò mi correggerà.

Lei ha affiancato alla parola Giustizia al-cune connotazioni insolite: Giustizia “a mi-sura” (è quella che serve e che generalmente non si fa);

Giustizia “ a fiuto” ( è inadeguata, ma è la più frequente e la più applicata);

Giustizia “sostanziale” (è quella che ser-ve, ma è poco applicata);

Giustizia “formale” (è quella che domina ed è molto amata e praticata);

Giustizia “sotto la quercia” (è quella del buon senso, che si usa poco perchè ostacola-ta dalla Giustizia “a fiuto” e da quella “for-male”).

Se sono stato brava ed ho interpretato e-saurientemente il suo pensiero e compreso il suo operato,non potrebbe condensare, per me sola, tutti questi concetti in uno slogan, tanto moderno quanto efficace?

Certamente, e potrebbe essere questo: “Non c’è Giustizia senza cuore”!

Questa espressione l’ho copiata, il 7 giu-gno del 2010, all’ospedale Le Molinette di Torino dove ero stato ricoverato per un infar-to. Appresi che in tutte le strutture sanitarie

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del Piemonte, su tutta la documentazione sa-nitaria cartacea (per parecchi milioni di fogli) veniva riportata, in fondo, questa scritta: “Non c’è cura senza cuore”!

Ebbi l’idea, parlando con il Card. Poletto e con illustri Magistrati torinesi, che lo stesso messaggio potesse essere diffuso anche nell’ambiente giudiziario. Non riuscii a farlo! Le osservazioni critiche più comuni, di allora e di oggi, sono queste: “I Giudici non sono né sacerdoti, né medici, né psicologi, né assi-stenti sociali!”

E’ vero, ma io continuo a credere che un cuore ce l’abbiano anche i Magistrati!

Questa esternazione può apparire inoppor-tuna. Mi scusi. Resto convinto, tuttavia, vi-vendo e soffrendo anch’io nella giungla delle normativa e giurisprudenziale, che quando non c’è traccia sicura di un buon percorso de-cisionale, è meglio camminare sospinti dal cuore!

L’intervista potrebbe cessare qui…ma, se mi consente ancora di abusare del suo tempo, dato che abbiamo parlato molto di Legalità e di Giustizia, mi piacerebbe se Lei esponesse una sua personale riflessione sulla crisi so-cio-economica globale nella quale stiamo vi-vendo.

Ho sempre ritenuto necessario ed utile par-lare di legalità, anche se questo termine in questi ultimi anni è stato abusato ed è sulla bocca di tutti. Un tempo, durante la mia gio-vinezza, non si discuteva di legalità, non ce n’era bisogno. Si riteneva che tutti noi italiani fossimo abituati a rispettare le leggi e per questo pensavamo di vivere in un contesto sociale prevalentemente civile ed onesto . La nostra Costituzione garantiva il nostro vivere in comunità e ci dava, come ci dà ancora og-gi, le direttive per l’agire concreto. Chi non rispettava le leggi era perseguito e punito, ad-ditato dall’opinione pubblica come un reo. La nostra coscienza sociale si ribellava agli abusi perpetrati nei confronti dei più deboli e puni-va, con il biasimo collettivo, chi si era infan-gato del reato di appropriazione indebita, spe-cie di denaro pubblico.

Ricordate come Dante Alighieri punisce i corrotti? Le pene tra le più drammatiche e ri-voltanti erano inflitte ai ladri, agli spergiuri, ai falsificatori, a chi usava denaro pubblico

per gestire i propri interessi…. Negli ultimi decenni invece ci siamo ac-

corti che i principii morali del nostro vivere civile e sociale erano cambiati radicalmente, non costituivano più il baluardo della nostra sicurezza, non erano più le basi della nostra vita! Era cambiata la nostra “etica” . Permet-tetemi di far riferimento ad un passaggio trat-to da uno scritto di un giovane filosofo dei nostri tempi, Vito Mancuso, il quale, per spiegare il termine “etica” riprende il voca-bolo greco “ethos” (da cui “etica” ) con il quale i greci si riferivano al costume sociale al il modo di comportarsi recepito da una de-terminata società. Per loro, per i greci antichi cioè, i principi etici erano quelli di una socie-tà buona ed i comportamenti etici erano quelli che una società riteneva positivi per la pace e l’ordine sociale, per il progresso dei cittadini, per l’aumento del benessere di tutti.

Noi spesso intendiamo “etico” ciò che è buono in sé, ciò che va fatto o evitato ad ogni costo ed in ogni caso, a prescindere dai van-taggi personali o sociali che se ne ricavano, ciò che è assolutamente degno dell’uomo cioè ciò che è lecito, legittimo, consentito dalle leggi.

La legalità si fonda su questi principii: mentre l’etica è la dottrina che si interessa degli atteggiamenti di valore dell’uomo, il di-ritto è l’insieme delle norme positive che le società si danno per rispondere a questi impe-rativi profondi e tradurli nella pratica quoti-diana. Da solo, però, il diritto non garantisce un’etica pubblica: esso è un insieme di norme esterne che suppongono un consenso fonda-mentale dei cittadini sui grandi atteggiamenti che regolano i rapporti tra le persone, ad e-sempio il rispetto della vita. E qui subentrano i principi morali, perciò, ancora, dovrò far riferimento al filosofo Mancuso. “La morale va intesa come la forma buona del rapporto con il mio fratello, con colui che desidero ri-conoscere come mio prossimo. Il diritto si ac-contenta di dire: rispetta l’altro, anche l’estraneo, promuovi il bene comune o, alme-no, non danneggiarlo. La morale, invece, di-ce: fatti prossimo, considera ciascuno come membro della tua famiglia, per quanto è pos-sibile.

Diritto e morale non si contrastano, ma si

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Gazzetta Amministrativa -22- Numero 1 - 2015

alleano per creare una società non soltanto vivibile, bensì buona e fraterna. Questo è l’ideale di una comunità a misura di persona umana.

49. E l’illegalità? Può esistere l’illegalità

legale? 50 E’ troppo arduo chiedere ad un Giudice che cosa è, per lui, la spiritualità?

L’illegalità è una componente della crisi, è una manifestazione della crisi, è uno dei suoi aspetti peggiori, tanto gravi da produrre solo disvalori. L’illegalità sembra essere legalizza-ta perché vive e si è diffusa nel contesto ge-nerale, il quale, ispirato dalla illegalità, pro-duce atti che sembrano legali, ma non perse-guono fini morali, non raggiungono il benes-sere etico che dovrebbe essere alla base del nostro vivere sociale!

I Poteri pubblici, a tutti i livelli, il po-tere legislativo, quello esecutivo, quello giu-diziario, sono i primi a non attenersi più ai principi –cardine della nostra società .

Tutti noi siamo coinvolti e viviamo in una situazione di incertezza che è non solo incer-tezza delle norme, ma anche delle azioni e, pessimisticamente, non vediamo via di uscita! E’ utile soffermarci - non è mai troppo - sulla grave crisi socio-economica che stiamo vi-vendo, a dir poco, da 8 anni. Già il ritardo nella presa d’atto, va imputato ai più alti ver-tici dello Stato. Le responsabilità sono cre-scenti, man mano che si sale nella gerarchia dei Poteri.

La crisi socio-economica è stata innescata da fattori finanziari ed economici che hanno svolto il ruolo di miccia. E’ ora acclarata l’inesistenza di molti valori ed il relativo af-fievolimento di quelli sui quali il nostro con-senso sociale ha fondato, per secoli, la sua evoluzione.

Ho una tendenza personale, genetica al pessimismo e tuttavia trovo un possibile ri-svolto positivo nel credere che tutte le attività umane, se ispirate alla solidarietà sociale, possono spegnere l’incendio che ha fatto de-flagare la crisi. Abbiamo urgente bisogno di buoni esempi, per arrivare ad una visione più positiva della nostra realtà.

Bisogna smetterla con i silenzi e con il camuffare la diagnosi della malattia! Dob-

biamo mettere al primo posto la “spirituali-tà” che contraddistingue noi esseri umani.

50. E’ troppo arduo chiedere ad un Giudi-

ce che cosa è, per lui, la spiritualità? Bisogna incominciare a parlare di una

“spiritualità” diversa da quella relegata al so-lo concetto religioso cui ci siamo finora rife-riti. Per fare questo vorrei ricordare alcuni principi espressi in molti suoi libri dal filoso-fo e teologo Vito Mancuso.

La spiritualità cristiana è identica alla spi-ritualità di tutte le altre religioni, nessuna e-sclusa! Se scema la spiritualità, decade la cul-tura di un’epoca.

Chi non vive nella spiritualità, è dominato da sentimenti negativi, come l’invidia, la pau-ra, la rivalità, la vanagloria, la superbia, l’odio!

La sacralità della vita è un baluardo del cattolicesimo, ma lo è anche per tutte le altre Religioni, che la considerano meritevole di rispetto in ogni sua forma. La sacralità della vita consiste nella sacralità della libertà che tutte le Religioni condividono. La spiritualità è un modo di gestire la libertà. Oggi, tuttavia, la nostra libertà è fortemente compromessa, non fosse altro per i condizionamenti che ab-biamo e che subiamo con le nostre azioni.

La libertà umana - che è perciò il presup-posto della spiritualità e della socialità - viene meno quando l’armonia dei valori non esiste più.

L’essenza della vita è l’A.B.G. (Amore - Bene - Giustizia)

Il filosofo Mancuso cita questo principio, l’A.B.G., in tutti i suoi libri, fino alla noia. Non è noia: è vera scienza che fa onore a chi la divulga!

La spiritualità di un essere umano è quindi il modo di gestire la propria libertà, che tutta-via, come dicevo, è fortemente condizionata: ognuno di noi avverte l’esigenza di riferirsi ad una dimensione più grande e più importan-te di quella personale, desidera uscire dal sé, aprirsi al di fuori dell’io.

Se allontaniamo dalla nostra analisi l’idea di religiosità, scopriamo che tutti noi, persone ragionevoli e “spirituali” , riteniamo di essere liberi e di affermare la nostra libertà piena, non condizionata dalle varie sovrastrutture,

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Gazzetta Amministrativa -23- Numero 1 - 2015

solo quando usciamo al di fuori di noi stessi, in una dimensione più grande, vale a dire quando ci apriamo alla società nella quale vi-viamo, ci sveliamo alla collettività alla quale apparteniamo, diventando collaboratori di al-tri al raggiungimento del bene comune.

51. Moltissimi di noi Italiani, che viviamo

nel 2015, siamo convinti che la crisi che stiamo attraversando è prevalen-temente crisi di valori. Lei che ne pen-sa?

Esiste una specificità tutta italiana di una crisi che ha coinvolto tutto il mondo. Noi ita-liani la percepiamo così e diamo una conno-tazione negativa alla parola crisi che vuol di-re, nel suo significato più profondo, “muta-mento, capovolgimento”. Noi italiani siamo così pessimisti nei confronti della risoluzione della crisi, perché siamo stati considerati in tante parti del mondo coloro che riuscivano a risolvere i problemi, di fronte ai quali si bloc-cavano gli altri, con la furbizia , cioè con l’accortezza e l’abilità di chi vuole definire una questione al più presto e nel miglior mo-do possibile. L’intelligenza, l’acume degli ita-liani sembra si sia addormentato: noi non riu-sciamo a trovare un valore - guida comune .Il problema non sono i valori e le manifesta-zioni di questi valori quanto l’armonia che dovrebbe esistere tra le manifestazioni e i va-lori. Faccio l’esempio della corruzione. Esi-stono corrotti in tutto il mondo, ma la corru-zione italiana è additata come la più negativa di quella presente negli altri Paesi, e non solo europei. Così come quando si parla di “furbi-zia” con una connotazione al limite della ille-

galità, si pensa agli italiani “furbi” ! Penso che la causa di tutto questo sia la mancanza di una coscienza comune, di un’idea superiore rispetto all’io ed ai suoi interessi. Questo qualcosa a cui l’io dovrebbe cedere il passo è la “società civile”. Il singolo si comporta verso la società come se essa fosse più impor-tante di lui e al contempo si identifica con es-sa secondo una logica di dipendenza e di i-dentificazione. Viceversa in Italia i più riten-gono che il singolo sia più importante della società e per il bene del singolo si possa de-predare il bene comune della società. Di qui il tipico male italiano che è “la furbizia” che è l’uso distorto dell’intelligenza.

Il furbo è un uomo molto intelligente, che però non ha un oggetto adeguato verso cui ri-volgere la sua intelligenza, non capisce il primato dell’oggettività e rivolge tutte le sue cure su di sé. Al contrario, chi sa usare davve-ro l’intelligenza, capisce che la vita in comu-ne contiene valori più grandi del suo piccolo io e di conseguenza ci si dedica. Un insieme di intelligenti ovviamente è capace di creare un sistema, in questo caso, sociale, quindi un insieme di tutti. Questa è, secondo me, la de-scrizione, in breve, della nostra crisi.

Gli economisti, i finanzieri, danno le loro soluzioni molto ricercate, ma dobbiamo tener conto che, forse, la soluzione di tutti i nostri problemi potrebbe essere proprio il metodo solidale e partecipe!

Forse mi sono dilungata troppo a discute-re,ma soprattutto ad ascoltare il Presidente e, quindi, mi sembra opportuno salutare, ringra-ziare e, magari, rimandare ad un altro incon-tro la discussione su altri argomenti ….

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LO SCIOGLIMENTO DEGLI ENTI LOCALI A CAUSA DI INFILTRAZIONI DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. IL MODELLO ITALIANO del Dott. Giovanni Polcini Tartaglia

Le strategie dirette a colpire ed elidere l’esercizio della "signoria territoriale mafiosa" devono essere consistenti ed importanti: esse vanno quanto mai potenziate. Tra di esse, un ruolo di pri-mario interesse riveste lo scioglimento degli enti pubblici per infiltrazioni mafiose. Il presente contributo attinge dati e notizie dai provvedimenti amministrativi e giurisdizionali adottati nel ns. Paese in applicazione della previsione normativa in argomento, oltre alla Relazione della Com-missione antimafia XVI legislatura, gennaio 2013; ed agli importanti contributi di G. Barbacetto e D. Milosa, Le mani sulla città, Chiarelettere, 2011, E. Ciconte, Politici e malandrini, Rubbetti-no, 2013, Rocco Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove, Donzelli, 2009. Sono stati consultati, al-tresì, gli archivi web de Ilfattoquotidiano.it. La Repubblica, Il Corriere, La Stampa e alcune te-state locali. L’istituto dello scioglimento impedisce che le mafie realizzino una delle più invasive e pericolose pratiche di acquisizione del potere territoriale, rappresentata appunto dall’infiltrazione diretta negli enti che costituiscono le istituzioni più vicine al cittadino ed ai suoi bisogni. L’intervento anti-mafia negli Enti Locali, previsto dalla Legge 221/91, ha valore strate-gico: colpisce il patto illegale e riservato, del quale l’Amministrazione diviene poi subalterna e-secutrice. Quel patto tratta di opere pubbliche, di servizi di ogni tipo, privatizzazioni, forniture, licenze commerciali, utenze irrigue, riscossione di tributi e erogazioni creditizie, prestazioni assi-stenziali, concessioni edilizie, piani regolatori: cioè di campi operativi che sono della sfera pub-blica e molto influenti sull’economia e sulla vita delle popolazioni. L’Ente Locale viene alienato nella sua funzione di anello di base dello stato di diritto; le forze sociali sane risultano umiliate dall’alterazione delle funzioni regolatrici pubbliche e dei mercati delle merci, delle finanze, del lavoro. E’ fattore di comune conoscenza, come è agevole evincere anche dai lavori preparatori della Rognoni – La Torre, così come dal testo stesso dell’art.416 bis del codice penale, che una delle aspirazioni principali della criminalità organizzata è quella del controllo di natura geopoli-tica del territorio, dapprima declinato come antistatale ed oggi, sempre più tendente alla mime-tizzazione nella pubblica amministrazione. Mediante il turpe mercimonio del voto di scambio, la criminalità organizzata penetra negli enti. E’ necessario, pertanto, prevedere ed applicare stru-menti operativi snelli e virtuosi,. In grado di fronteggiare anche detto ultimo livello di sfida delle mafie: lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose non esige né la prova del-la commissione di reati da parte degli amministratori, né che i collegamenti tra l'amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili; sono sufficienti, invece, semplici "e-lementi" (e quindi circostanze di fatto anche se non assurgono al rango di prova piena) di un collegamento e/o dell’influenza tra l'amministrazione ed i gruppi criminali, ovvero è sufficiente che gli elementi raccolti e valutati siano “indicativi” di un condizionamento dell’attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia riconducibile all’influenza esercitata da so-dalizi riconducibili alla criminalità organizzata. Contrariamente a quanto comunemente si ritie-ne, invero, il sistema normativo in commento non ha veste e ratio punitivi nei confronti degli amministratori collusi o condizionabili. Né, tantomeno, attraverso questo nuovo strumento di contrasto si è inteso infliggere una punizione - in via mediata - agli elettori che quel personale politico hanno espresso. La legge, infatti, ha una natura meramente e specificamente preventiva e non repressiva. Peraltro, a ben vedere, il sistema tende a ripristinare il rapporto democratico, riportando la parola agli elettori non appena possibile.

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Accertato il ragionevole rischio di infiltrazioni mafiose, il Governo (non la magistratura, né la Commissione parlamentare antimafia), sulla base di una relazione redatta da un’apposita com-missione d’accesso nominata dal Prefetto territorialmente competente, azzera gli organi politici dell’ente locale. Al loro posto s’insedia una Commissione straordinaria, composta da tre membri di nomina ministeriale. La Commissione – che a dispetto del nome che porta non ha poteri “stra-ordinari”, ma solo quelli che ordinariamente spettano al Sindaco, alla Giunta ed al Consiglio comunale - resta in carica fino ad un massimo di 24 mesi (più l’eventuale periodo che va dalla fine del commissariamento al primo turno elettorale utile). Un volta terminato il periodo di com-missariamento, si torna alle urne per dare una nuova amministrazione alla città. The strategies to hit and elide the exercise of "territorial lordship mafia" must be consistent and important: they are all the more enhanced. Among them, a role of primary interest is the dissolu-tion of public bodies for mafia infiltration. This paper draws on data and information from admin-istrative and judicial measures adopted in ns. Country under the provision of law on the subject, in addition to the Commission Report mafia XVI Legislature, January 2013; and to supporting the contributions of G. and D. Barbacetto Milosa, Hands Over the City, Chiarelettere, 2011 E. Ci-conte, politicians and crooks, Rubbettino, 2013, Rocco Sciarrone, old mafia, new mafia, Donzelli, 2009. They were consulted, also, web archives de Ilfattoquotidiano.it. La Repubblica, Corriere, La Stampa and some local newspapers. The Institute of dissolution prevents mafias realize one of the most invasive and dangerous practices of acquisition of territorial power, represented precise-ly direct infiltration in the bodies that make up the institutions closer to the citizens and their needs. The anti-mafia operation in Local Authorities, pursuant to Law 221/91, has strategic value: striking the deal illegal and confidential, which the Administration then becomes subordinate ex-ecutor. That pact is public works, services of all kinds, privatizations, supplies, business licenses, utilities irrigation, collection of taxes and grants credit, welfare benefits, building permits, zoning: that of operating fields that are of the public sphere and very influential economy and the lives of the people. The local authority is alienated in its function as base ring the rule of law; the healthy social forces are humiliated by the alteration of the regulatory function of public and goods mar-kets, finance, labor. It 'factor of common knowledge, as it is easy to infer also from the history of Rognoni - La Torre, as well as the text itself dell'art.416 bis of the Penal Code, that one of the main aspirations of organized crime is that of the control of nature geopolitics of the area, at first declined as anti-state, and today, more and more tending to camouflage in the public service. By the shameful commercialization of vote trading, organized crime penetrates the bodies. It 'must, therefore, provide for and implement operational tools and slender virtuous ,. Coped also said last level of challenge of the mafia: the dissolution of the municipal council for mafia infiltration re-quires neither proof of the commission of crimes by the directors, or the connections between the administration and the criminal organizations resulting from tests irrefutable; are sufficient, how-ever, simple "elements" (ie facts even if they rise to the rank of full proof) of a link and / or influ-ence between the administration and criminal groups, or simply that the information obtained and assessed to be "indicative" of a conditioning of the administrative bodies and that such condition-ing is due to the influence exerted by associations linked to organized crime. Contrary to popular opinion, indeed, the regulatory system in question does not have the authority and punitive dam-ages against the directors ratio colluding or conditionable. Nor, even less, through this new in-strument of conflict it was intended to impose a punishment - being mediated - voters that the po-litical staff have expressed. The law, in fact, has a purely and specifically preventive rather than punitive. Moreover, in hindsight, the system tends to restore the democratic relationship, bringing the word to the voters as soon as possible. Ascertained the reasonable risk of Mafia infiltration, the Government (not the judiciary, nor the Parliamentary Anti-Mafia Commission), on the basis of a report prepared by a special commission appointed by the prefect Access territorial jurisdic-tion, resets the political organs of the local authority . In their place settles a Special Committee, composed of three members appointed by the Ministry. The Commission - which in spite of its

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name does not have powers "extraordinary", but only those that ordinarily belong to the Mayor, the Executive and the City Council - remains in office up to a maximum of 24 months (plus any period from the end of the first electoral commissioner useful). A following the period of recei-vership, will return to the polls to give a new administration to the city. Sommario: 1. I dati statistici. 2. Inquadramento sistematico. 3. Inquadramento storico. 4. L’istituto giuridico - profili generali. 5. La normativa. 6. La legal opinion della Corte costituzio-nale. 7. La procedura per lo scioglimento. 8. La riforma del cd. “Pacchetto sicurezza”. 9. Casi-stica. 10. L’elaborazione delle proposte di scioglimento, tecnica di redazione della richiesta. 11. Il monitoraggio dell’ente: uno schema di massima. 12. La relazione della commissione di acces-so: contenuti. 13. Prospettive de jure condendo. 14. La giurisprudenza amministrativa.

1. I dati statistici. Dal 1991, da quando è entrata in vigore la

normativa che prevede lo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose, sono stati 258 i Comuni italiani sciolti per mafia, di cui 63 in Sicilia e 195 in altre regioni.

Le regioni interessate dallo scioglimento di enti locali per infiltrazioni mafiose sono al momento 9 (Sicilia, Campania, Calabria, Pu-glia, Basilicata, Lazio, Liguria, Piemonte e Lombardia) quasi la metà nazionale; a guida-re la classifica nera è la Campania seguita da Calabria e poi Sicilia le tre regioni dove sono presenti le tre maggiori organizzazioni crimi-nali italiane (camorra, Cosa nostra, 'ndranghe-ta). Fino ad ora sono stati sciolti solo comuni (tra questi un solo comune capoluogo di pro-vincia è stato sciolto: Reggio Calabria) e quattro aziende sanitarie (Napoli ASL n. 4 Pomigliano d'Arco, Reggio Calabria, Vibo Valentia e Locri).

2.Inquadramento sistematico. L’istituto dello scioglimento ha un caratte-

re del tutto straordinario ed eccezionale; può essere adottato solo nei casi e per i motivi tas-sativamente previsti dalla legge. Secondo la vigente normativa, lo scioglimento è disposto per due ordini di motivi:

- per il compimento di atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti viola-zioni di legge, nonché per gravi motivi di or-dine pubblico, ipotesi quest’ultima che, con-cernendo la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, resta di competenza de-gli organi dello Stato;

- per impossibilità di assicurare il normale funzionamento degli organi e dei servizi, ipo-

tesi tipizzata dalla legge in caso di dimissioni del sindaco, impedimento permanente, rimo-zione, decadenza o decesso dello stesso, di-missioni di oltre la metà (ultra dimidium) dei consiglieri, riduzione del consiglio alla metà dei componenti per impossibilità di surroga, mancata approvazione del bilancio, approva-zione di una mozione di sfiducia.

L’istituto nei suoi profili diversi da quelli del condizionamento mafioso

Allo scioglimento dei consigli per infiltra-zioni e condizionamenti di tipo mafioso la legge riserva autonomo rilievo. Anche questa fattispecie, analogamente a quella dei gravi motivi di ordine pubblico, è riservata alla competenza statale, rientrando nelle funzioni in materia di lotta alla criminalità organizzata.

I consigli comunali vengono sciolti in pri-mo luogo quando compiono atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti viola-zioni di legge nonché per gravi motivi di or-dine pubblico. L’ipotesi di atti contrari alla Costituzione è riconducibile al caso in cui un ente locale manifesta apertamente la volontà di disattendere norme o principi fondamentali che regolano l’ordinamento repubblicano (Ministero dell’interno, circolare 7 giugno 1990, n. 17102/127/1).

Per quanto riguarda la ‘violazione di leg-ge’, solo una violazione che si qualifica per la sua particolare gravità può giustificare un provvedimento lesivo dell’autonomia dell’ente locale (ad. es. violazioni che si ri-flettono direttamente sulle posizioni giuridi-che soggettive dei cittadini, o compromettono la stessa funzionalità dell’ente o la funzionali-tà complessiva del sistema dei pubblici pote-ri).

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La nozione di ‘gravi motivi di ordine pub-blico’ è quella che attiene alla sicurezza e alla quiete pubblica (Corte costituzionale, 23.6 – 11.7.1961, n. 40). Si precisa che, in presenza dei "gravi motivi di ordine pubblico" l'ado-zione dei provvedimenti di scioglimento è ri-servata alla competenza statale.

Si procede allo scioglimento anticipato degli organi anche quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli or-gani e dei servizi per dimissioni, impedimen-to permanente, rimozione, decadenza, deces-so del sindaco; si tratta tuttavia di uno scio-glimento solo formale, finalizzato a consenti-re le nuove elezioni nel primo turno utile, stante che la l. 8.6.1990, n.142 prevede che fino alle nuove elezioni il consiglio e la giun-ta rimangono in carica e le funzioni del sin-daco vengono svolte dal vicesindaco. In caso di successivo impedimento, rimozione o de-cesso del vicesindaco reggente viene, invece, nominato un commissario.

I consigli comunali vengono sciolti anche nel caso di dimissioni di oltre la metà dei consiglieri (ultra dimidium). Le dimissioni ultra dimidium dei consiglieri hanno natura di atto collettivo caratterizzato da un inscindibi-le collegamento tra le volontà dei singoli con-siglieri in funzione dell’obiettivo dello scio-glimento del consiglio (TAR - Campania - Napoli, 29.1.2004, n. 846), ma non per questo possono in alcun modo essere considerate come un atto di natura negoziale (TAR Puglia – Lecce, 18.12.2001, n. 7955).

Ai fini dello scioglimento per riduzione del consiglio alla metà dei componenti per impossibilità di surroga, vanno intesi quali “componenti del consiglio” i consiglieri che fanno attualmente parte del consiglio, non in-vece quelli astrattamente previsti dalla legge. Ciò consente, in carenza di candidature, l’abbassamento del quorum per la costituzio-ne dei consigli comunali (CdS,, Sez. V, 4.6.2003, n. 3082).

Nel caso di mancata approvazione nei ter-mini del bilancio, nel Friuli Venezia Giulia continuano a trovare applicazione gli articoli 36, 80 e 93 del d.lgs. 25.2.1995, n. 77, nel te-sto vigente alla data di entrata in vigore della citata legge regionale. La fattispecie è inoltre disciplinata dall’art. 1 della legge regionale

11.12.2003, n. 21. Tale normativa regionale prevede che, trascorso inutilmente il termine entro il quale il bilancio deve essere approva-to senza che sia stato predisposto dalla giunta comunale il relativo schema, l'Assessore re-gionale competente in materia di autonomie locali nomina un commissario ad acta affin-ché lo predisponga d’ufficio per sottoporlo al consiglio. In tal caso e comunque nel caso in cui il consiglio non abbia approvato nei ter-mini lo schema di bilancio predisposto dalla giunta, l'Assessore regionale assegna al con-siglio un termine non superiore a venti giorni per la sua approvazione, decorso inutilmente il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all'amministrazione inadem-piente. Dalla data del provvedimento sostitu-tivo inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio, che prevede in primo luogo la sospensione dello stesso e la nomina di un commissario da parte dell’Assessore regiona-le per le autonomie locali ed in secondo luogo lo scioglimento dell’ente e la nomina del commissario straordinario, adottato con de-creto del Presidente della Regione. Gli stessi effetti conseguono alla mancata approvazione dei provvedimenti di riequilibrio del bilancio da parte degli enti locali.

Anche l’approvazione di una mozione di sfiducia nei confronti del sindaco determina lo scioglimento del consiglio. In Regione, nel caso di presentazione della mozione di sfidu-cia trova applicazione l’art. 37, co. 2 della l. 8.6.1990, n.142; si precisa che il testo dell’art. 52 del d. lgs. 18.8.2000, n. 267, il quale disciplina la medesima fattispecie, ha recepito la novella introdotta dall'art. 11, co. 5 della l. 3.8.1999, n. 265, con cui si è previsto che la mozione sia sottoscritta da almeno i due quinti dei consiglieri assegnati, senza computare a tal fine il sindaco. Pur sussisten-do un rinvio di carattere “statico” da parte dell’art. 23 della l. reg. 4.7.1997, n. 23 all’art. 37 della l. 142/1990, la novella appare appli-cabile anche nella nostra Regione, in quanto con tale integrazione il legislatore ha inteso interpretare e chiarire un punto controverso, senza innovare la fonte normativa. La mozio-ne deve quindi essere sottoscritta da almeno due quinti dei consiglieri assegnati, senza computare il sindaco. Deve essere discussa

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non prima di dieci giorni e non oltre trenta giorni dalla presentazione e, per essere ap-provata, deve essere votata per appello nomi-nale dalla maggioranza assoluta dei compo-nenti il consiglio. L’istituto della mozione di sfiducia si distingue, quanto agli effetti, da quello delle dimissioni di oltre la metà dei consiglieri assegnati, in quanto la mozione dà vita ad un dibattito in seno al consiglio, al termine del quale chi l’ha proposta può anche cambiare opinione e confermare la sua fidu-cia al sindaco (TAR Puglia - Le, 18.12.2001, n. 7955). Nel caso di un consiglio comunale composto da 16 consiglieri, al fine di rispetta-re il dettato del co. 2 dell'art. 52 del d.lgs. 267/2000 che prevede la sottoscrizione di al-meno due quinti dei consiglieri, il numero di firme necessarie per presentare la mozione di sfiducia è 7 (Direzione centrale relazioni in-ternazionali, comunitarie e autonomie locali - Servizio affari istituzionali e sistema autono-mie locali, 5.4.2005, n. 5658/1.3.16).

Il decreto di scioglimento dell’organo con-siliare deve essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (nel Friuli Venezia Giulia, nel Bol-lettino Ufficiale della Regione) anche al fine di stabilire un termine certo per la sua impu-gnazione (CdS, Sez. V, 21.11.2003, n. 7633). Il decreto conclude il procedimento finalizza-to alla verifica dei presupposti che rendono necessario il rinnovo anticipato degli organi e ne conferisce certezza legale; pertanto, ha na-tura costitutiva e i suoi effetti si producono ex nunc (CdS, Sez. I, par. 13.3.2002, n. 762).

3.Inquadramento storico. Il fenomeno della infiltrazione delle orga-

nizzazioni criminali negli enti locali si mani-festa sempre più complesso e dotato di una preoccupante caratteristica di stabilità ed in-tensità nel tempo.

Il 31 maggio 1991 il Governo italiano e-manò il decreto legge n.164 che introdusse nel nostro ordinamento la possibilità di scio-gliere i Consigli comunali e provinciali e gli organi di altri enti locali per fenomeni di in-filtrazione e di condizionamento di tipo ma-fioso, appena due mesi dopo l’insediamento di Giovanni Falcone (eroe del nostro tempo ucciso nel 1992 da Cosa nostra a Capaci in Sicilia con la moglie e gli agenti di scorta)

come direttore generale degli Affari penali presso il Ministero della Giustizia.

Nel 1991, a Taurianova in Calabria, ven-nero uccise dodici persone: il massacro fu ca-ratterizzato anche da una brutale decapitazio-ne (vi sono notevoli cointeressenze tra dette modalità plateali di affermazione del control-lo del territorio anche mediante violenza, tipi-che di cosa nostra e ‘ndrangheta, e nuove forme di criminalità organizzata anche all’estero: si pensi ad esempio, alla strage di Iguala in Messico. E non è un caso che il Go-verno federale messicano abbia richiesto ca-pacity building all’Italia in subjecta materia).

Il dibattito si incentrò nel nostro Paese (e la stessa cosa si verifica in america centrale) sulle responsabilità della politica locale e, grazie all’amplificazione mediatica data dalla decapitazione di piazza, la strage di Tauria-nova pose all’attenzione di tutti il problema delle ingerenze mafiose nell’ammini-strazione, cosicché la discussione sulle infil-trazioni mafiose negli enti locali, entrò nell’agenda del Governo.

Il Governo dell’epoca emanò il decreto con il quale si prevedeva la possibilità di pro-cedere allo scioglimento dei consigli comuna-li o provinciali sospettati di essere infiltrati o inquinati dalle cosche mafiose.

Per quanto riguarda Taurianova, i motivi che sostanziarono il provvedimento, indicati nella relazione del Ministro dell’Interno al Presidente della Repubblica del 2 agosto 1991, furono:

- collegamenti diretti ed indiretti tra am-ministratori e criminalità organizzata con ca-rattere di continuità sia per la presenza all’interno dell’amministrazione locale di soggetti legati alle famiglie protagoniste della malavita, sia in conseguenza della coesistenza nella medesima persona della qualità di pub-blico amministratore e di esponente di cosca mafiosa;

- presenza, nei posti chiave dell’am-ministrazione comunale, di persone che per relazioni parentali, di affinità e di amicizia, evidenziarono mancanza di autonomia nell’esercizio del mandato rappresentativo ed appalesarono una chiara contiguità tra mala-vita operativa e sistema clientelare;

- deterioramento della situazione generale

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dell’amministrazione, sotto i profili dell’im-parzialità, del buon andamento della pubblica amministrazione, e del regolare funzionamen-to dei servizi, la cui fruizione è peraltro sotto-posta ad un «consolidato sistema di abusi e favoritismi, che impedisce il libero esercizio dei diritti civili»;

- compromissione dello stato della sicu-rezza pubblica, con conseguente sfiducia nel-le istituzioni e diffuso sentimento di insicu-rezza.

La proposta formulata dal Ministro dell’Interno al Presidente della Repubblica venne pienamente accolta e, quali commissari straordinari, furono nominati un magistrato in quiescenza, un ispettore generale del Ministe-ro del Tesoro e un vice prefetto ispettore.

4.L’istituto giuridico - profili generali. L’istituto giuridico dello scioglimento per

mafia, nella storia ordinamentale italiana, rappresenta una rivoluzione copernicana poi-ché offre uno strumento in grado di arginare l´avanzata mafiosa nei tasselli dello Stato più vicini ai cittadini, permeati da amministratori collusi.

La situazione attuale presenta 258 comuni sciolti per mafia a partire dal 1991, anno in cui è entrata in vigore la normativa di riferi-mento, 63 in Sicilia - il 24% del totale - ha riepilogato Alfano, specificando che «attual-mente risultano sciolti 6 comuni in Sicilia, di cui 4 in provincia di Palermo, uno in provin-cia di Catania e uno di Siracusa».

Quando si discorre di infiltrazioni mafiose negli enti pubblici, tenendo conto dello stra-potere economico acquisito dalle organizza-zioni mafiose, la prima domanda che occorre porsi è «perché organizzazioni che fatturano miliardi di euro all’anno, che hanno ramifica-zioni in tutto il globo, si interessino delle scarse risorse di piccoli comuni (spesso in dissesto).

Ciò avviene per la natura stessa delle or-ganizzazioni di tipo mafioso: le cosche mira-no al controllo delle istituzioni al livello più immediato del rapporto tra rappresentanti e rappresentati.

Il paradigma della "mafia imprenditrice" è perciò oggi, di per sé solo, inadatto a spiegare l’interesse mafioso a condizionare l’anda-

mento degli enti locali. è fin troppo evidente che le poche migliaia di euro di un appalto per il rifacimento di una piazzetta di pochi metri quadrati in un paesino di meno di mille anime non rappresentino nulla di fronte agli enormi ricavi del traffico internazionale di stupefacenti.

Ne consegue che l’infiltrazione mafiosa non può essere collocata, se non parzialmen-te, tra le attività proprie dell’impresa mafiosa e che le ragioni del fenomeno vadano ricerca-te altrove.

Un ente locale amministra e governa. E’ in quella sede che vengono rilasciate concessio-ni ed autorizzazioni, che si elaborano i piani strutturali, che si decidono quali sono le prio-rità del territorio. Per quanto piccolo possa essere un ente locale, esso dispone di posti di lavoro, una merce rara, in particolare nelle a-ree economicamente depresse.

Chi controlla l’ente locale potrà decidere delle assunzioni dei lavoratori socialmente u-tili o finanche di quelli a tempo indetermina-to, potrà bandire (e condizionare) i concorsi per l’arruolamento dei vigili urbani, ai quali spetta un ruolo fondamentale nello svolgi-mento dei controlli amministrativi ed in mate-ria urbanistica ed edilizia. Acquisire il con-trollo di un ente locale significa quindi poter-ne gestire in modo discrezionale i poteri, ap-propriandosi di una fondamentale articolazio-ne territoriale che è quella più vicina alle esi-genze del cittadino, anche in termini di sussi-diarietà.

Il controllo degli enti pubblici ha l’ulteriore finalità di ottenere vantaggi per le attività di riciclaggio, come è riscontrabile sia nelle realtà territoriali lontane sia in quelle di origine dei gruppi mafiosi.

5.La normativa. L’art. 15 bis della l. 19.3.1990, n. 55 (in-

trodotto dall’art. 1 del d.l. 31.5.1991 n. 164, convertito con l. 22.7.1991 n. 221, e poi mo-dificato dall’art. 1 della l. 11.1.1994 n. 108) ha previsto lo scioglimento dei consigli co-munali e provinciali, quando «[...] emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità orga-nizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la

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libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni co-munali e provinciali, nonché il regolare fun-zionamento dei servizi alle stesse affidati ov-vero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della si-curezza pubblica».

La norma riportata affianca l’art. 15 della stessa l. n. 55/1990, che, ricollegandosi ai modelli penalistici e di prevenzione, contem-pla la sospensione dei soli amministratori sot-toposti a procedimento penale per il delitto di associazione di tipo mafioso ovvero per i de-litti di favoreggiamento commessi in relazio-ne ad esso e degli amministratori nei cui con-fronti sia stata applicata, ancorché con prov-vedimento non definitivo, una misura di pre-venzione, in quanto indiziati di appartenere a una delle associazioni di cui all’art. 1 della Legge 31 maggio 1965, n. 575. In effetti, l’art. 15 (poi trasfuso nell’art. 59 del TUEL - d. lgs. 18.8.2000, n. 267) è stato formulato per garantire il corretto funzionamento degli organi elettivi, dei quali è stata assicurata la sopravvivenza, essendo prevista soltanto la sospensione degli amministratori collegati al-la criminalità organizzata.

Viceversa, l’art. 15 bis rappresenta la e-xtrema ratio, cui l’ordinamento ha ritenuto di dover ricorrere, quando la sospensione degli amministratori collusi non sarebbe sufficiente a salvaguardare l’amministrazione pubblica, di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata.

Si tratta, pertanto, di una misura di caratte-re straordinario, introdotta per fronteggiare un’emergenza straordinaria, da cui è derivata la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere probabile, nella concreta realtà e in base ai dati dell’esperienza, l’eventuale soggezione degli amministratori alla crimina-lità organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni.

Lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazione mafiosa costituisce, pertanto, l’atto più rilevante attraverso il quale lo Stato interviene in situazioni di illegalità e degrado amministrativo.

Lo scioglimento delle amministrazioni lo-

cali in relazione al fenomeno delle infiltra-zioni mafiose, introdotto nel ns ordinamento nel 1991 (d.l. n. 164 del 1991) ed oggetto di numerose modifiche nel corso degli anni, è ora compiutamente disciplinato negli articoli da 143 a 146 del testo unico degli enti locali di cui al d. lgs. n. 267 del 2000.

Siamo in presenza di una misura di caratte-re sanzionatorio di carattere straordinario, in quanto ha come diretti destinatari gli organi elettivi, e quindi incide direttamente sull’autonomia degli enti locali.

In base all’art. 143, lo scioglimento è di-sposto con decreto del Presidente della Re-pubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, previa deliberazione del consi-glio dei ministri, al termine di un complesso procedimento di accertamento, effettuato dal prefetto competente per territorio attraverso un’apposta commissione di indagine. Condi-zione dello scioglimento è l’esistenza di ele-menti “concreti, univoci e rilevanti” su col-legamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso degli amministratori locali (sin-daci, presidenti delle province e delle comu-nità montane, consiglieri comunali e provin-ciali e delle comunità montane etc) ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da incidere negativamente sulla funzionalità de-gli organi elettivi.

Si tratta di un atto di alta amministrazione, e come tale caratterizzato da un’ampia di-screzionalità. Per giungere allo scioglimento non è necessario che siano stati commessi re-ati perseguibili penalmente oppure che possa-no essere disposte misure di prevenzione, es-sendo sufficiente che emerga una possibile soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata. Gli indizi raccolti de-vono essere documentati, concordanti tra loro e davvero indicativi dell’influenza della cri-minalità organizzata sull’amministrazione, anche a prescindere dalla prova rigorosa dell’accertata volontà degli amministratori di assecondare le richieste della criminalità.

L’attività di indagine può avere oggetto anche il comportamento dell’apparato buro-cratico (segretario comunale, dirigenti, di-pendenti) in ragione delle rilevanti responsa-bilità e competenze attribuite alla burocrazia locale dalla legislazione vigente. Se emergo-

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no elementi di collegamento con la criminali-tà mafiosa, il prefetto è tenuto a trasmettere al Ministero dell’Interno una relazione con l’indicazione dei provvedimenti necessari (inclusa la sospensione/destituzione dall’impiego dei dipendenti coinvolti) anche se non sussistono i presupposti per lo scio-glimento dell’organo elettivo. Nella relazione sono indicati altresì gli appalti, contratti e servizi interessati dai fenomeni di interferen-za mafiosa. La relazione deve essere inviata anche all’autorità giudiziaria ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione.

In caso di urgente necessità, il prefetto può disporre la sospensione temporanea dalla ca-rica e la nomina di un commissario straordi-nario.

Il decreto di scioglimento, con validità dai 12 ai 18 mesi (prorogabili a 24 mesi) deter-mina la cessazione dalla carica di tutti i titola-ri di cariche elettive nonchè la risoluzione di tutti gli incarichi ai dirigenti e consulenti no-minati dagli organi sciolti (salvo diversa scel-ta del commissario straordinario). Per le pri-me elezioni che si tengono dopo lo sciogli-mento non sono candidabili gli amministrato-ri responsabili, previa dichiarazione del tribu-nale civile, cui il Ministro dell’interno tra-smette la proposta di scioglimento.

Con il decreto di scioglimento è nominata una commissione straordinaria per la gestione dell’ente, con il supporto del Ministero dell’Interno (art. 144); la commissione dovrà predisporre un piano di interventi prioritari e procedere ad una verifica puntuale di appalti e concessioni (art. 145). Il prefetto può di-sporre l’assegnazione temporanea di persona-le amministrativo e tecnico. Sono dettate norme speciali per consentire agevolare il ri-sanamento dell’ente e la sua stabilità finan-ziaria (vedi l’art. 145 bis e le disposizioni contenute nella legge finanziaria per il 2007 e nella legge di stabilità 2011).

Art. 143. Scioglimento dei consigli co-

munali e provinciali conseguente a feno-meni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti.

1. Fuori dai casi previsti dall’art. 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti

quando, anche a seguito di accertamenti effet-tuati a norma dell’art. 59, co. 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su col-legamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’art. 77, co. 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedi-mento di formazione della volontà degli or-gani elettivi ed amministrativi e da compro-mettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.

2. Al fine di verificare la sussistenza degli elementi di cui al co. 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al diret-tore generale, ai dirigenti ed ai dipendenti dell’ente locale, il prefetto competente per territorio dispone ogni opportuno accertamen-to, di norma promuovendo l’accesso presso l’ente interessato. In tal caso, il prefetto no-mina una commissione d’indagine, composta da tre funzionari della pubblica amministra-zione, attraverso la quale esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell’interno ai sensi dell’art. 2, co. 2 quater, del d.l. 29.10.1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla l. 30.12.1991, n. 410. Entro tre mesi dalla data di accesso, rinnovabili una volta per un ulte-riore periodo massimo di tre mesi, la com-missione termina gli accertamenti e rassegna al prefetto le proprie conclusioni.

3. Entro il termine di quarantacinque gior-ni dal deposito delle conclusioni della com-missione d’indagine, ovvero quando abbia comunque diversamente acquisito gli elemen-ti di cui al co. 1 ovvero in ordine alla sussi-stenza di forme di condizionamento degli or-gani amministrativi ed elettivi, il prefetto, sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica integrato con la parteci-pazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell’interno una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli ele-menti di cui al co. 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore

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generale, ai dirigenti e ai dipendenti dell’ente locale. Nella relazione sono, altresì, indicati gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una con-dotta antigiuridica. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti di cui al presente articolo o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto può richiede-re preventivamente informazioni al procura-tore della Repubblica competente, il quale, in deroga all’articolo 329 del codice di procedu-ra penale, comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento.

4. Lo scioglimento di cui al co. 1 è dispo-sto con decreto del Presidente della Repub-blica, su proposta del Ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei mini-stri entro tre mesi dalla trasmissione della re-lazione di cui al co. 3, ed è immediatamente trasmesso alle Camere. Nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico; la proposta indica, altre-sì, gli amministratori ritenuti responsabili del-le condotte che hanno dato causa allo scio-glimento. Lo scioglimento del consiglio co-munale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di pre-sidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico co-munque connesso alle cariche ricoperte, an-che se diversamente disposto dalle leggi vi-genti in materia di ordinamento e funziona-mento degli organi predetti.

5. Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al co. 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell’ente locale, con decreto del Ministro dell’interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni prov-vedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla norma-lità la vita amministrativa dell’ente, ivi inclu-sa la sospensione dall’impiego del dipenden-

te, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell’autorità competente.

6. A decorrere dalla data di pubblicazione del decreto di scioglimento sono risolti di di-ritto gli incarichi di cui all’articolo 110, non-ché gli incarichi di revisore dei conti e i rap-porti di consulenza e di collaborazione coor-dinata e continuativa che non siano stati rin-novati dalla commissione straordinaria di cui all’art. 144 entro quarantacinque giorni dal suo insediamento.

7. Nel caso in cui non sussistano i presup-posti per lo scioglimento o l’adozione di altri provvedimenti di cui al co. 5, il Ministro dell’interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al co. 3, emana comun-que un decreto di conclusione del procedi-mento in cui dà conto degli esiti dell’attività di accertamento. Le modalità di pubblicazio-ne dei provvedimenti emessi in caso di insus-sistenza dei presupposti per la proposta di scioglimento sono disciplinate dal Ministro dell’interno con proprio decreto.

8. Se dalla relazione prefettizia emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su col-legamenti tra singoli amministratori e la cri-minalità organizzata di tipo mafioso, il Mini-stro dell’interno trasmette la relazione di cui al co. 3 all’autorità giudiziaria competente per territorio, ai fini dell’applicazione delle misu-re di prevenzione previste nei confronti dei soggetti di cui all’art. 1 della l. 31.5.1965, n. 575.

9. Il decreto di scioglimento è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Al decreto sono al-legate la proposta del Ministro dell’interno e la relazione del prefetto, salvo che il Consi-glio dei ministri disponga di mantenere la ri-servatezza su parti della proposta o della rela-zione nei casi in cui lo ritenga strettamente necessario.

10. Il decreto di scioglimento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici mesi a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, dan-done comunicazione alle Commissioni par-lamentari competenti, al fine di assicurare il regolare funzionamento dei servizi affidati al-le amministrazioni, nel rispetto dei princìpi di

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imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa. Le elezioni degli organi sciolti ai sensi del presente articolo si svolgo-no in occasione del turno annuale ordinario di cui all’art. 1 della l. 7.6.1991, n. 182, e suc-cessive modificazioni. Nel caso in cui la sca-denza della durata dello scioglimento cada nel secondo semestre dell’anno, le elezioni si svolgono in un turno straordinario da tenersi in una domenica compresa tra il 15 ottobre e il 15 dicembre. La data delle elezioni è fissata ai sensi dell’ articolo 3 della citata legge n. 182 del 1991, e successive modificazioni. L’eventuale provvedimento di proroga della durata dello scioglimento è adottato non oltre il cinquantesimo giorno antecedente alla data di scadenza della durata dello scioglimento stesso, osservando le procedure e le modalità stabilite nel co. 4.

11. Fatta salva ogni altra misura interditti-va ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere can-didati alle elezioni regionali, provinciali, co-munali e circoscrizionali, che si svolgono nel-la regione nel cui territorio si trova l’ente in-teressato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scio-glimento stesso, qualora la loro incandidabili-tà sia dichiarata con provvedimento definiti-vo.

Ai fini della dichiarazione d’incandida-bilità il Ministro dell’interno invia senza ri-tardo la proposta di scioglimento di cui al co. 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al co. 1 con riferimento agli amministratori in-dicati nella proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al li-bro IV, titolo II, capo VI, del codice di proce-dura civile.

12. Quando ricorrono motivi di urgente necessità, il prefetto, in attesa del decreto di scioglimento, sospende gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad es-sa connesso, assicurando la provvisoria am-ministrazione dell’ente mediante invio di commissari. La sospensione non può eccede-re la durata di sessanta giorni e il termine del decreto di cui al co. 10 decorre dalla data del

provvedimento di sospensione. 13. Si fa luogo comunque allo scioglimen-

to degli organi, a norma del presente articolo, quando sussistono le condizioni indicate nel co. 1, ancorché ricorrano le situazioni previ-ste dall’art. 141.

Art. 144. Commissione straordinaria e

Comitato di sostegno e monitoraggio. 1. Con il decreto di scioglimento di cui

all'art. 143 è nominata una commissione stra-ordinaria per la gestione dell'ente, la quale e-sercita le attribuzioni che le sono conferite con il decreto stesso. La commissione è com-posta di tre membri scelti tra funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magi-strati della giurisdizione ordinaria o ammini-strativa in quiescenza. La commissione rima-ne in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile.

2. Presso il Ministero dell'interno è istitui-to, con personale della amministrazione, un comitato di sostegno e di monitoraggio dell'a-zione delle commissioni straordinarie di cui al co. 1 e dei comuni riportati a gestione ordi-naria.

3. Con decreto del Ministro dell'interno, adottato a norma dell'art. 17, co. 3, della l. 23.8.1988, n. 400, sono determinate le moda-lità di organizzazione e funzionamento della commissione straordinaria per l'esercizio del-le attribuzioni ad essa conferite, le modalità di pubblicizzazione degli atti adottati dalla commissione stessa, nonché le modalità di organizzazione e funzionamento del comitato di cui al co. 2.

Art. 145. Gestione straordinaria. 1. Quando in relazione alle situazioni indi-

cate nel co. 1 dell'articolo 143 sussiste la ne-cessità di assicurare il regolare funzionamen-to dei servizi degli enti nei cui confronti è sta-to disposto lo scioglimento, il prefetto, su ri-chiesta della commissione straordinaria di cui al co. 1 dell'articolo 144, può disporre, anche in deroga alle norme vigenti, l'assegnazione in via temporanea, in posizione di comando o distacco, di personale amministrativo e tecni-co di amministrazioni ed enti pubblici, previa intesa con gli stessi, ove occorra anche in po-sizione di sovraordinazione. Al personale as-

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segnato spetta un compenso mensile lordo proporzionato alle prestazioni da rendere, stabilito dal prefetto in misura non superiore al 50% del compenso spettante a ciascuno dei componenti della commissione straordinaria, nonché, ove dovuto, il trattamento economico di missione stabilito dalla legge per i dipen-denti dello Stato in relazione alla qualifica funzionale posseduta nell'amministrazione di appartenenza. Tali competenze sono a carico dello Stato e sono corrisposte dalla prefettura, sulla base di idonea documentazione giustifi-cativa, sugli accreditamenti emessi, in deroga alle vigenti disposizioni di legge, dal Ministe-ro dell'interno. La prefettura, in caso di ritar-do nell'emissione degli accreditamenti è auto-rizzata a prelevare le somme occorrenti sui fondi in genere della contabilità speciale. Per il personale non dipendente dalle amministra-zioni centrali o periferiche dello Stato, la pre-fettura provvede al rimborso al datore di lavo-ro dello stipendio lordo, per la parte propor-zionalmente corrispondente alla durata delle prestazioni rese. Agli oneri derivanti dalla presente disposizione si provvede con una quota parte del 10% delle somme di denaro confiscate ai sensi della l. 31.5.1965, n. 575, e successive modificazioni, nonché del ricavato delle vendite disposte a norma dell'art. 4, coo. 4 e 6, del d.l. 14.6.1989, n. 230, convertito, con modificazioni, dalla l. 4.8.1989, n. 282, relative ai beni mobili o immobili ed ai beni costituiti in azienda confiscati ai sensi della medesima legge n. 575 del 1965. Alla sca-denza del periodo di assegnazione, la com-missione straordinaria potrà rilasciare, sulla base della valutazione dell'attività prestata dal personale assegnato, apposita certificazione di lodevole servizio che costituisce titolo va-lutabile ai fini della progressione di carriera e nei concorsi interni e pubblici nelle ammini-strazioni dello Stato, delle regioni e degli enti locali.

2. Per far fronte a situazioni di gravi dis-servizi e per avviare la sollecita realizzazione di opere pubbliche indifferibili, la commis-sione straordinaria di cui al co. 1 dell'art. 144, entro il termine di sessanta giorni dall'inse-diamento, adotta un piano di priorità degli in-terventi, anche con riferimento a progetti già approvati e non eseguiti. Gli atti relativi de-

vono essere nuovamente approvati dalla commissione straordinaria. La relativa delibe-razione, esecutiva a norma di legge, è inviata entro dieci giorni al prefetto il quale, sentito il comitato provinciale della pubblica ammini-strazione opportunamente integrato con i rap-presentanti di uffici tecnici delle amministra-zioni statali, regionali o locali, trasmette gli atti all'amministrazione regionale territorial-mente competente per il tramite del commis-sario del Governo, o alla Cassa depositi e pre-stiti, che provvedono alla dichiarazione di priorità di accesso ai contributi e finanzia-menti a carico degli stanziamenti comunque destinati agli investimenti degli enti locali. Le disposizioni del presente co. si applicano ai predetti enti anche in deroga alla disciplina sugli enti locali dissestati, limitatamente agli importi totalmente ammortizzabili con con-tributi statali o regionali ad essi effettivamen-te assegnati.

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, a far tempo dalla data di insedia-mento degli organi e fino alla scadenza del mandato elettivo, anche alle amministrazioni comunali e provinciali, i cui organi siano rin-novati al termine del periodo di scioglimento disposto ai sensi del co. 1 dell'art. 143.

4. Nei casi in cui lo scioglimento è dispo-sto anche con riferimento a situazioni di infil-trazione o di condizionamento di tipo mafio-so, connesse all'aggiudicazione di appalti di opere o di lavori pubblici o di pubbliche for-niture, ovvero l'affidamento in concessione di servizi pubblici locali, la commissione straor-dinaria di cui al co. 1 dell'art. 144 procede al-le necessarie verifiche con i poteri del colle-gio degli ispettori di cui all'articolo 14 del d.l. 13.5.1991, n. 152, convertito, con modifica-zioni, dalla l. 12.5.1991, n. 203. A conclusio-ne degli accertamenti, la commissione straor-dinaria adotta tutti i provvedimenti ritenuti necessari e può disporre d'autorità la revoca delle deliberazioni già adottate, in qualunque momento e fase della procedura contrattuale, o la rescissione del contratto già concluso.

5. Ferme restando le forme di partecipa-zione popolare previste dagli statuti in attua-zione dell'art. 8, co. 3, la commissione straor-dinaria di cui al co. 1 dell'art. 144, allo scopo di acquisire ogni utile elemento di conoscen-

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za e valutazione in ordine a rilevanti questioni di interesse generale si avvale, anche median-te forme di consultazione diretta, dell'apporto di rappresentanti delle forze politiche in am-bito locale, dell'Anci, dell'Upi, delle organiz-zazioni di volontariato e di altri organismi lo-cali particolarmente interessati alle questioni da trattare.

Articolo 145 bis. Gestione finanziaria. 1. Per i comuni con popolazione inferiore

a 20.000 abitanti i cui organi consiliari sono stati sciolti ai sensi dell'articolo 143, su ri-chiesta della Commissione straordinaria di cui al co. 1 dell'art. 144, il Ministero dell'in-terno provvede all'anticipazione di un importo calcolato secondo i criteri di cui al co. 2 del presente articolo. L'anticipazione è subordina-ta all'approvazione di un piano di risanamento della situazione finanziaria, predisposto con le stesse modalità previste per gli enti in stato di dissesto finanziario dalle norme vigenti. Il piano è predisposto dalla Commissione stra-ordinaria ed è approvato con decreto del Mi-nistro dell'interno, su parere della Commis-sione per la finanza e gli organici degli enti locali, di cui all'art. 155.

2. L'importo dell'anticipazione di cui al co. 1 è pari all'importo dei residui attivi derivanti dal titolo primo e dal titolo terzo dell'entrata, come risultanti dall'ultimo rendiconto appro-vato, sino ad un limite massimo determinato in misura pari a cinque annualità dei trasferi-menti erariali correnti e della quota di com-partecipazione al gettito dell'IRPEF, e calco-lato in base agli importi spettanti al singolo comune per l'anno nel quale perviene la ri-chiesta. Dall'anticipazione spettante sono de-tratti gli importi già corrisposti a titolo di tra-sferimenti o di compartecipazione al gettito dell'IRPEF per l'esercizio in corso. A decorre-re dall'esercizio successivo il Ministero dell'interno provvederà, in relazione al con-fronto tra l'anticipazione attribuita e gli im-porti annualmente spettanti a titolo di trasfe-rimenti correnti e di compartecipazione al gettito dell'IRPEF, ad effettuare le compensa-zioni e determinare gli eventuali conguagli sino al completo recupero dell'anticipazione medesima.

3. L'organo di revisione dell'ente locale è

tenuto a vigilare sull'attuazione del piano di risanamento, segnalando alla Commissione straordinaria o all'amministrazione successi-vamente subentrata le difficoltà riscontrate e gli eventuali scostamenti dagli obiettivi. Il mancato svolgimento di tali compiti da parte dell'organo di revisione è considerato grave inadempimento.

4. Il finanziamento dell'anticipazione di cui al co. 1 avviene con contestuale decurta-zione dei trasferimenti erariali agli enti locali e le somme versate dall'ente sciolto ai sensi dell'art. 143 affluiscono ai trasferimenti era-riali dell'anno successivo e sono assegnate nella stessa misura della detrazione. Le moda-lità di versamento dell'annualità sono indicate dal Ministero dell'interno all'ente locale se-condo le norme vigenti.

Articolo 146. Norma finale. 1. Le disposizioni di cui agli artt. 143, 144,

145 si applicano anche agli altri enti locali di cui all'articolo 2, co. 1, nonché ai consorzi di comuni e province, agli organi comunque de-nominati delle aziende sanitarie locali ed o-spedaliere, alle aziende speciali dei comuni e delle province e ai consigli circoscrizionali, in quanto compatibili con i relativi ordinamenti.

2. Il Ministro dell'interno presenta al Par-lamento una relazione annuale sull'attività svolta dalla gestione straordinaria dei singoli comuni.

La normativa si è concretamente rivelata un valido strumento di contrasto delle infil-trazioni e dei condizionamenti mafiosi, capa-ce di intervenire anche dove è impossibile per la Magistratura, non richiedendo né la prova di commissione di reati né che i collegamenti tra le amministrazioni e le organizzazioni ri-sultino da prove inconfutabili. Sono, infatti, sufficienti semplici elementi e circostanze di fatto rivelatrici di un collegamento o di influ-enza tra l’amministrazione e i sodalizi crimi-nali.

La legge ha così consentito di intervenire nei confronti di enti locali caratterizzati da dissesti finanziari, da assenza di piani regola-tori, da inefficienza dei servizi di polizia mu-nicipale, da rifiuti abbandonati per la man-canza di raccolta, dall’assegnazione di appalti a "uomini d’onore", da dilagante abusivismo

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edilizio che non risparmia nemmeno il suolo demaniale, da personale assunto in maniera clientelare e senza selezione di merito, da as-sistenza sanitaria quasi inesistente e degrada-ta, da scuole in rovina, strade dissestate, cimi-teri abbandonati.

Le norme in materia di scioglimento degli enti locali hanno carattere "extrapenale". La loro applicazione, pertanto, non consegue ne-cessariamente a vicende di carattere penale. Inoltre, da un provvedimento di scioglimento non derivano inevitabilmente conseguenze giudiziarie. In particolare, l’analisi dei prov-vedimenti finora adottati in Italia evidenzia come gli elementi posti a base delle motiva-zioni di scioglimento non esitano necessaria-mente in un procedimento penale.

La funzione di prevenzione e di difesa so-ciale da fenomeni di criminalità organizzata, propria degli scioglimenti, trova conferma in una sentenza del Consiglio di Stato (n. 4467 del 2004), ove si evidenzia che: «[...] la ratio sottesa allo scioglimento dei consigli comu-nali per infiltrazioni della criminalità orga-nizzata è da collegare a un istituto di natura preventiva e cautelare inteso ad evitare che gli indizi raccolti in ordine all’esistenza di un’infiltrazione della criminalità organizzata possano compromettere il regolare e legitti-mo andamento della cosa pubblica. Essa non risponde, quindi, alle regole ordinamentali tendenti a stroncare la commissione di illeci-ti, ma si inquadra piuttosto nel sistema pre-ventivo del controllo generale riservato allo Stato in ordine a fatti che, per consistenza ed effettività, si reputano idonei a determinare uno sviamento dell’interesse pubblico […]».

In precedenza, con un’altra pronuncia (sentenza n. 3386 del 2002), il Consiglio di Stato aveva evidenziato che il provvedimento di rigore rientra nel "delicatissimo esercizio di un potere politico-amministrativo posto a tutela delle libertà democratiche dei cittadini, in situazioni in cui la presenza della crimina-lità organizzata consente al legislatore di di-segnare istituti di eccezione rispetto al qua-dro ordinamentale". Affinché non si abbiano arbitri, la decisione deve fondarsi su fatti e circostanze plausibili che non è necessario che "… assumano la consistenza di prove in senso tecnico giuridico, né che assumano i

connotati che legittimano l’applicazione di misure di prevenzione previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575". è sufficiente che di-pingano un quadro di interferenza con la libe-ra determinazione degli organi di autogover-no locale, ricollegabile all’esistenza di accer-tati fenomeni di criminalità organizzata ra-gionevolmente riconducibili agli esponenti politici locali.

La legge ora guarda con molta attenzione anche all'apparato burocratico dell'ente (diri-genti, personale dipendente) infatti a tal fine il co. 5 dell'art. 143 del d.lgs. 267/2000 pre-vede: anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al co. 1 (cioè collegamenti o condizionamenti da parte della criminalità organizzata) con rife-rimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipen-denti a qualunque titolo dell’ente locale, con decreto del ministro dell’Interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiu-dizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente, ivi inclusa la so-spensione dall’impiego del dipendente, ovve-ro la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedi-mento disciplinare da parte del’autorità com-petente. Il co. 7 dell'art. 143 d.lgs 267/2000 prevede inoltre che in caso di verifica negati-va dei presupposti di legge per disporre lo scioglimento il ministro dell'Interno debba comunque emanare un decreto di conclusione del procedimento.

6. La legal opinion della Corte Costi-

tuzionale. La legge dopo appena due anni dalla sua

nascita fu sottoposta a un giudizio di legitti-mità costituzionale; infatti il TAR del Lazio con ordinanza rimise la questione alla Corte Costituzionale, in seguito a un ricorso presen-tato dinanzi allo stesso tar da parte di ammi-nistratori locali di due comuni sciolti per ma-fia Trabia e Sant'Andrea Apostolo dello Jonio (i due decreti di scioglimento vennero poi an-nullati dai giudici amministrativi). Il tar rite-neva che la legge fosse incostituzionale per violazione degli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97, 113,

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125 e 128 della Costituzione, in quanto tra le altre cose consentiva che lo scioglimento po-tesse intervenire anche se c'erano elementi probatori fragili a differenza di ciò che viene richiesto per provare la responsabilità penale di un amministratore oppure sottoporre lo stesso a misure di prevenzione; la legge con-sentiva altresì di sciogliere l'intero consiglio comunale o provinciale anche se la responsa-bilità era di qualche amministratore; il TAR contestava anche la violazione del diritto di elettorato attivo e passivo. Ma la Corte re-spinse tutte le questioni di legittimità costitu-zionale (sentenza n. 103/1993) dichiarandole alcune infondate e alcune inammissibili e re-spinse anche la questione posta dall'Avvoca-tura dello Stato (peraltro già respinta dal TAR del Lazio nel ricorso principale), circa la na-tura di atti politici dei decreti presidenziali di scioglimento (che non avrebbe dato la possi-bilità a questi decreti di essere sottoposti a un sindacato giurisdizionale in quanto gli atti po-litici indicano solo i fini e gli obiettivi dell'or-dinamento come ad esempio le sentenze della corte costituzionale quindi non sono suscetti-bili di una valutazione da parte del giudice), dichiarandola inammissibile.

Questa sentenza rappresenta tuttora un faro specie per la Giurisprudenza amministrativa quando deve decidere circa i ricorsi presentati contro i decreti di scioglimento.

In tale occasione, il Giudice delle leggi ha individuato i seguenti punti qualificanti dell'impianto normativo:

a - Sindacabilità degli atti impugnati. E’ stata esclusa la natura politica degli atti

di scioglimento dei consigli comunali e pro-vinciali, dei quali è stata riconosciuta la sin-dacabilità da parte del giudice amministrati-vo.

b - Obiettività e coerenza del potere di scioglimento.

E’ stato sottolineato che “la disposizione impugnata è ... formulata in modo da assicu-rare il rispetto dei principi che si assumono violati, e contiene in sé tutti gli elementi ido-nei a garantire obiettività e coerenza nell'e-sercizio dello straordinario potere di sciogli-mento degli organi elettivi conferito all'auto-

rità amministrativa. Quel potere è previsto nella ricorrenza di talune situazioni, fra loro alternative, quali a) i collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la crimina-lità organizzata, b) le forme di condiziona-mento degli amministratori, ma sempre che risulti che l'una o l'altra situazione compro-mettano la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle ammini-strazioni comunali e provinciali nonché il re-golare funzionamento dei servizi loro affidati, ovvero quando il suddetto collegamento o le suddette forme di condizionamento risultino "tali da arrecare grave e perdurante pregiu-dizio per lo stato della sicurezza pubblica".

c - Necessità di una motivazione adegua-ta.

E’ stato altresì affermato che “È ... la stessa prevista connessione tra situazione emersa ed evenienza pregiudizievole ad esi-gere, nella motivazione del provvedimento, la dimostrazione che, muovendo dalla accertata constatazione della sussistenza di una delle due situazioni anzidette, possano farsi risali-re ad essa quella compromissione o quel pre-giudizio cui il legislatore ha inteso ovviare nel prevedere la misura. Un obbligo, quello della adeguatezza della motivazione, che, an-che prima di essere espressamente previsto in via generale dall'art. 3 della legge n. 241 del 1990, era già imposto dalla costante giuri-sprudenza amministrativa in modo rigoroso per gli atti amministrativi - come quelli previ-sti dalla disposizione impugnata - restrittivi della sfera giuridica dei destinatari. Si è di-fatti sempre affermato il principio che in que-sto particolare tipo di atti si debba adegua-tamente dar conto della sussistenza dei pre-supposti di fatto, del nesso logico fra questi e le determinazioni che, muovendo da essi, vengono adottate, della congruità dei sacrifi-ci operati in relazione alle finalità da perse-guire” .

d - Necessità della presenza di situazioni di fatto evidenti.

Nel richiamare la circolare del Ministero dell’Interno n. 7102 M/6 del 25.6.1991, la Corte ha poi rilevato che anche secondo l’autorità amministrativa la norma rende pos-

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sibile “lo straordinario potere di scioglimen-to solo in presenza di situazioni di fatto evi-denti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette degli or-gani elettivi con la criminalità organizzata, sì da rendere pregiudizievole per i legittimi in-teressi delle comunità locali il permanere di quegli organi alla guida degli enti esponen-ziali di esse”.

e - Natura sanzionatoria e preventiva

dell’intervento. La Corte ha evidenziato altresì che “Si è

in presenza perciò di una misura di carattere sanzionatorio, che ha come diretti destinatari gli organi elettivi, anche se caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione sociale per la sua ricaduta sulle comunità locali che la leg-ge intende sottrarre, nel loro complesso, all'influenza della criminalità organizzata. Una misura di carattere straordinario, dun-que, rigorosamente ancorata alle finalità e-nunciate nel titolo della l. 22.7.1991, n. 221, di conversione del d.l. 31.5.1991, n. 164 che la qualifica come "misura urgente .. conse-guente ai fenomeni di infiltrazione e di condi-zionamento di tipo mafioso". Tale qualifica-zione, collegando la misura ad una emergen-za straordinaria, attribuisce a quell'emergen-za il valore di limite e di misura del potere, esercitabile perciò solo nei luoghi e fino a quando si manifesti tale straordinario feno-meno eversivo”.

f - Ragioni di urgenza che giustificano la

mancanza di contraddittorio. La Corte ha osservato poi che la mancan-

za del contraddittorio nelle ipotesi di sciogli-mento “appare giustificata dalla loro pecu-liarità, essendo quelle misure caratterizzate dal fatto di costituire la reazione dell'ordi-namento alle ipotesi di attentato all'ordine ed alla sicurezza pubblica. Una evenienza dun-que che esige interventi rapidi e decisi, il che esclude che possa ravvisarsi l'asserito con-trasto con l'art. 97 della Costituzione, dato che la disciplina del procedimento ammini-strativo è rimessa alla discrezionalità del le-gislatore nei limiti della ragionevolezza e del rispetto degli altri principi costituzionali, fra

i quali, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 23 del 1978; ord. n. 503 del 1987), non è compreso quello del "giusto procedimento" amministrativo, dato che la tutela delle situazioni soggettive è comunque assicurata in sede giurisdizionale dagli artt. 24 e 113 della Costituzione”.

g - L’esercizio di potere discrezionale ed il sindacato giurisdizionale.

La Corte ha riconosciuto che l’autorità che deve provvedere è dotata di poteri latamente discrezionali, in presenza dei quali “la garan-zia della tutela giurisdizionale appare suffi-cientemente assicurata dalla possibilità, per il giudice amministrativo, di verificare la sus-sistenza degli elementi di fatto - "precisi", se-condo quanto affermato nella citata circolare del Ministero dell'Interno - quali vengono as-seriti nella motivazione, che all'uopo deve es-sere fornita dall'organo che emana il provve-dimento di scioglimento, nonché di valutare, sotto il profilo della logicità, il significato at-tribuito agli elementi di fatto su cui ci si fon-di, e l'iter seguito per pervenire a certe con-clusioni. Del resto, la consistenza fattuale degli "elementi" su cui le misure di sciogli-mento devono essere fondate si accentua ul-teriormente in rapporto alle fonti informative da cui quegli elementi sono rilevati, trattan-dosi di risultanze che conseguono a poteri di accesso e di verifica delle autorità preposte alla tutela dell'ordine pubblico e alla lotta contro i fenomeni di criminalità organizzata. Tali poteri a loro volta sono puntualmente di-sciplinati e delimitati nei rispettivi presuppo-sti sostanziali di esercizio …”.

7.La procedura per lo scioglimento. L’iter amministrativo per lo scioglimento

prevede il potere d’iniziativa in capo al Pre-fetto che, informato dalla Magistratura o dalle Forze di polizia, del potenziale rischio di in-filtrazioni mafiose in un ente locale, avvia la procedura di accesso agli atti.

Come già riportato in testo, l’art. 143 co. 2 TUEL, dispone che il procedimento di scio-glimento di un’amministrazione comunale o provinciale (o anche, a seguito della novella introdotta dall’art. 1 bis del d.lgs. 31.3.2003, n. 50, di città metropolitane, comunità mon-

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tane, comunità isolane, unioni di comuni, consorzi di comuni e province, organi co-munque denominati delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, aziende speciali dei comuni e delle province e consigli circoscri-zionali) «[...]è avviato dal prefetto della pro-vincia con una relazione che tiene anche con-to di elementi eventualmente acquisiti con i poteri delegati dal Ministro dell’Interno ai sensi dell’art. 2, co. 2 quater, del d.l. 29.10.1991, n. 345, convertito, con modifica-zioni, dalla l. 30.12.1991, n. 410, e successive modificazioni ed integrazioni».

La commissione d’accesso di nomina pre-fettizia, svolge un’attività d’indagine sull’operato dell’amministrazione locale, va-lutando la consistenza degli elementi sui quali fondare la proposta di scioglimento, rappre-sentati dai vizi e dalle anomalie dell’azione amministrativa dell’ente. Della commissione d’accesso fanno normalmente parte vice pre-fetti, funzionari di prefettura e funzionari del-le forze dell’ordine (un funzionario della Po-lizia di Stato, un ufficiale dei Carabinieri ed un ufficiale della Guardia di Finanza).

La commissione, al termine dei lavori, re-dige una relazione diretta al Prefetto che, a sua volta, invia un rapporto al Ministro dell’Interno, affinché valuti l’opportunità di giungere ad uno scioglimento.

Alla relazione prefettizia, nel caso di ri-scontro di elementi che integrino gli estremi dello scioglimento, segue l’emanazione, da parte del Presidente della Repubblica, del de-creto che dispone lo scioglimento dell’Ente. Tale decreto viene emanato dal Capo dello Stato su proposta del Ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Mini-stri. Il decreto stesso viene trasmesso conte-stualmente alla sua emissione alle Camere e conserva i suoi effetti «[...]per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezio-nali» (art. 143 co. 3 TUEL) e viene pubblica-to nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Finalità precipua dell’istituto dello scioglimento è quella «[...] di assicurare il buon andamento delle amministrazioni e il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati".

Avverso il decreto di cui all’art. 143

TUEL è ammessa tutela giurisdizionale da esercitarsi nelle forme ordinarie (ricorso al Tar in prime cure ed eventuale, successivo, ricorso al Consiglio di Stato). Legittimati at-tivi nel giudizio sono i componenti degli or-ganismi disciolti, mentre i legittimati passivi sono la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministro degli Interni, il Prefetto della pro-vincia di appartenenza dell’ente sciolto, la Gestione straordinaria dello stesso e l’Ente.

Sciolta l’amministrazione, si segue una procedura molto simile a quella per lo scio-glimento per motivi ordinari. Viene difatti contestualmente nominata «[...] una commis-sione straordinaria per la gestione dell’ente, la quale esercita le attribuzioni che le sono con-ferite con il decreto stesso» (art. 144 TUEL). Tale commissione è composta di tre membri «scelti tra funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magistrati della giurisdi-zione ordinaria o amministrativa in quiescen-za» (art. 144 TUEL). La stessa permane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile.

Nel caso dei comuni, vengono nominati tre commissari straordinari, prevalentemente provenienti dalla carriera prefettizia, cui ven-gono conferiti i poteri di sindaco, giunta e consiglio. Nessun potere straordinario, quin-di, come potrebbe lasciar intendere il nome attribuito alla commissione.

8.La riforma del c.d. "Pacchetto Sicu-

rezza". Come accennato, nell’agosto del 2009

l’art. 143 del Tuel, che disciplina i presuppo-sti e le modalità di scioglimento degli enti lo-cali infiltrati dalle mafie, è stato profonda-mente modificato.

La Commissione parlamentare antimafia della XIV legislatura, presieduta dal Sen. Ro-berto Centaro, aveva approvato all’unanimità una dettagliata proposta di modifica dei punti salienti della normativa. La stessa proposta fu ripresa integralmente nella XV legislatura e fatta propria dal successore di Centaro, On. Francesco Forgione, che è stato il primo fir-matario di una proposta di legge che ne ri-prendeva i punti essenziali.

La l. 15.7.2009, n. 94, ha completamente riformulato l’art. 143 TUEL, che ora com-

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prende un’ampia gamma di innovazioni, i cui contenuti sono preannunciati dalla stessa ru-brica "Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infil-trazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e di-pendenti".

A seguito della riforma, si possono scio-gliere le amministrazioni locali quando (co. 1).

[…] - anche a seguito di accertamenti ef-fettuati a norma dell’articolo 59, co. 7, emer-gono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la crimina-lità organizzata di tipo mafioso o similare de-gli amministratori di cui all’art. 77, co. 2, ov-vero su forme di condizionamento degli stes-si, tali da determinare un’alterazione del pro-cedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da com-promettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.

La norma richiede, che gli elementi acqui-siti siano “concreti, univoci e rilevanti”, ri-prendendo in tal modo il contenuto della cir-colare del Ministero dell’Interno n. 7102/M/6 del 25 giugno 1991 e gli orientamenti giuri-sprudenziali consolidatisi nel tempo.

L’introduzione della necessità di «concre-ti, univoci e rilevanti elementi su collegamen-ti diretti o indiretti con la criminalità orga-nizzata» per lo scioglimento degli organi e-lettivi degli enti locali conseguenti a fenome-ni di infiltrazione mafiosa, comporta che la proposta di scioglimento del Ministro dell’Interno al Consiglio dei ministri debba indicare «in modo analitico le anomalie ri-scontrate e i provvedimenti necessari per ri-muovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico».

Il nuovo articolo 143 TUEL, inoltre: - istituzionalizza la nomina da parte del

Prefetto di una commissione d’indagine, composta da tre funzionari della pubblica amministrazione, attraverso la quale esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell’In-

terno(13). La commissione, entro tre mesi dalla data

di accesso, rinnovabili una volta per un ulte-riore periodo massimo di tre mesi, deve ter-minare gli accertamenti rassegnando al Pre-fetto le proprie conclusioni;

- fissa per il Prefetto un termine di 45 giorni dal deposito delle conclusioni, ovvero quando abbia comunque diversamente acqui-sito gli elementi in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi am-ministrativi ed elettivi, per inviare al Ministro dell’interno una relazione in cui si dà conto degli elementi raccolti dettagliando anche il coinvolgimento del segretario comunale o provinciale, del direttore generale, dei diri-genti del personale, nonché gli appalti, i con-tratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la crimi-nalità organizzata o, comunque, connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuri-dica. La relazione viene prodotta dal prefetto non prima di aver sentito il Comitato Provin-ciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica in-tegrato con la partecipazione del Procuratore della Repubblica competente per territorio;

- fissa un termine di tre mesi dalla tra-smissione della relazione per provvedere, se del caso, a disporre lo scioglimento dell’ente con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno previa deliberazione favorevole del Consiglio dei ministri. Il provvedimento è immediatamente trasmesso alla Camera. In caso non sussistano presupposti per lo scioglimento o per l’adozione di altri provvedimenti, il Ministro emana comunque un atto conclusivo del pro-cedimento;

- prevede che la verifica dei fenomeni di infiltrazione venga svolta anche con riferi-mento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti ed ai dipen-denti dell’ente locale; in questo caso viene adottato ogni provvedimento utile a far cessa-re immediatamente il pregiudizio in atto e ri-condurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente, tra cui la sospensione dall’impiego del dipendente, o la sua destinazione ad altro ufficio o mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell’auto-rità competente. Tali misure possono anche

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essere adottate a prescindere dall’adozione del provvedimento di scioglimento, quando la relazione prefettizia accerti la sussistenza di elementi di compromissione;

- contempla "misure d’urgenza", con le quali in caso di "urgente necessità" il Prefetto, in attesa del decreto di scioglimento, sospen-de gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicu-rando la provvisoria amministrazione dell’ente mediante invio di commissari;

- prevede espressamente, quali conse-guenze di un accertamento positivo, la risolu-zione di diritto degli incarichi a contratto, de-gli incarichi di revisore dei conti e dei rappor-ti di consulenza e di collaborazione coordina-ta e continuativa che non siano stati rinnovati dalla commissione straordinaria.

Con la nuova formulazione della disciplina dello scioglimento diviene fondamentale l’accuratezza nella ricostruzione delle respon-sabilità dei singoli amministratori, poiché al-cuni importanti strumenti possono essere ap-plicati solo qualora si riesca a stabilire univo-camente il collegamento tra di essi ed i fattori di condizionamento.

Nello specifico, una delle più importanti misure introdotte dalla riforma è quella di cui al co. 11 dell’art. 143, per cui gli amministra-tori responsabili delle condotte che hanno da-to causa allo scioglimento non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scio-glimento stesso, qualora la loro incandidabili-tà sia dichiarata con provvedimento definiti-vo.

Il co. 8, invece, prevede che, qualora dalla relazione prefettizia emergano concreti, uni-voci e rilevanti elementi su collegamenti tra singoli amministratori e la criminalità orga-nizzata di tipo mafioso, il Ministro dell’Interno trasmetta la relazione all’autorità giudiziaria competente per territorio, ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione previste dalla l. 575 del 31.5.1965 "Disposi-zioni contro la mafia". I presupposti per l’applicazione delle norme introdotte con la riforma, a cominciare dalla necessità che gli

elementi di collegamento con la criminalità organizzata siano concreti, univoci e rilevanti, richiedono che anche l’approccio info-investigativo alla problematica delle infiltra-zioni mafiose negli enti locali venga reso an-cor più "scientifico" e segua precisi schemi operativi.

Altri enti destinatari di provvedimenti di scioglimento sono

- Città metropolitane, Comunità montane, Comunità isolane e Unioni di Comuni;

- Consorzi di Comuni e Province; - Organi comunque denominati delle A-

ziende sanitarie locali ed ospedaliere35; - Aziende speciali dei Comuni e delle Pro-

vince; - Consigli circoscrizionali. L’estensione del novero dei soggetti passi-

vi dell’art. 143 T.U.E.L., è quanto mai oppor-tuna se si considera che il radicamento della criminalità organizzata sul territorio avviene non solo con l’infiltrazione negli organi elet-tivi locali, ma anche attraverso il controllo degli altri soggetti che a vario titolo si occu-pano della gestione amministrativa del territo-rio. In tal senso, il TAR Campania ha precisa-to che “l’articolo 146 si appalesa norma in-tegrativa della normativa in essa richiamata dal momento che gli enti in essa indicati sono in qualche misura filiazioni o comunque proiezioni dei Comuni. Sembra dunque logico presumere che lo stesso art. 146 sia stato concepito dal legislatore come una longa manus per aggredire le infiltrazioni mafiose inseguendole anche in organismi di deriva-zione comunale e comunque ai comuni gene-ticamente in qualche misura riconducibili”.

9.Casistica. Le cause che concorrono alla formazione

di proposte di scioglimento possono essere diverse, anche molto eterogenee e, poiché vi è un esteso ambito di discrezionalità, si è for-mata una consistente "giurisprudenza" di casi tipici i più comuni dei quali vengono riportati di seguito.

a. Legami, frequentazioni e parentele con mafiosi.

È una delle cause di scioglimento più fre-quente, sebbene raramente siano indicati co-me unico motivo del provvedimento di rigore.

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Gazzetta Amministrativa -42- Numero 1 - 2015

In contesti socio-culturali ove i valori fa-milistici o del comparaggio assumono pre-ponderanza rispetto al buon andamento della pubblica amministrazione, questo tipo di rap-porti è considerato un indice di elevata condi-zionabilità dell’ente.

L’importanza di queste relazioni, che si traducono per amministratori, funzionari e dipendenti pubblici in una elevata probabilità di connivenza è ormai dimostrata anche da consolidate risultanze di attività investigative.

I casi, al riguardo, sono moltissimi. Per e-sempio, lo scioglimento di San Luca (RC) nel 2000 è motivato, tra l’altro, anche sulla «... consistente partecipazione di amministratori e dipendenti comunali alla cerimonia funebre di un noto pregiudicato».

Anche dall’indagine "Il Crimine" si rileva un dato di fondamentale importanza che con-sente di attualizzare la possibilità per gli uo-mini della ‘ndrangheta, definiti "uomini atti-vi" di fare politica (anche candidandosi): «... la potete fare … la potete fare … eccome». In tale contesto Domenico Oppedisano, il 24.12.2008, ricevendo altri ‘ndranghetisti di rango elevato, esternava la capacità della ‘ndrangheta di infiltrare le amministrazioni locali: «... se noi a Rosarno stabiliamo no? ... Di volontà nostra ... Tutti gli uomini ... attivi ... o? e siamo tutti d’accordo ... facciamo l’amministrazione ... e chi ci può dire niente! ... a me! ma se non c’è l’accordo fra noi... non si fa! ... se c’è l’accordo la ... ma in qual-siasi paese non solo qua ... in qualsiasi pae-se».

b. Connivenze e procedimenti penali a carico di amministratori .

In caso di connivenze accertate, la dimo-strazione della potenziale deviazione della gestione dell’ente da criteri di legalità risulta particolarmente agevolata. Ciò si evidenzia allorquando ad essere connivente è più di un amministratore.

Casi ancor più emblematici sono quelli in cui a carico di uno o più amministratori venga constatata - anche relativamente al periodo antecedente l’elezione - l’esistenza di proce-dimenti penali per reati di tipo mafioso o la sottoposizione a misure di prevenzione quali indiziati di reati di tipo mafioso. L’accesso ed il relativo scioglimento sono inoltre divenuti

quasi certi nelle realtà in cui gli amministrato-ri vengono colpiti da misure cautelari nell’ambito di indagini per reati di criminalità organizzata.

Lo scioglimento, in tali frangenti, viene basato quasi esclusivamente sui contenuti del provvedimento cautelare o, previa autorizza-zione dell’Autorità Giudiziaria, sugli atti ac-quisiti dal fascicolo del procedimento.

A Seminara, comune situato tra la piana di Gioia Tauro e l’Aspromonte, i carabinieri, poco prima delle elezioni amministrative del maggio 2007, documentarono ed intercettaro-no un incontro tra Rocco Gioffrè, capo della cosca di Seminara, e il Sindaco uscente del paese: «tu ti devi candidare - dice Gioffrè - perché qui decido io e la tua elezione è sicu-ra. Possiamo contare su mille e cinquanta vo-ti e sono più che sufficienti per vincere».

La previsione del capomafia si concretizzò puntualmente: la lista del sindaco vinse con mille e cinquantotto voti. L’operazione dei carabinieri del novembre successivo (2007) portò in carcere i due interlocutori e il vice sindaco, già sindaco al tempo del primo scio-glimento del comune nel 1991, e un assesso-re, nipote del boss. L’inchiesta disvelò il con-trollo completo da parte della cosca Gioffrè sul comune: dalle attività economiche gestite a livello locale alle concessioni comunali, da-gli appalti ai progetti di finanziamento con fondi regionali ed europei.

Negli ultimi tempi, molto si è parlato, an-che per una felice e appropriata definizione di alcuni studiosi e del Procuratore della Repub-blica di Reggio Calabria, di "zona grigia": ol-tre alle professioni e all’imprenditoria, è la categoria dei pubblici amministratori degli enti territoriali a costituirne una parte, che al-tro non è che la "cerniera" tra le istituzioni e l’associazione mafiosa di riferimento, come è evidenziato dal ruolo di quel vice Sindaco di Seminara che sedeva alternativamente ai ta-voli delle istituzioni elettive e non elettive (Prefettura, Ministero, Scuole, ecc.) e del pat-to scellerato con la ‘ndrangheta.

Ancora sulla "prescrizione" del divieto di candidarsi per gli associati alla ‘ndrangheta: nel corso di una conversazione, registrata nel procedimento "Armonia", del 3.9.1998, Tri-podi Giovanni e Maisano Filiberto, compo-

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Gazzetta Amministrativa -43- Numero 1 - 2015

nenti della struttura decisionale ed operativa del "Crimine", discutono sul comportamento da tenere nei confronti della politica e dei consiglieri, in particolare: «Siamo arrivati ad undici Consiglieri tutti da una parte…la "So-cietà" prendeva posizione e basta! No che porta consiglieri là mezzo… non deve esistere la politica… No, la "Società" non dovrebbe prendere parte attiva […] è vero! è un errore questo […] Siamo arrivati ad undici Consi-glieri tutti da una parte […] poi, eravamo ar-rivati ad undici Consiglieri tutti d’accordo …».

c. Condizionamento delle consultazioni elettorali.

Il reato di scambio elettorale politico - ma-fioso, previsto dall’art. 416 ter del codice pe-nale, è stato finora accertato in pochi casi.

Tuttavia, nell’applicazione della normativa sullo scioglimento dei consigli comunali, il condizionamento mafioso del voto è stato ri-chiamato in più di un’occasione. Nonostante le difficoltà riscontrate nell’intervenire in se-de penale, si è cercato di contrastare gli sforzi per l’acquisizione mafiosa del consenso a fa-vore di liste elettorali o candidati affiliati o conniventi per mezzo della misura dello scio-glimento.

Al riguardo, oltre ai casi di campagne elet-torali condotte per mezzo di minacce, intimi-dazioni o con l’esercizio di forti pressioni sia sulle liste avversarie sia sugli elettori, rileva-no anche gli episodi in cui si registrano ingiu-stificati spostamenti di grandi quantità di voti tra il primo turno ed il ballottaggio, in conse-guenza della modifica delle alleanze o dell’assunzione di nuovi accordi in merito al-la spartizione degli assessorati.

La conversazione seguente, estrapolata dal procedimento penale "Armonia" n. 14/1998 - RGNR - DDA, dimostra la gestione spregiu-dicata da parte delle organizzazioni criminali nella scelta dei candidati per le elezioni. Nel corso dell’intercettazione Pansera Giuseppe#, genero di Morabito Giuseppe (u’tiradrittu), dialoga con una persona e i due discutono dell’intervento per favorire l’elezione di un determinato soggetto nella competizione elet-torale, attraverso lo spostamento di pacchetti di voti, precisando che successivamente all’appoggio nei confronti del candidato, do-

vrà esserci un atteggiamento da parte dell’eletto nei loro confronti «… bello mio, se tu vieni eletto, quello che ti diciamo noi, tu lo devi andare a fare! … e poi ci deve dare con-to … e tutto quello che entra... lo deve divide-re …».

d. Attentati ed atti intimidatori contro amministratori.

Nelle regioni ad alta incidenza mafiosa, è piuttosto diffusa, sia in campagna elettorale che nel corso del mandato dell’ente, la pratica degli atti intimidatori e degli attentati nei con-fronti di candidati ed amministratori. Questi episodi comprendono una vasta gamma di re-ati:

- incendio di autovetture e di porte di abi-tazioni;

- uso di armi da fuoco per colpire ancora autovetture ed abitazioni ma anche sedi di partito o gli stessi uffici comunali;

- atti dal contenuto simbolico tra cui l’uso di animali morti o loro parti, l’uccisione di animali domestici;

- l’invio di lettere minatorie o altro. Rientrano in questa categoria, ad esempio,

l’uccisione, con colpi di lupara, del cavallo del Sindaco di Taurianova (RC) il giorno di Capodanno 2009, cui è conseguito, poco do-po, lo scioglimento del Comune (il secondo della storia di Taurianova che, come si è evi-denziato, è stato il primo comune d’Italia sciolto per mafia). Quest’ultimo amministra-tore ed i suoi assessori, tra l’altro, nei mesi precedenti, erano stati ripetutamente bersa-gliati con atti intimidatori di vario genere. In qualche comune sono stati colpiti fisicamente gli amministratori o loro parenti.

Altri episodi che evidenziano debolezza (e quindi condizionabilità o addirittura sogge-zione) degli amministratori nei confronti dei gruppi mafiosi sono quelli in cui il consiglio comunale per intero, o singoli consiglieri, ma anche singoli responsabili di branche come l’ufficio tecnico, vengono affrontati diretta-mente con la violenza, con le minacce o con atti dimostrativi (ad esempio, vengono rin-chiusi finché non viene assunta la decisione che si vuol imporre).

Queste forme di intervento diretto e vio-lento nella politica da parte delle cosche sono un chiaro sintomo dell’esercizio mafioso di

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una forte pressione sugli amministratori: tali gesti possono essere motivati da una vasta se-rie di finalità, tra cui la necessità di vincere la resistenza degli amministratori ai tentativi di condizionamento e la ritorsione per il manca-to rispetto degli accordi tra politici e mafiosi. Per questi motivi la constatazione di episodi come quelli esemplificati, può condurre allo scioglimento.

L’estratto dalla conversazione successiva, "Rosarno è nostra" dimostra in maniera pale-se la forza di intimidazione dei clan sul terri-torio. Il protagonista dell’intercettazione è Bellocco Umberto mentre dialoga con la ma-dre, commentando la situazione successiva al duplice omicidio Amato-Latorre ed il rischio di una nuova guerra di mafia: «questo è poco ma sicuro, se non stiamo bene noi non sta bene nessuno… non deve stare bene, Rosarno è nostro e deve essere per sempre nostro… se no non è di nessuno».

e. Funzionari e dipendenti pubblici. La funzione d’indirizzo dell’attività delle

amministrazioni spetta ai politici che, tuttavi-a, terminato il loro mandato, sono soggetti all’alea delle elezioni, il cui risultato può es-sere incerto. Chi, come le cosche, ha puntato su certi amministratori per il perseguimento di determinati fini, può quindi trovarsi in se-rie difficoltà se i propri candidati non vengo-no rieletti. Peraltro gli amministratori politici non svolgono direttamente attività di gestione e di tipo tecnico-burocratico. La criminalità organizzata, per la cura di determinati affari, predilige condizionare i funzionari ammini-strativi che, spesso, sono coloro che conferi-scono continuità ai progetti mafiosi, indipen-dente dal ricambio che può registrarsi in se-guito a una consultazione elettorale. è per questo motivo che la riforma dell’art. 143 TUEL ha soddisfatto l’esigenza che anche il livello dirigenziale, responsabile della gestio-ne, sopporti le conseguenze della propria condotta che, anche se immune da rilievi di ordine penale, deve poter concorrere a fonda-re la proposta di scioglimento formulata dal Prefetto. Di tale modifica si sentiva la neces-sità in quanto la soluzione consistente nell’azzerare unicamente gli organi elettivi poteva in alcuni casi rivelarsi addirittura con-troproducente. Si pensi all’ipotesi in cui il

"manovratore" delle risorse comunali asservi-to agli interessi mafiosi sia il capo dell’ufficio tecnico, personalità "chiave" in contesto terri-toriale quale quello calabrese.

In questo caso, lo scioglimento di un con-siglio comunale non implicato nella infiltra-zione mafiosa, con la nomina di tre commis-sari straordinari che (almeno nelle prime fasi) ignorano la realtà locale, potrebbe consentire al capo dell’ufficio tecnico, in virtù della co-noscenza delle dinamiche interne all’ente e delle relazioni sul territorio, di continuare ad agevolare le cosche mafiose. La riforma, colmando questa lacuna, ha aperto nuovi o-rizzonti nel contrasto all’infiltrazione mafiosa negli enti pubblici, anche perché i collega-menti con la criminalità organizzata, siano es-si parentele, frequentazioni, connivenze, col-lusioni o altro, sono assai ricorrenti anche e soprattutto con riferimento ai dipendenti ed ai funzionari comunali, i quali sempre più di-vengono destinatari di minacce ed intimida-zioni.

f. Irregolarità amministrative. Il campo dell’urbanistica è al centro delle

attenzioni dei gruppi mafiosi, in quanto anche se in molti casi gli appalti pubblici (in parti-colare nei piccoli comuni) sono di proporzio-ni tali da non essere uno strumento idoneo per il riciclaggio, l’edilizia pubblica o privata consente ai mafiosi di assumere un ruolo de-terminante nel tessuto socio-economico loca-le, controllando le forniture, l’indotto e deci-dendo l’impiego della manodopera, come un vero e proprio "ufficio di collocamento".

Il controllo della cosa pubblica, attraverso collusioni e connivenze, è quindi essenziale per le associazioni mafiose che operano nei settori dell’edilizia e dell’urbanistica. è pro-prio a livello dei politici locali che vengono assunte le decisioni sulla destinazione d’uso dei terreni, sempre su parere e con l’intervento dei funzionari amministrativi. Il semplice cambio di destinazione d’uso, da a-gricolo ad edificabile, in particolar modo se industriale, aumenta esponenzialmente il va-lore del terreno. La destinazione d’uso dei terreni, poi, comporta la possibilità o meno di intraprendere determinati lavori o di indire gare d’appalto. In quest’ambito i gruppi ma-fiosi non solo possono condizionare le delibe-

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Gazzetta Amministrativa -45- Numero 1 - 2015

razioni, ma riescono anche a godere di un e-norme vantaggio competitivo grazie all’acquisizione di informazioni riservate e privilegiate.

Alla speculazione sfrenata, priva di qualsi-asi forma di rispetto per l’ambiente ed il terri-torio, si accompagnano l’inerzia e le omissio-ni delle amministrazioni locali infiltrate, ri-sultato dell’operato sinergico di amministra-tori pubblici e tecnici collusi.

Oltre al settore urbanistico, ve ne sono altri in cui le irregolarità amministrative si mani-festano, anche palesemente. Basti pensare all’affidamento dei servizi di guardiania o degli incarichi di custode, alla erogazione di contributi per manifestazioni ed eventi pro-mossi da soggetti vicini ai gruppi mafiosi (o addirittura "dedicati" a qualche esponente di spicco).

g. Omicidi, faide e pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica.

Storicamente - come si è visto a proposito della "faida di Taurianova" - omicidi e fatti di sangue efferati, quali le guerre di mafia, sono stati i primi motivi che hanno attirato l’attenzione dello Stato verso l’accertamento del potenziale condizionamento degli ammi-nistratori locali da parte della criminalità or-ganizzata. Anzi, proprio da questi gravi fatti è conseguita l’introduzione della legge sugli scioglimenti, da cui è scaturito il primo scio-glimento del Comune di Taurianova (il se-condo è intervenuto nel 2009).

Ed ancora, sono stati elaborati dalla giuri-sprudenza altri indici che possono attestare la presenza di situazioni d’inquinamento mafio-so o criminale in genere. In particolare, situa-zioni sintomatiche possono essere ravvisate laddove vi sia:

- la costante frequentazione di pregiudica-ti;

- l’esistenza di precedenti penali per gravi fatti di corruzione in capo agli amministratori locali;

- l’inefficienza dei servizi offerti dagli enti locali;

- la carenza di controlli e trasparenza nell’erogazione di benefici economici;

- un grave dissesto finanziario; - la mancata riscossione dei tributi o gravi

irregolarità nel rilascio di autorizzazioni e li-

cenze amministrative; - costante e perdurante deviazione degli

uffici comunali di edilizia e urbanistica dai compiti d’istituto;

- irregolarità o mancanza di trasparenza nell’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani;

- la mancata costituzione di parte civile del Comune in processi penali a carico di espo-nenti della criminalità organizzata locale;

- la concessione di contributi a soggetti af-filiati e/o vicini a sodalizi criminali o mafio-si1.

10.L’elaborazione delle proposte di

scioglimento, tecnica di redazione delle ri-chieste.

Come si è visto, la procedura per lo scio-glimento prevede il potere d’iniziativa in ca-po al Prefetto. Ne consegue che si possono determinare, in estrema sintesi, due diverse situazioni.

In un primo caso potrebbe essere il Prefet-to stesso che, motu proprio, rilevata la sussi-stenza di un fumus di condizionamento, pre-dispone la procedura di accesso agli atti, se-condo le modalità già descritte.

In alternativa, il Prefetto potrebbe ricevere un impulso da parte della Magistratura o da parte delle Forze dell’ordine.

Quando ad attivare il Prefetto è la Magi-stratura, si è in presenza di un procedimento penale che può anche non essere definito. Ad esempio, può essere sufficiente che vi sia la conclusione delle indagini preliminari, con la relativa notifica delle informazioni di garan-zia, oppure che vengano eseguite delle misure cautelari, dalle quali emerga un potenziale quadro di infiltrazione mafiosa in un ente pubblico. Molto più spesso, a dare impulso all’azione del Prefetto sono le Forze dell’ordine e, in diversi casi, ciò avviene in-dipendentemente dalla conduzione di specifi-che attività di indagine nell’ambito di un pro-cedimento penale.

Le Forze di polizia sono infatti in grado di

1 Cfr. CdS, Sez. VI, 10.3.2011, n. 1547; CdS, Sez. VI, 17.1.2011, n. 227; CdS., Sez. VI, 15.3.2010, n. 1490; CdS, Sez. IV, 2.3.2007, n. 1004; CdS, Sez. IV, 6.4.2005, n. 1573; CdS, Sez. V, 14.5.2003, n. 2590; CdS, Sez. V, 2.10.2000, n. 5225

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Gazzetta Amministrativa -46- Numero 1 - 2015

rilevare la potenziale presenza di infiltrazioni mafiose in un ente locale per mezzo dello svolgimento della propria attività informativa, una parte consistente della quale riguarda il monitoraggio delle amministrazioni comuna-li.

Ad essere particolarmente efficace, in que-sto ambito, è l’attività svolta dall’Arma dei Carabinieri, anche e soprattutto grazie alla di-stribuzione capillare dei suoi presidi e all’automazione del processo informativo. La fase di "acquisizione di notizie", primo passo del processo informativo, si sviluppa proprio sul territorio.

L’attività informativa iniziale finalizzata al rilevamento di potenziali condizionamenti degli enti locali si può tradurre, in definitiva, in due tipi di atti, entrambi destinati al Prefet-to, sebbene in due fasi diverse:

- l’eventuale proposta formulata al Prefet-to dalle Forze dell’ordine, che ha la finalità di presentare gli esiti del monitoraggio dell’ente, evidenziando gli elementi indicativi del po-tenziale condizionamento e ponendo quindi il Prefetto in condizione di ordinare l’accesso;

- la relazione conclusiva della Commis-sione di accesso all’ente, base della relazione che il Prefetto presenterà al Ministro dell’Interno, fornendo al decisore politico gli strumenti per valutare se applicare o meno la misura di rigore.

11. Il monitoraggio dell’ente: uno sche-

ma di massima. Il monitoraggio è definibile come

un’attività di osservazione della realtà, duran-te la quale l’osservatore è costantemente teso a rilevare segnali di possibili cambiamenti ri-spetto ad un "quadro di riferimento noto" che, sostanzialmente, può essere definito co-me il prototipo di un ente "sano", libero da infiltrazioni o condizionamenti. Deve essere un’attività costante nel tempo che comporta la presa di conoscenza di tutte le informazioni che affluiscono dalle molteplici fonti. Tali in-formazioni vengono ciclicamente confrontate con quelle che compongono il quadro di rife-rimento, ottenendo una valutazione di compa-tibilità o non compatibilità con esso. La non compatibilità con il quadro di riferimento co-stituisce un’anomalia, un primo segnale di

una potenziale situazione di condizionamento che può indurre le forze dell’ordine ad avvia-re indagini più approfondite ed il Prefetto a disporre l’accesso. Per poter rilevare l’anomalia è indispensabile da un lato che il quadro di riferimento sia il più accurato pos-sibile, dall’altro che venga svolto un accurato studio delle informazioni in ingresso, spesso costituite da documenti particolarmente cor-posi e complessi e da documenti tecnici, quali tabelle statistiche, che occorre saper corret-tamente interpretare. In quest’ambito risulta di straordinaria utilità l’impiego delle stesse tecniche di gestione ed elaborazione delle in-formazioni utilizzate nell’analisi criminale.

12. La relazione della commissione di

accesso: contenuti. Definire una struttura standard per la rela-

zione conclusiva della commissione d’accesso sarebbe prima di tutto limitativo per i membri della commissione stessa che, invece, devono poter riferire gli esiti delle lo-ro indagini attagliando il prodotto finale alle risultanze ottenute, evitando che rigidi sche-matismi possano relegare in secondo piano gli aspetti di maggiore rilievo.

Vi sono tuttavia degli elementi comuni che, per consuetudine e prima ancora per il loro carattere di essenzialità, ricorrono nelle diverse relazioni. Tali elementi, in linea gene-rale, ricalcano quelli già rilevati nel monito-raggio svolto dalle Forze dell’ordine.

E’ tuttavia ovvio che, nella relazione della Commissione, venga riservato uno spazio maggiore all’analisi dei documenti a cui si è acceduto in virtù degli speciali poteri d’inchiesta, con particolare riferimento agli aspetti finanziari, all’erogazione dei contribu-ti, alle gare d’appalto ed alle procedure con-corsuali, al conferimento di incarichi, a speci-fici progetti di natura urbanistica o finanzia-ria. Gli aspetti economici assumono particola-re rilievo e la loro analisi approfondita è age-volata dalla ormai consolidata presenza, quali membri delle commissioni, di ufficiali della Guardia di Finanza e di funzionari ammini-strativi contabili.

Altri aspetti che vengono trattati diffusa-mente sono, ovviamente, quelli connessi a vi-cende giudiziarie nelle quali è emersa la con-

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Gazzetta Amministrativa -47- Numero 1 - 2015

dizionabilità dell’ente o la sua soggezione al-la criminalità organizzata. Questi elementi vengono resi disponibili previa richiesta alla Magistratura di atti relativi ad inchieste giu-diziarie, con il relativo nulla osta all’utilizzo.

Dall’analisi delle diverse relazioni è im-mediatamente visibile come alcune riprenda-no quasi integralmente lo schema seguito dal-le Forze dell’ordine. Tuttavia, come si è ac-cennato, a cambiare sostanzialmente sono i contenuti ed il livello di dettaglio delle infor-mazioni. Spesso le commissioni di accesso dedicano capitoli autonomi all’analisi appro-fondita di singole vicende (esposti, gare d’appalto, progetti specifici, delibere o altro) che assumono un peso determinante o co-munque rilevante nel rappresentare la situa-zione di infiltrazione o condizionamento.

13. Prospettive de jure condendo. Vi è attualmente una schema di legge ap-

provato ad agosto dal Consiglio dei ministri che prevede il rafforzamento delle norme sul-lo scioglimento dei comuni mediante i se-guenti indirizzi:

incandidabilità per amministratori respon-sabili per cui viene prevista la durata di sei anni,

allargamento del novero degli enti presso i quali possono essere effettuati i controlli alle società partecipate o ai consorzi pubblici an-che a partecipazione privata

introduzione del ricorso alla mobilità ob-bligatoria presso altri enti o al licenziamento del dipendente per i casi più gravi

professionalizzazione dell'attività di ge-stione commissariale attraverso il coinvolgi-mento di persone in possesso di specifiche esperienza in materia, anche per una gestione più manageriale

creazione di un nucleo di funzionari della carriera prefettizia destinata alle funzione di commissario straordinario.

Nell’ambito del dibattito parlamentare in tema di scioglimenti degli ultimi anni tra le predette proposte, quella più significativa ri-guarda l’istituzione di un apposito albo dei commissari straordinari. Ciò faciliterebbe la loro professionalizzazione e la creazione di una identità più definita del loro ruolo, con conseguente affermazione di prassi e cono-

scenze condivise. Per coloro che faranno par-te di questo albo, composto non soltanto da appartenenti alla Pubblica Amministrazione, si dovrebbe prevedere una formazione speci-fica e continua, anche al di fuori delle tradi-zionali competenze giuridiche e contabili. Adeguati incentivi economici e di carriera po-trebbero motivare le persone più preparate e adatte a svolgere le funzioni di commissario straordinario a chiedere di essere inserite nell’apposito albo.

La circostanza che, con frequenza crescen-te, gli enti locali fanno ricorso ai modelli so-cietari privatistici comporta la possibilità di eludere la normativa sullo scioglimento, dal momento che l´articolo 146 del Testo unico degli enti locali fa riferimento alle sole azien-de speciali.

È dunque necessario estendere l´ambito di applicazione a tali imprese che gestiscono i servizi pubblici locali (come i rifiuti e l´energia). Si tratta delle società miste (a capi-tale pubblico e privato) e in house (in cui l´ente locale detiene l´intera partecipazione). Del resto, la gestione di tali servizi rappresen-ta un´attività di dimensioni economiche assai rilevanti, nella quale la criminalità ha interes-se a intervenire. L´estensione della normativa dovrebbe riguardare tutte le società a parteci-pazione pubblica, in specie quelle in house che possono beneficiare dell´affidamento di-retto, senza il ricorso a procedure a evidenza pubblica. Altrimenti vi è il rischio concreto che, attraverso questa via, gli interessi mafio-si continuino a essere salvaguardati nonostan-te lo scioglimento del Consiglio dell´ente.

14. La giurisprudenza amministrativa. Vengono elencati, qui di seguito, i profili

più ricorrenti trattati dai giudici amministrati-vi nelle decisioni più recenti, rinviando per un massimario completo all’appendice del pre-sente lavoro:

I - Natura straordinaria dell’interven-to.

Lo scioglimento è una misura di carattere straordinario, per fronteggiare una emergenza straordinaria, “a tutela della funzionalità de-gli organi elettivi e della rispondenza a fon-damentali canoni di legalità dell'apparato

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dell'ente locale interessato, in un quadro di lotta alla criminalità organizzata e di connes-so avanzamento della soglia di prevenzione rispetto a fatti anche sintomatici di interfe-renze malavitose sulla fisiologica vita demo-cratica dell'ente” (TAR Napoli, Sez. I, 15.11.2004 n. 16778; negli stessi termini, CdS, IV, 6.4.2005, n. 1573).

II Diritto costituzionale di elettorato e lotta alla criminalità.

Nello schema delineato dalla legge non vi è contrapposizione, ma sostanziale identità di tutela tra diritto costituzionale di elettorato e lotta alla criminalità, proprio perché la norma che legittima lo scioglimento dei consigli comunali lo condiziona al presupposto dell'emersione, da un'approfondita istruttoria, di forme di pressioni della criminalità che non consentono il libero esercizio del mandato e-lettivo di cui all'art. 51 della costituzione (Cfr. CdS, VI, 16.2.2007, n. 665).

III Funzione di prevenzione e di salva-guardia della funzionalità dell’ente.

Lo scioglimento ha una funzione di pre-venzione e di salvaguardia della funzionalità dell’ente locale e dei suoi organi elettivi in particolare, e della rispondenza a fondamen-tali canoni di legalità del suo apparato, il che giustifica la rilevanza di elementi di fatto de-sunti da indagini amministrative e degli orga-ni di polizia, purché significative del pericolo di infiltrazioni mafiose. (Cfr. TAR Palermo, Sez. I, 4.11.2002 n. 3517; CdS, V, 15.7.2005, n. 3784; CdS, V, 20.10.2005 n. 5878; CdS, VI, 5.10.006 n. 5948).

In particolare, è stato evidenziato da TAR Napoli, Sez. I, 15.11.2004 n. 16778, che “ la disposizione dell'articolo 15 bis della legge 55 del 1990 come aggiunto dal decreto legge 164 del 1991 (oggi articolo 143 del t.u.e.l.) ... presenta profili sostanzialmente coerenti con l'impostazione complessiva del sistema nor-mativo emanato per combattere l'invasività del fenomeno mafioso, nel contesto normativo delle leggi 575 del 1965, del decreto legge 629 del 1982 e del decreto legislativo n. 490 del 1994, caratterizzato da un forte avanza-mento del livello di prevenzione realizzato su tre piani convergenti: attribuzione di rilevan-

za a fatti e circostanze consistenti in molti ca-si in una evenienza di mero pericolo; ammis-sione sul piano probatorio di elementi indi-ziari di tipo logico e presuntivo; previsione di ampi margini di discrezionalità nell'esercizio dei relativi poteri (il suddetto contesto nor-mativo è stato altresì già diverse volte giudi-cato conforme a Costituzione dal giudice del-le leggi: Corte Cost., decc. 6.5.1996 n. 141, 16.5.1994 n. 184, 19.5.1994 n. 191, 31.3.1994 n. 118, 5.5.1993 n. 218, 29.10.1992 n. 407)”.

IV La qualifica di amministratore. Per G. Bottino, I controlli statali sugli or-

gani degli enti locali: natura giuridica e pre-supposti dello scioglimento degli organi elet-tivi per infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata,, in Foro Amm.vo Tar 2005, n. 3, p. 804 ss. (nota a Tar Napoli, Se-zione I, 15 novembre 2004 n. 16778) la nor-mativa in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni mafio-se non sarebbe più attuale, perché dal 1990 ad oggi le funzioni dei consigli sarebbero muta-te, essendo tali organi collegiali divenuti tito-lari di una mera funzione di indirizzo e di controllo politico – amministrativo.

Tale interpretazione non persuade perché, in base all’art. 42 del d. lgs. n. 267/2000 (in Sicilia, art. 32 della l. 8.6.1990, n. 142, nel testo recepito con l.r. 11.12.1991 n. 48 e suc-cessive modificazioni) i consigli continuano ad avere competenza in materia di atti fon-damentali, relativamente ai quali l’interesse della criminalità organizzata può essere parti-colarmente rilevante. Si pensi, a titolo esem-plificativo, alla pianificazione urbanistica, al-la pianificazione delle opere pubbliche, all’organizzazione e concessione di servizi pubblici e così via.

A ciò aggiungasi, dal punto di vista forma-le, che l’art. 77 del d. lgs. n. 267/2000, nel fornire la definizione di amministratore loca-le, include espressamente in tale categoria i consiglieri comunali e provinciali, oltre ai sindaci, ai presidenti delle province, ai com-ponenti delle giunte comunali e provinciali ed ai componenti degli organi di decentramento.

V I presupposti dello scioglimento.

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Il Consiglio di Stato (sezione terza) con la sentenza n.00126/2013 ha deciso che il con-siglio comunale di Bordighera non andava sciolto per infiltrazioni mafiose; i giudici amministrativi hanno accolto il ricorso, pre-sentato dall’ ex Sindaco, contro la sentenza di primo grado del Tar Lazio che aveva confer-mato i rilievi del Ministero dell’Interno circa la sussistenza dei presupposti per procedere allo scioglimento delle ente locale ex art. 143 d.lgs. 267/2000. Lo scioglimento deve essere dotato di uno congruo corredo motivazionale che dia puntualmente atto, anche a mezzo di un supplemento di istruttoria, delle ragioni che rendono prevalente lo scioglimento del consiglio comunale con incidenza sul consen-so a suo tempo espresso dall’elettorato.

Come chiarito da TAR Napoli, Sezione I, 15 novembre 2004 n. 16778, il potere di scio-glimento “presuppone la ricorrenza di due si-tuazioni, tra loro alternative, consistenti nella rilevazione di <<collegamenti diretti o indi-retti degli amministratori con la criminalità organizzata>> ovvero di <<forme di condi-zionamento degli amministratori stessi>>, in ordine alle quali occorre l'accertamento di situazioni di fatto evidenti e quindi necessa-riamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni an-che indirette degli organi elettivi con la cri-minalità organizzata; - che occorre altresì, come ulteriore presupposto, che l'emersione di una delle due situazioni suddette, <<colle-gamenti>> o <<forme di condizionamen-to>> , abbia determinato, come conseguenza, una delle due evenienze, sempre previste in via alternativa dalla norma, in quanto <<compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento del-le Amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati>>, ovvero <<risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudi-zio per lo stato della sicurezza pubblica>>”.

VI L’elasticità e la genericità dei concet-

ti adoperati dal legislatore. La giurisprudenza amministrativa ha evi-

denziato l’elasticità e genericità dei concetti adoperati dal Legislatore (elementi, collega-menti, forme di condizionamento ...), che pre-

sentano un grado di significatività e di con-cludenza inferiore di quelle che legittimano l’avvio dell’azione penale, e ciò nell’evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in termini brevi, delle varie forme di connessio-ne o di contiguità tra organizzazioni criminali e sfera pubblica e della necessità di evitare con immediatezza che l'amministrazione dell'ente locale sia permeabile all'influenza della criminalità organizzata (Cfr. CdS, V, 3.2.2000 n. 585; CdS, V, 18.3.2004 n. 1425; CdS, IV, 6.4.2005, n. 1573; CdS, V, 20.10.2005 n. 5878).

E’ stato affermato in dottrina (G. Bottino) che tali enunciati normativi indefiniti e pre-suntivi sono giustificati “dalla eterogeneità delle forme che il condizionamento criminale <<esterno>> (ex art. 143 t.u.e.l.) può assu-mere rispetto allo scioglimento viceversa di-sposto per cause interne alla organizzazione ed all’azione degli organi di governo dell’Ente (ex art. 141 t.u.e.l.)”.

La natura dello scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ai sensi del ripetuto art. 143 del d. lgs. 267/2000 non è di tipo sanzionatorio, ma preventivo. Sic-ché, per l’emanazione del relativo d.P.R. di scioglimento, è sufficiente la presenza di e-lementi relativi alle collusioni o alle forme di condizionamento da parte dell’organizza-zione criminale, che consenta di individuare la sussistenza di un rapporto tra quest’ultima e gli amministratori dell’ente reputato infiltra-to. Non a caso l’art. 143, nel disciplinare la potestà di scioglimento per infiltrazioni ma-fiose, adopera una terminologia ampia e inde-terminata. In tal modo il legislatore permette indagini sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, pur se di livello inferiore rispetto a quello che legittima l´azione penale o l´adozione di mi-sure di sicurezza. Tali vicende, come poi in effetti è accaduto nel caso dell’appellante, vanno considerate nel loro insieme, ché solo dal loro esame complessivo si può ricavare, da un lato, il quadro ed il grado del condizio-namento mafioso e, dall’altro, la ragionevo-lezza della ricostruzione di quest’ultimo qual presupposto per la misura dello scioglimento

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del corpo deliberante dell’ente (cfr. CdS, VI, 10.3.2011 n. 1547). CdS, III, 6.3.2012 n. 1266.

VII Affievolimento delle garanzie par-tecipative.

Ricollegandosi a quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 103/1993, la giurisprudenza amministrativa ha giustificato l'affievolimento delle garanzie partecipative e del contraddittorio con i com-ponenti dell’organo collegiale da sciogliere (Cfr. CdS, V, 20.10.2005, n. 5878, che ri-chiama la sentenza del CdS, V, 22.3.1999 n. 319).

In effetti, si può fare a meno della preven-tiva comunicazione dell’avvio del procedi-mento amministrativo, solo se vi è un’urgenza tale da non consentire il rispetto delle garanzie partecipative.

VIII Natura ampiamente discrezionale

dell’intervento. L’intervento di scioglimento ha natura

ampiamente discrezionale in ordine alla rile-vazione e valutazione dei presupposti, non ti-pizzati ex lege con riferimento a specifici fatti o atti antigiuridici, ma piuttosto espressi in termini di comportamenti complessivi e di si-tuazioni oggettive tali da determinare il peri-colo di gravi disfunzioni sia all'interno dell’amministrazione locale, sia all'esterno, sul piano dell'ordine e della sicurezza pubbli-ca (Cfr. CdS, V. 3.2.2000, n. 585).

IX Necessità dell'esistenza di situazione di fatto evidenti, ancorché non penalmente rilevanti.

Il provvedimento di scioglimento postula l'esistenza di situazioni di fatto evidenti, tali da determinare il pericolo di gravi disfunzio-ni.

Deve trattarsi di precisi e specifici fatti e circostanze acquisiti al procedimento ed a-strattamente comprovanti non solo l'esistenza in loco di una diffusa ed invasiva criminalità organizzata, ma anche il ragionevole convin-cimento di una sua contiguità con gli ammini-stratori in carica ed un condizionamento della relativa libertà di decisione (Cfr. CdS, V, 3.2.2000, n. 585; CdS,V, 20.10.2005, n.

5878; CdS,VI, 16.2.2007 n. 665). E’ stato precisato, a tal proposito, da TAR Napoli, Sez. I, 15.11.2004 n. 16778: “- che i fatti po-sti a base del provvedimento di scioglimento - benché necessariamente costituiti da <<si-tuazioni di fatto evidenti e quindi necessa-riamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette con gli organi elettivi>> (Corte cost., 103/1993 cit.) - nondimeno non devono rivestire uno status di prova sul piano delle responsabilità penali, poiché non deve confondersi il piano dei rimedi straordinari posti a tutela della legalità e del buon anda-mento dell'amministrazione in funzione di prevenzione delle forme di infiltrazione e condizionamento mafioso, con il diverso pia-no dell'accertamento delle responsabilità pe-nali dei singoli, essendo espressamente previ-sto dalla disposizione di legge che è sufficien-te la acquisizione di "elementi", e quindi di circostanze che hanno un grado di significa-tività inferiore agli indizi, purché emerga una chiara manifestazione della situazione di compromissione dell'ammini-strazione;

- che neppure è necessario che i presup-posti considerati trovino sostegno in un com-piuto accertamento dell'autorità giudiziaria penale, come pure non è richiesto che l'ap-prezzamento negativo coinvolga tutti, o la gran parte, o la maggioranza dei singoli am-ministratori, poiché ciò che interessa è l'in-terferenza dei fattori esterni al quadro degli interessi locali (leciti) sull'efficienza dell'or-gano come tale, inteso nel suo complesso, nonostante la presenza di soggetti estranei o comunque incolpevoli della situazione deter-minatasi che è demandato ad altra e diversa giurisdizione;

- che neppure è necessario che i fatti con-siderati assumano la consistenza di un com-portamento illecito, penalmente rilevante, in quanto i "collegamenti" (anche "indiretti") e le "forme di condizionamento" possono veri-ficarsi anche quando il coinvolgimento degli amministratori negli affari della criminalità organizzata non concretizzi gli estremi, og-gettivi e/o soggettivi, di una condotta delit-tuosa”.

X Esame complessivo della situazione

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di fatto. E’ stata evidenziata la necessità di un e-

same complessivo della situazione di fatto, con conseguente impossibilità di estrapolare singoli episodi favorevoli o sfavorevoli allo scioglimento, perché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza dell’addebito mosso all’organo collegiale globalmente considerato (Cfr. CdS, V, 3.2.2000, n. 585; CdS, IV, 6.4.2005, n. 1573; CdS, V, 20.10.2005, n. 5878; CdS, VI, 12.3.2007 n. 665).

XI Rilevanza delle indagini amministra-

tive e di polizia. La rilevanza delle indagini amministrative

e di polizia, purché significative del pericolo di infiltrazioni mafiose, a prescindere dall’esercizio dell’azione penale, è pacifica-mente riconosciuta dalla giurisprudenza am-ministrativa (Cfr. CdS, V, 15.7.2005 n. 3784).

XII Insufficienza di un semplice legame

di parentela. E’ stato ritenuto che l’esistenza di un

semplice legame di parentela tra amministra-tori ed affiliati alle cosche non è idoneo a giu-stificare lo scioglimento, in difetto di altri e-lementi significativi, addotti per giustificare il provvedimento di scioglimento (Cfr. CdS, V, 20.10.2005 n. 5878 pag. 21).

XIII Particolari forme di condizio-namento.

Il condizionamento può essere anche frut-to di spontanea adesione culturale o di timore o di esigenza di quieto vivere (Cfr. CdS, VI, 5.10.2006 n. 5948).

XIV Natura del sindacato del giudice

amministrativo. Il sindacato del giudice amministrativo è

diretto a verificare che non si sia verificata “una deviazione del procedimento (di scio-glimento) dal suo fine istituzionale”.

Poiché il potere esercitato dall’Amministrazione è ampiamente discre-zionale, il controllo esercitato dal giudice è di natura estrinseca e formale, essendo limitato alla verifica:

- della ricorrenza di un idoneo e sufficien-

te supporto istruttorio; - della veridicità dei fatti posti a fonda-

mento del provvedimento di scioglimento; - dell’esistenza di una giustificazione mo-

tivazionale che appaia logica, coerente e ra-gionevole.

Va conseguentemente esclusa qualsiasi forma di sindacato di merito, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell'amministrazione nella quantifica-zione della rilevanza delle prove e soprattutto degli indizi al fine di ritenere configurato il condizionamento mafioso, rimesso invece a-gli apparati operativi e di controllo dell'am-ministrazione stessa i quali, operando, tra l'al-tro, sul territorio hanno l'immediata e diretta percezione del clima locale e sono pertanto nella migliore condizione per misurare ade-guatamente il peso delle prove e degli indizi vostra giustificazione della misura adottata (Cfr. CdS, VI, 16.2.2007 n. 665).

Deve tuttavia evidenziarsi che, nel verifi-care l’idoneità dell’istruttoria, la veridicità dei fatti e l’esistenza di una motivazione logica, coerente e ragionevole, sindacando il vizio di eccesso di potere, il giudice amministrativo è in grado di penetrare all’interno dei fatti che hanno portato all’adozione del provvedimen-to di scioglimento e di verificare il rispetto delle finalità proprie della normativa in esa-me, con conseguente possibilità di reprimere qualsiasi forma di abuso da parte dell’Autorità emanante2 3 4 5.

2 Massimario. Consiglio di Stato Edita Sez. 05 SENT. num.

00585 del 3.2.2000 Presidente: SERIO G Estensore: PINTO M

In materia di scioglimento del Consiglio comunale, la valutazione delle acquisizioni probatorie in ordine a collusioni e condizionamenti non può essere effettuata estrapolando dal vasto materiale acquisito singoli fatti ed episodi, al fine di contestare l'esistenza di taluni di essi ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di veri-fica del giudizio conclusivo reso sull'operato del Con-siglio comunale. Invero, in presenza di un fenomeno di diffusa criminalità, gli elementi addotti a riprova di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno con-siderati nel loro insieme giacché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza dell'ad-debito mosso all'organo collegiale di incapacità -in quel determinato contesto e a prescindere da respon-sabilità di singoli - di esercitare l'attività di controllo e di impulso cui è deputato per legge (Cons. Stato, sez. V, 22.3.1999, n. 319).

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Consiglio di Stato Edita Sez. 5 sentenza num.

00585 del 3.2.2000 Presidente: SERIO G Estensore: PINTO M

In materia di scioglimento del Consiglio comunale l'art. 15 bis Legge 19.3.1990 n. 55 nell'impiegare una terminologia più ampia e indeterminata (elementi) ri-leva l'intento del Legislatore di riferirsi anche a situa-zioni estranee all'area propria dell'intervento penali-stico o preventivo, ciò nell'evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie forme di connessione o di contiguità fra organizzazioni criminali e sfera pubblica e della necessita di evitare che l'amministrazione dell'Ente locale sia permeabile all'influenza della criminalità organizzata e per queste ragioni lo scioglimento dell'organo elettivo rappresen-ta una "misura di carattere straordinario" per fron-teggiare "una emergenza straordinaria"; con la con-seguenza che trovano, quindi, giustificazione i margini particolarmente ampi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l'Amministrazione nel valutare gli "ele-menti su collegamenti diretti o indiretti.... o su forme di condizionamento", con la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti persona-li, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell'esperienza, l'ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, quali vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le frequenta-zioni, e ciò pur quando il valore indiziario dei dati raccolti non sia ancora sufficiente per l'avvio dell'a-zione penale o per l'adozione di misure individuali di prevenzione.

Consiglio di Stato Edita Sez. 5 sentenza num. 00713 del 23.6.1999 Presidente: SERIO G Estensore: BORIONI M

In materia di scioglimento dei Consigli comunali, ai sensi dell'articolo 15 bis Legge 19.3.1990 n. 55, la genericità del disposto letterale, che considera suffi-ciente la presenza di "elementi" non meglio specificati su "collegamenti" o "forme di condizionamento", indi-ca che la norma considera sufficiente, per quanto at-tiene al "rapporto" fra gli amministratori e la crimina-lità organizzata, circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza inferiore di quelle che legittimano l'avvio dell'azione penale o l'adozione delle misure di sicurezza nei confronti degli "indiziati" di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso o ana-loghe.

Consiglio di Stato Edita Sez. 5 sentenza num. 00319 del 22.3.1999 Presidente: IANNOTTA R E-stensore: Relatore: FERRARI G. Il potere del Presidente della Repubblica di sciogliere i Consigli comunali ai sensi dell'articolo 15 bis Legge 19.3.1990 n.55 per condizionamento mafioso non con-seguente all'accertamento di disfunzioni dell'organo collegiale (articolo 39 Legge 8.6.1990 n.142), ne' tan-tomeno è diretto a sanzionare specifiche responsabilità di singoli suoi componenti (articolo 1 Legge 18.1.1992 n.16), trattandosi di potere assolutamente straordina-rio, che può essere esercitato in presenza delle eve-nienze previste nella norma medesima.

Consiglio di Stato, Sez. III, 12.1.2013, n. 126, in ri-

forma TAR Lazio - Roma, Sezione I, n. 1119/2012. È essenziale ai fini dell'adozione della misura di

scioglimento dell'organo rappresentativo della comu-nità locale, a seguito della novella della l. 15.7.2009 n. 94, l'esistenza di elementi concreti, univoci e rilevanti, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi e da compromettere l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali. In sede di proposta ministeria-le per lo scioglimento del consiglio comunale contra-stante con l'esito dell'attività istruttoria del Prefetto è necessario un diffuso corredo motivazionale, al quale pervenirsi anche a mezzo di un eventuale supplemento di istruttoria.

Sintesi Il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso presentato dai componenti del consiglio comunale di Bordighera per l'annullamento del provvedimento di scioglimento dell'organo consiliare per infiltrazioni di stampo mafioso (art. 143 T.U.E.L.). Su proposta del Ministero dell’Interno era stato disposto lo scioglimento del consiglio comunale, nonostante il prefetto avesse precedentemente espresso parere negativo in ordine alla sussistenza delle condizioni previste dall'art. 143 T.U.E.L. Il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso, ritiene che lo scioglimento dell'organo rappresentativo della comunità locale, essendo la massima misura di rigore nei confronti dell'ente locale, debba essere subordinata alla sussistenza di elementi che determinino un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi tale da compromettere l'imparzialità dell'azione amministrativa (massima1). Inoltre, nonostante le valutazioni rassegnate dal Prefetto a conclusione dell'attività istruttoria in ordine alla misura dissolutoria non abbiano effetto vincolante, è necessario che la proposta del Ministro di contrario avviso debba essere sostenuta da un congruo corredo motivazionale che dia puntualmente atto, anche a mezzo di un supplemento di istruttoria, delle ragioni che rendono prevalente lo scioglimento del consiglio comunale (massima 2); la verifica istruttoria demandata al Prefetto, organo di vertice preposto in ambito locale alla salvaguardia dei primari interessi inerenti alla sicurezza ed all'ordine pubblico, riveste un ruolo centrale nell'economia del procedimento regolamentato dall'art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000 3 Ed ancora, per un panorama completo della giuri-sprudenza, si vedano: - Corte Costituzionale, 8.7.1957, n. 105; - Corte Costituzionale, 11.7.1961, n. 40; - Corte Costituzionale, 28.1.1991, n. 50. - Corte Costituzionale, 7.12.1994, n. 415; - Corte Costituzionale, 20.1.2004, n. 43; - Corte Costituzionale, 8.7.2004, n. 236; - Corte Costituzionale, 1.12.2006, n. 396; - Consiglio di Stato, 26.11.2003, parere n. 1006; - Consiglio di Stato, Sez. VI, 9.6.2008, n. 2767. - Corte Costituzionale, 10.3.1993, n. 103;

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- Consiglio di Stato, Sez. V, 2 ottobre 2000, n. 5225; - Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 562; - Consiglio di Stato, Sez. V, 14 maggio 2003, n. 2590; - Consiglio di Stato, Sez. V, 18.3. 2004, n. 1425; - Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.6.2004, n. 4467; - Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 aprile 2005, n. 1573; - Consiglio di Stato, Sez. V, 20 ottobre 2005, n. 5878; - Consiglio di Stato, Sez. IV, 19.6.2006, n. 3612; - Consiglio di Stato, Sez. V, 23 agosto 2006, n. 4946; - Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 ottobre 2006, n. 5948; - Consiglio di Stato, Sez. IV, 2.3.2007, n. 1004; - Coniglio di Stato, Sez. IV, 28 maggio 2009, n. 3331; - Consiglio di Stato Sez. VI, 17.1.2011, n. 227; - Consiglio di Stato, Sez. VI, 10.3.2011, n. 1547; - Consiglio di Stato, Sez. III, 6.3.2012, n. 1266; - TAR, Campania, Napoli, Sez. I, 10.3.2006, n. 2874; - TAR, Lazio, Roma, Sez. I, 18.6.2012, n. 5606. - Consiglio di Stato, Sez. I, 26.11.2003, parere n. 1006. - Consiglio di Stato, Sez. V, 23.3.2004, n. 1556; - Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 aprile 2009, n. 2615; - Consiglio di Stato, Sez. VI, 15.3.2010, n. 1490; - Consiglio di Stato , sez. III, 23.4.2014 n. 2038 - Consiglio di Stato , sez. III, 11.4.2014 n. 1796 - Consiglio di Stato , sez. III, 30.5.2012 n. 3247 - Consiglio di Stato , sez. VI, 21.4.2010 n. 2224 - Consiglio di Stato , 8.2.2008 n. 449 - Consiglio di Stato , sez. VI, 2.5.2007 n. 1916 - Consiglio di Stato , sez. V, 29.08.2005 n.4408 4 Normativa R.D. 3.3.1934, n. 383 - Approvazione del testo unico della legge comunale e provinciale. Testo unico della legge comunale e provinciale. Legge 12.7.1991, n. 203 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta al-la criminalità organizzata e di trasparenza e buon an-damento dell'attività amministrativa. Legge 29.10.1991, n. 345 - Disposizioni urgenti per il coordinamento delle attività informative e investigati-ve nella lotta contro la criminalità organizzata. Legge 30.12.1991, n. 410 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, recante disposizioni urgenti per il coordinamento delle attività informative e investigative nella lotta contro la criminalità organizzata. D.lgs. 25.2.1995, n. 77 - Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali. D.lgs. 31.3.1998, n. 112 - Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15.3.1997, n. 59. D.lgs. 18.8.2000, n. 267 - Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. D.P.R. 6.6.2001, n. 380 - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. Legge 5.6.2003 n. 131 - Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. D.L. 11.10.2012, n. 174 - Disposizioni urgenti in mate-ria di finanza e funzionamento degli enti territoriali,

nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone ter-remotate nel maggio 2012. 5 Bibliografia. Documentazione della Commissione Audizione del Ministro dell'Interno Giuliano Amato (Resoconto stenografico della seduta del 3 ottobre 2007). Audizione del Prefetto di Reggio Calabria, Luigi De Sena (Resoconto stenografico della seduta del 5.7.2007). Audizione del Prefetto di Reggio Calabria, Luigi De Sena (Resoconto stenografico della seduta del 12.6.2007). Audizione del Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso (Resoconto stenografico della seduta del 6.3.2007). Audizione del Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso (Resoconto stenografico della seduta del 7 febbraio 2007). Audizione del Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso (Resoconto stenografico della seduta del 6 febbraio 2007). Audizione del Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso (Resoconto stenografico della seduta del 31.1.2007). Audizione del Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso (Resoconto stenografico della seduta del 30.1.2007). Comunicazioni del Presidente (Resoconto stenografico della seduta del 6.12.2006). Proposta di legge n. 2129 - Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per fenomeni di infiltrazione mafiosa Documentazione parlamentare: Relazione al Parlamento sulla gestione straordinaria dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa (Anni 1995 - 1999). Relazione al Parlamento sulla gestione straordinaria dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa (Anni 2000 - 2003). Relazione al Parlamento sulla gestione straordinaria dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa (Anni 2004). Resoconti stenografici indagine conoscitiva sui comuni sciolti per infiltrazione mafiosa - Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati - XV Legislatura (Anni 2006). Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata - XIV Legislatura Documento di sintesi della discussione sulle problematiche concernenti la normativa sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso - Commissione parlamentare antimafia - XIV legislatura (Anni 2001 - 2006). Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata - XIII Legislatura (Anni 1996 - 2001). Altra documentazione

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Gazzetta Amministrativa -54- Numero 1 - 2015

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P. Grasso, F. La Licata Pizzini veleni e cicoria. La mafia prima e dopo Provenzano Feltrinelli, Milano, 2007. S. Palazzolo - M. Prestipino Il codice Provenzano Laterza, Roma-Bari, 2007. M. Amenta Il fantasma di Corleone (con DVD) Rizzoli, Milano, 2006 E.ellavia, S. Mazzocchi Iddu. La cattura di Bernardo ProvenzanoBaldini Castoldi Dalai, Milano, 2006. J. Dickie Cosa nostra. Storia della mafia siciliana Laterza, Roma-Bari, 2006. S. La Spina La mafia spiegata ai miei figli (e anche ai figli degli altri) Bompiani, Milano, 2006. G. Lo Bianco, S. Rizza Il gioco grande. Ipotesi su Provenzano Editori Riuniti, Roma, 2006. S. Lodato Trent'anni di mafia Bur, Milano, 2006 S. Lodato "Ho ucciso Giovanni Falcone". La confessione di Giovanni Brusca Mondadori, Milano, 2006. G. C. Marino I padrini. Da Vito Cascio Ferro a Lucky Luciano, da Calogero Vizzini a Stefano Bontate, fatti, segreti e testimonianze di Cosa Nostra Newton & Compton, Roma, 2006. E. Oliva Ernesto, S. Palazzolo Bernardo Provenzano. Il ragioniere di Cosa Nostra Rubettino, Soveria Mannelli, 2006. L. Pepino, M. Nebiolo (a cura di) Mafia e potere Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2006. L. Zingales Il padrino ultimo atto Aliberti, Reggio Emilia, 2006. E. Bellavia, S. Palazzolo Voglia di mafia. La metamorfosi di Cosa nostra da Capaci ad oggi Carocci, Roma, 2005. A. Caruso Da cosa nasce cosa. Storia della mafia dal 1943 a oggi Longanesi, Milano, 2005. G. Di Cagno, G. Natoli Cosa nostra ieri, oggi, domani. La mafia siciliana nelle parole di chi la combatte e di chi l'ha abbandonata Edizioni Dedalo, Bari, 2004. G. Falcone, M. Padovani Cose di Cosa Nostra BUR, Milano, 2004. C. Lucarelli La mattanza. Dal silenzio sulla mafia al silenzio della mafia (con DVD) Einaudi, Torino, 2004 A. Petacco Il prefetto di ferro Mondadori, Milano, 2004. L. Tescaroli Le faide mafiose nei misteri della Sicilia Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003. A. Caruso Perché non possiamo non dirci mafiosi Longanesi, Milano, 2003. G. Mosca Che cosa è la mafia Laterza, Roma-Bari, 2003. A. Dino Mutazioni. Etnografia del mondo di Cosa Nostra La Zisa, Palermo, 2002. G. Casarrubea Salvatore Giuliano Franco Franco Angeli, Milano, 2001. M. Torrealta Ultimo. Il capitano che arrestò Totò Riina Feltrinelli, Milano, 2001. L. Zingales Provenzano. Il re di Cosa Nostra. La vera storia dell'ultimo padrino Pellegrini, Cosenza, 2001 A. Blok La mafia di un villaggio siciliano, 1860-1960: imprenditori, contadini, violenti Edizioni di Comunita, Milano, 2000.

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Gazzetta Amministrativa -55- Numero 1 - 2015

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S. Scarpino Storia della camorra, Fenice 2000 Milano, 1995. G. Marino Bella e mala Napoli Laterza, Roma-Bari, 1993. I. Sales La camorra, le camorre Editori Riuniti, Roma, 1993. A. Nicaso ‘Ndrangheta. Le radici dell’odio Aliberti, Reggio Emilia, 2007. P. Arlacchi La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell'inferno Il Saggiatore, Milano, 2007. R. Oliva, E. Fierro La Santa. Viaggio nell'Ndrangheta sconosciuta (con DVD) Rizzoli, Milano, 2007. F. Falletti Nel mirino della 'ndrangheta Koin&egrave Nuove Edizioni, Roma, 2007. N. Gratteri, A. Nicaso Fratelli di sangue. L'Ndrangheta tra arretratezza e modernità : da mafia agro-pastorale a holding del crimine Pellegrini, Cosenza, 2006. E. Ciconte Processo alla 'ndrangheta Laterza, Roma-Bari, 1996 S. Scarpino. Storia della 'ndrangheta Fenice 2000, Milano, 1996 E. Ciconte 'Ndrangheta dall'unità ad oggi Laterza, Roma-Bari, 1992. M. Massari La Sacra Corona Unita. Potere e segreto Laterza, Bari-Roma, 1998. G. Ruotolo La quarta mafia. Storie di mafia in Puglia Pironti, Napoli, 1994. S. Becucci Criminalità multietnica. I mercati illegali in Italia Laterza, Roma-Bari, 2006. S. Becucci, M. Massari Globalizzazione e criminalità Laterza, Roma-Bari, 2003. P. Cusano - P. Innocenti Le organizzazioni criminali nel mondo Editori Riuniti, Roma, 1996. G. Tartaglia Polcini, Mafie narcotraffico e riciclaggio, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 2010. G. Tartaglia Polcini, Il filo di Arianna, strategie e tecniche di contrasto al riciclaggio di capitali illeciti S. Raas Le famiglie di Cosa Nostra Newton & Compton, Roma, 2007. P. Carlo Confessioni di un killer della mafia Newton & Compton, Roma, 2007. F. Sciarelli, A. Mancini Con il sangue agli occhi. Un boss della banda della Magliana si racconta Rizzoli, Milano, 2007. G. De Cataldo Romanzo criminale (con DVD) Einaudi, Torino, 2006. D. Guerretta, M. Zornetta A casa nostra. Cinquant'anni di mafia e criminalità in Veneto Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2006. G. Tenti Mafia americana. Fatti e misfatti dei grandi padrini. Da Al Capone a John Gotti Olimpia, Sesto Fiorentino, 2006. G. Baschetto, Stidda La quinta mafia, i boss, gli affari, i rapporti con la politica Pitti, Palermo, 2005 G. Bianconi Ragazzi di malavita. Fatti e misfatti della banda della Magliana Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2005. P. Sergi Gli anni dei basilischi. Mafia, istituzioni e società in Basilicata Franco Franco Angeli, Milano, 2003. M. Dianese Il bandito Felice Maniero Il Cardo, Venezia, 1995.

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Gazzetta Amministrativa -57- Numero 1 - 2015

Palermo, 1994 (nuova edizione DG Editore, Trapani, 2006). Commissione parlamentare antimafia, Dossier mafia per le scuole. Documenti e materiali raccolti dalla Commissione Parlamentare Antimafia XI Legislatura, Camera dei Deputati, Roma, 1994. P. Blandano - G. Casarrubea Nella testa del serpente. Insegnanti e mafia La Meridiana, Molfetta, 1993. R. Calabrese Mafia. Giovani e scuola contro. Documenti, storia e testimonianza in diretta Bompiani, Milano, 1992. P. Blandano - G. Casarrubea L'educazione mafiosa Sellerio, Palermo, 1991. CEI Educare alla legalità . Per una cultura della legalità nel nostro Paese, Nota pastorale della CEI, Commissione ecclesiale "Giustizia e pace" Edizioni Paoline, Torino, 1991. V. Ceruso Le sagrestie di Cosa Nostra. Inchiesta su preti e mafiosi Newton & Compton, Roma, 2007 R. Giuè Il costo della memoria. Don Peppe Diana. Il prete ucciso dalla camorra Paoline Editoriale Libri, Milano, 2007. C. Iavazzo Figli del vento. Padre Puglisi e i ragazzi di Brancaccio Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2007. B. Stancanelli A testa alta. Don Giuseppe Puglisi: storia di un eroe solitario Einaudi, Torino, 2003. S. Lodato Dall'altare contro la mafia Rizzoli, Milano, 1994. A. Riboldi Non posso tacere. Il sud non è l'inferno Rusconi, Milano, 1993. S. Parlagreco L'uomo di vetro Sugarco, Milano, 2007 A. Dino (a cura di) Pentiti. I collaboratori di giustizia, le istituzioni, l'opinione pubblica Donzelli, Roma, 2006. G. Montanaro, F. Silvestri Dalla mafia allo Stato Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2005. V. Scafetta U baruni di Partanna Mondello: storia di Mutolo Gaspare, mafioso, pentito Editori Riuniti, Roma, 2003. L. D'Ambrosio Testimoni e collaboratori di giustizia Cedam, Padova, 2002. M. Fumo Delazione collaborativa, pentimento e trattamento sanzionatorio: la nuova normativa sui collaboratori di giustizia: esegesi, spunti critici, riflessioni: commento organico alla L. 13-2-2001, n. 45 Edizioni Giuridiche Simone, Napoli, 2001. T. Buscetta S. Lodato La mafia ha vinto Mondadori, Milano, (in edizione economica), 1999. A. Cottino Vita da clan. Un collaboratore di giustizia si racconta Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1998. P. Arlacchi Addio Cosa Nostra. I segreti della mafia nella confessione di Tommaso Buscetta Rizzoli, Milano, 1996. P. Calderoni L'avventura di un uomo tranquillo Rizzoli, Milano, 1995. M. Bettini Pentito. Una storia di mafia Bollati Boringhieri, Torino, 1994. P. Arlacchi Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone Mondadori, Milano, 1992.

E. Biagi ll boss è solo Mondadori, Milano, 1987. Relazione della PROCURA NAZIONALE ANTIMAFIA sull’attività svolta nel 2012 e nel 2013, con riferimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle pubbliche amministrazioni. Relazione per una moderna politica antimafia della Commissione per l’elaborazione di proposte in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità. Consiglio dei ministri: scioglimento del Consiglio comunale di Isola delle Femmine, comunicato 21.3.2014 n° 8. Consiglio dei Ministri: comunicato 7.3.2013.

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Gazzetta Amministrativa -58- Numero 1 - 2015

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO E RIFORME ISTITUZIONALI

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI

MILLEPROROGHE: IN G.U IL TESTO DEL DECRETO LEGGE COORDINATO CON LA LEGGE DI CONVERSIONE. SINTESI DELLE NOVITÀ In vigore dal 1.3.2015 la l. n. 11 del 27.2.2015 sulla proroga dei termini. Sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28.2.2015 è stato pubblicato il testo del d.l. n. 192/2014 coor-dinato con la legge di conversione 27.2.2015, n. 11. Di seguito la sintesi: - Art. 1, coo. 1-5 Assunzioni a tempo indeterminato in pubbli-che amministrazioni Il co. 1 si articola nelle lettere a) e b), le quali prorogano al 31.12.2015 il termine per procedere ad as-sunzioni di personale a tempo indeterminato in specifiche amministrazioni pubbliche, rife-rite a ´budget assunzionali´ del 2008 e del 2009. Il co. 2 proroga al 31.12.2015 il termi-ne per procedere alle assunzioni di personale a tempo indeterminato, riferite al ´budgetassunzionale´ del 2014, I coo.i 3 e 4, prorogano al 31 dicembre 2015 le autorizza-zioni alle assunzioni per gli anni 2013 e 2014 adottate, per il comparto sicurezza-difesa e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in deroga alle percentuali del turn over indicate dalla legislazione vigente. Il comma 5 dispo-ne che le risorse per talune delle assunzioni prorogate per le quali non sia stata presenta-ta, entro la data di entrata in vigore del de-creto-legge in esame, apposita richiesta alle amministrazioni competenti - siano utilizzate (previa ricognizione da parte della Presiden-za del Consiglio dei ministri-Dipartimento della funzione pubblica) per la realizzazione di percorsi di mobilità del personale delle Province, a seguito della l. n. 56 del 2013.

Sono comunque fatte salve le assunzioni in favore dei vincitori di concorso, del persona-le in regime di diritto pubblico (di cui all´art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001) e del personale non amministrativo degli enti di ricerca. - Ar-ticolo 1, comma 6 (Contratti di lavoro a tem-po determinato delle Province) Prevede che le Province e le Città metropolitane, per comprovate necessità, possano prorogare i contratti di lavoro a tempo determinato fino al 31.12.2015. Art. 1, co. 7 (Dirigenti con contratto a tempo determinato dell´Agenzia Italiana del Farma-co) L’art. 1, co. 7, dispone una proroga, fino al 31.12.2015, di contratti a tempo determi-nato di dirigenti presso l´Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), anche in deroga ai limiti percentuali generali di incarichi di dirigenti attribuibili a soggetti non appartenenti ai ruoli dell´Amministrazione. La proroga con-cerne (nel limite dei posti disponibili in pian-ta organica) i contratti in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e con scadenza entro il 31.3.2015. - Articolo 1, comma 8 (Concorsi per i dirigenti delle A-genzie fiscali) Proroga (dal 31.12.2014) al 31.12.2015 il termine per il completamento delle procedure concorsuali indette dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli e dall’Agenzia delle entrate per il reclutamento di dirigenti di seconda fascia. - Articolo 1, coo. 8-bis e 8-ter (Proroga delle misure di contenimento spese di funzionamento dell´Agenzia delle entrate) Le norme esten-dono dal 2015 al 2020 l’efficacia temporale di alcune norme di contenimento della spesa delle Agenzie fiscali previste dal d.l. n. 78 del 2010. In particolare le Agenzie fiscali, anche

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Gazzetta Amministrativa -59- Numero 1 - 2015

per il periodo 2016-2020, possono assolvere agli obblighi derivanti dalle norme di conte-nimento della spesa mediante riversamento al bilancio dello Stato dell’1 per cento delle do-tazioni previste sui capitoli relativi ai costi di funzionamento, come stabilite dalla legge n. 192 del 2009. Si precisa che detta estensione temporale si riferisce alle norme in materia di contenimento della spesa dell´apparato amministrativo vigenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, fatte salve le disposizioni in mate-ria di locazione e manutenzione di immobili delle pubbliche amministrazioni, di cui al d.l. n. 66 del 2014. - Articolo 1, comma 9 (Assun-zioni di personale presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) Il comma 9 dell’articolo 1 consente al Ministe-ro dei beni e delle attività culturali e del turi-smo di effettuare, nel 2015, assunzioni in de-roga al blocco previsto dalla legislazione vi-gente, limitatamente ai profili professionali specialistici. – Art. 1, co. 10 (Personale dei Vigili del fuoco in posizione di comando o fuori ruolo) Riguarda il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco collocato in po-sizione di comando o fuori ruolo presso gli organi costituzionali, gli uffici di diretta col-laborazione dei ministri e gli uffici della Pre-sidenza del Consiglio dei ministri. La disposi-zione, in particolare, proroga a tutto il 2015 la deroga contenuta all’articolo 1, comma 6-septies, del d.l. n. 300 del 2006. - Articolo 1, comma 10-bis (Personale dei Vigili del fuoco della carriera direttiva: progressione di car-riera) Questo comma riguarda il personale della carriera direttiva del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, e più in particolare la sua progressione di carriera. Differisce al 31.12.2015 il termine – attualmente fissato al 31.12.2014 - entro il quale entrino in vigore le nuove norme in materia di progressione di carriera del personale direttivo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. – Art. 1, co. 11 (Proroga gestione dirigenziale per pagamenti e riscossioni nel settore ippico) Il co. 11 dell’art. 1 proroga al 30.6.2015 la gestione (originariamente disposta per il solo anno 2014 dalla legge di stabilità 2014 art. 1, co. 298, l. 27.12.2013, n.147) del dirigente dele-gato del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ad effettuare pagamenti

e riscossioni utilizzando il conto di tesoreria dell´ex ASSI, Agenzia per lo sviluppo del set-tore ippico. – Art. 1, comma 11-bis (Parco nazionale dello Stelvio) Il comma 11-bis dell´articolo 1 prevede che, nelle more del trasferimento alla regione Lombardia e alle province autonome di Trento e di Bolzano delle funzioni statali relativamente alla guida del Parco Nazionale dello Stelvio, come pre-visto dall´art. articolo 11, co. 8, del d.l. 24.6.2014, n. 91, il termine dei mandati del Presidente e del Direttore del Parco Nazio-nale dello Stelvio sia prorogato dal 17.2.2015 al 31.5.2015. Entro il predetto termine ad es-si è consentito di svolgere le funzioni deman-date agli organi centrali del consorzio di ge-stione del Parco, fatte salve, esclusivamente, quelle di competenza dei revisori dei conti. - Articolo 1, comma 11-ter (Commissario li-quidatore del Fondo gestione istituti contrat-tuali lavoratori portuali) Il co. 11-ter proroga fino al 30 giugno 2015 l´incarico del Com-missario liquidatore del Fondo gestione isti-tuti contrattuali lavoratori portuali (Fondo in liquidazione coatta amministrativa). - Artico-lo 1, comma 12 (Progetto formativo presso gli uffici giudiziari) Il comma 12 dell´articolo 1, in relazione al quale non sono stati appro-vati emendamenti modificativi da parte dell´altro ramo del Parlamento, differisce dal 31.12.2014 al 30.4.2015 il termine entro il quale coloro - lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e disoccupati - che hanno effettuato il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari - debbono completare il periodo di perfezionamento presso gli uffici giudiziari. - Articolo 1, comma 12-bis (Pre-cariato nelle Regioni: proroga di contratti a tempo determinato) La disposizione prevede che le Regioni possano procedere alla proro-ga dei contratti a tempo determinato fino alla conclusione delle relative procedure di stabi-lizzazione. - Art. 1, co. 12 ter (Personale re-gionale a contratto per attività di allertamen-to di protezione civile) La disposizione pro-roga al 31.12.2015 - con oneri a carico dei bilanci regionali - le disposizioni (di cui all’art. 14 dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3891 del 2010) che consentono alle Regioni di avvalersi di per-sonale, attraverso la proroga ovvero la stipu-la di nuovi contratti, al fine di assicurare, con

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Gazzetta Amministrativa -60- Numero 1 - 2015

carattere di continuità, il regolare svolgimen-to delle attività afferenti l’allertamento, il monitoraggio ed il coordinamento operativo delle strutture regionali che compongono il Servizio nazionale di protezione civile, pre-state dal personale in servizio presso i Centri funzionali e presso le Sale operative regionali di protezione civile. – Art. 1, co. 12-quater (Finanziamento dei partiti politici) Questo articolo proroga di sessanta giorni - per l’anno 2015 - i termini relativi al procedi-mento di controllo dei rendiconti dei partiti politici) In secondo luogo, proroga per l´anno 2015 - dal 30.11.2014 al 31.1.2015 - il termine per la presentazione da parte dei partiti delle richieste di accesso alle agevola-zioni fiscali. Infine prevede che fino al 31.12.2015 - ai partiti politici che siano in possesso dei requisiti per l’accesso ai benefi-ci ed abbiano presentato la relativa richiesta al 31.1.2015 - si applichino anche in caso di mancata iscrizione nel registro alla data del finanziamento, le disposizioni in materia di obblighi di trasparenza relativi ai finanzia-menti o contributi inferiori a 100.000 euro (Decreto legge Milleproroghe con la legge di conversione n. 11/2015 sintesi Conversione Senato).

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STATO CIVILE: DISPONIBILI LE FORMULE PER GLI ADEMPIMENTI

IN MATERIA DI SEPARAZIONE PERSONALE, DI CESSAZIONE DEGLI EFFETTI CIVILI E DISCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO, NONCHE’ DI MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI SEPARAZIONE O DI DIVORZIO È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 6 del 9.1.2015 il comunicato del Ministero dell´Interno con la quale si rende nota l´avvenuta approvazione delle formule per la redazione degli atti dello stato civile relative agli adempimenti in materia di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e discioglimento del matrimonio, nonche´ di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, di cui agli artt. 6 e 12 della l. 10.11.2014, n. 162 di conversione del d.l. 12.9.2014, n. 132 (Comunicato del Ministe-ro dell´Interno pubblicato sulla Gazzetta Uf-ficiale n. 6 del 9.1.2015).

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DECRETO MILLEPROROGHE: IN G.U. IL D.L. N. 192/2014. È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 31.12.2014 il decreto legge 31 di-cembre 2014 n. 192 recante "Proroga di ter-mini previsti da disposizioni legislative" (D.l. n. 192/2014 pubblicato sulla Gazzetta Uffi-ciale n. 302 del 31.12.2014).

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REDAZIONALI

INTERVENTO PUBBLICO O PRIVATIZZAZIONI: DIRITTO E POLITICA ECONOMICA PER LA CRESCITA del Dott. Sabato Vinci

L’articolo affronta l’ampia e dibattuta questione dell’intervento pubblico nell’economia. Molte-plici le ragioni illustrate - sia di ordine strategico che di ordine economico tenute insieme da una comune base di giuridico-normativa - che avvalorano una scelta di campo in senso contrario ri-spetto alla strada della privatizzazione di importanti aziende pubbliche. A queste si aggiunge, sotto il profilo di una valutazione improntata al metodo di analisi tipico del diritto pubblico dell’economia, una considerazione generale riguardante il fatto che la questione della presenza pubblica nell’economia e nell’industria nazionale, attiene alla sola conservazione della posizione (modesta) detenuta dal settore pubblico nell’era post privatizzazioni, non certo alla proliferazio-ne di società pubbliche sul mercato. Oggi la validità di sistemi di impresa in mano pubblica è i-noltre ulteriormente avvalorata dal fatto che essa risulta ancora il dispositivo più efficace per consentire al pubblico potere di tracciare una traiettoria strategica finalizzata a promuovere po-litiche di sviluppo di lungo periodo. The article discusses the wide and debated question of public intervention in the economy. Mul-tiple reasons mentioned - both of a strategic and economic order held together by a common legal basis - that validate a choice of field in the opposite direction from the road of privatization of major state companies. To this is added, in terms of an evaluation guided by the analysis method typical of public economic law, a general consideration about the issue of public presence in the economy and in the national industry, that concerns the only conservation of the position (mod-est) held by the public sector in the post privatization, certainly not to the proliferation of public companies on the market. Today the validity of enterprise systems in public hands is further sup-ported by the fact that it is still the most effective device for the public authority to trace a strateg-ic trajectory to promote long-term development policies. Sommario: 1. L’intervento pubblico nell’economia italiana; 2. L’inopportunità sul piano giuridi-co ed economico-organizzativo della privatizzazione totale degli asset strategici dell’industria i-taliana.; 3. Il finanziamento alternativo di una politica economica per la crescita; 4. Una pro-spettiva strategica per la crescita economica e industriale.

1. L’intervento pubblico nell’economia italiana.

Il concetto di impresa pubblica si afferma in Italia a partire degli anni ’20 del Novecen-to.

In realtà l’azione dello Stato nell’economia può datarsi almeno mezzo secolo addietro (la Cassa depositi e prestiti ad esempio venne fondata nel 1863), tuttavia fu a partire dalla “prima industrializzazione” degli anni ’20 che lo “Stato liberale” cominciò a divenire

progressivamente “Stato imprenditore”, gra-zie a un’azione interventista che consentì di realizzare potenti investimenti nel campo del credito, delle telecomunicazioni e dei servizi pubblici.1

Progressivamente si afferma il modello

Dott. Sabato Vinci Avvocatura Generale dello Stato e Assistente universitario all’Università LUISS Guido Carli 1 CASSESE S., La nuova costituzione economica, Edi-tori Laterza, 2011.

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delle “aziende a partecipazione pubblica”, ovvero enti societari di diritto privato in cui lo Stato assume la veste di vero e proprio a-zionista, e nel 1933 nascerà l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI). Questo ini-zialmente viene fondato come ente provviso-rio per il salvataggio pubblico di aziende pri-vate in stato di crisi, ma già nel 1937 diverrà ente pubblico stabile funzionale al persegui-mento di obiettivi degli politica economica dello Stato.2

A seguito della grande crisi del 1929 l’IRI fu costretto a salvare una serie di banche tra le più importanti del tempo (Banca commer-ciale, Credito italiano, Banco di Roma), dive-nendo proprietario delle stesse oltre che delle imprese da esse controllate.3

In epoca repubblicana, l’azione di inter-vento dello Stato nell’economia continuò a svilupparsi, dando un impulso fondamentale alla ricostruzione post-bellica grazie a un compiuto sistema di “economia mista”, in cui impresa pubblica e impresa privata, concor-revano insieme allo sviluppo del Paese pas-sando da un’economia agricola a una indu-striale. Questa idea trovò anche un preciso ri-ferimento costituzionale nell’art. 43 della Carta fondamentale, la quale recita che “A fi-ni di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espro-priazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di im-prese, che si riferiscano a servizi pubblici es-senziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminen-te interesse generale.”

In questo modo, nacquero una serie di “enti pubblici economici”. Negli anni ’50 nacque l’Ente Nazionale Idrocarburi (E.N.I.) su impulso fondamentale di Enrico Mattei, al quale vennero conferite le partecipazioni del-lo Stato italiano in A.G.I.P. ed il patrimonio dell’Ente Nazionale Metano. Negli anni pre-paratori alla svolta di centro-sinistra da parte della Dc di Aldo Moro e Amintore Fanfani (1962) si realizzò la completa nazionalizza- 2 URBANO G., La società a partecipazione pubblica tra tutela della concorrenza, moralizzazione e ammini-strativizzazione, Amministrazione in cammino. 3 URBANO G., op. cit.

zione del mercato dell’energia elettrica, con la costituzione dell’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (ENEL): in applicazione dell’art. 43 Cost. vennero dunque espropriate in favore dell’ENEL le imprese operanti nel settore dell’elettricità, dietro corresponsione di un indennizzo. Con la creazione degli enti pubblici economici ENI e ENEL, l’ordi-namento italiano dava vita a due concreti strumenti d’intervento pubblico nell’econo-mia.

Il passo immediatamente successivo sarà l’istituzione, con la legge 1589 del 1956 del Ministero per le Partecipazioni Statali, il qua-le assorbiva in sé la funzione di vigilare, co-ordinare e dirigere l’azione generale pubblica nell’economia nazionale, gestendo diretta-mente il vasto complesso di azionariato pub-blico tra le varie imprese pubbliche facente capo allo Stato direttamente oppure a vari ministeri. Già negli anni ’70 dunque l’ormai vastissima presenza pubblica nell’economia italiana si estendeva da ENI e ENEL, fino al-lo grande holding dell’IRI e ancora all’EFIM, all’EGAM, all’EAGC e all’EAGAT.

Nel corso degli anni ’90 invece si realizzò sostanzialmente il processo inverso: l’era del-le “privatizzazioni”. Abolito il Ministero per le Partecipazioni Statali, anche sotto la spinta del nuovo contesto europeo, venne attuato un programma di progressiva retrocessione dello Stato dal terreno dell’economia, il che si rea-lizzò sotto il profilo giuridico-economico me-diante una strategia che si espresse in due fa-si:

a) La fase della “privatizzazione forma-le” : trasformazione delle aziende au-tonome e degli enti pubblici economi-ci in vere e proprie società per azioni di diritto privato;

b) La fase della “privatizzazione sostan-ziale”: messa sul mercato dell’azionariato pubblico (che venne infatti talvolta venduto a privati e/o quotato su mercati regolamentati co-me nel caso di ENI e ENEL), regolata attraverso la Legge n. 374 del 1994.

Secondo questo schema sono state tra-sformate in S.p.a. i preesistenti istituti di cre-

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dito di diritto pubblico4 e le più grandi azien-de di Stato (ENI, ENEL, INA, IRI), ed il Mi-nistero del Tesoro, poi divenuto Ministero dell’Economia e delle Finanze, fu individuato quale referente delle partecipazioni pubbliche nelle nuove società neo-costituite, con diritti di veto e di gradimento, poteri di nomina de-gli organi di vertice delle società partecipate5.

De iure condendo si può intravedere nel passaggio dall’interventismo pubblico diffuso nell’economia nazionale all’era delle priva-tizzazioni, l’abbandono di un certo modello di gestione di interessi economici pubblici (quello dell’ente pubblico economico e dell’azienda autonoma) in favore di un altro modello che dagli anni ’90 in poi ha avuto molto successo: le società “anomale” ovvero “di diritto speciale”.

Queste, secondo la giurisprudenza godono di una peculiare caratteristica che serve a dif-ferenziale dal modello dell’ente pubblico e-conomico: sono infatti soggetti privati che tuttavia operano secondo un regime regola-mentare che talvolta deroga ai principi del di-ritto privato in nome di una missione pubbli-ca, il modello previgente era invece quello di un soggetto pubblico vero e proprio che so-vente operava secondo regole privatistiche6. In questo modo la giurisprudenza amministra-tiva del Consiglio di Stato è arrivata ad elabo-rare, in relazione alle persone giuridiche sorte dal processo di privatizzazione degli anni ‘90, il concetto di “enti pubblici in forma societa-ria” 7 (quali sono a es. oggi importanti attori economici come ENI, ENEL, Ferrovie dello Stato, ecc..).

Il carattere speciale di questo tipo di im-prese, è dunque determinato dalla possibilità per le stesse di derogare rispetto alla discipli-na ordinaria dettata dal codice civile in mate-ria societaria. Come infatti sostiene la giuri-sprudenza della Corte costituzionale, queste aziende “sono strumenti operativi dell'ammi-nistrazione pubblica, ormai diffusamente uti-lizzati (…) al fine di realizzare, in via indiret-ta, finalità pubbliche connesse all'esercizio

4 L. n. 218 del 1990 e D.lgs n. 356 del 1990. 5 L. n. 359 del 1992. 6 CASSESE S. Istituzioni di diritto amministrativo, Giuffrè editore, 2009 7 CdS, VI, Sentt. n. 1206/2001 e n. 1303/2002.

delle proprie competenze. Lo sviluppo di que-sto tipo di amministrazione indiretta si colle-ga a una generale evoluzione dello Stato nell'epoca contemporanea, in base alla quale quest'ultimo tende a utilizzare crescentemen-te, soprattutto nel campo dei servizi pubblici e del rapporto d'impiego pubblico, moduli di azione e di organizzazione propri del diritto privato. (…) [tuttavia] l'utilizzazione a scopi di amministrazione pubblica indiretta di isti-tuzioni proprie del diritto privato impone di precisare ed, eventualmente, distinguere ciò che pertiene all'area dei rapporti generali del diritto privato e ciò che concerne l'area dell'organizzazione pubblica.”8

Tali limiti, sono tradizionalmente indivi-duati dalla giurisprudenza costituzionale9 in un limite del diritto privato basato “sull'esi-genza che sia assicurata su tutto il territorio nazionale una uniformità di disciplina e di trattamento riguardo ai rapporti intercorrenti tra i soggetti privati, trattandosi di rapporti legati allo svolgimento delle libertà giuridi-camente garantite ai predetti soggetti e al correlativo requisito costituzionale del godi-mento di tali libertà in condizioni di formale eguaglianza (artt. 2 e 3 della Costituzione)”, unitamente a “deroghe alla legislazione di diritto privato - semprechè queste non com-portino una violazione, ancorchè indiretta, dei principi civilistici e non risultino manife-stamente irragionevoli - sono, invece, am-messe nell'area dei rapporti intercorrenti tra la società privata e l'amministrazione (…), nella misura in cui prevale la connotazione relativa alla strumentalità della società stessa alle finalità pubbliche che la regione perse-gue nei campi rientranti nelle competenze ad essa costituzionalmente attribuite.”

Per tali enti pubblici in forma societaria (o società di diritto speciale o anomale), alla di-sciplina speciale confezionata per essi apposi-tamente dal legislatore, si affiancano una se-rie di vincoli previsti dalla giurisprudenza amministrativa sulla base della missione pub-blicistica che essi svolgono: è il caso dell’assoggettamento ai controlli contabili

8 C.Cost., Sent. n. 35 del 1992. 9 C.Sost. Sentt. nn.72 del 1965, 154 del 1972, 151 del 1974, 38 del 1977 e 691 del 1988.

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della Corte dei Conti10, dell’obbligo di rispet-tare la normativa in materia di accesso agli atti amministrativi11 nonché più in generale alla giurisdizione del giudice amministrati-vo12 (Cassese, 2009).

Per quanto riguarda il controllo da parte dei magistrati contabili, la giurisprudenza del-la Corte di Cassazione ha avuto modo di far sentire la propria voce anche a Sezioni Unite, ribadendo con la Sentenza 27092/09 che “la disposizione di cui si tratta (art. 1 L. 14/01/1994 n. 20) ha esteso la giurisdizione della Corte dei conti non già ad indistinti blocchi di materia, nel senso precisato da Corte cost. 6 luglio 2004 n. 204 e 11 maggio 2006 n. 191, bensì ad attività già potenzial-mente comprese nella previsione dell’art 103 Cost. perché riferibili alla pubblica ammini-strazione e pregiudizievoli per le sue finanze, anche se svolte in campo economico con gli strumenti del diritto privato”.

Oltre a ciò, lo stesso legislatore ordinario, con d.l. 52/12, all’art. 2 co. 2, partendo dal presupposto che le società partecipate (in questo caso “totalmente”) dal settore pubbli-co incidono direttamente sulle finanze pub-bliche, ha provveduto a classificare le stesse, ai fini della riduzione della spesa pubblica, addirittura tra le “amministrazioni pubbli-che”.13

Per quanto invece concerne l’assog-gettabilità delle società speciali al regime di accesso agli atti di cui alla Legge 241/90, la giurisprudenza amministrativa ha ricondotto tale obbligo alla necessità di verificare se “sotto il profilo genetico, organizzativo e fun-zionale” tale società mostra punti di contatto particolarmente forti col modello societario di stampo privatistico, ovvero se si tratti di enti aventi si una struttura di tipo societaria, ma con natura essenzialmente pubblicistica.14 Sulla base di questo iter logico, il Consiglio di Stato ha sancito che “la strumentalità all'interesse pubblico sotteso alla gestione del

10 C.cost., Sent. n. 466 del 1993. 11CdS, n. 4711 del 2002 e altre. 12 CdS, n. 1206 del 2001 e altre. 13 CAPALBO F., Le società partecipate dagli enti pubblici: un problema di teoria generale, Responsabi-lità amministrativa. 14 CAPALBO F., op. cit.

servizio pubblico, quindi, se certo va ridi-mensionata allorché il gestore sia un sogget-to del tutto privato, tenuto, pur nel dovuto ri-spetto degli obblighi di servizio, al persegui-mento di finalità sue proprie, non può non subire una scontata dilatazione quando la ge-stione è affidata a soggetti a forte impronta, se non addirittura a natura pubblica; si trat-ta, infatti, di soggetti per i quali il dovere di imparzialità rinviene non solo dalla natura dell'attività espletata, ma anche dal persi-stente collegamento strutturale con il potere pubblico”.

Questa analisi è tanto più fondata nel caso la società speciale operi in un contesto “di sostanziale monopolio in materia”.

Quanto all’assoggettabilità delle società speciali alla giurisdizione del giudice ammi-nistrativo, particolarmente importante è stata la decisione del Consiglio di Stato in tema di affidamento di contratti di appalto da parte delle Ferrovie dello Stato (trasformata in S.p.a. mediante la delibera CIPE sulla base dell’art. 18 della l. n. 359 del 1992). In quell’occasione venne ribadita la giurisdizio-ne del giudice amministrativo in quanto “in tali fattispecie l’adozione della forma socie-taria si presenta come modulo per rendere l’attività economica più efficace e più funzio-nale, fermo restando che l’impresa mantiene sotto molteplici profili uno spiccato rilievo pubblicistico”15.

Tirando le fila del discorso, si può dunque concludere che le “società speciali” si confi-gurano come veri e propri “enti pubblici in forma societaria”, posta la specifica rilevan-za pubblica delle stesse, che si innesta su una natura giuridica di tipo privatistico. Non mancano certamente posizioni dottrinali ten-denti a sottolineare la incompatibilità in a-stratto di enti pubblici strutturati in forma so-cietaria, tuttavia “va progressivamente gua-dagnando terreno, in giurisprudenza, la tesi contraria per cui è possibile riconoscere alle società per azioni, qualora ricorrano deter-minate condizioni, la natura di ente pubbli-co” 16.

Da qui la possibilità di fruire per questi ul- 15 CdS, sez. IV, n. 498 del 1995. 16 GAROFOLI R., Diritto amministrativo, Nel Diritto, 2014.

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timi di una disciplina speciale complementare e compatibile con quella civilistica.

Ancora le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avuto modo di esprimersi sulla questione in riferimento al caso RAI S.p.a.17: ribadendo che tale società, partecipa-ta pubblica al 100%, in cui il regime giuridico privatistico convive con una disciplina spe-ciale, per tutto quanto non specificamente di-sposto da quest’ultima ci si rifà al diritto co-mune. Sulla stessa lunghezza d’onda è l’art. 4, co. 13, del d.l. 95/12 nonchè l’art. 49, co. 2, d.lgs 177/05, laddove viene sancito che, salve le disposizioni di carattere speciale in quella sede normate, per tutto quanto non specifica-mente disciplinato trova normale applicazio-ne la disciplina del codice civile in materia societaria.18

L’attenzione del mondo del diritto dunque si è spostata progressivamente dalla configu-rabilità in astratto di tali “enti pubblici in forma societaria” al tema dell’individuazione di criteri concreti in base ai quali determinate società sottoposte ad un regime giuridico dif-ferente rispetto al modello civilistico possono essere ricondotti alla sfera pubblicistica. A questo proposito, secondo consolidati orien-tamenti da parte della giurisprudenza ammi-nistrativa e di parte della dottrina19 “è neces-sario che organi politici estranei alla gover-nance societaria incidano, in misura rilevan-te, sulle decisioni strategiche degli enti pub-blici economici poi privatizzati: tale indirizzo politico esterno è sintomatico del persegui-mento dell’interesse pubblico perseguito da parte dei predetti enti, al di là della forale ve-ste giuridica societaria e quindi della loro piena attrazione in orbita pubblicistica”20 (Garofoli, 2014).

2.L’inopportunità sul piano giuridico ed

economico-organizzativo della privatizza-zione totale degli asset strategici dell’in-dustria italiana.

Facendo un passo avanti rispetto allo spe-cifico regime giuridico-amministrativo di questi enti, la presente trattazione si propone 17 Cass.SS.UU., Sent. n. 28329 e 28330 del 2011. 18 CAPALBO F., op. cit. 19 In particolare Roberto Garofoli. 20 GAROFOLI R., op. cit.

di operare una analisi del problema della loro sopravvivenza anche sotto il profilo della strategia economica. In questo contesto si in-crocia dunque l’ampia e dibattuta questione dell’intervento pubblico nell’economia: nella società del 2015 esso mantiene ancora speci-fiche ragioni di validità o è un modello di ge-stione la cosa pubblica ormai superato dai tempi? Risulta ancora un’opportunità per l’economia nazionale o è un intralcio rispetto al libero operare del settore privato sul merca-to? La convinzione positiva dello scrivente in merito alla validità contemporanea di sistemi di impresa in mano pubblica quale strumento strategico dello Stato, è motivata dal fatto che l’impresa pubblica rappresenta ancora oggi il dispositivo più efficace per consentire al pub-blico potere di tracciare una traiettoria strate-gica finalizzata a promuovere politiche di svi-luppo di lungo periodo: “se osserviamo la si-tuazione attuale vediamo che le grandi im-prese private che operano nell’energia, nel credito e nelle assicurazioni, grazie ad un in-cessante processo di concentrazione, stanno aumentando il loro potere di mercato, posso-no controllare i prezzi, sono poco propense a finanziare l’espansione degli investimenti nella ricerca e sviluppo e tendono a impiega-re quote crescenti dei loro profitti nel settore finanziario”21.

Di qui l’utilità di una prospettiva politico-economica che consenta la sopravvivenza, e un miglior utilizzo, degli enti pubblici in for-ma societaria schierandoli in settori strategici dell’economia nazionale al fine di realizzare politiche di lungo periodo.

Da qui veniamo all’annosa questione tutt’oggi protagonista del dibattito politico, economico e giuridico nazionale: l’idea di completare il processo di privatizzazione del-le principali aziende il cui azionista di riferi-mento è ancora lo Stato - ENI, ENEL, Fin-meccanica, ecc.. - al fine principale di recupe-rare risorse economiche da impiegare (auspi-cabilmente) in una strategia di crescita eco-nomica. Senza voler neppure prendere in con-siderazione il rischio, più che possibile, che le risorse derivanti da operazioni perfettamente 21 Cit. SYLOS LABINI S., Il ruolo degli investimenti pubblici per la crescita, Associazione Paolo Sylos La-bini, Settembre 2014.

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riuscite sul piano tecnico finiscano in realtà con l’alimentare la spesa corrente senza alcun beneficio in un’ottica di investimenti, l’opinione sostanzialmente contraria dello scrivente deriva da un’analisi che tiene conto dei risvolti possibili tanto in termini di effi-cienza organizzativa quanto in termini di guadagno economico effettivo.

Sotto il primo aspetto essenzialmente non esiste ad oggi una teoria economica che di-mostri (a meno che non si prenda in conside-razione la piccola impresa di stampo neoclas-sico) che il privato - a parità di condizioni (soprattutto organizzative) - abbia una mag-giore capacità di gestire le aziende in un’ottica di efficienza. Come scrivono infatti due autorevoli studiosi di economia industria-le come Fabio Gobbo e Cesare Pozzi infatti, “questa convinzione [quella che il privato sia per definizione più efficiente del pubblico] trova facile sponda nell’istintivo riferimento al “piccolo imprenditore privato”, figura as-sai prossima per molti aspetti all’impren-ditore neoclassico, e alla sua capacità, anch’essa spesso mitizzata, di massimizzare la produttività dei fattori grazie al controllo diretto. Il problema sta nel fatto che quest’idea, se anche fosse fondata per la pic-cola impresa, non lo è certamente per le grandi organizzazioni private che, a maggior ragione se esiste separazione tra proprietà e gestione, hanno a disposizione potenzialmen-te gli stessi strumenti di pianificazione e con-trollo delle istituzioni pubbliche”22.

Sotto il secondo aspetto invece - quello del guadagno netto dello Stato a seguito di priva-tizzazioni di imprese controllate dal settore pubblico - ciò che è assolutamente fuori di-scussione è che un Paese che sceglie di priva-tizzare totalmente imprese importanti rischia di perdere asset strategici ed ha la certezza di non incassare più dividendi, ma non c’è alcu-na certezza di guadagni effettivi. Come soste-nuto autorevolmente dal prof. Cesare Pozzi sarebbe dunque auspicabile che “il futuro di aziende come Eni, Enel o Ferrovie rientrasse in un dibattito pubblico sul futuro industriale del Paese”, oltre a questo bisognerebbe far

22 Cit. GOBBO F., POZZI C., Privatizzazioni: econo-mia di mercato e falsi miti, Economia italiana, 3/2007.

tesoro anche delle esperienze che derivano all’Italia dalle privatizzazioni degli anni ‘90, chiedendosi “non solo quanto lo Stato ha in-cassato dalla vendita, ma anche a quanto ha rinunciato in termini di dividendi e quanto è stato pagato all’estero. Telecom è un caso emblematico: era la più grande impresa eu-ropea e ora cosa è rimasto? L’industria delle telecomunicazioni sembra esser stata dimen-ticata da tutti. Il vero rischio è fare operazio-ni che indeboliscono il Paese generando non creazione, ma distruzione di valore”23. Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca Davide Giacalone, esperto di privatizzazioni, che sempre a proposito dell’esperienza Telecom afferma che “si trasformò una multinazionale sana in un bidone indebitato. Avevamo una rete all’avanguardia, ne abbiamo una vec-chia” 24.

Secondo un calcolo effettuato nel 2012 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze inol-tre, dal 2008 si è verificata una svalutazione complessiva delle partecipazioni detenute dal Tesoro all’interno di società quotate pari al 43%. Ciò significa che l’alienazione dei 12,5 miliardi di quote rimaste, considerato che lo Stato non percepirebbe più dividendi, produr-rebbe una perdita di 491 milioni.25

Molteplici dunque le ragioni - sia di ordine strategico che di ordine economico - che av-valorano una scelta di campo in senso contra-rio rispetto alla strada della privatizzazione di importanti aziende pubbliche. A queste si ag-giunge, sotto il profilo di una valutazione im-prontata al metodo di analisi tipico del diritto dell’economia, una considerazione generale riguardante il fatto che la questione della pre-senza pubblica nell’economia e nell’industria nazionale, attiene alla sola conservazione del-la posizione (modesta) detenuta dal settore pubblico nell’era post privatizzazioni, non certo alla proliferazione di società pubbliche sul mercato. A questo proposito infatti, già il

23 POZZI C., Il rischio è uscire da settori strategici per il Paese, intervista al quotidiano Avvenire, 19.11.2013. 24 GIACALONE D., Privatizzazioni. “Fermiamo l’Opa sui nostri gioielli”, Libero. 25 ANSA, Patrimonio dello Stato: il Tesoro dà il via alla vendita, si parte con 3-5 miliardi, L’Huffington Post, 25.10.2012.

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legislatore ha avuto modo di esprimersi26 in-troducendo notevoli delimitazioni circa il po-tere delle pubbliche amministrazioni di costi-tuire ovvero divenire soci (anche di minoran-za) di società “aventi ad oggetto attività di produzione di beni e di servizi non stretta-mente necessarie per il perseguimento delle proprie attività istituzionali” in nome di un principio di tutela della concorrenza e del mercato, cui si affianca secondo l’orien-tamento di una parte della dottrina27 anche l’esigenza di ridurre la spesa pubblica. Anche la giurisprudenza ha poi preso posizione sul tema. La Corte costituzionale infatti “pur ri-badendo in via di principio l’intangibilità della libera iniziativa economica privata de-gli enti pubblici, ha rimarcato la necessità di evitare che soggetti dotati di privilegi operino in regime di concorrenza con altri operatori privati” 28. La giurisprudenza amministrati-va29 invece, intervenendo a chiarimento della ratio alla base della Legge 244/2007 rilevava l’intento principale del legislatore non tanto nell’assicurare “la tutela della concorrenza (che di per sé lo strumento dell’impresa pub-blica non potrebbe pregiudicare), quanto per garantire, in coerenza con l’esigenza di ri-spettare il principio di legalità, il persegui-mento dell’interesse pubblico. Può, pertanto, ritenersi che, allo stato, esiste una norma im-perativa che pone un chiaro limite all’esercizio dell’attività di impresa pubblica (…). Tale divieto viene meno solo ove si tratti di società costituende o già costituite che producono servizi di interesse generale rien-tranti nella specifica competenza del singolo ente”30.

Ancora il Consiglio di Stato ha chiarito che la stessa l. 244/2007 punta “a evitare che un soggetto che svolge attività amministrati-va, eserciti allo stesso tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi del qua-li esso può godere in quanto Pubblica Ammi-nistrazione”31.

26 L. n. 244 del 2007. 27 GAROFOLI R.; op. cit. 28 Cit. GAROFOLI R., op cit. 29 Cons.St, sez. VI, n. 1574 del 2012 e TAR Sard. n. 569 del 2013. 30 Cit. GAROFOLI R., op. cit. 31 Cit. GAROFOLI R., op. cit.

In conclusione, l’ordinamento oggi vigente distingue solo due tipi di società espressa-mente consentite: quelle che svolgono attività strettamente necessarie in considerazione dei fini istituzionali degli enti e quelle che co-munque generano servizi di interesse genera-le.

Non esiste dunque ad oggi sul tavolo - in virtù di una posizione chiara da parte sia del legislatore che della giurisprudenza, nonché in ragione di limiti di bilancio particolarmen-te restrittivi nell’attuale congiuntura econo-mica - il tema di un ampliamento della pre-senza pubblica nell’economia.

Di qui l’utilità di ribadire che il tema non è dunque sollecitare la creazione di ulteriori i-niziative interventiste dei pubblici poteri, ma solo la conservazione (e la possibilmente mi-gliore messa a frutto) dell’azionariato di cui gli stessi poteri dispongono oggi in aziende strategiche per l’interesse nazionale. Una scelta diversa si rivelerebbe infatti, per le ra-gioni sopra esposte, molto probabilmente dannosa sul piano sociale e su quello della fi-nanza pubblica, nonchè ininfluente sul piano dell’efficienza organizzativa.

Discorso diverso è invece per la verità quello che riguarda la privatizzazione di beni pubblici (terreni, edifici ecc..).

Questa può essere infatti una via poten-zialmente percorribile, peraltro - tra Stato ed Enti territoriali – il patrimonio immobiliare pubblico già censito eccede i 55 miliardi di euro su un valore complessivo pari a 350 mi-liardi (15% dello Stato, non tutto cedibile)32.

Il problema concreto risulta tuttavia essen-zialmente duplice: in primis il rischio già sot-tolineato dalla Corte dei conti di “svendere”, in secundis non sembra esistano ad oggi po-tenziali acquirenti disposti a comprare a prez-zi di mercato, anche se questo aspetto potreb-be facilmente essere verificato con una con-sultazione internazionale aperta.

Dunque è positivo mettere sul mercato be-ni immobili di proprietà del settore pubblico, ma le partecipazioni rimaste negli “enti pub-blici in forma societaria”. La contrarietà al mezzo tuttavia, non porta con sé come diretta conseguenza una identica contrarietà al fine.

32 ANSA, op. cit.

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In altre parole il fatto che sia sbagliato in un’ottica di efficace politica pubblica cedere asset strategici, non significa che la stessa fi-nalità di fare cassa per promuovere la crescita economica del Paese sia sbagliata.

3.Il finanziamento alternativo di una po-

litica economica per la crescita. Senza voler sconfinare sul terreno

dell’economia monetaria, che porterebbe con sé una pur auspicabile riflessione sul tema della sovranità monetaria e sui limiti di un’auro-zona dotata di una banca centrale “a-tipica” e priva di un vero governo sovrana-zionale, nel quadro dell’attuale assetto istitu-zionale le risorse necessarie ad un’operazione espansiva dell’economia nazionale possono essere reperite in misura equivalente, se non addirittura superiore, a quelle realisticamente ottenibili dalla cessione dell’azionariato nelle maggiori aziende speciali, mediante una for-ma di contribuzione straordinaria da applicare ai percettori di reddito più alto. In questo mo-do la prospettiva economica, viene a mesco-larsi con la necessità giuridica di confeziona-re il provvedimento in termini coerenti con l’impianto costituzionale e amministrativisti-co dello Stato.

Il problema di forme di contribuzione stra-ordinaria da applicare sui percettori di redditi alti è infatti una questione estremamente con-troversa nel panorama italiano, sia in termini politici che di diritto.

Più volte infatti il legislatore si è visto di-chiarare illegittimi provvedimenti di tal fatta in relazione a determinate categorie di contri-buenti - quali i dirigenti pubblici e i pensiona-ti - sotto il profilo della conformità alla Costi-tuzione italiana.

In ultimo è stata proprio la riforma pensio-nistica posta in essere dal d.l. n. 98/2011, la quale prevedeva un «contributo di solidarie-tà» a carico dei pensionati percettori di oltre 90 mila euro lordi all'anno ad aver posto i ri-flettori sulla questione. In particolare la Corte costituzionale, dopo aver soppresso con la sentenza n. 223 dell’11.10.2012 la norma che imponeva un contributo di solidarietà sugli stipendi dei “super-manager pubblici”, cen-surando l’art. 18 co. 22 bis dello stesso d.l. 98/2011 con la sentenza n. 116 del 5.6.2013

ha dichiarato l’illegittimità anche del contri-buto di perequazione33, ovvero “quella com-binazione normativa che, nel cruciale secon-do semestre 2011, aveva introdotto e varia-mente regolato il contributo definito di pere-quazione, destinato al versamento da parte dell’INPS, collettore delle somme trattenute, “all’entrata del bilancio dello Stato” (cit. SANDULLI, 2013)”.

Si legge infatti nel sentenza in oggetto che, in ossequio a quanto la giurisprudenza costi-tuzionale stabilisce circa il fatto che «la Co-stituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacità contri-butiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ul-teriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compi-to di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed egua-glianza dei cittadini-persone umane, in spiri-to di solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n. 341 del 2000), il controllo della Corte in or-dine alla lesione dei principi di cui all’art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., non può, quindi, che essere ricondotto ad un «giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità dell’imposizione» (sentenza n. 111 del 1997).

Nel determinare dunque l’arbitrarietà della norma contenente la previsione del “contri-buto di solidarietà”, la Corte costituzionale si colloca sulla medesima linea di pensiero già a suo tempo stigmatizzata nella Sentenza n. 223 del 2012: nel momento in cui venne ritenuto irragionevole il diverso trattamento fra dipen-denti pubblici e contribuenti in generale, nel 33 SANDULLI P., Le “pensioni d’oro” di fronte alla Corte europea dei diritto dell’uomo, alla Corte costituzionale italiana e al legislatore, Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, n. 4, 2013.

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momento in cui venne previsto un prelievo triennale a carico di dirigenti e manager pub-blici. Tale norma, contenuta nell'art. 9, com-ma 2, dl 78/2010 (interessava circa 26.400 dipendenti), venne dunque già ritenuta inco-stituzionale nella parte in cui disponeva che a decorrere dal 1.1.2011 e sino al 31.12.2013 “i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti (...), superiori a 90.000 euro lordi annui siano ridotti del 5% per la parte ecce-dente 90.00 euro fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 eu-ro” 34.

Anche nel caso del d.l. 98/2011, la Corte ha rilevato una analogia tra la ratio della stes-sa, rispetto alla norma già dichiarata illegitti-ma. Scrive infatti il Giudice delle leggi “al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha imposto ai soli titolari di trattamenti pensionistici, per la medesima finalità, l’ulteriore speciale prelie-vo tributario oggetto di censura, attraverso una ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi. Va pertanto ribadito, anche questa volta, quanto già affermato nella cita-ta sentenza n. 223 del 2012, e cioè che tale sostanziale identità di ratio dei differenti in-terventi “di solidarietà”, determina un giudi-zio di irragionevolezza ed arbitrarietà del di-verso trattamento riservato alla categoria colpita, «foriero peraltro di un risultato di bi-lancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legi-slatore avesse rispettato i principi di egua-glianza dei cittadini e di solidarietà economi-ca, anche modulando diversamente un “uni-versale” intervento impositivo». Se da un lato l’eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è suscettibile di consentire il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddi-sfacimento degli interessi finanziari e di ga-rantire i servizi e la protezione di cui tutti cit-tadini necessitano, dall’altro ciò non può e non deve determinare ancora una volta un’obliterazione dei fondamentali canoni di uguaglianza, sui quali si fonda l’ordinamento costituzionale.”

Dunque la disciplina recante il contributo

34 C.cost. Sent. n. 223 del 2012.

di solidarietà, veniva ritenuta incostituzionale a causa del contrasto con il principio costitu-zionale di uguaglianza, al quale – come av-viene per tutti i principi contenuti nella Carta fondamentale quale fonte suprema del diritto - dev’essere informata la legislazione dello Stato.

Oltre a ciò peraltro, il contributo di solida-rietà in oggetto veniva altresì dichiarato a maggior ragione “irragionevole” se si consi-dera che la giurisprudenza costituzionale, tra-dizionalmente ritiene che il trattamento pen-sionistico ordinario si configuri come “retri-buzione differita”35: in questo modo la di-scriminazione risulta ancora più evidente a giudizio dei giudici, per il fatto che il maggio-re prelievo tributario viene a gravare su “red-diti ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavo-rativa, rispetto ai quali non risulta più possi-bile neppure ridisegnare sul piano sinallag-matico il rapporto di lavoro”.

Diretta conseguenza dell’intervento della Consulta è stata la restituzione dei denari che erano stati trattenuti dall'estate del 2011 a og-gi. L’illegittimità sarebbe derivata dunque dal fatto che, configurando il “contributo di soli-darietà” come un vero e tributo, la Corte ha visto violato il principio di uguaglianza ed il principio di capacità contributiva (perché ap-plicato non alla generalità indistinta dei con-sociati, bensì a una sola categoria di cittadini, ovvero ai soli pensionati): “intervento impo-sitivo irragionevole e discriminatorio ai dan-ni di una sola categoria di cittadini”36.

La posizione della corte ha tuttavia susci-tato un ampio dibattito nella dottrina costitu-zionale, al punto che lo stesso Valerio Onida (Presidente emerito della Corte costituziona-le), ha mostrato forti perplessità: “Non mi ha convinto il semplice richiamo ai principi di uguaglianza e di capacità contributiva. Non è che ogni imposizione di tipo tributario sia le-gittima solo se colpisce esattamente nello stesso modo e allo stesso livello (fatto salvo evidentemente il principio di progressività) tutte le manifestazioni di capacità contributi-

35 C.cost., Sent. n. 30 del 2004 e Ord. n. 166 del 2006 36 C.cost. Sent. n. 116 del 2013.

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va dello stesso tipo (e così tutti i tipi di redditi goduti dai contribuenti). E’ tutt’altro che in-frequente, invece, che redditi diversi (da la-voro subordinato, da lavoro autonomo, da capitale, da vincite al gioco, eccetera) siano colpiti in modo e misura diversi per svariate ragioni di politica tributaria, legate alla tipo-logia di fonte del reddito, alla facilità di ac-certamento, a eventuali vantaggi o benefici che si ritenga giusto e utile riconoscere a cer-ti tipi di redditi, e così via. Allora il problema non può esaurirsi nella constatazione che il legislatore ha colpito certi redditi e non altri – o anche certi redditi classificati “da lavo-ro” (come le pensioni) e non altri -, ma ri-chiede che si valutino le ragioni che stanno a base del trattamento differenziato e se ne ap-prezzi la ragionevolezza o meno” (ONIDA, 2014)37.

Di parere diverso un altro autorevole filo-ne della dottrina costituzionale: Michele Ai-nis per esempio rilevava che “sullo sfondo [della sentenza 116/2013] c’è una questione formidabile, su cui l’umanità s’interroga da sempre: l’eguaglianza.

È in nome del principio d’eguaglianza che questi due balzelli [il contributo sui super-manager pubblici e sui pensionati pubblici] sono stati annullati: la prima volta perché ve-nivano colpiti i soli dipendenti pubblici e non anche i lavoratori autonomi e privati. La se-conda volta perché a soffrirne erano i pensio-nati pubblici, lasciando indenni le altre cate-gorie previdenziali.

Da qui la discriminazione: insomma una sorta di accanimento dello Stato contro gli uomini e le donne dello Stato. Per di più do-loroso, dato che in origine il prelievo colpiva tutti, ma il Parlamento lo circoscrisse poi ai burocrati con una penna d’oca in mano”38.

Pasquale Sandulli invece ritiene che il vero momento letale per la previsione di un balzel-lo sulle pensioni alte, sia da individuarsi nel frangente in cui il d.l. 138/2011 fu convertito con la l. 148/2011. Il decreto originario infat-ti, accanto al (temporaneo) contributo di pe-

37 Cit. ONIDA V., “Pensioni d’oro” e contributo di solidarietà, Associazione Italiana dei Costituzionalisti, febbraio 2014. 38 Cit. AINIS M., Un equo giudizio sulle pensioni d’oro, Corriere della Sera, 13.06.2013.

requazione sulle pensioni prevedeva anche un (temporaneo) contributo di solidarietà sulla generalità dei redditi, addirittura con la previ-sione originaria degli stessi scaglioni e delle stesse aliquote: “se non fosse intervenuto il ridimensionamento disposto con la legge di conversione 148/2011, sarebbe risultato atte-nuato, e forse si sarebbe del tutto evitato, il profilo d’incostituzionalità” (SANDULLI, 2013)39, aggiungendo poi che “il ridimensio-namento disposto in sede di conversione, è risultato esiziale per la tenuta costituzionale della norma sul contributo di perequazione sulle pensioni, ed ha finito per essere carica-to di evidente presupposto politico, nel conte-sto indotto dalla famosa lettera della Banca centrale europea del 5.8.2011” (SANDULLI, 2013)40.

Lo stesso Sandulli conseguentemente, ri-tiene che la medesima Corte costituzionale - qualora lo avesse voluto - avrebbe potuto uti-lizzare “una delle varie tecniche manipolati-ve proprie della giustizia costituzionale”41 per estendere nuovamente “il meccanismo di prelievo per perequazione alla generalità dei redditi, con una sorta di riproposizione della norma originaria utilizzata quale schema normativo costituzionalmente più compatibi-le” 42.

A prescindere dalla posizione contraria al-la attuale giurisprudenza costituzionale soste-nuta dal Presidente Onida dunque (secondo il quale la Corte non avrebbe dovuto limitarsi legare l’incostituzionalità della norma al fatto che essa prevedeva che alcuni redditi venisse-ro colpiti ed altri no, bensì spingersi fino a valutare la ragionevolezza delle motivazioni che stavano alla base del trattamento diffe-renziato), anche sposando la linea di pensiero del prof. Sandulli, le coperture necessarie a finanziare un programma strategico di inve-stimenti pubblici di almeno 20 miliardi di eu-ro potrebbero agevolmente essere reperite at-tingendo in parte ai costi che il settore pub-blico sostiene per i corsi di formazione pro-fessionale (6,5 miliardi) ed in parte proprio prevedendo un contributo straordinario di so- 39 SANDULLI P., op. cit. 40 SANDULLI P., op. cit. 41 SANDULLI P., op. cit. 42 SANDULLI P., op. cit.

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lidarietà nei termini sopra illustrati: 4 miliardi e 680 milioni deriverebbero dalla contribu-zione straordinaria applicata solo ai redditi previdenziali43, a questi andrebbe tuttavia ag-giunto un analogo contributo temporaneo a carico dei percettori di reddito da lavoro di-pendente tutt’ora in servizio.

Ciò che risulterebbe da questa operazione di finanza pubblica, produrrebbe dunque non soltanto un gettito superiore rispetto a quanto lo Stato potrebbe guadagnare dalla privatiz-zazione delle aziende pubbliche di interesse strategico nazionale: ENI, ENEL, Finmecca-nica ecc.. ma porrebbe anche al riparo la co-munità dal rischio di cessioni controprodu-centi di importanti asset strategici per l’economia nazionale.

Un contributo di solidarietà chiesto dallo Stato ai propri cittadini nel senso delineato dal prof. Sandulli sarebbe dunque pienamente legittima sotto il profilo costituzionale a patto che assuma portata generale: posta in questi termini, la soluzione in esame assumerebbe in effetti le caratteristiche di una tassa provviso-ria per lo sforzo nazionale nel senso della reindustrializzazione.

4.Una prospettiva strategica per la cre-

scita economica e industriale. Posto dunque che non esistono ostacoli di

tipo costituzionale al reperimento di risorse funzionali allo sviluppo in un provvisorio “contributo di solidarietà” sulla parte più a-giata della popolazione, il mantenimento del ruolo pubblico nei c.d. “campioni nazionali” esistenti ha ancora senso sia dal punto di vista politico che economico.

I due aspetti sono collegati in quanto già l’ordinamento vigente costituisce un limite importante al proliferare di aziende pubbliche o partecipate, imponendo una razionalizza-zione della presenza pubblica sul mercato, e d’altra parte il vuoto di domanda - vero pro-

43 Tale contributo di solidarietà dovrebbe essere progettato nell’ordine del 3% sulle pensioni da 3 a 5 volte la minima (da 1.443 a 2.405 euro lordi al mese), del 5% sulle pensioni da 5 a 16 volte la minima, del 7% sulle pensioni da 16 a 36 volte la minima e del 10% per le pensioni superiori a 32 volte la minima. Fonte: Puglisi R., Sfidiamo la lobby dei nonni per ta-gliare le tasse, Linkiesta.

tagonista dell’attuale congiuntura economica - ha determinato la caduta della produzione, degli investimenti delle imprese e quindi dell’occupazione che solo l’azione pubblica è in grado di contrastare.

Difficilmente infatti il rapporto debito/Pil dell’Italia e il contesto europeo in cui il Paese è inserito, consentiranno di mettere in campo vere politiche classiche di stampo keynesiano di sostegno alla domanda mediante l’effetto congiunto di aumento della spesa pubblica e di diminuzione delle imposte. Eppure i pro-blemi di sviluppo che l’economia italiana sta oggi affrontando trovano la loro radice pro-prio nella debolezza della domanda aggrega-ta. Ciò peraltro è reso ancor più evidente da un parallelo aumento delle diseguaglianze - derivante soprattutto dai progressivi tagli alla spesa sociale indotti dalle politiche di austeri-ty - che da un punto di vista “sociologico” sta producendo il progressivo scivolamento di una parte consistente del ceto medio verso la fascia di povertà, e da un punto di vista “eco-nomico” produce come normale conseguenza già da tempo accertata dalla scienza econo-mica di una propensione al consumo che di-minuisce all’aumentare del reddito. La disu-guaglianza nella distribuzione dei redditi è pertanto diventata un problema strutturale dello sviluppo dell’Italia, come in verità di altre economie avanzate, e rappresenta la ge-nesi del problema di una domanda aggregata insufficiente, che a sua volta determina la ca-duta della produttività di un Paese e quindi la depressione economica.

Di fronte a questo stato di cose, oggi sono dunque gli investimenti pubblici a tornare al centro di una prospettiva di rilancio dell’economia.

Essi aumentano la domanda nel breve pe-riodo e la produttività nel medio termine, e tracciano inoltre la traiettoria culturale che tende a seguire lo stesso settore privato. Gli investimenti privati infatti seguono e mai pre-cedono l’azione dello Stato (perché imprendi-tori e fondi sono portati a investire in un pae-se solo se economicamente sano e in cresci-ta).

È dunque necessario imprimere un’in-versione delle priorità di politica economica, passando dall’obiettivo di contrazione della

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spesa pubblica (al netto di pur opportune ope-razioni di maggiore efficienza) a quello di in-centivare una migliore distribuzione dei red-diti.

Gli effetti espansivi che si otterrebbero da questo ribaltamento di prospettiva, andrebbe peraltro a beneficio della stessa riduzione del deficit pubblico: perché è la bassa crescita far lievitare il deficit e non viceversa.

In questo quadro, considerando il contesto istituzionale europeo in cui l’Italia è inserita in termini di politica monetaria, un’azione di rilancio pubblico dell’economia italiana non può che far leva sulle risorse di cui già il Pae-se già dispone.

Queste sono certamente le università e i centri di ricerca quali laboratori di nuova co-noscenza e quindi ricerca e sviluppo (tanto più importanti in un mercato dominato da piccole e medie imprese, che dunque spesso non hanno la forza economica per investire autonomamente in innovazione), ma anche le grandi aziende a presenza pubblica come ENI, ENEL e Finmeccanica, le quali possono tornare a costituire uno strumento fondamen-tale per la politica economica, industriale ed energetica del Paese.

Lo Stato infatti, non può sottovalutare il vantaggio che deriva, sia sotto il profilo poli-tico che sotto quello economico, dall’essere ancora azionista di riferimento di queste im-prese, le quali sono price leader sul mercato. È un privilegio molto importante in quanto - nel rispetto del pareggio di bilancio - tali in-dustrie potrebbero costituire il braccio opera-tivo di una politica pubblica orientata su prio-rità strategiche quali l’abbattimento del costo dell’energia (elettricità, gas, benzina e olio combustibile).

È questa probabilmente l’azione più effi-ciente per una politica economica di crescita, in particolare se orientata a sostenere la do-manda interna mediante incentivi a famiglie a basso reddito e pmi, anche considerando che il percorso alternativo di una politica fiscale meno oppressiva si scontrerebbe nel breve termine con l’alto indebitamento e con la dif-ficile sostenibilità della spesa pubblica44. In

44 SYLOS LABINI S., Macro e Micro. Le vie dell’intervento pubblico, 31.01.2013.

questo modo, grazie all’effetto di una nuova politica dei prezzi dell’energia e degli inve-stimenti pubblici a sostegno della domanda interna, le famiglie sarebbero ampiamente ri-sarcite in tempi brevissimi per il sacrificio economico derivante dal “contributo di soli-darietà”, la cui temporaneità ne imporrebbe l’abolizione proprio nel momento in cui l’azione pubblica abbia generato flussi eco-nomici equivalenti.

Oltre a ciò i listini di borsa di ENI e ENEL non risentirebbero certo di questo tipo di poli-tica pubblica per due ragioni fondamentali: in primis perché “se l’economia italiana ripren-de a crescere i valori delle azioni aumente-ranno”; in secundis perché “oggi la maggior parte delle grandi aziende è assolutamente sottovalutata poiché sconta il “rischio Italia” rappresentato dalla bassa crescita e dall’alto debito pubblico”.45

Gli alti margini di profitto che i c.d. “cam-pioni nazionali” sono in grado di generare potrebbero inoltre sostenere un’operazione proficua di investimento pubblico nel campo della ricerca e dell’innovazione: per mettere il Paese da un lato al passo con la rivoluzione tecnologica che domina la scena globale (ma dalla quale fino ad ora è stato completamente tagliato fuori), e dall’altro nelle condizioni di recuperare il gap del Mezzogiorno, mediante un’azione di coordinamento tra centri di ri-cerca, università e pmi operanti sul territorio sulla base di prestabiliti programmi d’innovazione.46

Il grande valore della presenza pubblica in aziende strategiche nazionali, oltre a essere un presidio contro l’uscita del Paese da interi settori industriali (come successo tra gli anni ’80 e ’90 per la chimica e sta accadendo oggi per la metalmeccanica), sta dunque nel valore price leader di queste imprese, che le rendono utilissimi strumenti al servizio di una politica pubblica di sviluppo e innovazione tecnologica.

È questo un compito fondamentale non solo in un’ottica di rapida uscita dalla stagnazione, ma anche di programmazione del benessere economico e sociale dei 45 Cit. SYLOS LABINI S., op. cit. 46 RUFFOLO G. e SYLOS LABINI S., Ora servirebbero banche e imprese pubbliche, 02.05.2013

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prossimi decenni. La “rivoluzione tecnologica e infor-

matica” infatti sostituisce sempre più parte del lavoro che prima svolgevano gli uomini, con quello che svolgono le macchine: torna perciò di primaria importanza l’azione pubblica di governo dell’economia.

Difficilmente nei prossimi decenni ci sarà lavoro per tutti gli italiani che ne sono in cerca, se lo Stato non riprende consapevolezza del proprio ruolo nell’economia nazionale, riassumendo su di sé il compito di stimolare attraverso l’azione pubblica l’apertura di nuovi mercati e gli investimenti in conoscenza, sviluppo e industria, per poi utilizzare una parte dei profitti - attraverso la leva fiscale - per creare nuovi posti di lavoro in altri settori come le infrastrutture, i servizi alla persona, i servizi alla famiglia e all’invecchiamento ecc.

La capacità degli investimenti pubblici di generare un circuito virtuoso di crescita è infatti ampiamente provata sotto l’aspetto della storia economica: Per fare un esempio: negli anni ’50 e ’60 del Novecento ad esem-pio, negli U.S.A. fu proprio la decisione di realizzare una maggiore spesa pubblica nel settore militare a gettare le basi per la realiz-zazione di ulteriori investimenti in ricerca e sviluppo.

Questi si rivelarono successivamente deci-sivi per sostenere la domanda nel breve ter-mine, mentre nel lungo termine furono fun-zionali all’espansione dell’economia nel sen-so della creazione di nuovi mercati nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Questi ultimi a loro volta hanno poi alimentato la rivoluzione tecnolo-gica e informatica esplosa negli anni ’90 e tutt’ora in corso.

In ultimo, essendo le scelte economiche funzionali allo sviluppo sovente dipendenti dalla cornice normativa delle scelte di politica economica, un passaggio finale si ritiene di indirizzarlo alle sempre più ampie prospettive di convergenza tra gli studi di diritto e quelli di economia: “dove il punto d’incontro non sarà più tanto l’importazione nel mondo del diritto di modelli di agente elaborati dalla specializzazione microeconomica del pensie-ro economico – così come avvenuto

nell’esperienza degli studi di Law and Eco-nomics - quanto piuttosto il riferimento co-mune a modelli sviluppati da ricerche di una teoria della decisione cognitivamente orien-tata”47 per programmare una nuova fase di benessere in cui l’azione dello Stato, come regolatore e forza capace di orientare i com-portamenti e le aspettative del settore privato, poggi saldamente su strutture giuridiche ade-guate a sostenere il peso di scelte di governo finalizzate alla tutela della sostenibilità nel lungo periodo della propria comunità di rife-rimento, che è quella che sottoscrive il con-tratto sociale à la Rousseau.

47 Cit. ARNAUDO L., La ragione sociale. Saggio di economia e diritto cognitivi, Luiss University Press, 2012.

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GIURISPRUDENZA

Consiglio di Stato Sez. III 3.3.2015, n. 1050 Silenzio-inadempimento della PA. - inerzia - contestazione entro il termine massimo di un anno - termine assegnato all’amministrazio-ne per la conclusione del procedimento. L’azione promossa contro il silenzio “inadem-pimento” dell’amministrazione tende all’accer-tamento dell’illegittimità del comportamento omissivo della stessa, quale violazione dell’obbligo di pronunciarsi in modo espresso sull’accoglibilità o meno di una domanda che ad essa è stata avanzata. L’amministrazione è, infatti, tenuta ad adottare un provvedimento motivato sulle istanze volte ad ottenere l’esercizio di un potere che l’ordinamento le ha attribuito (quando al silenzio non è attribuito dalla legge un significato di assenso o di dinie-go sulla richiesta presentata), e ciò anche quando eventualmente ritenga di dover respin-gere le domande presentate (fatto salvo il caso di domande manifestamente prive di fondamen-to o sulle quali ha già provveduto), anche al fi-ne di consentire agli interessati di poter utiliz-zare tutti gli strumenti che l’ordinamento ha previsto per la tutela delle loro ragioni.Il giudi-zio sul silenzio inadempimento (o rifiuto), ora disciplinato dagli artt. 117 e 31 del Codice del processo amministrativo (e prima dall’art. 21 bis della legge TAR), ha pertanto per oggetto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza che le è stata presentata e sulla quale doveva prov-vedere.Il primo comma dell’art. 31 prevede quindi che «decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha in-teresse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvede-re». Il secondo comma della citata norma pre-vede poi che «l’azione può essere proposta fin-tanto che perdura l’inadempimento e, comun-que, non oltre un anno dalla scadenza del ter-mine di conclusione del procedimento. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presuppo-sti».La suddetta disposizione stabilisce che l’azione contro il silenzio dell’Amministrazione può essere proposta fintanto che perdura

l’inadempimento e cioè fino a quando l’amministrazione non ha (anche se tardiva-mente) provveduto, non avendo la legge asse-gnato al silenzio il significato di accoglimento o di rigetto della domanda. Ciò conferma la na-tura non perentoria del termine di conclusione del procedimento, fatte salve le possibili conse-guenze per il ritardo a provvedere, non essendo stata prevista la consumazione del potere am-ministrativo allo scadere del termine assegnato per la conclusione del procedimento. Tuttavia, per evitare una indefinita protrazione della possibilità di proporre la relativa azione da-vanti al giudice amministrativo, è stato previsto il termine massimo di un anno entro il quale deve essere contestata l’inerzia illegittima dell’amministrazione. Il legislatore, infatti, al fine di attenuare il rischio che, eliminato l’onere della diffida, il silenzio inadempimento potesse divenire inoppugnabile dopo il decorso del termine (normalmente) più breve previsto per proposizione dei ricorsi davanti al giudice amministrativo, ha ritenuto congruo assegnare alla parte istante il termine di un anno (dal termine assegnato all’amministrazione per la conclusione del procedimento) per esercitare l’azione tendente ad accertare l’illegittimità dell’inerzia.Decorso tale termine la parte, se ha ancora interesse ad ottenere una pronuncia dall’Amministrazione, può rivolgere alla stessa una nuova istanza ed eventualmente, se l’Amministrazione non provvede nel termine procedimentale assegnato, può impugnare tem-pestivamente il nuovo silenzio inadempimento formatosi. Consiglio di Stato Sez. VI 2.3.2015, n. 1009 Scuola - revoca parità scolastica - non ga-ranzia dei principi di trasparenza, correttez-za e legalità - legittimità. Il Consiglio di Stato nella sentenza del 2.3.2015 ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto da un´istituto scolastico contro il provvedimento di revoca della parità scolastica dei corsi tenuti dall´Istituto.In primo luogo il Collegio ha con-fermato la sentenza impugnata nella parte in

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cui ha respinto i motivi relativi alla pretesa vio-lazione degli obblighi partecipativi: per costan-te e condiviso principio, l´obbligo di avviso dell’avvio del procedimento amministrativo previsto dall´art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 non sussiste quando manchi l´utilità del-la comunicazione, perché il provvedimento a-dottato non poteva avere altro contenuto, trat-tandosi di atto completamente vincolato, e quando l’urgenza di provvedere sia tale da im-porre un’azione immediata. Entrambi tali pre-supposti ricorrono nella fattispecie in esame, nella quale un’indagine penale aveva eviden-ziato profili di reato tali da imporre addirittura il sequestro preventivo della struttura scolasti-ca, allo scopo di impedire la protrazione dell’azione criminosa: è evidente che, in rela-zione alle esigenze così rappresentate, l’azione amministrativa legittimamente si è espressa con rapidità e conformemente alle esigenze emerse in sede penale.Per ragioni analoghe, precisa il Collegio, non sussiste la violazione del d.m. n. 267 del 2007 e delle linee guida sopra richia-mate, dal momento che in nessun modo la so-cietà ricorrente avrebbe potuto rimediare alla mancanza del requisito evidenziato nel provve-dimento impugnato.A questo proposito, il Con-siglio di Stato sottolinea (ed è circostanza deci-siva) che il decreto di revoca della parità sco-lastica non è motivato solo sul venir meno dei locali e delle attrezzature per effetto dell’esecuzione del sequestro, ma anche, e so-prattutto, sulla considerazione che non sono più garantiti i principi di trasparenza, corret-tezza e legalità indispensabili per l’erogazione del servizio pubblico scuola, evidentemente in relazione ai medesimi fatti che hanno determi-nato l’indagine penale.Peraltro, il provvedi-mento di revoca è intervenuto quando effetti-vamente l’Istituto aveva perso la disponibilità dei locali per effetto del sequestro disposto dal giudice penale, locali poi dissequestrati: la sen-tenza merita conferma, perciò, laddove rileva che il provvedimento impugnato in principalità ha tratto le doverose conseguenza dalla man-canza dei requisiti postulati dall’art. 1, comma 4, lett. b) della l. 10.3.2000, n. 62, secondo cui presupposto per la concessione della parità scolastica è “la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti”, disponibilità al momento non esistente.Tale disponibilità, è ve-ro, è tornata in essere alla data del 14.5.2013: ma da questa considerazione non possono deri-

vare le conseguenze che l’appellante pretende di trarre nel senso della illegittimità della revo-ca. Tanto quest’ultimo provvedimento, quanto quello che ha disposto il dissequestro, si fonda-no, infatti, sulle medesime valutazioni in ordine alle numerose irregolarità/illegittimità riscon-trate nella gestione della scuola: la revoca, nel citare espressamente i principi di trasparenza, correttezza e legalità che sono venuti a manca-re, il dissequestro, nell’assumere a proprio fondamento la revoca della quale, quindi, sus-sume i presupposti.Aggiunge il Collegio che la sentenza in esame deve, perciò, essere integrata nella motivazione, poiché l’impugnata revoca è motivata (non solo e non tanto sull’indisponibilità dei locali, ma) sulla consi-derazione, derivante dalle medesime circostan-ze che hanno determinato il provvedimento di sequestro, della mancanza di trasparenza, cor-rettezza e legalità necessarie per il riconosci-mento della parità scolastica.E’allora dirimen-te la considerazione delle numerose irregolari-tà, anche aventi, appunto, rilevanza penale, ri-scontrate a carico dell’istituto e documentate in causa, a partire dalla mancanza degli atti d’ufficio relativi alle prove d’esame, allo svol-gimento delle lezioni e alla partecipazione degli studenti alla vita scolastica (mancanza attesta-ta nella nota ministeriale), per giungere ai ri-lievi che hanno condotto all’imputazione degli amministratori della società Centro scolastico in ordine ai reati, tra gli altri, di falso in atto pubblico e di soppressione di atti pubblici. E, se la rilevanza penale dei fatti addebitati è stret-tamente personale e, quindi, attiene alla re-sponsabilità delle persone che rivestivano ruoli e cariche nella società Centro Scolastico, non-dimeno dalla vicenda emerge chiaramente l’effettiva e complessiva mancanza di traspa-renza, correttezza e legalità riguardante la ge-stione dell’istituto scolastico, che il provvedi-mento di revoca assume a presupposto. Consiglio di Stato Sez. IV 26.2.2015 n. 969 Motivazione del provvedimento amministra-tivo - conseguenze del principio del divieto di integrazione postuma. La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha condiviso l’opinione della dottrina maggioritaria secondo cui, alla luce dell´attuale assetto normativo, devono ritenersi attenuate le conseguenze del principio del di-vieto di integrazione postuma della motivazione del provvedimemto amministrativo. E’ ben noto

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peraltro che la affermazione prima riportata sia stata circondata da rilevanti cautele, essen-dosi a più riprese precisato che il relativo vizio risulta dequotato solo nelle ipotesi in cui l´omissione di motivazione successivamente e-sternata non abbia leso il diritto di difesa dell´interessato, nei casi in cui, in fase infra-procedimentale, risultino percepibili le ragioni sottese all´emissione del provvedimento grava-to, nonché, infine, nei casi di atti vincolati (ex aliis, ancora di recente CdS, IV, 4.3.2014, n. 1018). Consiglio di Stato Sez. VI 18.2.2015, n. 831 Processo amministrativo - il ricorso colletti-vo solo in presenza di requisiti dell’identità di situazioni sostanziali e processuali. Il ricorso collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto, è ammissibile nel solo caso in cui sussistano, cumulativamente, i requisiti dell’identità di situazioni sostanziali e processuali - ossia, alla condizione che le do-mande giudiziali siano identiche nell’oggetto e gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi - e dell’assenza di un conflitto di interessi tra le parti. È questo il principio sancito dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 18.2.2015 che ha rigettato l´appello propo-sto da un gruppo di 211 docenti.In primo grado il T.a.r. per il Lazio ha dichiarato inammissibi-le il ricorso collettivo dei 211 docenti, i quali avevano presentato in termini relativa doman-da di inserimento in graduatoria, per il ricono-scimento del loro diritto all’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento di cui al decreto ministeriale 1.4. 2014, n. 235, per il personale docente ed educativo, utilizzabili per gli anni scolastici 2014/2015, 2015/2016 e 2016/2017.Il TAR ha fondato la pronuncia di inammissibilità sul rilievo della non omogeneità delle posizioni dei vari gruppi di ricorrenti, ostativa alla pro-posizione di un ricorso collettivo. Il Consiglio di Stato ha rigettato l´appello n quanto: - in li-nea di diritto, secondo consolidato orientamen-to giurisprudenziale condiviso da questo Colle-gio, il ricorso collettivo, presentato da una plu-ralità di soggetti con un unico atto, è ammissi-bile nel solo caso in cui sussistano, cumulati-vamente, i requisiti dell’identità di situazioni sostanziali e processuali – ossia, alla condizio-ne che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto e gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli

stessi motivi – e dell’assenza di un conflitto di interessi tra le parti (v. sul punto, ex plurimis, CdS, III, 20.5.2014, n. 2581; CdS, IV, 29.12.2011, n. 6990); - nel caso di specie, han-no proposto ricorso quattro distinti gruppi di docenti: (a) docenti in possesso di abilitazione, che non hanno richiesto l’aggiornamento della graduatoria ad esaurimento per il triennio pre-cedente; (b) docenti in possesso di diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002; (c) docenti in possesso dell’abilita-zione per la scuola acquisita tramite i percorsi formativi abilitanti o la laurea in Scienza della Formazione; (d) docenti in possesso dell’ido-neità conseguita al concorso della scuola di cui al decreto del direttore generale per il persona-le scolastico 24.9.2012, n. 82; - risulta palese, da quanto sopra, che le domande proposte da-gli appartenenti ai vari gruppi di ricorrenti, sebbene tutte dirette al riconoscimento del di-ritto all’inserimento nelle graduatorie ad esau-rimento, si fondano su ragioni, di fatto e di di-ritto, diverse in ragione dell’appartenenza all’una o all’altra delle quattro categorie, come puntualmente osservato nell’appellata sentenza con particolare riferimento alle categorie sub (a) e sub (d), connotate da profonde divergenze sul piano del relativo regime giuridico; - le domande soggettivamente cumulate, proposte dagli originari ricorrenti, oltre che per la rile-vata eterogeneità della causa petendi in ragio-ne dell’appartenenza all’una o all’altra delle menzionate categorie, si differenziano anche per parziale diversità di petitum, risultando im-pugnati anche i singoli provvedimenti – peral-tro, dichiaratamente non noti – di mancato in-serimento dei singoli ricorrenti nelle varie gra-duatorie ad esaurimento emanate ai sensi del d.m. n. 235 del 2014, ovvero in corso di emana-zione, dai vari Uffici scolastici regionali evoca-ti in giudizio; - oltre alla evidenziata eteroge-neità delle domande proposte con il ricorso collettivo, correttamente rilevata nell’impugna-ta sentenza, è ravvisabile anche un potenziale conflitto d’interessi tra gli appartenenti alle va-rie categorie dei soggetti ricorrenti, conse-guendo gli appartenenti alle categorie in ipote-si non escluse un vantaggio dall’eventuale e-sclusione degli altri ricorrenti, attesa la ridu-zione del numero dei soggetti inclusi nelle ri-spettive graduatorie; - in assenza delle condi-zioni di ammissibilità del ricorso collettivo, l’appellata pronuncia assolutoria in rito merita

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quindi conferma, con impedimento dell’ingresso delle questioni di merito. Consiglio di Stato Sez. IV 12.2.2015, n. 758 Un atto amministrativo è meramente con-fermativo, e perciò non impugnabile, se è stato adottato senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi. Per costante giurisprudenza “l´adozione di un nuovo atto, quando non sia meramente confer-mativo di un provvedimento precedente già og-getto di impugnazione giurisdizionale ma costi-tuisca (nuova) espressione di una funzione am-ministrativa, comporta la pronuncia d´improcedibilità del giudizio in corso per so-pravvenuta carenza di interesse, trasferendosi l´interesse del ricorrente dall´annullamento dell´atto impugnato, sostituito dal nuovo prov-vedimento, all´annullamento di quest´ultimo”. Ciò non già perché satisfattorio, ma per ragioni esattamente contrarie: ove esso rimanga non gravato, ovvero il gravame articolato nei con-fronti di detto atto sia inammissibile, l’impugnante non avrebbe alcun interesse a che il mezzo proposto nei confronti dell’atto “con-fermato” sia deciso, e financo accolto: l’assetto di interessi resterebbe disciplinato dal “secon-do” provvedimento, parimenti lesivo, ma ormai immodificabile, ed egli non ricaverebbe alcun giovamento dall’annullamento del “primo”, con correlativo spreco di attività giurisdiziona-le.Allo scopo di stabilire se un atto amministra-tivo è meramente confermativo , e perciò non impugnabile, o di conferma in senso proprio e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini, occorre verificare se l´atto succes-sivo è stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli inte-ressi; in particolare, non può considerarsi me-ramente confermativo rispetto ad un atto pre-cedente l´atto la cui adozione sia stata precedu-ta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l´esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dare luogo a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autono-ma impugnazione; ricorre invece l´atto mera-mente confermativo quando l´amministrazione, a fronte di un´istanza di riesame si limita a di-

chiararne l´esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (giu-risprudenza costante: ex aliis di recente CdS, IV, 14.4.2014, n. 1805). Consiglio di Stato Sez. IV 9.2.2015, n. 658 Giudizio di ottemperanza: la PA. non può sottrarsi all´obbligo di eseguire il giudicato. Il giudizio di ottemperanza ha lo scopo di far conseguire al ricorrente vittorioso gli effetti fa-vorevoli della pronuncia giurisdizionale illegit-timamente negati dall’amministrazione con un comportamento - apertamente o velatamente - omissivo, incombendo l’obbligo dell’ammini-strazione di conformarsi ad essa e consistendo il contenuto di tale obbligo nell’attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice (Corte Cost., 8.9.1995, n. 419).L’oggetto del giudizio di ottemperanza consiste, appunto, nella verifi-ca della corretta attuazione del giudicato (art. 34, co. 1, lett. e, art. 112, co. 1, c.p.a.; v. CdS, Ad. Plen., 10.4.2012, n. 2) e, quindi, nella veri-fica se il soggetto obbligato ad eseguire la sen-tenza vi abbia o meno dato puntuale esecuzione (CdS, VI, 21.12.2011, n. 6773; sez. IV, 15.11.2010, n. 8053), essendo l’ammini-strazione, in via generale, sempre tenuta ad e-seguire il giudicato e non potendo per nessuna ragione, di ordine pubblico, di opportunità amministrativa o di difficoltà pratica (ad es., difficoltà economiche e finanziarie), sottrarsi a tale obbligo, non avendo in proposito alcuna discrezionalità per quanto concerne l’an ed il quando, ma al più una limitata discrezionalità per ciò che concerne il quomodo (CdS, IV, 7.5.2002, n. 2439). Nella specie, la puntuale verifica, da parte di questo giudice dell’ottemperanza, dell’esatto adempimento dell’amministrazione dell’obbligo di confor-marsi al giudicato per far conseguire all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione, ha avuto esito negativo, essendo contrastante con il giu-dicato la mera inerzia dell’amministrazione, cioè il non facere (c.d. inottemperanza in senso stretto). Consiglio di Stato Sez. III 21.1.2015, n. 203 Procedimento amministrativo: è inammissi-bile la censura del privato che si limiti a con-testare la mancata comunicazione di avvio del procedimento, senza allegare le circo-

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Gazzetta Amministrativa -78- Numero 1 - 2015

stanze che intendeva sottoporre all’ammini-strazione. L Come affermato più volte da questo Consiglio di Stato in relazione a vizi non invalidanti atti-nenti alla partecipazione al procedimento am-ministrativo, poiché l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 7 della legge 241/90, è strumen-tale ad esigenze di conoscenza effettiva e, con-seguentemente, di partecipazione all’azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l’atto conclusivo è destinato ad incidere, in modo che egli sia in grado d’influire sul contenuto del provvedimento, si è frequentemente rilevato che l’omissione di tale formalità non vizia il procedimento nelle ipotesi in cui il contenuto di quest’ultimo sia intera-mente vincolato, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ri-tenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione (v., da ultimo CdS, III, n. 3048/2013 e giurisprudenza ivi richiama-ta).Corollario di tale impostazione è che ove il privato si limiti a contestare la mancata comu-nicazione di avvio del procedimento, senza es-sere in grado di allegare le circostanze che in-tendeva sottoporre all’amministrazione per contestare detto vincolo, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione è inammis-sibile. Consiglio di Stato Sez. VI 21.1.2015, n. 221 Processo amministrativo: il giudice dell´im-pugnazione non può rilevare d´ufficio il di-fetto di giurisdizione. L´art. 9 del codice del processo amministrativo non consente più al giudice dell´appello di rile-vare d´ufficio il difetto di giurisdizione, dal momento che è onere della parte interessata sollevare la questione con apposito motivo d´appello, avverso il capo della pronuncia im-pugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione, con la conseguente irrilevanza della eccezione formulata con una memoria. Ciò in quanto, in difetto di uno speci-fico motivo di appello, risulta evidente l´acquiescenza della parte interessata a solle-vare la carenza di giurisdizione. La giurispru-denza di questo Consiglio, da cui non vi è moti-vo per discostarsi, (ex multis,Sezione VI, 15.12.2010, n. 8925) ha precisato, del resto, come nei processi in corso alla data di entrata in vigore del codice, operi immediatamente la regola richiamata secondo cui il giudice

dell´impugnazione non possa rilevare il difetto di giurisdizione se non sia stato eccepito dalla parte nell´appello. Ha, altresì, precisato conte-stualmente che debba escludersi che il giudice possa dichiarare inammissibile un´eccezione che, rispetto alla normativa in vigore al mo-mento della sua proposizione, risultava ritual-mente proposta, coerentemente con il principio del “tempus regit actum”. Ciò considerando che, prima dell´entrata in vigore del codice, l´eccezione di difetto di giurisdizione poteva ri-proporsi in appello anche con semplice memo-ria.Se ne deduce che per gli appelli in corso al-la data di entrata in vigore del codice, il citato art. 9 del codice, consente, in applicazione del richiamato principio del “tempus regit actum” che il motivo riguardante il difetto di giurisdi-zione già sollevato in primo grado, possa intro-dursi con memoria successiva alla proposizione dell´appello, senza che possa farsi questione di giudicato interno implicito sulla questione di giurisdizione trattata, seppure tacitamente, dal giudice di primo grado (in tal senso, Sezione III, 13.3.2012, n. 1415 e Sezione VI, 23.4.2012, n. 2390, secondo cui la questione del giudicato interno implicito era già immanente nel sistema quanto meno a far data dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 9.10.2008, n. 24883 che ha affermato il principio per cui la decisione di merito contiene anche un´implicita statuizione sulla giurisdizione ido-nea a passare in giudicato se non viene specifi-camente impugnata).Da qui, per il giudice dell´appello, di fronte a un giudicato implicito sulla giurisdizione, l’impossibilità di un esame della relativa eccezione senza che venga fatto valere uno specifico motivo di appello (così, Cass. SS. UU.. 8.2.2010, n. 2715). Consiglio di Stato Sez. V 1.12.2014, n. 5917 Compensazione delle spese processuali: la pronuncia sulle spese processuali è censura-bile solo se le spese sono state poste, total-mente o parzialmente, a carico della parte vittoriosa. Nel processo amministrativo il giudice ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimen-to, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudizia-li, ovvero per escluderla sulla base del criterio equitativo, potendo a tal fine valutare ogni ele-mento utile, senza peraltro essere tenuto ad in-dicare specificamente le ragioni della decisione presa (CdS, V, 23.6.2014, n. 3131), con il solo

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limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio, o disporre statuizioni abnormi.La pronuncia ine-rente alle spese processuali risulta, quindi, cen-surabile solo se le spese sono state poste, to-talmente o parzialmente, a carico della parte vittoriosa mentre, viceversa, la valutazione di merito sulla compensazione delle spese non è sindacabile per difetto di motivazione (CdS, VI,

6.12.2013, n. 5861).I giusti motivi, in base ai quali il giudice amministrativo dispone la com-pensazione tra le parti in causa delle spese del giudizio in deroga al criterio generale della soccombenza, ai sensi dell´art. 92 c.p.c., ri-chiamato dall´art. 26 c.p.a., anche se non pun-tualmente specificati, possono quindi essere de-sumibili dal contesto della decisione (CdS, III, 14.7.2014, n. 3682).

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Negoziazione assistita e patrocinio erariale. Parere 25.3.2015-146998, al 45465/14, Avv. Alessandro de Stefano. RISPOSTA Con la nota in riferimento codesta Agenzia rappresenta che l’art. 2 del d.l. 12.9.2014, n. 132, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, l. 10.11.2014, n. 162, ha in-trodotto l’istituto della convenzione di nego-ziazione assistita, che - ai sensi del successi-vo art. 3 ed al di fuori dei casi previsti dall’art. 5, comma 1 bis del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 - costituisce condizione di proce-dibilità delle controversie giurisdizionali a-venti ad oggetto il pagamento di somme di denaro non eccedenti cinquantamila euro. Il comma 1 bis del citato art. 2 del d.l. n. 132 del 2014 dispone che: “È fatto obbligo per le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, del d. lgs. 30.3.2001, n. 165, di affidare la convenzione di negoziazione alla propria avvocatura, ove presente”. Codesta Agenzia è destinataria di quest’ultima disposizione, in quanto rientra tra gli Enti della Pubblica Amministrazione previsti dall’art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, e fruisce del patrocinio di questa Avvo-catura ai sensi dell’art. 43 del r.d. 30.10.1933, n. 1611, come modificato dall’art. 11, l. 3.4.1979, n. 103. Tuttavia, considerato che - in virtù di delibera del Consiglio di Amministrazione del 18.6.2008, n. 315, adottata con l’assenso di questo Ge-nerale Ufficio - si è affermata la prassi di af-

fidare ad Avvocati del libero foro le cause at-tive e passive riguardanti pagamenti o recu-peri di aiuti comunitari di valore inferiore ad € 30.000,00 e le cause seriali di natura pa-trimoniale di valore medio non superiore ad € 10.000,00 che non implichino la soluzione di questioni giuridiche delicate o complesse, codesta Agenzia chiede se possa affidare ad Avvocati del libero foro anche le relative procedure di negoziazione assistita, e se il limite di valore di € 30.000,00 previsto dalla predetta delibera possa essere aumentato ad € 50.000,00. Questa Avvocatura ritiene che l’art. 2, com-ma 1 bis, del d.l. n. 132 del 2014 deve essere letto ed interpretato in coerenza con le regole generali che disciplinano il patrocinio legale degli Enti pubblici. Esso ha inteso affermare che gli Enti pubblici affidano le procedure di negoziazione assistita alla propria Avvocatu-ra, nelle stesse forme e negli stessi termini (e, quindi, con le eventuali limitazioni) con cui affidano ad esse la trattazione delle relative cause. Sembra invece manifestamente infon-data un’interpretazione puramente letterale, secondo cui la procedura di negoziazione as-sistita debba essere inderogabilmente affida-ta all’Avvocatura pubblica, anche quando la trattazione della causa nel merito possa esse-re rimessa, in via di ipotesi, ad un avvocato del libero foro. A prescindere da possibili considerazioni sul contrasto di una simile in-terpretazione con i canoni di efficienza e di buon andamento della pubblica amministra-zione, a causa dell’irragionevole duplicazio-ne degli affari e del possibile sdoppiamento

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delle linee difensive che essa comporterebbe, occorre infatti considerare che la negoziazio-ne assistita non costituisce un procedimento “sui generis”, distinto ed indipendente dalla causa che potrà essere successivamente in-trapresa dinanzi all’Autorità giudiziaria, ma costituisce piuttosto una fase preliminare dell’“iter” contenzioso, così da potersi con-siderare parte dell’intera controversia. Poi-ché essa costituisce una “species” di un più ampio “genus”, occorre ritenere che nel pro-prio ambito l’attività di difesa deve essere svolta nel rispetto delle stesse forme e degli stessi principi che regolano il patrocinio le-gale dell’Ente nel suo complesso. Per questi motivi, occorre ritenere che la ne-goziazione assistita deve essere curata, in via di principio, dallo stesso difensore che sarà poi chiamato a difendere la causa nella fase giurisdizionale. Pertanto, essa dovrà essere necessariamente curata da questa Avvocatu-ra nei (soli) casi in cui la trattazione della re-lativa causa sia ad essa riservata; inoltre, i criteri stabiliti dalla citata delibera del Con-siglio di Amministrazione del 18.6.2008, n. 315, che consentono di affidare specifiche ti-pologie di cause ad avvocati del libero foro, devono riferirsi al patrocinio della controver-sia nel suo complesso, comprendendo in essa la fase prodromica della negoziazione assisti-ta. Si ritiene peraltro che la richiesta di pare-re cui si porge riscontro offre l’occasione per rimeditare ed approfondire alcuni aspetti della prassi alla quale si è fatto riferimento innanzi, sulla base dell’analisi delle disposizioni contenute nell’art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933, che - come è noto - contiene la disciplina generale del patrocinio legale di questa Avvocatura a favore di Enti statali e di Pubbliche Amministrazioni diver-se dallo Stato. Si osserva al riguardo che il terzo comma di tale norma dispone che il pa-trocinio legale di questa Avvocatura a favore di questi Enti ed Amministrazioni ha caratte-re “organico ed esclusivo”; e ciò nell’intento di assicurare ad essi la medesima uniformità di indirizzi che questa Avvocatura assicura alle Amministrazioni dello Stato, a salva-guardia della legalità e della imparzialità della propria azione. Occorre altresì considerare che questo prin-cipio deve essere armonizzato con il comma

successivo, in base al quale: “ove le Ammini-strazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata d elibera da sottoporre agli organi di vigilanza”. Questa disposizione, letta ed interpretata in base ai principi di legalità ed efficienza dell’attività amministrativa contenuti nell’art. 97 della Costituzione, fornisce la base legale per derogare, “in casi speciali”, alla regola della esclusività del patrocinio. In particolare, la previsione di possibili de-roghe alla regola generale del patrocinio e-sclusivo potrebbe fornire la base legale di una disciplina convenzionale che, pur garan-tendo la natura “organica” della tutela era-riale, consenta di ricorrere ad altre forme di difesa per particolari tipologie di controver-sie, preventivamente ed obiettivamente indi-viduate, che si incentrino prevalentemente su questioni di fatto, non prospettino significati-ve questioni di diritto, abbiano un modesto valore economico e possano essere risolte sulla base di principi di massima consolidati. Questa soluzione potrebbe favorire la più immediata e diretta trattazione di tali affari, consentendo anche a questa Avvocatura di razionalizzare l’utilizzo delle proprie risorse e delle proprie capacità operative, di valoriz-zare le proprie funzioni consultive, di meglio elaborare le strategie difensive e coordinare la gestione delle singole vertenze, e di atten-dere con maggiore efficienza alle numerose altre funzioni istituzionali ad Essa affidate dall’ordinamento. Come si è già accennato, per prassi ammini-strativa ormai consolidata codesto Ente si avvale del patrocinio di Avvocati del libero foro per la difesa delle seguenti tipologie di vertenze: a. Controversie attinenti ai rapporti di lavoro dei propri dipendenti regolati dal diritto pri-vato; b. Procedimenti dinanzi alla Corte dei Conti; c. Procedimenti civili nei quali Agea è parte attiva, implicanti contestazioni di indebita percezione di aiuti comunitari e conseguente recupero dei relativi importi, di valore non superiore ad € 30.000,00; d. Procedimenti civili nei quali Agea è parte passiva promossi per negate erogazioni totali o parziali di aiuti comunitari di importo non

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superiore ad € 30.000,00; e. Cause seriali di valore medio per ciascuna causa non superiore ad € 10.000,00, sempre che non vengano in rilievo questioni giuridi-che delicate o di difficile soluzione. L’esperienza fino ad ora maturata appare meritevole di una verifica congiunta, nel ri-spetto dei criteri ermeneutici che si sono in-nanzi delineati, nell’intento sia di verificare e risolvere alcune possibili criticità, sia di dar-vi eventuale sviluppo (ad esempio, elevando da € 30.000,00 ad € 50.000,00 il limite mas-simo delle cause per negate erogazioni di aiuti comunitari che possono essere trattate senza il patrocinio di questa Avvocatura, così come proposto con la nota in riferimento). In particolare, appare necessario un adegua-to esame delle seguenti questioni: a) Possibilità di privilegiare il patrocinio di-retto per la difesa di queste tipologie di cau-se, ai sensi dell’art. 3 del r.d. 30.10.1933, n. 1611; b) Compatibilità del patrocinio da parte di avvocati del libero foro con le disposizioni dell’art. 7, d.lgs. n. 29 del 1993; c) Criteri di attribuzione degli incarichi di collaborazione esterna; d) Coordinamento tra l’attività di patrocinio legale di questa Avvocatura e le altre forme di patrocinio; e) Limitazione del patrocinio esterno ai gradi

di giudizio di merito, con esclusione di quello di legittimità dinanzi alle Magistrature supe-riori, che dovrebbe essere riservato in ogni caso a questa Avvocatura; f) Esigenza di uniformare il patrocinio delle cause di lavoro dei dipendenti alle disposi-zioni dell’art. 417 bis del c.p.c., con conse-guente assunzione del patrocinio diretto nei giudizi di primo grado (salvo il caso in cui vengano in rilievo questioni di massima o a-venti notevoli riflessi economici) ed affida-mento della difesa a questa Avvocatura nei gradi successivi; g) Necessità di limitare il patrocinio delle cause seriali, diverse da quelle relative al re-cupero di aiuti comunitari, a quelle di valore massimo di € 10.000,00 (eventualmente ele-vabile ad € 20.000,00, per tener conto dell’intervenuta svalutazione monetaria e de-gli accresciuti carichi di lavoro), perché il ri-ferimento al valore “medio” rappresenta un criterio eccessivamente incerto ed indetermi-nato. Si rimane dunque a disposizione per l’esame congiunto delle predette questioni, onde assicurare la maggiore aderenza dell’attività difensiva ai parametri della lega-lità e dell’efficienza. Il presente parere è stato reso previa audi-zione del Comitato Consultivo di questa Av-vocatura, che si è espresso in conformità nel-la riunione del 6.2.2015.

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Uso del Territorio: urbanistica, ambiente e paesaggio

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USO DEL TERRITORIO: URBANISTICA, AMBIENTE E PAESAGGIO

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI INDIVIDUAZIONE DELL’AUTORITÀ AMMINISTRATIVA COMPETENTE ALL’IRROGAZIONE DELLE SANZIO-NI RELATIVE ALLA VIOLAZIONE DI SPECIFICI OBBLIGHI DI TRASPA-RENZA (ART. 47 DEL D.LGS. 33/2013) Il quadro normativo. 1. Gli obblighi di pubblicazione per i quali è previsto uno specifico regime sanzionatorio nel d.lgs. 33/2013 L’art. 47 del d.lgs. 33/2013 prevede uno specifico regime sanzionatorio per la violazione degli obblighi di comunicazione di alcuni dati di cui all’art. 14 del medesimo decreto e di pubblicazione e comunicazione dei dati di cui agli artt. 22, co. 2, e 47, co. 2, ultimo periodo, del decreto stesso. In particolare, l’art. 47, co. 1, nel rinviare all’art. 14, sanziona la mancata o incompleta comunicazione delle informazioni e dei dati concernenti la situazione patrimoniale complessiva del titolare dell’incarico al momento dell’assunzione in carica, la titolarità di imprese, le partecipazioni azionarie proprie, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado (art. 14, co. 1, lett. f)), nonché di tutti i compensi cui dà diritto l’assunzione della carica (art. 14, co. 1, lett. c)). Ne consegue che i titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di poteri di indirizzo politico, come individuati ai sensi della delibera ANAC n. 144/2014, sono tenuti a comunicare i suddetti dati, ai fini della pubblicazione, al Responsabile della trasparenza, o ad altro soggetto individuato nel Programma triennale per la trasparenza e l’integrità o in altra disposizione anche regolamentare interna a ciascuna amministrazione. Con la delibera n. 144/2014 l’ANAC ha fornito alle amministrazioni indicazioni sulla pubbli-

cazione dei dati di cui all’art. 14, sulla decorrenza dell’obbligo di pubblicazione ed, in particolare, sull’applicazione dell’art. 14, co. 1, lett. f), ai comuni. A tale delibera, pertanto, si rinvia per gli opportuni approfondimenti. Ai sensi dell’art. 47, co. 2, è sanzionata, invece, la violazione degli obblighi di pubblicazione previsti dall’art. 22, co. 2, del d.lgs. 33/2013 secondo cui le amministrazioni sono tenute a pubblicare ed aggiornare annualmente, con riguardo alle categorie di enti di cui all’art. 22, co. 1, lettere da a) a c) - enti pubblici vigilati, enti di diritto privato in controllo pubblico, società partecipate, con l’esclusione delle società menzionate al co. 6 del medesimo articolo - i seguenti dati: ragione sociale, misura della eventuale partecipazione dell’amministrazione, durata dell’impegno, onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per l’anno sul bilancio dell’amministrazione, numero dei rappresentanti dell’am-ministrazione negli organi di governo, trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante, risultati di bilancio degli ultimi tre esercizi finanziari, incarichi di amministratore dell’ente e il relativo trattamento economico complessivo. Al fine di porre le amministrazioni nella condizione di pubblicare alcuni dei dati sopra elencati, l’art. 47, co. 2, del d.lgs. 33/2013 pone in capo agli amministratori societari l’obbligo di comunicare ai soci pubblici il proprio incarico ed il relativo compenso entro trenta giorni dal conferimento ovvero, per le indennità di risultato, entro trenta giorni dal percepimento. Essi sono tenuti, pertanto, a comunicare i dati sopracitati al Responsabile della trasparenza di ciascun socio pubblico, o ad altro soggetto individuato nel Programma triennale per la trasparenza e l’integrità o in

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Uso del Territorio: urbanistica, ambiente e paesaggio

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altra disposizione anche regolamentare interna ai fini della pubblicazione sul sito istituzionale di ciascun socio pubblico. La mancata comunicazione dà luogo alla sanzione amministrativa pecuniaria disposta dal medesimo art. 47, co. 2. 2. Le sanzioni previste. L’art. 47 del d.lgs. 33/2013 prevede l’irrogazione di sanzioni pecuniarie per la violazione degli obblighi di comunicazione e di pubblicazione sopra illustrati sia nei confronti dei soggetti tenuti a comunicare i dati previsti dall’art. 14 e dall’art. 47, co. 2, secondo periodo, sia nei confronti dei soggetti tenuti a pubblicare i dati di cui all’art. 22, co. 2. Nello specifico, per le informazioni e i dati concernenti la situazione patrimoniale complessiva del titolare dell’incarico al momento dell’assunzione in carica, la titolarità di imprese, le partecipazioni azionarie proprie, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado (art. 14, co. 1, lett. f)), nonché per tutti i compensi cui dà diritto l’assunzione della carica (art. 14, co. 1, lett. c)), primo periodo, il legislatore dispone, in caso di mancata o incompleta comu-nicazione, l’irrogazione, a carico del responsabile della mancata comunicazione, di una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 10.000 euro e la pubblicazione del provvedimento sanzionatorio sul sito internet dell’amministrazione o dell’organismo inte-ressato. La sanzione pecuniaria di cui sopra è applicabile, esclusivamente, nei confronti dei titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico come individuati ai sensi della delibera n. 144/2014. Nessuna sanzione è applicabile nei confronti del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado, stante la subordinazione prevista dal legislatore per la diffusione dei relativi dati a un espresso consenso da parte dei medesimi. Allo stesso modo, nessuna sanzione pecuniaria è prevista per il soggetto tenuto alla pubblicazione di tali dati che, pur avendoli ricevuti, non abbia provveduto a pubblicarli. Depone in tal senso la previsione normativa che si limita a sanzionare con una pena pecuniaria la sola mancata comu-nicazione dei dati. Sono, comunque, applicabili al soggetto

tenuto alla pubblicazione dei dati le sanzioni per la violazione degli obblighi di tra-sparenza previste dagli artt. 45 e 46 del d.lgs. 33/2013. Una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 10.000 euro è anche disposta a carico del responsabile della violazione degli obblighi di pubblicazione previsti dall’art. 22, co. 2, del d.lgs. 33/2013 (soggetto tenuto a pubblicare), e nei confronti degli amministratori societari che non comunicano ai soci pubblici il proprio incarico ed il relativo compenso entro trenta giorni dal conferimento ovvero, per le indennità di risultato, entro trenta giorni dal percepimento in virtù dell’art. 47, co. 2, secondo periodo. 3. L’ “autorità amministrativa competente” all’irrogazione delle sanzioni e la delibera n. 66/2013 Con riguardo al procedimento per l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie e all’individuazione dell’autorità competente, l’art. 47, co. 3, del d. lgs. 33/2013 si limita a stabilire che le sanzioni «sono irrogate dall’autorità amministrativa competente in base a quanto previsto dalla l. 24.11.1981, n. 689». La norma, con un mero rinvio generico alla l. 689/1981, è da subito apparsa non perspicua e carente sotto il profilo della corretta formulazione, stante il principio di stretta legalità che informa il sistema sanzionatorio. Detta norma, pertanto, ha dato luogo a numerose incertezze interpretative. Consapevole delle difficoltà ermeneutiche e della necessità di un intervento legislativo chiarificatore1 e sia pure in presenza di ipotesi alternative, l’ANAC con la delibera n. 66/2013 ha operato un tentativo di lettura della normativa, incentrata sull’elaborazione da parte di ciascuna amministrazione di un regolamento in cui individuare, sulla base dei principi contenuti negli artt. 17 e 18 della l. 689/1981, i soggetti competenti all’istruttoria dei procedimenti sanzionatori e i soggetti competenti all’irrogazione delle sanzioni. Secondo la delibera n. 66/2013, tenuto conto delle previsioni dei menzionati artt. 17 e 18, ciascuna amministrazione deve provvedere, in regime di autonomia, a disciplinare con proprio regolamento il procedimento sanzionatorio, ripartendo tra i propri uffici le

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Gazzetta Amministrativa -85- Numero 1 - 2015

competenze, in conformità con alcuni principi di base posti dal legislatore del 1981. Tra i più importanti, quelli sui criteri di applicazione delle sanzioni (art. 11); quello del contraddittorio con l’interessato (art. 14); quello della separazione funzionale tra l’ufficio che compie l’istruttoria e quello al quale compete la decisione sulla sanzione (artt. 17-18). Ogni regolamento deve individuare il soggetto competente ad avviare il procedimento di irrogazione della sanzione e il soggetto che irroga la sanzione, di norma, e compatibilmente con l’autonomia riconosciuta agli enti territoriali, individuati tra i dirigenti o i funzionari dell’ufficio di disciplina. Nelle more dell’adozione del regolamento gli enti, nell’esercizio della loro autonomia, sono tenuti ad indicare un soggetto cui compete l’istruttoria ed uno cui compete l’irrogazione delle sanzioni. Qualora gli enti non provvedano al riguardo, tali funzioni sono demandate, rispetti-vamente, al Responsabile della prevenzione della corruzione e al responsabile dell’ufficio disciplina. Questi ultimi agiranno sulla base dei principi sopra evidenziati e contenuti nella l. 689/1981. Il procedimento per l’irrogazione della sanzione è avviato a seguito della segnalazione della mancata pubblicazione da parte dell’ANAC o dell’OIV e/o del Responsabile della trasparenza, al soggetto competente ad avviare il procedimento sanzionatorio, così come individuato dal regolamento adottato da ciascuna amministrazione. Relativamente al procedimento sanzionatorio per l’inadempimento degli obblighi di cui all’art. 14 riguardanti gli organi di indirizzo politico dei Ministeri e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella delibera n. 66/2013 si è ritenuto di dover demandare ai d.p.c.m. regolati dall’art. 49, co. 2, del d.lgs. 33/2013 la definizione della disciplina applicabile. Si è infatti considerato che una soluzione di questo tipo, da un lato, può favorire l’uniformità della disciplina nei confronti dei componenti del governo nazionale e la semplicità del relativo processo decisionale; dall’altro lato, trova un suo fondamento

normativo nello stesso art. 95 della Costituzione e nella attribuzione che esso fa al Presidente del Consiglio del potere di mantenere l’unità di indirizzo politico e amministrativo del Governo. Nelle more dell’adozione dei citati d.p.c.m. i Responsabili della trasparenza vigilano sull’adempimento degli obblighi di cui all’art. 14 e segnalano i casi di mancato o ritardato inadempimento all’ANAC. 4. Le recenti novità legislative. Nel corso del 2014 sono intervenute alcune significative modifiche della normativa primaria in materia di anticorruzione e trasparenza, intesa come accessibilità totale delle informazioni, apportate con il d.l. 90/2014 convertito in l. 11.8.2014, n. 114. Il legislatore ha rafforzato ruolo e poteri dell’Autorità nazionale anticorruzione, prevedendo, in primo luogo, la concen-trazione in capo all’ANAC delle competenze, sia di vigilanza che di regolazione, in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza in precedenza attribuite al Dipartimento della funzione pubblica dalla l. 190/2012 e dal d.lgs. 33/2013 (art. 15 d.l. 90/2014). Al Presidente dell’ANAC sono stati affidati compiti di alta sorveglianza e garanzia della correttezza e trasparenza delle procedure connesse ad EXPO 2015 nonché poteri di proposta ai prefetti di adozione di misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione (artt. 30 e 32, d.l. 90/2014). La normativa si inquadra, anche in relazione alla soppressione dell’AVCP e del trasferimento all’ANAC di tutte le relative competenze, nella scelta di individuare un forte presidio a livello centrale per la prevenzione della corruzione, come anche evidenziato nell’atto di organizzazione dell’ANAC del 29.10.2014 adottato in attuazione della delibera n. 143 del 30.9.2014. La missione istituzionale dell’Autorità viene, tra l’altro, individuata «nella prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, nelle società partecipate e controllate anche mediante l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali». Per quanto riguarda in particolare la

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trasparenza, nel d.l. 90/2014 i poteri dell’ANAC sono stati incrementati, anche nella prospettiva di valorizzare la trasparenza come strumento per la prevenzione della corruzione in linea con le indicazioni delle principali organizzazioni internazionali2. Infatti, in aggiunta ai poteri di vigilanza e di controllo sull’esatto adempimento degli obblighi, pena l’adozione di misure di rimozione e di ordine già specificamente previste nell’art. 1, co. 2 e 3, della l. 190/2012 e nell’ art. 45 del d.lgs. 33/2013, l’ANAC può irrogare direttamente sanzioni pecuniarie in caso di mancata adozione dei programmi triennali per la trasparenza e l’integrità, oltre che dei piani triennali di prevenzione della corruzione e dei codici di comportamento (art. 19, co. 5, d.l. 90/2014). Con riferimento specifico alle sanzioni di cui all’art 47 del d.lgs. 33/2013, è attribuito al Presidente dell’ANAC il potere di segnalare «all’Autorità amministrativa di cui all’art. 47 c. 3 del d.lgs. n. 33/2013 le violazioni in materia di comunicazione delle informazioni e dei dati e di obblighi di pubblicazione previsti nel citato art. 47, ai fini dell’esercizio del potere sanzionatorio di cui al medesimo articolo»(art. 19, co. 7, d.l. 90/2014). Oltre al rinnovato quadro istituzionale in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza, il d.l. 90/2014 ha introdotto modifiche significative relativamente all’am-bito soggettivo di applicazione della disciplina della trasparenza prevista dal d.lgs. 33/2013. L’art. 24 bis del decreto legge, infatti, amplia in modo considerevole il novero dei soggetti tenuti all’osservanza delle regole sulla trasparenza. Sono stati inseriti le autorità amministrative indipendenti, tutti gli enti pubblici anche economici nonché le società e gli enti di diritto privato in controllo pubblico (art. 11 d.lgs. 33/2013 come modificato dall’art. 24 bis del d.l. 90/2014). Le ragioni di una nuova delibera. La portata dei recenti interventi normativi illustrati sinteticamente si ritiene incida anche sulla corretta interpretazione del regime sanzionatorio previsto dall’art. 47, co. 3, del d.lgs. 33/2013 ed è alla base delle motivazioni che spingono l’Autorità ad adottare una delibera che, in parte, si

discosta da quella del 2013. L’interpretazione che si fornisce soffre, naturalmente, dei limiti che, come già evidenziato sopra, derivano da una non chiara formulazione dell’art. 47, co. 3. Per questo motivo l’ANAC ribadisce la necessità di un intervento legislativo urgente e appropriato che definisca con precisione il sistema sanzionatorio e i soggetti responsabili. Tuttavia, nelle more, si ritiene comunque opportuno modificare il precedente orientamento contenuto nella delibera n. 66/2013 per garantire una maggiore coerenza dell’applicazione delle sanzioni ai principi dell’ordinamento come risultano anche dalla recenti modifiche normative. L’intero quadro normativo che emerge dalla l. 190/2012, dal d.lgs. 33/2013 e dal d.l. 90/2014, infatti, è espressione di una chiara scelta legislativa di ritenere la trasparenza, intesa quale accessibilità totale delle informazioni da pubblicare sui siti web, strettamente collegata alla prevenzione della corruzione e materia di competenza statale, sulla cui attuazione vigila l’Autorità nazionale anticorruzione3. La competenza statale si desume, in primo luogo, dall’art. 1, co. 15, della l. 190/2012 secondo cui «ai fini della presente legge» la trasparenza dell’attività amministrativa costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m), della Costituzione. Il legislatore ha ribadito la qualificazione della trasparenza come livello essenziale delle prestazioni in altre due norme: nell’art. 1, co. 36, della stessa l. 190/2012 e nell’art. 1, co. 3, del d.lgs. 33/2013 specificando che i contenuti del decreto delegato integrano l’individuazione del «livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto alla corruzione e della cattiva ammi-nistrazione, a norma dell’art. 117, co. 2, lett. m) della Costituzione». In secondo luogo, l’art. 1, co. 3, prevede anche che la medesima disciplina costituisce esercizio della funzione statale di coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale di cui all’art. 117,

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co. 2, lett. r), della Costituzione. Per quel che riguarda la trasparenza come livello essenziale delle prestazioni, si evidenzia che già nell’art. 11 del d.gs. 150/2009, abrogato poi dal d.lgs. 33/2013, era contenuta una previsione analoga. Tuttavia, diversamente dal d.lgs. 150/2009, la l. 190/2012, con i criteri di delega, e più approfonditamente il d.lgs. 33/2013 superano la disposizione dell’art. 11 citato chiarendo direttamente le implicazioni della disciplina della trasparenza e specificando gli obblighi, che ne costituiscono il contenuto minimo, che devono essere osservati da tutte le pubbliche amministrazioni e dagli altri soggetti tenuti alla loro attuazione. Poiché la trasparenza ai sensi della l. 190/2012 e i contenuti normativi del decreto 33/2013 costituiscono livello essenziale delle prestazioni, esso deve essere garantito su tutto il territorio nazionale, senza limitazioni o condizionamenti da parte della legislazione regionale4. Proprio per questo, peraltro, si deve ritenere che il d.l. 90/2014 abbia inteso rafforzare il sistema di vigilanza sulla trasparenza incardinato nell’ANAC, alla quale il legislatore ha conferito i relativi poteri senza operare distinzioni con riguardo ai soggetti destinatari del controllo siano essi amministrazioni centrali, di livello territoriale ovvero enti di diritto privato. Con il d.l. 90/2014 si rafforza, in definitiva, la disciplina della trasparenza ai sensi della legge 190/2012 e del d.lgs. 33/2013 come livello essenziale di prestazione, sottratto pertanto all’autonoma iniziativa regionale e locale5. Restano fermi, naturalmente, i poteri legislativi e regolamentari delle regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, che possono essere esercitati per garantire livelli ulteriori e più elevati di tutela. La possibilità di fissare maggiori livelli di trasparenza è, peraltro, prevista nell’art. 1, co. 9, della l. 190/2012 secondo cui tra i contenuti dei piani triennali di prevenzione della corruzione le amministrazioni indicano «specifici obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di legge», laddove per legge non può che intendersi, innanzitutto, quella statale.

Poiché, dunque, il sistema della trasparenza che discende dalla l. 190/2012, dal d.lgs. 33/2013 e dal d. l. 90/2014 rientra nell’ambito della competenza statale, anche la disciplina sanzionatoria come delineata nell’art. 47, co. 3, si ritiene debba essere sottratta ad altre fonti normative ed interpretata ed applicata coerentemente6. La delibera n. 66/2013 è incentrata sulla pluralità di fonti di disciplina del procedimento sanzionatorio, attraverso il rinvio a regolamenti che devono essere adottati da ciascun soggetto ricompreso nell’ambito soggettivo di applicazione del d. lgs. n. 33/2013. Detta delibera comporta un’attuazione eterogenea del regime sanzionatorio sul territorio in ragione di scelte effettuate autonomamente da ogni singolo ente o amministrazione, con possibili conseguenze sia di non effettività dell’applicazione delle sanzioni, che di violazione del principio di uguaglianza rispetto alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni. Tenuto anche conto delle recenti modifiche normative, ad avviso dell’Autorità, per l’interpretazione della disciplina sanziona-toria prevista dall’art. 47, co. 3, è, invece, necessario muovere dal ricono-scimento della competenza statale in materia di trasparenza anche quale livello essenziale delle prestazioni e da una lettura integrata dell’art. 19, co. 7, del d.l. 90/2014, e dell’art. 17, co. 1, della l. 689/1981. Visto che la trasparenza è materia di competenza statale e alla luce di quanto previsto dall’art. 19, c. 7, del d.l. 90/2014, si deve ritenere che spetti solamente all’Autorità, nell’esercizio delle funzioni di controllo e vigilanza in materia di trasparenza ad essa attribuite, il potere di avviare il procedimento sanzionatorio ai sensi della legge 689/1981, nell’ambito del quale può attivarsi la segnalazione del Presidente dell’ANAC di cui al predetto articolo 19 co.7. Come già sopra indicato, quest’ultima disposizione attribuisce al Presidente dell’ANAC il potere di segnalare le violazioni di cui all’art. 47, co. 1 e 2 del d.lgs. 33/2013, all’ “autorità amministrativa competente all’irrogazione delle sanzioni ai sensi dalla l. 689/1981”.

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L’art. 19 citato introduce, quindi, una dialettica fra il Presidente dell’ANAC e un’altra autorità amministrativa non direttamente identificata nell’art. 47, co. 3, del d.lgs. 33/2013. In base ad una lettura sistematica della normativa sulla trasparenza e della legge 689/1981 - e sempre tenuto conto che si tratta di materia di competenza statale - questa autorità amministrativa non può che essere individuata, a legislazione vigente, nel prefetto del luogo in cui si verificano le violazioni di cui all’art. 47, co. 1 e 2, del d.lgs. 33/2013. Infatti, nelle materie di competenza statale, l’art. 17 della l. 689/1981 stabilisce che per l’irrogazione della sanzione definitiva, in caso di mancato pagamento in misura ridotta, intervenga il prefetto in assenza di altri uffici sul territorio e dunque a chiusura del sistema sanzionatorio. Questa interpretazione è suffragata anche dalla considerazione che i prefetti svolgono in generale sul territorio funzioni di garanzia e di promozione dei diritti civili e sociali dei cittadini, alla cui piena attuazione la trasparenza è finalizzata (artt. 1 e 2, d.lgs. 33/2013). Ne consegue che si delinea un collegamento fra l’ANAC, a cui l’ordinamento attribuisce le funzioni di vigilanza sulla trasparenza, e i prefetti. Si è consapevoli che nel d.p.r. 29 luglio 1982, n. 571, adottato in attuazione dell’art. 17, co. 7, della l. 689/1981, e che indica gli uffici competenti a ricevere il rapporto, non risultano corrispondenze fra l’ANAC e i prefetti. Ma questo in parte si spiega con l’assenza di aggiornamenti recenti al d.p.r. citato. E’ di rilevo, invece, il fatto che nell’art. 32 del d.l. 90/2014 il legislatore abbia previsto un modello di relazione fra Presidente dell’ANAC e prefetti per l’adozione di misure in senso lato sanzionatorie per la straordinaria gestione, per il sostegno e il monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione. Per il rispetto del principio di legalità che impronta, in generale, la materia sanzio-natoria ed anche ai fini di un’interpretazione sistematica, si rileva che concorre

all’orientamento ermeneutico accolto anche la specifica previsione dell’art. 1, co. 735, della l. 27.12.2006, n. 296, laddove attribuisce al prefetto la competenza ad irrogare una sanzione pecuniaria nei confronti dei soggetti responsabili della omessa pubblicazione dei dati concernenti gli incarichi di amministratori delle società degli enti locali conferiti da soci pubblici e dei relativi compensi, nonché nei confronti dell’amministratore che non comunichi ai soci pubblici il proprio incarico e il relativo compenso. La fattispecie sanzionata in tale norma è analoga a quella definita nell’art. 47, co. 2, del d.lgs. 33/2013. Infine, deve ritenersi almeno in parte superato per abrogazione implicita l’art. 2, co. 1, lett. f), del d.l. 174/2012, convertito in legge 7 dicembre 2012, n. 213. Detta disposizione, infatti, ha previsto che, ai fini del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica, a decorrere dal 2013 una quota pari all’80 per cento di alcuni trasferimenti erariali a favore delle regioni sia erogata a condizione dell’adozione da parte delle regioni di una serie di provvedimenti. Tra questi è inclusa l’adozione di una disciplina sulle modalità di pubblicità e trasparenza dello stato patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche elettive e di governo, con il relativo sistema sanzionatorio. Come visto, la pubblicità dei dati relativi allo stato patrimoniale dei titolari di incarichi politici e di indirizzo politico è disciplinata dagli artt. 14 e 47, co. 1, del d.lgs. 33/2013. Nella misura in cui gli obblighi di pubblicazione indicati nell’art. 2, co.1, lett. f), del d.l. 174/2012 coincidono con quelli indicati dagli artt. 14 e 47, co. 1, del d.lgs. 33/2013, si deve ritenere che, poiché la disciplina contenuta nel d.lgs. 33/2013 integra un livello essenziale delle prestazioni ed è successiva a quella del d.l. 174/2012, prevalga la disciplina del d.lgs. 33/2013, con il relativo apparato sanzionatorio, nei confronti di ogni amministrazione, ivi comprese le regioni. Rimane, invece salva la disciplina relativa agli altri obblighi di trasparenza sullo stato patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche elettive e di governo contenuta nelle leggi

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regionali eventualmente adottate in attuazione del d.l. 174/2012. Si deve in ogni caso trattare di obblighi diversi da quelli relativi allo stato patrimoniale già previsti nel d.lgs. n. 33/2013. Procedimento. Alla luce del richiamato quadro normativo, il procedimento per l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 47, co. 3, del d.lgs. 33/2013, considerata la competenza statale e tenuto conto dell’art. 19 c. del d.l.90/2104 nonché del rinvio alla l. 689/1981, si delinea come segue. L’ANAC, nell’ambito delle proprie funzioni di vigilanza e di controllo, d’ufficio o su segnalazione, sul rispetto degli obblighi di trasparenza, è il soggetto competente ad avviare il procedimento sanzionatorio per le violazioni di cui all’art. 47, co. 1 e 2, del d.lgs. 33/2013, provvedendo all’accertamento, alle contestazioni e alle notificazioni ai sensi degli artt. 13 e 14 della l. 689/1981 ai fini del pagamento in misura ridotta (art. 16, l. 689/1981). In questa ottica, gli OIV, ovvero le strutture o i soggetti con funzioni analoghe, in attuazione del potere di attestazione sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione previsto dall’art. 14, co. 4, lett. g), d.lgs. 150/2009, e anche in relazione alle segnalazioni ricevute dai Responsabili della trasparenza, ai sensi dell’art. 43, co. 1 e 5, del d.lgs. 33/2013, comunicano ad ANAC le irregolarità riscontrate in relazione agli adempimenti di cui al citato articolo 47 co. 1 e 2. Qualora non sia stato effettuato ad ANAC il pagamento in misura ridotta, il Presidente dell’Autorità, in base all’art. 19, co. 7, del d.l. 90/2014, ne dà comunicazione, con un apposito rapporto ai sensi dell’art. 17, co. 1, della legge 689/1981, al prefetto del luogo ove ha sede l’ente in cui sono state riscontrate le violazioni per l’irrogazione della sanzione definitiva (art. 18, l. 689/1981). Il prefetto comunica al Presidente dell’ANAC l’esito della procedura sanzionatoria e all’amministrazione, all’ente o all’organismo interessato l’eventuale provvedimento sanzionatorio adottato anche ai fini della pubblicazione sul sito istituzionale ai sensi dell’art. 47, co. 1, del d.lgs. 33/2013 nella sotto-sezione relativa agli organi di indirizzo politico. Come

previsto dall’art. 49, le sanzioni in argomento si applicano «a partire dalla data di adozione del primo aggiornamento del Programma triennale della trasparenza e, comunque, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore” del d.lgs. 33/2013. A decorrere da tali date, la mancata pubblicazione e/o la mancata comunicazione che configurano l’inadempimento sono presupposto per l’avvio del procedimento sanzionatorio. Con riferimento al procedimento sanzionatorio e all’individuazione dell’autorità competente all’irrogazione delle sanzioni per l’inadempimento degli obblighi di cui all’art. 47, co. 1, relativamente agli organi che compongono il Governo si ritiene, in ragione della speciale posizione costituzionale del Governo, di dover rinviare a quanto previsto all’art. 49, co. 2, del d.lgs. 33/2013 secondo cui «con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri sono determinate le modalità di applicazione delle disposizioni del presente decreto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in considerazione delle peculiarità del relativo ordinamento ai sensi degli articoli 92 e 95 della Costituzione», come anche già previsto nella delibera n. 66/2013. Comunque, anche per questo aspetto, si ritiene opportuno un intervento del legislatore che chiarisca il tipo di disciplina applicabile ai vertici politici dei Ministeri. Disciplina transitoria. Considerato che la presente delibera stabilisce una diversa regolamentazione del procedimento sanzionatorio già previsto nella delibera n. 66/2013, l’Autorità ritiene necessario indicare una disciplina transitoria che tenga conto del principio generale del tempus regit actum. Ne discende, quindi, che ai procedimenti sanzionatori per i quali, alla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della presente delibera, sia stata già conclusa l’istruttoria da parte dell’ufficio competente e siano già stati trasmessi gli atti all’ufficio cui spetta l’irrogazione della sanzione, si applicano le disposizioni previste dai regolamenti di ogni amministrazione o ente adottati ai sensi della delibera ANAC n. 66/2013 o, in mancanza, le disposizioni previste in via suppletiva dalla stessa

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delibera. Le amministrazioni comunicano ad ANAC gli esiti del procedimento sanzionatorio. Laddove, invece, alla data di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della presente delibera, il procedimento sia stato avviato ma la fase istruttoria non sia stata ancora conclusa con la trasmissione degli atti all’ufficio cui spetta l’irrogazione della sanzione, gli stessi atti dovranno essere trasferiti dal Responsabile della trasparenza dell’amministrazione o dell’ente all’ANAC che procederà agli accertamenti e alle contestazioni secondo quanto previsto al paragrafo relativo al procedimento della presente delibera. Con successivo comunicato l’ANAC indicherà l’ufficio al quale trasmettere gli atti delle istruttorie procedimentali in corso e le relative modalità (Delibera A.NA.C. n. 10 del 21.1.2015 Gaz-zetta Ufficiale Serie Generale n. 29 del 5.2.2015).

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INTERCONNESSIONE SISTRI CON IL CORPO FORESTALE DELLO STATO Vista la Direttiva 2008/98/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 19.11.2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive e, in particolare, l'art. 17, che ha stabilito che gli Stati membri adottano le misure necessarie affinche' la produzione, la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio ed il trattamento dei rifiuti pericolosi siano eseguiti in condizioni tali da garantire la protezione dell'ambiente e della tracciabilita' dalla produzione alla destinazione finale ed il controllo dei rifiuti pericolosi; Vista la parte quarta del d. lgs. 3.4.2006, n. 152, e successive modificazioni e integra-zioni, recante norme in materia ambientale e, in particolare, l'art. 189 relativo all'istituzio-ne di un sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti; Vista la legge 27.12.2006, n. 296, recante "disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)" e, in particolare, l'art. 1, comma 1116, che ha previsto la realizzazione di un sistema integrato per il controllo e la

tracciabilità dei rifiuti, in funzione della sicurezza nazionale ed in rapporto all'esi-genza di prevenzione e repressione dei gravi fenomeni di criminalita' organizzata nell'ambito dello smaltimento illecito dei rifiuti; Visto il d.l. 1.7.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 3.8.2009, n. 102, recante provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini e, in particolare l'art. 14-bis concernente il "finanziamento del sistema informatico di controllo della tracciabilita' dei rifiuti", che ha demandato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'adozione di uno o piu' decreti per definire i tempi e le modalita' di attivazione, nonche' le date di operativita' del sistema informatico di controllo della tracciabilita' dei rifiuti, le informazioni da fornire, le modalita' di trasmissione e di aggiornamento dei dati, le modalita' con le quali le informazioni contenute nel sistema informatico dovranno essere detenute e messe a disposizione delle autorita' di controllo, nonche' l'entita' dei contributi da porre a carico dei soggetti obbligati per la costituzione ed il funzionamento del sistema; Visto il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 18.2.2011, n. 52, recante "regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi dell'art, 189 del d.lgs. 3.4.2006, n. 152 e dell'art. 14-bis del d.l. 1.7.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 3.8.2009, n. 102", pubblicato nel Supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 96 del 26.4.2011, che raccoglie in un testo unico coordinato i decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 17.12.2009, del 15.2.2010, del 28.9.2010 e del 22.12.2010 disciplinanti l'attivazione ed il funzionamento del sistema informatico di controllo della tracciabilita' dei rifiuti, denominato SISTRI; isto il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 10.11.2011, n. 219, recante "regolamento recante modifiche e integrazioni al decreto ministeriale del 18.2.2011, n. 52, concernente il regolamento di istituzione del sistema di

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Uso del Territorio: urbanistica, ambiente e paesaggio

Gazzetta Amministrativa -91- Numero 1 - 2015

controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5.1.2012 - Supplemento Ordinario n. 5; Considerata la necessità di affidare la gestione, il controllo e l'elaborazione delle informazioni contenute nel SISTRI agli organi deputati alla sorveglianza e all'accertamento degli illeciti in materia ambientale; Considerata la complessità degli aspetti ambientali che richiedono la definizione e l'organizzazione di un Sistema di sicurezza che monitori il ciclo completo di gestione dei rifiuti; Visto il d.l. 101 del 31.8.2013, convertito con modificazioni dalla l. 125 del 2013 e successive modifiche ed integrazioni; Visto l'art. 12-bis del d.l. 91 del 2014 convertito con modificazioni dalla legge 116 del 2014; Adottano il seguente decreto: Art. 1 Il Corpo forestale dello Stato è interconnesso al Sistema informatico di tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) al fine di intensificare l'azione di contrasto alle attivita' illecite di gestione dei rifiuti, con particolare riferimento al territorio campano. Art. 2 Il Corpo forestale dello Stato opera in stretto collegamento con il Ministero dell'ambiente assicurando l'accesso alle informazioni non riservate presenti in ambito SISTRI da parte del Ministero ai fini degli adempimenti relativi alle proprie attività istituzionali. Art. 3 Dall'attuazione del presente decreto non potranno derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e/o per gli utenti del Servizio informatico di tracciabilita' dei rifiuti. Il presente decreto e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. De-creto 15.1.2015 Gazzetta Ufficiale n. 48 del 27.2.2015).

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COMPOSIZIONE, ATTRIBUZIONI E FUNZIONAMENTO DELLE COMMIS-SIONI CENSUARIE, A NORMA DELL'ART. 2, CO. 3, LETT. A), DELLA L. 11.3.2014, N. 23 È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il d. lgs. 17.12.2014, n. 198 recante " Composi-zione, attribuzioni e funzionamento delle commissioni censuarie, a norma dell'articolo 2, co. 3, lett. a), della l. 11.3.2014, n. 23" (Decreto Legislativo 17.12.2014, n. 198 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 9 del 13.1.2015).

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APPROVAZIONE DEL MODELLO UNICO DI DICHIARAZIONE AMBIEN-TALE PER L'ANNO 2015. Art. 1. 1. Il modello di dichiarazione, allegato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12.12.2013, pubblicato nel supplemento ordinario n. 89 alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 302 del 27.12.2013, è sostituito dal modello e dalle istruzioni allegati al presente decreto. 2. Il modello di cui al presente decreto sara' utilizzato per le dichiarazioni da presentare, entro la data prevista dalla l. 25.1.1994, n. 70 e cioe' entro il 30 aprile di ogni anno, con riferimento all'anno precedente e sino alla piena entrata in operativita' del Sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI). (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17.12.2014 GU Serie Generale n.299 del 27.12.2014 - Suppl. Or-dinario n. 97).

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Gazzetta Amministrativa -92- Numero 1 - 2015

REDAZIONALI

L’ANALISI DEL PRINCIPIO DI “CHI INQUINA PAGA” RISPETTO AL PROPRIETARIO INCOLPEVOLE, ALLA LUCE DELLA RECENTE SENTENZA DELLA C.G.UE,III, 4.3.2015, CAUSA C-534/2013, M.A.T.T.M. E ALTRI CONTRO FIPA GROUP S.R.L. E ALTRI della Dott.ssa Francesca Romana Marcacci Balestrazzi

Esclusione della responsabilità oggettiva nel caso di danno ambientale commesso da un soggetto diverso dal proprietario. Applicazione ponderata del principio di “chi inquina paga”. Il proprie-tario incolpevole ha il solo obbligo di rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità amministrativa competente. Exclusion of strict liability in the event of environmental damage committed by a person other than the owner. Weighted implementation of "polluter pays" theory. The innocent owner has the sole obligation to reimburse the costs of the actions taken by the competent Administration. Sommario:1. Evoluzione storico-normativa del concetto di responsabilità civile per danno am-bientale; 2. Novità introdotte dalla dir. 2004/35/CE del 21.4.2004; 3. Caso di specie e recente in-terpretazione della C.G.UE (marzo 2015).

1. Evoluzione storico-normativa del concetto di responsabilità civile per danno ambientale.

Prima di definire il principio di diritto af-fermato dalla recente sentenza della C.G. UE, occorre preliminarmente riflettere sull’evo-luzione storico-normativa del concetto relati-vo al danno ambientale ed il suo risarcimento, sia in ambito comunitario che nazionale.

Senza andarsi a dilungare in questa sede sull’origine del concetto giuridico di ambien-te, quello che qui preme sottolineare è il con-cetto di danno allo stesso.

La l. 8.7.1986, n. 349, di ricezione della dir. 337/1985/CEE, istitutiva del Ministero dell'Ambiente, recante anche norme in mate-ria di danno ambientale1, è stata la prima leg- 1M. COMPORTI, Responsabilità per danno ambientale, in Foro it., 1987, vol. III, p. 266; V. GHERGHI, Istituzione del Ministero dell'ambiente in materia di danno ambientale, in Nuova rass. leg. dottr. e giur., 1986, p. 2467; L. BIGLIAZZI GERI, A

ge italiana a prevedere il risarcimento dei danni anche a favore dello Stato. Infatti all’art. 18 stabiliva come "qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge, che comprometta l'ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorando-lo o distruggendolo in tutto o in parte...".

Posto che, nella materia in esame, può es-sere particolarmente complicata la precisa quantificazione del danno (si consideri, infat-ti, che è ben possibile che le conseguenze dannose si manifestino in un arco temporale più esteso e che siano apprezzabili in tutta la loro gravità soltanto trascorso un determinato periodo di tempo) il VI co. dell'ormai abroga-to art.18 della l. 349/86 prevedeva che il giu- proposito di danno ambientale ex art. 18 l. 08.07.1986 n. 349 e di responsabilità civile, in Pol. diritto, 1987, vol. II, p. 253; S. D'ORTA, Il Ministero per la tutela dell'ambiente (l. 08.07.1986, n. 349), in Nuovi studi politici, 1986, p. 73.

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Gazzetta Amministrativa -93- Numero 1 - 2015

dice, in tal caso, potesse determinarne l'am-montare in via equitativa, avvalendosi di ta-luni criteri, tra cui la gravità della colpa indi-viduale, il costo necessario per il ripristino dell'ambiente leso e, infine, il profitto conse-guito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento2.

Per gli stessi motivi, il regime probatorio gravante sul danneggiato risultava meno se-vero. In alcuni casi, invero, la prova del dan-no poteva essere presunta per legge, come ad esempio nel caso di immissioni nocive pro-venienti da stabilimenti industriali che, per il loro alto contributo inquinante, devono pos-sedere impianti, installazioni o dispositivi tali da limitare al massimo, in base alle tecniche più attuali, la emissione di fumi, gas, polveri o esalazioni3.

Oltre al risarcimento del danno, il co. 8 dell'art. 18 prevedeva, altresì che, ove fosse possibile, il giudice disponesse il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabi-le.

Al riguardo, si discuteva se i soggetti re-sponsabili potessero essere condannati al ri-pristino dello stato dei luoghi solamente quando il giudizio fosse stato promosso dallo Stato o dagli Enti territoriali oppure anche nell'ipotesi che il giudizio fosse stato promos-so da altri soggetti. Quanto alla connessione tra la condanna al risarcimento del danno e quella al ripristino, la giurisprudenza di legit-timità era intervenuta precisando che, in via prioritaria, il giudice dovesse disporre il ripri-stino dello stato dei luoghi a spese del re-sponsabile e, solo in via sussidiaria, potesse condannare il danneggiante al risarcimento dei danni4.

La legittimazione attiva all'azione risarci-toria spettava allo Stato, per la sua funzione a tutela della collettività e degli interessi all'e-quilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio ed agli enti il cui territorio fosse interessato dall'evento lesivo, nonché alle as-sociazioni di protezione ambientale, previste dall'art. 13 , l. cit.. Esse, in particolare, pote-vano esercitare le azioni spettanti ai comuni

2 TAR Venezia, 27.11.2002, n. 1286 . 3 Cass. Civ. Sez. I, 1.9.1995, n. 9211. 4 cfr. Cass. sez. un., 25.1.1989, n. 440.

dalle province5. In seguito, il dibattito comunitario ed in-

ternazionale fondato sull’applicazione o me-no del principio del chi inquina paga ha con-dotto al consenso per una profonda riforma introdotta dalla dir. 2004/35/CE, che in segui-to si analizzerà, il cui scopo è stato quello di “costituire un minimo comun denominatore delle discipline dei singoli stati membri”6.

In attuazione di tale direttiva anche nell’ordinamento italiano il processo di ri-forma dell’istituto è stato definito nelle dispo-sizioni contenute nel d. lgs. 3.4.2006, n.152 e modifiche successive.

Si osserva, quindi, come la disciplina in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente contenuta nella parte sesta (artt. 299 - 318) del d. lgs. 3.4.2006, n. 152, ha una duplice origine: per un verso è attuativa della legge delega 15.12.2004, n. 308, per il riordi-no, il coordinamento e l’integrazione della le-gislazione in materia ambientale7; per altro verso recepisce la dir. 2004/35/CE del 21.4.2004 sulla responsabilità ambientale.

La duplicità delle fonti di delega normati-va rimanda alla struttura stessa della discipli-na risarcitoria e pone difficili problemi di co-ordinamento tra le regole contenute nel titolo II della parte sesta (artt. 304 – 310) del d. lgs. n. 152/06, nelle quali si recepisce il modello di prevenzione e ripristino ambientale conte-nuto nella direttiva europea. Per quanto attie-ne ad una sommaria indicazione del funzio-namento delle procedure, secondo la discipli-na attuativa della direttiva comunitaria, ogni qualvolta vi sia la minaccia di danno ambien-tale o tale danno si sia verificato, il soggetto responsabile ha l’obbligo di informare le au-torità interessate e di adottare tempestivamen- 5 ad esempio, il TAR Campania, 19.11.2002, n. 7268 , ha riconosciuto la legittimazione attiva del Codacons. 6 G. ROSSI, Diritto dell’ambiente, Giappichelli editore, Torino, 2008. 7 F. GIAMPIETRO, La responsabilità per danno all’ambiente in Italia: sintesi di leggi e giurisprudenza messe a confronto con la direttiva 2004/35/Ce e con il T.U. ambientale, in Riv. giur. amb., 2006, 19 ss., sp. 31 ss. Una disciplina anticipatrice ora abrogata è stata introdotta dall’art. 1, commi 439 s., della l. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006): cfr., per un primo commento, G. DE MARZO, Il risarcimento del danno ambientale nella legge finanziaria per il 2006, in Danno e resp., 2006, 121 ss..

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te le misure di prevenzione e di messa in sicu-rezza (art. 304, co. 1, d.lgs. n. 152/06), non-ché le misure atte a controllare e circoscrivere il danno (art. 305, co. 1). Secondo la discipli-na di origine interna, resta ferma l’azione in giudizio dello Stato di fronte al giudice ordi-nario, anche in sede penale (art. 311, co. 1).

Accanto alla procedura giudiziale, è previ-sta una istruttoria amministrativa (art. 312) a seguito della quale l’autorità competente, ac-certato il danno ambientale, può emanare un’ordinanza in cui ingiunge al responsabile di effettuare il ripristino e, ove questi non provveda, di pagare una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno ambientale (art. 313 s.).

E’ testualmente previsto che il responsabi-le possa impugnare l’ordinanza di fronte al giudice amministrativo (art. 316).

2. Novità introdotte dalla dir.

2004/35/CE del 21.4.2004. Come sopra accennato, un significativo

passo in avanti nel nostro ordinamento si è avuto con il recepimento della dir. 2004/35/CE del 21.4.2004, sulla responsabili-tà ambientale in materia di prevenzione e ri-parazione del danno, con cui il legislatore na-zionale ha rafforzato la normativa, recependo un principio fondamentale di diritto interna-zionale, tradizionalmente noto come il princi-pio del "chi inquina, paga", recepito in segui-to nel TFUE (art. 191, par. 2, TFUE).

Il principio chi inquina paga, anche inteso come principio di “responsabilità”, presup-pone il riconoscimento di un valore economi-co al bene-ambiente e si fonda sull’idea che ogni intervento finalizzato a ristabilire l’equilibrio ambientale turbato dall’azione umana comporti necessariamente dei costi di ripristino, i quali devono essere riallocati in modo efficiente ed efficace.

Il risultato concreto che ne deriva non può allora che essere quello di porre a carico dell’operatore responsabile del danno arreca-to all’ambiente le conseguenze economiche che derivano dall’esercizio di un’attività in-quinante.

La caratteristica fondamentale del modello di responsabilità per danno ambientale così delineatosi è data dal fatto che l'obbligo risar-

citorio in capo all'agente che abbia commesso il fatto illecito o che abbia omesso le attività o le misure di prevenzione, si pone come con-seguenza non solo di una condotta colposa "con negligenza, imperizia, impru-denza o violazione di norme tecniche, o dolosa, ma quale conseguenza di una ulteriore violazione di legge, di regolamento o di provvedimento amministrativo".

La dir. 2004/35 avrebbe dovuto in questo senso introdurre norme comuni sostanziali e procedurali, invece essa ha finito con l’offrire una disciplina quadro piuttosto limitata.

La sua importanza, d’altra parte, sta nell’aver offerto una definizione di danno ambientale, attribuendogli autonomia rispetto al concetto di danno tradizionale, nonché nell’aver affrontato il tema della responsabili-tà dal duplice punto di vista della prevenzione e della riparazione, l’aver prefissato l’esistenza del nesso eziologico fra condotta illecita ed evento dannoso.

La dir. 2004/35/CE, però, non si applica a ogni possibile alterazione negativa dell’am-biente, essa offre una definizione di danno ambientale e ad esso limita la propria azione.

Come si descriveva pocanzi, il suo campo di applicazione è assai circoscritto: a diffe-renza di quanto era stato proposto nel Libro Bianco, è escluso il danno tradizionale che rimane esclusivamente l’oggetto dei relativi accordi internazionali, nonché delle discipline nazionali.

Non si applica dunque ai casi di lesioni personali, danni alla proprietà privata, perdite economiche e non interferisce con le discipli-ne di tali tipi di danni tradizionali. Non confe-risce ai privati il diritto di indennizzo8.

Essa fornisce una nozione autonoma di danno che vale per l’ambito da essa discipli-nato: “un mutamento negativo misurabile di una risorsa naturale o un deterioramento mi-surabile di un servizio di una risorsa natura-le, che può prodursi direttamente o indiret-tamente” 9, ove per servizio s’intende

8 Art. 3, 3 “Ferma restando la pertinente legislazione nazionale, la presente Direttiva non conferisce ai privati un diritto a essere indennizzati in seguito a un danno ambientale o una minaccia imminente di tale danno”. 9 Art. 2, 2.

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Gazzetta Amministrativa -95- Numero 1 - 2015

l’insieme delle “funzioni svolte da una risor-sa naturale a favore di altre risorse naturali e/o del pubblico”.

Ad ogni modo, tornando sulle novità in-trodotte dalla Direttiva, la stessa contempla due diversi regimi di responsabilità che diffe-riscono per l’oggetto della tutela (risorsa na-turale interessata), il soggetto che ha causato il danno (tipo di attività svolta) e il criterio di imputazione della responsabilità (oggettiva oppure per colpa o dolo)10.

E’ dunque previsto il regime di responsa-bilità oggettiva, in base alla quale è sufficien-te la sussistenza del nesso causale tra azione e danno, per l’ipotesi di danno causato o mi-nacciato nell’ambito di attività professionali che presentino un rischio potenziale o reale per la salute umana o l’ambiente.

3. Caso di specie e recente interpreta-

zione della C.G.UE (marzo 2015). Dopo aver analizzato sommariamente

l’evoluzione storico-normativa della discipli-na della responsabilità per danno ambientale, si riporta in questo commento l’intervento in-novatore ed innovativo della Corte Europea che si è espressa nella materia.

Come sopra detto, nel T.U. Ambientale vige il principio del "proprietario incolpevo-le", in base al quale l'obbligo di adottare le misure, tanto urgenti che definitive, idonee a fronteggiare una situazione di inquinamento, può essere posto a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per a-vervi dato causa, a titolo di dolo o colpa. Sul proprietario "incolpevole" dell'inquinamento, invece, secondo la norma, grava l'obbligo di rimborsare gli interventi effettuati dall'ammi-nistrazione.

Con una singolare pronuncia-sentenza 4.3.2015 in commento - è recentemente inter-

10 Il testo della Direttiva 2004/35/CE, all’ art. 3, punto 1, lettere a) e b) recita “La presente direttiva si applica: al danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell’allegato III e a qualsiasi minaccia di tale danno a seguito di una di dette attività; al danno alle specie e agli habitat naturali protetti, causato da una delle attività professionali non elencate nell’allegato III e a qualsiasi minaccia di tale danno, a seguito di una di dette attività, in caso di comportamento doloso o colposo dell’operatore”.

venuta su questi temi la C.G.UE al fine di ap-purare se la disciplina nazionale ed il princi-pio appena illustrato siano conformi al prin-cipio "chi inquina, paga" cui si ispira la nor-mativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquina-mento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.

La sentenza in esame si riferisce al periodo compreso tra il 2006 e il 2011, quando delle società sono divenute proprietarie di diversi terreni situati in Toscana.

Queste zone, da quanto risulta dalla deci-sione in esame, "erano gravemente contami-nati da sostanze chimiche in seguito alle atti-vità economiche svolte dai precedenti pro-prietari, appartenenti al gruppo industriale M., i quali producevano in tali siti insetticidi e diserbanti".

Emergeva altresì che i nuovi proprietari non erano autori della contaminazione, ma "le autorità italiane hanno ordinato loro di rea-lizzare una barriera idraulica di emungimen-to" per bonificare e/o ripristinare l'area.

Deducendo la circostanza che esse non e-rano autrici della contaminazione constatata, tali società hanno adito il Tribunale ammini-strativo di competenza, che, con tre sentenze distinte, ha annullato tali provvedimenti a-vendo le imprese dimostrato di non avere al-cuna responsabilità diretta.

Nel successivo grado di giudizio, al fine di capire se l'amministrazione nazionale possa imporre al proprietario di un'area inquinata, che non sia anche l'autore dell'inquinamento, l'obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza di cui all'art. 240, co. 1, lett. m […] del d. lgs. 152/2006, il Con-siglio di Stato ha rimesso la questione all'at-tenzione dell'Adunanza Plenaria.

Il più alto organo della giustizia ammini-strativa, a sua volta, ha ritenuto opportuno in-teressare della questione anche la C.G.UE, per comprendere se tali norme nazionali siano compatibili con il principio comunitario "chi inquina paga", pur disponendo a carico dei proprietari incolpevoli esclusivamente l'ob-bligo di rimborsare gli interventi effettuati dall'amministrazione.

Ebbene, la pronuncia in commento chiari-

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Gazzetta Amministrativa -96- Numero 1 - 2015

sce innanzi tutto che la norma da cui promana la centralità del principio "chi in inquina pa-ga" (art. 191, par. 2, TFUE11) si limita a defi-nire gli obiettivi generali dell'Unione in mate-ria ambientale, "mentre l'articolo 192 TFUE affida al Parlamento europeo e al Consiglio dell'Unione europea, che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria, il compito di decidere le azioni da avviare al fine del raggiungimento di detti obiettivi".

Di conseguenza, l'art. 191 cit. può essere invocato solo quando non sia applicabile al-cuna normativa dell'Unione adottata in base all'art. 192 TFUE, che disciplini specifica-mente l'ipotesi di cui trattasi.

Spiegato questo punto, la C.G.UE aggiun-ge che nella controversia in esame il principio "chi inquina paga" potrebbe trovare applica-zione "nei limiti in cui esso è attuato dalla di-rettiva 2004/35", "visto che la direttiva in questione si applica al danno causato da un'emissione, un evento o un incidente verifi-catosi il 30 aprile 2007 o dopo tale data quando tale danno derivi vuoi da attività svolte in tale data o successivamente ad essa, vuoi da attività svolte precedentemente a tale data ma non terminate prima di essa".

Nel caso in cui tale direttiva fosse applica-bile, conclude la Corte, la questione pregiudi-ziale si dovrebbe infine risolvere nel senso che la dir. 2004/35 "non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel pro-cedimento principale, la quale, nell'ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest'ultimo le misure di riparazione, non consente all'autorità competente di imporre l'esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese".

Alla luce dell’intervento dato da questa ri-levante sentenza, quindi, si evince come si possa fare diretto e legittimo riferimento ad

11 L’attuale art. 191 del TFUE specifica gli obiettivi della politica ambientale dell’Unione definendo i principi di base sui quali l’azione in materia ambientale dovrebbe essere fondata. Tra questi, il principio “chi inquina paga”, sopra citato, insieme a quelli della precauzione, dell’azione preventiva e della correzione.

una legge nazionale che può muoversi in ma-niera libera, anche prevedendo una responsa-bilità esclusivamente patrimoniale (come di fatto risulta ad oggi).

La Corte Europea emette, quindi, una sen-tenza che stabilisce come il principio "chi in-quina paga", fissato dalle Direttive UE, non sia sempre direttamente applicabile nei paesi membri: ciascuno mantiene un livello di au-tonomia che consente di prevedere eccezioni.

Nella specie, la legge italiana, secondo la lettura delle disposizioni sopra indicate, non impone al proprietario di un terreno di avvia-re azioni di bonifica e/o riparazione, quando questi non sia direttamente responsabile del suo inquinamento, prevedendo una limitata responsabilità patrimoniale che si sostanzia nell'obbligo di rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità ammini-strativa competente, nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l'esecu-zione dei precedenti interventi.

Il diritto interno, in definitiva, può ben ri-conoscere discrezionalmente i responsabili ulteriori che rispondano in via sussidiaria del danneggiamento arrecato all’ambiente, senza però che il principio chi inquina paga venga svuotato del suo contenuto e senza escludere la legittima imputazione all’inquinatore degli oneri necessari ad evitare o a riparare il danno causato12.

Pertanto ben può concludersi osservando come la pronuncia in esame, connessa alla precisa analisi del quadro normativo naziona-le effettuata dal Consiglio di Stato, ha una ri-levanza fondamentale ed una grande utilità in merito al tema della responsabilità ambienta-le, alla rilevanza del nesso di causalità e con-seguentemente ai limiti di attribuzione

12 Cfr., P. SALVEMINI, la parola fine della corte di giustizia sui confini della responsabilità per danno ambientale del proprietario incolpevole del sito inquinato. nota a corte di giustizia Ue, sentenza 4 marzo 2015,c - 534/13, in Rivista online dell’associazione italiana dei costituzionalisti, 2015; S. CAMPILONGO, Più severa la disciplina del danno ambientale, in Guida Dir., 2013, 90 ss.; R. ROTIGLIANO, Ancora sui presunti obblighi di facere in capo al proprietario non responsabile del sito contaminato: dove sta il più (il proprietario non è tenuto a fare alcunché), sta il meno (figurarsi l’ex proprietario), in Foro Amm., 2012, 2917 ss.

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Uso del Territorio: urbanistica, ambiente e paesaggio

Gazzetta Amministrativa -97- Numero 1 - 2015

dell’onere della riparazione del danno. Pertanto grazie alle precise conclusioni dei

giudici di Palazzo Spada (ai punti 25 e ss. dell’ordinanza n. 21/2013) sul diritto naziona-le (articoli da 239 a 253 del d. lgs. 152/2006,

Codice dell’ambiente) e alla pronuncia della Corte, si può escludere infatti una responsabi-lità oggettiva, svincolata dalla causazione del danno.

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Gazzetta Amministrativa -98- Numero 1 - 2015

GIURISPRUDENZA

Consiglio di Stato Sez. VI 2.3.2015, n. 1003 Dichiarazione di interesse artistico e storico dell´immobile - vincoli culturali di mera de-stinazione - non consentiti. La società proprietaria dell’immobile denomi-nato cinema teatro Concordi ubicato in Pado-va, via San Martino e Solferino, ha chiesto la riforma della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo del Veneto ha respinto, dopo averli riuniti, i ricorsi presentati avverso l’avvio del procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale del suddetto immobile e avverso il decreto recante la dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante, ai sensi dell’art. 10, co. 3, lett. a) del d.lgs. 22.1.2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).L’intervento della Soprintendenza è stato determinato dalla presentazione al Co-mune di Padova, da parte della società appel-lante, di un progetto per cambio di destinazione d’uso, finalizzato, in sostanza, a trasformare il corpo della sala cinematografica in edificio a destinazione commerciale, residenziale e par-cheggio per residenti e a rimuovere la cabina regia e i servizi, sostituendoli con un ulteriore piano residenziale, inserendo un nuovo sistema di scale a servizio delle esigenze residenziali. La Soprintendenza ha imposto il vincolo non solo sulla facciata, ma anche sul vano scale e sull’atrio. Il Consiglio di Stato con la sentenza del 2.3.2015 ha accolto l´appello precisando che: "Se è vero che l’apprezzamento circa l’importanza dell’interesse culturale dell’immobile considerato, e la conseguente necessità di sottoporlo al regime di tutela pro-prio dei beni che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico par-ticolarmente importante ai sensi dell’art. 10, comma 3 lettera a) e che siano, quindi, dichia-rati beni culturali, appartiene alla valutazione propria dell’Ammini-strazione a ciò preposta, è anche vero che la valutazione non può prescin-dere, a pena di una astrazione pericolosa per la stessa sopravvivenza in concreto della cosa che costituisce il bene culturale, dalla considera-

zione delle concrete coordinate di spazio e di tempo in cui esso è calato. La valutazione dell’Amministrazione deve ne-cessariamente tener conto di un complesso e integrato sistema attinente all’interesse pubbli-co in concreto, nel quale la concreta sopravvi-venza della testimonianza culturale deve inevi-tabilmente collegarsi alla necessità di preser-vare, con il valore culturale, la stessa esistenza materiale e la vitalità del contesto del quale il bene stesso è parte integrante. Nella fattispecie in esame, va considerato che l’utilizzo della struttura per l’uso originario è stato da tempo dismesso e che allo stato non è più praticabile a causa di circostanze esterne ma per questo obiettive: l’effetto pratico è quel-lo del conseguente inevitabile progressivo de-grado dell’immobile. Per contro, il vincolo di cui qui si verte rende in pratica impossibile una destinazione d’uso diversa da quella teatrale o cinematografica e, quindi,, quanto a effetti pratici, si risolve in un vincolo di destinazione d’uso: il che non è e-sternato dall’atto, ma è un suo effetto reale. E questo, del resto, è dimostrato dalle rammenta-te circostanze in cui il vincolo è stato appo-sto.Insomma, sotto le apparenze di un vincolo strutturale qui il decreto di vincolo si risolve, per la sua analiticità, in un vincolo essenzial-mente di destinazione d’uso, non potendosi più configurare utilizzazione diverse per il manu-fatto in questione. La giurisprudenza però non ammette i vincoli culturali di mera destinazione, specie per attivi-tà commerciale o imprenditoriali (cfr. CdS, VI, 16.9.1998, n. 1266; 13.9.1990, n. 819; 28.8.2006, n. 5004; 6.5.2008, n. 2009; 12.7.2011, n. 4198; IV, 12.6.2013, n. 3255). Più volte ha osservato questo Consiglio di Stato sin dalla vigenza della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (ma è principio valido anche per le suc-cessive normative del settore) che non è soste-nibile l´adattabilità di questo vincolo per la tu-tela funzionale di attività imprenditoriali in de-terminati immobili.Tale principio esclude che,

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Gazzetta Amministrativa -99- Numero 1 - 2015

normalmente, tra i beni tutelati possano essere comprese le gestioni commerciali o l´esercizio di specifiche attività, anche se attinenti a valori storici e culturali presi in considerazione dalla legge di riferimento.Vi si può aggiungere che per le dette ragioni un tale effetto di limitazione della destinazione d’uso sembra qui generare un’insostenibilità economica della utilizzazio-ne: va dunque in ultimo a contraddire la stessa salvaguardia materiale del bene, cui la legge di tutela è orientata. Tirando le somme dalle con-siderazioni che precedono, può allora osser-varsi che, nei limiti estrinseci nei quali è con-sentito l’esame del giudice amministrativo, non pare che l’Amministrazione abbia condotto, nel caso di specie, la propria indagine con suffi-ciente riguardo agli effetti pratici di supera-mento di tale limite intrinseco del vincolo di bene culturale; né dunque alla concreta situa-zione di fatto nella quale l’immobile è calato, né alla sostenibilità attuale della conservazione delle specifiche strutture attinenti all’uso di ci-nematografo-teatro, né all’effetto di compatibi-lità con altre destinazioni, né al raffronto dell’interesse espresso dal vincolo con le esi-genze di garantire nella realtà economica la sopravvivenza stessa dell’immobile, nelle sue caratteristiche degne di conservazione e di tute-la". Consiglio di Stato Sez. IV 19.2.2015, n. 838 Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - mancanza di autorizzazione per la realizzazione di opere edilizie in prossimità della linea doganale - conseguenze. L’art.19 d.lgs n. 374/1990 (e rubricato “Edifici in prossimità della linea doganale e nel mare territoriale”), così dispone:“1. È vietato ese-guire costruzioni ed altre opere di ogni specie, sia provvisorie sia permanenti, o stabilire ma-nufatti galleggianti in prossimità della linea doganale e nel mare territoriale, nonché spo-stare o modificare le opere esistenti, senza l´autorizzazione del direttore della circoscri-zione doganale. La predetta autorizzazione condiziona il rilascio di ogni eventuale altra autorizzazione, nella quale della stessa deve es-sere fatta comunque espressa menzione. 2. La violazione del divieto previsto dal comma 1 comporta l´applicazione, da parte del direttore della circoscrizione doganale competente per

territorio, di una sanzione amministrativa di importo da un decimo all´intero valore del ma-nufatto”. La evidente natura condizionale dell’autorizzazione in parola nonché la previ-sione di una sanzione pecuniaria irrogabile in conseguenza della costruzione realizzata in sua mancanza, permettono di affermare che, in pre-senza di un permesso di costruzione già rila-sciato, non può ritenersi avere valenza provve-dimentale la nota con cui l’amministrazione doganale fa rilevare che il fabbricato è stato realizzato senza il predetto titolo; in sostanza la mancanza di autorizzazione ex art. 19 d. lgs. 374/1990 in riferimento al rispetto della c.d. zona doganale, è situazione suscettibile di inci-dere la posizione del titolare del permesso di costruire solo se impedisca il rilascio del titolo edilizio, o si traduca nel provvedimento sanzio-natorio che la legge vi ricollega, o conduca a provvedimenti repressivi del titolo edilizio e-messo in assenza. Nel caso in esame, pertanto, il Consiglio di Stato ha accolto l´appello pro-posto dall´Agenzia delle Dogane e dei Monopo-li in quanto mentre è da ritenersi sostanzial-mente corretta l’affermazione giuridica del TAR sulla natura interlocutoria dell’atto impu-gnato, errata risulta invece sostenere la sua va-lenza impeditiva della costruzione, poiché un tale effetto non è riconoscibile ai sensi di legge sulla base della sola violazione della norma in questione, la quale non ha costituito un presup-posto di legittimità per l’emanazione del titolo edilizio.. Consiglio di Stato Sez. IV 9.2.2015, n. 648 Edilizia - sì al rilascio della concessione edilizia in presenza di contratto di comodato. La vicenda giunta innanzi alla Quarta Sezione del Consiglio di Stato riguarda il ricorso pro-posto da un´associazione contro gli atti ammi-nistrativi in forza dei quali è stata assentita l´edificazione di due edifici (da adibire, l’uno a bar, tavola calda e market e l´altro a reception) realizzati a servizio di un´area (situata in zona di protezione naturalistica) facente parte di un campeggio preesistente, da questo scorporata, al fine di realizzare altro campeggio, e data in comodato al richiedente la concessione in ar-gomento.Il primo giudice ha osservato che il contratto di comodato (intervenuto tra il pro-prietario dell’area ed il concessionario) “in-

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Gazzetta Amministrativa -100- Numero 1 - 2015

staura una relazione stabile (detenzione) con il bene oggetto del medesimo, sufficiente, come quella del locatario, per richiedere ed ottenere la concessione edilizia”. L´associazione conte-sta questo orientamento, argomentando che l’art. 4 delle l. n. 10/1977 non prevede tra i ti-toli legittimanti il grado di parentela e che il comodatario non avrebbe titolo idoneo per in-novare il bene ricevuto e pertanto non può es-sere destinatario di una concessione edilizia. Il Consiglio di Stato sul punto ha affermato che il grado di parentela non ha alcuna rilevanza nel-la specie, poiché la concessione è stata assenti-ta non sulla base di relazione familiare, bensì in base di verifica del titolo per richiederla, se-condo la disposizione dell’art. 4 della l. n. 10/1977, ricordata dalla stessa appellan-te.L’altro assunto urta col rilievo che da tempo la giurisprudenza formatasi in relazione a detta disposizione di legge, ha affermato il principio per cui la concessione edilizia può essere rila-sciata al soggetto che dimostri di avere la di-sponibilità dell’area di riferimento in base a diritto reale o di obbligazione (v. ad es., Cass., Sez. III, sent. n. 6005 del 15-03-2007). E non v’è dubbio che, quanto al comodato, si tratta di contratto che attribuisce la detenzione del bene, posizione che, analogamente alla locazione, costituisce una forma di disponibilità del mede-simo sufficiente ad ottenere il titolo edilizio (salva l’opposizione del proprietario). Consiglio di Stato Sez. VI 10.2.2015, n. 717 Autorizzazione paesaggistica: non è necessa-ria la valutazione di compatibilità per gli in-terventi funzionali alla pratica agronomica o silvicolturale che non comportino opere edi-lizie o civili né alterino l’assetto idrogeologi-co. La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 10.2.2015 ha evidenziato in diritto, va rilevato qui che l’art. 149 (Interventi non soggetti ad autorizzazione), co. 1, lett. b) d.lgs. 22.1.2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) esenta dall’autorizzazione paesag-gistica «gli interventi inerenti l´esercizio dell´attività agro-silvo-pastorale che non com-portino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l´assetto idrogeologico del ter-

ritorio». La disposizione ripete il testo dell’art. 152 (Interventi non soggetti ad autorizzazione) d.lgs. 29 ottobre 1999, n, 490 (Testo unico dei beni culturali e ambientali) e quello il testo dell’art. 82, co. 8 d.P.R. 24.7.1977, n. 616, ag-giunti dal d.l. 27.6.1985, n. 312 come converti-to con modificazioni dall’art. 1 l. 8.8.1985, n. 431.Il significato della disposizione è che – sal-vo lo speciale caso dei «territori coperti da fo-reste e da boschi», di cui all’art. 142, co. 1, lett. g) (già art. 146, co. 1, lett. g) d.lgs. n. 490 del 1999, e art. 82, co. 5 lett. g) d.P.R. n. 616 del 1997, integrato come sopra ricordato) e la sua speciale rilevanza, e per i quali vale comunque l’art. 149, co.a 1, lett. c) – l’ordinamento esen-ta dalla necessità della valutazione di compati-bilità paesaggistica, e dunque dalla relativa au-torizzazione, gli interventi sulla forma del terri-torio che siano funzionali alla pratica agrono-mica o silvicolturale e non comportino opere edilizie o civili né alterino - come di solito è per i movimenti di terra - l’assetto idrogeologico. Si tratta infatti di modificazioni normali della forma del territorio, inerenti all’usuale pratica agricola anche per le piante da frutto o da le-gna, e alla parabola di esseri viventi e produt-tivi delle piante stesse, quand’anche interessino uliveti, vigne, pioppeti, frutteti e simili e dunque abbiano frequenza di rimozione tutt’altro che annuale. Normalmente, infatti, non sono ogget-to di uno specifico valore espressamente tutela-to dal vincolo paesaggistico e non ne sono ele-menti identificativi (come invece vuole la legge stessa per i boschi e le foreste). Diversamente opinando si incorrerebbe in una compressione eccessiva delle facoltà proprietarie e si otter-rebbe il controproducente effetto di una disin-centivazione della pratica agricola, con effetti negativi paradossali sulla buona manutenzione del territorio.Resta salvo il caso in cui un vin-colo paesaggistico sia stato introdotto proprio per salvaguardare una specifica presenza di piantagioni, quali elementi costitutivi essenziali della tipicità di un certo e qualificato paesag-gio agrario: del che dev’essere la motivazione del vincolo a descrivere espressamente il rilie-vo e l’oggetto. In tal caso domina la salvaguar-dia di un tipo particolare di paesaggio e la compressione delle facoltà agrarie trova base nell’art. 9 Cost., essendo i paesaggi agrari tipi-ci elementi del paesaggio nazionale di partico-

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Gazzetta Amministrativa -101- Numero 1 - 2015

lare pregio.Non si versa dunque in questa par-ticolare esenzione dell’art. 149, comma 1, lett. b) quando si tratta non già di pratiche agricole o silvicolturali, bensì di interventi su elementi arborei del paesaggio vincolato posti, ad esem-pio, a ornamento o arredo (es. viali di piante, piante decorative, ecc.): in quel caso la valuta-zione di compatibilità paesaggistica resta ne-cessaria se la zona è paesisticamente vincola-ta.È anche il caso di precisare che queste valu-tazioni afferiscono alla tutela paesaggistica: la quale non è condizionata, né nell’uno né nell’altro senso, dalla tutela silvicolturale delle piante (che segue i suoi distinti procedimenti amministrativi, ove necessari).Nel caso di spe-cie ricorre questa esenzione dell’art. 149, co. 1, lett. b). Consiglio di Stato Sez. IV 9.2.2015, n. 669 Beni culturali: il Consiglio di Stato chiarisce la specialità della procedura espropriativa. Il corpus della disciplina espropriativa valevole nel caso dei beni culturali è stato oggetto di di-samina da parte di questo Consiglio (da ultimo, vedi sez. VI, 11.5.2011 n. 2792), evidenziando come il d.lgs. 22.1.2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, di seguito Codice) preveda negli articoli 95, 96 e 97 tre fattispecie di espropriazione che, volte tutte ad assicurare l´interesse pubblico alla salvaguardia del pa-trimonio culturale, si distinguono per l´articolazione di tale interesse secondo fini specifici, idonei, in ciascuna delle fattispecie, a legittimare il sacrificio della proprietà priva-ta.L´ablazione della proprietà è, infatti, consen-tita, con l´art. 95 ("Espropriazione di beni cul-turali", di beni "immobili e mobili"), se sussiste "un importante interesse" al fine di "migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi" (comma 1), con l´art. 96 ("Espropriazione per fini strumenta-li"), se l´esproprio di "edifici ed aree" è neces-sario per "isolare o restaurare beni culturali immobili" per "assicurarne la luce o la prospet-tiva, garantirne o accrescere il decoro o il go-dimento da parte del pubblico, facilitarne l´accesso", con l´art. 97 ("Espropriazione per interesse archeologico", di "immobili"), "al fine di eseguire interventi di interesse archeologico o ricerche per il ritrovamento delle cose indica-te nell´articolo 10" (e perciò di rinvenire anche

reperti non archeologici).Le specificità della fattispecie dell´art. 95 sono dunque le seguenti: oggetto dell´esproprio è un bene già qualificato come bene culturale, che può anche essere un bene mobile; scopo primario dell´espropria-zione è anzitutto l´acquisizione del bene, per la sua migliore fruizione, e non la realizzazione di un´opera con effetto di trasformazione del terri-torio (co. 1); il Ministero ha la facoltà di auto-rizzare gli enti locali, su loro richiesta, ad effet-tuare l´espropriazione, ferma la dichiarazione di pubblica utilità da parte del Ministero stesso (co. 2).Nelle due altre fattispecie: il bene da e-spropriare non è di per sé tale ma è in rapporto con un bene culturale (in atto ai sensi dell´art. 96, ovvero in via potenziale ai sensi dell´art. 97) ed è sempre un bene immobile; lo scopo primario è quello di eseguire un´opera o un in-tervento con trasformazione dell´area; il pro-cedimento non prevede fasi in capo ad enti ter-ritoriali non regionali.A tali specificità della fattispecie dell´art. 95 si correla la specialità del relativo procedimento di espropriazione ri-spetto a quello disciplinato in via generale dal d.P.R. n. 327 del 2001, relativo alla espropria-zione di immobili, o diritti relativi, per l´esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, come risulta confermato dall´art. 100 del Codice, che riferisce l´applicazione delle "disposizioni generali in materia di espropria-zione per pubblica utilità", in quanto compati-bili, ai "casi di espropriazione disciplinati dagli articoli 96 e 97", non citando l´art. 95, e dall´art. 52 del d.P.R. n. 327 del 2001, che, in riferimento ai pertinenti articoli del Testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali vigente all´epoca, dispone che "Nei casi di e-spropriazione per fini strumentali e per interes-se archeologico, previsti dagli art. 92, 93 e 94 del testo unico approvato con il d. lgs. 29.10.1999, n. 490, si applicano in quanto compatibili le disposizioni del presente testo unico", non venendo anche qui citata la corri-spondente disposizione sulla espropriazione dei beni culturali (art. 91). Consiglio di Stato Sez. IV 2.12.2014, n. 5957 Opere pubbliche - impugnazione accordo di Programma o patti territoriali - ricorso - notificato - a tutte le amministrazioni firmatarie - a pena di inammissibilità.

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Gazzetta Amministrativa -102- Numero 1 - 2015

In caso di impugnazione di un accordo di pro-gramma avente a oggetto la realizzazione di un’opera pubblica, il ricorso va notificato, a pena di inammissibilità, a tutte le amministra-zioni firmatarie dell’accordo, dovendo conside-rarsi amministrazioni emananti tutte quelle che all’accordo stesso hanno partecipato (cfr. CdS, IV, 26.3.2010, nr. 1774; id., 22.5.2008, nr. 2469). Tale principio risulta pacificamente estensibile anche ai Patti Territoriali, come quello per cui

qui è causa, i quali a norma dell’art. 2, co. 203, lett. d), della l. 23.12.1996, nr. 662, costitui-scono una species del più ampio genus degli accordi di programmazione negoziata, nel qua-le rientrano anche gli accordi di programma, la cui disciplina procedimentale peraltro condivi-dono sulla scorta della delibera del C.I.P.E. del 10.5.1995 (con riferimento, in particolare, all’impiego del modulo della Conferenza dei servizi di cui all’art. 14 della l. n. 241 del 1990).

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Applicabilità di misure di salvaguardia di as-setto idrogeologico in mancanza di approva-zione di una generale attività di pianificazio-ne. Parere 24/02/2015-93026, AL 40843/14, Avv. Alessandro de Stefano. RISPOSTA 1. Con la nota in riferimento codesta Ammi-nistrazione chiede il parere di questa Avvoca-tura sulla legittimità del provvedimento adot-tato dal Comitato Istituzionale dell’Autorità di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Voltur-no nella seduta del 3 luglio 2014, con il quale sono state approvate misure di salvaguardia per le aree individuate a più elevata pericolo-sità e rischio idraulico (non ancora perime-trate nei Piani di Assetto Idrogeologico vi-genti e non ancora soggette ad alcuna speci-fica regolamentazione), ai sensi dell’art. 65, co. 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, che riprodu-ce l’art. 17, co. 6 bis, della l. n. 183 del 1989. 2. A tal proposito, codesta Amministrazione osserva che le misure di salvaguardia rap-presentano misure di carattere provvisorio “da osservare in difetto della approvazione di una specifica disposizione di piano, allo scopo di consentire che gli effetti di quest’ultimo possano essere garantiti fino al momento in cui il provvedimento potrà espli-care in pieno la sua efficacia”, e che “in ma-teria di territorio e di acque, le misure di sal-vaguardia si caratterizzano per l’estrema ge-nericità del loro oggetto e per il fatto di non essere necessariamente collegate alla previa adozione di un piano di bacino, o di un suo stralcio”. 3. Tuttavia, codesta Amministra-

zione rileva che alcune recenti pronunce giu-risprudenziali hanno escluso che il potere di adottare misure di salvaguardia possa essere esercitato indipendentemente dall’avvenuta adozione del piano da parte dell’organo deli-berante, e che con recente nota del 20.8.2014, n. 345203, diretta all’Autorità di bacino del fiume Tevere, questa Avvocatura ha sostenuto che non sia opportuno adottare misure di tal genere in pendenza dell’espletamento della procedura di valuta-zione ambientale strategica; chiede quindi un definitivo parere sulla potestà delle Autorità di Bacino di adottare simili misure e sulle i-niziative da adottare a seguito della citata de-liberazione del Comitato Istituzionale dell’Autorità di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno. 4. Questa Avvocatura osserva che le misure di salvaguardia sono previste da varie norme di natura urbanistica ed ambientale (cfr., tra le altre, art. 3, l. n. 765 del 1967, in materia urbanistica; art. 6 della l. n. 394 del 1991, relativo alla tutela delle aree protette; art. 17, co. 6 bis, della l. n. 183 del 1989 ed art. 65, co. 7, della l. n. 152 del 2006, in tema di acque pubbliche) come strumenti di natura transitoria e con finalità cautelari, prive di carattere conformativo, dirette ad evitare che i previsti effetti di un’attività di pianificazione in corso di svolgimento possano essere vani-ficati mediante interventi che contrastino con i suoi obiettivi e che siano favoriti (o non im-pediti) dalla persistente mancanza di divieti e vincoli. 5. Tenuto conto della strumentalità delle mi-sure di salvaguardia rispetto ai definitivi ef-

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Gazzetta Amministrativa -104- Numero 1 - 2015

fetti che potranno derivare dalla imposizione di vincoli conformativi del territorio, la giuri-sprudenza della S. Corte ha costantemente affermato che la loro adozione è consentita solo quando sia stata già compiuta e resa no-ta un’attività di pianificazione, che sia tutta-via ancora in corso di approvazione. 6. In materia urbanistica si è affermato che “le misure di salvaguardia… non hanno na-tura conformativa, trattandosi di misure tran-sitorie con finalità meramente cautelari e di salvaguardia… [e si riferiscono] a PRG a-dottato ma non ancora approvato” (Cass., 17.12.2003, n. 19314. In senso conforme: Cass., 26.5.2004, n. 10126). Analogamente, si è precisato che le predette misure hanno lo scopo di “impedire che… con l’emissione di provvedimenti incompatibili con il piano in fase di approvazione, possa esserne pregiudi-cata la concreta attuazione” (Cass., n. 17681 del 2010); con la conseguenza che, qualora manchi l’adozione di un piano regolatore, “non possono essere adottate le misure di salvaguardia, in quanto non si ha una situa-zione di pendenza della fase di approvazio-ne” (Cass., n. 6171 del 2007). 7. Analoghi principi sono stati costantemente affermati con specifico riferimento alle misu-re di salvaguardia adottate a protezione del territorio dal rischio idrogeologico. Secondo la sentenza resa dalle SS.UU. della Corte di Cassazione il 16.3.2004 con il n. 5318, “Le misure di salvaguardia di competenza dell'Autorità di bacino, ai sensi dell'art. 17, comma sesto - bis, l. n. 183 del 1989, confi-gurano un'anticipazione dell'operatività di determinazioni già prese e di contenuto noto o conoscibile e sono rivolte ad evitare che i tempi occorrenti per il completamento dell'i-ter procedimentale, a sua volta necessario per l'efficacia di quelle determinazioni, pos-sano vanificare gli obbiettivi perseguiti, con-sentendo (o addirittura stimolando) compor-tamenti divergenti dal tenore dell'atto in cor-so di approvazione. Esse, pertanto, presup-pongono l'adozione di un piano di bacino in attesa di approvazione che, ove mancasse, porrebbe di fronte ad un'anomala ed inam-missibile funzione di supplenza indirizzate ad ovviare all'inerzia degli organi competenti nel promuovere e concludere le fasi procedi-mentali della sua predisposizione e adozio-

ne”. 8. In senso analogo si è affermato che: “In tema di acque pubbliche, il potere dell'Auto-rità di bacino di prendere misure di salva-guardia, ai sensi dell'art. 17, co. 6 bis, della l. 18.5.1989, n. 183, presuppone l'adozione di un piano di bacino in attesa di approvazione e, pertanto, quando tale piano non sia stato ancora adottato, esso di-fetta del tutto. La salvaguardia, difatti, ri-guarda le scelte effettuate con il piano di ba-cino, non le finalità a tutela delle quali il pia-no medesimo deve essere predisposto ed a-dottato, per cui essa trova i suoi limiti - gene-tici, funzionali e cronologici - nell'alveo pro-gettuale cui deve raccordarsi. Diversamente, si attribuirebbe all'Autorità di bacino un'a-nomala funzione di supplenza, per ovviare all'inerzia degli organicompetenti nel pro-muovere e concludere le fasi procedimentali della predisposizione e dell'adozione del pia-no, e si eluderebbero modalità indispensabili per la coordinata difesa di tutti gli interessi coinvolti, pubblici e privati” (Cass., 23.5.2006, n. 12084). 9. La stretta connessione ed il rapporto di strumentalità tra le misure di salvaguardia ed il piano di bacino si evincono d’altronde dal criterio sistematico di interpretazione. Sia l’art. 17, co. 6 bis, della l. n. 183 del 1989, sia l’art. 65, co. 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 (nel quale la norma originaria è stata trasfu-sa), collocano la disciplina delle misure di salvaguardia all’interno di quella riguardan-te la formazione dei piani di bacino, così evi-denziando l’intima relazione tra i due istituti. 10. Per queste ragioni, si deve escludere la possibilità di adottare misure di salvaguardia - come sembra avvenuto nel caso dell’Autorità di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno qui segnalato - in fun-zione meramente anticipatoria di un’attività di pianificazione non ancora avviata ed allo scopo di supplire alla mancanza di una ade-guata regolamentazione del territorio. Né sembra possibile sostenere che l’adozione di simili misure possa essere legittimata dalla sola individuazione delle 4 classi di rischio di cui al d.P.C.M. del 29.9.1998. Infatti, sebbene le mappe di rischio costitui-scano lo strumento principale per orientare gli obiettivi del piano di gestione del rischio

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Gazzetta Amministrativa -105- Numero 1 - 2015

alluvioni, non si può affermare che la loro approvazione equivalga all’elaborazione di un piano, del quale devono essere ancora precisati e pubblicizzati i contenuti ed al qua-le i provvedimenti di salvaguardia devono fa-re necessarioriferimento in funzione anticipa-toria. 11. Occorre a tal punto identificare il mo-mento in cui il piano può ritenersi “adottato”, secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza della S. Corte, ed in cui si possano ritenere integrate le condizioni per applicare le opportune “misure di salvaguar-dia”, allo scopo di conservare lo “status quo ante” e di evitare irreversibili e pregiudizie-voli trasformazioni del territorio, capaci di compromettere gli obiettivi dell’intervento nelle more della sua definitiva approvazione. A tal fine, appare necessario considerare l’attuale disciplina del procedimento finaliz-zato all’approvazione dei piani di bacino, approfondendo e rimeditando le indicazioni (di carattere prevalentemente operativo) che sono state fornite all’Autorità del fiume Teve-re con la consultazione precedentemente ri-chiamata. 12. Questa analisi si rivela alquanto com-plessa e disagevole, per la difficoltà di rico-struire le fasi del procedimento secondo l’attuale Codice dell’Ambiente. Nell’ambito dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, si ravvisa infatti un concorso di norme apparentemente concorrenti o contrastanti tra loro, che oc-corre perciò armonizzare tra loro attraverso la attenta ricostruzione dell’evoluzione nor-mativa e previa verifica della loro effettiva vigenza. 13. Occorre considerare che le disposizioni sull’approvazione dei Piani di bacino sono contenute nella Terza Parte, Titolo II, Capo II, del citato Codice dell’Ambiente (artt. 65 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006), e recepiscono le norme già contenute nel Titolo II, Capo II, della citata legge n. 183 del 1989. In sintesi, esse affidano all’Autorità di bacino il compi-to di redigere il piano (art. 65, co. 2) e di a-dottare le correlate misure di salvaguardia (art. 65, co. 7), sulla base degli indirizzi, dei metodi e dei criteri fissati dalla Conferenza Istituzionale permanente (art. 65, co. 3) e con la partecipazione dei tutti i soggetti interessa-ti (art. 66, comma 7). A conclusione

dell’istruttoria, il piano deve essere “adotta-to” dalla Conferenza Istituzionale permanen-te (art. 66, comma 2), ed “approvato” con d.p.c.m. (art. 66, comma 6). 14. L’art. 66, comma 1, del d.lgs. in esame, prevede che nell’ambito di questo procedi-mento si inserisce, prima dell’approvazione, la valutazione ambientale strategica statale (V.A.S.). Inizialmente, questa disposizione si coordinava coerentemente con quelle dell’originario testo della Seconda Parte del Codice, che configurava la V.A.S. statale co-me un sub-procedimento, di competenza del Ministero dell’Ambiente, che si inseriva tra la fase dell’adozione e quella dell’approvazione del piano e si esauriva nella formulazione di un parere in merito al piano, già debitamente redatto ed adottato (o comunque proposto) dall’Autorità di bacino nelle forme che si so-no brevemente delineate al punto precedente (cfr. artt. 15 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo originario). 15. L’ originario testo degli artt. 65 del d.lgs. n. 152 del 2006 è rimasto sostanzialmente i-nalterato; il Titolo II della Seconda Parte del Codice (che contiene, tra l’altro, la disciplina della V.A.S.) è stato invece interamente sosti-tuito dall’art. 1, co. 3, del d.lgs. 16.1.2008, n. 4. 16. La novella legislativa ha profondamente modificato la struttura e la funzione della V.A.S.: mentre in precedenza essa costituiva un sub-procedimento “integrato nelle proce-dure ordinarie in vigore per l’adozione ed approvazione dei piani”, e perciò finalizzato alla verifica ambientale di un piano già com-piutamente redatto e proposto o adottato dall’Amministrazione competente, dopo la ri-forma essa si è trasformata nella sede privi-legiata per la redazione del piano, attraverso la partecipazione ed il confronto tra tutti i soggetti interessati e la valutazione integrata di tutti gli elementi che devono essere presi in considerazione per assicurare la tutela am-bientale ed uno sviluppo sostenibile. 17. Nel nuovo contesto, le norme della Parte Terza, Titolo II, Capo II, del Codice dell’Ambiente, recanti la disciplina del pro-cedimento di approvazione del piano di baci-no, pur essendo rimaste formalmente invaria-te, hanno subito una inevitabile ed implicita modificazione. Infatti, esse devono essere og-

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gi interpretate in correlazione non più alla vecchia V.A.S., alla quale fanno sostanziale riferimento, ma in combinazione con la nuova V.A.S., che - come detto - disciplina in modo totalmente diverso le modalità di formazione del piano. Mentre la vecchia V.A.S. era “integrata nelle procedure ordinarie”, la nuova V.A.S. “costi-tuisce … parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione” del piano o pro-gramma (art. 11, u.c., d.lgs. cit., nel testo at-tuale). Da ciò consegue che le norme contenute negli artt. 65 e ss. del Codice devono ritenersi im-plicitamente modificate o abrogate, allorché si pongano in contrasto con le disposizioni del Titolo II della Seconda Parte, così come sostituito dall’art. 1, co. 3, del d.lgs. 16.1.2008, n. 4. 18. Ciò premesso in via generale, si osserva che nel contesto normativo istituito dalla ri-forma del 2008, l’art. 66, comma 1, del Codi-ce, che sottopone a valutazione ambientale strategica (V.A.S.) i piani di bacino, deve es-sere correlato con l’attuale testo dell’art. 6, co. 2, lett. a, dello stesso Codice, secondo cui sono sottoposti a tale valutazione “i piani e i programmi… che sono elaborati per la valu-tazione e gestione… delle acque”, allo scopo di “garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto dell'elabo-razione, dell'adozione e approvazione di detti piani e programmi assicurando che siano co-erenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile” (art. 4, co. 4, lett. a, d.lgs. n. 152 del 2006). 19. La V.A.S. è avviata dall’autorità proce-dente “contestualmente al processo di forma-zione del piano o programma” (art. 11, comma 1, d.lgs. cit.), “sulla base di un rap-porto preliminare sui possibili impatti am-bientali significativi dell'attuazione del piano o programma” (art. 13, co. 1, d.lgs. cit.). Come si è già rilevato, essa “costituisce … parte integrante del procedimento di adozio-ne ed approvazione” del piano (art. 11, u.c., d.lgs. cit.); essa “comprende… l’elaborazio-ne del rapporto ambientale” (art. 11, comma 1, lett. b, cit.), in base ad una attività di col-laborazione tra l’autorità procedente e quella competente ad esprimere la valutazione am-

bientale strategica (art. 11, comma 2, lett. b, d.lgs. cit.), secondo le disposizioni contenute nel predetto art. 13. 20. L’elaborazione del rapporto ambientale conduce alla formulazione di una “proposta di piano o di programma”, che “è comunica-ta… all'autorità competente” e che, per quanto prescritto dall’art. 14, commi 2 e 3, del d.lgs. in esame, è messa a disposizione, unitamente al rapporto ambientale, “dei sog-getti competenti in materia ambientale e del pubblico interessato affinché questi abbiano l'opportunità di esprimersi” (art. 13, comma 5, d.lgs. cit.). 21. Ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo vigente, “conte-stualmente alla comunicazione di cui all'art. 13, co. 5,l'autorità procedente cura la pubbli-cazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana o nel Bollettino Uf-ficiale della regione o provincia autonoma interessata”, contenente “il titolo della pro-posta di piano o di programma, il proponen-te, l'autorità procedente, l'indicazione delle sedi ove può essere presa visione del piano o programma e del rapporto ambientale e delle sedi dove si può consultare la sintesi non tec-nica”. Dalla data di pubblicazione di tale av-viso “decorrono i tempi dell'esame istruttorio e della valutazione” (art. 13, co. 5, cit.). Il rapporto ambientale “costituisce parte inte-grante del piano o del programma e ne ac-compagna l'intero processo di elaborazione ed approvazione” (art. 13, co. 3, d.lgs. cit.). 22. Alla redazione del piano ambientale se-gue la fase di valutazione, che si svolge “an-teriormente all'approvazione del piano o del programma… e comunque durante la fase di predisposizione dello stesso”, al fine di “ga-rantire che gli impatti significativi sull'am-biente derivanti dall'attuazione di detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione” (art. 11, co. 3, d.lgs. cit.). La valutazione viene espressa, a seguito di consultazioni aperte alla partecipazione di tutti i soggetti interessati (art. 14 del d.lgs. in esame) e di apposite “attività tecnico-istruttorie”, attraverso un “parere motivato” dell’autorità competente (art. 15, co. 1, d.lgs. cit.), che costituisce “un provvedimento ob-bligatorio e vincolante che sostituisce o co-

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Gazzetta Amministrativa -107- Numero 1 - 2015

ordina, tutte le autorizzazioni, le intese, le concessioni, le licenze, i pareri, i nulla osta e gli assensi comunque denominati in materia ambientale e di patrimonio culturale” (art. 5, co. 1, lett. o, del d.lgs. in esame). Sulla base di tale parere e tenuto conto dell’esito delle consultazioni, “l'autorità procedente, in col-laborazione con l'autorità competente, prov-vede, prima della presentazione del piano o programma per l'approvazione …, alle op-portune revisioni del piano o programma” (art. 15, co. 2, d.lgs. cit.). 23. Ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. in esame, il piano o programma così elaborato è trasmes-so infine “all’organo competente alla ado-zione o approvazione”, unitamente al rappor-to ambientale ed al parere motivato ed alla documentazione acquisita nell'ambito della consultazione. 24. Dall’analisi normativa che precede si e-vince che la formazione del piano costituisce il frutto di un complesso iter procedurale, che è avviato contestualmente al procedimento V.A.S., si sviluppa all’interno di essa e si ar-ticola nelle seguenti fasi: • Redazione del “rapporto preliminare” da parte dell’Autorità procedente; • Elaborazione del “rapporto ambientale” (che costituisce parte integrante del piano e ne accompagna l'intero processo di elaborazione ed approvazione), attraverso un’attività di collaborazione tra l’autorità procedente e quella competente per la V.A.S.; • Elaborazione di una “proposta di piano”, da mettere a disposizione di tutti i soggetti in-teressati alla partecipazione al procedimento di V.A.S.; • “Elaborazione” o “predisposizione” del piano, che è contestuale allo svolgimento del-la attività di valutazione che si realizza attra-verso opportune consultazioni, sulla base del-le necessarie indagini tecniche e di appositi atti istruttori; • Formulazione di un “parere motivato” da parte della autorità competente ad esprimere la V.A.S.; • Revisione del piano; • “Adozione” o “approvazione” del piano da parte dell’Autorità procedente. 25. Nell’ambito di questo nuovo procedimen-to, occorre dunque identificare il momento in cui è possibile adottare le misure di salva-

guardia, nel rispetto dei principi enunciati dalla giurisprudenza della S. Corte di Cassa-zione. 26. Ad avviso di questa Avvocatura, questo momento si identifica con quello in cui sia stata formulata la “proposta di piano” da sottoporre a consultazione. Infatti, questo documento (a differenza di quelli redatti nelle fasi antecedenti) appare in grado di soddisfare i requisiti sostanziali in-dividuati dalle SS.UU. della Cassazione con la sentenza n. 5318 del 2004 e ribaditi dalla S. Corte con la sentenza n. 12084 del 2006 e con le altre analoghe. Si tratta infatti di un documento sufficientemente preciso e detta-gliato, che è idoneo ad individuare gli obiet-tivi prefissati, risponde a criteri di pubblicità e di trasparenza, e fornisce una base suffi-cientemente affidabile per la elaborazione del progetto definitivo. Per tali ragioni, esso rappresenta un valido parametro per definire le misure che sono richieste in funzione pre-ventiva e transitoria, secondo i citati indirizzi della giurisprudenza di legittimità. 27. Non appare ostativa la circostanza che gli obiettivi prefissati potrebbero essere mo-dificati nella fase di elaborazione o di revi-sione del piano, perché questa possibilità rappresenta un fatto naturale per qualsiasi piano che sia stato già predisposto, ma non abbia ancora ricevuto la sua approvazione definitiva. La circostanza che il piano proposto sia su-scettibile di rielaborazione nell’ambito delle consultazioni, può comportare piuttosto che le misure di salvaguardia adottate inizial-mente possono essere progressivamente mo-dificate ed opportunamente adattate nel corso del procedimento in modo da armonizzarsi con gli sviluppi dell’attività di pianificazione, sempre nel rispetto del termine triennale di efficacia stabilito dall’art. 65, comma 7, d.lgs. n. 152 del 2006. 28. Con riferimento al caso specifico, si ritie-ne che non si possa ritenere legittimo il prov-vedimento adottato dal Comitato istituzionale dell’Autorità di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno nella seduta del 3.7.2014, in mancanza di qualunque strumen-to urbanistico e sulla sola base delle mappe della pericolosità e del rischio alluvioni già approvate ai sensi della dir. 2007/60/CE e

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del d.lgs. n. 49 del 2010. In via di astratto di-ritto, infatti, la citata delibera non avrebbe potuto essere adottata prima dell’avvio del procedimento finalizzato all’approvazione del piano di gestione del rischio alluvioni previ-sto dall’art. 4, co. 1, del d.lgs. n. 219 del 2010, nonché della formazione e della pub-blicazione di una proposta di piano nell’ambito della procedura V.A.S. da attiva-re contestualmente. 29. Occorre tuttavia considerare che non si ravvisano le condizioni per ricorrere all’annullamento d’ufficio del provvedimento adottato, ai sensi dell’art. 21 novies della l. 7.8.1990, e s .m.i., per insussistenza di ragio-ni di interesse pubblico che possano giustifi-care una simile determinazione. Viceversa, un eventuale provvedimento di autotutela contrasterebbe con tale interesse, perché pri-verebbe di tutela le zone individuate a rischio e favorirebbe inopportuni interventi che po-trebbero compromettere le esigenze di sicu-rezza. 30. Ancor più decisamente, si ritiene che l’originario vizio del provvedimento potrebbe aver perduto rilevanza perché - come emerge dal sito dell’Autorità di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno e come è stato confer-mato in un recente incontro che si è svolto

presso questa Avvocatura sulle tematiche in discussione - la predetta Autorità ha dato av-vio nel contempo alla procedura di V.A.S. In tale ambito, sarebbero stati già redatti il rap-porto ambientale e la proposta di Piano. 31. Qualora da un’apposita istruttoria che l’Autorità vorrà incidentalmente svolgere do-vesse emergere che le misure di salvaguardia adottate sono coerenti con l’attività di piani-ficazione così avviata, si sarebbero realizzate le condizioni per la sanatoria di ogni eventu-ale illegittimità della citata delibera del 3.7.2014. Secondo i principi generali del di-ritto amministrativo, infatti, si verifica la sa-natoria quando un presupposto di legittimità del procedimento, mancante al momento dell'emanazione dell’atto, viene emesso suc-cessivamente in modo da perfezionare ex post il procedimento di formazione del provvedi-mento illegittimo. In tali condizioni, dunque, il provvedimento di adozione delle misure di salvaguardia potrà conservare validità ed ef-ficacia fino all’approvazione definitiva del piano, e comunque per un periodo non supe-riore ai tre anni dalla data di emissione. 32. Il presente parere è stato reso previa au-dizione del Comitato Consultivo di questa Avvocatura, che si è espresso in conformità nella seduta del 6.2.2015.

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UNIONE EUROPEA E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2011/99/UE DEL PARLAMENTO EURO-PEO E DEL CONSIGLIO, DEL 13.12.2011 SULL'ORDINE DI PROTE-ZIONE EUROPEO Art. 1. Disposizioni di principio e attuazione. 1. Il presente decreto attua nell'ordina-mento interno le disposizioni della direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13.12.2011, relativa al reci-proco riconoscimento degli effetti di misure di protezione adottate da autorità giuri-sdizionali degli Stati membri, nei limiti in cui tali disposizioni non sono incompatibi-li con i principi supremi dell'ordinamen-to costituzionale in tema di diritti fonda-mentali, nonche' in tema di diritti di libertà e di giusto processo. Art. 2. Definizioni. 1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) direttiva: la direttiva 2011/99/UE del Par-lamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, sull'ordine di protezione europeo; b) misura di protezione: una decisione adot-tata in materia penale da un organo giurisdi-zionale o da altra diversa autoritàcompeten-te, che si caratterizzi per autonomia, impar-zialità e indipendenza, di uno Stato membro dell'Unione europea con la quale vengono applicati divieti o restrizioni finalizzati a tute-lare la vita, l'integrità fisica o psichica, la dignita', la liberta' personale o l'integrita' sessuale della persona protetta contro atti di rilevanza penale;

c) ordine di protezione europeo: una de-cisione adottata dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro con la quale, al fine di continuare a tutelare la persona protetta, viene disposto che gli effetti della misura di protezione si estendano al territorio di al-tro Stato membro in cui la persona protetta risieda o soggiorni o dichiari di voler risie-dere o soggiornare; d) persona protetta: la persona fisica oggetto della protezione derivante dalla misura di protezione adottata dallo Stato di emissio-ne; e) persona che determina il pericolo: la persona nei cui confronti sono state emesse le prescrizioni conseguenti all'adozione di una misura di protezione; f) stato di emissione: lo Stato membro al cui interno è stata adottata la misura di prote-zione in riferimento alla quale viene chie-sta l'adozione di un ordine di protezione eu-ropeo; g) stato di esecuzione: lo Stato membro al quale è stato trasmesso, ai fini del ricono-scimento, un ordine di protezione europeo. Art. 3 Autorità competenti. 1. In relazione alle disposizioni degli arti-coli 3 e 4 della direttiva, autorita' compe-tenti, secondo le rispettive attribuzioni defi-nite dal presente decreto, sono il Ministero della giustizia e le autorita' giudiziarie. 2. Il Ministero della giustizia provvede alla trasmissione e alla ricezione delle misure di protezione e degli ordini di protezione eu-ropei, nonche' della corrispondenza ad essi relativa.

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3. Nei limiti indicati dal presente decreto, è consentita la corrispondenza diretta tra au-torità giudiziarie. In tale caso, l'autorita' giudiziaria italiana

informa immediatamente il Ministero della giustizia della trasmissione o della ricezione di un ordine di protezione.

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REDAZIONALI

STUDENTI E UNIVERSITÀ. L’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO RISOLVE IL CONFLITTO DI GIURISPRUDENZA SUI PRESUPPOSTI PER IL TRA-SFERIMENTO DEGLI STUDENTI DA UNA UNIVERSITÀ EUROPEA AD UNA UNIVERSITÀ ITALIANA. IL DIRITTO DI STUDIARE IN EUROPA dell’Avv. Francesca Cosentino

Il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria disconosce il potere degli Atenei Italiani di sottoporre gli studenti, che chiedano il trasferimento in corso di studi, al test d’accesso previsto per l’iscrizione al primo anno. Afferma con forza, però, il diritto-dovere dell’Ateneo di accertare la formazione maturata dagli studenti in altra Università di provenienza, mediante l’adozione di i-donei dettami (esami e/o valutazione dei crediti), distanti da un test di cultura generale e finaliz-zato a valutare la "predisposizione" per le discipline oggetto dei corsi. Ristabilisce, in sintesi, la giusta relazione tra il 'pronostico' sulla predisposizione alla disciplina (per lo studente del primo anno) e la preparazione 'acquisita' (per lo studente di anni successivi), tutelando al contempo con tale unica scelta sia i principi primari della libertà di circolare e di soggiornare in Europa, del diritto allo studio e del diritto alla non discriminazione, sia l’interesse generale a ché siano raggiunti alti standards qualitativi di formazione professionale. The State Council Plenary Conference disavows the power of the Italian universities to subject the students, who ask for transfer during the course of studies, to entry test for enrollment in the first year. Emphatically it states, however, the right and duty of the University to ascertain the training gained by students in another university of origin, through the adoption of suitable criteria (exams and/or measurement of receivables), distant from a general knowledge test and limited to assess-ing the "predisposition" for the disciplines covered by the courses. Restores, in short, the right relationship between the 'prediction' on the predisposition to the dis-cipline (for the student to first year) and the preparation 'acquired' (for the student to rear years), protecting at the same time with, this only choice both the principles fundamental the freedom to move and reside in Europe, the right to education and right to non-discrimination, both the public interest to reach high standards of professional training. Sommario:1. Il principio. 2. La posizione della giurisprudenza amministrativa. Brevissima rasse-gna. 3. La giurisprudenza comunitaria sul diritto di studiare in Europa e la sua eco sulla mobilità in corso di studi universitari. 4. Cenni sull’orientamento della dottrina Italiana. 5. La sentenza del Consiglio di Stato, in Adunanza Plenaria, del 28.1.2015, n.1. 6.Conlusioni.

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1.Il principio. L’illustre Collegio sottopone al suo vaglio il diniego alla richiesta, avanzata da due stu-denti italiani provenienti dall’università di medicina e chirurgia di Timisoara (Romania), di trasferimento all’università di Messina con iscrizione al II anno di studi. E la motivazione in esso espressa dalla locale università: <pro-venendo da Università straniere,(gli studenti) non hanno superato in Italia l’esame di am-missione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, requisito essenziale previsto dal Manifesto degli studi>. Conclude che, privo di valore precettivo il Manifesto degli Studi, è da escludersi che la possibilità di transitare ad una Facoltà Italiana "possa, sulla base, della vigente normativa nazionale ed europea, essere condizionata all’obbligo del test di ingresso previsto per il primo anno, che non può essere assunto come parametro di riferimento per l’attuazione del 'trasferimento' in corso di studi, salvo il pote-re/dovere dell’Università di concreta valuta-zione, sulla base dei parametri (…) indicati -in sentenza-, del 'periodo' di formazione svol-to all’estero e salvo altresì il rispetto ineludi-bile del numero di posti disponibili per tra-sferimento,così come fissato dall’Università stessa per ogni anno accademico in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso." Ne deriva che, l’unico parametro debba es-sere la "preparazione universitaria" del ri-chiedente, subordinatamente alla sussistenza di posti disponibili e che esso debba applicar-si non solo ai trasferimenti in corso di studio da una università europea a quella italiana, ma pure ai trasferimenti universitari interni alla nazione. Il caso non rappresenta una novità per gli esperti di diritto nella materia, sia per i magi-strati amministrativi, più volte investiti della querelle sul carattere pleonastico o meno del test d’ingresso in sede di mobilità,sia per i le-gislatori nazionali e europei che per la dottri- na, chiamati a meditare su quello che in sinte-si definisco (con espressione a me gradita) come < il diritto di studiare in Europa>. E'opportuno, dunque, far precedere all'ap-profondimento sulla sentenza un quadro pa-noramico, senza alcuna pretesa di esaustività,

sull’orientamento dei vari operatori di diritto, che evidenzi i principi basilari maggiormente coinvolti nella delicata questione. 2.La posizione della giurisprudenza amministrativa. Brevissima rassegna. Nella giurisprudenza di merito e tra il giu-dice di primo grado e quello di secondo grado esiste una forte dicotomia o divergenza di o-pinioni nell’individuazione di un approccio al tema, corretto, teso a non pregiudicare le va-rie implicazioni dello stesso ed, anzi, a valo-rizzare i fondamentali diritti dell’uomo e del cittadino europeo. Il Consiglio di Stato ha più volte ribadito (di recente, VI,10.4.2014 n.1722; VI, 22.4. 2014, n. 2028 e 30.5. 2014, n. 2829) che gli studenti di università estere, che non superino la prova selettiva di primo accesso, possano esser esclusi legittimamente da un qualsiasi anno di corso, altrimenti verrebbe elusa con corsi di studio avviati all'estero la normativa nazionale. Ciò in ragione del fatto che l’art.1, co. 1 e 4, l. 2.8.1999, n. 264,in rapporto alle previsioni del d.m. 22.10.2004, n. 270, recan-te il regolamento sull'autonomia didattica de-gli atenei, non farebbe distinzioni fra il primo anno di corso e gli anni successivi e, dunque, richiederebbe il previo supera-mento del test sia per l’immatricolazione al primo anno ac-cademico, sia per l’iscrizione ad anni succes-sivi in conseguenza del trasferimento.1 I Tribunali amministrativi regionali hanno se-guito vari orientamenti: - alcuni2 hanno condiviso il principio e-spresso dal Consiglio di Stato, negando la possibilità di bypassare, per il trasferimento in corso di studi agli anni successivi al primo, la prova preselettiva; - altri3 hanno sostenuto, con argomenta-zioni alquanto affini, il principio opposto, id

1 cfr. in tal senso anche CdS, VI, 15.10.2013, n. 5015; CdS, VI, 24.5.2013, n. 2866, CdS, VI, 6.8.2013, n.4124, CdS, VI, 10.4.2012, n. 2063 2 cfr. in tal senso, TAR Calabria, Cz, II, 4.9. 2012 n. 906; TAR Sicilia, Ct, III, 22.11 .2012 n. 2665;TAR Sicilia Pa, II, 13.1.2005, n. 13, TAR Umbria, I, 28.10.2011, n. 336 3 cfr. TAR Abruzzo, Aq, I, 22.12.2010, nn. 859 e 862; TAR Abruzzo, Aq, I, 29.9.2011, n. 462; TAR Abruzzo, Aq, I, 28.11. 2011, n. 570; nonché, in sede cautelare, TAR Sicilia, Ct, 3.6.2010, n. 681; TAR

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Gazzetta Amministrativa -113- Numero 1 - 2015

est che la mobilità dall’università estera non debba essere condizionata al previo supera-mento del test d’accesso previsto in Italia per l’iscrizione al primo anno. Al riguardo, il TAR Abruzzo (nn.859/10, 862/10,462/11) ha addotto che la prova selet- tiva ulteriore non è normativamente prevista e che l'interpretazione contraria lederebbe l'api- cale principio di libertà di circolazione e sog-giorno nel territorio degli Stati comunitari. Rileva,inoltre,che obbligare ad apposite pro- ve di cultura generale,sulla base dei program-mi della scuola secondaria superiore,gli stu-denti che hanno concluso il primo anno e ve-rificarne la "predisposizione per le discipline oggetto dei corsi",ex art.4,l.2.8.1999,n.264, rappresenta una incongruenza logica. Non giustificabile "per il solo sospetto di temute furbizie di sorta da parte di studenti che mi-grano "quanto basta" in Atenei stranieri" (n. 570/2011). I TAR Catania, Campania e Calabria (no-ta 3) hanno ribadito l’assenza di una norma che preveda l’obbligo del test d’accesso o che vieti la mobilità in assenza del test. Il Colle-gio sardo ha avvalorato l’inapplicabilità (e comunque la natura recessiva) del principio di programmazione ministeriale-universitaria nel numero degli "accessi" (al primo anno) all’Università, anche in considerazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 23 ottobre 2007 n. 12 (v. oltre). Altri4 hanno seguito un orientamento per c.d. 'ibrido' o complesso, facente perno sul presupposto che ciascuna facoltà goda di au-tonomia in tema di mobilità di studenti uni-versitari da un Ateneo straniero ad uno nazio-nale, stante l’assenza di disciplina nell’art. 4, l. n.264/99 in ordine a tale ipotesi.55

Campania, Na, IV, 18.3.2010, n. 613; TAR Sardegna, 8.2.2012 n. 59; TAR Calabria, Cz, 26.1.2012 n. 55; Tar Toscana, I, 21.12.2011, n. 1251 4 cfr. TAR Sicilia Ct,, III 19.12.2013 n. 3081; TAR Sicilia, Ct, III,21.12.2012, n.3037; TAR Sicilia, Ct, III, 23.11.2012, n. 1098; CGA, I, 26.7.2013, 689; TAR Campania Na, IV, 20.3. 2012, n.1326 5 la legge n. 264/99 si limita a prevedere la possibilità di accesso e, dunque, per l’effetto la possibilità di trasferimento, durante il corso universitario, di studenti comunitari ed extracomunitari (quindi, senza escludere gli studenti italiani immatricolati all’estero) in

Muovendo da tale premessa: il Collegio di Catania ha sostenuto che so-lo qualora esista una disposizione di legge anche interna (es. bando) che preveda il test d’accesso, l’Università può rigettare la do-manda di trasferimento per mancato supera-mento della prova (in termini TAR Sicilia, Ct, III, 21.12.2012, n. 3037, confermata in sede cautelare d'appello dal CGA, I, 26.7.2013, n. 689).6

Il Collegio Napoletano (n.1326/2012) ha sottolineato che in assenza di una norma di rango primario vadano applicate le disposi-zioni interne, di rango secondario: regola-menti didattici e bandi d’atenei. Ed ha teoriz-zato, nel caso, che lo studente avrà diritto all’iscrizione diretta al secondo anno di corso, nei limiti dei posti disponibili e della colloca-zione utile nella graduatoria del concorso per il trasferimento,allorché la Commissione di valutazione della carriera pregressa convali-derà i crediti conseguiti presso il diverso Ate-neo di provenienza, in virtù di un giudizio di piena equipollenza dell’anno di studi già so-stenuto. In caso di giudizio di parziale equi-pollenza, lo studente dovrà invece sostenere con successo il test d’accesso. 3. La giurisprudenza comunitaria sul di-ritto di studiare in Europa e la sua eco sul-la mobilità in corso di studi universitari. La Corte di Giustizia Europea si è pronun-ciata in varie occasioni sulle 'oggettivazio ni' del diritto di studiare, garantito dall'art.2 del Protocollo n.1 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo7 ed ha condannato molti Pae-si d’Europa per la violazione di tale diritto.

università italiane. Ma nulla dispone su limitazioni o restrizioni ai quali subordinare il trasferimento stesso 6 la Sez. III, Tar Catania, ribadisce la tesi, con ordinanza n. 1098/2012, rigettando il ricorso in fattispecie regolamentata dall’art.1, co. 1, D.R.12.6.2012,n.2138 (bando), che subordinava l’iscrizione all’anno accademico 2012/2013 per gli studenti già iscritti presso altre sedi ad una prova di accesso 7 art. 2, Convenzione EDU: Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genito-ri di assicurare tale educazione e tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche

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Fondamentalmente, rileva la Grande Sezio-ne della Corte di Giustizia dell’Unione Euro-pea8, che con sentenza n.12 del 23.10.2007, ha affermato che la libertà di circolare e sog- giornare nel territorio degli Stati comunitari è inderogabile ed è suscettibile di applicazione non irrilevante nel settore dell’istruzione te-nuto conto degli obiettivi perseguiti dagli art. 3, n.1, lett. q), Ce e 149 n.2 secondo trattino, Ce,9 in quanto teso a favorire la mobilità degli studenti. Tale libertà sarebbe elusa e violata, allor-ché venisse escluso il diritto di studiare in Pa-esi membri dell’U.E., negando o limitando la mobilità degli studenti anche attraverso il di-sconoscimento di alcuni diritti quali: l’equipollenza dei titoli di studio conseguiti nei paesi membri (salvo casi di provata non conformità agli standards); il diritto al sussi-dio per la prosecuzione degli studi in altro paese; il diritto alla non discriminazione tra studenti nazionali e stranieri; il diritto allo studio per i figli dei lavoratori migrati in altri paesi.

Osserviamo alcuni casi. Casi G. B. C. Echternach e A . Moritz c. Mi-nistro olandese dell' istruzione e delle scienze Sul diritto all’istruzione. Nelle cause riunite, C-389/87 e C-390/87, la sesta sezione della Corte1010 ha evidenziato che il diritto all’istruzione, al pari di altri di-ritti fondamentali, trovi giustificazione, a monte, nel diritto dei cittadini europei di libe-ramente circolare e soggiornare in Europa. Distingue, dunque, che:

a) il cittadino di uno Stato membro, che svolga in altro Stato membro un'attivi-tà disciplinata da uno speciale statuto di diritto internazionale, dev’essere

8 cfr. C.G. UE,23.10.2007, n.12 9 art. 3, n. 1,CE:"Ai fini enunciati all’articolo 2, l’azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato: q) un contributo ad un’istru- zione e ad una formazione di qualità e al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri;" art.149, 2, secondo trattino, CE: "L’azione della Comunità è intesa:(…) – a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio (…)." 10 cfr. C.G. UE, VI, 15.3.1989, n. 389

considerato lavoratore di uno Stato membro ai sensi dell'art.48, nn.1 e 2, del trattato e deve fruire, quindi, così come i suoi familiari, dei diritti e pri-vilegi contemplati da queste disposi-zioni e da quelle del regolamento del Consiglio n. 1612/68.

b) il figlio del lavoratore comunitario (occupato in uno Stato diverso da quello d’origine) deve avere la possi-bilità di intraprendere studi di ogni li-vello nel paese ospitante, anche allor-ché la famiglia ritorni nello Stato membro d'origine ed il figlio rimanga nel paese ospitante, sia pure dopo un periodo d'interruzione, al fine di con-tinuare qui i suoi studi. Infatti, con-serva la qualità di familiare del lavo-ratore, quindi, gode dei vantaggi da essa derivante in condizione di parità di trattamento con i familiari dei lavo-ratori 'interni'.

c) il familiare del lavoratore comunitario non ha bisogno di un permesso di soggiorno rispondente a determinati requisiti per godere del diritto allo studio nel paese ospitante.

d) i figli dei lavoratori comunitari hanno diritto, alle stesse condizioni che val-gono per i cittadini del paese ospitan-te, agli aiuti concessi per le spese di studio e di mantenimento dello stu-dente senza limiti in ordine alle forme d' istruzione.

Casi L. Prinz c. Regione Hannover e P. Se-eberger c. Studentenwerk Heidelberg

Sul diritto al sussidio per la formazione. Nelle cause riunite C-523/11 e C-585/11, la

Corte, terza sezione,11 ha confermato il diritto al sussidio alla formazione per studi seguiti in centri formativi situati in Stati membri diversi da quello di origine, nell’ambito delle contro-versie insorte da un lato, tra la sig.ra Prinz, cittadina tedesca e la Regione di Hannover, Ufficio dei sussidi alla formazione e, dall'al-tro, tra il sig. Seeberger, cittadino tedesco, e lo Studentenwerk Heidelberg, Amt für Au-sbildungsförderung (Opere universitarie di

11 cfr. C.G. UE, III, 18.7.2013, n. 523

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Heidelberg, Ufficio dei sussidi alla formazio-ne).

La legge della Repubblica federale di Ger-mania sull'incentivazione individuale alla formazione - art.16, co. 3 - subordinava la concessione del sussidio, per un periodo su-periore a un anno, al requisito unico, applica-bile indistintamente ai cittadini tedeschi e agli altri cittadini dell'Unione, di stabile (ininter-rotta) residenza sul territorio nazionale per un periodo non inferiore a tre anni prima dell'ini-zio degli studi. Escludendo ogni altro termine di raffronto (famiglia, lavoro, conoscenza lin-guistica o altre forme di collegamento di or-dine sociale o economico), i quali, ciascuno in integrazione all’altro, invece, secondo la Corte sarebbero idonei a valutare se esista, per il singolo richiedente, una sufficiente in-tegrazione con la società tedesca. Perciò, la Corte ha dichiarato tale norma-tiva contraria alla giusta interpretazione degli artt. 20, TFUE e 21, TFUE, in quanto pena-lizza, per un verso, il diritto al medesimo trat-tamento giuridico per situazioni uguali, fon-dato sullo status di cittadino dell’Unione ai sensi dell’art.20, TFUE (status riconosciuto ad ogni cittadino di uno Stato membro); per altro, il diritto alla libera circolazione e sog-giorno di cui all’art.21,TFUE derivante dallo status di cittadino europeo. Sul diritto al sussidio già si era espressa, autorevolmente, la Grande Sezione della Cor-te di Giustizia nelle cause riunite C-11/06 e C-12/06, Rhiannon Morgan c. Bezirksregie-rung Köln, e Iris Bucher c. Landrat des Krei-ses Düren, con riferimento ai requisiti – im-posti dalla Legge federale in Germania - , nel-la causa 11/06, della 'prima fase di studi', os-sia di aver seguito una formazione per un pe-riodo di almeno un anno nel suo territorio e di continuare unicamente questa stessa forma-zione in un altro Stato membro; nella causa 12/06, sia della prima fase di studi sia della stabile residenza nel territorio del Paese d’origine. La Grande Corte aveva dichiarato che a tali requisiti ostassero gli artt. 17, CE e 18, CE, sancenti, rispettivamente, il diritto al-la cittadinanza dell’Unione e il diritto alla li-bertà di circolare e di soggiornare nel territo-rio degli Stati membri.

Caso Commissione delle Comunità europee contro Repubblica d’Austria Sul diritto alla mobilità. Nella causa C-147/03, tra Commissione delle C.E., sostenuta dalla Repubblica di Fin-landia,contro la Repubblica d’Austria, la Cor-te, seconda sezione, con sentenza del 7 luglio 2005 ha condannato la Repubblica d’Austria, per violazione degli obblighi previsti dagli artt. 12,149 e 150, CE. L’Austria non aveva adottato i provvedimenti necessari a garantire che i titolari di diplomi d’istruzione seconda-ria conseguiti negli altri Stati membri potes-sero accedere agli studi superiori e universita-ri alle stesse condizioni dei titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti in Austria, in quanto l’art.36, Universitäts-Studiengesetz, richiedeva per i diplomati in Stati membri, ol-tre ai requisiti generali d’accesso agli studi superiori o universitari, le condizioni specifi-che per l’accesso al corso di studi prescelto, fissate dallo Stato di rilascio di tali diplomi.

Caso T.-G.Chatzithanasis c.Ypourgos Ygeias kai Koinonikis Allilengyis, Organi-smos Epangelmatikis Ekpaidefsis kai Katarti-sis (OEEK) Sulla validità dei diplomi conseguiti in altro Stato membro. Nel caso Chatzithanasis, C-151/07, la Cor-te ha condannato la Repubblica Ellenica a ri-conoscere, al fine dell’esercizio della profes-sione nel suo territorio, il diploma di ottico rilasciato dall'autorità competente in Italia, malgrado la formazione fosse stata consegui-ta, in massima parte, presso un istituto 'libero' stabilito nella Repubblica ellenica che, se-condo la normativa di quest'ultimo Stato, non è riconosciuto come istituto d'istruzione. La seconda sezione della Corte12 ha risol-to la querelle alla luce degli artt.1, lett. a), 3 e 4,dir. CE n. 92/51,istituente "un sistema ge-nerale complementare di riconoscimento del-la formazione professionale, relativo ai gradi di formazione che non sono stati previsti dal sistema generale iniziale". Nell’interpretazione della Corte, tali norme obbligherebbero, in forza dell'art. 3 dir. CE, le competenti autorità di uno Stato membro os-pitante a riconoscere un diploma rilasciato da 12 cfr. C.G. UE, II, 4.12.2008, n. 151.

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un'autorità competente in un altro Stato membro, fatto salvo il dovere del richiedente, ex art. 4 cit. dir., di dimostrare di possedere un'esperienza professionale di una determina-ta durata o di sottoporsi a 'misure di compen-sazione' (tirocinio o test) allorché secondo lo Stato ospitante sussista una differenza sostan-ziale tra la formazione acquisita altrove e quella richiesta in esso. In sintesi, il Giudice Europeo riconosce e favorisce il diritto del cittadino europeo di studiare nel territorio degli Stati membri e, per l’effetto, il diritto alla mobilità, ma (atten-zione) non afferma che sia 'assoluto'. Infatti, il diritto all’istruzione non deve prevaricare il potere/dovere degli Stati membri di porre re-strizioni rispetto all’obiettivo conseguito (ga-rantire una informazione scientifica adegua-ta), purché gli Stati adottino criteri proporzio-nali e non limitativi delle superiori libertà comunitarie. Nel caso Tarantino e altri contro l’Italia, la Corte europea diritti dell'uomo (CEDU, II, 2.4. 2013), in applicazione del superiore prin-cipio, ha riconosciuto la compatibilità con la Convenzione europea della decisione di porre limiti numerici all'accesso ad alcuni corsi in base alle strutture universitarie e alle necessi-tà della società, inclusa una valutazione delle capacità di assorbimento del mercato del la-voro. 4. Cenni sull’orientamento della dottri-na Italiana. Il diritto di studiare, per la dottrina, deve essere indubitabilmente 'qualificato', cioè si-gnificativo proprio in relazione al grado di ef-fettività, efficienza e qualità formativa che il servizio d'istruzione garantisce ai cittadini.13

Per attuare un tale inteso diritto, è stato detto,tra gli studiosi, che il parametro di legit-timità delle previsioni normative sull’accesso programmato debba restare quello costituzio-

13 Così A. GANDINO, La questione del «numero chiuso universitario»: il punto di vista del giudice amministrativo, in For. Amm. Tar, 2005, 2073; R.

CIFARELLI, Accesso all'università e numero programmato tra Ordinamento Italiano, Comunitario e Cedu: Spunti di riflessione, in Giurisprudenza di Merito, 2013,01, 0190

nale (artt. 34 e 9 Cost.);14 che il legislatore italiano debba scegliere un sistema di sele-zione che, da un lato, avvalori i requisiti di capacità e meritevolezza degli studenti e, co-munque, non li comprima per mera opportu-nità e, dall'altro, non crei una disparità di trat-tamento tra candidati,15 come avviene con le graduatorie plurime per singoli Atenei;16 che un diritto costituzionalmente garantito, quale quello dell'accesso all'istruzione, non può su-bire l’incidenza delle singole università per opera di una autonomia non definita (es. sul piano dell’organizzazione), potendo questo essere limitato solo utilizzando gli strumenti previsti dalla stessa Costituzione e cioè l'esa-me di Stato.1717

Da tali opinioni traggo una conclusione, che, per la dottrina, il test preselettivo d’ac- cesso si erga ad elemento più che positivo nella misura in cui sia strumentale a quella garanzia; consentendo di realizzare un corret-to rapporto fra il numero degli studenti e le strutture disponibili per lo svolgimento della attività didattica. Non solo, ma fondamental-mente, consentendo di rispettare un rigoroso numero medio di professori per studente. Con effetti positivi sulla qualità della didattica e della ricerca in ateneo e, dunque, sulla qualità della preparazione. Logico corollario è che il principio e-spresso dall’Adunanza Plenaria, sebbene da alcuni18 definito "in controcorrenza", troverà senza dubbio, nell’ottica di cui sopra, ottimi estimatori. Su esso la dottrina si è espressa indiretta-mente, allorché ha sostenuto in modo presso ché unanime il dovere di rispettare il diritto alla parità di trattamento per gli studenti pro- 14 in tal senso S. Foà, Numero chiuso universitario in area medica e quote riservate per residenti: la previ-sione deve essere indispensabile per la qualità del ser-vizio pubblico sanitario, in Foro amm. CdS, 2010, 09, 1808 15 in tal senso R. CIFARELLI in op. cit. 16 ossia, una prova preselettiva identica sull'intero terri-torio nazionale ma con correzione dei test a livello lo-cale, con relative differenti graduatorie 17 in tal senso G. M ILO, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 01, 0181 18 in tal senso M. Provenzano, Brevi considerazioni su un lungo dibattito giurisprudenziale: la cittadinanza europea che consente il trasferimento da Università straniere, in www. Ildirittoamministrativo.it

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venienti dall’estero rispetto a quelli italiani. Il ché non può prescindere, a mio modesto pare-re, dal dovere di valutarne anche il merito "presunto" o già "conseguito". 5.La sentenza del Consiglio di Stato, in Adunanza Plenaria, del 28.1.2015, n. 1. Il Consiglio di Stato, mutando indirizzo, ha ristabilito l’equilibrio in tale complesso e conflittuale panorama, riportando a 'giusta' composizione i molteplici interessi coinvolti. A seguito di un approfondito excursus della normativa, nazionale ed europea, e di articolata ed attenta riflessione, l’Adunanza Plenaria ha individuato il quadro legislativo di riferimento: A livello nazionale: La legge del 2 agosto 1999, n. 264, art. 4 che subordina al "previo superamento di ap-posite prove di cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria supe-riore, e di accertamento della predisposizione per le discipline oggetto dei corsi medesimi", soltanto l’ammissione ai corsi i cui accessi sono programmati a livello nazionale (art.1) o dalle singole università (art.2); Il decreto ministeriale del 22 ottobre 2004, n.270, art. 6 che, nell’indicare i "requisiti di ammissione" ai corsi di laurea fa esclusivo ri-ferimento al "possesso del diploma di scuola secondaria superiore"; Il decreto ministeriale del 28.6.2012, che usa indifferentemente i termini "ammissione" e "immatricolazione". Il decreto ministeriale del 16.3.2007, art. 3, co. 8 e 9, che disciplina il riconoscimento dei crediti già maturati dallo studente relati-vamente al trasferimento da un corso all’altro o da un’università ad altra. La predetta normativa avvalora, sia sul piano puramente letterale che su quello logi-co-sistematico, il principio secondo cui per il trasferimento è necessaria la valutazione dei crediti formativi acquisiti (mentre il test d’accesso è relativo all’ammissione o imma-tricolazione). Il Collegio trae la conclusione dal fatto che:

1. ex art. 4, l. n.264/99 la prova di am-missione: a) concerne la preparazione sui "programmi della scuola seconda-

ria superiore"; b) deve accertare "la predisposizione per le discipline og-getto dei corsi medesimi".Perciò, essa è rivolta solo a coloro che si candida-no ad entrare nel sistema universitario e non a quelli già inseriti; per i quali non è utile accertare i predetti requisi-ti, quanto piuttosto valutarne l’impe- gno complessivo di apprendimento dimostrato attraverso i crediti matura-ti;

2. ex art. 6, d.m. n. 270/04, "requisito di ammissione" ai corsi di laurea è il "possesso del diploma di scuola se-condaria superiore". Di talché, per ‘ammissione’ ad un corso di laurea il legislatore intende riferirsi solo allo studente che chieda di entrare e sia accolto per la prima volta nel sistema;

3. ex all. 'A', d.m. 28.6.2012, "le cono-scenze e le abilità richieste fanno co-munque riferimento alla preparazione promossa dalle istituzioni scolastiche che organizzano attività educative e didattiche coerenti con i Programmi Ministeriali"; pertanto, la verifica ri-guarda la sussistenza di requisiti di cultura pre-universitaria;

4. i co. 8 e 9, art. 3, d.m. 16.3.2007, danno rilievo esclusivo, in sede ed ai fini del trasferimento degli studenti da una università ad un’altra,al ricono-scimento dei crediti già maturati dallo studente, dunque, per la mobilità deve valutarsi non più la cultura pre-universitaria ma la sussistenza dei crediti formativi.

A livello comunitario: Il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, art. 21, art. 6, lett. (e, art. 165, n.2 secondo trattino, il cui combinato disposto impone agli Stati membri di rispettare il dirit-to alla libera circolazione e al libero soggior-no anche nell’esercizio dell’autonomia di or-ganizzazione dei sistemi di istruzione e di formazione professionale. E all’Europa di so-stenere e completare la loro azione in tema di istruzione e formazione professionale e di fa-vorire la mobilità degli studenti. Infatti, l’art. 21garantisce la libertà di cir-colazione e di soggiorno nel territorio degli Stati membri; l’art.6, lett.(e riconosce il pote-

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re dell’Unione Europea di sostenere, coordi-nare e completare l’azione degli Stati membri in materia di istruzione e formazione profes-sionale; l’art.165 n.2 secondo trattino, ricono-sce l’azione dell’U.E. intesa a "favorire la mobilità degli studenti …, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei di-plomi e dei periodi di studio". Ciò implica che l’ordinamento comunita-rio, se da un lato non garantisce che il pos-sesso dei requisiti di ammissione ad un ateneo europeo dia di per sé "diritto" al trasferimento dello studente in qualsiasi altro Ateneo di di-verso Stato dell’Unione Europea, dall’altro prescrive agli Stati membri di non porre limi-tazioni in contrasto con il predetto principio di libertà di circolazione, quale potrebbe esse-re, per ovvietà, l’obbligo di superare una pro-va selettiva nazionale predisposta ai soli fini dell’iscrizione al primo anno. La Convenzione di Lisbona sul ricono-scimento dei titoli di studio stranieri, ratifica-ta con la legge del 11.7.2002, n. 148, art. 2; la l. n. 341 del 1990, art. 11; il decreto ministe-riale del 22.10.2004, n. 270, art. 2, co. 2 e art. 11, co. 9, la quale disciplina rileva per le modalità di valutazione dei crediti formativi acquisiti presso l’università straniera. L’art. 2, Convenzione di Lisbona, stabili-sce: "La competenza per il riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all'este-ro e dei titoli di studio stranieri, ai fini dell'accesso all'istruzione superiore, del pro-seguimento degli studi universitari e del con-seguimento dei titoli universitari italiani, è attribuita alle Università ed agli Istituti di i-struzione universitaria, che la esercitano nell'ambito della loro autonomia e in con-formità ai rispettivi ordinamenti, fatti salvi gli accordi bilaterali in materia". L’art.11, l. n. 341/ 90, affida al "regola-mento didattico di ateneo" l’ordinamento de-gli studi dei corsi e delle attività formative; l'art. 2, co. 2, d.m. n. 270/04, dispone che - ai fini dell’autonomia didattica di cui all'art.11, l. n. 341/90 - le università, con le procedure previste dalla legge e dagli statuti, disciplina-no gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio in conformità al medesimo regolamen-to; l'art. 11, co. 9, cit. d.m. prevede che le u-niversità, con appositi regolamenti, riordina-no e disciplinano le procedure amministrative

relative alle carriere degli studenti in accordo con le disposizioni del regolamento statale. Dal suddetto quadro emerge che la rigo-rosa valutazione di quel percorso universita-rio, estero o nazionale, debba essere affidata all’autonomia delle Università, che provvede-ranno anche al riscontro dell’effettiva equi-pollenza delle competenze e degli standards formativi dell’Università di provenienza ri-spetto a quelli assicurati dall’istruzione uni-versitaria nazionale. Ulteriore corollario è "che gli studenti pro-venienti da altra università italiana o stranie-ra, che presso la stessa non abbiano conse-guito alcun credito o che pur avendone con-seguiti non se li siano poi visti riconoscere in assoluto dall’università italiana presso la quale aspirano a trasferirsi, ricadranno nella stessa situazione degli aspiranti al primo in-gresso"19- cioè dovranno superare il test di ammissione.

6.Conclusioni. La sentenza, di natura assertiva e sostan-zialmente assiomatica, merita lodevoli com-menti per avere affermato un principio che, fondamentalmente, valorizza:

- un sistema universitario meritocratico che, ad effettiva concretizzazione dell’art. 34, co. 3, cost.,20 deve sele-zionare coloro che abbiano la capacità ed il merito ad attingere ai gradi più alti degli studi, indipendentemente dal territorio di provenienza degli studen-ti;

- gli standards qualitativi di formazione universitaria nazionale ad di là di pre-concetta "superiorità" di quelli Euro-pei; l’uguaglianza fra studenti univer-sitari provenienti da università italiane (che a suo tempo abbiano superato il test di accesso all’università di prove-nienza) e studenti universitari prove-nienti da università straniere (che non abbiano sostenuto la prova di ammis-sione o che abbiano superato una pro-

19 cfr. CdS, Ad.plen.,28.1.2015, n.1 20 art.34, co 3, cost.: "I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”

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va di tal fatta del tutto irrilevante per l’ordinamento nazionale);

- il diritto alla libera circolazione degli studenti, consolidando quello dei cit-tadini europei.

Inoltre, evidenzia che il diritto di studiare in Europa è correlato alla qualità della forma-

zione: la facoltà per gli studenti provenienti da altri Stati membri di accedere non automa-ticamente, bensì per selezione, agli studi di insegnamento superiore in altri Stati membri (Italia) costituisce, infatti, l'essenza della buona formazione.

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GIURISPRUDENZA Corte Costituzionale 27.2.2015 n.22 Art. 80, co. 19 , della l. 23.12.2000, n. 388, in combinato disposto con l'art. 9, co. 1, del d. lgs. 25.7.1998, n. 286, come modificato dall'art. 9, co. 1, della l. 30.7.2002, n. 189, poi sostituito dall'art. 1, co. 1, lett. a), del d. lgs. 8.1.2007, n.3. art. 80, co. 19 legge del 23/12/2000 n. 388. 1.− La Corte è chiamata a giudicare della legittimità costituzionale dell’art. 80, co. 19, della l. 23.12.2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), denunciato dalla Corte d’appello di Bologna, con ordinanza del 20 settembre 2012, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, primo comma, 32, 38 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e all’art. 1 del relativo Primo Protocollo addizionale – in «combinato disposto» con l’art. 9, co. 1, del d. lgs. 25.7.1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9, co. 1, della l. 30.7.2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), poi sostituito dall’art. 1, co. 1, lett. a), del d. lgs. 8.1.2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), e «in correlazione» con l’art. 8 della l. 10.2.1962, n. 66 (Nuove disposizioni relative all’Opera nazionale per i ciechi civili) e con l’art. 3, co. 1, della l. 21.11.1988, n. 508 (Norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti); nonché dalla Corte di cassazione, con ordinanza depositata il 20.5.2014, «nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione e della indennità di accompagnamento per ciechi assoluti e

dell’assegno sociale maggiorato». 2.- Avendo ad oggetto una medesima disposizione, i giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia. La questione prospettata dalla Corte d’appello di Bologna relativamente all’art. 9, comma 1, del d. lgs. n. 286 del 1998, come modificato, «in combinato disposto» con il predetto art. 80, co. 19, della l. n. 388 del 2000, appare priva di autonomia agli effetti del petitum perseguito, essendo quest’ultimo evidentemente diretto a rimuovere la preclusione prevista in linea generale per i cittadini extracomunitari e riferibile anche alle provvidenze in discorso. 3. - Va preliminarmente rilevato che l’ordinanza rimessa dalla Corte di cassazione presenta insuperabili carenze nella motiva-zione, tanto in ordine all’esatta e specifica individuazione dei parametri costituzionali che si assumono violati, quanto in merito alle ragioni della non manifesta infondatezza, ponendo, dunque, una questione che va dichiarata manifestamente inammissibile. Il giudice rimettente si limita, infatti, ad operare un semplice rinvio, per relationem, all’eccezione sollevata dalla parte ricorrente e ad una rievocazione, peraltro generica, dei princìpi posti a base di numerose pronunce di questa Corte relativamente alla stessa materia. Viene, in particolare, richiamata la sentenza n. 40 del 2013, con la quale fu dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione qui all’esame, nella parte in cui subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell’indennità di accompagnamento, di cui all’art. 1 della l. 11.2.1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili), e della pensione di inabilità, di cui all’art. 12 della l 30.3.1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30.1.1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili). Occorre ribadire, al riguardo, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che, ai

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Gazzetta Amministrativa -121- Numero 1 - 2015

fini del necessario scrutinio della rilevanza della questione sottoposta nonché dei profili della sua non manifesta infondatezza, il giudice rimettente non può esimersi dal fornire, nell’atto di promovimento, un’esauriente ed autonoma motivazione (ordinanza n. 33 del 2014): dovendosi, invece, escludere che il mero recepimento o la semplice prospettazione di argomenti sviluppati dalle parti o rinvenuti nella giurisprudenza, anche costituzionale, equivalgano a chiarire, per sé stessi, le ragioni per le quali “quel” giudice reputi che la norma applicabile in “quel” processo risulti in contrasto con il dettato costituzionale (nello stesso senso, sentenza n. 7 del 2014). L’enunciata carenza, d’altra parte, non appare, nella specie, emendabile neppure attraverso una sorta di “interpretazione contenutistica” del provvedimento: se si esclude, infatti, un fugace accenno alla violazione del principio di solidarietà, non risultano additati, con autonomo apprezzamento, specifici “vizi” della normativa censurata, né risulta operata alcuna autonoma selezione di profili di illegittimità, in riferimento a specifici parametri, rispetto a quelli complessivamente rintracciati nelle “fonti” richiamate. Nel dubitare della legittimità della norma denunciata, la Corte rimettente non sembra abbia, d’altra parte, considerato significativo, sotto alcun profilo, un eventuale problema di compatibilità – astrattamente riguardante i cittadini extracomunitari così come gli italiani – tra le varie misure assistenziali in discussione (e, in particolare, tra l’assegno sociale e la pensione di inabilità): le quali appaiono immotivatamente accomunate sul versante delle garanzie di “non discriminazione”, peraltro solo implicitamente evocate, nonostante le differenze nella ratio, nella disciplina positiva e nelle finalità – in ipotesi, appunto, perfino alternative – che le caratterizzano. 4.− È fondata, invece, la questione sollevata dalla Corte d’appello di Bologna e riferita alla previsione che subordina alla titolarità della carta di soggiorno la concessione, in favore dei ciechi extracomunitari, della pensione di cui all’art. 8 della legge n. 66 del 1962, a norma del quale «Tutti coloro che siano colpiti da cecità assoluta o abbiano un residuo visivo non superiore ad un ventesimo in entrambi gli occhi

con eventuale correzione, hanno diritto alla corresponsione della pensione a decorrere dal compimento del 18° anno di età» nonché della speciale indennità di cui all’art. 3, comma 1, della legge n. 508 del 1988, secondo cui «A decorrere dal 1° gennaio 1988, ai cittadini riconosciuti ciechi, con residuo visivo non superiore ad un ventesimo in entrambi gli occhi con eventuale correzione, è concessa una speciale indennità non reversibile al solo titolo della minorazione di L. 50.000 mensili per dodici mensilità». Al riguardo, appare utile, anzitutto, muovere dal precedente specifico costituito dalla già richiamata sentenza n. 40 del 2013. In questa decisione, prendendo in esame l’identica condizione ostativa della necessaria titolarità della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, a norma del d. lgs. 8.1.2007, n. 3, recante «Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo»), ai fini del riconoscimento agli stranieri extracomunitari dell’indennità di accompa-gnamento (di cui all’art. 1 della l. n. 18 del 1980) e della pensione di inabilità (di cui all’art. 12 della legge n. 118 del 1971) (provvidenze del tutto simili a quelle in esame), la Corte rilevò in particolare, sulla scia di proprie analoghe precedenti pronunce, come, nell’ipotesi in cui vengano in rilievo provvidenze destinate al sostentamento della persona nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui il disabile si trova inserito, «qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all’art. 14 della CEDU», per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Questi princìpi dovevano trovare applicazione – si osservò – anche in riferimento alle misure assistenziali prese in considerazione nel frangente, in riferimento a benefìci rivolti a soggetti in gravi condizioni di salute, portatori di impedimenti fortemente invalidanti, la cui tutela implicava il coinvolgimento di una serie

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di valori di essenziale risalto e tutti di rilievo costituzionale, a cominciare da quello della solidarietà, enunciato all’art. 2 Cost. Del resto – si disse – anche le diverse convenzioni internazionali, che parimenti presidiano i corrispondenti valori, rendevano «priva di giustificazione la previsione di un regime restrittivo (ratione temporis, così come ratione census) nei confronti di cittadini extracomunitari, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da tempo apprezzabile ed in modo non episodico». I rilievi appena richiamati debbono, a fortiori, essere riaffermati in riferimento allo stato delle persone non vedenti. La specificità, infatti, dei connotati invalidanti - resa evidente dalla particolare attenzione e dal favor che caratterizzano, da epoca ormai risalente, la normativa di settore, con la previsione di diverse provvidenze per le persone che risultino averne titolo - renderebbe ancora più arduo giustificare, nella dimensione costituzionale della convivenza solidale, una condizione ostativa – inevitabilmente discriminatoria – che subordini al possesso della carta di soggiorno la fruizione di benefìci intrinsecamente raccordati alla necessità di assicurare a ciascuna persona, nella più ampia e compatibile misura, condizioni minime di vita e di salute. Ove così non fosse, d’altra parte, specifiche provvidenze di carattere assistenziale – inerenti alla sfera di protezione di situazioni di inabilità gravi e insuscettibili di efficace salvaguardia al di fuori degli interventi che la Repubblica prevede in adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà (art. 2 Cost.) – verrebbero fatte dipendere, nel caso

degli stranieri extracomunitari, da requisiti di carattere meramente “temporale”, del tutto incompatibili con l’indifferibilità e la pregnanza dei relativi bisogni: i quali requisiti ineluttabilmente finirebbero per innestare nel tessuto normativo condizioni incoerenti e incompatibili con la natura stessa delle provvidenze, generando effetti irragionevolmente pregiudizievoli rispetto al valore fondamentale di ciascuna persona. La disposizione denunciata, pertanto, risultando in contrasto con gli evocati parametri costituzionali e con i relativi princìpi - oltre che con quelli più volte affermati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, deve essere dichiarata costi-tuzionalmente illegittima. per questi motivi. La Corte costituzionale riuniti i giudizi, 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, co. 19, della l. 23.12.2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di cui all’art. 8 della l. 10.2.1962, n. 66 (Nuove disposizioni relative all’Opera nazionale per i ciechi civili) e dell’indennità di cui all’art. 3, co. 1, della l. 21.11.1988, n. 508 (Norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti); 2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione con l’ordinanza in epigrafe.

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA La difesa in giudizio nei rimedi risarcitori (art. 3 CEDU) a favore dei soggetti detenuti. Parere 22/12/2014-546529, al 15330/14, Avv. Leonello Mariani. RISPOSTA Con il d.l. 26.6.2014, n. 92, convertito con modificazioni dalla l. 11.8.2014, n. 117 (in Gazzetta Ufficiale del 20.8.2014, n. 192), re-cante “Disposizioni urgenti in materia di ri-medi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito trattamenti in vio-lazione dell’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifi-che al codice di procedura penale e alle di-sposizioni di attuazione, all’ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all’ordinamento penitenziario, anche minori-le”, è stata, tra l’altro, modificata la l. 26.7.1975, n. 354 recante norme sull’or-dinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della liber-tà (di seguito, per brevità, anche O.P.). La novella ha introdotto nel corpo della legge n. 354/1975 l’art. 35-ter il quale dispone quanto segue: Art. 35-ter - Rimedi risarcitori conse-guenti alla violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nei confronti di soggetti detenuti o internati 1. Quando il pregiudizio di cui all'art. 69, co. 6, lett. b), consiste, per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da violare l'articolo 3 della

Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratifi-cata ai sensi della l. 4.8.1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, su istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore mu-nito di procura speciale, il magistrato di sor-veglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il ri-chiedente ha subito il pregiudizio. 2. Quando il periodo di pena ancora da espi-are è tale da non consentire la detrazione dell'intera misura percentuale di cui al com-ma 1, il magistrato di sorveglianza liquida altresì al richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha subi-to il pregiudizio. Il magistrato di sorveglianza provvede allo stesso modo nel caso in cui il periodo di detenzione espiato in condizioni non conformi ai criteri di cui all'art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali sia sta-to inferiore ai quindici giorni. 3. Coloro che hanno subito il pregiudizio di cui al comma 1, in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determina-zione della pena da espiare ovvero coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere possono proporre azione, perso-nalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, di fronte al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio han-

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no la residenza. L'azione deve essere propo-sta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere. Il tribunale de-cide in composizione monocratica nelle forme di cui agli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il decreto che definisce il procedimento non è soggetto a reclamo. Il ri-sarcimento del danno è liquidato nella misu-ra prevista dal co. 2”. Con tale norma si completa pertanto il qua-dro delle misure, preventive e compensative, previste dall’ordinamento penitenziario nel caso di inosservanza, da parte dell’amministrazione, di disposizioni previste dalla legge sull’ordinamento penitenziario (l. n. 354/1975) e dal relativo regolamento (d.P.R. 30.6.2000, n. 230) “dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti” (art. 69, co. 6, lett. b) l. n. 354/1975). Sul piano sostanziale, nell’ipotesi in cui il pregiudizio all’esercizio dei diritti del ristret-to sia consistito in un trattamento carcerario disumano o degradante - come tale violativo dell’art. 3 della CEDU -, l’art. 35-ter della l. n. 354/1975 appresta un rimedio di carattere compensativo - che la legge espressamente qualifica come risarcitorio (v. la rubrica dell’art. 35-ter O.P.) - il quale consente al detenuto o all’ex detenuto di conseguire, me-diante la determinazione in via forfettaria del danno da disumana o degradante detenzione, il risarcimento, a seconda dei casi, alternati-vamente o cumulativamente, in forma specifi-ca - in natura - e/o per equivalente - in forma economico-pecuniaria -, del pregiudizio non patrimoniale in concreto subito. Più precisamente, allorquando la detenzione in condizioni non conformi ai criteri europei si sia protratta per un periodo di tempo non inferiore a quindici giorni e il periodo di pe-na ancora da espiare sia di durata tale da consentirlo, il risarcimento del danno avviene in forma specifica mercé una riduzione della pena detentiva residua in misura pari ad un giorno per ogni dieci giorni patiti nelle anzi-dette condizioni (art. 35-ter, comma 1, O.P.). Quando la durata della pena detentiva anco-ra da espiare non sia invece tale da consenti-re integralmente l’anzidetta detrazione o nell’ipotesi in cui la detenzione in condizioni

difformi dai parametri europei si sia protrat-ta per un periodo di tempo inferiore a quindi-ci giorni, il risarcimento del danno residuo ha viceversa luogo per equivalente mediante il riconoscimento di una somma di denaro pari ad 8,00 euro per ciascun giorno di de-tenzione subita in quelle condizioni (art. 35-ter, co. 2, O.P.). Parimenti per equivalente e nella misura dianzi indicata ha luogo il risarcimento se il rimedio è azionato da ex detenuti intendendo per tali sia coloro che hanno già terminato di espiare la pena detentiva in carcere sia colo-ro che hanno subito la detenzione in stato di custodia cautelare in carcere non computabi-lenella determinazione della pena da espiare (art. 35-ter, comma 3, O.P.). Sul piano processuale, la competenza giuri-sdizionale e, di riflesso, il rito sono diversa-mente determinati e disciplinati in funzione e in ragione della condizione e dello stato del richiedente e, cioè, a seconda che l’azione ri-sarcitoria sia proposta da condannato tuttora ristretto ovvero da soggetto non più in vincu-lis. Nella prima ipotesi, la cognizione della do-manda è riservata alla magistratura di sor-veglianza e il procedimento si svolge, per ef-fetto del richiamo agli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. operato dall’art. 35-bis O.P., nelle forme del processo di sorveglianza (art. 678 cod. proc. pen.) e, di conseguenza, del pro-cesso di esecuzione (art. 666 cod. proc. pen., a sua volta richiamato dall’art. 678 cod. proc. pen.). Nel secondo caso, la competenza a conoscere dell’azione - da proporsi, a pena di decaden-za, nel termine perentorio di sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere - è invece attri-buita al tribunale civile del capoluogo del di-stretto di residenza dell’istante: il tribunale decide in composizione monocratica e il pro-cedimento si svolge nelle forme del rito ca-merale di cui agli artt. 737 e segg. cod. proc. civ. Secondo quanto espressamente previsto dall’art. 35-bis O.P., il procedimento di re-clamo avanti alla magistratura di sorveglian-za si articola in due gradi di merito, il primo di fronte al magistrato di sorveglianza (com-mi 1, 2 e 3), il secondo avanti al tribunale di sorveglianza (co. 4), e in un grado di legitti-

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Gazzetta Amministrativa -125- Numero 1 - 2015

mità per sola violazione di legge (co. 4 bis). Il procedimento di reclamo avanti al tribunale distrettuale civile si articolainvece in un uni-co grado di merito - posto che il co. 3 dell’art. 35-ter O.P. esplicitamente stabilisce che “il decreto che definisce il procedimento non è soggetto a reclamo” -, nonché, come è da ritenere, malgrado il silenzio della norma, ex art. 111, co. 7, cost., in un grado di legit-timità - sempre e solo - per violazione di leg-ge. Con circolare del 7.6.2014, questa Avvocatu-ra Generale aveva dato disposizioni in merito al riparto delle competenze tra gli Istituti pe-nitenziari e gli Uffici dell’Avvocatura dello Stato presenti sul territorio quanto alla trat-tazione dei reclami previsti dall’articolo 35-bis O.P. Con detta circolare questa Avvocatura gene-rale ha in sintesi osservato: 1. che, per il primo grado di giudizio, l’assenza di formalità relative alla costituzio-ne in giudizio (non è prevista per esempio la necessità della costituzione mediante il depo-sito di un fascicolo ovvero l’assistenza obbli-gatoria da parte dell’Avvocatura dello Stato) nonché l’alternativa tra la “comparizione” di un rappresentante dell’amministrazione e “la trasmissione di osservazioni e richieste” pre-vista dal comma 1 dello stesso art. 35-bis, in-ducono a ritenere che il procedimento in e-same non preveda la necessaria costituzione in giudizio a mezzo dell’Avvocatura dello Stato; sicché, salvo che per questioni di mas-sima di particolare importanza - per le quali può essere interessata l'Avvocatura dello Sta-to competente per territorio -, si è concluso che i vari Istituti penitenziari possano prov-vedere direttamente alla difesa in giudizio di-nanzi al Magistrato di sorveglianza, astenen-dosi dall’inviare il decreto di fissazione dell'udienza presso gli Uffici dell’Avvo-catura; 2. che, in caso di decisione sfavorevole del Magistrato di sorveglianza, salvo, ancora una volta, il caso di questioni di massima di particolare importanza,anche il reclamo al Tribunale possa essere proposto direttamente dalla Amministrazione; ciò, in quanto, in mancanza di una disciplina specifica per tale mezzo di impugnazione, deve ritenersi appli-cabile l’art. 680 cod. proc.pen. il quale pre-

vede – co. 3 - che per l'impugnazione dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza trovino applicazione le disposizioni generali sulle impugnazioni le quali, com’è noto, con-sentono la proposizione delle impugnazioni direttamente da parte dall’interessato o da parte del suo difensore (art. 571 c.p.p.); 3. che resta invece ferma la competenza e-sclusiva della Avvocatura dello Stato in caso di proposizione, ex art. 35-bis, co. 4 bis, O.P., di ricorso per cassazione avverso la decisio-ne resa dal tribunale di sorveglianza sul re-clamo proposto avverso un provvedimento del magistrato di sorveglianza. Tanto premesso è a chiedersi se le conclusio-ni - dianzi sinteticamente riassunte - cui si è pervenuti con riferimento al reclamo giuri-sdizionale disciplinato dall’art. 35-bis O.P. possano considerarsi tuttora valide a seguito dell’introduzione dell’ulteriore rimedio ora previsto dall’art. 35-ter per il caso di deten-zione non conforme ai criteri di cui all’art. 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Riesaminata la questione e salvo a diversa-mente determinarsi al sopravvenire di giuri-sprudenza di segno contrario, questo Genera-le ufficio ritiene che, allo stato, non sussista-no valide ragioni per deflettere dalle conclu-sioni in precedenza attinte, neppure limitata-mente al secondo grado del rimedio in que-stione. Con riferimento al primo grado del procedi-mento, nulla è infatti sostanzialmente mutato ragion per cui deve senz’altro ribadirsi che la mancata previsione, da un lato, di una forma-le costituzione in giudizio dell’ammini-strazione convenuta - la quale, a mente dell’art. 35-bis O.P. (sul punto non modifica-to dall’art. 35-ter O.P.), può a suo libito al-ternativamente o congiuntamente comparire e/o trasmettere osservazioni e richieste - e, dall’altro, la mancata prescrizione di un ob-bligo di difesa tecnica, inducono a ritenere che il procedimento in esame non richieda la necessaria costituzione in giudizio a mezzo dell’Avvocatura dello Stato: la quale, peral-tro, come chiarito nella circolare citata, può tuttavia intervenire, su richiesta dell’ammini-strazione penitenziaria o di sua iniziativa, ogniqualvolta ricorrano questioni di massima di particolare importanza che impongano o

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Gazzetta Amministrativa -126- Numero 1 - 2015

consiglino la sua diretta partecipazione al procedimento. Relativamente al secondo grado - rispetto al quale la questione della rappresentanza ed assistenza tecnica presenta indubbiamente profili di evidente, intuibile, maggiore delica-tezza - si ritiene parimenti, e con riserva di successivo riesame, di confermare, allo stato, le già impartite direttive. Fermo restando che il problema si pone solo ed esclusivamente riguardo al procedimento rientrante nella competenza giurisdizionale della magistratura di sorveglianza - posto che il procedimento di competenza del giudi-ce civile si articola in un unico grado di meri-to -, questa Avvocatura generale rammenta che con la circolare in precedenza citata si era espresso l’avviso che, per effetto del rin-vio alle disposizioni generali sulle impugna-zioni operato dall’art. 680, co. 3, c.p.p. - il quale disciplina l’impugnazione dei provve-dimenti del magistrato di sorveglianza relati-vi alle misure di sicurezza e in tema di delin-quenza qualificata -, dovesse ritenersi estesa alla materia in esame anche la norma di cui all’art. 571 cod. proc. pen. la quale, com’è noto, consente all’imputato di proporre l’impugnazione anche personalmente, senza necessità, quindi, del ministero tecnico di un difensore (comma 1). E poiché il complesso normativo di cui agli artt. 35-bis e 35-ter O.P. rinvia a sua volta, quanto al procedimento relativo al reclamo, alle disposizioni di cui agli art. 666 e 678 cod. proc. pen. e, quindi, relativamente al procedimento di appello, alla norma di cui all’art. 680 cod. proc. pen., su tali basi si era perciò concluso che analoga facoltà di impu-gnazione e difesa diretta in fase di reclamo competesse all’Amministrazione penitenzia-ria. A tali considerazioni, da ritenersi tuttora va-lide, può qui aggiungersi che l’art. 680, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che av-verso i provvedimenti del magistrato di sor-veglianza concernenti le misure di sicurezza “possono proporre appello il pubblico mini-stero, l’interessato e il difensore”. La disposizione riconosce dunque una legit-timazione autonoma e concorrente all’impu-gnazione sia - personalmente - al destinatario della misura di sicurezza o della dichiarazio-

ne di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere (ovvero, ex art. 666, comma 8, cod. proc. pen., al di loro tutore o curatore se infermi di mente) - sia al difenso-re dei medesimi soggetti, legittimazione auto-noma e concorrente confermata, quanto al ricorso per cassazione, dall’art. 666, co. 6, c.p.p. E poiché il termine “interessato”, im-piegato dalla disposizione all’esame, è di una genericità e latitudine tale da consentire di ricomprendere in esso non soltanto - secondo l’originaria, limitata accezione codicistica - colui al quale è stata applicata una misura di sicurezza o gli altri soggetti sopra indicati, ma anche - in via di interpretazione evolutiva - ogni altro soggetto, diverso dal pubblico ministero, che, come il detenuto reclamante ex artt. 35-bis e 35-ter O.P. o come l’Amministrazione penitenziaria reclamata, sia parte necessaria del procedimento disci-plinato dagli artt. 678 e segg. del codice di rito penale per effetto di normative sopravve-nute che quel procedimento abbiano succes-sivamente esteso ad altre materie, è ragione-vole concludere che anche l’ammi-nistrazione penitenziaria possa interporre re-clamo avverso la decisione del magistrato di sorveglianza direttamente e senza necessità del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. Peraltro, ove si opinasse diversamente, do-vrebbe necessariamente concludersi, per il principio di parità delle parti nel processo e, ancor prima, per evidenti ragioni di coerenza logica, che l’obbligo di difesa tecnica nella fase di gravame del procedimento di reclamo ex artt. 35-bis e 35-ter O.P. riguarderebbe, in pari misura, sia l’Amministrazione peniten-ziaria convenuta sia il detenuto attore. Né a diverse conclusioni è suscettibile di in-durre il recente arresto di cui a Cass., Sez. un., 17.11.2014, n. 47239 che, com’è noto, ha affermato il principio di diritto secondo il quale “la mancanza della procura speciale ai sensi dell’art. 100 cod. proc. pen. delle parti private diverse dall’imputato al difensore non può essere sanata, previa concessione di un termine da parte del giudice, ai sensi dell’art. 182, co. 2 c.p.c.., ma comporta l’inammis-sibilità dell’impugnazione”. La pronunzia, resa in riferimento a ricorso per cassazione ex art. 325 c.p.p. proposto, nell’ambito di un procedimento di prevenzio-

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Gazzetta Amministrativa -127- Numero 1 - 2015

ne patrimoniale ex l. 31 maggio 1965, n. 575, dal difensore, privo di procura speciale, del terzo assoggettato a provvedimento di confi-sca immobiliare, non pare infatti pertinente - riguardando essenzialmente lo jus postulandi del difensore - ai fini della soluzione della questione che ne occupa - concernente invece il diritto/potere della parte/Amministrazione penitenziaria di proporre l’impugnazione personalmente, senza l’assistenza di un pa-trocinatore -. L’art. 325 cod. proc. pen., il quale prevede e disciplina il ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia di misure cautelari reali emesse a norma degli artt. 322-bis e 324 cod. proc. pen. - disposizione applicabile anche alle impugnazioni proposte contro provvedi-menti che dispongono misure di prevenzione patrimoniale -, riconosce infatti il diritto di impugnazione, rispettivamente, al pubblico ministero, all’imputato (o al proposto) e al suo difensore nonché alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Il difensore della persona alla quale le cose sono state sequestrate e di quella che avrebbe diritto alla loro restituzione non ha dunque, a differenza del difensore dell’imputato (e del proposto), un autonomo e concorrente diritto di impugnazione. Inoltre, come afferma la Cassazione, questi soggetti processuali sono, al pari delle altri parti private diverse dall’imputato - parte civile, responsabile civi-le e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria -, gravati “dall’onere di patroci-nio”: con la conseguenza che essi, non solo -

come previsto, in termini generali, dall’art. 100, co. 1, cod. proc. pen. - debbono necessa-riamente stare in giudizio col ministero di un difensore - il quale, non essendo titolare, a differenza del difensore dell’imputato, di un autonomo diritto di impugnazione, può pro-porre appello o ricorso per cassazione solo se a ciò abilitato, a mezzo di procura specia-le, dalla parte rappresentata -, ma, a fortiori, non possono neppure, e a differenza, ancora una volta, dall’imputato, proporre personal-mente l’impugnazione. Diversamente, come s’è detto, l’art. 680, comma 1, cod. proc. pen. Riconosce una le-gittimazione autonoma e concorrente all’impugnazione sia agli ”interessati” - e, quindi, per quanto s’è detto in precedenza e per quanto qui rileva, anche alle parti (ne-cessarie) del procedimento di reclamo ex artt. 35-bis e 35-ter O.P. - sia al difensore di que-sti: di conseguenza, e a differenza delle altre parti private, gli “interessati” - e, quindi, an-che le parti del procedimento di reclamo ex artt. 35-bis e 35-ter O.P., Amministrazione penitenziaria compresa - possono proporre gravame, quantomeno di merito, anche per-sonalmente, senza necessità del patrocinio di un difensore tecnico. Nulla deve invece rite-nersi innovato in relazione al procedimento davanti alla Corte di cassazione per il quale resta ferma la competenza esclusiva dell’Avvocatura dello Stato. Sul presente parere è stato sentito, ai sensi dell’art. 26 della l. 3.4.1979, n. 103, il Comi-tato consultivo dell’Avvocatura dello Stato il quale si è espresso in conformità.

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Gazzetta Amministrativa -128- Numero 1 - 2015

CONTRATTI, SERVIZI PUBBLICI E CONCORRENZA

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI VIOLAZIONI DEL CODICE DELLA STRADA: G.U. L' AGGIORNAMENTO DEGLI IMPORTI DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE PECUNIARIE È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 31.12.2014 il decreto del Ministero della Giustizia recante "Aggiornamento degli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti a violazioni al codice della strada, ai sensi dell´art. 195 del d. lgs. 30.4.1992, n. 285". In base all´art. 1 del decreto "La misura delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal d. lgs. 30.4.1992, n.285, recante il Nuovo Codice della strada e successive modifiche e integrazioni, e´ aggiornata secondo la tabella I figurante in allegato al presente decreto. 2. Dall´adeguamento di cui al comma 1 sono escluse le sanzioni amministrative pecuniarie previste dall´art.115, co. 3, 2° periodo e co. 4, e degli artt. 116, 124, 125, 126, 135 e 136-bis del d. lgs. 30.4.1992, n.285, e norme correlate, come introdotte o modificate dalle disposizioni del d. lgs 18.4.2011, n. 59, come modificate con d. lgs 16.1.2013, n.2, riportate nella tabella II in allegato al presente decreto (Decreto del Ministero della Giustizia del 16.12.2014 in G.U. Serie Generale n. 302 del 31.12.2014).

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ANTICORRUZIONE: UNIFICATA LA CASELLA DI POSTA ELETTRONICA DELL’AUTORITÀ

Dal 1.1.2015 la sola casella istituzionale di

posta elettronica certificata (PEC) dell’Autorità è [email protected], valida anche per le comunicazioni in materia di contratti pubblici e per quelle relative alle attività svolte dalla soppressa AVCP. La casella [email protected] dal 31.12.2014 non è più attiva (Avviso Anac del 5.1.2015).

«::::::::: GA :::::::::» CONTRATTI PUBBLICI: PUBBLICATA LA DETERMINAZIONE N. 3/15 SUI RAPPORTI TRA SOGGETTO AG-GREGATORE E LA STAZIONE UNICA APPALTANTE L´Autorità Nazionale Anticorruzione ha pubblicato in data 9.3.2015 la determinazione n. 3 del 25.2.2015 con la quale si affronta la tematica dei rapporti tra l´istituto del Soggetto aggregatore (e della centrale unica di committenza) e quello della stazione unica appaltante (SUA). Più in particolare è trattata la relazione sussistente tra l’adempimento dell’obbligo prescritto dall’art. 33, co. 3-bis del Codice e l’adesione alla SUA, laddove già istituita, verificando il duplice effetto che si produrrebbe, vale a dire di soddisfare contemporaneamente sia le finalità per cui, ai sensi dell’art. 13 della l. 13.8.2010, n. 136 è istituita la SUA (assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della gestioe dei contratti pubblici e prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose) sia le finalità di contenimento della spesa pubblica, sottese

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Gazzetta Amministrativa -129- Numero 1 - 2015

alla disposizione di cui al citato co. 3-bis. La determinazione affronta, altresì, una serie di tematiche connesse all´applicazione di quest´ultimo comma, così come di recente

novellato e appena entrato in vigore per quanto riguarda i servizi e le forniture (Determinazione Anac n. 3/2015).

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Gazzetta Amministrativa -130- Numero 1 - 2015

REDAZIONALI

INCERTEZZA DEL CONTENUTO DELL’OFFERTA: IL CASO DELLA MANCATA INDICAZIONE DEI COSTI DA INTERFERENZE E COSTI AZIENDALI dell’Avv. Salvatore Napolitano

L’Adunanza Plenaria risolve il contrasto giurisprudenziale e si pronuncia sull’obbligo per un’impresa concorrente di indicare nell’offerta i costi aziendali anche se tale requisito non è spe-cificato nel bando di gara. The Plenary Conference resolves the conflict of case law and pronounce on the requirement for a competitor of the tender business costs even if this requirement is not specified in the contract no-tice. Sommario: 1. Le questioni oggetto dell’ordinanza di rimessione 2. Il contrasto giurisprudenziale. 3. L’Adunanza Plenaria del 20.03.2015, n. 3.

1. Le questioni oggetto dell’ordinanza di rimessione.

Con l’ordinanza 16.1.2015, n. 88, la V se-zione del Consiglio di Stato, chiamata a pro-nunciarsi per l’annullamento della sentenza del TAR Campania - Napoli, ha deferito la questione all’Adunanza Plenaria ritenendo che il giudizio imponesse, a causa di orienta-menti giurisprudenziali contrastanti, l’esame di due questioni fondamentali.

In primo luogo, la questione di diritto rela-tiva all’interpretazione dell’art. 87, co. 4, del d. lgs. n. 183/2006, in particolare se la mede-sima norma sia applicabile solo al settore dei servizi e forniture o anche a quello dei lavori pubblici; in secondo luogo, se la sanzione dell’esclusione debba essere comminata an-che laddove l’obbligo di specificazione degli oneri non sia stato prescritto dalla normativa di gara e se ai fini della soluzione, possa ave-re rilievo la peculiarità della fattispecie, data dalla circostanza che viene in rilievo un ap-palto integrato, caratterizzato dall’affida-mento congiunto della progettazione esecuti-va e dell’esecuzione dei lavori sulla base di un progetto definitivo predisposto dalla sta-

zione appaltante. Relativamente al primo quesito,

l’ordinanza di rimessione precisa che, ai sensi dell’art. 87, co. 4, del d.lgs. n. 163/2006, non sono ammesse giustificazioni in relazione ai piani di sicurezza disciplinati dall’art. 131 del medesimo d.lgs. nonché al piano di sicurezza e coordinamento (PSC) di cui all’articolo 12, d. lgs. 14.8.1996, n. 494 e alla relativa stima dei costi conforme all’art. 7, d.P.R. 3.7.2003, n. 222.

L’art. 87, co. 4, inoltre, dispone che in rife-rimento alla valutazione dell’anomalia, la sta-zione appaltante è tenuta a considerare i costi relativi alla sicurezza, che devono essere spe-cificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture.

In via preliminare, il Consiglio di Stato chiarisce che i costi relativi alla sicurezza si distinguono in due tipologie, i costi da inter-ferenze, disciplinati dagli art. 26, coo. 3-3 ter-5, del d.lgs. n. 81/2008, art. 86, co. 3 ter, art. 87, coo. 4 e art. 131 del codice dei contratti; e i costi interni, detti anche aziendali, discipli-nati, invece, dall’art. 26, co. 3, quinto perio-

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Gazzetta Amministrativa -131- Numero 1 - 2015

do, del d.lgs. n. 81/2008, dagli artt. 86, co. 3 bis, e 87, co. 4, secondo periodo, del codice degli appalti.

Per quanto concerne i costi da interferenza, questi servono a eliminare i rischi prodotti dal contatto rischioso tra il personale del commit-tente e quello dell’appaltatore, oppure tra il personale di imprese diverse che operano nel-la stessa sede aziendale con contratti differen-ti. I costi da interferenza sono, pertanto, quan-tificati a monte dalla stazione appaltante, nel D.U.V.R.I - documento unico per la valuta-zione dei rischi da interferenze, e nel PSC - piano di sicurezza e coordinamento, per gli appalti di lavori; infine, i costi da interferenze non sono soggetti a ribasso, poiché ontologi-camente diversi dalle prestazioni stricto sensu oggetto di affidamento.

I costi interni, invece, sono i costi sostenu-ti dall’impresa appaltatrice per la realizzazio-ne dello specifico appalto e sono sostan-zialmente contemplati nel DVR - documento di valutazione dei rischi - pertanto, tale tipo-logia di costi varia da un’impresa all’altra in quanto strettamente connessi all’organizza-zione produttiva della singola impresa.

Esemplificando, i costi da interferenze so-no predeterminati rigidamente dalla stazione appaltante e non sono soggetti a ribasso, quindi la stazione appaltante non è tenuta ad effettuare alcuna valutazione specifica relati-vamente al valore economico dei costi da in-terferenze indicato nell’offerta della singola impresa; i costi aziendali, al contrario, im-pongono alla stazione appaltante di esaminare le incidenze dei costi stessi, secondo criteri di attendibilità e ragionevolezza, nella determi-nazione di quantità e valori su cui calcolare l’importo complessivo dell’appalto.

Quanto affermato trova riscontro nel com-binato disposto degli artt. 83, comma 3 bis e 87, comma 4, del codice appalti, secondo cui “nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispet-to all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”.

Ciò premesso, il Consiglio di Stato ritiene necessario verificare se l’articolo 87, comma 4, riferito agli oneri di sicurezza aziendali,

sia prescrizione di respiro universale ovvero norma relativa ai soli appalti di servizi e di

forniture, cui si riferisce espressamente l’inciso finale con il rinvio all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture.

Secondo i giudici amministrativi, la que-stione risulta controversa poiché l’art. 87, comma 4, primo periodo, ribadisce per tutti gli appalti che non sono ammesse giustifica-zioni in relazione agli oneri di sicurezza in conformità all’art. 131, nonché al piano di sicurezza e coordinamento…, il secondo pe-riodo, precisa, facendo riferimento esplicito questa volta solo ai settori dei servizi e delle forniture, che nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere spe-cificamente indicati nell’offerta e risultare congrui. Per tale ragione, si ritiene necessa-rio, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., rimettere la questione all’Adunanza Plenaria,

2. Il contrasto giurisprudenziale. L’Adunanza Plenaria, come accennato,

viene investita, in via preliminare,della que-stione di diritto relativa alla corretta interpre-tazione dell’art. 87, co. 4, del codice appalti, in particolare, come accennato, si tratta di pronunciarsi sulla possibile applicabilità an-che ai lavori, e non solamente ai servizi e for-niture, della suddetta disposizione, secondo la quale “non sono ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza in conformi-tà all’articolo 131, nonché al piano di sicu-rezza e coordinamento(…). Nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene

conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto

all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture.

In tal senso, i giudici amministrativi in se-duta plenaria, ripercorrono brevemente i due orientamenti giurisprudenziali contrastanti e-sistenti in quanto, secondo una prima inter-pretazione, di natura estensiva, è necessario porre l’attenzione su due elementi essenziali, la ratio della norma e la collocazione sistema-tica della disposizione in esame.

Per quanto riguarda la ratio della norma, l’obbligo imposto ai concorrenti di indicare

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Gazzetta Amministrativa -132- Numero 1 - 2015

fin dalla presentazione dell’offerta, l’inci-denza degli oneri di sicurezza aziendali, ha quale obiettivo di base la tutela della sicurez-za dei lavoratori - valore sociale di rilievo costituzionale - non solamente nel settore dei servizi e forniture, bensì anche in quello dei lavori pubblici, trattandosi quest’ultimo di un ambito in cui l’utilizzo di personale non qua-lificato moltiplica esponenzialmente la possi-bilità di infortuni gravi.

Tale interpretazione estensiva della norma, come accennato, pare avvallata anche dalla relativa collocazione sistematica, poiché si tratta di una norma inserita nella parte del co-dice dedicata ai “Contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”.

In questo modo, la norma consente alla stazione appaltante di adempiere al suo onere di verificare il rispetto di norme inderogabili poste a tutela dei fondamentali interessi dei lavoratori, in alcun modo rilevando che la lex specialis di gara non abbia indicato espres-samente, quale requisito essenziale per la par-tecipazione alla gara, l’indicazione degli one-ri aziendali.

Secondo una diversa interpretazione giuri-sprudenziale, più restrittiva, l’art. 87, co. 4, del d.lgs. n. 163/2006, prevede l’obbligo di indicare nell’offerta gli oneri di sicurezza a-ziendali esclusivamente nel settore dei servizi e forniture a causa della “speciale disciplina normativa riservata agli appalti di lavori, che appunto si connota per l’analisi preventiva dei costi della sicurezza aziendale, che a sua volta si spiega alla luce della maggiore ri-schiosità insita nella predisposizione dei can-tieri” .

Ne consegue, quindi, che l’obbligo di di-chiarare, a pena di esclusione, i costi per la sicurezza interna previsto dall’art. 87, co. 4, d. lgs. n. 163/2006 si applica alle sole proce-dure di affidamento di servizi e forniture. In questo modo, secondo tale orientamento, la quantificazione degli oneri di sicurezza a-ziendali è rimessa al piano di sicurezza e co-ordinamento ex art. 100 d.lgs. n. 81/2008 predisposto dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 131 del codice dei contratti.

3. La soluzione espressa dall’Adunanza

Plenaria del 20.03.2015, n. 3.

Secondo l’Adunanza Plenaria, l’art. 87, comma 4, del d.lgs. n. 163/2006, deve essere applicato sia al settore dei servizi e forniture che a quello dei lavori pubblici. In tal senso, la tesi secondo la quale l’obbligo per le im-prese di indicare i costi di sicurezza aziendali si applichi solo al settore dei servizi e fornitu-re, e non a quello dei lavori pubblici, non è condivisibile per due ordini di ragioni; innan-zitutto perché il Piano di sicurezza e control-lo, c.d. PSC, che secondo una giurisprudenza quantificherebbe i costi aziendali che devono sostenere le imprese, si riferisce, in realtà, ai costi di sicurezza che la stazione appaltante provvede a quantificare a monte della proce-dura di affidamento, con particolare riferi-mento alle interferenze e non alla quantifica-zione dei costi aziendali delle imprese.

Infatti, l’art. 100 del d.lgs. n. 81/2008, prevede che <<Il committente o il responsa-bile dei lavori trasmette il piano di sicurezza e di coordinamento a tutte le imprese invitate a presentare offerte per l’esecuzione dei la-vori>> e, relativamente al settore dei lavori pubblici, stabilisce che << in caso di appalto di opera pubblica si considera trasmissione <<la messa a disposizione del piano a tutti i concorrenti alla gara di appalto>>.

Il PSC, secondo quanto stabilito dal mede-simo decreto legislativo, deve essere quindi redatto da parte del coordinatore per la pro-gettazione, designato dal committente nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici.

Si perviene alla medesima soluzione, se si considera il disposto dell’art. 131 del codice degli appalti, il quale dispone, relativamente alla fase di intervenuta aggiudicazione, che l’appaltatore o il concessionario, entro i trenta giorni successivi e comunque prima della consegna lavori, consegna alle amministra-zioni aggiudicatrici e ai soggetti aggiudicatori un piano operativo di sicurezza, c.d. POS, per quanto riguarda << le proprie scelta autono-me e relative responsabilità nell’organiz-zazione del cantiere e nell’esecuzione dei la-vori, da considerare come piano complemen-tare di dettaglio del piano di sicurezza e di coordinamento…>>.

Non risultano, quindi, disposizioni norma-tive che precludono alle imprese concorrenti

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Gazzetta Amministrativa -133- Numero 1 - 2015

nell’ambito di una gara per l’affidamento dei lavori pubblici, l’indicazione dei costi interni all’interno dell’offerta.

E’ opportuno, invece, secondo i giudici amministrativi in seduta plenaria, osservare che l’obbligo per le imprese concorrenti nel settore dei lavori pubblici di indicare nell’offerta i costi aziendali, sebbene non e-spressamente desumibile dal legislatore, si evince da un’interpretazione sistematica delle norme che regolano la materia, infatti, sia l’art. 26, co. 6, del d.lgs. n. 81 del 2008, sia l’art. 86, co. 3 bis, del codice degli appalti, dispongono che “Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economi-co sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle ca-ratteristiche dei servizi o delle forniture”. D’altra parte, l’art. 87, co. 4, secondo perio-do, del codice dispone, come visto sopra, che “nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispet-to all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”.

Ebbene, laddove ci si limitasse ad un’interpretazione letterale delle norme sopra citate, si osserverebbe che l’art. 26, co. 6, e 86, co. 3 bis, del codice appalti sembrano fare riferimento, per l’indicazione dei costi in qualsiasi tipo di appalto, solamente agli enti aggiudicatori, mentre l’art. 87, co. 4, sembra richiamare, per la valutazione dell’anomalia, l’indicazione nelle offerte dei costi per la si-curezza soltanto nel settore degli appalti di servizi e forniture. Tale lettura risulterebbe viziata palesemente da illogicità, poiché ob-bligherebbe le stazioni appaltanti a considera-re e specificare l’insieme dei costi della sicu-rezza al momento di determinazione del valo-

re economico di tutti gli appalti per non im-porre ai concorrenti, relativamente al settore dei lavori pubblici, un identico obbligo di in-dicazione nelle offerte dei loro costi specifici il cui calcolo, infine, emergerebbe soltanto in via eventuale, nella non indefettibile fase del-la valutazione dell’anomalia, analogamente non si ritiene condivisibile la ratio di non prescrivere la specificazione dei detti costi per le offerte di lavori, nella cui esecuzione i rischi per la sicurezza sono normalmente i più elevati.

In altri termini, qualora si aderisse alla se-conda interpretazione giurisprudenziale, si ri-schierebbe di favorire una lettura delle norme che si pone in netto contrasto con la tutela della sicurezza del lavoro, valore di evidente rilievo costituzionale.

Alla luce di quanto sopra, si ritiene che l’unica lettura possibile sia quella secondo la quale l’obbligo di indicazione specifica dei costi di sicurezza aziendali deve essere assol-to solamente dal concorrente, in quanto unico soggetto in grado di valutare l’incidenza di alcuni elementi sulla capacità organizzativa e operativa della singola impresa. Inoltre, se non venisse imposto ai concorrenti di una ga-ra di lavori pubblici di indicare specificamen-te i costi aziendali, non si avrebbero indica-zioni specifiche ai fini della valutazione di anomalia dell’offerta inficiando così il giudi-zio finale della gara.

Da tutto quanto sopra rappresentato, ne de-riva che l’omessa specificazione nelle offerte per lavori dei costi di sicurezza interni confi-gura un’ipotesi di <<mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codi-ce>> tale da generare un’incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta per difetto di un e-lemento essenziale e comporta - così rispon-dendo al secondo quesito posto dall’ordi-nanza di rimessione - l’esclusione dalla pro-cedura di gara dell’offerta difettosa per inos-servanza di un precetto a carattere imperativo che impone un determinato adempimento ai partecipanti alla gara, ai sensi dell’art. 46, co. 1 bis, del codice appalti.

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Gazzetta Amministrativa -134- Numero 1 - 2015

I LIMITI OGGETTIVI DI AMMISSIBILITÀ ALLE VARIAN-TI PROGETTUALI IN SEDE DI GARA della Dott.ssa Tiziana Molinaro

L’istituto delle varianti in sede di gara e i limiti di ammissibilità alla luce delle linee guida fissate dalla giurisprudenza. The Institute of variants in the tender and limits for eligibility in the light of the guidelines set by the law. Sommario: 1. La disciplina del codice appalti 2. Limiti oggettivi di ammissibilità delle varianti in sede di gara 3. Differenze fra soluzioni migliorative e varianti in sede di offerta: sentenza del Consiglio di Stato del 9.9.2014, n. 4578.

1. La disciplina del codice appalti. Come noto, il codice degli appalti discipli-

na, all’art. 76, co. 1, l’istituto delle varianti progettuali in sede di offerta, racchiudendo in un’unica disposizione sia norme comunitarie (artt. 24 Dir. 2004/18 e 36 Dir. 2004/17) sia nazionali (art. 20 d.lgs. n. 358/92 e 24 d.lgs 157/95), infatti la disposizione prevede che “Quando il criterio di aggiudicazione è quel-lo dell’offerta economicamente più vantag-giosa, le stazioni appaltanti possono autoriz-zare gli offerenti a presentare varianti”.

Le varianti presentate in sede di offerta si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzio-nale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazio-ne appaltante avente ad oggetto a) la preven-tiva autorizzazione nel bando di gara a pre-sentare varianti al progetto nella documenta-zione contenente l’offerta; b) l’individuazione dei relativi requisiti minimi disciplinanti i li-miti entro i quali l’opera proposta dal concor-rente rappresenta un aliud rispetto a quella prefigurata dall’amministrazione appaltante, sebbene consentito.

La norma dispone, infatti, al comma 2, che “le stazioni appaltanti precisano nel bando di gara se autorizzano o meno le varianti; in mancanza di indicazione le non varianti sono autorizzate”.

Per quanto concerne l’ambito di applica-zione, occorre evidenziare, come agevolmen-te desumibile dal tenore della norma, che

condicio sine qua non per l’esercizio della fa-coltà di autorizzare le varianti è l’adozione del criterio di aggiudicazione dell’offerta e-conomicamente più vantaggiosa, quindi l’adozione di una procedura valutativa com-plessa che prescinda da criteri di selezione contraddistinti da meccanicismi, quale il cri-terio del prezzo più basso.

L’istituto della variante in sede di offerta configura, quindi, un’integrazione dell’og-getto contrattuale originario e, per questo mo-tivo, non può riguardare lavori che eccedono questo ambito, poiché risponde all’esclusiva esigenza del committente di perseguire la completezza dell’intervento intrapreso.

2. Limiti oggettivi di ammissibilità delle

varianti in sede di gara. Una volta che la stazione appaltante abbia

autorizzato, all’interno del bando di gara, la presentazione di varianti progettuali, essa ha la possibilità di selezionare l’appaltatore esa-minando il complesso delle proposte miglio-rative secondo il canone della discrezionalità tecnica e del criterio, sopra accennato, dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Inoltre, la stazione appaltante dovrà indi-care espressamente i limiti cui gli operatori economici dovranno attenersi al fine di non mutare l’oggetto dell’appalto.

Ebbene, in linea generale, il principio che va osservato è quello della garanzia della par condicio tra i concorrenti, la stazione appal-tante, quindi, non potrà ammettere offerte che

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presentino varianti che alterano in misura ri-levante le caratteristiche strutturali, prestazio-nali e funzionali dell’opera.

A tal proposito, la giurisprudenza ha cerca-to di fissare dei criteri guida specifici:

a) si ammettono varianti migliorative ri-guardanti le modalità esecutive dell’opera o del servizio, purché non si traducano in una differente ideazione dell’oggetto del contrat-to, che si ponga come del tutto alternativo ri-spetto a quello voluto dall’Amministrazione;

b) è essenziale che la proposta tecnica sia migliorativa rispetto al progetto base, che l’offerente dia contezza delle ragioni che giu-stificano l’adattamento proposto e le varia-zioni alle singole prescrizioni progettuali, che si dia la prova che la variante garantisca l’efficienza del progetto e le esigenze dell’Amministrazione sottese alla prescrizio-ne variata;

c) viene lasciato un ampio margine di di-screzionalità alla commissione giudicatrice, trattandosi dell’ambito di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggio-sa1.

Pur considerando le linee guida fissate dal-la giurisprudenza, è essenziale, ai sensi dell’art. 76, co. 3 e 4, del codice appalti, che il bando di gara ed i relativi allegati tecnici indichino con precisione e chiarezza i confini entro i quali devono collocarsi le eventuali varianti al progetto preliminare o definitivo, infatti, la norma stabilisce che “le stazioni appaltanti che autorizzano le varianti men-zionano nel capitolato d’oneri i requisiti mi-nimi che le varianti devono rispettare, nonché le modalità per la loro presentazione. Esse prendono in considerazione soltanto le va-rianti che rispondono ai requisiti minimi da esse prescritti” .

3. Differenze fra soluzioni migliorative e

varianti in sede di offerta: sentenza del Consiglio di Stato del 9.9.2014, n. 4578.

Esaminata la disciplina relativa alle varian-ti in sede di offerta, occorre chiarire che il re-gime giuridico è del tutto differente se l’offerta presentata dall’impresa in sede di ga-

1 CdS, V, 29.3.2011, n. 1925; CdS, V, 12. 2. 2010, n. 743

ra non contiene varianti, bensì mere soluzioni migliorative del progetto.

Le soluzioni migliorative possono essere applicate a tutti gli aspetti tecnici lasciati a-perti dalla stazione appaltante a differenti so-luzioni, secondo quanto definito nel progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione dal punto di vista tecnico, mentre le varianti apportano modifiche strutturali e funzionali al progetto tali da rendere necessaria una pre-ventiva autorizzazione della stazione appal-tante nel bando di gara.

Tale sostanziale differenza è stata di recen-te affrontata dai giudici di Palazzo Spada, i quali con la sentenza del 9.9.2014, n. 4578, hanno ribadito, nel solco di una giurispruden-za costante in materia, che le soluzioni mi-gliorative si differenziano dalle varianti in quanto le prime possono liberamente espli-carsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazio-ne dal punto di vista tecnico, salva la immo-dificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall’Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del pro-getto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è neces-saria una manifestazione di volontà della sta-zione appaltante, mediante preventiva auto-rizzazione contenuta nel bendo di gara e l’individuazione dei relativi requisiti minimi.

Al fine di superare la questione dell’individuazione del discrimen tra variante al progetto posto a base di gara e proposta migliorativa del progetto posto a base di gara, si ritiene sufficiente fare riferimento ai criteri guida elaborati dalla giurisprudenza secondo i quali la variante in sede di gara sarebbe am-messa solo se prevista dalla lex specialis mentre le soluzioni migliorative sarebbero sempre ammesse2.

In realtà, l’Autorità di vigilanza sui con-tratti pubblici (oggi Autorità nazionale Anti-corruzione) ha chiarito3 che una simile distin-zione non pare avere effetti in concreto, in quanto la lex specialis deve specificare non solo se la variante è o non è ammessa, ma an- 2 CdS., V, 16. 5. 2008, n. 3481. 3 Determinaz. Avcp n. 5 del 2011 e parere sulla normiva del 13.3.2012 – Reg. 25/2011

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che quali sono i limiti entro i quali, se am-messa nel bando di gara, essa deve essere of-ferta. Detti limiti, possono essere stabiliti in positivo o in negativo, nel senso che è am-missibile sia indicare quale migliorie sono

possibili - perché d’interesse della stazione appaltante - sia stabilire quali migliorie non possono essere proposte - in quanto non di in-teresse della stazione appaltante.

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CRITERI INTERPRETATIVI IN ORDINE ALLE DISPOSI-ZIONI DELL’ART. 38, CO. 2 BIS E DELL’ART. 46, CO. 1 TER DEL D.LGS. 12.4.2006, N. 163 dell’Avv. Maurizio Dell’Unto

Le irregolarità negli appalti dopo le modifiche introdotte dal d.l. 24.6.2014 n. 90. The irregularities in the procurement after the changes introduced by Decree-Law 24 June 2014 n. 90. Sommario: 1. Premessa. 2. Oneri dichiarativi e nuovo co. 2 bis dell’art. 38 del Codice. 2.1 Irre-golarità essenziali degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al co. 2 bis dell’art. 38 del Codice stipula del contratto d’appalto - 2.2 applicazione della sanzione. 3. Nuovo soccorso istruttorio ex art. 46, co. 1- ter del Codice. 3.1 Impatto del “nuovo” soccorso istruttorio sulla di-sciplina delle cause tassative di esclusione. 3.2 Carenze ed irregolarità essenziali sanabili (e non). 3.2.1. Irregolarità concernenti gli adempimenti formali di partecipazione alla gara. 3.3 Al-tre irregolarità concernenti elementi e dichiarazioni che devono essere prodotte in base alla leg-ge, al bando o al disciplinare.

1. Premessa. A seguito delle modifiche introdotte agli

articoli 38 e 46 del d. lgs. n. 163 del 12.4.2006 (di seguito solo Codice), ad opera del d.l. 24.6.2014, n. 90, convertito in l 11.8.2014, n. 114, l’Autorità ha inteso dettare dei criteri interpretativi per dirimere i dubbi che possono sorgere dalla concreta applica-zione di tali norme.

Si ricorderà che la novella legislativa ha inserito nell’art. 38 del Codice, il nuovo co. 2 bis, ai sensi del quale «la mancanza, l'incom-pletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore del-la stazione appaltante, della sanzione pecu-niaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superio-re all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a € 50.000, il cui versamento è garantito dalla cauzione prov-visoria. In tal caso, la stazione appaltante as-segna al concorrente un termine, non supe-riore a dieci giorni, perché siano rese, inte-grate o regolarizzate le dichiarazioni neces-sarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolari-tà non essenziali ovvero di mancanza o in-

completezza di dichiarazioni non indispen-sabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna san-zione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara. Ogni variazione che in-tervenga, anche in conseguenza di una pro-nuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclu-sione delle offerte non rileva ai fini del cal-colo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte».

Nell’art. 46 del Codice è stato, invece, in-serito il co. 1 ter, il quale ha precisato che «le disposizioni di cui all’art. 38, co. 2 bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incom-pletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che de-vono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di ga-ra».

Tali norme hanno la finalità di superare le incertezze interpretative ed applicative del combinato disposto degli artt. 38 e 46 del Co-dice mediante la procedimentalizzazione del soccorso istruttorio, che diventa doveroso per ogni ipotesi di omissione o di irregolarità de-gli elementi e delle dichiarazioni rese in gara

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e la configurazione dell’esclusione dalla gara come sanzione unicamente legittimata dal-l’omessa produzione, integrazione, regola-rizzazione degli elementi e delle dichiarazioni carenti, entro il termine assegnato dalla sta-zione appaltante.

L’Autorità ha tuttavia rilevato che la for-mulazione delle disposizioni introdotte dall’art. 38 necessitasse di chiarimenti relati-vamente alla qualificazione delle irregolarità essenziali e di quelle non essenziali e di come esse si coordinassero con le cause tassative di esclusione che non sono state modificate dal-la nuova normativa.

2. Oneri dichiarativi e nuovo co. 2 bis

dell’art. 38 del Codice. L’Autorità, dopo aver ricordato il dibattito

giurisprudenziale in tema di possesso dei re-quisiti morali per poter partecipare alle gare ed in ordine alla relativa dichiarazione atte-stante tale possesso da parte del concorrente, ha sottolineato come tale dibattito debba rite-nersi in parte superato, alla luce della nuova disposizione di cui al co. 2 bis dell’art. 38 del Codice. Si è visto, difatti, che la novella legi-slativa commina una sanzione pecuniaria in caso di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al co. 2 del citato art. 38 e che al concorrente è asse-gnato un termine, non superiore a dieci gior-ni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie. Invece, per quanto attiene le irregolarità non essenziali o nel caso di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica al-cuna sanzione.

Quindi, in ipotesi di irregolarità essenziali, la stazione appaltante non procederà all’esclusione del concorrente ma all’applica-zione di una sanzione pecuniaria con conte-stuale invito a sanare tali irregolarità entro un dato termine; solo ove tale termine venga elu-so si procederà all’esclusione del concorrente dalla gara. Come sottolineato dall’Autorità, la finalità della modifica legislativa è senza dubbio quella di evitare l’esclusione dalla ga-ra per mere carenze documentali, prevedendo un’istruttoria veloce preordinata ad acquisire

la completezza delle dichiarazioni. Sulla base di tale disposizione, pertanto, ai fini del-la partecipazione alla gara, assume rilievo l’effettiva sussistenza dei requisiti di ordine generale in capo ai concorrenti e non le for-malità né la completezza del contenuto della dichiarazione resa a dimostrazione del pos-sesso degli stessi.

2.1. Irregolarità essenziali degli elemen-ti e delle dichiarazioni sostitutive di cui al co. 2 bis dell’art. 38 del Codice.

La norma, tuttavia, non specifica né il con-cetto di essenzialità delle predette irregolarità, né quello della non indispensabilità delle di-chiarazioni carenti.

E’, pertanto, rimesso alle singole stazioni appaltanti il compito di individuare i casi nei quali è consentita la produzione, l’integra-zione e la regolarizzazione degli elementi e delle dichiarazioni di cui all’art. 38, coo. 1 e 2.

Tuttavia, tale circostanza potrebbe dar luogo a comportamenti disomogenei, in quan-to una stessa fattispecie potrebbe essere trat-tata diversamente dalle amministrazioni.

L’autorità ha pertanto ritenuto necessario fornire un’interpretazione della norma che consenta un’applicazione uniforme della stessa, da parte delle stazioni appaltanti e de-gli operatori del settore.

Anzitutto l’Autorità ha sottolineato come sia ragionevole ritenere che con la nozione di irregolarità essenziale il legislatore abbia vo-luto riferirsi ad ogni irregolarità nella reda-zione della dichiarazione, oltre all’omissione e all’incompletezza, che non consenta alla stazione appaltante di individuare con chia-rezza il soggetto ed il contenuto della dichia-razione stessa, ai fini dell’individuazione dei singoli requisiti di ordine generale che devo-no essere posseduti dal concorrente e, in al-cuni casi, per esso dai soggetti specificamen-te indicati dallo stesso art. 38, co. 1, del Co-dice. Quindi, sono ritenute essenziali tutte quelle irregolarità che non rendono esplicito il contenuto delle dichiarazioni inerenti il possesso dei requisiti o che incerta l’identificazione del soggetto che le rende.

Devono considerarsi essenziali, tutte le ca-renze che riguardano l’impossibilità di stabili-

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re se il singolo requisito contemplato dal co. 1 dell’art. 38 sia posseduto o meno e da quali soggetti (indicati dallo stesso articolo).

In particolare ciò che si verifica nei casi in cui:

a) non sussiste dichiarazione in merito ad una specifica lettera del co. 1 dell’art. 38 del Codice;

b) la dichiarazione sussiste ma non da par-te di uno dei soggetti o con riferimento ad uno dei soggetti che la norma individua co-me titolare del requisito;

c) la dichiarazione sussiste ma dalla mede-sima non si evince se il requisito sia possedu-to o meno.

Ciò secondo quanto prescritto negli atti di gara ed in conformità alle modalità in essi specificatamente indicate. Qualora tuttavia la stazione appaltante richieda, nella lex specia-lis di gara, le singole dichiarazioni di cui all’art. 38, e da parte di tutti i soggetti ivi in-dicati, le stesse devono essere rese come ri-chiesto negli atti di gara.

Del resto la nuova disciplina del soccorso istruttorio può ritenersi implicita ammissione normativa della facoltà delle stazioni appal-tanti di richiedere in modo analitico, e da par-te di tutti i soggetti interessati dalla norma, le dichiarazioni di cui all’art. 38, co. 1 del Codi-ce.

Con riferimento all’omessa indicazione delle sentenze di condanna di cui al comma 1, lett. c) dell’art. 38 del Codice, l’Autorità ha sottolineato che la novella in esame non inci-de sulla disciplina delle false dichiarazioni in gara, che comunque è da ritenersi confermata.

Ai sensi dell’art. 38, co. 1 ter del Codice, ove la stazione appaltante accerti che il con-corrente abbia presentato una falsa dichiara-zione o una falsa documentazione, si dà luogo al procedimento definito nel citato comma 1-ter dell’art. 38 ed alla comunicazione del caso all’Autorità per l’applicazione delle sanzioni interdittive e pecuniarie fissate nella discipli-na di riferimento (art. 38, co. 1 ter e art. 6, co. 11, del Codice).

In particolare l’art. 38 co. 2 dispone che le sentenze di condanna devono essere dichiara-te espressamente.

L’omessa indicazione delle stesse, tuttavia, se avviene secondo modalità che integrino gli

estremi di una dichiarazione negativa del concorrente, laddove, invece, le stesse sussi-stano, integra gli estremi del falso in gara con tutte le implicazioni in termini di non sa-nabilità della dichiarazione resa (perché la stessa non sarebbe semplicemente mancante ovvero carente ma non corrispondente al ve-ro) e conseguente esclusione del concorrente dalla gara nonché segnalazione del caso all’Autorità.

Diversamente, se la dichiarazione relativa alla presenza delle sentenze di condanna è completamente omessa, ovvero se si dichiara di averne riportate senza indicarle, può essere richiesto rispettivamente di produrla o di in-dicare le singole sentenze riportate.

Con riferimento alla categoria della man-canza o l’incompletezza di dichiarazioni non indispensabili alle quali - come nel caso delle irregolarità non essenziali - non seguono sanzioni né obblighi di regolarizzazione da parte del concorrente, l’Autorità ha sottoline-ato che pur non essendovi menzione nella norma in esame, deve rilevarsi la possibilità che siano presenti irregolarità o carenze della dichiarazione che non possono considerarsi essenziali ma nel contempo non sussumibili neanche nella categoria delle non essenziali e non indispensabili, appalesandosi, invece come dichiarazioni o elementi esigibili da parte della stazione appaltante ai fini di una celere e certa verifica - in ossequio al princi-pio di buon andamento dell’azione ammini-strativa (art. 97 Cost.) - dell’autodichia-razione resa dal concorrente per l’ammissione alla gara.

In tal senso verrebbe dunque in rilievo un tertium genus che riguarderebbe, per lo più ipotesi di completamento o chiarimento delle dichiarazioni e dei documenti presentati, in ordine ai quali deve ritenersi possibile, per la stazione appaltante attivare il soccorso istrut-torio, senza irrogare alcuna sanzione pecu-niaria.

Tali irregolarità sarebbero non essenziali, pur afferendo ad elementi indispensabili se considerati sotto il profilo della celere e sicu-ra verifica del possesso dei requisiti di ordine generale in capo ai concorrenti, in un’ottica di buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa, e che la stazione

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appaltante può, in ogni caso, richiedere ai sensi dell’art. 46, co. 1 del Codice, non modi-ficato dalla nuova disciplina del soccor-so istruttorio.

Sulla base di tali indicazioni, pertanto, le stazioni appaltanti procederanno alla valuta-zione delle irregolarità essenziali e dell’indispensabilità degli elementi e delle di-chiarazioni di cui all’art. 38, secondo l’illustrato procedimento di cui al nuovo co. 2 bis del medesimo articolo, potendo esigere, senza sanzione alcuna, il completamento o l’integrazione delle dichiarazioni rese, tramite tutte quelle informazioni utili ad una celere definizione del procedimento di verifica del-le stesse autodichiarazioni rese.

2.2 Applicazione della sanzione. In ordine alla sanzione, l’Autorità indica

come il relativo importo debba essere fissato negli atti di gara. Con specifico riferimento agli appalti suddivisi in lotti, la sanzione deve essere commisurata all’importo del lotto per cui si concorre.

La sanzione dovrà avere un importo fisso ed uguale per ogni e qualsiasi irregolarità commessa e deve essere considerata in ma-niera onnicomprensiva. La sanzione è com-minata, inoltre, esclusivamente al soggetto le cui dichiarazioni sono carenti e devono essere integrate e/o regolarizzate, anche nel caso di presentazione dell’offerta da parte di RTI (che non costituisce soggetto diverso dai con-correnti) sia esso costituendo o costituito. La sanzione deve essere comminata anche all’impresa ausiliaria (in ipotesi di avvali-mento) qualora la stessa produca una dichia-razione ex art. 38 carente.

Per quanto riguarda il rapporto tra accordi quadro ed appalti specifici l’Autorità ha evi-denziato che la disciplina del soccor-so istruttorio, ivi compresa l’irrogazione della sanzione, riguarda la singola procedura di gara, pertanto, se l’accordo quadro prevede un successivo rilancio competitivo, la san-zione va applicata anche alle carenze essen-ziali relative alle dichiarazioni dell’appalto specifico. Nell’ipotesi in cui gli elementi es-senziali carenti non dovessero esser regola-rizzati invece, la stazione appaltante dovrà procedere all’esclusione del concorrente dal-

la gara. Per tale ipotesi la stazione appaltante dovrà espressamente prevedere nel bando che si proceda, altresì, all’incameramento della cauzione esclusivamente nell’ipotesi in cui la mancata integrazione dipenda da una carenza del requisito dichiarato.

All’incameramento, in ogni caso, non si dovrà procedere per il caso in cui il concor-rente decida semplicemente di non avvalersi del soccorso istruttorio.

L’Autorità ha inoltre sottolineato che l’aver previsto la cauzione provvisoria a ga-ranzia della sanzione, pone alcuni problemi applicativi.

Pone anzitutto problemi la circostanza che nella procedura ristretta la cauzione provviso-ria non venga presentata unitamente alla ri-chiesta di invito; tale circostanza è stata da taluni interpretata quale impedimento all’applicazione della sanzione nella procedu-ra in questione.

L’Autorità ha però sottolineato come la sanzione sia correlata alla omissione o alle irregolarità negli elementi o nelle dichiara-zioni resi sui requisiti di partecipazione ed è prevista per tutte le procedure di aggiudica-zione contemplate nel Codice, non preve-dendo la norma esclusioni o limitazioni del suo campo applicativo.

La sanzione in esame, pertanto, nelle ipo-tesi sopra indicate, potrà essere comminata anche nelle procedure nelle quali - almeno nella fase iniziale – non sia prevista la pre-sentazione della garanzia provvisoria.

L’Autorità ha inoltre specificato che la funzione di garanzia non determina comun-que un aumento dell’importo della cauzione provvisoria, fermo restando comunque l’obbligo di reintegrarla in caso di parziale escussione per il pagamento della sanzione a pena di esclusione dalla gara indicato nel bando dalle stazioni appaltanti.

3. Nuovo soccorso istruttorio ex art. 46, co. 1 ter del Codice.

L’Autorità ha ricordato i principi normati-vi e giurisprudenziali in tema di soccorso i-struttorio e relativamente al suo concreto am-bito di applicazione; nel senso che il soccorso istruttorio è stato pacificamente ammesso per chiedere chiarimenti, delucidazioni o aggior-

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namenti in ordine a documenti già presentati. Tuttavia, con la novella normativa intro-

dotta dall’art. 39 del d.l. 90/2014 conv. in l. 114/2014, i principi sopra enunciati sono stati superati, tanto da aver comportato un’inver-sione radicale di principio.

Infatti il richiamato decreto ha introdotto nell’art. 46 il co. 1 ter, in base al quale “le di-sposizioni di cui all'art. 38, co. 2-bis, si ap-plicano a ogni ipotesi di mancanza, incom-pletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in ba-se alla legge, al bando o al disciplinare di gara” .

L’inversione di principio che il legislatore ha quindi realizzato consiste dunque nel rite-nere sanabile qualsiasi carenza, omissione o irregolarità, con il solo limite intrinseco dell’inalterabilità del contenuto dell’offerta, della certezza in ordine alla provenienza del-la stessa, del principio di segretezza che presiede alla presentazione della medesi-ma e di inalterabilità delle condizioni in cui versano i concorrenti al momento della sca-denza del termine per la partecipazione alla gara.

3.1. Impatto del “nuovo” soccorso i-struttorio sulla disciplina delle cause tassa-tive di esclusione.

Nella determinazione in commento l’Autorità ha sottolineato la reale portata in-novativa del co. 1 ter dell’art. 46 del Codice, affermando che essa introduce del-le importanti novità sulla disciplina delle cau-se tassative di esclusione, di cui al comma 1-bis della stessa disposizione.

L’Autorità ritiene in particolare che la nuova norma consente, ora, che siano resi, in-tegrati o regolarizzati (nella fase iniziale della gara) anche gli elementi e le dichiarazioni (anche di terzi) prescritti dalla legge, dal bando o dal disciplinare di gara, la cui as-senza o irregolarità sotto la previgente disci-plina determinavano l’esclusione dalla gara.

Pertanto, ove vi sia un’omissione, incom-pletezza, irregolarità di una dichiarazione con carattere dell’essenzialità la stazione appal-tante non potrà più procedere direttamente all’esclusione del concorrente ma dovrà av-

viare il procedimento contemplato nell’art. 38, co. 2 bis del Codice, volto alla irrogazione della sanzione pecuniaria ivi prevista ed alla sanatoria delle irregolarità rilevate.

Dunque essenziali sono le irregolarità che attengono a dichiarazioni ed elementi inerenti le cause tassative di esclusione, previste nel bando, nella legge o nel disciplinare di gara, in ordine alle quali non è più consentito pro-cedere ad esclusione del concorrente prima della richiesta di regolarizzazione da parte della stazione appaltante, fatta eccezione per quelli che afferiscono all’offerta nei termini sopra indicati.

3.2 Carenze ed irregolarità essenziali sanabili (e non).

Fermo restando che l’assenza del requisito e la violazione delle disposizioni che attengo-no a status e condizioni in cui devono trovar-si i concorrenti alla scadenza del termine, comportano, in ogni caso, l’esclusione del concorrente dalla gara, l’Autorità ha ritenuto di dover stabilire quali sono gli elementi la cui mancanza, incompletezza ed irregolarità non può essere sanata, in quanto le relative dichiarazioni e gli adempimenti normativa-mente prescritti incidono direttamente sul contenuto dell’offerta ovvero sulla sua segre-tezza.

Con riferimento agli elementi che influi-scono sulla “incertezza assoluta sul contenu-to o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenzia-li” di cui al co. 1 bis dell’art. 46, l’Autorità ha osservato che:

- la sottoscrizione della domanda e dell’offerta da parte del titolare o del legale rappresentante dell’impresa o di altro sogget-to munito di poteri di rappresentanza, è da considerare elemento essenziale di entrambe. Tuttavia, non impattando sul contenuto e sul-la segretezza dell’offerta, la sua eventuale ca-renza si ritiene sanabile. Infatti, ferma restan-do la riconducibilità dell’offerta al concorren-te, dal combinato disposto dell’art. 38, co. 2 bis e 46, co. 1 ter del Codice, risulta ora sa-nabile ogni ipotesi di mancanza, incomple-tezza o irregolarità (anche) degli elementi che devono essere prodotti dai concorrenti in ba-se alla legge (al bando o al disciplinare di ga-

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ra), ivi incluso l’elemento della sottoscrizio-ne, dietro pagamento della sanzione prevista nel bando;

- il nuovo co. 1 ter dell’art. 46 del Codice, sembra ammettere la sanatoria di omissioni o irregolarità anche in relazione alla presenta-zione della garanzia in parola, laddove la norma consente la sanabilità di ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di sog-getti terzi.

L’Autorità ha concluso sul punto affer-mando che la novella normativa trova appli-cazione anche con riferimento ad ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità ri-ferita alla cauzione provvisoria a condizione che quest’ultima sia stata già costituita alla data di presentazione dell’offerta e rispetti la previsione di cui all’art. 75, co. 5 del Codice;

- la mancata effettuazione del sopralluogo negli appalti di lavori, invece, costituisce cau-sa di esclusione, trattandosi di adempimento che deve essere necessariamente eseguito in una fase antecedente a quella della presenta-zione dell’offerta.

3.2.1. Irregolarità concernenti gli adem-pimenti formali di partecipazione alla ga-ra.

Con riferimento alle irregolarità concer-nenti gli adempimenti formali di partecipa-zione alla gara, incidenti sulla segretezza del-le offerte, il co. 1 bis dell’art. 46 prevede la possibilità di esclusione del concorrente dalla gara in tutti i casi in cui sia violato il princi-pio di segretezza delle offerte.

Nella determinazione in commento l’Autorità ha sottolineato in particolare che costituiscono cause di esclusione:

1) la mancata indicazione sul plico esterno generale del riferimento della gara cui l'offer-ta è rivolta;

2) l’apposizione sul plico esterno generale di un’indicazione totalmente errata o generi-ca, al punto che non sia possibile individuare il plico pervenuto come contenente l'offerta per una determinata gara;

3) la mancata sigillatura del plico e delle buste interne con modalità di chiusura erme-tica che ne assicurino l’integrità e ne impedi-scano l’apertura senza lasciare manomissioni;

4) la mancata apposizione sulle buste in-terne al plico di idonea indicazione per indi-viduare il contenuto delle stesse;

5) il mancato inserimento dell’offerta eco-nomica e di quella tecnica in buste separate, debitamente sigillate, l’interno del plico e-sterno recante tutta la documentazione e più in generale la loro mancata separazione fisi-ca. In caso di divisione in lotti con possibilità di concorrere all’aggiudicazione di più di un lotto, l’offerta economica acquista una pro-pria autonomia in relazione ad ogni lotto e, pertanto, deve essere separatamente redatta per ogni lotto.

Di contro, l’Autorità ha sottolineato che non possono costituire cause legittime di e-sclusione:

1) la mancata o errata indicazione, su una o più delle buste interne, del riferimento alla gara cui l’offerta è rivolta, nel caso in cui det-ta indicazione sia comunque presente sul pli-co generale esterno, debitamente chiuso e si-gillato;

2) la mancata indicazione del riferimento della gara su uno o più documenti compo-nenti l’offerta;

3) la mancata apposizione sul pli-co dell’indicazione del giorno e dell’ora fissa-ti per l’espletamento della gara.

Ai sensi dell’art. 46, co. 1 bis, resta salva la facoltà delle stazioni appaltanti di rilevare, nel caso concreto, ulteriori circostanze che, inducendo a ritenere violato il principio di segretezza delle offerte, comportino l’esclusione debitamente motivata del con-corrente.

3.3. Altre irregolarità concernenti ele-menti e dichiarazioni che devono essere prodotte in base alla legge, al bando o al disciplinare.

L’Autorità ha infine verificato ulteriori e-lementi e dichiarazioni prescritti dalla legge, dal bando o dal disciplinare di gara che sono suscettibili di essere resi, integrati o regola-rizzati, laddove omessi, carenti o irregolari e quali, continuano a rilevare come cause di e-sclusione.

In particolare: a) in tema di avvalimento l’integrazione

o la regolarizzazione non possono ri-

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guardare la dichiarazione di volontà di ricorso all’avvalimento (art. 49, co. 2, lett. a) del Codice), essendo essa un elemento costitutivo dei requisiti da possedersi, inderogabilmente, alla scadenza del termine perentorio di presentazione dell’offerta. Anche il contratto di avvalimento è evidente-mente funzionale al possesso dei re-quisiti prescritti dal bando. Tuttavia, in ordine allo stesso l’Autorità ritiene che possa operare l’istituto del nuo-vo soccorso istruttorio limitatamente all’ipotesi di mancata allegazione, per mera dimenticanza, del contratto che, in ogni caso, sia stato già siglato alla data di presentazione dell’offerta. La nuova disciplina del soccorso istrutto-rio dispiega, invece, pienamente la sua forza espansiva sugli altri adempi-menti prescritti in ordine all’avvalimento.

b) L’obbligo di indicare all’atto della partecipazione le quote partecipative al raggruppamento, dalle quali poter desumere la quota parte dei lavori che sarebbero stati eseguiti da ciascun as-sociato, non sussiste più per i servizi e le forniture ma permane esclusiva-mente per i lavori. Per l’Autorità l’omissione di tale tipo di dichiarazio-ne o eventuali carenze e/o incomple-tezza della stessa, possono essere sa-nate dietro pagamento della prevista sanzione. Resta invece confermato il principio di corrispondenza tra la qua-lificazione posseduta e le quote di e-secuzione, che dovranno, comunque, essere indicate e se omesse potranno essere sanate alla stessa stregua delle quote di partecipazione al RTI.

c) In tema di subappalto, l’indicazione dei lavori o delle parti di opere ovvero dei servizi e delle forniture o parti di servizi e forniture che si intendono subappaltare all’atto della presenta-zione dell’offerta, costituisce un pre-supposto essenziale in vista della suc-cessiva autorizzazione al subappalto da parte della stazione appaltante, ma non ai fini della partecipazione alla

gara. Da ciò l’Autorità fa discendere che l’erroneità e/o la mancanza della dichiarazione non può costituire, di per sé, il fondamento di un provvedi-mento di esclusione, ma rappresenta solo un impedimento per l’aggiudicataria a ricorrere al subap-palto, di modo che la stessa dovrà provvedere direttamente all’esecuzione della prestazione, ove in possesso dei requisiti prescritti. La carenza di una simile dichiarazione non può essere sanata. L’Autorità ha infatti sottolineato che laddove si con-sentisse ad un concorrente, sprovvisto della necessaria qualificazione richie-sta dalla lex specialis di gara, di indi-care successivamente la volontà di su-bappaltare una quota dei lavori, con indicazione della relativa quota, al fi-ne di dimostrare il possesso della qua-lificazione richiesta, si altererebbe il principio di par condicio tra i concorrenti. Tale dichiarazione, in-fatti, afferisce direttamente al posses-so del requisito essendo espressione di un’autodeterminazione del concorren-te in ordine alle modalità di acquisi-zione del medesimo.

d) L’Autorità ha poi sottolineato come l’accettazione delle condizioni con-trattuali contenute nella documenta-zione di gara (tra le quali l’accettazione degli obblighi in mate-ria di contrasto delle infiltrazioni cri-minali negli appalti previsti nell’ambito di protocolli di legali-tà/patti di integrità), non attengano ad elementi dell’offerta. Pertanto even-tuali carenze in ordine alla dichiara-zione di accettazione delle clausole del protocollo di legalità devono rite-nersi sanabili.

e) Infine, l’Autorità ha ritenuto che co-stituisce causa di esclusione l’omesso versamento del contributo dovuto all’Autorità ai sensi dell’art. 1, coo. 65 e 67, della l. 23.12.2005, n. 266.

Di contro, un inadempimento meramente formale, consistente nell’aver effettuato il versamento seguendo modalità diverse da

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quelle impartite dall’Autorità stessa, o nell’aver omesso di allegare alla domanda di partecipazione la ricevuta di pagamento, non può essere sanzionato dalla stazione appaltan-te con l’esclusione, senza che si proceda ad un previo accertamento dell’effettivo assol-vimento dell’obbligo in questione entro il

termine decadenziale di partecipazione alla gara.

La mancata allegazione del versamento di-sposto prima della scadenza del termine di presentazione dell’offerta può essere oggetto di soccorso istruttorio dietro pagamento della relativa sanzione.

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GIURISPRUDENZA Consiglio di Stato Sez. V del 25.2.2015 n. 941 Appalti - impresa partecipante in qualità di mandante a.t.i. può impugnare gli atti di una procedura di affidamento. La legittimazione dell’impresa ad impugnare gli atti di una procedura di affidamento alla quale ha partecipato in qualità di mandante di a.t.i. “discende dai comuni principi della no-stra legislazione in tema di legittimazione pro-cessuale e di personalità giuridica, tenuto con-to che pacificamente il fenomeno del raggrup-pamento di imprese non dà luogo a un’entità giuridica autonoma che escluda la soggettività delle singole imprese che lo compongono”. Questa regola di diritto è stata espressa dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (sentenza n. 2155 del 15 aprile n. 2010), in relazione ad un’analoga eccezione formula-ta, in quel caso come quello ora in esame, nei confronti dell’impresa mandataria. E’ infatti indubbio, conclude il Consiglio di Stato, che l’ipotetico accoglimento di un ricor-so proposto da un solo componente di costi-tuenda a.t.i. potrebbe condurre all’accerta-mento del diritto al subentro nel contratto e che di tale accertamento potrebbero certamente giovarsi anche le altre imprese, nel caso pre-sente le ditte mandanti, visto l’effetto di inam-missibilità del ricorso di primo grado che si verrebbe a determinare. Consiglio di Stato Sez. IV del 12.2.2015 n. 753 Gare pubbliche - l´impugnazione delle regole di partecipazione. Nelle gare pubbliche l’accettazione delle regole di partecipazione non comporta l’inoppugna-bilità di clausole del bando regolanti la proce-dura di gara che fossero, in ipotesi, illegittime: diversamente opinando si perverrebbe alla pa-radossale e non accettabile conclusione che, per partecipare alla gara, l’operatore econo-mico dovrebbe necessariamente prestare ac-quiescenza a tutte le clausole, con conseguente esclusione della relativa possibilità di tutela

giurisdizionale, atteso che una siffatta irragio-nevole preclusione sarebbe contraria agli artt. 24 co. 1, e 113, co. 1, Cost. (cfr. CdS, V, 5.11.2014, nr. 5479; id., sez. IV, 17.2.2014, nr. 749). Al contrario, è jus receptum che le clausole del-la procedura di gara di regola possono essere impugnate dall’interessato solo dopo aver di-mostrato non solo la volontà di partecipare alla procedura selettiva, ma anche – come sopra e-videnziato, e salve le eccezioni dianzi precisate - la lesione attuale e concreta dell’interesse le-gittimo azionato (cfr. ex plurimis CdS, V, 11.6.2013, nr. 3231; id., 10.5.2013, nr. 2554; id., sez. VI, 18.9.2009, nr. 5626; id., 23.12.2008, nr. 6523). Consiglio di Stato Sez. III del 11.2.2015, n. 726 Appalto - nel caso di ricorso proposto contro il giudizio di anomalia dell´offerta - il Giudice amministrativo può sindacare le valutazioni compiute dall´Amministrazione sotto - il profilo della loro logicità - ragionevolezza - congruità dell´istruttoria. Vale premettere che il procedimento di verifica dell´anomalia non ha carattere sanzionatorio (al fine di eliminare l´offerta sospettata di a-nomalia) e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell´offerta e-conomica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l´offerta, nel suo complesso, sia atten-dibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell´appalto; esso è pertanto finaliz-zato a garantire e tutelare l´interesse pubblico concretamente perseguito dall´amministrazione attraverso la procedura di gara per la effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell´esecuzione dell´appalto (ex multis, CdS, III, 14.12.2012, n. 6442; sez. IV, 30.5.2013, n. 2956; sez. V, 18.2.2013, n. 973, 15.4.2013, n. 2063), ponendosi l´esclusione dalla gara dell´offerente per l´anomalia della sua offerta soltanto come effetto della valutazione (operata dall´amministrazione appaltante) di complessi-

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va inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere. Trattasi, è stato più volte sottolineato, di vicen-da che rientra nella discrezionalità tecnica dell´Amministrazione, per cui soltanto in caso di macroscopiche illogicità, vale a dire di erro-ri di valutazione evidenti e gravi, oppure di va-lutazioni abnormi o affette da errori di fatto, il giudice della legittimità può intervenire, re-stando per il resto la capacità di giudizio confi-nata entro i limiti dell´apprezzamento tecnico proprio di tale tipo di discrezionalità (CdS, Ad.Pl., 29.11.2012, n. 36; V, 26.9.2013, n. 4761; 18.8.2010, n. 5848; 23.11.2010, n. 8148; 22.2.2011, n. 1090). La giurisprudenza è altresì saldamente orienta-ta nel senso che, nel caso di ricorso proposto avverso il giudizio di anomalia dell´offerta pre-sentata in una pubblica gara, il Giudice ammi-nistrativo possa sindacare le valutazioni com-piute dall´Amministrazione sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell´istruttoria, mentre non possa invece opera-re autonomamente la verifica della congruità dell´offerta presentata e delle sue singole voci, sovrapponendo così la sua idea tecnica al giu-dizio - non erroneo né illogico - formulato dall´organo amministrativo cui la legge attri-buisce la tutela dell´interesse pubblico nell´apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo, il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A. ( CdS, IV, 27.6.2011, n. 3862; V, 28.10.2010, n. 7631 ). In tal senso la giurisprudenza ha ripetutamente sottolineato come il corretto svolgimento del procedimento di verifica presupponga l´effet-tività del contraddittorio (tra amministrazione appaltante ed offerente), di cui costituiscono necessarii corollarii l´assenza di preclusioni alla presentazione di giustificazioni ancorate al momento della scadenza del termine di presen-tazione delle offerte, la immodificabilità dell´offerta ma la sicura modificabilità delle giustificazioni, nonché l´ammissibilità di giusti-ficazioni sopravvenute e di compensazioni tra sottostime e sovrastime, purché l´offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell´aggiudicazione e a tale momento dia ga-ranzia di una seria esecuzione del contratto ( ex pluribus, CdS, sez. IV, 22.3.2013, n. 1633; 23.7.2012, n. 4206; sez. V, 20.2.2012, n. 875;

sez. VI, 24.8.2011, n. 4801; 21.5.2009, n. 3146; da ultimo, CdS, V, 11.6.2014, n. 2982). Consiglio di Stato Sez. VI del 10.2.2015, n. 721 Gare d'appalto - indicazione degli oneri aziendali per la sicurezza - adempimento imposto dalla legge valevole anche in mancata della previsione nella lex specialis dell’onere dichiarativo e della correlata causa specifica di esclusione . La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha affermato che in linea ge-nerale, nelle gare d´appalto l´indicazione degli oneri aziendali per la sicurezza costituisce, in virtù degli artt. 86, co. 3 bis, e art. 87, co. 4, del d lgs. n. 163 del 2006 (Codice degli appalti) un adempimento direttamente imposto dalla legge (CdS, V, 29.2.2012, n. 1172) al punto che, an-che a fronte della eventuale mancata previsio-ne, nella lex specialis di gara, dell’onere di-chiarativo e della correlata causa specifica di esclusione, le citate disposizioni normative de-vono ritenersi immediatamente precettive ed idonee ad eterointegrare le regole della proce-dura selettiva. Consiglio di Stato Sez. IV del 9.2.2015, n. 662 Avvalimento - è onere del concorrente dimo-strare - che l´impresa ausiliaria non s´impe-gna semplicemente - a prestare il requisito soggettivo richiesto. La Sezione Quarta del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha osservato come la giuri-sprudenza (da ultimo, CdS, III, 17.6.2014 n. 3057; id, sez. VI, 13.6.2013 n. 3310) interpreti i requisiti contenutistici del contratto di avvali-mento in maniera estremamente rigida. Da un lato, si precisa che è onere del concor-rente dimostrare che l´impresa ausiliaria non s´impegna semplicemente a prestare il requisito soggettivo richiesto, quale mero valore astrat-to, ma assume l´obbligazione di mettere a di-sposizione dell´impresa ausiliata, in relazione all´esecuzione dell´appalto, le proprie risorse ed il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l´attribuzione del requisi-to di qualità e quindi, a seconda dei casi, mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi azien-dali qualificanti, in relazione all´oggetto dell´appalto. Dall’altro, si osserva che per potersi avvalere

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Gazzetta Amministrativa -147- Numero 1 - 2015

dei requisiti di carattere economico, finanzia-rio, tecnico, organizzativo di un altro soggetto è necessario che risulti chiaramente, sia dal contratto di avvalimento (art. 49 co. 2 lett. f) d.lg. n. 163 del 2006) che dalla dichiarazione unilaterale dell´impresa ausiliaria indirizzata alla stazione appaltante (art. 49 co. 2 lett. d) d.lg. n. 163 del 2006), che l´impresa ausiliaria presti le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l´attribuzione del requisito di qualità (a secon-da dei casi: mezzi, prassi e tutti gli altri ele-menti aziendali qualificanti, richiedendo l´art. 49 d.lgs. n. 163 del 2006 e l´art. 88 comma 1 lett. a) d.P.R. n. 207 del 2010 che il contratto di avvalimento soddisfi l´esigenza di determina-zione dell´oggetto riportando in modo compiu-to, esplicito ed esauriente le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico. Sulla base di tali principi, i Giudici di Palazzo Spada hanno affermato che l’ipotesi interpreta-tiva utilizzata dal TAR, per cui le clausole ge-neriche ben avrebbero potuto dar vita ad un principio di prova, si scontra contro la tassati-vità normativa che prevede la precisa indica-zione degli elementi aziendali concreti sui quali si fonderà l’avvalimento, con una scelta esplici-ta alla massima trasparenza ed ostensibilità del modus del collegamento imprenditoriale. Infat-ti, ad utilizzare il criterio fatto proprio dal pri-mo giudice, si giungerebbe all’incongruo risul-tato di favorire, quanto meno per l’utilizzo este-so del dovere di soccorso, dei soggetti che, qua-lora avessero partecipato in proprio, sarebbero stati direttamente esclusi per mancata docu-mentazione dei requisiti.In concreto, conclude il Collegio, il contratto sottoscritto non aveva alcuno dei requisiti tassativamente richiesti per configurare un avvalimento nel senso normati-vo del termine, collocandosi sotto la soglia mi-nima di riconoscibilità del negozio stesso. Consiglio di Stato Sez. III del 21.1.2015, n. 200 Interdittiva tipica - caratteristiche essenziali - sindacato del giudice amministrativo. La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 21.1.2015 ha evidenziato come la Sezione ha indicato da ultimo (cfr., per tutti, CdS, III, 1.9.2014 n. 4441; id., 15.9.2014 n. 4693) le caratteristiche essenziali dell’inter-dittiva c.d. tipica ex artt. 91 e ss. del d.lgs.

159/2011, la quale esprime l’anticipazione massima possibile, in uno Stato di diritto qual è la Repubblica, della soglia di difesa socia-le.Insomma, l’interdittiva de qua vuol assicura-re una tutela avanzata nel contrasto alle attivi-tà della criminalità organizzata e, appunto per questo, essa non deve per forza collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere defini-tivo e certi sull´esistenza della contiguità di un´impresa con le organizzazioni malavitose. Tanto perché il condizionamento in atto dell´attività di impresa può esser inferito, in base ad una valutazione complessiva di discre-zionalità lata sulla loro rilevanza, da elementi sintomatici ed indiziari da cui emerga il perico-lo che si possa verificare il tentativo (quindi, non il fatto specifico) dell’ingerenza criminale nell´attività d’impresa. Se, dunque, l’interdittiva stessa è misura pre-ventiva per impedire alla criminalità organiz-zata d’aver rapporti contrattuali, diretti (grazie ad imprese di mafiosi) o mediati (da imprese condizionate dalle mafie) con la PA., la valuta-zione prefettizia dei relativi elementi sintomati-ci, proprio perché esprime un’ampia discrezio-nalità, è soggetta al sindacato di legittimità di questo Giudice sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (cfr. così CdS, III, 25.6.2014 n. 3208). Ebbene, l’accertamento di questo Giudice sulla rilevanza, o meno, di detti elementi anzitutto attiene alla tenuta logica complessiva di tutti e di ciascuno di essi, onde ben può esser aggredi-ta, in questa sede di legittimità, anche confu-tandone l’esistenza, la consistenza e la perti-nenza dato per dato. Non è qui in discussione che l’analisi dei dati in sé e della loro rilevanza debba esser condot-ta considerandoli nella loro globalità (cfr., per tutti, CdS, VI, 6.8.2013 n. 4119). Infatti, l’eventuale carenza o l’insufficienza d’un dato, se non in sé erroneo, non inficia la valutazione complessiva, ben potendo esser compensato dalla presenza di altri che, nel loro insieme, siano precisi e concordanti nel con-cludere per la serietà del pericolo d’infiltrazione. Ma neppure va dimenticato che l’interdittiva, proprio per la sua natura cautelare, è sempre ad tempus e soggetta a revisione e ad aggior-namento, anche in pejus, man mano che la si-

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Gazzetta Amministrativa -148- Numero 1 - 2015

tuazione dell’impresa considerata evolve e si affinano le tecniche d’indagine e le notizie che la riguardano. Sicché non è consentito invero al Prefetto, ba-sare il proprio giudizio su elementi che, tutti e ciascuno, non attingano la soglia della ragio-nevolezza e, soprattutto, siano smentiti in fatto o in diritto da sentenze dell’AGO che interven-gano sugli stessi dati considerati. Tanto affin-ché l’interdittiva non trasmodi da misura caute-lare ad arbitrio o, peggio, ad un centone di so-spetti e dicerie, tali da farne sminuire la serietà e l’efficacia di essa quale buon strumento di lotta in itinere (e non ex post) alle mafie. Parere Corte dei Conti Sezione Regionale di Controllo della Campania deliberazione 29.12.2014, n. 261 Conferimento di incarichi legali senza impe-gno contabile - è possibile ricondurre - a sa-natoria nel sistema di contabilità dell’Ente - solo mediante attivazione del procedimento per l’eventuale riconoscimento di debito fuo-ri bilancio. Giunge all´attenzione della Corte dei Conti il quesito del Comune di Marano di Napoli con il quale, per quanto qui d´interesse, si chiede alla corte un parere in ordine ad incarichi conferiti a legali con delibere del tutto prive di impegno contabile. Sul punto il giudice contabile ha anzitutto af-fermato, in adesione alla consolidata giuri-sprudenza, che “tutti i provvedimenti che com-portano spesa vanno adottati previa assunzione del relativo <impegno contabile ed attestazione della (relativa) copertura finanziaria>, ex art. 191 TUEL, ivi compresi i provvedimenti con i quali il Comune conferisce apposito incarico legale ad un avvocato per la tutela delle ragio-ni del Comune stesso” (così, condivisibilmente, Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, deliberazione n° 360/2008 del 14-18.7.2008). Il rispetto delle procedure previste dalla legge nel caso di assunzione di obbligazioni giuridi-che nei confronti di terzi (in particolare : artt. 182-185 e 191 del d. lgs. n° 267 del 2000) ga-rantisce, invero, il soddisfacimento dell’obbligo della copertura finanziaria degli atti da cui de-rivano impegni di spesa, e consente di evitare la formazione di debiti originati in sede extra-

contabile (in terminis, cfr. Corte dei conti, Se-zione regionale di controllo per l’Emilia Ro-magna, deliberazione n° 256/2013 del 25.7.2013). A ciò va aggiunto che “qualora vengano in es-sere obbligazioni giuridiche al di fuori della descritta procedura ordinaria, l’ordinamento giuscontabile prevede, comunque, la possibilità di ricondurle nella contabilità ordinaria dell’ente, purché si tratti di obbligazioni rien-tranti nelle fattispecie dettagliatamente elenca-te nell’art. 191 TUEL e purché venga adottato un atto di riconoscimento del debito da parte dell’organo consiliare” (Corte dei conti, Sezio-ne regionale di controllo per l’Emilia Roma-gna, deliberazione n° 256/2013 cit.; cfr. anche Sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione n° 55/2013 dell’11-17 giugno 2013, con particolare riferimento alla necessità di valutazione dell’utilità della prestazione). Nel caso, dunque, di mancanza dell’impegno contabile relativo al conferimento degli incari-chi legali de quibus, si verte in una fattispecie di acquisizione di servizi in violazione del cita-to art. 191 del d. lgs. n. 267 del 2000, con pos-sibilità di riconduzione, a sanatoria, nel siste-ma di contabilità dell’Ente, solo mediante atti-vazione del procedimento per l’eventuale rico-noscimento di debito fuori bilancio di cui all’art. 194 del d. lgs. n. 267 del 2000 cit., con tutte le condizioni e le limitazioni previste al riguardo, anche con riferimento - per quanto concerne la specifica fattispecie qui in esame - alla necessità della sussistenza dei requisiti og-gettivi indicati al co. 1, lett. e) del menzionato art. 194 relativamente a beni e servizi acquisiti in violazione degli obblighi di cui ai coo. 1, 2 e 3 dell´art. 191 (“nei limiti degli accertati e di-mostrati utilità ed arricchimento per l´ente, nell´ambito dell´espletamento di pubbliche fun-zioni e servizi di competenza”, ex art. 194 cit.). Questa Corte, peraltro, ha già più volte esami-nato la normativa relativa al riconoscimento dei debiti fuori bilancio, pronunciandosi esau-stivamente in ordine alla natura e alle caratte-ristiche di tale procedura (ex plurimis, cfr. Se-zione regionale di controllo per l’Emilia Ro-magna, deliberazione n° 311/2012 del 26 luglio 2012); in questa sede, dunque, attese le finalità della richiesta di parere in esame, non può, al riguardo, che essere ribadita la necessità che –

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Gazzetta Amministrativa -149- Numero 1 - 2015

anche nella fattispecie de qua – venga data puntuale, motivata e razionale osservanza alle disposizioni di legge che disciplinano la mate-ria. Corte dei Conti Sezione Regionale di Controllo per la Campania deliberazione del 15.12.2014, n. 254 Corte dei Conti - obbligo di riduzione dei costi del personale - degli organismi partecipati dagli enti pubblici - sia in termini di contenimento degli oneri contrattuali che di quelli derivanti da assunzioni di persona-le. Il Sindaco del Comune di Macerata Campania, dopo avere premesso che insieme ad altro ente, ha costituito una società in house providing, con capitale interamente pubblico, e dopo ave-re elencato varie disposizioni legislative ri-guardanti la gestione del personale delle pub-bliche amministrazioni e relative società parte-cipate, chiede di conoscere “se i dipendenti della società in house, interamente controllata da enti pubblici, sono soggetti al “blocco” dei contratti, come i dipendenti degli enti locali, sia per la retribuzione individuale che per la retri-buzione accessoria nel rispetto dei vincoli della spesa del personale nonostante la sottoscrizio-ne del contratto nazionale di lavoro (Federam-biente)”. La Corte dei Conti Sezione Regionale di Con-trollo per la Campania con il parere del 15 di-cembre u.s. ha osservato che la variegata e ri-petutamente modificata legislazione in tema di società partecipate (cfr., in proposito Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, 7.7.2014 n. 170, che ne ha eseguito una accurata ricostruzione), è di re-cente approdata nella modifica (operata dal d. l. 24 aprile 2014 n. 66, convertito dalla l. 23.6.2014 n. 89 e dal d. l. 24.6.2014 n. 90, con-vertito dalla l. 11.8.2014, n. 114), di cui al co. 2 bis, art. 18, del d. l. n. 112/2008, convertito dal-la l. n. 133/2008, che sembra essere più che mai volta in modo chiaro e semplice, ferma re-stando ogni altra disposizione vigente in mate-ria, non specificamente abrogata, ad un pieno coinvolgimento sia degli enti partecipanti sia delle società partecipate, nelle decisioni in me-rito al prescritto obbligo di contenimento dei costi del personale di queste ultime.

L’art. 18 sopramenzionato prevede, infatti, che “le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di con-trollo si attengono al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale. A tal fine l’ente controllante, con proprio atto di indirizzo, tenuto anche conto delle disposi-zioni che stabiliscono, a suo carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, defini-sce, per ciascuno dei soggetti di cui al prece-dente periodo, specifici criteri o modalità di at-tuazione del principio di contenimento dei costi del personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto opera. Le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di con-trollo adottano tali indirizzi con propri provve-dimenti e, nel caso del contenimento degli oneri contrattuali, gli stessi vengono recepiti in sede di contrattazione di secondo livello….” Inoltre il d. l. n. 90/2014 ha modificato la disci-plina applicabile alle regioni ed enti locali sot-toposti al patto di stabilità interno nella mate-ria de qua prevedendo: a) la possibilità di assunzione di personale a tempo indeterminato con limite di spesa per-centuale differente rispetto quella relativa al personale di ruolo cessato negli anni preceden-ti, e pari al 60%, 80% e 100%, rispettivamente negli anni 2014-2015, 2016-2017 e negli anni successivi a partire dal 2018; b) la permanenza delle disposizioni previste dall’articolo 1, commi 557, 557 bis e 557 ter, della l. n. 296/2006, con conseguente obbligo, per gli enti locali assoggettati alla disciplina del patto di stabilità interno, di computare an-che la quota relativa al personale occupato presso organismi partecipati, variamente de-nominati, ai fini del rispetto della riduzione e del contenimento del trend della spesa in serie storica; c) l’abrogazione dell’art. 76, co. 7, del d. l. n. 112/2008 che regolava il rapporto di incidenza tra spesa per il personale e spesa corrente ai fini delle nuove capacità assunzionali degli enti locali sottoposti alla disciplina del patto di sta-bilità interno; d) il coordinamento, da parte degli enti locali, delle politiche assunzionali dei soggetti indicati

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Gazzetta Amministrativa -150- Numero 1 - 2015

nell’art. 18, co. 2bis, del d. l. n.112/2008 (tra cui le società partecipate) al fine di garantire, anche per i medesimi soggetti, una graduale riduzione della percentuale tra spese di perso-nale e spese correnti. Dal raffronto tra vecchia e nuova normativa emerge, a parere di questa Sezione (pur se si evidenzia la eliminazione della immediata e di-retta applicazione alle aziende speciali, istitu-zioni e società a partecipazione pubblica, di al-cuni tipi di vincoli alle assunzioni e alle spese di personale previsti per le amministrazioni di riferimento - vincoli derivanti, peraltro, da pre-visioni normative oggetto di numerosi interven-ti di modifica da parte del legislatore statale tali da non renderli stabili né definitivamente certi), che il nuovo dettato legislativo obbliga al rispetto dell’inequivocabile principio della riduzione dei costi del personale degli organi-smi partecipati dagli enti pubblici, sia in termi-ni di contenimento degli oneri contrattuali che di quelli derivanti da assunzioni di personale, in armonia con quanto disposto, in via genera-le, negli anni, in tema di riduzione globale della spesa pubblica. Il legislatore detta, inoltre, in maniera detta-gliata, le modalità esecutive di attuazione della norma, prevedendo:- la predisposizione, da parte dell’ente controllante, di un proprio “atto di indirizzo” che, in conformità a quanto dispo-sto, a suo carico in tema di divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, definisca, per cia-scun organismo partecipato, i criteri e le moda-lità per raggiungere l’obiettivo della riduzione dei costi, previa verifica dello specifico settore di appartenenza;- l’adozione, da parte di ogni ente partecipato, di propri provvedimenti di at-tuazione degli indirizzi espressi dall’ente con-trollante, con specifico obbligo, nel caso di ri-duzione degli oneri contrattuali, di recepimento degli stessi in sede di contrattazione di secondo livello.Appare chiaro come tale previsione sia ben più pregnante di quanto fino ad oggi predi-sposto in tema di riduzione dei costi del perso-nale dei soggetti partecipati dagli enti pubblici, obbligando sia gli uni che gli altri (controllanti e controllati) ad una seria valutazione della propria situazione economico-finanziaria, non-chè delle reali e concrete necessità che a cia-scuno di essi fanno capo, facendo emergere la responsabilità di ciascuno nel caso di mancata

attuazione delle misure che conformino i propri costi in maniera coerente con la qualità dei servizi prestati. Ciò premesso, va osservato che la scelta prefe-renziale da esercitare, in concreto, nella pro-spettata fattispecie, non può che essere ispirata - in conformità alle esigenze di razionalizzazio-ne e di economicità nella gestione di risorse pubbliche che sottendono proprio il sopra evi-denziato quadro normativo- ad una coerente, completa e motivata applicazione di principi di sana gestione e di contenimento della spesa, mediante una previa valutazione di tutte le re-lative implicazioni, sia in termini di effettiva economicità, sia sotto il profilo dell’efficienza e del buon andamento dell’attività di ammini-strazione di che trattasi. Resta pertanto più che mai attuale quanto più volte sottolineato, in termini di doverosità del controllo e della riduzione della spesa da parte delle pubbliche amministrazioni, dalla Corte dei conti - cfr., per tutti, la Sezione di controllo Veneto - che, con delibera n. 903/2012, ha ri-cordato che “…l’utilizzo di risorse pubbliche, anche se adottato attraverso moduli privatistici, impone particolari cautele e obblighi in capo a tutti coloro che - direttamente o indirettamente - concorrono alla gestione di tali risorse, radi-candone la giurisdizione e il controllo della Corte dei conti”. Di conseguenza, sempre secondo tale Sezione, l’ente socio dovrà effettuare “un costante ed effettivo monitoraggio sull’andamento della so-cietà, con una verifica costante della perma-nenza dei presupposti valutativi che hanno de-terminato la scelta partecipativa iniziale”, met-tendo in atto, volta per volta, gli interventi cor-rettivi che si rendano necessari nel corso della vita della società, per assicurare al meglio la remunerazione del capitale investito con l’impiego di consistenti risorse pubbliche. Su tali aspetti gestionali e decisionali la Sezio-ne non può, peraltro, esprimere valutazioni tali da indirizzare, nello specifico, l’attività discre-zionale dei competenti organi, soprattutto, per-ché le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti non possono svolgere, in sede consul-tiva, una funzione di consulenza di tale latitudi-ne da giungere ad inserirsi in attività gestionali amministrative e/o societarie, ovvero ad inter-ferire con i poteri discrezionali di altri organi i

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Gazzetta Amministrativa -151- Numero 1 - 2015

quali siano titolari, in via esclusiva, del relativo esercizio e della conseguente applicazione (cfr. Corte dei conti, Sezione delle Autonomie,

17.2.2006, n. 5 e Sezione regionale di controllo Campania, 24.7.2014, n. 187).

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Gazzetta Amministrativa -152- Numero 1 - 2015

PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Opere protettive in corrispondenza dei caval-cavia autostradali: spettanza degli oneri ma-nutentivi. Parere 9.4.2015-172688/89, al 29121/14, Avv. Ettore Figliolia. RISPOSTA Esaminata la documentazione trasmessa, preso atto dei chiarimenti forniti da codesto Ministero, sia con la nota del 28 novembre u.s. che, da ultimo, con la nota del 26 genna-io u.s., ritiene questa Avvocatura Generale quanto segue. In primo luogo va rilevato che la circostanza che il soggetto concessionario della rete au-tostradale abbia a suo tempo realizzato con oneri a proprio carico le barriere di sicurez-za laterali appostate sui cavalcavia in attra-versamento delle opere autostradali, dimo-stra senz’altro che dette barriere perseguono anche rilevanti obiettivi di sicurezza della circolazione sulle autostrade, pur costituen-do, a legislazione vigente, pertinenza della viabilità ordinaria soprapassante, la cui tito-larità fa capo ad Enti diversi dal concessio-nario medesimo (Comuni, Province, ecc.), a titolo di proprietà ovvero di concessione. Al riguardo va invero rilevato che il quadro informativo trasmesso sembra effettivamente deporre, anche sulla base del tenore di talune convenzioni tipo che sono state qui inviate, per la duplice funzionalità di dette barriere sia rispetto ai tratti autostradali, che riguar-do alla viabilità interessante i cavalcavia: ciò è dimostrato, oltretutto, da talune disposizio-

ni presenti nelle citate convenzioni tipo in cui è prevista la divaricazione degli oneri manu-tentivi tra Concessionario ed Ente pubblico titolare della gestione del tratto stradale so-prapassante, rispetto alle opere murarie, alla manutenzione del manto stradale nonché af-ferente alla superficie dei manufatti stessi. Per quanto precede, rispetto ai danni provo-cati alle predette barriere dal traffico veico-lare interessante la rete viaria sovrapassante, sembra potersi sostenere, in linea di diritto, e sulla base delle pertinenti disposizioni del codice della strada, in assenza di eventuali convenzionamenti di tenore diverso, che gli interventi di ripristino competano all'Ente ti-tolare del tratto di strada ordinaria sovra-passante rispetto a quanto di stretta funziona-lità della rete viaria di propria competenza, che avrà necessariamente cura di provveder-vi nel rispetto della pertinente vigente norma-tiva al momento della realizzazione delle ini- ziative di manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, altresì provvedendo, ove ne-cessario, all'integrale sostituzione dei dispo-stivi protettivi in parola, onde garantire all’utenza le occorrenti condizioni di sicurez-za. In altre parole, ad avviso della Scrivente, gli oneri di cui trattasi fanno capo all’Ente pub-blico nei limiti di quanto rigorosamente fun-zionale alla sicurezza della circolazione sui tratti sovra passanti, laddove, per converso, per gli aspetti inerenti alla sicurezza della circolazione autostradale, i concessionari dovranno necessariamente farsi carico degli

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Gazzetta Amministrativa -153- Numero 1 - 2015

oneri connessi agli interventi concernenti le predette strutture protettive perché, appunto, strumentali a garantire la sicurezza della cir-colazione autostradale sulla base della vigen-te normativa. Peraltro, a prescindere dagli obblighi di ripristino delle barriere in argo-mento facenti capo al soggetto titolare della rete viaria sovrastante, il concessionario au-tostradale non può per ciò solo ritenersi e-sente da quei doveri di diligente vigilanza connessi al dinamismo connaturato alla frui-zione da parte dell'utenza delle opere auto-stradali, al fine di impedire, comunque, situa-zioni di pericolo all'integrità delle persone e delle cose, se del caso praticando ogni utile intervento idoneo ad evitare contesti degene-rativi del pericolo medesimo in situazioni di danno all’utenza medesima. Conseguentemente, a fronte di situazioni di potenziale pregiudizio per l’utenza derivanti dalla carenza di adeguati interventi di ripri-stino delle predette barriere, i concessionari dovranno disporre per la limitazione del traf-fico veicolare nelle more della realizzazione degli interventi di ricostruzione delle struttu-re in parola, se del caso attivandosi anche in

sostituzione ed in danno dei soggetti pubblici inadempienti. Ciò, ovviamente, in disparte gli aspetti più prettamente economici afferenti alle eventuali azioni di rivalsa e di responsabilità esperibili a carico del soggetto gestore e proprietario della rete viaria dei cavalcavia autostradali, conseguenti alle possibili iniziative di carat-tere sostitutivo e cautelare praticate dal con-cessionario autostradale per le finalità di si-curezza dell’utenza. In tal senso, pertanto, risulta rilevante il ruo-lo di codesta Struttura di vigilanza ministe-riale sull'operato delle concessionarie auto-stradali rispetto alle finalità testé evidenziate nella presente consultazione, dovendo senz'altro procedere detta Struttura a com-pulsare adeguatamente gli enti gestori delle tratte autostradali affinchè il traffico veicola-re comunque avvenga in condizioni di assolu-ta sicurezza per gli utenti. Nei termini suesposti è il richiesto parere. Sulle questioni oggetto del presente parere è stato sentito il Comitato Consultivo di questa Avvocatura che, nella seduta del 27.3.2015 si è espresso in conformità.

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -154- Numero 1 - 2015

PUBBLICO IMPIEGO E RESPONSABILITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI

LAVORO A TEMPO INDETERMINATO A TUTELE CRESCENTI:IN GAZZETTA UFFICIALE IL D.LGS N. 23/2015 È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6.3.2014 il d. lgs. n. 23/2015 recante "Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della l. 10.12.2014, n. 183". Entrata in vigore del provvedimento: 7.3.2015. (D.lgs n. 23/2015 in G.U. n. 54 del 6.3.2015 )

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AMMORTIZZATORI SOCIALI: IN GAZZETTA UFFICIALE IL D. LGS. N. 22/2015 È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6.3.2015 il d.lgs n. 22/2015 recante "Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della l. 10.12.2014, n. 183.". Entrata in vigore del provvedimento: 07/03/2015 (D.lgs n. 22/2015 in G.U. n. 54 del 6.3.2015).

«::::::::: GA :::::::::» APPRENDISTATO: FINANZIAMENTI DAL MINISTERO DEL LAVORO PER L´ATTIVITÀ DI FORMAZIONE Pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle

Politiche Sociali - Direzione Generale per le Politiche attive, i servizi per il lavoro e la formazione - il Decreto Ministeriale, con repertorio n. 91/2015, che ripartisce la somma complessiva pari a 100 milioni di euro, per il finanziamento delle attività di formazione nell´esercizio di apprendistato, di cui il 50% destinato, in via prioritaria, alle tipologie di apprendistato professionaliz-zante. Detta somma grava sul Fondo Sociale per l´Occupazione e la Formazione.La ripar-tizione viene effettuata nella misura del 65%, in base agli apprendisti assunti, e il restante 35% relativamente agli apprendisti realmente formati. E´ previsto, nel citato decreto, un limite minimo di finanziamento pari a 516.000 euro a favore delle medesime Amministrazioni.

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LAVORO E SICUREZZA

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato, d´intesa con i Ministeri dello Sviluppo Economico e dei Trasporti, sentito il parere dell´INAIL, la Circolare n. 3/2015 che ha fornito chiarimenti in materia di dispositivi di ancoraggio mobili o permanenti per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori applicati ad attività svolte "in quota" necessari per prevenire cadute dall´alto durante l´effettuazione di mansioni lavorative. La suddetta Circolare, ha inoltre fornito delucidazioni circa la cosiddetta "Marcatura CE" distinguendo, appunto, le tipologie di

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -155- Numero 1 – 2015

dispositivi a protezione individuale DPI, come indicati dal d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i. art.76, che seguono il lavoratore e quindi non istallati "permanentemente" (soggetti al Marchio CE) dalle altre tipologie di dispositivi permanenti/fissi di sicurezza sottoposti, invece, al Regolamento UE n. 305/2011.

«::::::::: GA :::::::::» PENSIONATI: IN G.U. LA CIRCOLARE SUI DIVIETI DI CONFERIMENTO DI INCARICHI DIRIGENZIALI

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 37 del 14 febbraio 2015 è stata pubblicata la circolare n. 6/2014 del Ministro Madia recante "Interpretazione e applicazione dell´art. 5, co. 9, del d.l. n. 95 del 2012, come modificato dall´articolo 6 del d.l. 24.6.2014, n. 90". "L´art. 6 del d.l. 24.6.2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla l. 11.8.2014, n. 114, ha introdotto nuove disposizioni in materia di "incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza" dirette ad evitare che il conferimento di alcuni tipi di incarico sia utilizzato dalle amministrazioni pubbliche per continuare ad avvalersi di dipendenti collocati in quiescenza o, comunque, per attribuire a soggetti in quiescenza rilevanti responsabilita´ nelle amministrazioni stesse, aggirando di fatto lo stesso istituto della quiescenza e impedendo che gli incarichi di vertice siano occupati da dipendenti piu´ giovani. Le nuove disposizioni sono espressive di un indirizzo di politica legislativa volto ad agevolare il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministra-zioni e prevalgono su disposizioni precedenti, anche speciali, che da intendersi abrogate qualora consentano il conferimento di incarichi o cariche, rientranti tra quelli ormai vietati, a soggetti in quiescenza.La circolare, indica, la data del 25.6.2014 a decorrere dalla quale si applicano i nuovi divieti che riguardano gli atti con il quale l´autorita´ titolare del relativo potere vi ha proceduto, indipendentemente da adempimenti successivi, come gli atti di controllo.

La nuova disciplina e´ applicabile, invece, agli incarichi non ancora conferiti alla suddetta data, anche se sia gia´ intervenuta la designazione da parte di un soggetto diverso dall´autorita´ avente il potere di nominare o conferire l´incarico, salvo che la peculiare articolazione del relativo procedimento - che preveda, per esempio, la designazione a seguito di procedimento elettorale o di procedura selettiva - non induca ad applicare diversamente il principio tempus regit actum, tenendo conto della fase alla quale il procedimento era arrivato al momento di entrata in vigore della disposizione. Ove, peraltro, l´incarico sia stato effettivamente conferito prima dell´entrata in vigore del divieto e cio´ possa essere documentato con certezza, la sua formalizzazione puo´ intervenire anche in un momento successivo. Va poi ricordato che la legge di conversione - legge 11.8.2014, n. 114, entrata in vigore il 19.8.2014, essendo stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del giorno precedente - ha parzialmente modificato le originarie previsioni del decreto-legge, con particolare riferimento alle designazioni in enti o societa´ controllati dalle amministrazioni pubbliche. Le modifiche hanno quindi prodotto effetti a partire dal 19.8.2014. Va infine rilevato che la nuova disciplina si aggiunge, senza modificarle, alle altre discipline vigenti che pongono simili divieti (si veda, in particolare, l´art. 25 della l. 23.12.1994, n. 724) e che regolano il conferimento di incarichi, quali quelle in materia di incompatibilita´ e inconferibilita´, di limiti alle spese per consulenze, di limiti retributivi nelle pubbliche amministrazioni, di compensi e rimborsi spese per gli organi collegiali, di gratuita´ di specifici incarichi, di cumulo tra trattamento economico e pensione. - Soggetti interessati. L´ambito di applicazione dei divieti, per quanto riguarda le amministrazioni interessate, rimane quello gia´ definito dalla precedente versione della disciplina in esame: esso comprende tutte le amministrazioni rientranti nella definizione dell´art. 1, co. 2, del d.lgs. 30.3.2001, n. 165 o nell´elenco annualmente redatto dall´Isti-tuto nazionale di statistica (Istat), di cui

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -156- Numero 1 - 2015

all´art. 1, co. 2, della l. 31.12.2009, n. 196, nonchè le autorità indipendenti, compresa la Consob. Devono ritenersi soggetti ai divieti gli incarichi conferiti da qualsiasi organo o ufficio delle amministrazioni in esame, compresi quelli conferiti dai ministri, in quanto organi di vertice dei ministeri, nonche´ dagli organi di governo degli enti territoriali e dagli organi di vertice degli enti pubblici e degli altri organismi rientranti nell´ambito di applicazione indicato. Non vi rientrano, ovviamente, gli incarichi conferiti da organizzazioni diverse dalle pubbliche amministrazioni italiane. Il divieto si estende a qualsiasi lavoratore dipendente collocato in quiescenza, indipendentemente dalla natura del precedente datore di lavoro e del soggetto che corrisponde il trattamento di quiescenza, compresi, quindi, i pensionati degli organi costituzionali. Non riguarda questi ultimi soggetti, infatti, la previsione dell´ultimo periodo del citato co. 9 dell´art. 5, che prevede che i suddetti organi si adeguino alle disposizioni dello stesso comma nell´ambito della propria autonomia. Questa previsione riguarda gli incarichi conferiti dagli stessi organi costituzionali, ai quali i divieti in esame non possono essere imposti, e non gli incarichi conferiti dalle pubbliche amministrazioni a lavoratori in quiescenza, gia´ dipendenti di organi costituzionali, in ordine ai quali non vi e´ un problema di tutela dell´autonomia dei suddetti organi. La condizione del collocamento in quiescenza, ostativa rispetto al conferimento di incarichi e cariche, rileva nel momento del conferimento. Le amministrazioni eviteranno peraltro comportamenti elusivi, consistenti nel conferire a soggetti prossimi alla pensione incarichi e cariche il cui mandato si svolga sostanzialmente in una fase successiva al collocamento in quiescenza. Per tali soggetti, le amministrazioni valuteranno la possibilita´ di conferire un incarico gratuito (su cui si veda il paragrafo 6). - Incarichi vietati. La disciplina in esame pone puntuali norme di divieto, per le quali vale il criterio di stretta interpretazione ed e´ esclusa l´interpretazione estensiva o analogica (come chiarito dalla Corte dei conti, Sezione

centrale del controllo di legittimita´ sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, deliberazione n. 23/2014/prev del 30 settembre 2014). Incarichi vietati, dunque, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e societa´ controllati. Il legislatore ha voluto perseguire gli obiettivi sopra ricordati, vietando il conferimento a soggetti in quiescenza di incarichi e cariche che, indipendentemente dalla loro natura formale, consentono di svolgere ruoli rilevanti al vertice delle amministrazioni. Un´interpretazione estensiva dei divieti in esame, non coerente con il fine di evitare che soggetti in quiescenza assumano rilevanti responsabilita´ nelle amministrazioni, potrebbe determinare un´irragionevole compressione dei diritti dei soggetti in quiescenza, in violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, che ammette limitazioni a carico dei soggetti in questione purche´ imposte in relazione a un apprezzabile interesse pubblico (si vedano, in particolare, le sentenze n. 566 del 1989, n. 406 del 1995 e n. 33 del 2013 della Corte costituzionale). Ai fini dell´applicazione dei divieti, occorre prescindere dalla natura giuridica del rapporto, dovendosi invece considerare l´oggetto dell´incarico. La disciplina in esame, dunque, non esclude alcuna delle forme contrattuali contemplate dall´art. 7 del d.lgs. n. 165 del 2001, ma impedisce di utilizzare quelle forme contrattuali per conferire incarichi aventi il contenuto proprio degli incarichi vietati. Tra gli incarichi vietati rientrano tutti gli incarichi dirigenziali, compresi quelli di cui all´art. 19, co. 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 e da disposizioni analoghe. Tra gli incarichi direttivi, tutti quelli che implicano la direzione di uffici e la gestione di risorse umane. Vi rientrano, quindi, anche incarichi in strutture tecniche, quali quelli di direttore scientifico o sanitario, che comportano le suddette mansioni. Gli incarichi di studio e consulenza sono quelli che presuppongono competenze specialistiche e rientrano nelle ipotesi di

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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contratto d´opera intellettuale, di cui agli articoli 2229 e seguenti del codice civile. Costituiscono incarichi di studio quelli consistenti nello svolgimento di un´attivita´ di studio, che possono essere individuati con riferimento ai parametri indicati dal d.P.R. 18.4.1994, n. 338. Costituiscono consulenze le richieste di pareri a esperti (cosi´ Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, delibera 15.2.2005, n. 6/CONTR/05). In assenza di esclusioni al riguardo, devono ritenersi rientranti nel divieto anche gli incarichi dirigenziali, direttivi, di studio o di consulenza nell´ambito degli uffici di diretta collaborazione di organi politici. Tra le cariche in organi di governo di amministrazioni e di enti e società controllate, a parte le esclusioni espres-samente previste dalla legge (relative alle giunte degli enti territoriali e agli organi elettivi degli enti pubblici associativi), rientrano quelle che comportano effetti-vamente poteri di governo, quali quelle di presidente, amministratore o componente del consiglio di amministrazione. La nomina in consigli di amministrazione, in particolare, rientra nell´ambito del divieto indipendentemente dalla qualifica in virtu´ della quale il soggetto in quiescenza sia stato nominato (per esempio, in qualita´ di esperto o rappresentante di una determinata categoria), dato che il consiglio di amministrazione ha comunque funzioni di governo dell´ente. Naturalmente, il divieto opera anche nel caso in cui la nomina sia preceduta dalla designazione da parte di un soggetto diverso dall´amministrazione nominante. Per quanto riguarda gli incarichi dirigenziali o direttivi e le cariche, va poi rilevato che l´ambito di applicazione del divieto e´ piu´ ampio rispetto al novero delle amministrazioni nominanti, in quanto la disposizione fa riferimento anche agli enti e alle societa´ controllate: gli incarichi e le cariche, rientranti tra i tipi vietati, sono dunque vietati anche qualora siano conferiti presso enti e società controllati, anche indirettamente, dalle amministrazioni indica-te nel paragrafo 3. Infine, i divieti descritti operano indipendentemente dalla fonte di finanziamento con la quale gli interessati

sono retribuiti: è irrilevante, per esempio, che si tratti di fondi provenienti dall´Unione europea o anche trasferiti all´amministrazione conferente da soggetti privati. - Incarichi consentiti. Tutte le ipotesi di incarico o collaborazione non rientranti nelle categorie finora elencate sono da ritenersi sottratte ai divieti di cui alla disciplina in esame. Rimangono ovviamente ferme le disposizioni vigenti relative ai requisiti e alle modalita´ di scelta dei soggetti ai quali conferire incarichi e cariche e alle procedure di conferimento (quali quelle contenute nel citato art. 7 del d.lgs. n. 165 del 2001). Tra le ipotesi che non ricadono nei divieti, si segnalano le seguenti. Va innanzitutto ricordato che scopo delle disposizioni in esame non è di escludere la possibilita´ che i soggetti in quiescenza operino presso le amministrazioni, ma di evitare che il conferimento di incarichi a questi soggetti sia utilizzato per aggirare lo stesso istituto del collocamento in quiescenza. Esse non impediscono di prestare attivita´ lavorativa nelle amministrazioni pubbliche ai soggetti che possano aspirarvi, in relazione ai rispettivi limiti di età. Di conseguenza, non è escluso che un soggetto, collocato in quiescenza per aver raggiunto i relativi requisiti nella propria carriera, possa concorrere per un impiego con una pubblica amministrazione, relativo a una carriera nella quale puo´ ancora prestare servizio. Cio´ puo´ dipendere dalla particolarita´ della carriera (pubblica o privata) di provenienza, che consenta il collocamento in quiescenza a un´eta´ relativamente bassa, o di quella di destinazione, che preveda una piu´ alta eta´ pensionabile (quali quella universitaria o quella giudiziaria). In tali ipotesi, si applicherà ovviamente la vigente disciplina in ordine ai requisiti di accesso all´impiego nelle pubbliche amministrazioni e ai rapporti tra trattamento economico e trattamento di quiescenza. In secondo luogo, il divieto riguarda determinati contratti d´opera intellettuale, ma non gli altri tipi di contratto d´opera. Non è escluso, dunque, il ricorso a personale in quiescenza per incarichi che non

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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comportino funzioni dirigenziali o direttive e abbiano oggetto diverso da quello di studio o consulenza (in questo senso la citata deliberazione della Corte dei conti, Sezione centrale del controllo di legittimita´ sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato). Non è escluso neanche il conferimento a soggetti in quiescenza di incarichi professionali, quali quelli inerenti ad attivita´ legale o sanitaria, non aventi carattere di studio o consulenza. Anche in questo caso, rimane ovviamente ferma la disciplina vigente in materia, con particolare riferimento alle modalita´ di scelta del contraente. Essendo distinti da quelli di studio e consulenza, devono ritenersi conferibili ai soggetti in quiescenza gli incarichi di ricerca, inclusa la responsabilita´ di un progetto di ricerca. Da questo punto di vista, la disposizione in esame si differenzia da precedenti disposizioni legislative, che distinguono tra incarichi di studio, consulenza o ricerca (incluso l´art. 19, co. 10, del d. lgs. n. 165 del 2001) e pongono limiti alla possibilita´ di conferirli. Peraltro, perche´ non si ricada nel divieto di conferire incarichi dirigenziali, gli incarichi in esame non dovranno comportare la direzione di strutture stabili dell´ammini-strazione, potendo invece comprendere la guida di unità costituite temporaneamente per la realizzazione del relativo progetto di ricerca. E, perché non si ricada nel divieto di conferire incarichi di studio, dovra´ trattarsi di reale attivita´ di ricerca: l´incarico potra´ quindi essere conferito soltanto a soggetti che, essendo in possesso di adeguato curriculum scientifico, siano in grado di svolgere un´effettiva attività di ricerca. E´ bene ricordare poi che gli incarichi di ricerca presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell´amministrazione (cosi´ la citata delibera della Corte dei conti, Sezioni riunione in sede di controllo). Sono poi ammessi gli incarichi di docenza. Peraltro, per evitare che il conferimento di un simile incarico consenta di aggirare i divieti esaminati, e´ necessario che si tratti di reali incarichi di docenza, in

cui l´impegno didattico sia definito con precisione e il compenso sia commisurato all´attivita´ didattica effettivamente svolta dal singolo destinatario dell´incarico. Sono esclusi dal divieto, poi, gli incarichi nelle commissioni di concorso o di gara, cosi´ come la partecipazione a organi collegiali consultivi, quali gli organi collegiali delle istituzioni scolastiche. Ne è altresì esclusa la partecipazione a commissioni consultive e comitati scientifici o tecnici, ove essa non dia luogo di fatto a incarichi di studio o consulenza o equiparabili a incarichi direttivi o dirigenziali. Per la loro natura eccezionale, non riconducibile ad alcuna delle ipotesi di divieto contemplate dalla disciplina in esame, devono poi ritenersi esclusi anche gli incarichi dei commissari straordinari, nominati per l´amministrazione temporanea di enti pubblici o per lo svolgimento di compiti specifici. Similmente puo´ dirsi, ovviamente, per i sub-commissari eventualmente nominati. Infine, essendo specificamente vietate ai soggetti in quiescenza le cariche di governo in enti locali, sono invece consentiti - nei suddetti enti come nelle altre amministrazioni - gli incarichi in organi di controllo, quali i collegi sindacali e i comitati dei revisori, purche´ non abbiano, in base alle disposizioni organizzative dell´ammini-strazione stessa, natura dirigenziale. - Incarichi gratuiti. Definito l´ambito di applicazione oggettivo della nuova disciplina, va ricordato che essa contempla un´eccezione ai divieti che essa impone, disponendo che incarichi e collaborazioni sono consentiti a titolo gratuito, con rimborso delle spese documentate, per una durata non superiore a un anno, non prorogabile ne´ rinnovabile. E´ evidente - in base alla ratio della norma, alla rubrica dell´articolo, ai lavori parlamentari e alla diversa formulazione del periodo in esame, che non definisce il proprio ambito di applicazione - che la relativa previsione va letta in connessione ai primi due periodi, rispetto ai quali essa introduce un´eccezione: l´espressione «incarichi e collaborazioni», quindi, corrisponde alle varie ipotesi di cui ai periodi precedenti. Di conseguenza, indipendentemente dal modo

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -159- Numero 1 – 2015

in cui l´incarico venga formalmente qualificato, ove - in base al suo contenuto - esso rientri tra le ipotesi di cui ai divieti in esame, esso potra´ essere conferito, ma soltanto alle condizioni stabilite dalla suddetta previsione. La disposizione serve a consentire alle amministrazioni di avvalersi tempora-neamente, senza rinunciare agli obiettivi di ricambio e ringiovanimento ai vertici, di personale in quiescenza - e, in particolare, dei propri dipendenti che vi siano stati appena collocati - per assicurare il trasferimento delle competenze e delle esperienze e la continuità nella direzione degli uffici. Coerentemente con questa ratio, le amministrazioni potranno, per esempio, attribuire un incarico gratuito a un dirigente collocato in quiescenza, per consentirgli di affiancare il nuovo titolare dell´ufficio dirigenziale per un periodo non superiore a un anno. Nell´attribuire simili incarichi o cariche, le amministrazioni dedicheranno particolare cura all´esigenza di evitare conflitti di interessi, in considerazione del rischio che l´interessato sia spinto ad accettare l´incarico gratuito dalla prospettiva di vantaggi economici illeciti. In considerazione del fine della disposizione, dettata nell´interesse dell´amministrazione piuttosto che del soggetto in quiescenza, le amministrazioni conferiranno gli incarichi in esame di propria iniziativa, avendo verificato la disponibilita´ degli interessati, e non su domanda degli interessati stessi. L´ambito dell´eccezione, dal punto di vista oggettivo, coincide con quello dei divieti: di conseguenza, potranno essere attribuiti, nei limiti indicati, incarichi e cariche gratuiti di ciascuno dei tipi vietati, come individuati nel paragrafo 4. Le amministrazioni dovranno, peraltro, valutare la compatibilita´ dell´incarico o carica con la gratuita´ e con la durata limitata. Per alcuni tipi di incarico, infatti, queste ultime caratteristiche impediscono il ricorso alla disposizione in esame, per esempio perche´ disposizioni vigenti prevedono una durata minima superiore all´anno. In generale, le amministrazioni dovranno valutare la compatibilita´ delle prestazioni richieste e delle eventuali

responsabilita´ con la gratuita´ dell´incarico. Per gli incarichi dirigenziali, in particolare, va ricordato che la possibilita´ di attribuirli a soggetti che abbiano raggiunto i limiti di eta´ per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici era gia´ esclusa dalla disciplina vigente (si veda, in particolare, l´art. 33, co. 3, del d.l. 4.7.2006, n. 223, relativo agli incarichi a soggetti esterni all´amministra-zione, quali i pensionati). Rimane la possibilita´ di conferire incarichi dirigenziali, in base all´art. 19, co. 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, a soggetti che, pur collocati in quiescenza, non abbiano raggiunto i suddetti limiti di età in questa ipotesi, l´ammini-strazione valuterà prudentemente la com-patibilità dell´incarico con la gratuità, con la durata massima annuale e con le responsabilità e i meccanismi di valutazione connessi all´incarico. Rimangono ferme, in queste ipotesi, le regole relative alle procedure selettive di conferimento degli incarichi. La disciplina è applicabile anche agli incarichi a soggetti in quiescenza che gia´ in precedenza erano conferiti a titolo gratuito: valgono per essi, di conseguenza, le nuove disposizioni relative alla durata massima e al rimborso delle spese. La disposizione consente il conferimento di incarichi e collaborazioni gratuiti per una durata massima di un anno «presso ciascuna amministrazione». Di conseguenza, il soggetto collocato in quiescenza potrà ricevere differenti incarichi, anche contemporaneamente, da parte di amministrazioni diverse, ove reciprocamente compatibili, purchè ciascuno di essi rispetti il suddetto limite di durata.

«::::::::: GA :::::::::» BONUS OCCUPAZIONALE: INCEN-TIVI ALLE ASSUNZIONI FATTE DAL 1.1.2014 Il Ministero del Lavoro ha pubblicato il Decreto Direttoriale 11/2015 del 23.1.2015 di rettifica al precedente Decreto 1709/2014 che regola l´incentivo "bonus occupazionale" previsto nel contesto del Programma Garanzia Giovani, cofinanziato dal FSE. Fa seguito, quindi, la nuova versione,

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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consolidata, del citato Decreto Direttoriale 1709/2014 del 8.8.2014 anche con il Decreto 63/2014 del 2.12.2014 che ha reso

"retroattivo" l´incentivo, sopra menzionato, alle assunzioni fatte dal 1.1.2014, data dell´avvio del programma Garanzia Giovani.

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Pubblico Impiego e ResponsabilitàDella Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -161- Numero 1 - 2015

REDAZIONALI

AUTONOMIA ED INDIPENDENZA DELLE AVVOCATURE PUBBLICHE: ANCORA UNA VOLTA C’E’ BISOGNO DELL’INTERVENTO DEL GIUDICE dell’Avv. Rodolfo Murra

Una decisione del TAR lombardo ripropone il tema dell’autonomia e dell’indipendenza delle Av-vocature pubbliche, presupposti ineliminabili per poter svolgere correttamente la professione fo-rense a servizio dell’Ente e della collettività, ciclicamente messi a repentaglio dai tentativi di as-soggettare queste strutture al controllo ed alla subordinazione dell’apparato burocratico. A decision of Tar of Lombardia reproposes the theme of autonomy and independence of the pub-lic law offices, indispensable prerequisites in order to perform correctly the legal profession at the service of the institution and the community, put at risk by the cyclical attempts to subject these structures to control and subordination of the bureaucracy.

Una recente sentenza del TAR Lombardia1 che ha accolto il ricorso proposto da un di-pendente del Comune di Sesto San Giovanni, addetto all’Ufficio legale, il quale si doleva della deliberazione con la quale l’Ente aveva collocato la struttura di appartenenza alle di-rette dipendenze del Segretario comunale, ri-propone il delicato tema dell’autonomia delle Avvocature pubbliche.

Una pubblica Avvocatura è tale, cioè rap-presenta un Ufficio Legale in senso stretto, solo se ad essa sono assicurate le caratteristi-che dell’autonomia e dell’indipendenza. Trat-tasi di connotati tipici ed ineliminabili della professione forense, sia quella esercitata in modo libero-professionale sia quella svolta alle “dipendenze” di un Ente pubblico. Inve-ro quest’ultimo tipo di “dipendenza”, insita negli elementi classici del rapporto di lavoro (inserimento in una organizzazione comples-sa, fedeltà ad un solo “cliente” , diritto ad una retribuzione fissa e continuativa), non può spingersi sino alla paradossale conseguenza di ritenere il legale assoggettato ad un con-trollo sul proprio operato professionale che 1 TAR Lombardia, Mi, III, 16.2.2015 n. 486.

vada nella direzione di indurlo ad esplicare il proprio mandato con vincoli tali da compri-merne l’intima essenza: che è quella della li-bertà (ideologica e culturale) della toga.

Non lo si poteva immaginare un tempo, di incasellare l’ufficio legale di un Ente pubbli-co all’interno della struttura amministrativa e delle gerarchie dell’organizzazione burocrati-ca dell’Ente stesso, quando cioè la materia era regolata dall’art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933 (la vecchia legge professionale dell’ordinamento forense), men che mai si può pensare di farlo ora, nella vigenza dell’art. 23 della l. n. 247 del 2012.

Non v’è dubbio che il fenomeno del “dop-pio status”, cui è assoggettato l’Avvocato pubblico, ha sempre incuriosito la dottrina e stupito i non addetti ai lavori, perché parrebbe quasi costituire un ossimoro la circostanza che vi possa essere un avvocato (uomo libero, per definizione, da qualsivoglia condiziona-mento, in primis da quello che potrebbe eser-citare lo stesso proprio cliente) dipendente da qualcuno2: a ben vedere, portando fino alle

2 Sul punto si consenta di rinviare ad un mio interven-to, in “Il contenzioso delle Pubbliche amministrazioni

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -162- Numero 1 - 2015

estreme conseguenze tale impostazione, do-vremmo dedurne l’incompatibilità dell'eserci-zio della professione forense con qualsiasi i-potesi di lavoro dipendente, anche se svolto alle dipendenze di un Ente pubblico.

Ed infatti, in linea di principio, la profes-sione forense è oggi incompatibile con la condizione di pubblico dipendente, anche se esercitata con rapporto di lavoro a tempo par-ziale. L'iniziale breccia aperta in tale regime, con alcune disposizione della l. finanziaria del 1997 (art. 1, coo. 56 e 56 bis della l. 23.12.1996 n. 662) che appunto consentivano l'accesso agli albi anche dei pubblici dipen-denti cd. “partimisti” , è stata infatti sanata con la successiva l. 25.11.2005, n. 339, che ha escluso gli avvocati dal campo di applica-zione delle precedenti disposizioni, e che è stata valutata pienamente conforme a Costitu-zione dal giudice delle leggi, con la sentenza 21.11.2006, n. 3603.

e gli uffici legali interni”, Atti del Convegno svoltosi a Vicenza l’11.11.2009, nel quale tra l’altro osservavo che “è piuttosto incomprensibile intendere come si possa conciliare il tema della libertà della toga con quello del vincolo che sorge, in definitiva, con l’erogazione di una retribuzione continuativa connessa alla stipula di un contratto di lavoro di natura subor-dinata. Si tratta di spiegare le ragioni di una figura ibrida, sempre sospesa tra la dipendenza e l’autonomia, di una sorta di strano mostro anfibio, di professionista ma anche impiegato, che si relaziona sovente in modo distorto con quello che da un lato è il proprio cliente, ma dall’altro anche il proprio datore di lavoro”. 3 Tale pronunzia solo apparentemente contrasta con quella del 2001 (la n. 189) che aveva invece escluso la incostituzionalità delle norme sui “partimisti” appena citate. Infatti, secondo la Corte costituzionale, la scelta circa un regime di incompatibilità deve ricondursi alla discrezionalità politica del legislatore. Con la decisione n. 189 del 2001, la Corte ebbe a ritenere non manife-stamente irragionevole la disciplina fornita dalle norme che consentivano ai dipendenti pubblici part time l'i-scrizione negli albi e il conseguente esercizio della professione. Una declaratoria di non irragionevolezza di una certa disciplina dice ora la Corte in modo con-vincente non equivale a sancire la irragionevolezza di una disciplina diversa ed opposta, che ora regoli in modo differente ed antitetico la medesima materia. Il ragionamento è rafforzato, nella motivazione della sen-tenza, dal corretto riferimento alla disciplina che rego-lava la materia prima dell'intervento normativo del 1996: l'applicazione del canone della ragionevolezza non può infatti trascurare, secondo la Corte, come il divieto ripristinato dalla L. n. 339 del 2003 sia coeren-

Dunque è proprio con l’art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933 che si legittima la deroga al divieto di iscrizione all’Albo degli avvocati in presenza di un rapporto di lavoro dipendente: norma la cui ratio veniva di solito spiegata con l'esigenza di tutelare l'indipendenza della professione forense nonché l'autonomia di giudizio e di iniziativa degli avvocati nella di-fesa e patrocinio degli interessi del cliente. La mancanza di detti requisiti, infatti, incide ne-gativamente sulla libertà di determinazione del professionista.

L’eccezione a tale divieto, prevista per il rapporto di impiego pubblico, si giustifica quindi in ragione degli scopi dell'Ente e della condizione di maggior autonomia nella quale avvocati e procuratori degli uffici legali di Enti pubblici esplicano tale loro attività4. Un’eccezione che vale esclusivamente per gli Enti pubblici5.

Ma il concetto si rafforza ancor più oggi, con l’entrata in vigore della nuova legge pro-fessionale forense del 2012, il cui art. 23 non descrive più in “negativo” , come faceva il legislatore del 1933, la figura dell’avvocato pubblico, ma ne disegna perfettamente i con-fini, ne tratteggia le qualità, ne rimarca le pre-

te con la caratteristica peculiare della professione fo-rense (tra quelle il cui esercizio è condizionato all'i-scrizione in un albo) dell'incompatibilità con qualsiasi impiego retribuito, anche se consistente nella presta-zione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario (art. 3 del r.d.l. 27.11.1933 n. 1578, recante Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore. In buona sostan-za, dice la Corte nel 2006, il ripristino della causa di incompatibilità è del tutto ragionevole proprio perché, su questo terreno, il legislatore si è sempre mosso con particolare prudenza, circondando di necessarie cautele l'esercizio della professione forense, così profonda-mente connessa ad un diritto fondamentale essenziale all'ordinamento costituzionale democratico. 4 Cons. Naz. Forense 21 febbraio 2003 n. 5. 5 Sotto questo aspetto la distinzione tra lavoratori al servizio di Enti pubblici e dipendenti di soggetti privati è netta e decisa. Il diverso regime di esercizio della professione forense tra avvocati di Enti pubblici e di quelli privati è infatti unanimemente giustificato dalla diversa natura del soggetto per il quale il professionista è chiamato ad operare, collegata ad una distinta disciplina degli interessi perseguiti e degli strumenti adoperati dalle due diverse tipologie di organismi (così Cass. 12 gennaio 1987 n. 115 e 11 aprile 1981 n. 2119, entrambe a Sezioni Unite).

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Pubblico Impiego e ResponsabilitàDella Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -163- Numero 1 - 2015

rogative essenziali ed indefettibili6. L’attuale normativa, infatti, afferma prin-

cipi che quella del 1933 ignorava o che co-munque ometteva di sottolineare: il diritto a che sia “assicurata la piena indipendenza ed autonomia nella trattazione esclusiva e stabi-le degli affari legali dell'ente”, quello ad “un trattamento economico adeguato alla funzio-ne professionale svolta”, nonché la garanzia che nel contratto di lavoro siano espressa-mente previste e salvaguardate “l'autonomia e l'indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica dell'avvocato”. Non è un caso, od un refuso di tecnica redazionale, che i concetti di “indipendenza” e di “autonomia” siano ripe-tuti per due volte nello stesso primo comma della disposizione. La quale, al secondo comma, rafforza il concetto con riferimento specifico - stavolta - alla struttura nella quale il legale è inserito, che deve essere infatti af-fidata alla responsabilità di “un avvocato i-scritto nell'elenco speciale”. Cioè, il coordi-nato dell’Ufficio Legale non può che essere un avvocato7.

All’interno di questo impianto normativo è stato chiamato a pronunciarsi il TAR Lom-bardia, con la statuizione in commento, appo-sitamente evocato da un dipendente del Co-mune di Sesto San Giovanni. Ente che evi-dentemente non aveva meglio da fare che de-cidere di collocare l’Ufficio legale, al quale quel funzionario era addetto, alle dipendenze del Segretario comunale. Operazione vecchia come il mondo e tante volte censurata dalla giurisprudenza.

Invero, salvo qualche risalente ed isolata pronuncia che ha affermato la legittimità, in sede di ristrutturazione burocratica dell’Ente,

6 In ciò la sentenza del TAR Lombardia in commento non coglie il vero senso della riforma, allorquando o-pina erroneamente che il disposto dell’art. 23 l. n. 247 del 2012 sarebbe “riproduttivo, sul punto, della previ-gente disposizione di cui all’art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933”. 7 Quando ancora la norma non esisteva, la giurisprudenza aveva intuito l’incoerenza di un sistema che consentiva, di fatto, l’istituzione di un Ufficio Legale al cui capo non vi fosse un avvocato. Cfr., sul punto specifico dell’illegittimità di un regolamento di funzionamento che non prevedeva al vertice dell’Avvocatura un iscritto all’Albo, C.G.A. 15 ottobre 2009 n. 932.

del regolamento che preveda la sottoposizio-ne dell’Ufficio legale ad una struttura ammi-nistrativa di segreteria8, il principio per il quale l’Avvocatura debba essere collocata in posizione di staff rispetto ai vertici decisiona-li dell’Ente9, senza alcuna mediazione, è as-solutamente granitico e consolidato. A partire da alcune decisioni rese in sede di appello10 la giurisprudenza di merito nel corso degli ulti-mi dieci anni non ha mai mancato di censura-re i tentativi di assoggettamento delle Avvo-cature (in specie quelle comunali) all’apparato burocratico dell’Ente. E quasi sempre il tentativo è stato quello, come nel caso odierno del Comune di Sesto San Gio-vanni, di regimentare l’Avvocatura agli ordini del “solito” Segretario comunale (ovvero del Direttore generale, figure che in molte realtà coincide con la prima).

Da qui il fiorire di un orientamento oramai irretrattabile, secondo il quale “l’esistenza di un’autonoma articolazione organica dell’Ufficio legale dell’Ente risulta indispen-sabile perché l’attività professionale, ancor-ché svolta in forma di lavoro dipendente, de-ve essere esercitata, in conformità alle dispo-sizioni che la disciplinano, con modalità che assicurino oltre alla libertà nell’esercizio dell’attività di difesa, insita nella figura pro-fessionale, anche l’autonomia del professio-nista. A tal fine l’istituzione di un ufficio lega-le nell’ambito di un Ente determina l’insorgenza di una struttura che si differen-zia da ogni altro centro operativo e postula una diretta connessione unicamente con il vertice decisionale dell’Ente stesso, al di fuo-ri, quindi, di ogni altra intermediazione”11.

8 TAR Emilia R., Pr, 20 dicembre 2001 n. 1049. 9 Da intendersi come organo avente la rappresentanza legale dell’Ente: infatti è stata dichiarata illegittima la delibera di una Azienza sanitaria che ha posto sì l’Avvocatura in posizione di staff, ma nell’ambito delle competenze della Direzione Generale (cfr. TAR Calabria, Rc, I, 30.4.2010 n. 458). Non basta quindi, perché l’assetto organizzativo possa dirsi in linea con la normativa vigente, che l’Avvocatura sia estranea ad una “filiera” , ma occorre anche che la sua “dipendenza” sia disciplinata esclusivamente nei confronti del legale rappresentante dell’Ente pubblico. 10 Qui basti ricordare CdS, V, 16.9.2004 n. 6023. 11 Così, lucidamente, TAR Sardegna, II, 14.1.2008 n. 7, con nota di SIRACUSA, “Autonomia e indipendenza

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -164- Numero 1 - 2015

Anche in altre occasioni sono state dichia-rate illegittime quelle determinazioni con le quali una PA. ha stabilito che gli avvocati propri dipendenti debbono operare non già autonomamente, bensì all’interno dell’area amministrativa della PA. stessa, posto che la salvaguardia dell'autonomia ed indipendenza dell'attività professionale forense alle dipen-denze di un ente pubblico esclude che possa esservi una subordinazione gerarchica ed una ingerenza nella trattazione degli affari giuri-dico-legali attinenti specificamente alle com-petenze che il professionista può svolgere in virtù della sua iscrizione all'albo12.

Questa impostazione, seguita natu-ralmente dalla dottrina unanime13, trova sem-pre più spesso autorevole conforto ancora nella giurisprudenza più recente del Supremo Consesso amministrativo: il quale non teme, evidentemente, di dover rimproverare quegli Enti pubblici per certi versi anarchici, quando osserva che è illegittima la sottoposizione dell’Ufficio legale alle direttive e agli ordini del direttore generale, in quanto se egli “può intervenire a coordinare gli uffici (tutti gli uf-fici, anche quello legale), non può indubbia-mente andare ad interferire sull’organiz-zazione interna degli stessi e sulle modalità di organizzazione del lavoro dei medesimi, in-nanzitutto perché si tratta di un’attività tecni-ca (in senso giuridico) e, poi, perché gli uffici legali degli enti pubblici devono necessaria-mente godere di quella particolare autonomia di pensiero e di organizzazione che sola può consentire l’esplicazione corretta e proficua della loro attività”14.

delle avvocature pubbliche nell’organizzazione ammi-nistrativa”, in www.diritto.it, 2008. 12 TAR Calabria, Rc, I, 22 dicembre 2008 n. 731. 13 CARBONE “Gli avvocati degli enti pubblici nella giurisprudenza e nei pareri del Consiglio Nazionale Forense”, in Foro It., 2002, I, 2701; LIPARI, Relazione al seminario “L’ufficio legale interno delle amministrazioni pubbliche dopo la L. n. 15/05”, a cura dell’Ita, Roma, 2005. In generale si veda GIANI -IMBRIACI, L’avvocato dipendente di Ente Pubblico, Milano, 2009. 14 CdS, V, 14.2.2012 n. 730. Interessante sul punto della rivendicazione dell’autonomia organizzativa è anche la coeva decisione del TAR Basilicata, 28.2.2012 n. 100, la quale è entrata nel merito del contenuto di tale autonomia ed indipendenza ai fini del mantenimento dell’iscrizione nell’elenco speciale

Quest’ultima pronuncia contiene un fon-damentale passaggio che consente di affronta-re un tema complementare a quello dell’autonomia. I giudici di Palazzo Spada af-fermano, infine, che “indubbiamente, l’Ufficio legale è sempre un ufficio dell’Amministrazione e non può sottrarsi alle indicazioni degli organi di vertice, nel senso di agire al di fuori di quelle indicazioni: ma tali indicazioni non possono mai intaccare la visione autonoma delle vicende che sono sot-toposte alla sua cognizione”.

Questo inciso motivazionale permette agli osservatori di prendere le distanze da una pronuncia, fortunatamente rimasta isolata15, che ha di fatto insultato gli Avvocati pubblici e generato una collettiva indignazione per i toni ed il tenore delle gratuite opinioni conte-nute nella parte motivazionale, peraltro asso-lutamente inedite e tutt’altro che coerenti con il notorio equilibrio dei giudici amministrati-vi. In altri termini, nessuno può permettersi di scambiare l’autonomia rivendicata con un de-siderio di essere sciolti da qualsivoglia regola comportamentale.

E dunque da un lato non è affatto detto che l’Ente, nell’organizzare il proprio ufficio le-gale, debba collocarlo necessariamente in po-sizione “apicale” 16 ovvero che i suoi addetti non possano che necessariamente appartenere al ruolo dirigenziale17, e dall’altro non può

annesso all’Albo forense, riservata agli avvocati che svolgono la professione quali dipendenti degli enti pubblici. 15 TAR Lazio, III quater, 13 aprile 2011 n. 3222. 16 La legge professionale forense non impone al datore di lavoro pubblico di adottare una organizzazione degli uffici tale da individuare nell’ufficio legale una struttura necessariamente apicale, del tutto autonoma, ma si limita a prevedere che l’attività professionale dell'avvocato di enti pubblici sia incompatibile con ogni altro impiego retribuito, con ciò disinteressandosi completamente della struttura organizzativa, poiché la sua finalità è provvedere ad una garanzia di tipo funzionale, connessa allo status ed all’attività esercitata e che si traduce nella garanzia dell’indipendenza propria dell’avvocato, connessa al riconoscimento dello status professionale peculiare dell’iscritto all’albo speciale: cfr., in termini, Consiglio di Stato, Sez. V, 15.10.2009 n. 6336. 17 Secondo, ancora, CdS n. 6336 del 2009, cit., “l’eventuale attribuzione di una natura non apicale all’ufficio legale non comporta alcun disconoscimento delle qualità e delle prerogative professionali

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affatto ritenersi preclusa la sottoposizione del personale dell’Avvocatura degli Enti locali a un’attività di valutazione esercitata da organi degli enti stessi nell’ambito dei controlli in-terni previsti dalla legge e da contratti collet-tivi di lavoro nazionali o decentrati18.

Sotto il primo aspetto, si è osservato infatti che l’Ente conserva la sua autonomia piena, quale datore di lavoro, di organizzare libera-mente la propria macrostruttura come meglio crede, per poter essere rispondente agli obiet-tivi che si prefigge di realizzare, senza cioè essere costretto né ad istituire un’Avvocatura interna né, se lo fa, ad eleggerla come Ufficio da un lato necessariamente composto da diri-genti e, dall’altro, che debba collocarsi indi-spensabilmente al massimo livello organizza-tivo19. Quel che non può mai difettare, per non incorrere nell’illegittimità totale, è dun-que il riconoscimento dell’autonomia di pen-siero e di organizzazione interna, quella indi-pendenza culturale e professionale che esclu-de possa esservi una subordinazione gerarchi-ca al pari di ciò che avviene per tutti gli altri uffici 20.

Sotto il secondo profilo, va detto che se è vero che anche gli avvocati possono e debbo-

dell’avvocato inquadrato nel ruolo legale”. Dalla normativa vigente può infatti dedursi che il legislatore richiede semplicemente l’istituzione di un ufficio legale autonomo, differenziato dagli altri uffici, e che tale istituzione garantisca a sufficienza l’autonomia dei professionisti, evitando continue ingerenze della dirigenza amministrativa nella gestione degli affari legali. 18 Corte conti, Sez. contr. Regione Campania, deliberazione 26 marzo 2009 n. 14. 19 Solo per C.G.A 15 ottobre 2009 n. 932, cit., l’Avvocatura dell’Ente (nella specie, locale) deve possedere una struttura organica ed organizzativa, posta in posizione autonoma ed equiordinata rispetto alle restanti strutture di massimo livello del Comune, sott’ordinata esclusivamente al vertice decisionale dell’Ente. 20 Si tratta di una autonomia, dallo stesso potere che amministra l’Ente, così forte tanto da imporre all’Avvocato pubblico di fare quel che di norma non è richiesto agli altri funzionari: grava su di lui, ad esem-pio, l'obbligo di denuncia di fatti dannosi per l'Erario. “Obbligo che non si pone in conflitto col dovere di fe-deltà, come nel caso dell'avvocato che denunci il pro-prio cliente, posto che l'avvocato pubblico non va a denunciare l'Amministrazione bensì l'impiegato che l'ha danneggiata” (cfr. Cons. Naz. Forense, parere 17.1.2007 n. 4, reso su quesito del Coa di Rovigo).

no essere “valutati” , tuttavia la stessa giuri-sprudenza che ha affermato questo principio si affretta a chiarirne l’interpretazione, limi-tandone ragionevolmente la portata: “E’ pe-raltro evidente che qualunque modalità di va-lutazione posta in essere nei confronti del personale di avvocatura di enti locali (avente o meno status dirigenziale), non può espan-dersi sino a prevedere – espressamente o sur-rettiziamente – forme di condizionamento e di soggezione che introducano una non tollera-bile ingerenza nell’autonomia di giudizio e di iniziativa nella trattazione degli affari giuri-dico-legali attinenti specificamente alle com-petenze che il professionista può svolgere in virtù della sua iscrizione al relativo albo pro-fessionale, e che costituisce la ratio stessa del regime di incompatibilità”21.

21 Corte conti, n. 14 del 2009 cit.

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SULLA COMPUTABILITÀ DEI RISERVATARI ANCHE VINCITORI PER MERITO NELLA QUOTA DI RISERVA NEI CONCORSI PUBBLICI dell’Avv. Francesco De Clementi

Sommario: 1. La problematica. 2. Il quadro normativo di riferimento. 3. L’orientamento dell’adunanza plenaria del 1993. 4. Il recente revirement della giurisprudenza. 5. Riflessioni sul-la giurisdizione. 6. Considerazioni conclusive.

1. La problematica. Il tema sul quale si discute, nonostante la

pressoché nulla attenzione da parte della dot-trina1, pare senza dubbio meritevole di essere ascritto alla categoria delle vexatae quaestio-nes anche alla luce della riapertura, dopo de-cenni di un certo predominante orientamento giurisprudenziale, di un recente quanto discu-tibile revirement del massimo organo di giu-stizia amministrativa.

La problematica - sulla quale si anticipa non esiste una via di componimento tale da non comportare il sacrificio di un qualche in-teresse (o meglio, come si vedrà in seguito, di un qualche diritto) insito nella stessa, ovvero-sia non è delineabile una soluzione win-win - è quella concernente la computabilità nei concorsi ai pubblici impieghi, in cui sia pre-vista una quota di riserva a favore di una data categoria, dei soggetti che siano al contempo riservatari e anche vincitori per merito.

Non è infatti raro nella prassi che in una graduatoria di un concorso pubblico, nel qua-le operi una quota riservata, ad esempio a fa-vore del personale interno dell’amministra-zione che bandisce il concorso2, si graduino fra i vincitori per merito anche candidati che siano fruitori della riserva, comportando tale circostanza il quesito, nel silenzio del diritto positivo sul punto, se computare o meno tali soggetti nella quota di riserva oppure, facen-do prevalere la loro qualità di vincitori per merito, far operare la riserva, nei limiti nume-

1 N. NIGLIO, Calcolo delle riserve nei concorsi pubblici, in Lexitalia, 2014. 2 L. SGARBI, Le procedure per la progressione di carriera dei dipendenti pubblici, in Giorn. dir. amm., 2002, III, 275.

rici della stessa, a favore di altri concorrenti riservatari utilmente inseriti in graduatoria non collocatisi fra i vincitori per merito.

La queastio iuris sulla quale si scrive non è di poca rilevanza dal momento che, adot-tando l’orientamento secondo il quale i riser-vatari vincitori per merito vadano computati quali fruitori della quota di riserva, gli altri idonei riservatari non potranno avvantaggiar-sene, risultando tale quota stata “bruciata” dal co-riservatario, o da una pluralità di co-riservatari a seconda dei casi, anche vincitore per merito, vale a dire che avrebbe vinto la selezione concorsuale anche prescindendo dalla propria qualità di riservatario.

Si potrebbe difatti ipotizzare una graduato-ria ideale di un concorso a quattro posti dei quali uno, ovvero con una quota pari al 25%, sia riservato ad una data categoria, graduato-ria questa nella quale si collochino utilmente cinque candidati nell’ordine A, B, C, D ed E dei quali A ed E riservatari.

Qualora si aderisca alla tesi per cui A, vin-citore per merito e riservatario, venga compu-tato quale fruitore della riserva, risulteranno selezionati ai fini dell’assunzione A, B, C e D, mentre, all’inverso, qualora si aderisca alla tesi per cui A non fruisca della riserva poiché vincitore per merito, risulteranno selezionati ai fini assunzionali A, B, C ed E.

Appare sin d’ora evidente come tale pro-blematica - si ribadisce nel silenzio del legi-slatore - coinvolga, nello sforzo di darvi solu-zione, principi giuridici di primario rango, congeniti al merit system di diretta promana-zione della Carta fondamentale, sui quali, proprio in occasione del tema in parola, molto si è spesa, e come si vedrà molto continua a

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spendersi, la giurisprudenza. 2. Il quadro normativo di riferimento. Prima di delineare gli orientamenti giuri-

sprudenziali sulla tematica di cui si scrive, pare utile brevemente ricostruire l’architettura normativa entro la quale si è chiamati ad ana-lizzare la questione, prendendo come esem-pio, in ragione della prevalente diffusione nella prassi – ancorché la questione sulla computabilità dei vincitori riservatari nella quota di riserva possa astrattamente riferirsi a qualsivoglia procedura concorsuale in cui o-peri per volontà normativa o della lex specia-lis una quota riservata - la riserva a favore del personale interno all’amministrazione che bandisce il concorso per la progressione ver-ticale, ovvero fra diverse aree funzionali, di carriera.

In tale categoria di concorsi, non a caso definiti dalla dottrina3 quali “concorsi misti”, concorrenti esterni all’amministrazione si trovano a competere con concorrenti già in servizio presso tale amministrazione, sebbene con un inquadramento inferiore rispetto a quello per cui si concorre.

Nell’intento di ricostruire il quadro norma-tivo di riferimento, non si può non fare innan-zitutto, seppur breve, menzione agli artt. 51 e 97 Cost. che statuiscono i principi ammini-strativi di uguaglianza, legalità, buon anda-mento, imparzialità e - in tema di reclutamen-to ai pubblici impieghi quale principio primus inter pares in virtù della specifica attinenza ed espressa menzione – concorsualità.

Sempre considerando l’assunzione dei concorsi misti quale specimen di concorsi con possibilità di previsione di una quota di riser-va, in termini normativi deve farsi riferimento all’art. 52, co. 1 bis d.lgs. 30.3.2001, n. 165, testo unico del pubblico impiego nella novel-la apportata dall’art. 62, co. 1 d.lgs. 27.10.2009, n. 150, il quale dispone al terzo periodo che le progressioni del personale fra diverse aree funzionali avvengano mediante pubblico concorso, salva la possibilità per l’amministrazione procedente di destinare una quota di riserva non superiore al 50% a 3 G. NICOSIA, La “carriera” dei dipendenti pubblici nel prisma delle procedure selettive e concorsuali, in Lavoro nella p.a., 2012, I, 109.

favore del personale interno in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso all’esterno, precisandosi inoltre che la positi-va valutazione conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisca titolo rilevante ai fini dell’attribuzione dei posti riservati per l’accesso all’area superiore; ciò, fra l’altro, del tutto similmente all’art. 3, co. 2 d.P.R. 24.9.2004, n. 272, regolamento per l’accesso alla qualifica dirigenziale nelle amministra-zioni, che prevede una percentuale di posti, pari al 30%, da riservare al personale apicale non dirigenziale dell’amministrazione che bandisce il concorso.

Ulteriore riferimento, utile anche per ri-marcare in via positiva la non sempre nota nella prassi differenza fra riserva e preferen-za4, riveste l’art. 5, co. 1 d.P.R. 10.1.1957, n. 3, risalente testo unico del pubblico impiego (ma ancora, nelle parti che interessano il pre-sente scritto, in vigore), il quale prevede che nei concorsi per l’ammissione alle (previgen-ti) carriere direttive e di concetto le riserve di posti previste da leggi speciali in favore di particolari categorie di cittadini non possano complessivamente superare la metà dei posti messi a concorso e che qualora, in relazione a tale limite, si imponga una riduzione dei posti da riservare ex lege, tale riduzione debba es-sere attuata in misura proporzionale per cia-scuna categoria di aventi diritto.

Ultimo necessario riferimento normativo deve essere infine assunto nell’art. 5 d.P.R. 9.5.1994, n. 487, regolamento per l’accesso alle amministrazioni e dei pubblici concorsi, che, oltre a ribadire quanto già previsto in termini di limitazione quantitativa nel prece-dente enunciato del 1957, al co. 3 stabilisce un determinato ordine di precedenza fra i concorrenti dichiarati idonei in una graduato-ria di merito qualora ve ne siano alcuni che appartengono a più categorie che danno titolo a differenti riserve5.

3. L’orientamento dell’adunanza plena-

4 F. RUSSO, Valutazione dei titoli di precedenza o di riserva nei concorsi per l’assunzione al pubblico impiego, in Giur. merito, 2013, III, 679. 5 F. LIMENA, La guerra dei poveri: disabili contro “vittime” nel collocamento mirato, in Lavoro nella giur., 2011, VII, 660.

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Gazzetta Amministrativa -168- Numero 1 - 2015

ria del 1993. Ricostruito il quadro normativo entro il

quale configurare la questione di cui si discu-te, la riflessione pare matura per analizzare i due, già anticipati, contrapposti orientamenti in termini di computabilità o meno dei riser-vatari anche vincitori per merito nella quota di riserva, prendendo a riferimento per tale analisi gli arresti giurisprudenziali maggior-mente significativi e ricognitivi dell’intero costrutto logico di ciascun orientamento, par-tendo da quello contrario alla computabilità in adesione al quale si è pronunciato, a diffe-renza dell’altro antagonista, il supremo con-sesso di giustizia amministrativa con CdS, ad. plen., 1.7.1993, n. 7.

In tale approdo, l’adunanza, affrontando il caso di riserve di cui alla l. 2.4.1968, n. 482 per determinate categorie svantaggiate, rileva come appaia evidente che il disegno comples-sivo della citata normativa - concetto, si rammenta, applicabile a qualsiasi tipologia di riserva – sia quello di attribuire un concreto e tangibile beneficio agli appartenenti a tali ca-tegorie, consentendo loro un più agevole re-perimento di un’occupazione e di come tale voluntas legis non possa quindi interpretarsi in modo che le medesime riserve non produ-cano gli effetti voluti ovvero li producano in misura attenuata.

Ciò, sempre secondo la plenaria, si verifi-cherebbe qualora nel contingente di riserva si ricomprendessero quei soggetti che, pur ap-partenendo alle categorie di riserva, si siano direttamente classificati tra i vincitori per me-rito proprio e che, quindi, non abbiano avuto necessità di avvalersi della propria qualità di riservatario.

Il fulcro di tale ragionamento risiede nel fatto che “costoro, invero, hanno dimostrato di essere in grado di conseguire con le sole proprie forze e capacità un posto di lavoro e di non avere affatto bisogno del sostegno pubblico in merito, né, quindi, possono in al-cun modo ritenersi beneficati dalla legge od essere inclusi nell’aliquota relativa. In realtà essi sono al di fuori, per particolari positive, favorevoli attitudini e circostanze, dalla ope-ratività della legge, di cui non si giovano (…) tant’è che avrebbero potuto o potrebbero ta-cere tranquillamente della loro appartenenza

ad una delle categorie in via di principio tu-telate, senza che da ciò ne derivi o possa de-rivare alcuna conseguenza sul piano dell’accesso all’impiego e dell’instaurazione del relativo rapporto. Se dunque costoro fos-sero computati nel novero dell’aliquota (…) la norma non conseguirebbe, per questa par-te, il suo scopo, poiché non esplicherebbe i suoi effetti (…) né nei confronti dei vincitori per merito proprio e neppure con riguardo a quegli invalidi (o equiparati) che si sono classificati tra i semplici idonei. Questi ultimi sarebbero di fatto pregiudicati dall’occupazione dei posti del contingente ri-servato ad opera dei primi”.

In altri termini, sempre mutuando le con-clusioni del ragionamento della plenaria, lo scopo della riserva non consiste in quello di ottenere, oggettivamente, la presenza nell’amministrazione di una certa quota di ri-servatari, bensì quello di assicurare a tali sog-getti, in ragione della loro particolare qualità, di poter accedere al pubblico impiego avva-lendosi in concreto di una via preferenziale.

Tale orientamento, a cui chi scrive non ce-la di aderire, è stato, anche in ragione della forza nomofilattica della riportata decisione, fatto proprio da costanti quanto prevalenti pronunciamenti, tanto del giudice di prime cure quanto di quello di appello6, con sparute, nondimeno autorevoli, eccezioni, fino a giun-gere al recente overruling del CdS in aderen-za ad un certo, contrastante con l’adunanza plenaria, orientamento invero stabilmente a-dottato dal CGARS di cui si dirà in seguito.

Fra gli arresti giurisprudenziali conformi all’insegnamento del CdS, ad. plen., 1.7.1993, n. 7 particolarmente rilevanti, per aver corroborato l’architettura logico-giuridica del ragionamento della plenaria, ap-paino due decisioni dei giudici di Palazzo Spada e nello specifico CdS, VI, 16.5.2001, n. 2759 e CdS, IV, 25.7.2005, n. 3971.

Nel CdS, VI, 16.5.2001, n. 2759 pare in-fatti significativo riportare, per magistrale ni-tidezza espositiva, l’argomentazione in adesi-

6 CdS, VI, 16.3.1995, n. 265; CdS, V, 14.11.1997, n. 1304; CdS, V, 10.3.1998, n. 270; TAR Sicilia, Pa, 25.3.2002, n. 793; TAR Sicilia, Ct, 27.1.2004, n. 67; TAR Lazio, 24.5.2006, n. 3820; TAR Sicilia, Pa, 23.4.2007, n. 1180.

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Pubblico Impiego e ResponsabilitàDella Pubblica Amministrazione

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va rielaborazione della menzionata plenaria, alla lettera della quale “non vi è dubbio (…) che interesse primario dell’Amministrazione che indice una procedura concorsuale sia quello di far luogo alla selezione dei soggetti più preparati: a siffatto interesse si affianca quello, avente peraltro natura composita, che si estrinseca attraverso la previsione di quote di riserva per il personale interno. Le stesse rispondono, infatti, al contempo, all’interesse dell’Ente ad utilizzare in funzioni di maggio-re responsabilità e specializzazione personale proprio che abbia già acquisito una certa e-sperienza e a quello degli stessi dipendenti ad un avanzamento accelerato in carriera. Or-bene, ad avviso del Collegio, la tesi contraria alla computabilità nella quota di riserva del concorrente che, all’interno all’ammini-strazione, sia risultato vincitore per merito, lungi dal risultare in contrasto con la prima-ria esigenza di far luogo alla selezione dei più preparati, appare la più idonea a rappre-sentare una ragionevole sintesi delle indicate categorie di interessi perseguiti dall’Amministrazione. Ed invero, il personale interno che consegue per propri esclusivi me-riti un’utile posizione in graduatoria va con-siderato al di fuori dell’ambito di operatività della previsione volta ad istruire la quota di riserva, proprio sulla scorta di un doveroso rispetto del principio che impone all’Amministrazione di selezionare i migliori, ragionevolmente armonizzato con quello che, espresso dalla stessa previsione della riserva, suggerisce l’accantonamento in favore dei dipendenti interni di un determinato quorum dei messi a concorso. Da un lato, infatti, si assicura all’Amministrazione l’assunzione del soggetto che, pur interno, abbia superato la prova selettiva, così risultando oggettiva-mente più idoneo a ricoprire il posto messo a concorso, dall’altro, si soddisfano gli interes-si sottesi all’introduzione della quota di ri-serva, come rilevato, riconducibili tanto alla stessa Amministrazione quanto alla posizione di chi, interno all’Ente, aspira ad una più ce-lere progressione in carriera”.

Medesimo ragionamento è stato successi-vamente fatto proprio dal menzionato CdS, IV, 25.7.2005, n. 3971 che ne trae expressis verbis la conseguenza - quasi a volerne fare

dettato di diritto positivo – in base alla quale “allorquando sussiste una riserva preferen-ziale a favore di soggetti appartenenti a de-terminate categorie di partecipanti per una certa percentuale, non è sufficiente che i ruoli siano ricoperti, in tale percentuale, da tali soggetti, ma che costoro possano diventare pubblici dipendenti avvalendosi effettivamen-te del trattamento di favore loro riservato. Pertanto, ai fini del calcolo dei posti da rico-prire in base alle dette riserve, non devono essere computati coloro che, pur appartenen-do a dette categorie (…) siano stati nominati pubblici dipendenti per solo merito”.

Terminando la disamina dell’orientamento giurisprudenziale avverso alla computabilità dei riservatari anche vincitori per merito nella quota di riserva, pare utile infine riportare, in ragionevole attenuazione di tale orientamen-to, un’interessante decisione, CdS, VI, 7.7.1999, n. 935, che, pur aderendo alla de-scritta posizione, considera ciò cedevole ri-spetto alla contraria statuizione eventualmen-te prevista nel bando di concorso.

A parere di chi scrive, la posizione giuri-sprudenziale illustrata nel presente paragrafo rappresenta la migliore espressione dell’inter-pretazione dell’istituto giuridico della riserva nei concorsi pubblici, dal momento che, se favor deve esserci nei confronti di determina-te categorie - anche qui non ci si discosterà dal prendere a paradigma quella del personale interno - che tale favor sia incomprimibile nei confronti di congiunture, quale quella del vincitore per merito anche riservatario, che, se non correttamente interpretate, come dall’orientamento giurisprudenziale che se-gue, null’altro comportano che la chiara fru-strazione di un istituto specificatamente a presidio di soggetti che - incontrovertibilmen-te - l’ordinamento reputa meritevoli di moda-lità preferenziali di inserimento nei ruoli delle amministrazioni.

Nella citata fattispecie delle riserve a favo-re del personale interno che bandisce il con-corso, ad esempio, non pare ragionevole sot-tacere come coloro che, quali candidati ester-ni, abbiano effettuato un investimento - senza dubbio rilevante anche considerando la cre-scente competizione dovuta da una parte alla scarsezza delle opportunità occupazionali nel

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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settore pubblico e dall’altra all’esponenziale numero di personale qualificato che allo stes-so settore mira per la ricerca di un’occupazione - tale investimento non possa considerarsi di entità equiparabile a coloro che, quali candidati interni, già quotidiana-mente identificano la propria realizzazione professionale nell’amministrazione bandente.

Inoltre, non pare infondato evidenziare come il candidato esterno, che decida di par-tecipare ad un dato concorso in cui sia previ-sta una quota di riserva, implicitamente accet-ti la circostanza che il numero di posizioni a concorso non sia quello complessivo del ban-do, bensì la quota deputata all’accesso ester-no, ben comprendendo come ciò sia basato sull’opportunità, direttamente rispondente al canone costituzionale del buon andamento, per l’amministrazione di favorire la crescita professionale del personale che, prestando servizio presso la stessa, magari meno com-petitivo sotto un versante di preparazione teo-rica – versante sul quale ha comunque almeno una volta dato prova della propria capacità al momento del primo accesso in un’ammini-strazione - ha acquisito un bagaglio esperien-ziale presso la stessa amministrazione che, anche in ottica di scienza dell’ammini-strazione, sarebbe antieconomico non valo-rizzare, favorendo, sebbene temperatamente come l’attuale ordinamento prevede, le aspet-tative di carriera del medesimo personale7.

4. Il recente revirement della giurispru-

denza. Nonostante il delineato orientamento della

plenaria sia stato negli anni solo sparutamente disatteso8 – si deve fra l’altro rilevare con una certa particolare costanza dagli organi della giustizia amministrativa siciliana9, fra le cui decisioni si segnala per completezza espositi-va e assorbenza delle precedenti conformi la recente CGARS, 19.3.2014, n. 150 - è con 7 S. BATTINI , Il blocco delle assunzioni e le progressioni professionali secondo l’Adunanza plenaria, in Giorn. dir. amm., 2012, XI, 1080. 8 TAR Emilia R, Bo, 8.7.1994, n. 436; TAR Puglia, Ba, 6.8.2014, n. 999. 9 CGARS, 4.11.2008, n. 875; CGARS, 24.2.2010, n. 116; TAR Sicilia, Pa, 18.4.2011, n. 757; CGARS, 17.4.2012, n. 478; TAR Sicilia, Ct, 29.10.2013, n. 2618.

sorpresa che pare doversi accogliere il revi-rement del CdS, VI, 11.4.2014, n. 1775, che fa direttamente proprio l’orientamento trina-crio, sancendo un netto contrasto con la mag-gioritaria posizione portata avanti, con un’unica episodica eccezione10, dal medesimo massimo consesso.

L’illustrazione del ragionamento sul quale si basa tale alterità giurisprudenziale - si pre-mette non cagionato da un mutamento del quadro normativo - anche per parità argomen-tativa con il contrario orientamento, in una sorta di ideale scontro a distanza, si affida alla stessa lettera della citata sentenza del CdS, secondo la quale “reputa il Collegio che (…) sia condivisibile l’orientamento giurispru-denziale, secondo cui il candidato riservata-rio, vincitore per merito, debba essere com-putato nel totale dei soggetti rientranti nella quota di riserva (…) in quanto: l’art. 97, co. 3, Cost. stabilisce il principio generale, per cui ai pubblici uffici si accede mediante con-corso, salvi i casi previsti dalla legge; la leg-ge, cui rinvia la Costituzione, si pone come eccezione ad un principio base, e come tale essa deve essere interpretata in maniera re-strittiva, il che non significa soltanto che non si può ricorrere all’analogia e si deve rifug-gire da applicazioni estensive, ma anche che nella attività ermeneutica deve essere privile-giata l’interpretazione che risponda al prin-cipio-base piuttosto che all’eccezione; la Corte Costituzionale ha fatto applicazione di questi principi, laddove ha ritenuto che una percentuale eccessiva di riserve interne nei pubblici concorsi violi l’art. 97, poiché il pubblico concorso, in quanto metodo che of-fre le migliori garanzie di selezione dei più capaci, è un meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza dell’amministrazione (…); ogniqualvolta un candidato riservatario si sia collocato tra i vincitori per merito, egli avrà, al contempo, soddisfatto i due interessi in gioco, quello costituzionale alla selezione dei migliori, e quello della legge alla presen-za, nell’Amministrazione, di un soggetto do-tato di quelle determinate caratteristiche che inducono la riserva; in tal modo, la legge di eccezione è soddisfatta, poiché lo scopo è sta-

10 CdS, V, 6.6.2002, n. 3176.

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to raggiunto e tale scopo, come si è premes-so, deve essere indagato con criteri ermeneu-tici ristretti e non ampliativi, con conseguente necessità di includere il riservatario vincitore per merito nella quota di riserva”.

L’arresto ora illustrato, sebbene certamen-te autorevole ed in alcuni passaggi anche per-suasivo11, non si nasconde presenti, a parere di chi scrive, due significativi ordini di critici-tà, di cui il primo di merito, in relazione al quale non si può che riportarsi, all’inverso, a quanto già delineato a sostegno della tesi an-tagonista, ed il secondo di carattere generale, legato alla riottosità palesata dal CdS verso il ruolo nomofilattico dell’adunanza plenaria del 1993, supremo consesso che, sebbene in un ordinamento non di stare decisis come quello italiano, indiscutibilmente assolve la primaria funzione di configurare “stelle pola-ri” sempre più necessarie - peraltro in un ca-so, come quello di specie, intimamente con-nesso al valore costituzionale ultraprimario del lavoro - tanto alle amministrazioni quanto agli amministrati.

Pur premettendo che non è questa la sede per discutere sulla valenza nomofilattica del supremo organo di giustizia amministrativa, punto sul quale molto si è spesa la dottrina12, pare opportuno comunque sottolineare come il CdS, VI, 11.4.2014, n. 1775, qualora, come è stato, non avesse ritenuto di condividere l’orientamento espresso dal CdS, ad. plen., 1.7.1993, n. 7, bene avrebbe fatto a rimettere alla stessa adunanza plenaria la decisione, non potendosi registrare infatti alcun diverso orientamento sulla questione dello stesso su-premo consesso rispetto a quello del 1993 e non potendosi di certo considerare che un pronunciamento della plenaria, poiché risa-lente, perda in qualche modo di “valenza con-formativa”.

A riprova di ciò, non si può non salutare come assolutamente mirabile quanto, su di-versa questione, statuito dal CdS, IV, 30.11.2010, n. 8363 che, in ossequio ad un

11 P. PEZZATI, Sul grado di intolleranza del concorso pubblico verso la riserva dei posti disponibili, in Foro amm. CdS, 2007, I, 311. 12 M. BARLETTA, La funzione nomofilattica dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in Diritto.it , 2012.

risalente pronunciamento del supremo con-sesso, ha affermato come “la Sezione non in-tende decampare dal vincolante principio di diritto formulato dall’alto consesso; resta so-lo da dire, sul punto, che la decisione della Sezione di discostarsene determinerebbe l’obbligo, a mente dell’art. 99, co. 3, c.p.a. (…), di rimettere a quest’ultimo la decisione del ricorso nell’esercizio della funzione no-mofilattica che gli appartiene”.

5. Riflessioni sulla giurisdizione. Astraendosi per un momento dalla mani-

chea contrapposizione fra i due orientamenti giurisprudenziali sopra illustrati, pare interes-sante porre brevi cenni in riferimento alla giu-risdizione, nel riparto fra giudice ordinario e amministrativo, in tema di applicazione delle riserve nei concorsi a provvista delle ammini-strazioni.

A tale fine non si può trascendere dal pre-mettere l’ormai pacifica interpretazione giuri-sprudenziale dell’art. 63 d.lgs. 30.3.2001, n. 165, da ultimo nitidamente ribadita dal CdS, III, 10.12.2013, n. 5911 secondo cui, ai sensi del menzionato dettato normativo, al giudice amministrato “spetta la cognizione di tutte le controversie attinenti alla procedure concor-suali, che sono strumentali alla costituzione del rapporto, e il cui momento finale è costi-tuito dall’approvazione della graduatoria (…). Con l’approvazione della graduatoria si esaurisce, infatti, l’ambito riservato al proce-dimento amministrativo e all’attività autori-tativa dell’Amministrazione, subentrando una fase in cui i comportamenti di questa vanno ricondotti alla sfera privatistica, espressione del potere negoziale della p.a. nella veste di ordinaria datrice di lavoro, da valutarsi alla stregua dei principi civilistici in ordine all’adempimento delle obbligazioni (art. 1218 c.c.)”.

Allo scopo di analizzare il collocamento in termini di riparto di giurisdizione delle riser-ve nelle graduatorie concorsuali, si pone quindi come necessario porre brevi cenni sul concetto giuridico stesso di graduatoria con-corsuale13, cenni dai quali - si premette -

13 G. FERRARI, Criteri di formazione della graduatoria, in Giorn. dir. amm., 2011, XI, 1111.

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sembrano doversi delineare conseguenze non di poco momento.

Primario riferimento normativo a tal fine è rappresentato dall’art. 15 d.P.R. 9.5.1994, n. 487 che prescrive “la graduatoria di merito dei candidati è formata secondo l’ordine dei punti della votazione complessiva riportata da ciascun candidato, con l’osservanza, a pa-rità di punti, delle preferenze previste (…)”, per poi al co. 3 prevedere che “sono dichiara-ti vincitori, nei limiti dei posti complessiva-mente messi a concorso, i candidati utilmente collocati nelle graduatorie di merito” (…) e infine al co. 4 che “la graduatoria di merito, unitamente a quella dei vincitori del concor-so, è approvata con decreto del Ministro per la funzione pubblica (…)”.

Nonostante dall’enunciato normativo ora esposto appaia chiaro che l’ordinamento pre-veda la formazione di due tipologie di gra-duatoria, la prima di merito e la seconda dei vincitori, la prevalente prassi amministrativa, confortata da una certa dottrina14, sembra a-ver fatto proprio un “principio di unicità del-la graduatoria” e cioè della stilazione della graduatoria di merito a pedice della quale in-dividuare, in genere in via narrativo-dispostiva, i vincitori, rectius i selezionati ai fini dell’assunzione, fra i quali devono ov-viamente, per quanto in esame, essere anno-verati anche i fruitori di eventuali riserve.

Nonostante la diffusa disapplicazione della duplicità delle graduatorie, di merito e dei vincitori, sembra opportuno evidenziare come tale distinzione sia spesse volte rimarcata da attenta giurisprudenza15, fra cui si cita, per concisione argomentativa, CdS, VI, 7.6.2001, n. 3088 a cui si contrappone, altresì, differen-te lettura giurisprudenziale16, fra cui CGARS, 22.2.1996, n. 39, a mente della quale nessuna norma o principio generale prevede che nell’ipotesi di concorso pubblico, nel quale sia prevista una riserva di posti, l’amministrazione proceda alla formazione di due distinte graduatorie, risultando pertanto legittima la formulazione di un’unica gradua-

14 P. COSMAI, La chimerica primazia del pubblico concorso, in Il Personale, 2012, XIII-IX, 413. 15 TAR Puglia, Le, 16.1.2001, n. 3324. 16 CdS, VI, 28.4.1998, n. 552; CdS, VI, 13.11.2006, n. 6670; TAR Sicilia, Pa, 1.4.2014, n. 950.

toria nella quale siano collocati sia i vincitori di merito sia i riservatari.

Il ragionamento finora esposto non pare lezioso dal momento che, a livello teorico, qualora l’amministrazione proceda alla for-mazione della sola graduatoria di merito nella quale l’individuazione dei vincitori, anche ri-servatari, sia insita nella graduatoria stessa17, un’eventuale ricorso avverso l’individuazione delle riserve, quindi a censura della sezione narrativo-dispositiva nell’alveo della gradua-toria di merito, attenendo alla gestione iure privatorum della stessa, sembrerebbe rientra-re nella giurisdizione del giudice ordinario mentre - all’inverso - qualora l’amministra-zione proceda alla formazione di due distinte graduatorie, una di merito e l’altra dei vinci-tori, collocandosi l’individuazione delle riser-ve nella seconda delle due e quindi afferendo alla formazione della graduatoria, fase nella quale l’amministrazione agisce iure imperii, parrebbe afferire alla giurisdizione del giudi-ce amministrativo.

In altre parole, a seconda della modalità meramente formale di redazione della gradua-toria, ovvero di un’unica graduatoria di meri-to con la collaterale individuazione dei vinci-tori o di due graduatorie distinte una di merito e l’altra dei vincitori fra i quali i riservatari, essendo il canone giurisprudenziale di attua-zione del citato art. 63 d.lgs. 30.3.2001, n. 165 basato proprio sullo spartiacque della formazione della graduatoria, qualora l’individuazione delle riserve sia effettuata nella separata graduatoria dei vincitori – e quindi si contesti tale graduatoria nella sua genesi formativa, sede della spendita del po-tere autoritativo dell’amministrazione – la giurisdizione si potrebbe non irragionevol-mente sostenere che ricada in quella del giu-dice amministrativo.

Tale speculazione sembra confermata, in lettura inversa, da diversi pronunciamenti proprio attinenti alla fase di individuazione delle riserve nelle graduatorie, fra cui, per au-torità, si cita Cass., sez. un., 13.2.2008, n. 3409 a mente della quale “costituisce jus re-ceptum che nei concorsi per l’assunzione di pubblici dipendenti l’ambito riservato al pro-

17 TAR Puglia, Le, 28.12.2006, n. 6090.

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Gazzetta Amministrativa -173- Numero 1 - 2015

cedimento amministrativo ed all’attività au-toritativa dell’amministrazione si esaurisce con l’approvazione della graduatoria; nella fase successiva i comportamenti dell’ammi-nistrazione vanno ricondotti all’ambito priva-tistico, con conseguente devoluzione della domanda relativa al giudice ordinario (…). Nel caso di specie la ricorrente non contesta la graduatoria, ma il riparto dei posti dei ri-servatari nell’ambito delle fasce, il che costi-tuisce questione di merito devoluta al giudice avente giurisdizione sulla fase successiva all’approvazione della graduatoria, nonchè sul diritto soggettivo degli invalidi all’assunzione”; andando da sé che, qualora si contestasse, nel caso di formazione di due graduatorie - in stretto ossequio al citato art. 15 d.P.R. 9.5.1994, n. 487 - proprio la mede-sima formazione della graduatoria dei vinci-tori, con congenita individuazione delle riser-ve, si potrebbero porre non infondati dubbi, ancorché cagionati da fattori essenzialmente formalistici, sulla pertinente giurisdizione.

6. Considerazioni conclusive. La problematica sopra illustrata, benché

possa sfuggire ai più alti temi del diritto am-ministrativo – data la non solvibilità della stessa per via giurisprudenziale ad opera di un orientamento tanto convincente da prevalere sull’altro, di cui il menzionato CdS, VI, 11.4.2014, n. 1775, in contrasto con quanto indicato dall’adunanza plenaria del 1993, ne rappresenta prova lampante - sembra comun-que meritevole, quantomeno per lenire gli sforzi della giurisprudenza e per fornire un chiaro riferimento alle amministrazioni, di un intervento del legislatore, per esempio ad e-mendamento ampliativo del citato d.P.R. 9.5.1994, n. 487, che, facendo propria una delle due tesi prospettate, renda buon servizio all’autoconsistenza dell’ordinamento ammi-nistrativo a tutto vantaggio di coloro che in esso vi operano e di coloro che su di esso fanno affidamento.

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GIURISPRUDENZA Consiglio di Stato Sez. V del 24.3.2015 n. 1450 Pubblico impiego: lo svolgimento di mansioni superiori è irrilevante, sia ai fini economici, sia ai fini della progressione di carriera, salva l´esistenza di un´espressa disposizione che disponga diversamente. Nel giudizio in esame la richiesta dell’inte-ressata è diretta all´inquadramento nel livello sovraordinato in forza della superiore posizio-ne temporaneamente ricoperta, ma in giudizio la stessa parte riconosce - tanto nel suo atto di appello quanto nella sua conclusiva memoria - che l’evoluzione normativa e giurisprudenziale “ha ormai categoricamente escluso la possibi-lità di inquadramento nel profilo superiore”. Sicché la Sezione può limitarsi, in proposito, a dare atto che l’impostazione consolidata della giurisprudenza amministrativa è proprio nel senso indicato (cfr. di recente, ad es., CdS., V, 29.11.2013, n. 5715; VI, 27 luglio 2010, n. 4880; IV, 15 settembre 2009, n. 5529), venendo pacificamente esclusa l’applicabilità all’impie-go presso le Amministrazioni Pubbliche dell´art. 2103 cod. civ..Parimenti infondata, pe-rò, è la pretesa di parte di conseguire le diffe-renze retributive corrispondenti alle vantate mansioni superiori. La giurisprudenza del Con-siglio è ormai stabilizzata in senso sfavorevole anche alle istanze del personale pubblico tese al riconoscimento delle differenze retributive legate allo svolgimento di mansioni superio-ri.La posizione si fonda sulle seguenti acquisi-zioni (cfr. la decisione n. 3314\2010 della Se-zione, dalla quale si traggono i passaggi di se-guito riportati):“a) a meno che non via sia una specifica disposizione di legge che disponga al-trimenti, lo svolgimento in via di mero fatto di mansioni superiori da parte del pubblico di-pendente, rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, costituisce circostanza irrilevante, oltre che ai fini della progressione in carriera, anche ai fini economici, non essendo sotto tale aspetto il rapporto di pubblico impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato,

sia perché gli interessi pubblici coinvolti sono di natura indisponibile, sia, comunque, perché l´attribuzione di mansioni superiori e del corre-lativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimen-to di inquadramento (cfr., tra le tante, Sez. VI, 8.1.2003, n. 17; 19.9.2000, n. 4871; 22.8.2000, n. 4553; 11.7.2000, n. 3882; Ad. Pl. 23.2.2000 n. 11);b) la domanda volta ad ottenere una re-tribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa applicabile non può essere basata sull´art. 36 Cost., che afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavorato-ri alla qualità e quantità del lavoro prestato; tale norma, infatti, non può trovare incondizio-nata applicazione nel rapporto di pubblico im-piego, concorrendo in detto ambito altri princi-pi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall´art. 98 Cost. (che, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rap-porto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quali quelli previsti dall´art. 97 Cost., contrastando l´esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l´imparzialità dell´Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari (cfr. Sez. VI, 19.9.2000, n. 4871; Sez. VI, 11.7.2000, n. 3882; Sez. VI, 15.5. 2000, n. 2785; Ad. Plen. 18.11.1999, n. 22);c) per effet-to degli artt. 51 e 97 Cost. le attribuzioni delle mansioni e del relativo trattamento economico non possono essere oggetto di libere determi-nazioni dei funzionari amministrativi (cfr. Sez. VI, 8.1.2003, n. 17; 19.9.2000, n. 4871; Sez. VI, 11.7. 2000, n. 3882; Ad Pl. 23.2.2000, n. 11);d) il diritto alle differenze retributive per lo svol-gimento delle mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti va riconosciuto con carat-tere di generalità soltanto a decorrere dall´entrata in vigore del D.Lgs. 29.10.1998, n. 387, che con l´art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina dell´art. 56 D.lgs.

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Pubblico Impiego e Responsabilitàdella Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -175- Numero 1 - 2015

3.2.1993 n. 29, atteso che, prima di tale data, nel settore del pubblico impiego, salvo diversa disposizione di legge, le mansioni svolte da un pubblico dipendente erano del tutto irrilevanti ai fini della progressione di carriera ovvero a-gli effetti economici di un provvedimento di preposizione ad un ufficio di livello superiore (cfr., tra le tante, Cons. St., Ad. Plen. 23.2.2000, n. 11; Sez. VI 8.1.2003, n. 17; 27.11.2001, n. 5858; 7.5.2001, n. 2520)” (C.d.S., V, n. 3314 cit.).In conclusione, pertan-to, nell´ambito del pubblico impiego lo svolgi-mento da parte del dipendente di mansioni su-periori a quelle dovute in base all´inquadra-mento è irrilevante, sia ai fini economici, sia ai fini della progressione di carriera, salva l´esistenza di un´espressa disposizione che di-sponga diversamente (Sez. V, 29.11.2013, n. 5715; 17.10.2013, n. 5047; 11.10.2013, n. 4973). Consiglio di Stato Sez. VI del 2.3.2015, n. 1004 Concorso per la nomina di ricercatori universitari: la procedura di valutazione comparativa. In materia di procedura di valutazione compa-rativa per ricercatori universitari, i parametri per la valutazione dei titoli e delle pubblicazio-ni, delineati dagli artt. 1, comma 7, d.-l. 10 no-vembre 2008, n. 180, e 2 e 3 del d.m. 28 luglio 2009, n. 89, cui si è uniformato il bando in og-getto (v. art. 5 del bando), sono rimasti presso-ché identici rispetto a quelli già individuati dal previgente d.P.R. 23 marzo 2000, n. 117 – pe-raltro, espressamente richiamato nella premes-se del decreto ministeriale –, con l’aggiunta di alcuni titoli relativi ad attività all’epoca non considerate dall’art. 4, comma 4, d.P.R. n. 117 del 2000, e con la specificazione di qualche cri-terio di valutazione delle pubblicazioni già so-stanzialmente previsto dai commi 2 e 3 del cita-to art. 4. Quanto alla metodologia di valutazio-ne, la sua natura «analitica» imposta per il giudizio sui titoli dall’art. 3, co. 1, d.m. n. 89 del 2009 – mentre, per le pubblicazioni, l’aggettivazione in esame è impiegata in rela-zione alla sola determinazione del contributo individuale in caso di opere collettanee –, non ha apportato una sostanziale innovazione alla disciplina precedente, la quale già aveva impo-sto una valutazione «specifica» dei titoli, in se-

de di giudizio comparativo (v. art. 4, co. 4, d.P.R. n. 117 del 2000), dovendosi attribuire alle due locuzioni lessicali un significato so-stanzialmente identico nel contesto normativo di riferimento, nel senso della natura puntuale ed individuale della valutazione da compiere sulle singole categorie di titoli individuate dal richiamato decreto ministeriale, nelle quali siano sussumibili i singoli dati curriculari. Per quanto attiene all’oggetto della valutazione comparativa «analitica» dei titoli, esso deve es-sere riferito alla singole tipologie o categorie di titoli ed attività individuate dall’art. 2, nelle quali siano sussumibili le singole, concrete at-tività indicate dai concorrenti nei rispettivi cur-ricula, e non già a queste ultime in sé e per sé considerate, che possono anche sottrarsi ad una valutazione comparativa per il difetto di un omogeneo tertium comparationis, sicché il cri-terio metodologico da seguire dalla commis-sione riguarda la analiticità tipologica, e non già la analiticità oggettuale, in funzione di un giudizio comparativo sulla significatività scien-tifica dei curricula presentati dai candidati. I-dentico approccio metodologico deve essere applicato alla valutazione delle pubblicazioni, in cui non occorre la valutazione di ogni singo-la pubblicazione, ma solo delle pubblicazioni costituenti espressione di una significatività scientifica rilevante ai fini del giudizio di ido-neità all’attività di ricerca e meritevoli di esse-re sottoposti ad una valutazione comparativa alla stregua dei criteri dettati dall’art. 3 del ci-tato decreto ministeriale. Diversamente opi-nando – ossia ritenendo, come assunto nell’impugnata sentenza, che sia necessaria una valutazione comparativa analitica di ogni singolo titolo/attività e di ogni singola pubbli-cazione, di cui ciascuna da valutare comparati-vamente alla stregua di ciascuno dei criteri di «originalità», «innovatività», «importanza», «congruenza con il settore scientifico-disciplinare», «rilevanza editoriale» e «diffu-sione nella comunità scientifica» (nella impu-gnata sentenza, con richiamo ad alcuni prece-denti di TAR, si assume la «necessità di redige-re una tabella per ogni singolo candidato, elen-cando a sinistra tutti i titoli e le pubblicazioni valutabili, e a destra la valutazione specifica ed analitica per ognuno di essi»), si perverrebbe ad un irragionevole esito di pratica ingestibilità

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -176- Numero 1 - 2015

delle procedure valutative in questione (così, ad esempio, ipotizzando la partecipazione di soli dieci candidati, ciascuno dei quali presenti dieci titoli e dieci pubblicazioni da valutare comparativamente a coppie, la commissione giudicatrice sarebbe tenuta a compilare mi-gliaia di griglie comparative, tenuto conto di tutte possibili combinazioni di raffronto ‘a cop-pia’ tra tutti i candidati). Il senso della prescri-zione del carattere analitico della valutazione da compiere dalla commissione non può, dun-que, che essere quello di imporre alla stessa di tenere, bensì, conto di tutti i dati curriculari in-dicati dai candidati (titoli e pubblicazioni), ma di sceverare – ovviamente, secondo percorsi logici coerenti e di congruo apprezzamento scientifico – i dati rilevanti al fine della com-piuta valutazione della maturità scientifica dei candidati e della correlativa valutazione com-parativa, da quelli non significativi, sulla base di un’altrettanto congrua ed adeguata motiva-zione, e di esprimere il giudizio comparativo sui dati così (motivatamente) enucleati. Ne deriva che continua a restare valido l’orientamento consolidato di questa Sezione, formatosi sul preesistente quadro normativo (v. sul punto, per tutte, CdS, VI, 27.11.2012, n. 5983, con ampi richiami giurisprudenziali), se-condo cui la prescrizione della valutazione spe-cifica dei titoli, di cui all’art. 4, co. 4, d.P.R. n. 117 del 2000, deve essere rapportata alla fina-lità assegnata dalla normativa alla valutazione comparativa, consistente in un raffronto, attra-verso la valutazione dei titoli e delle pubblica-zioni, della personalità scientifica dei vari can-didati, dei quali va ricostruito il profilo com-plessivo risultante dalla confluenza degli ele-menti che lo compongono, da apprezzare in tale quadro non isolatamente, ma in quanto corre-lati nell’insieme secondo il peso che assumono in una interazione di sintesi oggetto di un moti-vato giudizio unitario; la suddetta valutazione specifica dei titoli deve, dunque, essere svolta, ma non con dettaglio tale da instaurare una va-lutazione comparativa puntuale di ciascun can-didato rispetto agli altri per ciascuno dei titoli, poiché, diversamente, si perderebbe la conte-stualità sintetica della valutazione globale, ri-sultando perciò necessario e sufficiente che i detti titoli siano stati acquisiti al procedimento e vi risultino considerati nel quadro della detta

valutazione. Consiglio di Stato Sez. III 2.3.2015, n. 1014 Svolgimento di mansioni superiori: le tre condizioni per ottenere le differenze retributive nel comparto sanità. La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 2 marzo 2015 ha affrontato la problematica relativa al riconoscimento delle maggiore retribuzione per lo svolgimento di mansioni superiori affrontando la problematica generale dell´irrilevanza ai fini giuridici ed e-conomici dello svolgimento delle mansioni su-periori nel settore del pubblico impiego. In par-ticolare, il Consiglio di Stato per quanto attiene al comparto sanitario ha evidenziato che ai sensi dell´art. 29, d.P.R. 20.12.1979 n. 761, nel-la lettura che di esso hanno dato la Corte costi-tuzionale e il Consiglio di Stato, la maggiore retribuzione per lo svolgimento di mansioni su-periori spetta al dipendente a condizione che vi sia stato un atto formale di incarico relativo al-la copertura temporanea di un posto vacante in organico, e sempreché tale atto provenga dall´organo competente ad emanare i provve-dimenti in materia di stato giuridico e tratta-mento economico del personale, non essendo sufficienti a questo riguardo eventuali ordini di servizio di un superiore gerarchico (Consiglio di Stato, sez. III, 24.9.2013, n. 4688; 8.10.2012, n. 5221). In generale poi il Collegio ha ribadito i principi sanciti dalla giurisprudenza consolidata (sen-tenze 31.5.2013, n. 2979; 23 maggio 2013, n. 2794) a tenere dei quali ai sensi dell´art. 29, co. 2, del d.P.R. 761/1979 - in deroga al gene-rale principio dell´irrilevanza ai fini giuridici ed economici dello svolgimento delle mansioni superiori nel settore del pubblico impiego - è ammessa la retribuibilità delle stesse solo in presenza di tre contestuali condizioni: I) esi-stenza in organico di un posto vacante cui ri-condurre le mansioni di più elevato livello; II) previa adozione di un atto deliberativo di asse-gnazione delle mansioni superiori da parte dell´organo a ciò competente (potendosene prescindere solo nel caso di sostituzione nell´esercizio delle funzioni medico- primaria-li); III) espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell´anno solare.Nel caso dell´appellante, pre-

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Pubblico Impiego e Responsabilitàdella Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -177- Numero 1 - 2015

scindendo da ogni valutazione in ordine al con-tenuto ed alla corrispondenza funzionale delle mansioni svolte, pur supponendo che si sia trat-tato effettivamente di mansioni superiori alla

qualifica formalmente rivestita, manca, quanto meno, il previo conferimento formale da parte dell´organo competente in materia di gestione del personale.

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -178- Numero 1 - 20151

PATTO DI STABILITÀ, BILANCIO E FISCALITÀ

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI

ESENZIONE IMU: IN G.U. IL TESTO DEL DECRETO LEGGE COORDINATO CON LA LEGGE DI CONVERSIONE

E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 25.3.2015 -Serie Generale n. 70, la legge 24 marzo n. 34, di conversione in legge, con modificazione, del d.l. 24.1.2015, n. 4, recante misure urgenti i materia di esenzione IMU. Proroga dei termini concernenti l’esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale. Per scaricare il testo coordinato del Decreto-Legge 24 gennaio 2015. (L. 24.3.2015 n. 34 pubblicata sulla G.U. n. 70 del 25.3.2015 )

«::::::::: GA :::::::::» CORTE DEI CONTI: IN GAZZETTA. UFFICIALE L'INTEGRAZIONE DELLE LINEE GUIDE E DEI CRITERI PER L'ISTRUTTORIA DEL PIANO DI RIEQUILIBRIO FINANZIARIO PLU-RIENNALE È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20 marzo 2015 la delibera della Corte dei Conti recante "Integrazione delle linee guida e dei criteri per l´istruttoria del piano di riequilibrio finanziario pluriennale ex art. 243-quater del d. lgs. 18.8.2000, n. 267 (TUEL) come introdotto dall´art. 3, co. 1, lett. r) del d.l. 10.10.2012, n. 174, convertito dalla l. 7.12.2012, n. 213, approvati con delibera n. 16/SEZAUT/2012/INPR. (Delibera n. 8/SEZAUT/2015/INPR)". Nella delibera si precisa che nella procedura di riequilibrio il rinvio operato dall´art. 243-bis, co. 8 lett. g) TUEL all´art. 259, co. 6, deve intendersi riferito alla sola riduzione della dotazione organica e non anche alla

riduzione della spesa del personale a tempo determinato; misura, quest´ultima, che potra´ essere adottata nel contesto degli interventi di cui all´art. 243 bis, co. 9 TUEL, ove necessaria al riequilibrio della parte corrente del bilancio (delibera della Corte dei Conti pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20.3.2015).

«::::::::: GA :::::::::» DANNO ERARIALE: È TRUFFA AL FISCO IMPEDIRE LA RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE Con la sentenza del 24.2.2015, la Corte dei Conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello conferma la sentenza di condanna al risarcimento del danno erariale pronunciata dalla Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio a carico di tre dipendenti dell’Agenzia delle Entrate per aver impedito la riscossione di imposte presso una società estera mediante una condotta fraudolenta e la produzione di documenti falsi. Le doglianze avanzate dagli appellanti nell’atto di gravame offrono alla Corte dei Conti l’occasione per ribadire alcuni principi giurisprudenziali consolidati in tema di responsabilità amministrativa per danno erariale in ordine a: 1) dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di risarcimento del danno nel caso di occultamento doloso del danno medesimo. Sotto questo profilo, premesso che "ai sensi dell´art. 1, comma 2 della legge 14.1.1994 n. 20 (come successivamente modificata dalla legge 20.12.1996 n. 639), il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso,

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -179- Numero 1 - 2015

ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta. La prescrizione, dunque, decorre dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso e tale data è stata identificata dalla giurisprudenza in quella in cui si è verificato il danno quale componente del “fatto“" e rammentato che "il Legislatore, con le norme appena citate, ha sancito espressamente il principio secondo il quale, nel caso di occultamento doloso, il termine di decorrenza della prescrizione non può che decorrere dalla data della sua scoperta", il Giudice contabile conclude che «nei casi […] di fatti delittuosi consistenti nell’ignota percezione illecita di denaro, si deve ritenere in re ipsa la sussistenza di un doloso occultamento del danno […]. Tale situazione, a sua volta, comporta un obiettivo impedimento ad agire, di carattere giuridico e non di mero fatto: ciò implica che l’azione contabile può essere iniziata solo allorché il fatto viene non meramente scoperto, ma da quando esso assume una sua concreta qualificazione giuridica, atta ad identificarlo come presupposto di una fattispecie dannosa. Non vi è allora dubbio che l’inizio del termine di prescrizione debba essere individuato, in tali evenienze, nel momento in cui il danno stesso viene delineato in tutte le sue componenti, a seguito del provvedimento di rinvio a giudizio in sede penale: momento che indubbiamente rappresenta, anche in virtù di quanto disposto dall’art. 2935 del c.c. (“la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”) il dies a quo di decorrenza». b) accertamento del nesso di causalità in campo giuscontabile. Sul punto, la Corte dei Conti evidenzia che "in realtà sarebbe sufficiente un qualsiasi apporto causale al determinarsi di un effetto dannoso, perché emerga e sussista il nesso etiologico tra condotta del soggetto agente ed evento dannoso per l’Erario: a differenza di quanto avviene in campo contrattuale privatistico, dove il principio di causalità viene interpretato con particolare rigore (art. 1223 c.c.), nel campo giuscontabile il criterio dell´immediatezza viene esteso, considerando rilevanti anche gli eventi indiretti e mediati, purché però siano effetto normale della condotta (principio c.d. della regolarità causale). In particolare,

nell´ipotesi di concorso di cause (pluralità di fatti dannosi, imputabili a più persone e succedutisi nel tempo), si riconosce efficienza causale nei confronti di tutti coloro che abbiano determinato una situazione tale che, senza il loro apporto, l´evento non si sarebbe verificato". c) utilizzabilità ai sensi e per gli effetti dell’art. 116 c.p.c. anche di materiale probatorio acquisito nell’ambito di un giudizio diverso da quello contabile e in particolare nel giudizio penale. In relazione a tale profilo, la Corte dei Conti rimarca che "il principio di base da cui partire è quello secondo cui il materiale di un giudizio diverso da quello contabile ben può essere esaminato e valutato da questo Giudice contabile, per essere posto (unitamente a tutta la restante documentazione) a fondamento dell’emanandadecisione, senza che ciò implichi la violazione del diritto di difesa di alcuno. Secondo giurisprudenza consolidata, infatti, tutti gli elementi utili per la conoscenza dei fatti, comunque acquisiti, anche (come nel caso all’esame) in sede processuale e pre-processuale penale, devono e possono essere oggetto di autonoma valutazione da parte del Giudice contabile, in quanto concorrono, ai sensi appunto dell’art. 116 del c.p.c., alla formazione del convincimento sull’esistenza dell’eventuale danno e delle conseguenti responsabilità amministrative". d) incidenza delle formule assolutorie adottate dal Giudice penale sul giudizio di responsabilità amministrativa. Sul punto, il Giudice contabile sottolinea che la corretta interpretazione dell’art. 652, comma 1, c.p.p. "non autorizza […] alcun automatismo tra formula assolutoria adottata dal Giudice penale ed efficacia di giudicato extrapenale, la cui valutazione va condotta caso per caso, tenendo cioè conto dell’effettivo accertamento contenuto nella sentenza di assoluzione[…]. In altre parole, le formule assolutorie “perché il fatto non sussiste” o “perché l’imputato non lo ha commesso”, posto che vengano utilizzate propriamente, potrebbero non essere indicative dell’accertamento della insussistenza del fatto materiale dedotto nel (diverso) giudizio di responsabilità amministrativa". e) modificabilità del titolo della responsabilità da parte del Giudice

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -180- Numero 1 - 20151

contabile in sede dibattimentale. A tal proposito la Corte dei Conti afferma che «Circa poi la presunta illegittima modifica operata dal Giudice di I grado della domanda e del grado della responsabilità (da dolo a colpa grave), si è trattato non certo di una mutatio libelli, ma (semmai) di una mera,

e consentita, emendatio libelli. E’ infatti pienamente possibile, per questo Giudice (come per ciascun altro Giudice), riqualificare la causa petendi in conseguenza dell´acquisizione dei contributi assunti dalle parti in causa, come del resto esattamente opposto dal PM nelle sue conclusioni".

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -181- Numero 1 - 2015

REDAZIONALI

SPLIT PAYMENT: LA SCISSIONE DEI PAGAMENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. PROBLEMATICHE IN EVIDENZA del Prof. Stefano Olivieri Pennesi, della Dott.ssa Laura Ferrero e dell’Avv. Daniela Muntoni

La legge di Stabilità 2015 (l. 23.12.2014 n. 190) ha introdotto un nuovo meccanismo per il versamento dell’IVA con riguardo agli acquisti di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni. L’imposta dovrà ora essere versata direttamente all’erario dalla PA e non più liquidata, come in passato, al fornitore. The Law of Stability 2015 (l. 12/23/2014 n. 190) introduced a new mechanism for the payment of VAT with regard to purchases of goods and services by public authorities. The tax will now be paid directly to the Treasury by the PA and not liquidated, as in the past, to the supplier.

La legge di Stabilità 2015 (l. 23.12.2014 n. 190) ha introdotto il nuovo meccanismo dello split payment: le pubbliche amministrazioni acquirenti di beni e servizi, ancorché non ri-vestano la qualità passivo dell’IVA, devono versare direttamente all’erario l’imposta sul valore aggiunto che è stata addebitata loro dai fornitori.

La legge sopra richiamata - all’art. 1 co. 629 lett. b) - rimanda ad un decreto del Mini-stro la fissazione dei termini e delle modalità per il versamento.

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3 febbra-io 2015 è stato pubblicato il decreto del 23.1.2015 con cui si chiarisce:

1. Ambito oggettivo di applicazione: il regime dello split payment va applica-to dalle amministrazioni e degli enti pubblici già destinatari delle norme in materia di IVA ad esigibilità differita di cui all’art. 6, quinto comma, secon-do periodo, del d.P.R. n. 633/72;

2. Obblighi dei soggetti fornitori: sulla fattura dovrà essere apposta l’anno-tazione “scissione dei pagamenti”. La registrazione della fattura dovrà avve-nire nei termini indicati dagli artt. 23 e 24 del d.P.R. n. 633/72 ma non si computerà come IVA a debito

l’imposta indicata in fattura la quale perciò non parteciperà alla liquidazio-ne periodica del fornitore (mensile o trimestrale a seconda dei vari casi).

3. Esigibilità dell’imposta: in linea gene-rale l’imposta diviene esigibile al momento del pagamento della fattura. Tuttavia si consente all’amministra-zione acquirente di optare per un’esigibilità anticipata al momento della ricezione della fattura. Inoltre, nella vigenza del meccanismo della scissione dei pagamenti, il regime dell’IVA ad esigibilità differita di cui all’art. 6, quinto comma, secondo pe-riodo, del d.P.R. n. 633/72, non sarà più applicabile.

4. Modalità di versamento: a scelta dell’amministrazione:

• con distinto versamento dell’IVA dovuta per ciascuna fattura la cui imposta è divenu-ta esigibile;

• in ciascun giorno del mese, con un distinto versamento dell’IVA dovuta, considerando tutte le fatture per le quali l’imposta è divenuta esigibile in tale giorno;

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -182- Numero 1 - 2015

• entro il giorno 16 di ciascun mese, con un versamento cu-mulativo dell’IVA dovuta, considerando tutte le fatture per le quali l’imposta è dive-nuta esigibile nel mese prece-dente.

Il versamento deve essere effettuato – sen-za possibilità di compensazione orizzontale – utilizzando un apposito codice tributo, me-diante:

a)modello “F24 Enti Pubblici” , approvato con provvedimento del Direttore dell’Agen-zia delle entrate del 28.6.2013, per le ammi-nistrazioni titolari di conti presso la Banca d’Italia;

b)versamento unificato di cui all’art. 17 del d.lgs. 9.7.1997 n. 241, per le amministra-zioni, diverse da quelle di cui alla lettera a., autorizzate a detenere un conto corrente pres-so una banca convenzionata con l’Agenzia delle entrate ovvero presso Poste italiane;

c)versamento direttamente all’entrata del bilancio dello Stato con imputazione ad un articolo di nuova istituzione del capitolo 1203 per le amministrazioni diverse da quelle di cui alle lettere a. e b.

5. P.A che svolgono attività commercia-li: le pubbliche amministrazioni che effettuano acquisti di beni e servizi nell’esercizio di attività commerciali, in relazione alle quali sono identifica-te agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, annotano le relative fatture nel registro di cui agli artt. 23 o 24 del decreto n. 633/72 entro il 15 del mese successivo a quello in cui l’imposta è divenuta esigibile, con riferimento al mese precedente. Nel suddetto caso l’imposta dovuta partecipa alla liqui-dazione periodica del mese dell’esigibilità od, eventualmente, nel relativo trimestre

6. Monitoraggio e controlli: i versamenti sono monitorati dall’Agenzia delle en-trate, la quale, previa intesa con la Ragioneria generale dello Stato, ac-quisisce ed elabora le informazioni dei versamenti effettuati nonché le infor-mazioni contenute nelle fatture elet-troniche trasmesse ai sensi dell’art. 1,

commi da 209 a 214, della legge 27 dicembre 2007 n. 244; in caso di veri-fiche, controlli o ispezioni, le pubbli-che amministrazioni mettono a dispo-sizione dell’Amministrazione finan-ziaria, eventualmente in formato elet-tronico, la documentazione utile per verificare la corrispondenza tra l’importo dell’IVA dovuta e di quella versata per ciascun mese di riferimen-to. Inoltre gli organi interni di revisio-ne e di controllo vigilano, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali, sulla corretta esecuzione dei versa-menti dell’imposta da parte delle pub-bliche amministrazioni.

7. Amministrazioni debitrici d’imposta: resta fermo quanto previsto dalle di-sposizioni generali in materia di im-posta sul valore aggiunto per le opera-zioni, effettuate nei confronti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 17-ter del d.P.R. n. 633/72 per le quali queste ultime sono debitrici d’imposta (ossia per le operazioni as-soggettate al regime di inversione contabile). A titolo meramente esem-plificativo si possono citare le seguen-ti ipotesi: -pubblica amministrazione che acqui-sta nell’esercizio d’impresa beni o servizi da un soggetto non stabilito nel territorio dello Stato; si applica in tal caso il meccanismo dell’inversione contabile generalizzata di cui all’art. 17, secondo comma, D.P.R. n. 633/72; -pubblica amministrazione che acqui-sta, nell’esercizio d’impresa, rottami di ferro; si applica in tal caso il mec-canismo dell’inversione contabile in-terna di cui all’art. 74, settimo com-ma, d.P.R. n. 633/72; -pubblica amministrazione non sog-getto passivo, identificato agli effetti dell’IVA, che effettua acquisti intra-comunitari di beni oltre la soglia di euro 10.000 annui; le fatture sono da registrarsi ai sensi dell’art. 47, comma 3, del d.l. n. 331/1993 e la relativa IVA va versata ai sensi dell’art. 49 dello stesso decreto.

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -183- Numero 1 - 2015

Si rammenta che l’inversione contabile o riverse charge è un particolare meccanismo di applicazione dell’IVA per effetto del quale il destinatario di una cessione di beni o pre-stazione di servizi, se soggetto passivo nel territorio dello Stato, è tenuto all’assolvimento dell’imposta in luogo del cedente o prestatore. Risulta evidente come le novità introdotte dal legislatore non possano applicarsi alla fattispecie in esame.

8. Contribuenti ammessi al rimborso in via prioritaria: come prescritto dall’art. 1, comma 630, della legge di stabilità, si includono i soggetti passi-vi che effettuano le operazioni di cui all’art. 17-ter del D.P.R. n. 633/72 fra le categorie di contribuenti per i quali i rimborsi IVA sono eseguiti in via prioritaria ai sensi dell’art. 38-bis, comma 10, dello stesso decreto. I rimborsi sono erogati in via prioritaria entro il limite dell’ammontare com-plessivo dell’imposta applicata alle operazioni, di cui all’art. 17-ter del d.P.R. n. 633/72, effettuate nel perio-do in cui è venuto ad esistenza il cre-dito IVA.

9. Applicazione dello split payment: il meccanismo della scissione dei paga-menti si applica alle operazioni fattu-rate a partire dal 1° gennaio 2015 per le quali l’esigibilità dell’imposta si ve-rifica successivamente alla stessa data. Tuttavia, fino all’adeguamento dei si-stemi informativi relativi alla gestione amministrativo-contabile delle ammi-nistrazioni centrali dello Stato, e in ogni caso non oltre il 31.3.2015, viene previsto che le amministrazioni indi-viduate nell’art. 1 del decreto in commento, accantonino le somme oc-correnti per il successivo versamento dell’imposta; detto versamento deve comunque avvenire entro il 16 aprile 2015.

Con circolare N. 1/E del 9 febbraio 2015 l’Agenzia delle entrate - direzione centrale normativa - ha puntualizzato che il meccani-smo della scissione dei pagamenti si applica a tutti gli acquisti delle pubbliche amministra-zioni individuate dalla norma, sia effettuati in

ambito non commerciale ossia nella veste i-stituzionale che a quelli effettuati nell’eser-cizio di attività d’impresa.

Devono ritenersi escluse le operazioni cer-tificate dal fornitore mediante il rilascio dello scontrino fiscale di cui alla l. 26.1.1983 n. 18 (piccole spese economali dell’ente pubblico) o dalla ricevuta fiscale di cui all’art. 8 della l. 10.5.1976 n. 249 ovvero per i soggetti che si avvalgono della trasmissione telematica dei corrispettivi (art. 1 co. 429 e ss. L. 311/04) o altre modalità semplificate di certificazione specificamente previste.

L’obiettivo perseguito dal legislatore è quello di contrastare i fenomeni di evasione e le frodi dell’IVA. Nel perseguire tali finalità, il meccanismo introdotto deroga all’ordinario sistema IVA di cui alla Direttiva del Consi-glio dell’Unione europea del 28 novembre 2006, n. 112/2006/CE. A tal fine il Diparti-mento delle finanze ha inoltrato alla Commis-sione europea la richiesta di una misura di de-roga ai sensi dell’art. 395 della suddetta diret-tiva. Nelle more del rilascio della deroga le nuove disposizioni trovano comunque appli-cazione per le operazioni per le quali l’IVA è esigibile dal 1° gennaio 2015. Ne consegue che il meccanismo della scissione dei paga-menti si applica alle operazioni in relazione alle quali il corrispettivo sia stato pagato dopo il 1.1.2015 e sempre che le stesse non siano state già fatturate anteriormente alla predetta data. Non si applica invece alle operazioni per le quali è stata emessa fattura entro il 31 dicembre 2014.

Il problema più delicato da affrontare ri-guarda l’ambito soggettivo di applicazione della nuova disposizione. La circolare dell’Agenzia delle entrate consiglia agli ope-ratori economici l’utilizzo dell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (c.d. IPA consul-tabile alla pagina http://indiceva.gov.it/ do-cumentale/ricerca.php) per l’individuazione della categoria di appartenenza dell’Ente ac-quirente. Restano tuttavia esclusi dall’ambito soggettivo di riferimento gli Enti previdenzia-li privati o privatizzati, le agenzie speciali in-cluse quelle delle CCIAA, la generalità degli enti pubblici economici, gli Ordini professio-nali, gli Enti ed istituti di ricerca, le Agenzie fiscali, le Autorità amministrative indipen-

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -184- Numero 1 - 2015

denti, le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente ed in generale tutte quelle or-ganizzazioni imprenditoriali di tipo privatisti-co ancorché agiscano nell’interesse della col-lettività. In caso di dubbi interpretativi potrà essere inoltrata specifica istanza d’interpello all’Agenzia delle entrate ai sensi dell’art. 11 della l. 27.7.2000 n. 212 – disposizioni in ma-teria di Statuto dei diritti del contribuente.

Infine con risoluzione n. 15/E del 12.2.2015 l’Agenzia delle Entrate ha istituito i codici tributo da indicare nel modello F24.

La nuova normativa, pur lodevole perché nasce come contrasto all’evasione dell’IVA, tuttavia, è destinata a creare ulteriori gravi difficoltà alle aziende che, in un periodo di crisi quale quello attuale, si ritrovano di fatto con meno liquidità nelle loro casse e potreb-bero essere costrette a ricorrere al finanzia-mento.

Vi è chi ritiene non condivisibile che, per combattere l’evasione fiscale, il Governo ab-bia scelto di penalizzare migliaia di imprendi-tori onesti e corretti i quali, lavorando con gli enti pubblici in settori quali l’edilizia, l’impiantistica ed in alcuni comparti della di-stribuzione organizzata, vedono maturare crediti IVA talmente alti che non è possibile compensare. Reverse charge e split payment importerebbero infatti una procedura burocra-tica onerosa e con tempi d’attesa troppo lun-ghi per il rimborso dei crediti IVA che legit-timamente spettano alle imprese. Situazione questa che rischia di aggravare la già delica-tissima situazione finanziaria delle aziende che operano nei settori interessati dalla rifor-ma ed aprire possibili crisi di liquidità azien-dale.

Senza considerare che l’art. 17, co. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972 come risultante dal de-creto legislativo, prevede che, nei rapporti con i soggetti non residenti, il debitore d’imposta sia sempre da individuare (nel caso di prestazioni di servizi come in quello di cessioni di beni) nel cessionario o committen-te nazionale, che assolverà l’imposta median-te il meccanismo del reverse charge. Tale norma presenterebbe alcuni aspetti di critici-tà, in particolare, per le così dette triangola-zioni di beni “Italia su Italia” effettuate da soggetti non residenti, identificati in Italia; in

una simile situazione, difatti, il primo cessio-nario, non residente ed identificato in Italia, subisce l’imposta da parte del cedente italiano e non può più fatturare con IVA al secondo cessionario. Il primo cessionario, pertanto, rimarrebbe a credito per l’imposta relativa a tutto il volume d’affari effettuato in Italia, e dovrà richiederla a rimborso in Italia, fornen-do tutte le necessarie garanzie.

Sono state probabilmente le obiezioni co-me esposte ad avere determinato per il mec-canismo introdotto dall’ultima Legge di Sta-bilità un primo importante arresto da parte dell’Unione Europea.

Il 13.3.2015 il Commissario europeo Pier-re Moscovici rispondendo ad una precisa in-terrogazione di un europarlamentare (Alberto Cirio) che fin dall’inizio ha fatto propria la forte azione di protesta messa in atto da Con-findustria (in particolare Cuneo) e dalle asso-ciazioni di categoria (quali l’Ance), ha affer-mato che la decisione presa dall’Italia di far entrare in vigore lo “split payment” per i for-nitori della Pubblica Amministrazione già dal 1.1.2015, senza aver ancora ricevuto l’autorizzazione del Consiglio europeo, viole-rebbe palesemente la normativa comunitaria. Qualsiasi misura di deroga in materia di Iva – a detta del Commissario Europeo Moscovici - può essere legittimamente applicata in uno Stato membro solo previa adozione all'una-nimità della proposta della Commissione da parte del Consiglio.

Il Commissario europeo avrebbe precisato che la Commissione ha ricevuto dal Governo italiano una domanda di deroga in data 24.11.2014 “relativa all’eventuale applica-zione di un sistema che consenta alle autorità pubbliche di versare l’Iva su un conto specia-le per beni e servizi loro forniti”, ma che tale domanda è “attualmente in corso di ulteriore esame e deliberazione” e che “la Commis-sione presenterà al Consiglio Europeo una proposta di deroga o invierà una comunica-zione, esponendo le sue obiezioni alla misura richiesta”.

Quelle indicate sono soltanto alcune delle problematiche scaturite dall’introduzione del-la deroga all’ordinario sistema IVA di cui alla Direttiva del Consiglio dell’Unione europea del 28.11.2006, n. 112/2006/CE ma altre è

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molto probabile possano sorgere nella concre-ta applicazione, così come è probabile che in itinere il Governo italiano possa intervenire

con dei correttivi atti ad escludere o quanto meno a limitare gli effetti negativi a carico delle aziende interessate.

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GIURISPRUDENZA Corte Costituzione del 11.2.2015 n. 10 Corte Costituzionale, illegittima la "Robin tax" . La Commissione tributaria provinciale di Reg-gio Emilia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, coo. 16, 17 e 18, del d.l. 25.6.2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), conver-tito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l. 6.8.2008, n. 133, in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 53, 77 e 117 della Costituzione.Con le di-sposizioni impugnate è stato previsto - a decor-rere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31.12.2007 - un prelievo aggiuntivo, qualificato «addizionale» all’imposta sul reddi-to delle società di cui all’art. 75 del d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (Approvazione del testo uni-co delle imposte sui redditi) e successive modi-ficazioni, pari al 5,5 per cento, da applicarsi alle imprese operanti in determinati settori, tra cui la commercializzazione di benzine, petroli, gas e oli lubrificanti, che abbiano conseguito ricavi superiori a 25 milioni di euro nel periodo di imposta precedente, ponendo a carico dei soggetti passivi il divieto di traslazione sui prezzi al consumo e affidando all’Autorità per l’energia elettrica e il gas (poi divenuta Autori-tà per l’energia elettrica, il gas e il sistema i-drico) il compito di vigilare e di presentare al Parlamento, entro il 31 dicembre di ogni anno, una relazione sugli effetti del tributo.In partico-lare, la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia lamenta anzitutto la violazione degli artt. 77, 23, 3, 53, 41 e 117 della Costitu-zione.La Corte Costituzionale, con sentenza depositata l´11 febbraio 2015 ha ritenuto fon-data, nei limiti di seguito precisati, la questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.Si legge espressamente nella sentenza "La mag-giorazione dell’aliquota IRES gravante su de-terminati operatori dei settori energetico, pe-trolifero e del gas, così come è stata configura-ta dall’art. 81, coo. 16, 17 e 18, del d.l. n. 112

del 2008, e successive modificazioni, non è con-forme agli artt. 3 e 53 Cost., come costante-mente interpretati dalla giurisprudenza di que-sta Corte.Ai sensi dell’art. 53 Cost., infatti, la capacità contributiva è il presupposto e il limite del potere impositivo dello Stato e, al tempo stesso, del dovere del contribuente di concorre-re alle spese pubbliche, dovendosi interpretare detto principio come specificazione settoriale del più ampio principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. (sentenze n. 258 del 2002, n. 341 del 2000 e n. 155 del 1963).Vero è che questa Corte ha ripetutamente rimarcato che «la Costituzione non impone affatto una tassa-zione fiscale uniforme, con criteri assolutamen-te identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria»; piuttosto essa esige «un indefettibile raccordo con la capacità con-tributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulte-riore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarie-tà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 del-la Costituzione)» (sentenza n. 341 del 2000, ri-presa sul punto dalla sentenza n. 223 del 2012).Pertanto, secondo gli orientamenti co-stantemente seguiti da questa Corte, non ogni modulazione del sistema impositivo per settori produttivi costituisce violazione del principio di capacità contributiva e del principio di egua-glianza. Tuttavia, ogni diversificazione del re-gime tributario, per aree economiche o per ti-pologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione.In ordine ai principi di cui agli artt. 3 e 53 Cost., la Corte è, dunque, chiamata a verificare che le distinzioni operate dal legi-slatore tributario, anche per settori economici, non siano irragionevoli o arbitrarie o ingiusti-ficate (sentenza n. 201 del 2014): cosicché in questo ambito il giudizio di legittimità costitu-

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zionale deve vertere «sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità dell’imposizione» (sentenza n. 111 del 1997; ex plurimis, sentenze n. 116 del 2013 e n. 223 del 2012). Non mancano nell’ordinamento esempi di legi-slazione che impongono una più esigente con-tribuzione tributaria a carico di alcuni sogget-ti.Numerosi sono i casi di temporaneo inaspri-mento dell’imposizione - applicabili a determi-nati settori produttivi o a determinate tipologie di redditi e cespiti - ritenuti non illegittimi da questa Corte proprio in forza della loro limita-ta durata: basti menzionare la sovraimposta comunale sui fabbricati (sentenza n. 159 del 1985), l’imposta straordinaria immobiliare sul valore dei fabbricati (sentenza n. 21 del 1996), il tributo del sei per mille sui depositi bancari e postali (sentenza n. 143 del 1995), il contributo straordinario per l’Europa (ordinanza n. 341 del 2000).Neppure mancano casi in cui la diffe-renziazione tributaria per settori economici o per tipologie di reddito ha assunto carattere strutturale, superando, ciò nondimeno, il vaglio di questa Corte. Si può, a titolo esemplificativo, ricordare l’addizionale sulle remunerazioni in forma di bonus e stock options, ritenuta tutt’altro che irragionevole, arbitraria o ingiu-stificata da questa Corte con la sentenza n. 201 del 2014; ovvero la normativa esaminata con la sentenza n. 21 del 2005, in cui la Corte ha giu-dicato che la previsione di aliquote dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) differenziate per settori produttivi e per tipologie di soggetti passivi fosse sorretta da non irragionevoli motivi di politica economica e redistributiva, individuati principalmente nell’esigenza di neutralizzare tanto il maggiore impatto del nuovo tributo sui settori agricolo e della piccola pesca, quanto il minore impatto del medesimo sui settori bancario, finanziario e assicurativo, i quali, non ingiustificatamente, sono stati assoggettati ad una maggiore aliquo-ta.6.4.- Alla luce dei principi affermati nella giurisprudenza costituzionale - che, come si è visto, non impongono un’uniformità di tassa-zione e, tuttavia, vietano le differenziazioni in-

giustificate, arbitrarie, irragionevoli o spropor-zionate – è appena il caso di aggiungere che non si può escludere che le peculiarità del set-tore petrolifero si prestino, in linea teorica, a legittimare uno speciale regime tributario. Co-me si evince dalle istruttorie e dalle indagini conoscitive dell’Autorità garante della concor-renza e del mercato, svariati indizi economici segnalano che si tratta di un ambito caratteriz-zato da una scarsa competizione fra le imprese. D’altra parte, lo stampo oligopolistico del set-tore, popolato da pochi soggetti che spesso o-perano in tutte le fasi della filiera – dalla ricer-ca, alla coltivazione, fino alla raffinazione del petrolio e alla distribuzione dei carburanti – unitamente agli elevati costi e alle difficoltà di realizzazione delle infrastrutture, rende parti-colarmente arduo l’ingresso di nuovi concor-renti che intendano operare su vasta scala. I-noltre, nel settore petrolifero ed energetico, le ordinarie dinamiche di mercato faticano ad e-splicarsi, anche perché l’aumento dei prezzi difficilmente può essere contrastato da una cor-rispondente contrazione della domanda che, in questi ambiti, risulta anelastica. In sintesi, non è del tutto implausibile ritenere che questo set-tore di mercato possa essere caratterizzato da una redditività, dovuta a rendite di posizione, sensibilmente maggiore rispetto ad altri settori, così da poter astrattamente giustificare, specie in presenza di esigenze finanziarie eccezionali dello Stato, un trattamento fiscale ad hoc.6.5.- Tutto ciò premesso, occorre rimarcare che la possibilità di imposizioni differenziate deve pur sempre ancorarsi a una adeguata giustificazio-ne obiettiva, la quale deve essere coerentemen-te, proporzionalmente e ragionevolmente tra-dotta nella struttura dell’imposta (sentenze n. 142 del 2014 e n. 21 del 2005). Nella specie l’art. 81, comma 16, ha previsto, «[i]n dipendenza dell’andamento dell’econo-mia e dell’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico», una «addizionale» del 5,5 per cento (poi innal-zata al 6,5 per cento) dell’aliquota dell’imposta sul reddito delle società per chi operi nel pre-detto settore e abbia conseguito un ricavo su-periore a un determinato ammontare, la cui en-tità è andata progressivamente diminuendo, co-sì da allargare in modo significativo il novero degli operatori assoggettati alla maggiorazione

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di imposta, secondo una linea di tendenza solo marginalmente compensata dalla introduzione di altra soglia, questa volta riferita al reddito imponibile.I presupposti di fatto, addotti dal le-gislatore nell’art. 81, co. 16, per inasprire il carico fiscale delle società del settore, consi-stono, da un lato, nella grave crisi economica deflagrata proprio in quel periodo e nella cor-relata insostenibilità, specie per le fasce più deboli, dei prezzi dei prodotti di consumo pri-mario; d’altro lato, nel contemporaneo ecce-zionale rialzo del prezzo del greggio al barile, verificatosi proprio nel medesimo volger di tempo, che, nella prospettiva del legislatore, è parso idoneo ad incrementare sensibilmente i margini di profitto da parte degli operatori dei settori interessati e a incentivare condotte di mercato opportunistiche o speculative.La com-plessa congiuntura economica così ricostruita dal legislatore che vi ha ravvisato spinte con-traddittorie, costituite dall’insostenibilità dei prezzi per gli utenti e dalla eccezionale redditi-vità dell’attività economica per gli operatori del petrolio, ben potrebbe essere considerata in astratto, alla luce della richiamata giurispru-denza di questa Corte, un elemento idoneo a giustificare un prelievo differenziato che colpi-sca gli eventuali “sovra-profitti” congiunturali, anche di origine speculativa, del settore ener-getico e petrolifero.Così interpretato, lo scopo perseguito dal legislatore appare senz’altro le-gittimo.Occorre allora verificare se i mezzi ap-prontati siano idonei e necessari a conseguirlo. Infatti, affinché il sacrificio recato ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva non sia sproporzionato e la differenziazione dell’impo-sta non degradi in arbitraria discriminazione, la sua struttura deve coerentemente raccordar-si con la relativa ratio giustificatrice. Se, come nel caso in esame, il presupposto economico che il legislatore intende colpire è la ecceziona-le redditività dell’attività svolta in un settore che presenta caratteristiche privilegiate in un dato momento congiunturale, tale circostanza dovrebbe necessariamente riflettersi sulla strut-tura dell’imposizione. 6.5.1. - Ciò non è avvenuto nella specie, posto che il legislatore, con l’art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, e successive modi-ficazioni, ha previsto una maggiorazione d’aliquota di una imposizione, qual è l’IRES,

che colpisce l’intero reddito dell’impresa, man-cando del tutto la predisposizione di un mecca-nismo che consenta di tassare separatamente e più severamente solo l’eventuale parte di reddi-to suppletivo connessa alla posizione privile-giata dell’attività esercitata dal contribuente al permanere di una data congiuntura.Infatti, al di là della denominazione di «addizionale», la predetta imposizione costituisce una “maggio-razione d’aliquota” dell’IRES, applicabile ai medesimi presupposto e imponibile di quest’ultima e non, come è avvenuto in altri or-dinamenti, come un’imposta sulla redditività. 6.5.2.-A questa prima incongruenza dell’impo-sizione censurata, se ne aggiunge un’altra an-cor più grave relativa alla proiezione tempora-le dell’«addizionale». Infatti, la richiamata giurisprudenza di questa Corte è costante nel giustificare temporanei in-terventi impositivi differenziati, vòlti a richiede-re un particolare contributo solidaristico a soggetti privilegiati, in circostanze eccezionali. Orbene, a differenza delle ipotesi appena ri-cordate, le disposizioni censurate nascono e permangono nell’ordinamento senza essere contenute in un arco temporale predeterminato, né il legislatore ha provveduto a corredarle di strumenti atti a verificare il perdurare della congiuntura posta a giustificazione della più severa imposizione. Con l’art. 81, coo. 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, e successive modificazioni, per fron-teggiare una congiuntura economica eccezio-nale si è invece stabilita una imposizione strut-turale, da applicarsi a partire dal periodo di imposta 2008, senza limiti di tempo.Si riscon-tra, pertanto, un conflitto logico interno alle di-sposizioni impugnate, le quali, da un lato, in-tendono ancorare la maggiorazione di aliquota al permanere di una determinata situazione di fatto e, dall’altro, configurano un prelievo strutturale destinato ad operare ben oltre l’orizzonte temporale della peculiare congiun-tura. 6.5.3. - Un ulteriore profilo di inadeguatezza e irragionevolezza è connesso alla inidoneità del-la manovra tributaria in giudizio a conseguire le finalità solidaristiche che intende esplicita-mente perseguire.Uno degli obiettivi dichiarati delle disposizioni impugnate, infatti, è quello di attenuare «l’impatto sociale dell’aumento dei

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Gazzetta Amministrativa -189- Numero 1 - 2015

prezzi e delle tariffe del settore energetico» (art. 81, co. 16). Coerentemente con tale finali-tà, il co. 18 prevede un divieto di traslazione degli oneri dovuti all’aumento d’aliquota sui prezzi al consumo. In tal modo, il legislatore ha inteso evitare che l’inasprimento fiscale diretto verso operatori economici ritenuti avvantaggia-ti finisca, con un effetto paradossale, per rica-dere sui consumatori, cioè proprio su quei sog-getti che avrebbero dovuto beneficiare della manovra tributaria in esame, improntata a uno spirito di solidarietà, in chiave redistributiva. Ora il divieto di traslazione degli oneri sui prezzi al consumo, così come delineato nel comma 18, non è in grado di evitare che l’«addizionale» sia scaricata a valle, dall’uno all’altro dei contribuenti che compongono la filiera petrolifera per poi essere, in definitiva, sopportata dai consumatori sotto forma di maggiorazione dei prezzi. Senza entrare qui nel merito dei profili di ingiustificata discrimina-zione intra-settoriale tra diversi soggetti della “filiera” petrolifera sollevati nell’ordinanza di rimessione, la disposizione appare irrazionale per inidoneità a conseguire il suo scopo.Il di-vieto di traslazione degli oneri sui prezzi al consumo risulta difficilmente assoggettabile a controlli efficaci, atti a garantire che non sia eluso.Vero è che la disposizione ha affidato alla Autorità per l’energia elettrica, il gas e il si-stema idrico un potere di vigilanza «sulla pun-tuale osservanza» del divieto di traslazione. Tuttavia, come è congegnato nella normativa in questione, tale meccanismo pare difficilmente attuabile e in ogni caso facilmente vulnerabile, se è vero, come si legge nelle relazioni della medesima Autorità preposta al controllo, che le analisi svolte hanno «mostrato che una parte dei soggetti vigilati ha continuato ad attuare politiche di prezzo tali da costituire una possi-bile violazione del divieto di traslazione, com-portando comunque uno svantaggio economico per i consumatori finali» (Relazione al Parla-mento n. 18/2013/I/Rht sull’attività di vigilanza svolta nell’anno 2012 dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico). Elementi indiziari tratti dalle politiche dei prez-zi adottati dai soggetti vigilati, «che generano un incremento dei margini non sufficientemente motivato» (Relazione al Parlamento sopra cita-ta) alimentano il dubbio che il divieto di trasla-

zione sui prezzi non sia stato in fatto osservato, né possa essere puntualmente sanzionato a causa della obiettiva difficoltà di isolare, in un’economia di libero mercato, la parte di prezzo praticato dovuta a traslazioni dell’imposta. Da qui il contenzioso amministrativo che ha di fatto paralizzato le iniziative assunte in tal sen-so dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico. 6.5.4.- In definitiva, il vizio di irragionevolezza è evidenziato dalla configurazione del tributo in esame come maggiorazione di aliquota che si applica all’intero reddito di impresa, anziché ai soli “sovra-profitti”; dall’assenza di una deli-mitazione del suo ambito di applicazione in prospettiva temporale o di meccanismi atti a verificare il perdurare della congiuntura eco-nomica che ne giustifica l’applicazione; dall’impossibilità di prevedere meccanismi di accertamento idonei a garantire che gli oneri derivanti dall’incremento di imposta non si tra-ducano in aumenti del prezzo al consumo.Per tutti questi motivi, la maggiorazione dell’IRES applicabile al settore petrolifero e dell’energia, così come configurata dall’art. 81, commi, 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, e successive modificazioni, viola gli artt. 3 e 53 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza e della propor-zionalità, per incongruità dei mezzi approntati dal legislatore rispetto allo scopo, in sé e per sé legittimo, perseguito. 7. - Nel pronunciare l’illegittimità costituziona-le delle disposizioni impugnate, questa Corte non può non tenere in debita considerazione l’impatto che una tale pronuncia determina su altri principi costituzionali, al fine di valutare l’eventuale necessità di una graduazione degli effetti temporali della propria decisione sui rapporti pendenti.Il ruolo affidato a questa Corte come custode della Costituzione nella sua integralità impone di evitare che la dichia-razione di illegittimità costituzionale di una di-sposizione di legge determini, paradossalmente, «effetti ancor più incompatibili con la Costitu-zione» (sentenza n. 13 del 2004) di quelli che hanno indotto a censurare la disciplina legisla-tiva. Per evitare che ciò accada, è compito del-la Corte modulare le proprie decisioni, anche sotto il profilo temporale, in modo da scongiu-rare che l’affermazione di un principio costitu-

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zionale determini il sacrificio di un altro. Que-sta Corte ha già chiarito (sentenze n. 49 del 1970, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966) che l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegit-timità costituzionale è (e non può non essere) principio generale valevole nei giudizi davanti a questa Corte; esso, tuttavia, non è privo di limiti.Anzitutto è pacifico che l’efficacia delle sentenze di accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le «situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili» ovvero i «rapporti esauriti». Diversamente ne risulte-rebbe compromessa la certezza dei rapporti giuridici (sentenze n. 49 del 1970, n. 26 del 1969, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966). Pertan-to, il principio della retroattività «vale […] sol-tanto per i rapporti tuttora pendenti, con con-seguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata inva-lida» (sentenza n. 139 del 1984, ripresa da ul-timo dalla sentenza n. 1 del 2014). In questi ca-si, l’individuazione in concreto del limite alla retroattività, dipendendo dalla specifica disci-plina di settore – relativa, ad esempio, ai ter-mini di decadenza, prescrizione o inoppugnabi-lità degli atti amministrativi – che precluda o-gni ulteriore azione o rimedio giurisdizionale, rientra nell’ambito dell’ordinaria attività inter-pretativa di competenza del giudice comune (principio affermato, ex plurimis, sin dalle sen-tenze n. 58 del 1967 e n. 49 del 1970).Inoltre, come il limite dei «rapporti esauriti» ha origine nell’esigenza di tutelare il principio della cer-tezza del diritto, così ulteriori limiti alla retro-attività delle decisioni di illegittimità costitu-zionale possono derivare dalla necessità di sal-vaguardare principi o diritti di rango costitu-zionale che altrimenti risulterebbero irrepara-bilmente sacrificati. In questi casi, la loro indi-viduazione è ascrivibile all’attività di bilancia-mento tra valori di rango costituzionale ed è, quindi, la Corte costituzionale - e solo essa - ad avere la competenza in proposito.Una simile graduazione degli effetti temporali delle dichia-razioni di illegittimità costituzionale deve rite-nersi coerente con i principi della Carta costi-tuzionale: in tal senso questa Corte ha operato anche in passato, in alcune circostanze sia pure non del tutto sovrapponibili a quella in esame (sentenze n. 423 e n. 13 del 2004, n. 370 del 2003, n. 416 del 1992, n. 124 del 1991, n. 50

del 1989, n. 501 e n. 266 del 1988). Il compito istituzionale affidato a questa Corte richiede che la Costituzione sia garantita come un tutto unitario, in modo da assicurare «una tutela si-stemica e non frazionata» (sentenza n. 264 del 2012) di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione. «Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che di-verrebbe “tiranno” nei confronti delle altre si-tuazioni giuridiche costituzionalmente ricono-sciute e protette»: per questo la Corte opera normalmente un ragionevole bilanciamento dei valori coinvolti nella normativa sottoposta al suo esame, dal momento che «[l]a Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democrati-che e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra prin-cìpi e diritti fondamentali, senza pretese di as-solutezza per nessuno di essi» (sentenza n. 85 del 2013).Sono proprio le esigenze dettate dal ragionevole bilanciamento tra i diritti e i prin-cipi coinvolti a determinare la scelta della tec-nica decisoria usata dalla Corte: così come la decisione di illegittimità costituzionale può es-sere circoscritta solo ad alcuni aspetti della di-sposizione sottoposta a giudizio - come avviene ad esempio nelle pronunce manipolative - si-milmente la modulazione dell’intervento della Corte può riguardare la dimensione temporale della normativa impugnata, limitando gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale sul piano del tempo. Del resto, la comparazione con altre Corti costituzionali europee – quali ad esempio quelle austriaca, tedesca, spagnola e portoghese - mostra che il contenimento degli effetti retroattivi delle decisioni di illegittimità costituzionale rappresenta una prassi diffusa, anche nei giudizi in via incidentale, indipen-dentemente dal fatto che la Costituzione o il le-gislatore abbiano esplicitamente conferito tali poteri al giudice delle leggi.Una simile regola-zione degli effetti temporali deve ritenersi con-sentita anche nel sistema italiano di giustizia costituzionale.Essa non risulta inconciliabile con il rispetto del requisito della rilevanza, proprio del giudizio incidentale (sentenza n. 50 del 1989). Va ricordato in proposito che tale requisito opera soltanto nei confronti del giudi-ce a quo ai fini della prospettabilità della que-stione, ma non anche nei confronti della Corte ad quem al fine della decisione sulla medesima.

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Patto di Stabilità,Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -191- Numero 1 - 2015

In questa chiave, si spiega come mai, di norma, la Corte costituzionale svolga un controllo di mera plausibilità sulla motivazione contenuta, in punto di rilevanza, nell’ordinanza di rimes-sione, comunque effettuato con esclusivo rife-rimento al momento e al modo in cui la que-stione di legittimità costituzionale è stata solle-vata. In questa prospettiva si spiega, ad esem-pio, quell’orientamento giurisprudenziale che ha riconosciuto la sindacabilità costituzionale delle norme penali di favore anche nelle ipotesi in cui la pronuncia di accoglimento si rifletta soltanto «sullo schema argomentativo della sentenza penale assolutoria, modificandone la ratio decidendi […], pur fermi restando i prati-ci effetti di essa» (sentenza n. 148 del 1983, ri-presa sul punto dalla sentenza n. 28 del 2010).Né si può dimenticare che, in virtù della declaratoria di illegittimità costituzionale, gli interessi della parte ricorrente trovano comun-que una parziale soddisfazione nella rimozione, sia pure solo pro futuro, della disposizione co-stituzionalmente illegittima.Naturalmente, con-siderato il principio generale della retroattività risultante dagli artt. 136 Cost. e 30 della legge n. 87 del 1953, gli interventi di questa Corte che regolano gli effetti temporali della decisio-ne devono essere vagliati alla luce del principio di stretta proporzionalità. Essi debbono, per-tanto, essere rigorosamente subordinati alla sussistenza di due chiari presupposti: l’impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i quali, altrimenti, risul-terebbero irrimediabilmente compromessi da una decisione di mero accoglimento e la circo-stanza che la compressione degli effetti retroat-tivi sia limitata a quanto strettamente necessa-rio per assicurare il contemperamento dei valo-ri in gioco.8.– Ciò chiarito in ordine al potere della Corte di regolare gli effetti delle proprie decisioni e ai relativi limiti, deve osservarsi che, nella specie, l’applicazione retroattiva del-la presente declaratoria di illegittimità costitu-zionale determinerebbe anzitutto una grave vio-lazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost.Come questa Corte ha affer-mato già con la sentenza n. 260 del 1990, tale principio esige una gradualità nell’attuazione dei valori costituzionali che imponga rilevanti oneri a carico del bilancio statale. Ciò vale a fortiori dopo l’entrata in vigore della legge co-

stituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), che ha riaffermato il ne-cessario rispetto dei principi di equilibrio del bilancio e di sostenibilità del debito pubblico (sentenza n. 88 del 2014).L’impatto macroeco-nomico delle restituzioni dei versamenti tribu-tari connesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 81, coo. 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, e successive modificazioni, determinerebbe, infatti, uno squilibrio del bi-lancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiunti-va, anche per non venire meno al rispetto dei parametri cui l’Italia si è obbligata in sede di Unione europea e internazionale (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.) e, in particolare, del-le previsioni annuali e pluriennali indicate nel-le leggi di stabilità in cui tale entrata è stata considerata a regime.Pertanto, le conseguenze complessive della rimozione con effetto retroat-tivo della normativa impugnata finirebbero per richiedere, in un periodo di perdurante crisi economica e finanziaria che pesa sulle fasce più deboli, una irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio di quegli operatori economici che possono avere invece beneficiato di una congiuntura favorevole. Si determine-rebbe così un irrimediabile pregiudizio delle esigenze di solidarietà sociale con grave viola-zione degli artt. 2 e 3 Cost.Inoltre, l’indebito vantaggio che alcuni operatori economici del settore potrebbero conseguire – in ragione dell’applicazione retroattiva della decisione della Corte in una situazione caratterizzata dal-la impossibilità di distinguere ed esonerare dal-la restituzione coloro che hanno traslato gli oneri – determinerebbe una ulteriore irragio-nevole disparità di trattamento, questa volta tra i diversi soggetti che operano nell’ambito dello stesso settore petrolifero, con conseguente pre-giudizio anche degli artt. 3 e 53 Cost.La cessa-zione degli effetti delle norme dichiarate illegit-time dal solo giorno della pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale del-la Repubblica risulta, quindi, costituzionalmen-te necessaria allo scopo di contemperare tutti i principi e i diritti in gioco, in modo da impedire «alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantag-gio di altri […] garantendo il rispetto dei prin-

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Gazzetta Amministrativa -192- Numero 1 - 2015

cipi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizio-ne privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali» (sentenza n. 264 del 2012). Essa consente, inoltre, al legislatore di provvedere tempestivamente al fine di rispetta-re il vincolo costituzionale dell’equilibrio di bi-lancio, anche in senso dinamico (sentenze n. 40 del 2014, n. 266 del 2013, n. 250 del 2013, n. 213 del 2008, n. 384 del 1991 e n. 1 del 1966), e gli obblighi comunitari e internazionali con-nessi, ciò anche eventualmente rimediando ai rilevati vizi della disciplina tributaria in esa-me.In conclusione, gli effetti della dichiarazio-ne di illegittimità costituzionale di cui sopra devono, nella specie e per le ragioni di stretta necessità sopra esposte, decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repub-blica. Consiglio di Stato Sez. V del 25.2.2015 n. 948 Tassa rifiuti solidi urbani: se nel regolamento comunale sono stati inseriti nella stessa categoria i rifiuti prodotti nelle abitazioni e quelli prodotti negli alberghi è illegittima la differenziazione tariffaria senza un´adeguata motivazione. È giunta all´esame del Consiglio di Stato la de-liberazione del 21 novembre 2001, n. 805, con la quale la Giunta comunale di Prato aveva approvato le tariffe in euro per l’anno 2002 della tassa di smaltimento dei rifiuti solidi ur-bani nei confronti della quale è stato eccepita l’arbitrarietà ed il difetto di motivazione della differenziazione tariffaria stabilita tra case d’abitazione e alberghi, atteso che per tale ti-pologia di insediamento il Comune di Prato a-veva previsto l’inserimento nella medesima ca-tegoria omogenea. Ad avviso del Collegio a-vendo il Comune determinato preliminarmente una quasi omogeneità qualitativa tra rifiuti prodotti nelle abitazioni e rifiuti prodotti negli alberghi ed unità analoghe non appare com-prensibile ed è del tutto omesso nella delibera-zione impugnata, e dunque è fondato il difetto di motivazione cui alla seconda censura dell’appello in esame, come sia stato infine de-terminato per gli alberghi un coefficiente di produttività quantitativa pari ad oltre il doppio

delle abitazioni per singolo metro quadrato (si veda anche CdS, V, 15.6.1992, n. 552). Corte dei Conti Sez.Reg.di Controllo Campania deliberazione del 15.12.2014, n. 254 Corte dei Conti: obbligo di riduzione dei costi del personale degli organismi partecipati dagli enti pubblici, sia in termini di contenimento degli oneri contrattuali che di quelli derivanti da assunzioni di persona-le. Il Sindaco del comune di Macerata Campania, dopo avere premesso che insieme ad altro ente, ha costituito una società in house providing, con capitale interamente pubblico, e dopo ave-re elencato varie disposizioni legislative ri-guardanti la gestione del personale delle pub-bliche amministrazioni e relative società parte-cipate, chiede di conoscere “se i dipendenti della società in house, interamente controllata da enti pubblici, sono soggetti al “blocco” dei contratti, come i dipendenti degli enti locali, sia per la retribuzione individuale che per la retri-buzione accessoria nel rispetto dei vincoli della spesa del personale nonostante la sottoscrizio-ne del contratto nazionale di lavoro (Federam-biente)”.La Corte dei Conti Sezione Regionale di Controllo per la Campania con il parere del 15 dicembre u.s. ha osservato che la variegata e ripetutamente modificata legislazione in tema di società partecipate (cfr., in proposito Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, 7.7.2014 n. 170, che ne ha eseguito una accurata ricostruzione), è di re-cente approdata nella modifica (operata dal d. l. 24.4.2014 n. 66, convertito dalla l. 23.6.2014 n. 89 e dal d. l. 24.6.2014 n. 90, convertito dal-la l. 11.8.2014, n. 114), di cui al co. 2 bis, arti-colo 18, del d. l. n. 112/2008, convertito dalla l. n. 133/2008, che sembra essere più che mai volta in modo chiaro e semplice, ferma restan-do ogni altra disposizione vigente in materia, non specificamente abrogata, ad un pieno coin-volgimento sia degli enti partecipanti sia delle società partecipate, nelle decisioni in merito al prescritto obbligo di contenimento dei costi del personale di queste ultime.L’articolo 18 so-pramenzionato prevede, infatti, che “le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipa-zione pubblica locale totale o di controllo si at-tengono al principio di riduzione dei costi del

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personale, attraverso il contenimento degli o-neri contrattuali e delle assunzioni di persona-le. A tal fine l’ente controllante, con proprio atto di indirizzo, tenuto anche conto delle di-sposizioni che stabiliscono, a suo carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, defi-nisce, per ciascuno dei soggetti di cui al prece-dente periodo, specifici criteri o modalità di at-tuazione del principio di contenimento dei costi del personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto opera. Le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubbli-ca locale totale o di controllo adottano tali in-dirizzi con propri provvedimenti e, nel caso del contenimento degli oneri contrattuali, gli stessi vengono recepiti in sede di contrattazione di secondo livello….” Inoltre il d. l. n. 90/2014 ha modificato la disciplina applicabile alle regioni ed enti locali sottoposti al patto di stabilità in-terno nella materia de qua prevedendo: a) la possibilità di assunzione di personale a tempo indeterminato con limite di spesa percentuale differente rispetto quella relativa al personale di ruolo cessato negli anni precedenti, e pari al 60%, 80% e 100%, rispettivamente negli anni 2014-2015, 2016-2017 e negli anni successivi a partire dal 2018; b) la permanenza delle dispo-sizioni previste dall’articolo 1, commi 557, 557 bis e 557 ter, della l. n. 296/2006, con conse-guente obbligo, per gli enti locali assoggettati alla disciplina del patto di stabilità interno, di computare anche la quota relativa al personale occupato presso organismi partecipati, varia-mente denominati, ai fini del rispetto della ri-duzione e del contenimento del trend della spe-sa in serie storica; c) l’abrogazione dell’articolo 76, comma 7, del d. l. n. 112/2008 che regolava il rapporto di incidenza tra spesa per il personale e spesa corrente ai fini delle nuove capacità assunzionali degli enti locali sottoposti alla disciplina del patto di stabilità interno; d) il coordinamento, da parte degli enti locali, delle politiche assunzionali dei soggetti indicati nell’articolo 18, comma 2bis, del d. l. n.112/2008 (tra cui le società partecipate) al fine di garantire, anche per i medesimi soggetti, una graduale riduzione della percentuale tra spese di personale e spese correnti.Dal raffron-to tra vecchia e nuova normativa emerge, a pa-rere di questa Sezione (pur se si evidenzia la eliminazione della immediata e diretta applica-

zione alle aziende speciali, istituzioni e società a partecipazione pubblica, di alcuni tipi di vin-coli alle assunzioni e alle spese di personale previsti per le amministrazioni di riferimento - vincoli derivanti, peraltro, da previsioni nor-mative oggetto di numerosi interventi di modifi-ca da parte del legislatore statale tali da non renderli stabili né definitivamente certi), che il nuovo dettato legislativo obbliga al rispetto dell’inequivocabile principio della riduzione dei costi del personale degli organismi parteci-pati dagli enti pubblici, sia in termini di conte-nimento degli oneri contrattuali che di quelli derivanti da assunzioni di personale, in armo-nia con quanto disposto, in via generale, negli anni, in tema di riduzione globale della spesa pubblica.Il legislatore detta, inoltre, in maniera dettagliata, le modalità esecutive di attuazione della norma, prevedendo:- la predisposizione, da parte dell’ente controllante, di un proprio “atto di indirizzo” che, in conformità a quanto disposto, a suo carico in tema di divieti o limi-tazioni alle assunzioni di personale, definisca, per ciascun organismo partecipato, i criteri e le modalità per raggiungere l’obiettivo della ridu-zione dei costi, previa verifica dello specifico settore di appartenenza;- l’adozione, da parte di ogni ente partecipato, di propri provvedi-menti di attuazione degli indirizzi espressi dall’ente controllante, con specifico obbligo, nel caso di riduzione degli oneri contrattuali, di recepimento degli stessi in sede di contrattazio-ne di secondo livello.Appare chiaro come tale previsione sia ben più pregnante di quanto fino ad oggi predisposto in tema di riduzione dei co-sti del personale dei soggetti partecipati dagli enti pubblici, obbligando sia gli uni che gli altri (controllanti e controllati) ad una seria valuta-zione della propria situazione economico-finanziaria, nonchè delle reali e concrete ne-cessità che a ciascuno di essi fanno capo, fa-cendo emergere la responsabilità di ciascuno nel caso di mancata attuazione delle misure che conformino i propri costi in maniera coerente con la qualità dei servizi prestati.Ciò premesso, va osservato che la scelta preferenziale da e-sercitare, in concreto, nella prospettata fatti-specie, non può che essere ispirata –in confor-mità alle esigenze di razionalizzazione e di e-conomicità nella gestione di risorse pubbliche che sottendono proprio il sopra evidenziato

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quadro normativo- ad una coerente, completa e motivata applicazione di principi di sana ge-stione e di contenimento della spesa, mediante una previa valutazione di tutte le relative impli-cazioni, sia in termini di effettiva economicità, sia sotto il profilo dell’efficienza e del buon an-damento dell’attività di amministrazione di che trattasi.Resta pertanto più che mai attuale quanto più volte sottolineato, in termini di do-verosità del controllo e della riduzione della spesa da parte delle pubbliche amministrazioni, dalla Corte dei conti - cfr., per tutti, la Sezione di controllo Veneto - che, con delibera n. 903/2012, ha ricordato che “…l’utilizzo di ri-sorse pubbliche, anche se adottato attraverso moduli privatistici, impone particolari cautele e obblighi in capo a tutti coloro che –direttamente o indirettamente– concorrono alla gestione di tali risorse, radicandone la giuri-sdizione e il controllo della Corte dei conti”. Di conseguenza, sempre secondo tale Sezione, l’ente socio dovrà effettuare “un costante ed effettivo monitoraggio sull’andamento della so-cietà, con una verifica costante della perma-nenza dei presupposti valutativi che hanno de-terminato la scelta partecipativa iniziale”, met-tendo in atto, volta per volta, gli interventi cor-rettivi che si rendano necessari nel corso della vita della società, per assicurare al meglio la remunerazione del capitale investito con l’impiego di consistenti risorse pubbliche.Su tali aspetti gestionali e decisionali la Sezione non può, peraltro, esprimere valutazioni tali da indirizzare, nello specifico, l’attività discrezio-nale dei competenti organi, soprattutto, perché le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti non possono svolgere, in sede consultiva, una funzione di consulenza di tale latitudine da giungere ad inserirsi in attività gestionali am-ministrative e/o societarie, ovvero ad interferire con i poteri discrezionali di altri organi i quali siano titolari, in via esclusiva, del relativo e-sercizio e della conseguente applicazione (cfr. Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, 17.2.2006, n° 5 e Sezione regionale di controllo Campania, 24.7.2014, n. 187). Corte dei Conti Sez.Reg. di Controllo della Campania deliberazione del 29.12.2014, n. 261 Conferimento di incarichi legali senza impegno contabile: è possibile ricondurre, a

sanatoria, nel sistema di contabilità dell’Ente, solo mediante attivazione del procedimento per l’eventuale riconoscimento di debito fuori bilancio. Giunge all´attenzione della Corte dei Conti il quesito del Comune di Marano di Napoli con il quale, per quanto qui d´interesse, si chiede alla corte un parere in ordine ad incarichi conferiti a legali con delibere del tutto prive di impegno contabile.Sul punto il giudice contabile ha anzi-tutto affermato, in adesione alla consolidata giurisprudenza, che “tutti i provvedimenti che comportano spesa vanno adottati previa assun-zione del relativo <impegno contabile ed atte-stazione della (relativa) copertura finanzia-ria>, ex art. 191 TUEL, ivi compresi i provve-dimenti con i quali il Comune conferisce appo-sito incarico legale ad un avvocato per la tutela delle ragioni del Comune stesso” (così, condi-visibilmente, Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, deliberazione n° 360/2008 del 14-18 luglio 2008).Il rispetto del-le procedure previste dalla legge nel caso di assunzione di obbligazioni giuridiche nei con-fronti di terzi (in particolare : artt. 182-185 e 191 del d. lgs. n° 267 del 2000) garantisce, in-vero, il soddisfacimento dell’obbligo della co-pertura finanziaria degli atti da cui derivano impegni di spesa, e consente di evitare la for-mazione di debiti originati in sede extraconta-bile (in terminis, cfr. Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n° 256/2013 del 25.7.2013). A ciò va aggiunto che “qualora vengano in es-sere obbligazioni giuridiche al di fuori della descritta procedura ordinaria, l’ordinamento giuscontabile prevede, comunque, la possibilità di ricondurle nella contabilità ordinaria dell’ente, purché si tratti di obbligazioni rien-tranti nelle fattispecie dettagliatamente elenca-te nell’art. 191 TUEL e purché venga adottato un atto di riconoscimento del debito da parte dell’organo consiliare” (Corte dei conti, Sezio-ne regionale di controllo per l’Emilia Roma-gna, deliberazione n. 256/2013 cit.; cfr. anche Sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione n. 55/2013 dell’11-17.6.2013, con particolare riferimento alla necessità di va-lutazione dell’utilità della prestazione).Nel ca-so, dunque, di mancanza dell’impegno contabi-le relativo al conferimento degli incarichi legali

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de quibus, si verte in una fattispecie di acquisi-zione di servizi in violazione del citato art. 191 del d. lgs. n. 267 del 2000, con possibilità di ri-conduzione, a sanatoria, nel sistema di contabi-lità dell’Ente, solo mediante attivazione del procedimento per l’eventuale riconoscimento di debito fuori bilancio di cui all’art. 194 del d. lgs. n° 267 del 2000 cit., con tutte le condizioni e le limitazioni previste al riguardo, anche con riferimento – per quanto concerne la specifica fattispecie qui in esame - alla necessità della sussistenza dei requisiti oggettivi indicati al co. 1, lett. e) del menzionato art. 194 relativamente a beni e servizi acquisiti in violazione degli ob-blighi di cui ai coo. 1, 2 e 3 dell´art. 191 (“nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed ar-

ricchimento per l´ente, nell´ambito dell´esple-tamento di pubbliche funzioni e servizi di com-petenza”, ex art. 194 cit.). Questa Corte, peraltro, ha già più volte esami-nato la normativa relativa al riconoscimento dei debiti fuori bilancio, pronunciandosi esau-stivamente in ordine alla natura e alle caratte-ristiche di tale procedura (ex plurimis, cfr. Sez. regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n. 311/2012 del 26.12.2012); in questa sede, dunque, attese le finalità della ri-chiesta di parere in esame, non può, al riguar-do, che essere ribadita la necessità che -anche nella fattispecie de qua - venga data puntuale, motivata e razionale osservanza alle disposi-zioni di legge che disciplinano la materia.

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA L’obbligo di pubblicazione dei dati patrimo-niali da parte dei componenti degli organi di indirizzo politico delle P.A. Parere 20/02/2015-86746, AL 31876/14, Avv. Anto-nio Grumetto. RISPOSTA È richiesto alla Scrivente un parere sui se-guenti quesiti: “se un consigliere di ammini-strazione di codesta Amministrazione sia te-nuto a comunicare i dati di cui all’articolo 14, comma 1, lettera f) del d.lgs 33/2013” “se in caso di risposta affermativa al precedente quesito, il rifiuto di fornire tali dati consenta l’applicazione delle sanzioni amministrative di cui al predetto D.lgs anche dopo le dimis-sioni del soggetto obbligato”. 1. Premessa. Giova preliminarmente osservare che, come precisato - su richiesta della Scrivente - da codesta Amministazione nella nota del 9.12.2014, il primo quesito sottoposto a que-sto Organo legale non riguarda l'obbligo di un consigliere di amministrazione di comuni-care gli altri dati previsti dall'articolo 14 del d.lgs n. 33/2013, ma solo l'obbligo, da parte del predetto soggetto, di rendere la dichiara-zione patrimoniale di cui alla lett. f) della predetta disposizione. Sempre nella predetta nota, anche in questo caso su richiesta della Scrivente, codesta Amministrazione ha cura di precisare che “gli altri componenti del Consiglio di Ammi-nistrazione ... hanno fornito le dichiarazioni ... riferite all’anno 2012 ...” nonché “che ...

al momento è in corso la richiesta ai Consi-glieri di aggiornamento annuale delle infor-mazioni”. Il presente parere, quindi, verrà reso partendo dal dato di fatto, non esamina-to dalla Scrivente, che il consigliere di ammi-nistrazione di codesta Amministrazione sia soggetto agli obblighi previsti ai sensi dell'art. 14 del d.lgs n. 33 del 2013 in quanto "incarico politico, di carattere elettivo o co-munque di esercizio di poteri di indirizzo po-litico". In altri termini, il parere reso dalla Scrivente è limitato al profilo oggettivo della questione , vale a dire: se i presupposti perché sorga l’obbligo di rendere le dichiarazioni di cui all’art. 14 lett. f siano gli stessi previsti per l’obbligo di rendere le dichiarazioni di cui agli artt. 2, 3 e 4 della l. n. 441 del 1982. 2. Sul primo quesito. Così delimitato il quesito sottoposto alla Scrivente, si osserva quanto segue. Termine interposto in sede di pubblicazione al fine di evitare l’identificazione del soggetto pubblico al quale il parere è diretto. La disposizione dell’art. 14 del d.lgs 33/2013 prevede che: Obblighi di pubblicazione con-cernenti i componenti degli organi di indiriz-zo politico 1. Con riferimento ai titolari di in-carichi politici, di carattere elettivo o comun-que di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale regionale e locale, le pubbli-che amministrazioni pubblicano con riferi-mento a tutti i propri componenti, i seguenti documenti ed informazioni: a) l'atto di nomina o di proclamazione, con l'indicazione della durata dell'incarico o del

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Patto di Stabilità,Bilancio e Fiscalità

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mandato elettivo; b) il curriculum; c) i compensi di qualsiasi natura connessi all'assunzione della carica; gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici; d) i dati relativi all'assunzione di altre cari-che, presso enti pubblici o privati, ed i relati-vi compensi a qualsiasi titolo corrisposti; e) gli altri eventuali incarichi con oneri a ca-rico della finanza pubblica e l'indicazione dei compensi spettanti; f) le dichiarazioni di cui all'art. 2, della l. 5.7.1982, n. 441, nonché le attestazioni e di-chiarazioni di cui agli art. 3 e 4 della mede-sima legge, come modificata dal presente de-creto, limitatamente al soggetto, al coniuge non separato e ai parenti entro il secondo grado, ove gli stessi vi consentano. Viene in ogni caso data evidenza al mancato consen-so. Alle informazioni di cui alla presente let-tera concernenti soggetti diversi dal titolare dell'organo di indirizzo politico non si appli-cano le disposizioni di cui all'articolo 7. 2. Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati cui al comma 1 entro tre mesi dalla ele-zione o dalla nomina e per i tre anni succes-sivi dalla cessazione del mandato o dell'inca-rico dei soggetti, salve le informazioni concer nenti la situazione patrimoniale e, ove con-sentita, la dichiarazione del coniuge non se-parato e dei parenti entro il secondo grado, che vengono pubblicate fino alla cessazione dell'incarico o del mandato. Decorso il ter-mine di pubblicazione ai sensi del presente comma le informazioni e i dati concernenti la situazione patrimoniale non vengono trasferi-ti nelle sezioni di archivio. Ritiene la Scrivente che, al fine di determina-re l’ambito di applicazione dell’obbligo di pubblicazione dei dati di cui all’articolo 14 lett. f), non si debba far riferimento all’ambito di applicazione della l. n. 441 del 1982, bensì alla sedes materiae in cui tale obbligo di pubblicazione è inserito. L’art. 14, infatti, individua l’ambito dell’obbligo di pubblicazione da esso disci-plinato attraverso il riferimento, contenuto nel co. 1 del medesimo articolo, ai documenti e alle informazioni relative ai “titolari di in-carichi politici di carattere elettivo o comun-que di esercizio di poteri di indirizzo politico

di livello statale regionale e locale”. È con riferimento a tale delimitazione sogget-tiva, contenuta nel co. 1 dell’art. 14, che deve essere determinato l’ambito di applicazione dell’obbligo di pubblicazione di documenti e informazioni disciplinato dalla medesima di-sposizione. Ritenere diversamente - e cioè sostenere che ai fini della pubblicazione dei documenti del-le informazioni di cui alla lettera f) dell’art. 14 debba farsi riferimento all’ambito di ap-plicazione della l. n. 441 del 1982 ivi richia-mata - significherebbe far dipendere l’appli-cazione di una disposizione del d.lgs n. 33 del 2013 da disposizioni contenute in un diverso contesto normativo. A ciò si aggiunga che il richiamo contenuto nell’art. 2 della l. 5.7.1982 n. 441 non può essere inteso come un integrale rinvio ad una disposizione applicabile anche ai fini del d.lgs n. 33 del 2013 e ciò in quanto: 1. solo la lett. f) dell’art. 14 prevede che ven-ga data evidenza al mancato consenso alla pubblicazione delle dichiarazioni di cui all’art. 2 della l. n. 441 del 1982 che riguar-dino il coniuge non separato e ai parenti en-tro il 2º grado, laddove la disposizione da ul-timo richiamata nulla prevede a tale proposi-to; 2. solo per la mancata comunicazione dei do-cumenti e delle informazioni di cui all’art. 14 è prevista la possibilità di applicare una san-zione amministrativa pecuniaria da € 500 a 10.000 a carico del responsabile della man-cata comunicazione, laddove non è prevista alcuna sanzione amministrativa per le dichia-razioni di cui all’articolo 2 della l. 5.7.1982 n. 441. La differenza di disciplina fra le 2 di-sposizioni in esame, quindi, rende ragione dell’interpretazione proposta, secondo cui la f) dell’articolo 14 non è meramente riprodut-tiva della disposizione di cui all’art. 2 della l. n. 441 del 1982. 3. Sul secondo quesito. Quanto al secondo quesito sottoposto, la Scrivente ritiene che la cessazione dall’incarico per dimissioni non faccia venire meno il potere di applicare la sanzione am-ministrativa prevista dall’art. 47 del d.lgs n. 33 del 2013, per l’ipotesi di mancata incom-pleta comunicazione dell’informazione dei dati di cui all’articolo 14 concernenti la si-

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

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tuazione patrimoniale complessiva del titola-re dell’incarico al momento dell’assunzione in carica. nel sistema del d.lgs n. 33 del 2013, infatti, la cessazione dell’incarico rileva solo ai fini dell’eventuale rimozione della pubbli-cazione dei dati e delle informazioni per i quali è obbligatoria la pubblicazione. Il co. 2 dell’art. 14, infatti, prevede che alla cessa-zione dell’incarico o del mandato venga me-no l’obbligo di continuare a dare pubblicità alle informazioni concernenti la situazione patrimoniale e, ove consentito, alla dichiara-zione del coniuge non separato e dei parenti entro il 2º grado; ma ciò non implica che la cessazione dell’incarico o del mandato costi-tuisca una causa di decadenza dal potere di irrogare la sanzione amministrativa prevista per l’inadempimento dell’obbligo di comuni-care le informazioni e dati di cui all’articolo 14. Giova a questo proposito quanto previsto dal 3º co. dell’art. 47 del d.lgs n. 33 del 2013: quest’ultimo, infatti, prevedendo che le san-zioni di cui ai coo. 1 e 2 sono irrogate dall’autorità amministrativa competente in base a quanto previsto dalla l. 24.11.1981 n. 689, comporta che per le cause di estinzione del potere di applicare la sanzione debba a-versi riguardo al sistema previsto in generale per le sanzioni amministrative dalla legge n. 689 del 1981, con ciò escludendosi, pertanto, la possibilità di individuare cause di estinzio-ne della potestà sanzionatoria diverse da quelle previste in via generale da quest’ultima legge. Giova da ultimo segnalare che, con delibera-zione del 21.1.2015 n. 10, l’ANAC, dopo aver ricostruito l'evoluzione normativa relativa al-la disciplina in materia di anticorruzione, in

special modo con riguardo alle modifiche in-trodotte dal d.l. 90/14, ha ritenuto che "poi-ché il sistema della trasparenza che discende dalla l. 190/2012, dal d.lgs 33/2013 e dal d.l. 90/2014 rientra nell'ambito della competenza statale, anche la disciplina sanzionatoria co-me delineata nell'art. 47, co. 3, si ritiene deb-ba essere sottratta da altre fonti normative ed interpretata ed applicata coerentemente"; al-la luce di tale premessa l’ANAC ha ritenuto, con la citata deliberazione, ancora che tale Autorità“ ... è il soggetto competente ad av-viare il procedimento sanzionatorio per le violazioni di cui all'art. 47, co. 1 e 2, del d.lgs 33/2013, provvedendo all'accertamento, alle contestazioni e alle notificazioni ai sensi de-gli art. 13 e 14 della l. 689/1981 ai fini del pagamento in misura ridotta ...” e che “ qualora non sia stato effettuato ad ANAC il pagamento in misura ridotta, il Presidente dell'Autorità, ..., ne dà comunicazione con un apposito rapporto ai sensi dell'art. 17, co. 1, della l. 689/1981, al prefetto del luogo ove ha sede l'ente in cui sono state riscontrate le vio-lazioni per l'irrogazione della sanzione defi-nitiva”. La citata delibera si conclude affer-mando che la disciplina ora riassunta si ap-plica qualora, alla data di pubblicazione sul-la Gazzetta ufficiale della de libera stessa, il procedimento sia stato avviato ma la fase i-struttoria non sia stata ancora conclusa con la trasmissione degli atti all'ufficio cui spetta l'irrogazione della sanzione. Pertanto vorrà codesta Amministrazione tener conto di tali indicazioni nel successivo svolgimento del procedimento applicativo della sanzione. Nei sensi detti è il parere della Scrivente sul quale è stato sentito il Comitato consultivo il quale si è espresso in conformità.

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Giustizia e Affari Interni

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GIUSTIZIA E AFFARI INTERNI

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI NON PUNIBILITà PER PARTICOLARE TE-NUITà DEL FATTO, A NORMA DELL'ART. 1, CO. 1, LETT. M), DELLA L. 28.4.2014, N. 67. Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione; Visto l'articolo 14 della l. 23.8.1988, n. 400; Vista la l. 28.4.2014, n. 67, recante deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzio-natorio nonchè disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa al-la prova e nei confronti degli irreperibili, in particolare l'art. 1, co. 1, lettera m); Visto il R.D. 19.10.1930, n. 1398, recante approvazione del testo definitivo del codice penale; Visto il decreto del Presidente della Repub-blica 22.9.1988, n. 447, recante approvazione del codice di procedura penale; Vista la preliminare deliberazione del Con-siglio dei ministri, adottata nella riunione del 1.12.2014; Acquisiti i pareri delle competenti Commis-sioni della Camera dei deputati e del Sena-to della Repubblica; Vista la deliberazione del Consiglio dei mini-stri, adottata nella riunione del 12.3.2015; Sulla proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze; Emana il seguente decreto legislativo: Art. 1 Modifiche al codice penale 1. Dopo l'art. 131 del codice penale, le denominazioni del Titolo V e del Capo I sono sostituite dalle seguenti: «Titolo V

Della non punibilità per particolare tenui-ta' del fatto. Della modificazione, applica-zione ed esecuzione della pena Capo I Della non punibilità per particolare tenuità del fatto. Della modificazione e applicazione della pena». 2. Prima dell'art. 132 è inserito il seguente: «Art. 131-bis. - (Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto). Nei reati per i quali è' prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilita' e' esclusa quando, per le modalita' della condotta e per l'esiguita' del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuita' e il comportamento risulta non abituale. L'offesa non può essere ritenuta di particola-re tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vit-tima, anche in riferimento all'eta' della stessa ovvero quando la condotta ha cagio-nato o da essa sono derivate, quali con-seguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abi-tuale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indo-le, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuita', non-che' nel caso in cui si tratti di reati che ab-biano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Ai fini della determinazione della pena de-

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Giustizia e Affari Interni

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tentiva prevista nel primo comma non si tie-ne conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pe-na di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudi-zio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuita' del danno o del pericolo come circostanza attenuante.». Art. 2 Modifiche al codice di procedura penale 1. All'art. 411 sono apportate le seguenti modificazioni: a) al co. 1, dopo le parole: «condizione di procedibilità» sono inserite le seguenti: «, che la persona sottoposta alle indagini non e' punibile ai sensi dell'articolo 131-bis del co-dice penale per particolare tenuita' del fat-to»; b) dopo il co. 1 è aggiunto il seguente: «1-bis. Se l'archiviazione e' richiesta per particolare tenuita' del fatto, il pubblico mi-nistero deve darne avviso alla persona sot-toposta alle indagini e alla persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pe-na di inammissibilita', le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Il giudice, se l'op-posizione non e' inammissibile, procede ai sensi dell'articolo 409, comma 2, e, dopo avere sentito le parti, se accoglie la ri-chiesta, provvede con ordinanza. In man-canza di opposizione, o quando questa e' inammissibile, il giudice procede senza formalita' e, se accoglie la richiesta di archi-viazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la richiesta il giudi-ce restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell'art. 409, coo. 4 e 5.». Art. 3 Disposizioni di coordinamento processuale 1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il co. 1 dell'art. 469 è aggiunto il seguente: «1-bis. La sentenza di non doversi

procedere è pronunciata anche quando l'imputato non e' punibile ai sensi dell'art. 131 bis del codice penale, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare.»; b) dopo l'art. 651 è aggiunto il seguente: «651-bis. Efficacia della sentenza di proscio-glimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno. - 1. La sentenza penale irrevocabile di pro-scioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamen-to della sussistenza del fatto, della sua illi-ceita' penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o ammi-nistrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del con-dannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale. 2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuita' del fatto a norma dell'art. 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbre-viato.». Art. 4 Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 14.11.2002, n. 313, recante testo unico delle disposizioni legislative e regola-mentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative di-pendenti da reato e dei relativi carichi pendenti 1. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei rela-tivi carichi pendenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14.11.2002, n. 313, sono apportate le seguenti modificazio-ni: a) all'art. 3, co. 1, lett. f), dopo le parole: «misura di sicurezza» sono aggiunte le se-guenti: «, nonché quelli che hanno dichiara-to la non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale.»; b) all'art. 5, co. 2, dopo la lett. d) è inserita la seguente: «d-bis) ai provvedimenti giudiziari che han-no dichiarato la non punibilità ai sensi

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dell'art. 131-bis del codice penale, trascor-si dieci anni dalla pronuncia;»; c) all'art. 24, co. 1, dopo la lett. f) è inserita la seguente: «f-bis) ai provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale, quando la relativa iscrizione non e' stata eliminata;»; d) all'art. 25, co. 1, dopo la lett. f) è inserita la seguente: «f-bis) ai provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale, quando la relativa iscrizione non è stata eliminata;». Art. 5 Disposizioni finanziarie 1. Alle minori entrate derivanti dalle di-sposizioni di cui all'articolo 1, valutate in 474.400 euro a decorrere dall'anno 2015, si provvede con quota parte delle minori spese derivanti dal medesimo articolo 1, pari a 513.342 euro a decorrere dall'anno 2015. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica ita-liana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di os-servarlo e di farlo osservare (D.lgs. 16.3.2015, n. 28).

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ILLEGITTIMA LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE A MEZZO DEL SOSTITUTO PROCESSUALE: NUOVO REVIREMENT DELLA CASSAZIONE "Non è possibile per il sostituto del difensore, procuratore speciale del danneggiato dal reato, operare in udienza la costituzione di parte civile in assenza della procura speciale o della parte delegante". La terza sezione pe-nale della Corte di Cassazione, con la recen-te sentenza n. 6184 dell’11 febbraio 2015, avalla l’interpretazione più restrittiva del combinato disposto degli artt. 76, 78, 100 e 122 c.p.p., escludendo con tono perentorio che il difensore munito di procura speciale, da lui stesso autenticata, possa delegare al proprio sostituto processuale il potere di co-stituirsi nel giudizio penale in rappresentanza della parte civile. Tale orientamento si pone in netto contrasto con altre pronunce della

Suprema Corte che hanno invero sancito il principio opposto, consentendo la sostituzio-ne processuale, anche ai fini del deposito dell’atto di costituzione di parte civile, allor-ché la procura speciale conferita al difensore riconosca espressamente la facoltà di subde-lega (fra tutte, Cass. pen., sez. V, 27.5.2014-dep. 11.7.2014, n. 30793). Nel vivace contra-sto giurisprudenziale, la sentenza n. 6184/2015 spicca dunque per l’estremo rigo-re che ha indotto il giudice delle leggi a sta-bilire che, in ambito penale, «l’azione civile può essere esercitata soltanto da un procura-tore speciale abilitato a costituirsi in nome e per conto del rappresentato, secondo le pre-scrizioni modali degli artt. 76, 78 e 122 cod.proc.pen., e non anche dal sostituto pro-cessuale (privo di procura speciale), il quale opera in maniera vicaria rispetto al difensore e non al procuratore speciale» e ciò in quan-to "sono delegabili le attività defensionali e non i poteri di natura sostanziale". Cosa fare allora in caso di insuperabile impedimento del difensore-procuratore speciale a parteci-pare all’udienza di costituzione delle parti? Al riguardo, la sentenza in esame fornisce una sorta di vademecum: a) la costituzione di parte civile può essere presentata dal difen-sore-procuratore speciale prima del-l’udienza, ai sensi dell’art. 78, co. 2, c.p.p., ma in tal caso l’atto deve essere notificato al-le altre parti processuali; b) sembra rimanere valida la costituzione di parte civile anche a mezzo di sostituto processuale, se avvenuta in presenza della persona offesa, nel qual caso deve ritenersi effettuata direttamente dal tito-lare del relativo diritto (in tal senso la sen-tenza de qua fa richiamo a Cass.pen., sez. III, 27.1.2006, n. 13699 e Cass.pen., sez. V, 3.2.2010, n. 19548. Contra Cass.pen., sez. V, 23.10.2009, n. 6680); c) il mandatario può procedere alla nomina di piùprocuratori spe-ciali (dato che l’unicità del mandato al difen-sore è imposta, ex art. 100 c.p.p., ai soli fini processuali, e non limita, a fini sostanziali, la nomina di più procuratori speciali). La procura speciale rilasciata a più persone va però redatta, inderogabilmente, con atto di notaio o di altro pubblico ufficiale autoriz-zato ai sensi dell’art. 2703 c.c., dato che il difensore non può autenticare la procura speciale rilasciata ad altri oltre che a se stes-

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so (art. 122, co. 1, c.p.p.). Ad ogni buon conto, ci sentiamo di consiglia-re sempre, ai fini della costituzione di parte civile, la presenza in aula del difensore-procuratore speciale della persona offesa, la cui legittimazione formale e sostanziale per

gli adempimenti di cui agli artt. 76, 78 e 100 c.p.p. rimane l’unica certezza che l’alta-lenante giurisprudenza della Suprema Corte non ha mai osato mettere in discussione (No-ta dell’Avv. Luca Petrucci e dell’Avv. Giulio Vasaturo).

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REDAZIONALI

LA DIRIGENZA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: DISCIPLINA ATTUALE E PROSPETTIVE FUTURE del Dott. Sabato Vinci

Il tema d’interesse della presente trattazione concerne la dirigenza delle pubbliche amministra-zioni, in quanto colonna portante del sistema amministrativo italiano così come evolutosi fino a oggi. Volendo succintamente introdurre l’argomento, la “Dirigenza” può essere definita come quella quota di funzionari pubblici chiamati comporre l’ “alta burocrazia pubblica” e come tali disciplinati dall’ordinamento dello Stato secondo una particolare normativa, predisposta pro-prio in ragione della funzione di vertice ricoperta all’interno degli uffici dell’amministrazione. The issue of interest to this discussion concerns the leadership of the government , as the backbone of the Italian administrative system as well as evolved until today . Wanting to briefly introduce the topic , the " Leadership " can be defined as that share of public servants called to compose the ' " high public bureaucracy " and as such governed by the Ordinamento State according to a particular law , designed precisely because of the function summit held in the offices of the administration. Sommario: 1. Profili costituzionali della distinzione tra “indirizzo politico” e “gestione ammini-strativa”; 2. Profili legislativi della distinzione tra “indirizzo politico” e “gestione amministrati-va”; 3. Funzioni della dirigenza amministrativa; 4. L’incarico dirigenziale; 5. Criteri per il con-ferimento dell’incarico; 6. Cenni sulla responsabilità dirigenziale; 7. Conclusioni e prospettive future per la dirigenza amministrativa pubblica.

1.Profili costituzionali della distinzione tra “indirizzo politico” e “gestione ammini-strativa”.

Ai fini di uno studio concernente la diri-genza nell’amministrazione pubblica è essen-ziale partire da una considerazione di fondo: la distinzione tra “indirizzo politico” e “ge-stione amministrativa”. Questa in particolare è stata accolta nell’ordinamento italiano solo con la l. n. 142 del 1990, all’interno di una più generale opera di riorganizzazione dell’assetto amministrativo locale, e trova ampi riferimenti nel dettato costituzionale dell’Italia, rispondendo in buona sostanza all’esigenza di realizzare in concreto “l’equilibrio fra il principio democratico e il

principio di imparzialità”1 all’interno delle strutture amministrative pubbliche.

Le pubbliche amministrazioni sono inqua-drate dall’ordinamento italiano come stru-menti mediante i quali dare attuazione ai di-ritti dei cittadini: proprio a questo obiettivo si ricollega peraltro il “principio di buon anda-mento” - sancito dall’art. 97 della Costituzio-ne2 - in virtù del quale la PA. ha il dovere di svolgere la propria attività nel modo più con-veniente possibile in relazione al fine pubbli-cistico da perseguire.

Questo coincide nella sostanza appunto col

1 Cit. CASSESE S., op. cit. 2 Art. 97 Cost.: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.”

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dare attuazione concreta ai diritti dei cittadini, e si configura come il risultato di un’opera di compenetrazione di diversi criteri fondamen-tali (efficienza ed efficacia, economicità, ce-lerità, miglior contemperamento degli interes-si, minor danno dell’azione amministrativa), dando così luogo a un ampio combinato di-sposto che dà sostanza al principio del buon andamento e a cui la più recente giurispru-denza amministrativa3 impronta l’intera atti-vità svolta dall’amministrazione pubblica. La giurisprudenza costituzionale4 ha inoltre ela-borato un ulteriore criterio fondamentale, da porre alla base dell’azione amministrativa pubblica: la “certezza”, laddove la Corte ha affermato che “non è conforme all’art. 97 Cost. l’adozione, per regolare l’azione am-ministrativa, una disciplina normativa foriera di incertezza, posto che essa può tradursi in un cattivo esercizio delle funzioni affidate al-la PA.”.

In sintesi dunque l’azione amministrativa dev’essere implementata sulla base una fon-damentale ragion d’essere: garantire la piena attuazione dei diritti dei cittadini (la sanità pubblica, l’istruzione, l’ordine pubblico ecc.. sono tutte funzioni esercitate dalla pubblica amministrazione in attuazione dei rispettivi diritti garantiti dall’ordinamento ai cittadini). In questo orizzonte s’iscrive, come logica conseguenza, la distinzione che dev’essere fatta tra potere politico e potere amministrati-vo all’interno della P.A.: se il fine ultimo in-fatti è quello di dare piena attuazione e tutela ai diritti fondamentali dei cittadini, risulta e-vidente che è fatto espresso divieto alle istitu-zioni di mettere in atto disparità di trattamen-to sulla base di criteri di appartenenza sia po-litica che di qualunque altro tipo.

In secondo luogo l’art. 1 della Carta fon-damentale, prescrive che “la sovranità ap-partiene al popolo, che la esercita nelle for-me e nei limiti della Costituzione”. Da questo principio discende che il popolo può esercita-re la propria sovranità non solo in forma di-retta (attraverso i referendum) ma anche, se non soprattutto, in forma indiretta: investendo propri rappresentanti. Questi per forza di co-

3 CdS, V, sentenza n. 4980 del 2011. 4 C.Cost., sentenza n. 70 del 2013.

se, una volta eletti, avranno il dovere di dare attuazione al loro programma politico e nel tradurre le scelte di principio in azione con-creta, dovranno necessariamente servirsi della pubblica amministrazione.

In altri termini dunque, se da una parte l’art. 97 Cost. aggancia l’azione amministra-tiva alla tutela dei diritti fondamentali dei cit-tadini, dall’altra l’art. 1 legittima il fatto che sia il potere politico - in rappresentanza del popolo sovrano – a stabilire come in concreto tali interessi debbano essere tutelati: attraver-so quali politiche, quali risorse e quali obiet-tivi.5

In ultimo vi è il principio di imparzialità dell’azione amministrativa. Posto infatti che l’art. 97 pone le basi per considerare la P.A. come uno strumento per la concreta tutela dei diritti dei cittadini, e che l’art. 1 legittima solo il potere politico democraticamente espresso a deciderne le concrete linee di attuazione, la conseguenza logica sarà che non è ammesso in alcun modo che l’amministrazione pubbli-ca possa compiere discriminazioni tra i citta-dini (tutti uguali di fronte alla legge e quindi alla PA.) in base ad appartenenze politiche, né partecipare alla competizione politica. In nome di questo principio, i funzionari pubbli-ci sono posti dalla Costituzione “al servizio esclusivo della Nazione”: non potendo in al-cun modo neppure il potere politico, esercita-re le proprie prerogative in modo tale da mi-nare l’universalità della tutela che l’ordinamento garantisce a tutti i cittadini in quanto tali, né costringere i pubblici funzio-nari a dar luogo a discriminazioni.

Questo tipo di condotta infatti contraste-rebbe proprio col principio di imparzialità, che dallo stesso art. 97 trova forza e vigore in un’ottica di complementarietà prima di tutto con il principio di buon andamento dell’azione amministrativa e poi con lo stesso principio democratico.

A questo proposito giova ricordare che an-che il Consiglio di Stato, con una importante pronuncia del 20136 in materia di appalti, ha qualificato il principio in questione non come 5 BASSANINI F., Indirizzo politico, imparzialità della P.A. e autonomia della dirigenza, Nuova Rassegna n.21/22 del 2008. 6 CdS, III, Sent. n. 5917 del 2013.

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una massima astratta, bensì come “criterio che agisce concretamente e sostanzialmente sull’operato della Pubblica Amministrazio-ne”7.

Il combinato disposto a livello costituzio-nale in tema di pubblica amministrazione, co-sì come sopra delineato, informa la legisla-zione ordinaria: la quale in materia di pubbli-co impiego8 ha imposto una separazione mol-to netta tra le competenze del potere politico da una parte e quelle della dirigenza ammini-strativa dall’altra.

2.Profili legislativi della distinzione tra

“indirizzo politico” e “gestione amministra-tiva”.

La distinzione tra organi di governo, con poteri di indirizzo politico, e organi dirigen-ziali, con poteri di gestione amministrativa, attiene dunque in base alla normativa vigente prima di tutto alle “competenze decisionali”: laddove la nozione di competenza delineata dell’ordinamento amministrativo in tema di organizzazione della PA. coincide con la sfe-ra di attribuzioni propria di ciascun organo, ovvero con la capacità che ciascun organo de-tiene di esercitare parte del potere attribuito dall’ordinamento giuridico alla pubblica am-ministrazione nell’interesse dei consociati.

In passato il rapporto tra politica e ammi-nistrazione era strutturato sul modello gerar-chico: la competenza dell’organo politico era cioè sovraordinata rispetto a quella degli uffi-ci amministrativi. Per fare un esempio in rife-rimento ai Ministeri: i poteri del Ministro coincidevano totalmente con quelli del Mini-stero e fino alla riforma D’Antona del 1998 il governo poteva scegliere discrezionalmente i dirigenti generali dei vari ministeri, anche tra esterni rispetto all’amministrazione con un atto di nomina a vita. Successivamente inve-ce, il rapporto tra politica e amministrazione è stato improntato al criterio della “direzione”: esso attiene cioè ai livelli decisionali lungo i quali si sviluppa l’attività amministrativa.

Quest’ultima - come si avrà modo di chia-rire nel prosieguo della presente trattazione - deve essere intesa sia come momento di eser- 7 CARINGELLA F., Diritto Amministrativo, Dike Giuridica Editrice, 2014. 8 D.Lgs n. 29 del 1993 e D.Lgs n. 165 del 2001.

cizio del potere pubblico lungo il quale si snoda il procedimento che porterà poi alla produzione del provvedimento, sia come fun-zione quotidiana e concreta dell’ammini-strazione sotto il profilo gestionale.

Più nello specifico oggi all’interno della pubblica amministrazione, il momento prima-rio dell’attività vede come protagonista l’organo di indirizzo politico, al quale è fatto carico di definire le linee generali9 a cui dev’essere improntata l’azione e la gestione amministrativa, nonché i risultati attesi sulla base dell’implementazione dell’azione stessa.

Dal quadro generale fornito dall’organo di indirizzo politico, discende in un secondo momento la definizione di tutta quella serie di attività che consentiranno di arrivare alla pro-duzione della decisione puntuale in relazione alle singole esigenze. Per tornare all’esempio dei Ministeri dunque, il potere del Ministro e quello del Ministero non coincidono più, es-sendoci da una parte talune funzioni che fan-no espressamente capo al personale burocra-tico della dirigenza amministrativa e dall’altra nessun potere di “ordine” del Ministro nei confronti del dirigente ma solo “di indiriz-zo”10, né gli è concesso di “revocare, rifor-mare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare atti di competenza dei dirigenti”11.

La fase in cui il dirigente diviene dunque dominus dell’attività del proprio ufficio, non potendo subire interferenze neppure dal pote-re politico, è dunque precisamente quella del-la gestione amministrativa.

Spetta infatti ad essa la cura concreta degli interessi pubblici secondo gli indirizzi e gli obiettivi fissati in via generale dall’organo di indirizzo politico, attraverso idonei atti di amministrazione e gestione pubblica.

Nell’esercizio di tale loro sfera di compe-tenza, i dirigenti sono inquadrati dall’ordi-namento quali responsabili in via esclusiva in relazione a tre tipi di attività.

In primis dell’attività amministrativa stric-to senso, cioè per gli atti puntuali che i diri-genti amministrativi adottano nel portare a compimento gli indirizzi politici fissati 9 Gli obiettivi, le priorità, i piani, programmi e direttive generali. 10 CASSESE S., op. cit. 11 D.Lgs n. 165 del 2001, art. 14, comma 3.

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dall’organo di governo. Tali atti possono a lo-ro volta essere distinti in due tipologie fon-damentali: quelli di diritto pubblico (i “prov-vedimenti”) e quelli di diritto privato (quali possono essere gli accordi della PA., i con-tratti, gli appalti, ecc..).

In secundis i dirigenti amministrativi han-no responsabilità esclusiva in ordina alla ge-stione amministrativa generale del settore af-fidato loro: in altri termini questa previsione configura una generale responsabilità del di-rigente in ordine al generale funzionamento nonché alla conduzione dell’azione ammini-strativa.

In ultimo esiste una “responsabilità da ri-sultato”, che sempre più rappresenta la co-lonna portante del ruolo della dirigenza am-ministrativa, che imputa all’azione del diri-gente i relativi risultati prodotti attraverso la gestione. Sotto questo profilo infatti si realiz-za quella che è stata definita da una parte del-la dottrina (Cassese) come la “circolarità” dell’azione amministrativa: la quale inizia con la definizione delle linee-giuda e degli obiettivi da parte dell’organo di indirizzo po-litico; viene implementata attraverso l’attività gestionale dei dirigenti; viene poi monitorata, attraverso una valutazione delle performance da parte dello stesso organo di indirizzo poli-tico.

Da ultimo, la l. 4.3.2009, n. 15 - che con-feriva un’ampia delega parlamentare al Go-verno per affrontare le questioni della produt-tività e dell’efficienza nel pubblico impiego - nel riordinare gli organismi indipendenti di valutazione delle performance, ha istituito un organismo centrale – sempre dotato dei carat-teri essenziali di autonomia e indipendenza – “con il compito di indirizzare, coordinare e sovraintendere all’esercizio indipendente del-le funzioni di valutazione, assicurando anche la comparabilità e la visibilità degli indicato-ri dell’andamento gestionale”.

La stessa legge poi all’art. 6 ha affrontato la materia della dirigenza pubblica “al fine di rafforzare il principio di distinzione tra le funzioni di indirizzo e controllo spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza, nel rispetto della giurisprudenza costituzionale in materia, regolando il rapporto tra organi di

vertice e dirigenti titolari di incarichi apicali in modo da garantire la piena e coerente at-tuazione dell’indirizzo politico degli organi di governo in ambito amministrativo”.

La differenza tra indirizzo politico e ge-stione è sostanzialmente individuabile in una distinzione che attiene prima di tutto alla dif-ferente competenza in tema di esercizio del potere tra “organi di indirizzo politico” e “organi burocratici” : i primi con il compito di determinare le linee guida e gli obiettivi di politica pubblica da perseguire, i secondi con quello di tradurre l’obiettivo politico in con-creta attività amministrativa.

Come accennato in precedenza inoltre, gli organi di governo possono trovare la loro ra-gion d’essere nell’elezione popolare (“legit-timazione diretta” da parte del popolo sovra-no) ovvero attraverso l’atto di nomina da par-te di un altro organo legittimamente eletto (“legittimazione indiretta”).

Gli organi della dirigenza amministrativa invece, ricoprono le posizioni apicali all’interno di organi ed uffici a carattere bu-rocratico, e vengono normalmente selezionati attraverso lo strumento del pubblico concor-so. A questo proposito, esiste una consolidata giurisprudenza costituzionale12, la quale - pur non retrocedendo rispetto al principio per cui il concorso rappresenta la forma cui l’ordinamento giuridico e costituzionale ita-liano conferisce posizione di generalità ed or-dinarietà in ordine alla disciplina dei criteri di reclutamento del personale in servizio presso le pubbliche amministrazioni (quindi anche per la dirigenza pubblica) - tuttavia ammette possibilità di deroga in presenza di situazioni giustificatrici particolarmente precise e pun-tuali.

In particolare, la Corte riconosce che al pubblico impiego si possa accedere senza passare per procedure concorsuali in presenza dell’esercizio di un potere discrezionale che tuttavia rimane comunque improntato da una parte al rispetto pieno del canone del “buon andamento della pubblica amministrazione” così come sancito dall’art. 97 della Costitu-zione italiana; dall’altra al diritto di tutti i cit-tadini di accedere ai pubblici uffici in con-

12 Si veda: C.Cost. Sent. n. 213 del 2010.

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formità con l’art. 51 Cost. Il vaglio di costituzionalità di tali scelte

viene altresì dalla Corte ricollegato ad una va-lutazione di ragionevolezza della scelta ope-rata dal potere legislativo.

Sulla base di questa giurisprudenza, il Giudice delle leggi ha così accordato legitti-mità a norme che affidavano la scelta dei di-rigenti a criteri di selezione alternativi rispet-to a quelli generali ed ordinari costituiti dal concorso pubblico, in quanto finalizzate a uti-lizzare al meglio esperienze professionali e gestionali già presenti all’interno della stessa amministrazione13. Queste deroghe rispetto al principio generale e ordinario del concorso pubblico erano comunque corredate da limiti in relazione alla loro legittimità: esse erano infatti da considerarsi lecite a sola condizione che da un lato “siano previsti adeguati criteri selettivi volti a garantire la necessaria pro-fessionalità degli assunti”, e dall’altro “la legge bilanci in modo equilibrato il criterio di selezione del personale mediante concorso pubblico con i sistemi alternativi allo stesso”. In quest’ultimo caso, veniva in particolare ri-badito l’obbligo per il legislatore di fissare un chiaro argine (la Corte parla di “percentuali rigorose”) al quantitativo di posizioni interne alla P.A. entro le quali l’ente pubblico può ri-correre a procedure straordinarie di selezione interna14.

Secondo la medesima logica, consolidata giurisprudenza costituzionale ha chiarito che anche in presenza di concorso pubblico, l’accesso allo stesso può comunque essere subordinato al possesso di requisiti fissati dal-la legge, al fine di irrobustire passate espe-rienze di lavoro all’interno della stessa am-ministrazione pubblica. Anche questa previ-sione trovava tuttavia un limite nel principio di parità di trattamento, in virtù del quale de-ve comunque considerarsi illecita la condotta dell’amministrazione pubblica che “attraverso norme di privilegio”15 sortisca l’effetto di e-

13 in tal senso: C.Cost. Sentt. n. 159 del 2005, n. 205 del 2004, n. 517 del 2002, n. 141 del 1999, n. 1 del 1999, e, da ultimo, n. 100 del 2010, n. 293 e n. 215 del 2009 14 C.Cost. Sentt. n. 205 e n. 81 del 2006, n. 407 del 2005, n. 34 del 2004. 15 C.Cost. Sent. n. 213 del 2010.

scludere ovvero ridurre in maniera irragione-vole le possibilità di accesso per tutti gli ulte-riori aspiranti, dando in questo modo luogo ad una violazione del carattere pubblico del concorso stesso.16

Come si avrà modo di illustrare più diffu-samente nel paragrafo 5 inoltre, la distinzione tra organo di indirizzo politico e dirigenza amministrativa, trova una sua importantissi-ma ragion d’essere anche relazione al tema del conferimento dell’incarico: l’organo di governo ha infatti il compito di nominare i di-rigenti apicali, mentre i dirigenti non apicali si vedono adottare il provvedimento di confe-rimento dell’incarico dal dirigente gerarchi-camente sovraordinato.

Sull’importante distinzione di fondo esi-stente tra “dirigenza politica” e “dirigenza amministrativa”, sia in ordine alle procedure di reclutamento (l’una attraverso legittima-zione democratica e l’altra attraverso pubbli-co concorso) sia in ordine alle funzioni, si in-nesta dunque come logica conseguenza la dif-ferenza, prevista all’interno della pubblica amministrazione, per ciò che attiene alle ri-spettive sfere di competenza.

3.Funzioni della dirigenza amministra-

tiva. Al dirigente, nell’esercizio della propria

attività al vertice di un’ufficio della pubblica amministrazione, afferiscono due importanti funzioni: da una parte egli è “organo” della pubblica amministrazione e dall’altra è manager delle risorse interne dell’ammini-strazione stessa.

In altri termini, da una parte egli si trova nella posizione di disporre del potere adottare e porre in essere gli atti a rilevanza esterna della pubblica amministrazione (tipicamente i “provvedimenti”), i quali vengono imputati direttamente alla stessa; dall’altra a lui afferi-scono compiti di gestione manageriale delle risorse umane ed economiche della P.A., nonché dell’aspetto organizzativo interno de-gli uffici.

A questi due diversi ruoli, che compongo-no insieme i due profili della figura del diri-gente, corrispondono anche due diversi regi-

16 C.Cost. Sentt. n. 34 del 2004 e n. 141 del 1999.

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mi giuridici tendenziali dell’attività che egli pone in essere:

- Nella sua qualità di “organo della P.A.”, il dirigente si serve infatti di strumenti di diritto pubblico nella sua attività di produzione degli atti e dei provvedimenti amministrativi.

- Come manager invece, cioè nel suo compito di organizzazione degli uffici e gestione del personale, il dirigente agirà servendosi delle medesime ca-pacità e dei medesimi poteri del priva-to datore di lavoro secondo una disci-plina tipoca di diritto privato.

4. L’incarico dirigenziale: L’incarico dirigenziale nella pubblica am-

ministrazione è inquadrato all’interno di un apposito rapporto di lavoro. In particolare si può distinguere tra due relazioni: da una parte il rapporto di servizio e dall’altro il rapporto d’ufficio.

Il primo corrisponde all’acquisizione della qualifica dirigenziale a seguito di pubblico concorso, al superamento del quale l’aspirante dirigente viene assunto dalla P.A., instaurando con essa il c.d. “rapporto di ser-vizio” . Il rapporto di lavoro che lega i diri-genti alla pubblica amministrazione, a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, è regolata da norme di diritto privato, nel qua-dro del contratto collettivo nazionale: il quale a sua volta prevede un trattamento differen-ziato a seconda del comparto di riferimento.

Va peraltro detto che la scelta del legisla-tore di inquadrare la dirigenza pubblica con regole di diritto privato, ha suscitato impor-tanti perplessità da parte della giurisprudenza amministrativa sotto il profilo della legittimi-tà costituzionale della disciplina. Ciò che su-scitava particolari incertezze era il possibile contrasto col principio costituzionale di im-parzialità, determinato dal fatto che la norma-tiva privatistica prevede “un regime di rece-dibilità caratterizzato dal venir meno del rapporto di fiducia17” . La questione è stata tuttavia chiarita dalla Corte costituzionale la quale ha sancito la legittima applicabilità del-la disciplina privatistica alla dirigenza pubbli-

17 TAR Lazio. Sez. I, Ord. n. 119 del 1996.

ca18 sulla base di due considerazioni di fondo: in primis per i dirigenti amministrativi la Co-stituzione non si esprime imponendo un re-gime pubblicistico (come invece fa per es. per i magistrati), per cui il legislatore è libero di assoggettarli ad una disciplina di stampo pri-vatistico, a condizione che vengano rispettati i principi generali dell’azione amministrativa di efficienza e buon andamento19; in secundis escludendo l’applicabilità alla dirigenza pub-blica dell’istituto del recesso ad nuntum pre-visto ex art. 1373 del codice civile (quindi la possibilità di licenziare il dirigente qualora venga meno il rapporto di fiducia) e ricondu-cendo invece l’ipotesi del licenziamento ad una ipotesi conseguente alla procedura di ac-certamento della responsabilità dirigenziale20.

Non volendo sconfinare nel campo proces-sualistico, val la pena accennare che la mede-sima scelta di assoggettare il dirigente pub-blico alla disciplina privatistica, ha in realtà suscitato anche sul piano processuale un am-pio dibattito tra giurisprudenza ordinaria e giurisprudenza amministrativa in tema di ri-parto di giurisdizione, come conseguenza del-la qualificazione dell’atto di conferimento.

Secondo la giurisprudenza amministrativa infatti, gli atti di conferimento dell’incarico, qualificandosi come provvedimenti ammini-strativi implicherebbero la giurisdizione del G.A.21. Secondo la giurisprudenza ordinaria22 invece, posto che ai sensi dell’art.5, co. 2 del d.lgs n. 165 del 2001 il conferimento dell’incarico viene inquadrato come un atto dalla P.A. “con la capacità e i poteri del pri-vato datore di lavoro”, le relative controver-sie in tema di lavoro sarebbero di competenza del G.O. Questa seconda tesi è oggi dominan-te in giurisprudenza, supportata sul piano del diritto sostanziale dall’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001 il quale fa espressamente rientrare tra le competenze del giudice ordinario: l’intera materia concernente le controversie in

18 C.Cost., Sent. n. 313 del 1996. 19 CASSESE S., op.cit. 20 CASSESE S., op.cit. 21 Corte Conti, Sez. contr., n. 13 del 2001; Tar Lazio, Sez. III, n. 11405 del 2001; Cons.St., Sez. V, n. 1519 del 2001. 22 Cass.civ., SS.UU., n. 6330 del 2012; Cass.civ., n. 14252 del 2005; Cass.civ., s.l., n. 5659 del 2005.

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tema di rapporti di lavoro alle dipendenza dell’amministrazione pubblica ex art.1 com-ma 2 del decreto stesso (comprese le questio-ni relative all’assunzione, al conferimento e alla revoca dell’incarico ecc..).

Accanto al rapporto di servizio, l’ordi-namento prevede poi il momento dell’ “affi-damento dell’incarico dirigenziale” al diri-gente stesso, il quale avviene attraverso un atto di nomina mediante il quale il dirigente viene destinato a gestire uno specifico ufficio. L’instaurazione del rapporto di ufficio ruota dunque attorno al provvedimento di incarico (atto di nomina, il quale ha natura giuridica privata, come ormai quasi tutto nella PA. a seguito dell’opera di c.d. “privatizzazione” avvenuta con il d.lgs. n. 165 del 2001), all’interno del quale devono essere riportate una serie di elementi essenziali: durata dell’incarico dirigenziale (dai 3 ai 5 anni); oggetto dell’incarico dirigenziale (qual è l’ufficio del quale il dirigente avrà la respon-sabilità); quali risorse umane e finanziarie il dirigente avrà il compito di gestire; gli obiet-tivi da conseguire nella doppia veste di orga-no e manager della PA.

L’art. 19 del T.U. n. 165 del 2001 in parti-colare, ha stabilito che il conferimento dell’incarico dirigenziale venga conferito at-traverso un “provvedimento” al quale “acce-de un contratto individuale”.

Al provvedimento di incarico, che è sì un atto di diritto privato ma di tipo unilaterale - provenendo dalla P.A. verso il dirigente - si accompagna dunque un atto bilaterale (un ve-ro e proprio contratto) in cui è definito “l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da con-seguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall’organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto nonché la durata dell’incarico” .

In altre parole dunque l’oggetto ed il trat-tamento economico che verrà riservato al di-rigente in quanto incaricato alla gestione di una specifica struttura, originariamente stabi-liti nel contratto di impiego, viene disciplina-to nel “contratto dirigenziale”. Sotto lo spe-cifico aspetto economico in particolare, il contratto deve prevedere sia il “trattamento

economico fondamentale” (sulla base dei contratti collettivi nazionali) sia il “tratta-mento accessorio” (“collegato al livello di responsabilità attribuito con l’incarico e ai risultati ottenuti dal dirigente, non può essere inferiore al 30% della retribuzione comples-siva e può essere erogato nella misura mas-sima solo ad un numero limitato di dirigenti di ciascuna struttura”23).

Sotto il profilo della durata dell’incarico dirigenziale, pur non essendoci riferimenti al-la durata minima, il d.lgs. 165/2001 impone una durata massima: fino a 5 anni, ridotti a 3 per gli incarichi di dirigenza generale, con ca-rattere di rinnovabilità alla scadenza ma an-che di revocabilità in corso di attività nel caso di motivate difformità rispetto alle direttive dell’organo politico.

Dalla previsione della durata a termine, come ha evidenziato parte della dottrina (Ga-rofoli) “deriva complessivamente un’accen-tuazione dei caratteri (…) di precarietà degli incarichi dirigenziali e di fiduciarietà della nomina dei dirigenti e della loro dipendenza dall’organo di vertice politico, difficilmente compatibili con il principio di netta separa-zione e reciproca autonomia tra indirizzo po-litico e azione amministrativa”24.

Sul rapporto specifico tra potere politico e alta burocrazia è altresì intervenuto nel 2009 il d.lgs n. 150 (c.d. “riforma Brunetta”), il quale ha disciplinato il fenomeno dello spoils system, ovvero la possibilità per il potere po-litico di revocare gli incarichi dirigenziali nel-la pubblica amministrazione.

In riferimento a quest’ultimo, l’elemento che segna la maggiore distinzione rispetto al-la previgente normativa del d.lgs. n. 165 del 2001, è che viene abrogata “la decadenza au-tomatica degli incarichi dirigenziali, in via generale, se attribuiti ai dirigenti non appar-tenenti ai ruoli dell’amministrazione confe-rente o se conferiti a tempo determinato a soggetti esterni”25, prevedendo per l’organo politico la possibilità di prevedere la cessa-zione dall’incarico entro 90 giorni dal “voto di fiducia al governo” ma per i soli incarichi 23 Cit. CASSESE S., op. cit. 24 GAROFOLI R., Diritto amministrativo, Nel Diritto Editore, 2014. 25 Cit. GAROFOLI R., op. cit.

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dirigenziali apicali. In ogni caso, il sistema dello spoils system

non è più solo una esclusiva dell’amministra-zione centrale, essendo ormai cosparso l’ordinamento giuridico di norme che preve-dono l’adozione di tale sistema anche in altre pubbliche amministrazioni: tipicamente que-ste sono le strutture organizzative del SSN (Asl e Aziende ospedaliere) e in generale le amministrazioni regionali.

Ci si è chiesti tuttavia se tale meccanismo godesse delle necessarie coperture costituzio-nali o se invece contrastasse soprattutto con quei principi della Costituzione che impon-gono l’imparzialità ed il giusto procedimento all’interno della pubblica amministrazione. A questo proposito è bene chiarire che la Corte ha sancito (Sent. n. 233/2006) che lo spoil system per gli “incarichi dirigenziali apicali” rappresenta uno strumento di governo della cosa pubblica non solo legittimo, ma addirit-tura incoraggiato dalla Carta costituzionale, in quanto “contribuisce a rafforzare la coe-sione tra l’organo politico e gli organi di ver-tice dell’apparato burocratico” nell’ottica di “consentire il buon andamento dell’attività direzionale dell’ente”. Tale legittimità veniva tuttavia stabilita solo in relazione agli “organi apicali della dirigenza pubblica”, i quali pos-sono dunque essere legittimamente nominati direttamente dall’organo politico e perdurare per tutto il tempo il cui lo stesso ha responsa-bilità di governo. Il riconoscimento in termini così ampi dello spoil system, come risulta dal-la Sentenza sopra citata, è tuttavia stato com-pletato e parzialmente limitato dalla giuri-sprudenza successiva26.

Intervenendo infatti sul tema dello spoil si-stem “una tantum”, cioè applicato in via ec-cezionale e per una sola volta anche a diri-genti non apicali della pubblica amministra-zione, la Corte ha dichiarato illegittimo l’art. 3, co. 7 della l. 145 del 2002 per contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost. in particolare nella parte in cui la normativa disponeva che gli incarichi dirigenziali cessassero allo scadere del sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge, con conseguente possi-

26 In particolare si vedano C.Cost., Sentt. n. 103 e 104 del 2007.

bilità per i dirigenti di esercitare in tale perio-do esclusivamente funzioni di ordinaria am-ministrazione. La conclusione dall’incarico prima del termine stabilito infatti, per non es-sere in contrasto con il principio costituziona-le della continuità amministrativa, può infatti configurarsi soltanto come conseguenza di una responsabilità dirigenziale comprovata e accertata a seguito di apposito procedimento di valutazione del dirigente stesso in regime di contraddittorio, e successivamente dichia-rata con provvedimento.

È comunque contemplata dal nostro ordi-namento giuridico, la possibilità che un diri-gente di ruolo non si veda conferire alcun in-carico dirigenziale. Questo significa che egli non godrà della responsabilità tipica del diri-gente non solo in ordine alla produzione di provvedimenti idonei a impegnare l’ammini-strazione in prima persona (quale “organo” della P.A.), ma anche in ordine alla responsa-bilità diretta di un ufficio e quindi alle risorse (umane, materiali e finanziarie) ad esso affe-renti. Sono questi i casi in cui al dirigente possono essere affidate altre mansioni, di li-vello comunque dirigenziale, giacchè le com-petenze per svolgere adeguatamente le stesse sono comunque di livello tale da richiedere una professionalità di natura dirigenziale. Ci si riferisce in particolare a compiti di tipo i-spettivo, di consulenza, di ricerca o studio, ecc..

5.Criteri per il conferimento dell’inca-

rico: Dalla particolare centralità conferita al

ruolo del dirigente all’interno dell’assetto or-ganizzativo della Pubblica amministrazione italiana - tanto nella sua funzione di “orga-no” della P.A. quanto in nella sua funzione di manager delle risorse affidate alla sua gestio-ne - deriva la profonda importanza riservata alla scelta, la quale deve tenere conto anche delle capacità manageriali “personali” del di-rigente, onde realizzare la scelta sulla base di una valutazione circa il beneficio che la pub-blica amministrazione potrà godere dalla ge-stione dell’incaricato.

Più precisamente, la normativa vigente impone di considerare due ordini di motiva-zioni alla base della nomina. Prima di tutto è

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necessario valutare le capacità professionali del singolo dirigente, in secondo luogo biso-gnerà tener conto dei risultati che il dirigente ha conseguito nell’esercizio di incarichi diri-genziali precedentemente ricoperti. Sulla base di entrambe queste procedure di valutazione, sarà possibile scegliere tra tutti i funzionari assunti nell’ammi-nistrazione con qualifica dirigenziale, il soggetto che dimostri attitudi-ni e capacità professionali più corrispondenti al tipo di incarico.

Diviene cioè centrale nella scelta del diri-gente anche la capacità personale del funzio-nario di ricoprire un ruolo di stampo non più prettamente burocratico, ma sempre più ma-nageriale. Proprio in questa logica la legge conferisce una fondamentale importanza al momento della valutazione del dirigente, la quale deve avvenire apprezzandone le con-dotte gestionali e organizzative, nonché te-nendo conto dei risultati di gestione.

Quanto al legame che, all’atto pratico, è comunque in qualche misura rimasto nei rap-porti tra politica e amministrazione, esso è stato in ultimo ribadito dal d.lgs. n. 150 del 2009 (c.d. “riforma Brunetta”): configurando il rapporto esistente tra l’amministrazione ed il dirigente (quindi tra politica e burocrazia) come di stampo essenzialmente “fiduciario” , anche per ciò che attiene all’atto del conferi-mento dell’incarico e quindi alla revoca dello stesso.

Sempre la riforma Brunetta pone altresì un limite agli incarichi dirigenziali a tempo de-terminato affidabili a soggetti esterni alla PA.

In particolare vengono previsti requisiti più restrittivi, quali il fatto che la particolare qualifica professionale di cui si ha bisogno non dev’essere rinvenibile all’interno della stessa amministrazione, e che le concrete e-sperienze di lavoro addotte a riprova della particolare professionalità del candidato deb-bano essersi protratte per almeno un quin-quennio.

Qualora la PA. dovesse ritenere di rinveni-re tali caratteristiche in capo a uno o più sog-getti determinati, sulle ragioni della scelta dovrà fornire espressa e dettagliata motiva-zione.

Come sopra illustrato, l’incarico dirigen-ziale gode inoltre necessariamente di un limi-

te massimo, che può variare dai 3 ai 5 anni a seconda del tipo di incarico. Esso tuttavia può essere rinnovato a seguito della scadenza ov-vero interrotto durante il suo svolgimento - mediante un provvedimento di “revoca” - nel momento in cui l’amministrazione dovesse rendersi conto che il dirigente sta operando in modo difforme rispetto alle direttive ed alle linee-guida impartite dall’organo di indirizzo politico.

Sotto il profilo funzionale, gli incarichi di-rigenziali possono schematicamente essere distinti in tre categorie: dirigenza di strutture sovraordinate rispetto agli uffici dirigenziali generali (come possono essere il segretario generale e i capi dei dipartimenti dei vari mi-nisteri), dirigenza di uffici dirigenziali gene-rali (come possono essere le direzioni genera-li dei vari ministeri) e dirigenza di uffici diri-genziali non generali. I dirigenti invece pos-sono essere distinti in “prima fascia” e “se-conda fascia”: ai primi “può essere conferito qualsiasi tipo di incarico”, mentre ai secondi “possono essere conferiti solo incarichi del livello più basso e, in una percentuale limita-ta, quelli del livello intermedio, il cui svolgi-mento per oltre tre anni senza incorrere in ipotesi di responsabilità dirigenziale, com-porta, la promozione alla prima fascia”27. Come precedentemente illustrato inoltre, una parte degli incarichi possono essere conferiti a soggetti estranei alla P.A. attraverso un con-tratto a tempo determinato di diritto privato, ovvero a dirigenti presso altre pubbliche am-ministrazioni o di organi costituzionali collo-cati in fuori ruolo.28

In ultimo è bene precisare che la distinzio-ne tra le competenze dell’organo di indirizzo politico e quelle della dirigenza amministrati-va, viene definito anche alla luce del confe-rimento dell’incarico: infatti l’organo di go-verno ha il compito di nominare i dirigenti apicali (con i quali è ragionevole pensare debba esserci un rapporto di fiducia, dettato dal fatto che ad essi spetta tradurre i pro-grammi di governo e le scelte fondamentali di politica pubblica in concreta programmazione strategica), mentre i dirigenti non apicali si

27 CASSESE S., op. cit. 28 CASSESE S., op. cit.

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vedono conferire l’incarico mediante provve-dimento di nomina adottato dal dirigente ge-rarchicamente sovraordinato.

Tipico esempio di tale meccanismo - vo-lendo per una volta assumere come riferimen-to non una amministrazione centrale bensì una locale - avviene nel Servizio sanitario na-zionale. Ai sensi del d.lgs n. 502 del 1992 in-fatti, sono le giunte regionali a nominare i Di-rettori generali di Asl e Aziende ospedalie-re29.

I dirigenti non apicali invece, a cominciare dai diretti collaboratori del DG (Direttore amministrativo e Direttore sanitario), fino al Direttore del dipartimento di prevenzione ed ai Direttori dei distretti sanitari di base ven-gono nominati a loro volta dal direttore gene-rale, il quale li sceglie tra i funzionari appar-tenenti alla dirigenza amministrativa o sanita-ria, che abbiano almeno cinque anni di anzia-nità di funzione ovvero comprovate esperien-ze formative-professionali che ne testimonino le capacità manageriali.

Mentre dunque questi rispondono alla di-rezione aziendale del perseguimento degli o-biettivi aziendali, dell'assetto organizzativo e della gestione, in relazione alle risorse asse-gnate, il Direttore Generale risponde invece a sua volta direttamente all’organo di indirizzo politico. A questo proposito, stabiliscono i commi 5 e 6 del d.lgs n. 502 del 1992 che le regioni determinino preventivamente, in via generale, i criteri di valutazione dell'attività dei direttori generali, per ciò che concerne il raggiungimento degli obiettivi definiti nel quadro della programmazione regionale, fa-cendo particolare riferimento ai canoni della efficienza, efficacia e funzionalità dei servizi sanitari. All'atto della nomina di ciascun di-rettore generale, sono dunque proprio le Re-gioni a dover definire e assegnare, aggiornan-doli periodicamente, gli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi, con riferimento 29 Ex art. 3 bis del d.lgs. n. 502 del 1992, scegliendo tra gli aspiranti in possesso di diploma di laurea, nonché adeguata formazione manageriale specifica ed esperienza almeno quinquennale di direzione tecnica o amministrativa in enti, aziende, strutture pubbliche o private, in posizione dirigenziale con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie, svolta nei dieci anni precedenti la pubblicazione dell'avviso.

alle relative risorse, ferma restando la piena autonomia gestionale dei direttori stessi. Il monitoraggio del Direttore generale da parte dell’organo politico, viene altresì garantito dal meccanismo per cui, entro 18 mesi dalla nomina di ciascun direttore generale, la re-gione ne verifica i risultati, e sulla base di essi procede o meno alla conferma entro i tre mesi successivi alla scadenza del termine.

È bene concludere il riferimento all’amministrazione sanitaria, con un colle-gamento più ampio rispetto al tema dello spoil system.

La più recente giurisprudenza costituzio-nale (Sent. 104 del 2007), ha infatti dichiarato costituzionalmente illegittimo il combinato normativo scaturente dallo Statuto regionale del Lazio e da una legge regionale in materia sanitaria (esistente anche nella Regione Sici-lia), secondo i quali veniva prevista la deca-denza automatica dei Direttori generali delle Asl - a prescindere dalla scadenza del manda-to - entro il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio regionale, a meno che l’organo politico incaricato della nomina non ne confermasse l’incarico. Veni-va così ribadito il principio per cui l’organo amministrativo di vertice di una P.A., benchè di nomina politica, dovesse in ogni caso con-siderarsi al servizio esclusivo della Nazione in virtù dell’art. 98 Cost., senza compromette-re il “perseguimento degli interessi genera-li” 30 in quanto asservito a meglio tutelare una specifica parte politica.31

Nel 2012, la legge n. 190 (c.d. “legge an-ticorruzione”) ha conferito una delega al go-verno in tema di riordino di incompatibilità e non conferibilità di incarichi dirigenziali in nome di un’azione preventiva di fenomeni di corruzione.

Dall’esame della legge delega emerge l’assunto per cui il principio di imparzialità “non può più essere un carattere del solo atto amministrativo, né un carattere genericamen-te riferito all’intera amministrazione, ma de-ve essere garantito anche in capo ai titolari di incarichi dirigenziali”32. La normativa viene così organizzata attorno al rischio, an- 30 C.Cost., Sent. n. 275 del 2001. 31 CARINGELLA F., op. cit. 32 GAROFOLI R., op. cit.

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che solo potenziale, che vi sia un “conflitto d’interesse” tra la posizione ricoperta nel passato o nel presente dal dirigente e l’amministrazione stessa.

Da una parte viene infatti prevista l’impossibilità di conferire incarichi dirigen-ziali a soggetti che in passato abbiano svolto attività presso soggetti regolati o finanziati dalla P.A. di interesse, ovvero abbiano rico-perto presso la stessa P.A. incarichi pubblici elettivi, o ancora riportato condanne per reati contro la P.A.; dall’altra viene sancita l’incompatibilità tra il ruolo dirigenziale e al-tri incarichi detenuti che possano configurare un conflitto d’interesse.

6.Cenni sulla la responsabilità dirigen-

ziale: I dirigenti, nella loro duplice veste di or-

gano e di manager della pubblica ammini-strazione, sono responsabili esclusivi dell’attività e della gestione della stessa. Essi cioè rispondono personalmente dei risultati della loro attività, in base degli obiettivi che per tale attività erano stati fissati, sulla base di una particolare forma di responsabilità: la “responsabilità dirigenziale”.

Questa si configura come “ulteriore e ag-giuntiva rispetto alle ordinarie forme di re-sponsabilità dei pubblici dipendenti e non sorge dalla violazione di canoni normativi di comportamento, ma si ricollega ai risultati complessivamente prodotti dall’organizzazione cui il dirigente è prepo-sto, implicando, in caso di giudizio negativo, più che una l del dirigente, una inidoneità al-la funzione”33. La responsabilità dirigenziale dunque rappresenta una vera e propria auto-noma fattispecie rispetto ad altre forme di re-sponsabilità, soprattutto in quanto non mira ad applicare misure di tipo afflittivo o sanzio-natorio al dirigente sulla base della rilevazio-ne di specifiche condotte illecite o colpose dello stesso, bensì a risolvere situazioni di malfunzionamento della pubblica ammini-strazione determinati da incapacità o comun-que scarsi risultati conseguiti dal dirigente ad essa preposto. Sotto il profilo prettamente giuridico, essa è così configurata dalla giuri-

33 CARINGELLA F., op. cit.

sprudenza come una forma di “responsabilità oggettiva”.

Quanto agli elementi su cui di fonda la re-sponsabilità dirigenziali, questi erano origina-riamente tre, essendovi compresi anche i ri-sultati negativi dell’attività svolta. Questi tut-tavia, a seguito della l. n. 145 del 2002, sono stati eliminato come causa si responsabilità dirigenziale, rimanendovi pertanto solo: da una parte il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati dall’organo di indirizzo politi-co, e dall’altro l’inosservanza delle direttive impartite dallo stesso. Il dirigente che in rife-rimento a questi elementi si sia rivelato ina-dempiente, può dunque andare incontro (se-condo la gravità dei casi) a tre esiti fonda-mentali: il mancato rinnovo dell’incarico di-rigenziale, la revoca in corso di attività rispet-to all’incarico ricoperto, nei casi più gravi addirittura il recesso dal rapporto di lavoro.

- L’impossibiltà di vedersi rinnovato lo stesso incarico. Essere dirigenti nell’amministrazione pubblica, vuol dire rispondere personalmente dei ri-sultati della propria attività. Per cui il cattivo risultato di gestione e o l’inosservanza delle direttive degli or-gani di indirizzo politico si riflettono direttamente sulla carriera professio-nale del dirigente. Essendo inoltre l’incarico dirigenziale necessariamen-te “a termine” , una responsabilità a carico del dirigente in ordine al man-cato rispetto delle direttive o al man-cato raggiungimento degli obiettivi, può produrre come conseguenza il mancato rinnovo dell’incarico in capo al dirigente stesso.

A questo proposito, sviluppando un ragio-namento più ampio in ordine alla temporanei-tà dell’incarico, si è lungamente ritenuto che il rapporto d’ufficio si estinguesse automati-camente alla scadenza dell’incarico. Da qui la superfluità di ogni esplicitazione o motiva-zione da parte dell’organo politico ovvero dell’organo amministrativamente sovraordi-nato (nel caso di dirigenti non apicali) in or-dine alla decisione di non confermare l’incarico al dirigente.

Su questa materia è tuttavia intervenuto nel 2009 il legislatore, il quale ha stabilito che

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anche le decisioni riguardanti il mancato rin-novamento dell’incarico - esattamente come quelle di revoca prima della scadenza natura-le – debbano essere esplicitamente previste e corredate da apposita motivazione.

- Revoca dell’incarico in corso. Se le mancanze del dirigente sono tali da creare vistose difformità rispetto alle direttive impartite dall’organo di indi-rizzo politico, l’incarico può essere revocato anche prima della scadenza, mediante un provvedimento espresso e motivato. Il provvedimento di revo-ca dunque, basato su una (o su en-trambe) le motivazioni su cui si fonda la “responsabilità dirigenziale”, rap-presenta l’elemento conclusivo di un procedimento di accertamento in or-dine alle responsabilità del dirigente, che deve essere svolto in regime di contraddittorio con lo stesso dirigente oggetto di valutazione.

- Recesso dal rapporto di lavoro (licen-ziamento): quando il mancato rag-giungimento degli obiettivi e l’inosservanza delle direttive dell’or-gano di indirizzo politico risultino es-sere particolarmente gravi e reiterati nel tempo, il procedimento all’interno del quale tali responsabilità devono essere verificate (in regime di con-traddittorio) possono anche produrre un provvedimento finale mediante il quale l’amministrazione decide di re-cedere dal rapporto di lavoro con il proprio dipendente-dirigente.

Alla responsabilità dirigenziale così come

sopra delineata, il d.lgs n. 150 del 2009 (c.d. “Riforma Brunetta”) ha aggiunto ulteriori fattispecie. Tra le principali è possibile ricor-dare quelle connesse al mancato rispetto dei dirigenti dei loro nuovi compiti in materia di gestione e controllo del personale; alla man-cata predisposizione di sistemi di misurazio-ne, valutazione e trasparenza delle perfor-mance; nonché la scarsa vigilanza sul rispetto del personale degli standard qualitativi e quantitativi fissati dalla P.A.34 Oltre a ciò

34 GAROFOLI R., op. cit.

vengono previste una “responsabilità disci-plinare in senso stretto” (qualora il dirigente non abbia collaborato alla predisposizione dell’istruttoria in riferimento ad un procedi-mento disciplinare a carico di un dipendente ovvero abbia determinato la decadenza dell’azione disciplinare) ed una “responsabili-tà erariale” in merito alla mancata individua-zione di eccedenze di personale.35

Oltre a questo, la l. n. 59 del 2009 ha altre-sì previsto all’art. 236 che “la mancata o tar-diva emanazione del provvedimento costitui-sce elemento di valutazione della performan-ce individuale, nonché di responsabilità di-sciplinare e amministrativo-contabile del di-rigente e del funzionario inadempiente”. In questo modo il legislatore ha inteso conferire una maggiore tutela ai cittadini contro i ritardi della pubblica amministrazione, facendo del rispetto dei termini un chiaro elemento di va-lutazione di funzionari e dirigenti della P.A.

Val la pena concludere la presente tratta-zione facendo presente che anche il dirigente, essendo comunque un pubblico dipendente, può incorrere nella responsabilità extra-contrattuale tipicamente prevista dall’art. 28 della Costituzione italiana nel caso in cui ca-gioni un danno a un terzo. Tale articolo, pre-vedendo che “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in viola-zione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubbli-ci” , dà luogo a una costruzione giuridica in virtù della quale la P.A. assume direttamente su di sé la responsabilità per il fatto lesivo po-sto in essere dai propri funzionari e/o dirigen-ti a condizione che sussistano due elementi: da un lato il “nesso di causalità” tra la con-dotta del dipendente e l’evento dannoso; dall’altro che la condotta posta in essere dal dipendente medesimo rappresenti il fine isti-tuzionale della stessa attività della pubblica amministrazione. In assenza di uno di questi due elementi, viene meno il “rapporto orga-nico” tra amministrazione e dipendente, con la conseguenza che il dipendente avrà agito

35 GAROFOLI R., op. cit. 36 Così come modificato dalla L. n. 69 del 2009.

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nella sua qualità di privato cittadino e come tale sarà chiamato ad assumersi in prima per-sona la responsabilità giuridica delle proprie azioni, senza alcuno schermo da parte dell’amministrazione di appartenenza.

7.Conclusioni e prospettive future per la

dirigenza amministrativa pubblica. Il dirigente viene dunque inquadrato

nell’ordinamento italiano vigente come il ve-ro centro propulsivo dell’attività amministra-tiva. Egli non è più in alcun modo mero ese-cutore di ordini impartiti dall’organo di indi-rizzo politico (sopra si è detto circa la separa-tezza che deve esserci tra politica e ammini-strazione) ma, nell’ambito delle direttive ge-nerali fornite da questo, esplica le proprie funzioni sviluppando scelte dirigenziali nell’ambito delle due sfere fondamentali che afferiscono ad esso: quale “organo” dell’amministrazione pone in essere gli atti che rilevano all’esterno della P.A. e impe-gnano direttamente la stessa; quale manager delle risorse economiche, finanziarie e umane a lui affidate compie le scelte gestionali e or-ganizzative più appropriate in un’ottica di ef-ficacia, efficienza ed economicità. Da tale centralità deriva la particolare attenzione ri-servata sia dal legislatore sia dalla giurispru-denza nel definire da un lato le caratteristiche personali e professionali che deve possedere il soggetto potenzialmente destinatario di conferimento di incarico dirigenziale - onde restringere evidentemente gli spazi di discre-zionalità dell’organo incaricato della nomina - e dall’altro a stigmatizzare una chiara di-stinzione delle sfere di competenza proprie dell’organo di gestione amministrativa rispet-to a quelle proprie dell’organo di indirizzo politico. Come ulteriore conseguenza della centralità del dirigente all’interno della pub-blica amministrazione, deriva a sua volta la responsabilità esclusiva dello stesso per le at-tività e le operazioni di gestione poste in esse-re durante il suo incarico. Il dirigente rispon-de infatti personalmente dei risultati della propria operosità, sulla base della risponden-za nei confronti degli obiettivi fissati dall’organo di indirizzo politico. È questo dunque l’ambito di applicazione di quella particolare forma di responsabilità denomina-

ta “responsabilità dirigenziale” - la quale è configurata dalla dottrina come una forma di “responsabilità oggettiva” e che si aggiunge alla ordinaria responsabilità extra-contrattuale dei pubblici funzionari ex art. 28 Cost. - il cui scopo non è quello di infliggere misure di ti-po afflittivo-sanzionatorio sulla base della in-dividuazione di specifiche condotte illecite o colpose, bensì risolvere situazioni di malfun-zionamento gestionale-organizzativo deter-minate dall’inadeguatezza all’incarico da par-te del dirigente preposto.

Nel quadro di una sempre maggiore neces-sità di adeguare le strutture amministrative pubbliche alle esigenze di dinamismo e cele-rità richieste dai circuiti economici e finanzia-ri, c’è da aspettarsi per il futuro un rafforza-mento sempre maggiore del ruolo di centrali-tà della dirigenza amministrativa. La natura “ibrida” del dirigente, quale esperto del dirit-to e del management pubblico, lo pone infatti nelle condizioni migliori per essere il cardine di un’opera di efficientamento della pubblica amministrazione.

Al dirigente saranno richieste competenze e conoscenze sempre più raffinate in ordine agli strumenti giuridici, così da essere in gra-do di realizzare procedimenti amministrativi perfetti sul piano legale e perciò idonei a pro-durre provvedimenti giuridicamente inattac-cabili. Non esiste infatti maggior anti-economicità dell’azione amministrativa e peggiore incapacità di incidere sulla realtà nel senso auspicato dagli operatori economici, di quella che deriva da procedure o atti giuridi-camente mal predisposti, da cui deriva nor-malmente la necessità di dover riproporre un nuovo procedimento per poi addivenire a un nuovo provvedimento. D’altra parte è tuttavia innegabile che il dirigente, abbandonando con sempre maggior evidenza un profilo pretta-mente burocratico a vantaggio di una più mo-derna e dinamica marcatura dirigenziale-amministrativa, dev’essere in grado di com-pletare le elevate competenze giuridiche di cui deve disporre come “organo” , con capa-cità manageriali di gestione della macchina pubblica (in termini di organizzazione e ge-stione delle risorse umane ed economico-finanziarie).

La gestione manageriale della cosa pubbli-

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ca mostra infatti peculiarità proprie rispetto al modello dell’azienda privata, determinate da due ordini di ragioni prioritarie:

- in primis le pubbliche amministrazioni sono assoggettate a controlli di tipo pubblicistico evidentemente estranei all’impresa privata: il controllo della Corte dei conti ai fini di tutela della finanza pubblica, la giurisdizione del giudice amministrativo sul piano dell’attività, il principio di pubblicità e quello di trasparenza con le conse-guenze applicative per es. in termini di diritto di accesso agli atti ex art. 22 della l. 241/1990, ecc.. in relazione ai quali assume sempre maggiore impor-tanza la necessità di una dirigenza al-tamente qualificata.

Ai sensi della l. 14.1.1994 n. 20 e succes-sive modifiche infatti, la Corte dei conti è chiamata a verificare “la legittimità e la rego-larità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministra-zione. Accerta, anche in base all’esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi sta-biliti dalla legge valutando comparativamen-te costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa”. La Corte dei conti può sottoporre al controllo sulla gestio-ne le amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 29 del 1993.

Queste sono: le amministrazioni dello Sta-to, compresi gli istituti e le scuole di ogni or-dine e grado e le istituzioni educative, le a-ziende ed amministrazioni dello Stato ad or-dinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane e loro consor-zi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, tutti gli en-ti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, le ge-stioni fuori bilancio ed i fondi di provenienza comunitaria.

La predisposizione di un controllo giuri-sdizionale sull’attività amministrativa, in os-sequio al principio di legalità di cui agli artt. 24, 97 e 113 Cost., conferma inoltre - insieme alla normativa in tema di trasparenza - la ne-cessità di una dirigenza sempre più capace di

conformare l’attività amministrativa ai para-metri di legge.

Il tema dell’accesso agli atti della P.A. in-fatti, che l’ordinamento giuridico prevede per offrire tutela al cittadino che abbia un interes-se personale e concreto in nome di una giusta esigenza di trasparenza ed imparzialità all’interno della P.A., chiama in causa sempre di più l’esigenza di una fine preparazione giu-ridica della dirigenza pubblica, tale da riusci-re ad apprezzare quale sia e quale non sia un “un interesse diretto, concreto, attuale e dif-ferenziato all'accesso” onde evitare di incor-rere in abusi, con conseguenze potenzialmen-te lesive per la P.A. sul piano giudiziario e quindi su quello economico.

- in secundis, differenza fondamentale tra un’azienda privata e un ente am-ministrativo è marcata dallo sforzo che il secondo (a differenza della pri-ma) deve profondere in termini di ge-stione economica nel conseguire non un “utile di bilancio” , bensì un equi-librio tra entrate e uscite37 (un saldo zero) posto che gli enti e le ammini-strazioni pubbliche in generale sono chiamate soprattutto a produrre benes-sere dei consociati in termini di buona amministrazione e celerità nelle deci-sioni.

Questo ragionamento può trovare più faci-le evidenza prendendo ancora una volta come termine di paragone il mondo della sanità. Ri-sulterebbe infatti bizzarro imporre al SSN standard operativi tendenti a produrre un utile di bilancio, secondo la tipica economia azien-dale. L’utile che le Asl e le Aziende ospeda-liere sono chiamate a realizzare non è infatti di tipo economico-finanziario, bensì “socia-le” : esso consiste in una migliore assistenza alla persona in termini di benessere, determi-nato dall’azione congiunta della prevenzione sul territorio e della diagnosi-cura nei noso-comi in caso di insorgenza di patologie, non-

37 In ultimo l’art. 2 della Legge costituzionale n. 1 del 2012, ha peraltro introdotto nella stessa Costituzione italiana un ulteriore comma, ai sensi del quale “le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.

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ché nell’assistenza prolungata in caso di ma-lattie coniche e assistenza all’invecchiamento (sempre più importante dato il saldo demo-grafico negativo dell’Italia).

In questo quadro dunque la centralità del dirigente pubblico, nella sua duplice veste da un lato di esperto delle strutture legali che so-vraintendono alla conduzione e al controllo pubblicistico dell’attività amministrativa, dal-

l’altro di manager di risorse scarse, acquisi-sce nuova forza in prospettiva futura, nell’ottica dello sforzo di economizzare tempi e risorse, senza affievolire l’efficacia del ser-vizio pubblico, ma organizzando gli operatori (nel caso della sanità personale medico, para-medico, tecnico e amministrativo) e gli inve-stimenti secondo il rapporto migliore possibi-le tra onere economico ed utilità sociale.

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Gazzetta Amministrativa -218- Numero 1 - 2015

GIURISPRUDENZA Consiglio di Stato Sez. VI 3.3.2015, n. 1036 Giudizio di ottemperanza - ricorso proposto per ottenere chiarimenti sulle modalità di ottemperenza. Giudizio di ottemperanza: il ricorso proposto per ottenere chiarimenti sulle modalità di ot-temperanzaIn linea principale e di principio il ricorso di cui al co. 5 dell’art. 112 c.p.a. pro-posto al fine di “ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza”, pur inserito nell’ambito del giudizio di ottemperanza ha sue precise caratteristiche e peculiarità (CdS, IV 17.12.2012 n. 6468). Siamo più propriamente di fronte all’ipotesi in cui non si insorge contro la volontà di non ottemperare né contro una in-tervenuta violazione o elusione del giudicato, ma in cui si chiede al giudice che ha pronun-ciato una precedente sentenza i chiarimenti di punti del decisum che presentano elementi di dubbio o di non immediata chiarezza e quello testé indicato è il perimetro di giudizio entro il quale va definita l’azione giurisdizionale qui proposta dagli interessati senza che possano introdursi ragioni di doglianze volte a modifi-care e/o solo integrare il proprium delle statui-zioni rese con la decisione di merito.. Consiglio di Stato Sez. VI 2.3.2015, n. 1010 Avvocati - delibera di cancellazione di un avvocato dalle liste dei difensori d’ufficio - Consiglio Nazionale Forense. In base al combinato disposto di cui agli artico-li 15 e 36 l. 31.12.2012, n. 247 (Nuova discipli-na dell´ordinamento della professione forense), secondo cui il Consiglio Nazionale Forense (CNF) ha competenza giurisdizionale sui re-clami in materia di albi, elenchi e registri, la controversia proposta contro la delibera, adot-tata da un COA, di cancellazione di un avvoca-to dalle liste dei difensori d’ufficio è devoluta alla giurisdizione speciale del medesimo CNF. È questo il principio sancito dalla Sesta Sezio-ne del Consiglio di Stato nella sentenza del 2 marzo 2015 nella quale il Collegio ha eviden-

ziato che alla stessa conclusione deve giungersi anche nel caso in cui, come nella specie, trovi applicazione la legge professionale previgente (v., in particolare, gli art. 24 e 37 r.d.l. 27.11.1933, n. 1578; 3, 10 e 14 r. d. 22.1.1934, n. 37, sulle pronunce di competenza del CNF sui ricorsi in materia anche di cancellazione dall’albo degli avvocati e dal registro dei pra-ticanti), spettando ai COA la tenuta di albi ed elenchi e quindi, in modo simmetrico, al CNF la giurisdizione speciale nella materia delle i-scrizioni e delle cancellazioni da albi ed elen-chi degli avvocati in maniera tale da dare coe-renza al sistema della competenza giurisdizio-nale speciale professionale generalizzata in materia dello stesso CNF.L’art. 36 l. n. 247 del 2012 non ha apportato alcuna modifica al si-stema in punto di giurisdizione, nel senso che le controversie come quella in esame continuano a essere devolute alla giurisdizione speciale del CNF, viceversa, il mantenimento, in relazione al segmento di attività dei COA relativo alla tenuta e alla gestione delle liste dei difensori d’ufficio del Tribunale, di una competenza giu-risdizionale amministrativa a questo punto “re-siduale” sulle questioni relative alla cancella-zione o al diniego di iscrizione nelle liste sud-dette si manifesterebbe come disomogeneo e in-coerente rispetto al sistema generale come so-pra delineato venendosi a creare un irrazionale “frazionamento di tutela giurisdizionale” entro una medesima materia. Il CNF aveva ed ha una “cognizione generalizzata” in materia di tenuta e gestione di albi elenchi e registri. Consiglio di Stato Sez. IV 12.2.2015, n. 754 Avanzamento di Militari - elevato grado di discrezionalità delle valutazioni compiute dall’Amministrazione sulla carriera degli ufficiali scrutinandi - ammissibilità sindacato del giudice solo per manifesta abnormità, discriminatorietà o travisamento dei presupposti di fatto. Nel giudizio in esame veniva impugnata la

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Gazzetta Amministrativa -219- Numero 1 - 2015

mancata iscrizione nel quadro d´avanzamento al grado superiore. Il Consiglio di Stato con la sentenza del 12.2.2015 ha premesso che:- da un lato, costituisce orientamento consolidato di questo Consiglio di Stato che dall’elevato gra-do di discrezionalità che connota le valutazioni compiute dall’Amministrazione sulla carriera degli ufficiali scrutinandi (le quali, comportan-do un attento apprezzamento delle capacità e delle attitudini proprie della vita militare dimo-strate in concreto, impingono direttamente nel merito dell’azione amministrativa) discende l’ammissibilità del sindacato giurisdizionale solo entro i limiti dei vizi di manifesta abnormi-tà, discriminatorietà o travisamento dei pre-supposti di fatto, non essendo in questo caso il giudice amministrativo munito di cognizione di merito (cfr. CdS, IV, 19.2.2010, n. 999; sez. IV, 19.2.2010, n. 1000 ; sez. IV, 31.12.2009, n. 9293; sez. IV, 28.12.2005, nr. 7427; id., 14.2.2005, nr. 440; id., 14.12.2004, nr. 7949; id., 27.4.2004, nr. 2559; id., 17.12.2003, nr. 8278; id., 18.10.2002, nr. 5741; id., 30.7.2002, nr. 4074; id., 3.5.2001, nr. 2489); - dall’altro lato, è ugualmente acquisito il criterio di giudi-zio, secondo il quale sono apprezzabili quelle palesi disfunzioni dell’esercizio del potere valu-tativo, in presenza delle quali il vizio della va-lutazione di merito trasmoda in eccesso di po-tere per manifesta irrazionalità in cui si esterna il cattivo esercizio del potere amministrativo, sì da far ritenere che i punteggi siano frutto di er-rori ovvero il risultato di criteri impropri, non atti alla selezione - trasparente, oggettiva ed imparziale - degli ufficiali più idonei alle fun-zioni del grado superiore da conferire (CdS, IV, 24.12.2009, n. 8758).Su quest’ultimo punto la Sezione ha avuto modo di precisare, dopo un’ampia ricostruzione del quadro normativo regolante la materia dell’avanzamento degli ufficiali delle FF. AA., che, seppure, in applica-zione del principio di discrezionalità, si ritiene di norma precluso al giudice amministrativo di valutare l’importanza degli incarichi rivestiti dagli ufficiali, al fine di giustificare un diverso giudizio dei candidati oggetto dello scrutinio, in quanto lo stesso giudice deve basare il suo esame sulle risultanze della documentazione caratteristica senza passare ad apprezzamenti di merito riservati all’Amministrazione (CdS, IV, 31.3.2009, n. 1901; id., n. 3339/2008 ), sif-

fatto orientamento non deve tradursi in una ri-nuncia all’esercizio del sindacato giurisdizio-nale ed in una presa d’atto di un’area di immu-nità riservata all’amministrazione. In buona sostanza, il principio della tendenziale insinda-cabilità della discrezionalità tecnica va appli-cato con grande cautela ai singoli casi, per evi-tare che quella discrezionalità si trasformi in abuso nell’esercizio del potere. Il principio di discrezionalità, infatti, non com-porta l’attribuzione alla Commissione superio-re di avanzamento di un potere insindacabile e di puro arbitrio o, comunque, esclusivo ed er-metico, atteso che i principi giurisprudenziali seguiti dal giudice amministrativo non tendono affatto a prefigurare la intangibilità dei giudizi in questione, bensì a precisare i limiti del pro-prio sindacato, segnati dalla necessità di ri-spettare la linea che comunque separa il giudi-zio di legittimità dalla valutazione di merito, squisitamente discrezionale, demandata in via esclusiva all’apprezzamento del competente or-gano valutatore (Cons. St., sez. IV, 10 dicembre 2009 , n. 7736; cfr. anche sez. IV, 17 dicembre 2008, n. 6248). Consiglio di Stato Sez. IV 12.2.2015, n. 742 Giudizio sul silenzio - giudice amministrati-vo non può andare di regola andare oltre la declaratoria di illegittimità dell´inerzia e l´ordine di provvedere. Trattandosi di un giudizio su silenzio, il Consiglio di Stato nella sentenza del 12.2.2015 ha premesso che l´obbligo giuridico di provvedere - ai sensi dell´art. 2 della l. 7.8.1990, n. 241, come modificato dall’art. 7 della l. 18.6.2009, n. 69 - sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l´adozione di un provvedimento e quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell´Amministrazione (cfr. CdS, V, 3.6.2010, n. 3487).Nei giudizi di tale natura, il giudice amministrativo non di regola può andare oltre la declaratoria di illegittimità dell´inerzia e l´ordine di provvedere; gli resta precluso il potere di accertare direttamente la fondatezza

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Gazzetta Amministrativa -220- Numero 1 - 2015

della pretesa fatta valere dal richiedente, sostituendosi all´Amministrazione stessa. Le disposizioni relative, ove interpretate diver-samente, attribuirebbero illegittimamente, in modo indiscriminato, una giurisdizione di merito (cfr. CdS, IV, 24.5.2010, n. 3270). Tuttavia, nell´ambito del giudizio sul silenzio, il giudice potrà conoscere dell’accoglibilità dell´istanza: a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti ammi-

nistrativi dovuti o vincolati in cui non c´è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni e fermo restando il limite della impossibilità di sostituirsi all´Amministrazione; b) nell´ipotesi in cui l´istanza sia mani-festamente infondata, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere laddove l´atto espresso non potrebbe che essere di rigetto (cfr. CdS, IV, 12.3.2010, n. 1468).

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Onere di pagamento del contributo unificato in caso di soccombenza reciproca nel giudi-zio. Parere 12/02/2015-70211, al 39157/14, Avv. Alessandro De Stefano. RISPOSTA 1. Con la nota in riferimento codesta Ammi-nistrazione chiede il parere di questa Avvoca-tura sulla imputazione dell’onere di paga-mento del contributo unificato di cui all’art. 13, co. 6 bis, del d.P.R. n. 115 del 2002 (in-trodotto dall’art. 21, co. 4, d.l. 4.7.2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla l. 4.8.2006, n. 248, e più volte modifica-to con leggi successive), nell’ipotesi di soc-combenza reciproca o parziale nel giudizio. 2. Sulla questione questa Avvocatura si è già espressa con parere del 10.5.2013, prot. 204029, reso su audizione del Comitato Con-sultivo ed allegato in copia. In tale parere si è sostenuto che il contributo deve essere posto “a carico della o delle par-ti soccombenti nei limiti della loro soccom-benza ”; da ciò consegue che, se le parti de-vono ritenersi soccombenti in parti uguali, l’onere del contributo deve essere diviso per metà. 3. Sul tema si è recentemente pronunciato il Consiglio di Stato con sentenza del 3.2.2014, n. 473, secondo cui in sede di ottemperanza al giudicato il giudice amministrativo non può disporre il rimborso del contributo anti-cipato dalla parte che sia risultata parzial-mente vittoriosa, in quanto “il contributo in questione è oggetto di una obbligazione ex

lege sottratta alla potestà del giudice, sia quanto alla possibilità di disporne la com-pensazione, sia quanto alla determinazione del suo ammontare”. 4. In senso opposto si è invece pronunciato il Tar Basilicata con sentenza del 23 gennaio-28 febbraio 2013, n. 105, che - richiamando giurisprudenza del Consiglio di Stato asseri-tamente prevalente (Cons. Stato, sentenze nn. 4596/11 e 1657/11) - ha affermato che “il predetto art. 13, comma 6 bis, d.P.R. n. 115/2002 va interpretato nel senso che il rimborso del Contributo Unificato va corri-sposto al ricorrente ogni volta che questi ri-sulti vittorioso ed è comunque dovuto a pre-scindere indipendentemente da come il Giu-dice disponga in ordine alle spese, essendo lo stesso connesso esclusivamente al verificarsi della situazione di fatto rappresentata dall’accoglimento del ricorso”. Da ciò consegue che “in caso di accoglimen-to parziale del ricorso, la parte resistente soccombente va condannata [in sede di ot-temperanza: n.d.r.] al pagamento del Contri-buto Unificato”. 5. Le richiamate sentenze del Consiglio di Stato nn. 4596/11 e 1657/11, a propria volta, non affrontano in realtà il problema del ri-parto delle spese in caso di soccombenza re-ciproca o parziale, ma si limitano ad affer-mare che in sede di ottemperanza il giudice amministrativo può condannare la parte soc- combente al pagamento - oltre che delle spe-se di lite e degli accessori (IVA, della CPA, spese generali) - anche del contributo unifi-cato.

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6. L’analisi della giurisprudenza citata indu-ce dunque a ritenere che il recupero del con-tributo da parte del soggetto vittorioso (in tutto o in parte) rientra tra gli effetti del giu-dicato ed è soggetto, come tale, alla cogni-zione del giudice amministrativo in sede di ottemperanza. 7. Nel caso di soccombenza parziale o reci-proca, peraltro, sussistono orientamenti di-vergenti: la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 473/14 nega il diritto al rimborso a favore di colui che abbia anticipato il paga-mento del contributo, mentre il Tar Basilicata lo ammette in ogni caso in misura intera. Entrambe queste pronunce appaiono peraltro alquanto sommarie: la prima si limita a rile-vare che il diritto al rimborso non può di-scendere dalla mera com- pensazione delle spese, e non esamina “ex professo” la disci-plina relativa alla rivalsa, che è contenuta nell’art. 13, comma 6 bis 1, del citato d.p.r. n. 115 del 2006; la seconda non appare adegua-tamente motivata, perché si richiama a giuri-sprudenza prevalente del Consiglio di Stato, che in realtà si limita ad esaminare gli aspetti di ordine processuale, e non quelli di caratte-re sostanziale. 8. Queste oscillazioni giurisprudenziali han-no indotto questa Avvocatura a riesaminare la questione, al fine di verificare la correttez-za delle conclusioni a suo tempo raggiunte con la consultazione innanzi citata. A seguito di un attento esame, si ritiene di dover con-fermare le conclusioni cui si è pervenuti con il precedente parere. 9. Il citato art. 13, co. 6 bis 1, del d.p.r. n. 115 del 2006, dispone che: “L'onere relativo al pagamento dei suddetti contributi è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza si determina con il passaggio in giudicato della sentenza”. 10. Tale norma disciplina dunque i rapporti interni tra le parti inerenti al pagamento del contributo, e prevede il diritto di rivalsa del ricorrente o dell’appellante nel caso di esito favorevole della lite. La soccombenza nel giudizio della parte resistente o dell’appellato origina dunque un rapporto obbligatorio di natura civilistica, rimesso al-

la cognizione del giudice amministrativo in sede di ottemperanza e riguardante il recupe-ro del contributo da parte del soggetto obbli-gato al versamento. 11. In base ad una prima interpretazione, che sembra implicitamente accolta dalla citata sentenza del Consiglio di Stato n. 473/14, si potrebbe sostenere che la norma abbia inteso affermare che il soggetto obbligato al versa-mento del contributo è tenuto “in ogni caso” a sopportare il relativo onere economico, qualora sia risultato in qualche misura “soccombente”. In questo modo, si accentua il carattere tribu-tario del contributo, quale onere connesso all’accesso alla tutela giurisdizionale, e si li-mita la rivalsa al solo caso in cui tale onere appaia manifestamente iniquo in considera-zione dell’esito totalmente favorevole della lite. 12. Ad una più attenta analisi, occorre rileva-re tuttavia che la norma ha inteso favorire “in ogni caso” la rivalsa, anche se sia stata disposta la compensazione delle spese e se la parte resistente o appellata non si sia costi-tuita. In questa ottica, non si giustifica il diniego del recupero del contributo antici- patamente versato nei casi in cui la parte re-sistente o appellata sia risultata soccombente solo in parte. 13. Il diritto alla rivalsa anche in caso di soccombenza parziale non implica tuttavia che il recupero possa avvenire per l’intero. Tale soluzione non appare proporzionata, né appare giustificata dalla lettera della legge (la quale stabilisce che il soccombente è sem-pre tenuto a sostenere l’onere del contributo, ma non dice che l’intero onere del contributo è a carico del soccombente parziale). 14. L’inattendibilità delle due soluzioni e-streme impone di ricercare una soluzione lo-gica che, nell’apparente silenzio del citato art. 13, co. 6 bis 1, del d.P.R. n. 115 del 2006, consenta di realizzare l’equo riparto dell’onere del contributo tra tutte le parti del giudizio nel caso di soccombenza parziale o reciproca. Questa soluzione appare evidente qualora si consideri che la norma, riferendosi formal-mente al caso in cui si debba ravvisare un so-lo soccombente, ha inteso in realtà affermare

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che l’onere del contributo deve essere soste-nuto da qualunque soccombente; ne consegue che, nel caso di soccombenza reciproca esso è dovuto non “dalla parte”, ma “dalle parti soccombenti”. In altri termini, la norma “minus dixit quam voluit” perché si è riferita al caso della soc-combenza di una sola parte per affermare una regola valevole anche nel caso di soc-combenza di più parti. 15. Per quanto riguarda il criterio di riparto applicabile in quest’ultima ipotesi, occorre fare riferimento ai principi desumibili dalla rivalsa nelle obbligazioni solidali, alla quale la fattispecie in esame è riconducibile. Per tale ragione, in applicazione dell’art. 1298 c.c., l’obbligazione si divide in parti uguali tra tutti i soccombenti, salva la prova che la

soccombenza si sia verificata in misura pro-porzionalmente diversa. In quest’ultimo caso, il riparto dovrà avvenire in rapporto alla ri-spettiva misura di soccombenza, da determi-nare in via equitativa sulla base delle risul-tanze di causa. 16. Poiché nel caso di specie si può ragione-volmente affermare che la soccombenza si sia registrata in uguale misura, e non vi sono comunque elementi per stabilire che si sia ve-rificata in misura diversa, si può riconoscere il diritto della controparte a recuperare il 50% dei contributi versati. 17. Il presente parere è stato reso dopo l’audizione del Comitato Consultivo di questa Avvocatura, che si è espresso in conformità nella seduta del 6.2.2015.

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Incentivi e Sviluppo Economico

Gazzetta Amministrativa -224- Numero 1 - 2015

INCENTIVI E SVILUPPO ECONOMICO

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI ENERGIA ED EDILIZIA: GIORNATA NAZIONALE SULLE ATTIVITÀ TE-CNOLOGICHE Il Ministero ha promosso una giornata na-zionale sulla ricerca e lo sviluppo di tecnolo-gie per la produzione e gli usi finali di ener-gia in relazione al tema dell'edilizia (Imple-menting Agreement Day). L'evento, realizzato nell’ambito del coordi-namento della partecipazione italiana alle at-tività tecnologiche dell’AIE (Agenzia Interna-zionale per l’Energia), si è tenuto il 27 feb-braio a Roma presso l’ENEA (Agenzia nazio-nale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile). La giornata ha permesso di discutere lo stato dell’arte sulle tecnologie energetiche e sull'innovazione per l’edilizia e i sistemi ur-bani (sistemi di riscaldamento e raffredda-mento, tecnologie a idrogeno, fotovoltaico ed eolico applicati, smart grids, celle a combu-stibile) e i risultati raggiungi dagli esperti italiani nelle attività internazionali di ricerca collaborativa. Alla presenza delle principali associazioni di categoria del settore sono sta-ti illustrati e promossi i progetti principali, le possibili interazioni con programmi nazionali ed europei, le applicazioni pratiche sia in Ita-lia che in altri Paesi partner dell’AIE, in un’ottica di condivisione e promozione dei risultati (Comunicato MISE del 4.3.2015).

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BANDA ULTRALARGA: 6 MILIARDI PER IL NUOVO PIANO Il Consiglio dei Ministri ha approvato la Strategia italiana per la banda ultralarga. La strategia è stata definita dal Ministero dello Sviluppo Economico e dall’Agenzia per l’Italia digitale sotto il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. L'inve-stimento pubblico dedicato al piano è pari a sei miliardi di euro. L'obiettivo è colmare il ritardo digitale del Paese sul fronte infra-strutturale (Comunicato MISE del 4.3.2015).

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CONTO TERMICO: AL VIA LA CONSULTAZIONE PUBBLICA SU SEMPLIFICAZIONE E POTENZIA-MENTO Il Conto termico incentiva la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e i picco-li interventi di efficienza energetica con uno stanziamento di 900 milioni di euro annui: 700 per privati e imprese e 200 per le ammi-nistrazioni pubbliche. Il documento allegato illustra le nuove misure che il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Mini-stero dell’ambiente e della tutela del territo-rio e del mare, intende attuare al fine di favo-rire il massimo accesso agli incentivi per im-prese, famiglie e pubblica amministrazione. Tutti i soggetti interessati sono invitati a tra-

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Incentivi e Sviluppo Economico

Gazzetta Amministrativa -225- Numero 1 - 2015

smettere commenti e contributi all’indirizzo e-mail [email protected]. La consul-tazione è aperta fino al 28 febbraio 2015. (Comunicato MISE del 10.2.2015).

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AL VIA LA NUOVA PROCEDURA PER IL RICONOSCIMENTO DELLE START-UP INNOVATIVE A VOCAZIONE SO-CIALE Pubblicata la nuova versione delle Guide sintetiche sugli adempimenti societari per la startup innovativa e per l’incubatore certificato. In particolare, coerentemente con la Circolare 3677/C emanata ieri dal Ministero dello Sviluppo economico, la guida sintetica per la startup introduce una nuova procedura

– estremamente agile e flessibile, fondata sulla rendicontazione dell’impatto sociale, sulla trasparenza e sul controllo diffuso delle informazioni – per il riconoscimento delle startup innovative a vocazione sociale, una particolare tipologia che dà diritto a maggiorazioni dei benefici fiscali sugli investimenti. Contestualmente, per meglio accompagnare l’utente nell’utilizzo della nuova procedura, è pubblicata anche la “Guida per la redazione del Documento di Descrizione di Impatto Sociale", frutto di una collaborazione con il MIUR e con diversi attori dell'imprenditoria sociale. I testi sono disponibili sul sito internet del Ministero dello sviluppo economico (sezione startup innovative) e sul sito startup.registroimprese.it delle Camere di Commercio Italiane (Comunicato MISE del 21.1.2015).

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Incentivi e Sviluppo Economico

Gazzetta Amministrativa -226- Numero 1 - 2015

REDAZIONALI

DIRITTO PUBBLICO ED ECONOMIA DELLO SVILUPPO: LA SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE COME STRATEGIA DI CRESCITA del Dott. Sabato Vinci

I mutati equilibri all’interno della società richiedono oggi più che mai una maggiore integrazione non soltanto tra le varie forme di politiche pubbliche (nel campo della sanità, della previdenza, della formazione..) ma anche tra le molteplici “funzioni” che nella società possono trovare e-spressione (lo Stato, il mercato, il mondo dell’impresa, il settore del non profit, la famiglia..) al fine di garantire un sistema di adeguate opportunità e protezioni sociali, a partire da coloro i quali versano nello stato di maggior bisogno. È in quest’ottica che il principio di sussidiarietà si rivela un prezioso strumento per riprogettare il welfare per ciò che concerne lo scambio osmotico tra gli spazi di necessaria gestione da parte dello Stato e quelli ormai maturi per essere riguada-gnati alla libera scelta dei cittadini. The changed balance in society require more than ever greater integration not only between the various forms of public policies (in the fields of health, social security, education ..) but also among the many "functions" that in society can find expression (the state, the market, the busi-ness world, the non-profit sector, family ..) in order to ensure a system of appropriate opportuni-ties and social protection, from poorer ones. With this in mind the principle of subsidiarity proves to be a valuable tool to redesign the welfare state for what concerns the osmotic exchange be-tween spaces required state administration and those ripe to be regained to the free choice of citi-zens. Sommario: 1. Finanza pubblica ed equilibrio di Bilancio. 2. Il “principio di sussidiarietà”. 3. Sussidiarietà, Mercato e tutela della Concorrenza. 4. Un driver strategico per la riorganizzazione del modello di sviluppo.

1.Finanza pubblica ed equilibrio di bi-lancio.

L’esigenza di porre sotto controllo la fi-nanza pubblica acquista, nell’attuale assetto economico, normativo ed istituzionale, una importanza sempre maggiore. Nel caso italia-no in particolare, essa è connessa indissolu-bilmente alla necessità di operare una ristrut-turazione della spesa pubblica, funzionale da una parte a sostenere un programma di riequi-librio del rapporto debito/Pil (in ossequio alle regole europee) e dall’altro al reperimento di risorse interne da destinare alla crescita.

Se da una parte infatti le regole europee del «Trattato sulla stabilità, sul coordina-

mento e sulla governance nell'Unione eco-nomica e monetaria» (c.d. Fiscal Compact) firmato dai 25 Paesi aderenti all’Unione Eu-ropea il 2.3.2012, vincola gli Stati al principio del pareggio di bilancio, dall’altra in generale lo stesso contesto finanziario, economico ed istituzionale in cui l’Italia si muove oggi ren-de auspicabile un’opera di messa in sicurezza del livello di indebitamento nell’interesse dell’economia nazionale. Trattasi peraltro di una prospettiva tanto più importante in quan-to coeva ad una fase economica scandita da bassa crescita del PIL.

Per ciò che attiene al “Fiscal compact”, sul piano giuridico colpisce il fatto che il disposi-

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Incentivi e Sviluppo Economico

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tivo sia diventato parte integrante della Costi-tuzione italiana, mediante una modifica dell’art. 81 che consacra un trasferimento di prerogative giurisdizionali dal livello nazio-nale al livello sovranazionale europeo. Sul pi-ano economico colpisce l’obbligo per i Paesi con un debito pubblico superiore al 60% del PIL (tra i quali evidentemente è l’Italia) di ri-entrare entro tale soglia ritenuta “salutare” entro 20 anni al ritmo di un 1/20 all’anno. In termini più espliciti il fiscal compact impone di ridurre il rapporto tra il debito pubblico e il Prodotto interno lordo. Da qui due possibili strade che lo Stato italiano può percorrere per non rivelarsi inadempiente rispetto agli impe-gni presi: diminuire il numeratore (ridurre il debito) oppure aumentare il denominatore (ampliare il Pil).

Le regole giuridiche tuttavia, ancora una volta vengono a intrecciarsi con i processi e-conomici. Un Paese con un alto rapporto di indebitamento infatti, privo della leva della sovranità monetaria1, dimostra senza dubbio scarsa capacità di reazione nei confronti dei mercati finanziari qualora dovesse venire pre-so di mira e subirne l’attacco. La conseguen-za, non sconosciuta all’Italia, è che la politica viene a smarrire totalmente il controllo della situazione, restringendo ancor più i già angu-sti margini di manovra ancora attivabili in se-de nazionale in virtù dell’ordinamento giuri-dico vigente per i paesi membri dell’Unione europea2. Nel caso dei Paesi dell’euro-zona in particolare l’introduzione della moneta unica ha privato i governi nazionali della possibilità

1 L’art. 3 del TFUE ribadisce per gli Stati membri della zona Euro la competenza esclusiva dell’UE in materia di politica monetaria (art. 3 del trattato sul funzionamento dell’UE). 2 Il TFUE rende più solida la posizione della Commissione europea nel campo della politica economica conferendole un maggior potere di sorveglianza per garantire il rispetto degli obblighi eu-ropei da parte degli Stati membri. Tali obblighi sono peraltro riconducibili essenzialmente a due impegni principali: gli “orientamenti di massima per le politi-che economiche” (raccomandazioni adottate dal Con-siglio al preciso scopo di armonizzare le politiche eco-nomiche degli Stati in funzione di obiettivi comuni), ed il “patto di stabilità e di crescita” che sovraintende ai deficit nazionali (i quali devono altresì rispettare an-che i valori massimi previsti per il debito pubblico e il deficit delle amministrazioni pubbliche).

di sfruttare il tasso di cambio, la politica mo-netaria risulta affidata ad un’agenzia indipen-dente sovranazionale, mentre gli spazi in ter-mini di politica fiscale si riducono sempre più in condizioni di ostilità da parte dei mercati: “In breve, avendo perso la loro capacità di controllare la propria politica monetaria, gli elettori [di un Paese molto indebitato sotto l’attacco dei mercati finanziari] possono an-che perdere il controllo sulla loro politica fi-scale. La politica nazionale si ridurrà quindi a trattare questioni sociali come la proibizio-ne del fumo”.3

In questo quadro la via d’uscita auspicabi-le per lo Stato italiano, risultando molto diffi-cile che la sua struttura economica e sociale riesca a sopportare un programma di tagli per diverse diecine di miliardi per un ventennio, sarebbe quella di agire sul Pil mediante misu-re espansive. Sotto questo profilo l’assenza di un programma di investimenti pubblici stra-tegici, idonei a stimolare l’economia incenti-vando l’attivazione di un circuito economico in grado di autosostenersi, è certamente la principale mancanza dell’Italia. In presenza di un Prodotto interno lordo basso il rapporto con l’indebitamento sale inesorabilmente, rendendo sempre più difficile il rispetto del fiscal compact e quindi della stessa Costitu-zione italiana, unitamente a un rattrappimento dell’economia che rende sempre meno proba-bile una uscita a breve dalla crisi. Rebus sic stantibus la priorità di politica pubblica do-vrebbe dunque essere un’azione mirata a re-perire risorse da impiegare utilmente in un’operazione economica espansiva. Proprio su questo problema le ragioni della scienza economica tornano così ad intrecciarsi con le strutture giuridiche attraverso le quali va fil-trato e declinato l’obiettivo di politica pubbli-ca.

2.Il “principio di sussidiarietà”. Il Principio di Sussidiarietà, in particolare,

potrebbe rappresentare in questo quadro il fi-lo rosso attraverso il quale procedere alla ri-strutturazione del settore pubblico, partendo dal problema del debito nazionale.

La l. n. 59/1997 (la prima legge Bassanini)

3 THE ECONOMIST, The sinking euro, 26.11.2011.

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innovando l’interpretazione originaria risalen-te agli anni ’904 - in base alla quale la sussi-diarietà veniva essenzialmente intesa in senso verticale, con riferimento ai rapporti tra gli enti territoriali - ha posto infatti l’accento an-che sul concetto di sussidiarietà orizzontale, “sia in riferimento ai rapporti tra “enti terri-toriali e le c.d. autonomie funzionali, come le Università degli studi e le Camere di com-mercio, sia con riguardo ai rapporti tra la statualità (complessivamente considerata) e la società civile”5 (D’ATENA, 2010). In par-ticolare l’art. 4, co. 3, lett. a della Legge Bas-sanini, là dove la norma parla di “favorire l’assolvimento di funzioni di rilevanza sociale da parte di famiglie, associazioni e comuni-tà” , rappresenta un pilastro di fondamentale importanza. L'art. 3, co. 5° del T.U. delle leg-gi sull'ordinamento degli enti locali, n.267/2000 dispone poi che “I comuni e le province (...) svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere ade-guatamente esercitate dalla autonoma inizia-tiva dei cittadini e delle loro formazioni so-ciali” .

La chiave interpretativa del concetto di sussidiarietà, che trova le sue radici fonda-mentali tanto nella dottrina sociale della Chiesa quanto nella cultura laica e liberale, ha creato un importantissimo pilastro giuridico sulla base del quale è oggi possibile organiz-zare una risposta equilibrata non solo rispetto alla necessità economico-amministrativa delle riforme, ma più in generale alla questione più ampia attinente i limiti stessi dei poteri dello Stato e più specificamente i rapporti tra il set-tore pubblico ed il mercato/società civile6.

Sul piano politico-amministrativo, l’im-portanza assunta dal principio di sussidiarietà si è imposta anche nel corso della riforma realizzata della Legge costituzionale 3/2001, dove la traduzione (seppur problematica) in chiave normativa di questo tema così fonda-mentale è stato declinato proprio secondo en-trambe le accezioni: sussidiarietà verticale in-

4 La l. n. 493 del 1989 in quest’ottica ha declinato il concetto di sussidiarietà, nel porre in esecuzione la Carte europea dell’autonomia locale. 5 Cit. D’ATENA A., Diritto regionale, Giappichelli editore, Torino, 2010. 6 D’ATENA A., op. cit.

tesa quale principio guida per “l’allocazione delle funzioni amministrative tra gli enti ter-ritoriali” (D’ATENA, 2013); sussidiarietà orizzontale quale principio che viene espresso dalla norma che impone agli enti territoriali di incentivare “l’autonoma iniziativa dei citta-dini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività d’interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà (art. 118, co. 4)”.

Un interessante parallelismo, utile a sotto-lineare il netto cambiamento di prospettiva che il principio costituzionale della sussidia-rietà orizzontale ha realizzato nei rapporti tra il potere pubblico e la funzione pubblica, può risultare quello tra l’art. 118 e l'art. 3 , co. 2 della Costituzione italiana. Quest’ultimo in-fatti recita recitando che “è compito della Re-pubblica rimuovere gli ostacoli di ordine e-conomico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impedi-scono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e so-ciale del Paese”, può essere letto come un ul-teriore strumento che la Carta fondamentale mette a disposizione della Repubblica in or-dine alla realizzazione della sua missione di rimozione degli ostacoli economici e sociali. Se infatti, secondo una lettura classica il rap-porto tra potere pubblico e funzione pubblica si configurava come esclusivo e monopolisti-co - potendo subentrare l'azione del privato solo in nome e per conto dell’amministra-zione pubblica - il principio di sussidiarietà orizzontale invece ha posto le basi normative grazie alle quali quegli stessi soggetti destina-tari dell’azione promozionale del potere pub-blico, abbiano la possibilità di adoperarsi di-rettamente nella missione (di “interesse pub-blico generale” in pieno ossequio alla condi-zione alla quale l’art. 118 Cost. subordina l’azione promozionale dei pubblici poteri) di rimuovere gli ostacoli economico-sociali che ne impediscono la piena realizzazione. L'inte-resse generale diviene dunque il vero nesso funzionale tra l'art. 3, co. 2 e l'art.118: l’amministrazione pubblica in prima persona ed i cittadini “favoriti” dall’amministrazione stessa concorrono dunque al perseguimento di

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un fine comune.7 Altro interessante parallelismo, che si col-

loca sempre sulla dorsale dell’interesse pub-blico generale quale fine ultimo anche della libera auto-organizzazione dei cittadini, può essere sviluppato tra l'art.118 Cost. e l’art. 4 co. 2, là dove prevede che: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso ma-teriale o spirituale della società”8.

Oltre dunque dalle esigenze di ordine eco-nomico-finanziario dell’Italia in termini di contenimento della spesa pubblica e minore indebitamento, proprio il comma 4 dell’art. 118 della Costituzione viene a configurare non già una mera facoltà, bensì un vero e proprio obbligo giuridico per gli enti pubblici di cedere ai “cittadini, singoli e associati” quelle funzioni che essi sono in grado di svolgere senza l’intervento pubblico.

L’applicazione puntuale di questa norma costituzionale, porterebbe dunque con se una serie di conseguenze rivoluzionarie del cam-po del diritto amministrativo. Si pensi soltan-to agli effetti della norma sul principio di “preminenza” del potere pubblico sugli inte-ressi privati.

Nel momento stesso in cui si riconosce ai cittadini il ruolo di soggetti autonomamente attivi nel perseguimento dell'interesse genera-le viene infatti meno una delle ragioni princi-pali della posizione di preminenza riconosciu-ta dalla teoria tradizionale alla pubblica am-ministrazione nei confronti degli amministra-ti. Il rapporto principale-agente, che classi-camente delineava le relazioni tra la pubblica amministrazione ed il settore privato tuttavia, resiste comunque alla carica innovativa del principio costituzionale di sussidiarietà sep-pur uscendone completamente trasformato. Posto che infatti lo stesso art. 118 fa carico alle amministrazioni pubbliche (agente) di “favorire” le autonome iniziative dei cittadini (principali) per scopi di interesse generale, la P.A. seguita ad essere al servizio del cittadi-

7 ARENA C., Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118, u.c. della Costituzione, Amministrazione in cammino. 8 GIUFFRE’ F., La solidarietà nell'ordinamento costi-tuzionale, Milano, 2002, in particolare 136 ss.

no, ambendo sempre a realizzare il fine pub-blico, seppur con modalità del tutto innovati-ve.

Le relazioni tra il settore pubblico e quello privato in base al principio di sussidiarietà o-rizzontale tuttavia continuano ad essere am-piamente dibattute. Esistono infatti nel pano-rama giuridico italiano anche letture minima-liste dell’art. 118 co. 4 della Cost. It.. Secon-do questi in particolare la norma non impli-cherebbe alcuna rinuncia in termini di inter-vento diretto degli enti pubblici (Stato, Re-gioni, Città metropolitane, Province, Comu-ni), semmai prevedrebbe solo l’obbligo per essi di esercitare le proprie funzioni nel qua-dro generale di un maggiore coinvolgimento del settore privato. Tale tesi non convince comunque lo scrivente, non sembrando essere supportata neppure da una interpretazione let-terale della norma: questa infatti usando le parole “favoriscono (…) sulla base del prin-cipio di sussidiarietà” configura senza possi-bilità di dubbio un atteggiamento di favor, che si traduce da un lato in una visione prefe-renziale della società civile per ciò che attiene alle attività di interesse generale che essa sia in grado di svolgere autonomamente, dall’altro nel ruolo sussidiario dell’ente pub-blico chiamato ad intervenire solo “per sop-perire all’eventuale inadeguatezza dei citta-dini singoli e associati”9 (D’ATENA, 2010).

Oltre a ciò bisogna evidenziare che la norma ex art. 118 Cost. non esprime certa-mente un principio, rinviando poi a successi-ve leggi attuative la disciplina di dettaglio ai fini della concreta applicazione, bensì identi-fica una fattispecie ben precisa.

3.Sussidiarietà, mercato e tutela della concorrenza.

Come scrive con assoluta chiarezza il prof. Antonio D’Atena “se si accoglie questa pre-messa, dalla disposizione [art. 118 comma 4 della Cost. It.] deve dedursi che gli enti terri-toriali elencati dalla norma, in tanto siano legittimati ad esercitare le attività d’interesse generale da questa contemplate, in quanto il “privato” (inteso come settore) non sia in grado di dare ad esse adeguata copertura. In

9 Cit. D’ATENA A., op. cit.

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conseguenza di ciò il confronto con il merca-to (e con i principi della concorrenza) non dovrebbe avvenire dopo che l’ente pubblico ha deciso di non intervenire direttamente, ma anche prima: essendo ragionevole ritenere che l’intervento diretto si giustifichi esclusi-vamente nella logica della sussidiarietà. Il che significa che l’ente pubblico dovrebbe poter assumere in proprio (o mediante socie-tà dallo stesso partecipate) la gestione di un servizio o l’esercizio di un’attività imprendi-toriale, solo se - ed in quanto – manchino of-ferte convenienti da parte del mercato”10. (D’ATENA, 2010)

Proprio sulla base di questa interpretazione del concetto di sussidiarietà peraltro, con l’art. 23 bis del d.l. 112/2008, poi convertito con la l. 133/2008, modificata successiva-mente dall’art. 15 del d.l. 135/2009, a sua volta convertito con la l. 166/2009, il legisla-tore italiano ha riorganizzato l’intera materia dei servizi pubblici locali di rilevanza eco-nomica, prevedendo quanto segue11:

“Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria: a) a favore di imprenditori o di società in qualun-que forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che isti-tuisce la Comunità europea e dei principi ge-nerali relativi ai contratti pubblici e, in parti-colare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblici-tà, non discriminazione, parità di trattamen-to, mutuo riconoscimento e proporzionalità; b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del so-cio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad og-getto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.

In deroga alle modalità di affidamento or-dinario di cui al co. 2, per situazioni eccezio-nali che, a causa di peculiari caratteristiche

10 Cit. D’ATENA A., op. cit. 11 D’ATENA A., op. cit.

economiche, sociali, ambientali e geomorfo-logiche del contesto territoriale di riferimen-to, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento può avvenire a fa-vore di società a capitale interamente pubbli-co, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunita-rio per la gestione cosiddetta “in house” e, comunque, nel rispetto dei principi della di-sciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell'at-tività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”.

Dunque la deroga, rispetto alla regola ge-nerale del ricorso al mercato, è rappresentata dalla gestione in house: limitata a casi ecce-zionali, resi ancor più stringenti dall’obbligo che il successivo comma dello stesso art. 23 pone a carico dell’Amministrazione “dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato”. Oltre a ciò la stessa normativa prevede il vaglio ulte-riore dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato “per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. De-corso il termine, il parere, se non reso, si in-tende espresso in senso favorevole”.

Da questo quadro emerge dunque come la stessa normativa vigente a livello nazionale, costruita e progressivamente affinata nel cor-so del tempo sotto la spinta dell’ordinamento europeo, preveda un vero e proprio obbligo per il potere pubblico di intervenire nella ge-stione dei servizi pubblici solo ad integran-dum rispetto all’azione auto-organizzativa del settore privato, globalmente inteso come cit-tadinanza attiva nelle forme più varie: dalla libera impresa alla cooperazione, dal volonta-riato spontaneo all’associazionismo ricono-sciuto.

Proprio l’appena espressa chiave interpre-tativa del concetto di sussidiarietà rappresenta peraltro sul piano del diritto comparato un superamento della stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’U.E. sul terreno della sussidiarietà. L’ordinamento italiano si trova infatti a fornire, secondo l’orientamento pri-ma esposto, una tutela della concorrenza ad-dirittura maggiore rispetto a quella sancita nelle regole europee. Queste infatti, rimango-

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no ancorate a una interpretazione della mate-ria della gestione dei servizi pubblici essen-zialmente secondo la logica per cui “la con-correnza ed i principi ad essa correlati trove-rebbero applicazione a valle della decisione dell’ente pubblico di rivolgersi al mercato, mentre non opererebbero nella fase a monte di tale decisione: non precludendo all’ente pubblico di operare direttamente anche in presenza di favorevoli (o, addirittura, più fa-vorevoli) offerte da parte del mercato. La scelta dell’affidamento in house, infatti, rien-trando nella potestà auto-organizzativa dell’ente, sarebbe sottratta alla necessità del confronto con il mercato”12 (D’ATENA, 2010).

A supporto di quella che è l’interpretazione del concetto di concorrenza in Italia, emblematico è un atto di segnalazio-ne dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) datato 28 dicembre 200613, su cui si è espressa in senso analogo la V Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4080 del 25 agosto 2008, scrive-va: “In particolare, andrebbe indicato il principio che l’affidamento diretto risulta giustificato solamente quando non è possibile individuare una migliore soluzione di merca-to, secondo un principio di sussidiarietà che limiti l’intervento pubblico a quelle situazioni in cui non sia possibile o conveniente l’offerta dei servizi da parte di imprese indi-viduate secondo i meccanismi di mercato”. A questo proposito si pensi solo al caso della sanità: questa potrebbe essere riprogettata af-fiancando a una tutela “pubblica e totalmente gratuita” per le fasce meno abbienti e i setto-ri a più scarsa convenienza d’investimento per un privato (prevenzione, malattie croni-che, pronto soccorso), un sistema di libera concorrenza tra enti assicurativi privati e pubblici. In questo modo, tagliando non le dotazioni finanziarie delle singole funzioni della pubblica amministrazione lasciandone inalterato il numero, ma talune funzioni stesse (in ossequio all’art. 118 Cost.) sulla base di una attenta valutazione politica circa l’essenzialità della diretta gestione pubblica,

12 Cit. D’ATENA A., op. cit. 13 D’ATENA A., op. cit.

il sistema Italia potrebbe generare autono-mamente flussi economici (solo la sanità oggi assorbe circa 200 miliardi di euro l’anno) suf-ficienti a finanziare un ampio programma d’investimenti strategici nell’ottica dello svi-luppo economico: sottraendo risorse alla spe-sa corrente per destinarle a una maggiore spe-sa per investimenti funzionale a obiettivi stra-tegici precisi di rilevante interesse pubblico.

Questi potrebbero essere un programma di lavori pubblici finalizzato all’ammoderna-mento infrastrutturale del Paese nonchè la ri-conversione ecologica dell’economia: misure in grado di “mettere in moto gli investimenti delle imprese private, generando così un meccanismo in grado di autoalimentarsi”14 come fu negli anni ’50 e ’60 negli U.S.A., dove fu proprio la maggiore spesa pubblica in campo militare a gettare le basi per la realiz-zazione di nuovi investimenti in ricerca e svi-luppo, decisivi per sostenere la domanda nel breve termine e nel lungo termine utili all’espansione dell’economia nel senso della creazione di nuovi mercati nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comuni-cazione, che a loro volta hanno poi alimentato la rivoluzione tecnologica e informatica tutt’ora in corso.

L’intervento pubblico dunque, se realizza-to in un sistema economico di libero mercato, “cioè in un’economia capace di sfruttare da un punto di vista commerciale le opportunità generate dal progresso scientifico e tecnolo-gico”15, è così funzionale allo sviluppo. La maggiore domanda, crea infatti un ambiente favorevole agli investimenti privati, i quali la storia insegna essere soliti seguire e non a precedere la traiettoria tracciata dall’in-tervento dell’amministrazione pubblica.16

4.Un driver strategico per la riorganiz-

zazione del modello di sviluppo. 14 SYLOS LABINI S., Il ruolo degli investimenti pub-blici per la crescita, Le sfide della crescita, Estate 2014. 15 SYLOS LABINI S., op. cit. 16 SYLOS LABINI S., op. cit.: “se non vi è una do-manda consistente (…) le imprese private trovano scarso interesse a progettare, finanziare e realizzare gli investimenti innovativi, dal momento che i rendi-menti degli investimenti non sono abbastanza elevati e i ritorni richiedono tempi troppo lunghi”.

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Proprio la concreta attuazione dell’art. 118 co. 4 Cost., può dunque rappresentare un dri-ver strategico per la riorganizzazione del mo-dello di sviluppo italiano, fornendo la base giuridica per un programma profonda ristrut-turazione della spesa pubblica nell’ottica di maggiori investimenti - con conseguente ri-duzione delle necessità d’indebitamento – fi-nanziati mediante la cessione al mercato di quelle funzioni nelle quali non è essenziale la gestione diretta da parte dell’ente pubblico.

Oltre al guadagno derivante al settore pub-blico dal risparmio di spesa, va anche consi-derato che la valenza finanziaria della sussi-diarietà orizzontale si spinge fino a rappre-sentare un ulteriore e inedito valore economi-co per la pubblica amministrazione: l’auto-organizzazione del settore privato infatti da un lato consente risparmi di spesa, ma dall’altro mette in circolo nel corpo sociale della nazione energie con indubbia valenza economica, semmai il problema potrebbe es-sere che alcune di queste sono difficilmente valutabili (si pensi al valore politico, econo-mico e sociale di una comunità coesa che si auto-organizza per l’autonoma risoluzione di un problema pubblico), ma tutte certamente rappresentano un indubbio guadagno netto per il settore pubblico.

De iure condendo, la concreta applicazio-ne del co. 4 dell’art. 118 Cost., sul piano del diritto amministrativo scardina il “monopo-lio” delle amministrazioni quali sole titolari dell’interesse pubblico, rendendo protagonisti i cittadini, le comunità e gli enti privati nell’espletamento diretto e auto-organizzato di funzioni amministrative.

Dall’art. 118 Cost. discende perciò una nuova concezione di amministrazione in cui il dato fondamentale è rappresentato non dai soggetti che esercitano concretamente la fun-zione pubblica (che può essere indifferente-mente sia il settore pubblico che quello priva-to), bensì dai risultati (di interesse pubblico generale) alla cui realizzazione è finalizzata l’azione stessa.

A maggior riprova di ciò “...nel diritto comunitario si va affermando una nozione di pubblica amministrazione di tipo funzionale e non strutturale ... (in cui) a venire in rilievo per l'applicazione delle norme non è la natu-

ra del soggetto o la tipologia della sua strut-tura, bensì la natura dell'attività svolta ... (questo) innesto di questa nozione di tipo fun-zionale dell'amministrazione pubblica ha a-vuto significative conseguenze nell'ordina-mento italiano. Sul piano scientifico, si è resa possibile una sorta di trasposizione della concezione oggettiva del servizio pubblico all'insieme dell'attività amministrativa”.17

Una complementarietà effettiva tra le sfere della statualità e quella della società, alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale, ne-cessita altresì di un ripensamento della stessa cultura di governo da parte delle istituzioni pubbliche, capace di valorizzare il ruolo e la funzione dei corpi intermedi anche incenti-vando l’afflusso verso organizzazioni no pro-fit di risorse private nella logica della sussi-diarietà fiscale18.

In definitiva sono proprio i mutati equilibri all’interno della società a richiedere maggiore integrazione non soltanto tra le varie forme di politiche pubbliche (nel campo della sanità, della previdenza, della formazione..) ma an-che tra le molteplici “funzioni” che nella so-cietà possono trovare respiro ed espressione (lo Stato, il mercato, il mondo dell’impresa, il settore del non profit, la famiglia..) al fine di garantire un sistema di adeguate opportunità e protezioni sociali, a partire da coloro i quali versano nello stato di maggior bisogno. È dunque in quest’ottica che il principio di sus-sidiarietà si rivela un prezioso strumento per riprogettare il welfare per ciò che concerne lo scambio osmotico tra gli spazi di necessaria gestione da parte dello Stato e quelli ormai maturi per essere riguadagnati alla libera scel-ta dei cittadini. La sfida per le politiche socia-li del futuro dovrebbe quindi essere da un lato quella di mantenere la coerenza di un impian-to sostanzialmente universalistico, improntato al principio di equità sociale, e dall’altro quella di rispettare le esigenze di sostenibilità di ordine economico-finanziario e di opportu-nità in termini di concentrazione delle risorse (scarse per definizione) su obiettivi strategici di economia nazionale in un quadro coerente 17 TORCHIA L., Diritto amministrativo nazionale e diritto comunitario: sviluppi recenti del processo di ibridazione, in Riv. it. dir. pubb. comun., 1997 18 CERRITO P., op. cit.

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con le nuove esigenze ed i nuovi bisogni che si esprimono nella società contemporanea.

Giova dunque ribadire che - se da un lato il ricorso al libero mercato ed ai meccanismi di concorrenza possono rappresentare uno stru-mento utile nell’ottica della ridefinizione de-gli spazi pubblici resa necessaria appunto da esigenze di tipo economico, sociale (i mutati equilibri e contesti sociali) ed anche di equità (spesso prevaricata da ormai vetuste strutture di welfare) - dall’altro i servizi sociali man-tengono comunque la loro caratterizzazione di servizi “a statuto pubblico”: essi infatti so-

no indissolubilmente legati ai diritti delle per-sone (Si veda Cost., artt. 32, 33, 34), alla loro autodeterminazione, ad una prospettiva di vi-ta dignitosa. Sotto questo profilo è perciò de-terminante la loro piena fruibilità e qualità: esigenza che la concorrenza non è in grado autonomamente di garantire (CERRITO P., Sussidiarietà e solidarietà nelle politiche so-ciali, relazione Cisl, 2009).

Di qui l’imprescindibile ruolo del regola-tore pubblico nel fissare standard qualitativi e regole, intervenendo in via sussidiaria solo di fronte all’inadeguatezza del mercato.

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GIURISPRUDENZA Corte Costituzionale, 12.2.2015 n. 220 Sviluppo economico - artt. 8, co. 3, 10, co. 1, 11 e 15, co. 2, lett. c) ed e), della legge della Regione Liguria 24/02/2014, n. 1. 1.– Con il ricorso iscritto al n. 34 del registro ricorsi del 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri censura gli artt. 8, co. 3, 10, co. 1, 11 e 15, co. 2, lett. c) ed e), della legge della Regione Liguria 24.2.2014, n. 1 (Norme in materia di individuazione degli ambiti ottimali per l’esercizio delle funzioni relative al servizio idrico integrato e alla gestione integrata dei rifiuti), in riferimento all’art. 117, co. 2, lett. e) ed s), della Costituzione e, quali parametri interposti, agli artt. 147, 202 e 238, co. 3, del d.lgs. 3.4.2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), all’art. 3, co. 1, lett. d), e) ed f), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 (Individuazione delle funzioni dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici, ai sensi dell’articolo 21, comma 19 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), e all’art. 10, comma 14, lettere d), e) ed f), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia) convertito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l. 12.7.2011, n. 106. 2.– In primo luogo, il ricorrente impugna l’art. 8, co. 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2014, nella parte in cui, in materia di pianificazione d’ambito, dispone che «Il Piano d’ambito deve prevedere agevolazioni tariffarie e adeguati interventi a sostegno dei piccoli comuni». Secondo la difesa erariale tale disposizione invade la sfera di competenza esclusiva statale nelle materie «tutela della concorrenza» e «tutela dell’ambiente» poiché si pone in contrasto con la norma interposta rappresentata dall’art. 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20.7.2012, che attribuisce all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (in seguito, «AEEG») le funzioni di regolazione e controllo

del servizio idrico integrato (in seguito, anche «SII»), con i compiti, tra gli altri, di definire i criteri per la determinazione delle tariffe sulla base dei principi stabiliti con legge dello Stato, ed individuare le agevolazioni tariffarie attraverso la previsione di «forme di tutela per le categorie di utenza in condizioni economico sociali disagiate individuate dalla legge». 2.1.– È poi censurato l’art. 10, co. 1, della legge regionale n. 1 del 2014, che attribuisce ai Comuni - già appartenenti alle Comunità montane e con popolazione inferiore o uguale a tremila residenti, ferma restando la loro partecipazione all’ambito territoriale ottimale (in seguito, anche «ATO») – la facoltà di gestire autonomamente il SII, in forma singola o associata. Ad avviso della difesa dello Stato, anche tale disposizione regionale si pone in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., poiché, introducendo una soglia quantitativa di tipo demografico senza considerare parametri fisici e tecnici, viola la norma interposta costituita dall’art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006, che, nell’organizzazione del SII sulla base degli ATO definiti dalle Regioni, impone il rispetto dei principi dell’unità del bacino idrografico, dell’unitarietà e, comunque, del superamento della frammentazione verticale delle gestioni delle risorse idriche, nonché dell’adeguatezza delle dimensioni gestionali. 2.2.– In terzo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 11 della legge reg. Liguria n. 1 del 2014, che regolamenta l’esercizio dei poteri sostitutivi regionali nei confronti degli enti d’ambito e dei Comuni inadempienti qualora non vengano predisposti i piani d’ambito nei termini previsti e «non vengano posti in essere gli atti per la realizzazione delle opere previste dai piani d’ambito e necessarie a garantire il rispetto degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea». Ad avviso del ricorrente, la previsione in esame è lesiva delle competenze legislative esclusive statali sancite dall’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s),

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Cost., poiché rende possibile il verificarsi di una indebita ingerenza della Regione nell’esercizio delle funzioni in materia tariffaria, di verifica e controllo della corretta redazione del piano d’ambito che la legge dello Stato ha inteso specificamente riservare all’AEEG. Ciò avviene in contrasto con quanto previsto dalle norme interposte rappresentate dall’art. 10, co. 14, lett. d), e) ed f), del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, sulle funzioni della soppressa Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, e dal corrispondente art. 3, co. 1, lett. d), e) ed f), del d.P.C.m. 20.7.2012, che ha individuato le funzioni di regolazione del servizio idrico integrato trasferite all’AEEG. 2.3.– Sono, infine, censurate le lettere c) ed e) del co. 2 dell’art. 15 della legge reg. Liguria n. 1 del 2014, disposizioni dettate in materia di gestione integrata dei rifiuti, in ordine alle quali il ricorrente deduce analoghi profili di illegittima incidenza sugli ambiti di competenza esclusiva dello Stato nelle materie della tutela della concorrenza e dell’ambiente, alle quali è ascrivibile la disciplina tariffaria. In particolare, per la difesa erariale la lettera c) del co. 2 dell’art. 15 - che attribuisce al Comitato d’ambito la funzione di definire «l’articolazione degli standard di costo intesi come servizi minimi da garantire al territorio omogeneo e i criteri di determinazione delle tariffe da applicare a fronte della erogazione dei servizi nelle aree territoriali omogenee» – contrasta con l’art. 238, co. 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, che demanda all’Autorità d’ambito la determinazione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani sulla base dei criteri generali definiti dal regolamento emanato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. A fondamento della censura la difesa dello Stato invoca anche la normativa che detta i criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali - art. 3 bis, co. 1 bis, del d.l. 13.8.2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l. 14.9.2011, n. 148, e modificato dal d.l. 18.10.2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,

comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221 – la quale attribuisce alla competenza regionale la sola funzione di «determinazione delle tariffe all’utenza per quanto di competenza» e non quella concernente la definizione dei relativi criteri. Sostiene, infine, il ricorrente che l’art. 15, comma 2, lettera e), della legge reg. Liguria n. 1 del 2014 – il quale prevede che il Comitato d’ambito «individua gli enti incaricati della gestione delle procedure per la realizzazione e/o l’affidamento della gestione degli impianti terminali di recupero o smaltimento di livello regionale o al servizio di più aree omogenee in base alle previsioni del Piano regionale di gestione dei rifiuti, facendo riferimento, di norma, ai comuni che rappresentano la maggioranza della popolazione interessata all’intervento» – si pone in contrasto con l’art. 202 del d.lgs. n. 152 del 2006 poiché introduce una deroga al principio comunitario dell’affidamento dei servizi mediante procedura ad evidenza pubblica, ledendo la sfera di competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117, co. 2, lett. e), Cost., alla quale è riconducibile la disciplina dell’affidamento e della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. 3.– Giova evidenziare che, successivamente alla proposizione del ricorso, la legge della Regione Liguria 5.8.2014, n. 21 (Modifiche alla legge regionale 24.2.2014, n. 1 ‒ Norme in materia di individuazione degli ambiti ottimali per l'esercizio delle funzioni relative al servizio idrico integrato e alla gestione integrata dei rifiuti), ha apportato una serie di modifiche alla legge regionale in scrutinio. In particolare, la legge regionale sopravvenuta ha così inciso sulle qui censurate disposizioni della l.r. n. 1 del 2014: l’art. 1, comma 1, della l.r. n. 21 del 2014 ha abrogato il co. 3 dell’art. 8 della l.r. n. 1 del 2014; l’art. 2, co. 1, ha modificato l’art. 11 impugnato, aggiungendo, dopo le parole: «comuni inadempienti», le parole: «,nel rispetto delle funzioni dell’Agenzia di cui all’art. 10, co. 14, del d.l. 13.5.2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia) convertito, con modificazioni, dalla l. 12.7.2011, n. 106»; l’art. 3 ha modificato l’art. 15 della l.r. n. 1 del

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2014, sostituendo, nella lett. c) del co. 2 del predetto articolo, le parole: «e i criteri per la determinazione delle tariffe da applicare a fronte della erogazione dei servizi nelle aree territoriali omogenee» con le parole: «sulla base dei criteri definiti dal regolamento di cui all’art. 238, co. 3, del d.lgs. 152/2006 e successive modificazioni ed integrazioni», ed inserendo nel testo della lett. e) del medesimo co. 2 del richiamato art. 15, dopo la parola: «enti» la parola: «pubblici», e dopo le parole: «gestione dei rifiuti» le parole: «, nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale in materia di concorrenza». Occorre, dunque, stabilire se la sopravvenienza legislativa in esame, abrogando e modificando le disposizioni regionali gravate, possa configurare la fattispecie della cessazione della materia del contendere quanto alle relative questioni di legittimità costituzionale, imponendosi, invece, l’esame per ciò che riguarda le censure mosse all’art. 10, co. 1, della legge reg. Liguria n. 1 del 2014, disposizione non incisa dal nuovo intervento del legislatore regionale. 3.1.– Secondo il costante orientamento di questa Corte, le condizioni richieste perché possa essere dichiarata cessata la materia del contendere sono: «a) la sopravvenuta abrogazione o modificazione delle norme censurate in senso satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso; b) la mancata applicazione, medio tempore, delle norme abrogate o modificate» (sentenza n. 87 del 2014, e, tra le più recenti, sentenze n. 300, n. 193 e n. 32 del 2012, n. 325 del 2011). Nel caso in esame deve ritenersi che lo jus superveniens, incidendo specificamente sull’oggetto delle questioni in relazione alle censure sollevate, sia satisfattivo delle ragioni del ricorrente. Con la novella, infatti, il legislatore regionale ha espunto dalla disciplina dettata dalla legge reg. Liguria n. 1 del 2014 le previsioni che attribuivano poteri determinativi della tariffa alla Regione, abrogando il comma 3 dell’articolo 8 sulle agevolazioni tariffarie e sugli interventi a sostegno dei piccoli Comuni che in materia di SII potevano essere previsti in seno al Piano d’ambito. Analogamente, il legislatore regionale ha modificato l’art. 15,

co. 2, lett. c), della legge reg. Liguria n. 1 del 2014, depurando le funzioni attribuite al Comitato d’ambito per il ciclo dei rifiuti da ogni riferimento alla determinazione delle tariffe ed imponendo, al contempo, il rispetto dei criteri previsti dalla normativa interposta evocata dal ricorrente (art. 238, co. 3, del d.lgs. n. 152 del 2006). Sotto connesso profilo, la legge regionale n. 21 del 2014 ha modificato l’art. 11 della legge impugnata, riconducendo l’esercizio dei poteri sostitutivi della Regione nell’alveo delle funzioni di regolazione del SII già spettanti all’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, poi trasferite all’AEEG, in forza del più volte menzionato art. 3 del d.P.C.M. 20.7.2012. Il legislatore ligure ha, infine, modificato l’art. 15, co. 2, lett. e), della legge regionale n. 1 del 2014, imponendo il «rispetto della normativa comunitaria e nazionale in materia di concorrenza» nell’individuazione, da parte del Comitato d’ambito per il ciclo dei rifiuti, degli enti ‒ contestualmente ricondotti a quelli «pubblici» ‒ incaricati della gestione delle procedure per la realizzazione e/o l’affidamento della gestione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti. 3.2.- A sostegno della mancata attuazione delle norme sospettate di illegittimità costituzionale - anche se la circostanza non risulta allegata dalla Regione resistente, che non si è intesa difendere in ordine a queste censure – milita il breve lasso temporale intercorso tra la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione Liguria della legge n. 1 del 2014 (26.2.2014) e della legge novellatrice (6.8.2014), circostanza di fatto da valutarsi in uno all’efficacia non immediata delle norme censurate. Sotto tale profilo, non può essere, infatti, sottaciuto che la legge impugnata prevede una serie di adempimenti – la costituzione degli enti d’ambito attraverso l’approvazione di una convenzione da parte dei Comuni ricadenti nell’ATO (art. 6) e la predisposizione dei piani d’ambito entro i quattro mesi successivi alla predetta costituzione – per l’attuazione degli artt. 8 e 11, oltre a demandare alla Regione, quale Autorità d’ambito per il governo del ciclo dei rifiuti, la definizione delle aree territoriali omogenee in

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relazione alle quali si definiscono le funzioni del Comitato d’ambito di cui all’art. 15. 3.3. - Può, in conclusione, ritenersi che le descritte modifiche legislative abbiano adeguato la disciplina regionale censurata ai principi contenuti nelle evocate norme interposte prima della effettiva applicazione della precedente normativa, così da determinare il sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente a proseguire nel giudizio. Deve essere, di conseguenza, dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8, co. 3, 11 e 15, co. 2, lett. c) ed e), della legge reg. Liguria n. 1 del 2014, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., e, quali parametri interposti, agli artt. 202 e 238, co. 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, all’art. 3, co. 1, lettere d), e) ed f), del d.P.C.M. 20.7.2012, ed all’art. 10, co. 14, lett. d), e) ed f), del d.l. n. 70 del 2011, come convertito. 4.- L’art. 10, co. 1, della legge reg. n. 1 del 2014 è impugnato dalla difesa dello Stato poiché, ponendosi in contrasto con la norma interposta dell’art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006, invade le competenze legislative statali nelle materie della tutela della concorrenza e tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost. 4.1.- Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione eccepisce la genericità del ricorso in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., sostenendo che l’atto avrebbe omesso sia di motivare in ordine alla negativa incidenza della disciplina regionale sugli standard di tutela ambientale fissati dal legislatore statale, sia di valutare il contenuto del comma 3 dell’art. 10 censurato, che impone ai Comuni di assicurare la gestione dell’intero ciclo idrico integrato in base a livelli di prestazione conformi alla normativa vigente. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, «il ricorso in via principale non solo “deve identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi”, indicando “le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di

costituzionalità” (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2007, n. 139 del 2006, n. 450 e n. 360 del 2005, n. 213 del 2003, n. 384 del 1999), ma deve, altresì, “contenere una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità della legge”» (sentenza n. 3 del 2013, e, nello stesso senso, ordinanza n. 123 del 2012 e sentenza n. 312 del 2010). I predetti requisiti di chiarezza e completezza appaiono essere soddisfatti nel caso in esame. Invero, dalla formulazione del motivo di ricorso si evince che il Presidente del Consiglio dei ministri ha inteso censurare l’intervento del legislatore ragionale attributivo della facoltà di gestione diretta del servizio idrico a favore di una particolare categoria di Comuni appartenenti all’ATO, sull’assunto che la normativa impugnata avrebbe introdotto una deroga all’unitarietà della gestione del SII. A sostegno della censura, il ricorrente ha evocato il contrasto con la disciplina interposta dell’art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006, costituente espressione della potestà legislativa esclusiva statale – delineata richiamando le pertinenti pronunce di questa Corte - nelle materie della tutela della concorrenza e tutela dell’ambiente. 5. - Nel merito, la questione è fondata, per i motivi che si vanno ad illustrare. La norma regionale censurata, che attribuisce ai Comuni già appartenenti alle Comunità montane e con popolazione inferiore o uguale a tremila residenti - ferma restando la partecipazione all’ATO - la facoltà, in forma singola o associata, di gestire autonomamente l’intero servizio idrico integrato è riconducibile all’ambito materiale relativo all’organizza-zione territoriale del servizio idrico integrato. Per definire i contorni della disciplina statale di riferimento è utile muovere dall’art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006 correttamente evocato dal ricorrente come parametro interposto, il quale - all’esito delle modifiche introdotte dall’art. 2, co. 13, del d.lgs. 16.1.2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3.4.2006, n. 152, recante norme in materia ambientale) – prevede che i servizi idrici sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali definiti dalle Regioni in attuazione della l. 5.1.1994, n. 36 (Disposizioni

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in materia di risorse idriche), e che le Regioni possono modificare le delimitazioni degli ATO per migliorare la gestione del SII, purché ne sia assicurato lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto dei principi, rilevanti in questa sede, di unitarietà della gestione e superamento della frammentazione verticale delle gestioni, nonché di adeguatezza delle dimensioni gestionali in base a parametri fisici, demografici e tecnici. L’art. 148 del d.lgs. n. 152 del 2006 ‒ nella formulazione applicabile ratione temporis – individua nell’Autorità d’ambito la struttura, costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente Regione, «alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche». L’art. 2, co. 186 bis, della l. 23.12.2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ‒ legge finanziaria 2010), inserito dall’art. 1, co. 1 quinquies, del d.l. 25.1.2010, n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni), convertito, con modificazioni, dalla l. 26.3.2010, n. 42, ha soppresso le Autorità d’ambito territoriale di cui al citato art. 148 del d.lgs. n. 152 del 2006, sia disponendo che «Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza», sia delineando un preciso quadro di riferimento al quale le Regioni devono attenersi nelle loro determinazioni. In tale contesto normativo si colloca la legge in scrutinio, con la quale la Regione Liguria ha individuato gli ambiti territoriali ottimali ai fini dell’organizzazione del SII (art. 5), attribuendo, all’interno di ciascun ATO, tutte le funzioni in materia di servizio idrico integrato stabilite dal d.lgs. n. 152 del 2006 ai Comuni in esso compresi che le esercitano attraverso l’Ente d’ambito (art. 6), chiamato, entro quattro mesi dalla costituzione, a predisporre il relativo piano (art. 8). 6.– A sostegno della conformità alla Costituzione dell’art. 10, co. 1, della legge reg. n. 1 del 2014, la Regione Liguria invoca l’esito

del referendum popolare che ha abrogato l’art. 23 bis del d.l. 25.6.2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, co. 26, della l. 23.7.2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internaziona-lizzazione delle imprese, nonché in materia di energia) e dall’art. 15, co. 1, lett. a) e a-bis) del d.l. 25.9.2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l. 20.11.2009, n. 166. Per effetto di tale abrogazione, afferma la resistente, «si riespande la possibilità - per il livello locale - di decidere quale strumento utilizzare nella gestione dei servizi» essendo stato, per primo, il legislatore statale ad escludere il SII dalla normativa pro-concorrenziale in forza dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011. Questa Corte - sempre secondo la Regione - con la sentenza n. 199 del 2012 avrebbe “affermato la legittimità dell’ipotesi di gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale direttamente rifacendosi ai criteri fissati dal diritto comunitario”. 6.1.– La linea ricostruttiva seguita dalla difesa resistente non può essere accolta poiché trascura di considerare che si verte nell’ambito delle competenze esclusive statali «tutela della concorrenza» e «tutela dell’ambiente» di cui questa Corte ha tracciato i contorni nella materia dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali. Deve premettersi che il servizio idrico integrato è stato qualificato come «servizio pubblico locale di rilevanza economica» (sentenza n. 187 del 2011) e che la disciplina dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali - inclusa la forma di gestione del servizio idrico integrato e le procedure di affidamento dello stesso - rientra nella materia di competenza esclusiva statale della tutela della concorrenza «trattandosi di regole “dirette ad assicurare la concorrenzialità nella gestione del servizio idrico integrato,

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disciplinando le modalità del suo conferimento e i requisiti soggettivi del gestore, al precipuo scopo di garantire la trasparenza, l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della gestione medesima”» (sentenza n. 325 del 2010). L’affidamento della gestione del SII attiene, altresì, alla materia della tutela dell’ambiente, parimenti riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2012 e n. 187 del 2011). Ne consegue che nell’alveo della ricostruita disciplina statale devono svolgersi le competenze regionali in materia di servizi pubblici locali (sentenze n. 270 del 2010, n. 307 e n. 246 del 2009), e che sono ammissibili «effetti pro-concorrenziali» degli interventi regionali nelle materie di competenza concorrente o residuale «purché [...] “siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza” (da ultimo, sentenze n. 45 del 2010 e n. 160 del 2009)» (sentenza n. 43 del 2011). 6.2.– All’abrogazione del sopra citato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 – che disciplinava anche l’affidamento diretto dei servizi pubblici locali di rilevanza economica «in deroga» all’affidamento in via ordinaria (cosiddetta gestione in house) – ha fatto seguito l’adozione del d.l. n. 138 del 2011, come convertito, che all’art. 4 recava le disposizioni in materia di adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea. A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4 in esame (sentenza n. 199 del 2012) si è prodotto l’effetto, come rimarcato da questa Corte, di «“escludere l’applicazione delle norme contenute nell’art. 23-bis che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)” (sentenza n. 24 del 2011) e di consentire, conseguentemente, l’applicazione diretta della normativa comunitaria conferente» (così la citata sentenza n. 199 del 2012). Pur essendosi quindi ritenuto che, a seguito delle vicende abrogative, alla materia dell’affidamento in house «si deve ritenere applicabile la

normativa e la giurisprudenza comunitarie [...] senza alcun riferimento a leggi interne» (sentenza n. 50 del 2013), non può sfuggire che «la normativa comunitaria consente, ma non impone, agli Stati membri di prevedere, in via di eccezione e per alcuni casi determinati, la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale» (sentenza n. 325 del 2010). 6.3.- Non può pertanto condividersi l’assunto della resistente in base al quale l’applicabilità diretta del diritto comunitario non porrebbe limiti all’affidamento in house del servizio idrico, giacché, secondo l’insegnamento di questa Corte, il sistema normativo interno basato sull’art. 113 del d.lgs. 18.8.2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come modificato dall’art. 14 del d.l. 30.9.2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l. 24.11.2003, n. 326, induce a ritenere che «i casi di affidamento in house, quale modello organizzativo succedaneo della (vietata) gestione diretta da parte dell’ente pubblico, debbono ritenersi eccezionali e tassativamente previsti» (sentenza n. 325 del 2010). Tale conclusione ben si armonizza con l’ambito di competenza specifico disegnato, come si è detto, dal co. 186 bis dell’art. 2 della l. n. 191 del 2009, in forza del quale il legislatore statale ha consentito alla legge regionale unicamente di individuare gli enti successori delle soppresse Autorità d’ambito territoriale ottimale, ai quali spetterà di deliberare, nel rispetto dei principi indicati, la forma di gestione del servizio idrico integrato (sentenza n. 228 del 2013). 7. - La razionalizzazione della gestione del servizio idrico è stata attuata dal legislatore statale consentendo alle Regioni di definire gli ambiti territoriali ottimali ed istituire strutture diversamente denominate (enti, comitati, autorità) alle quali sono trasferite le competenze degli enti locali che necessariamente vi fanno parte (sentenze n. 307 e n. 246 del 2009). La Corte ha altresì chiarito che la disciplina tesa al superamento della frammentazione verticale della gestione delle risorse idriche, demandando ad un’unica Autorità preposta all’ambito le funzioni di

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Gazzetta Amministrativa -240- Numero 1 - 2015

organizzazione, affidamento e controllo della gestione del SII, è ascrivibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, essendo diretta ad assicurare la concorrenzialità nel conferimento della gestione e nella disciplina dei requisiti soggettivi del gestore, allo scopo di assicurare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità del servizio (sentenze n. 325 del 2010 e n. 246 del 2009). Al tempo stesso, la disciplina in esame rientra nella sfera di competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente in quanto «l’allocazione all’Autorità d’ambito territoriale ottimale delle competenze sulla gestione serve a razionalizzare l’uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della “biosfera” intesa “come ‘sistema’ [...] nel suo aspetto dinamico” (sentenze n. 168 del 2008, n. 378 e n. 144 del 2007)» (sentenza n. 246 del 2009). Va rammentato, per completezza, che la giurisprudenza di questa Corte riconduce ai titoli di competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., sia la disciplina della tariffa del servizio idrico integrato (ex plurimis, sentenze n. 67 del 2013, n. 142 e n. 29 del 2010, n. 246 del 2009) sia l’affidamento della gestione di detto servizio (sentenze n. 228 del 2013, n. 62 del 2012, n. 187 e n. 128 del 2011, oltre alle già citate sentenze n. 325 e n. 142 del 2010, n. 307 e n. 246 del 2009). 7.1. - Con l’art. 10, co. 1, della l. n. 1 del 2014 il legislatore regionale ligure - attuando l’intervento teso a definire gli ambiti territoriali ottimali per l’organizzazione del servizio idrico ed a individuare gli enti destinati a succedere nelle competenze già spettanti alle soppresse Autorità d’ambito - attribuisce ai Comuni partecipanti all’ATO, già appartenenti alle Comunità montane e con popolazione inferiore o uguale a tremila residenti, la facoltà di gestire autonomamente, in forma singola e associata, l’intero SII. Come questa Corte ha avuto modo di affermare, ai sensi del terzo periodo del comma 186-bis dell’art. 2 della l. n. 191 del 2009 (inserito dall’art. 1, co. 1 quinquies, del d.l. n. 2 del 2010) «alla legge regionale spetta soltanto disporre l’attribuzione delle funzioni delle soppresse Autorità d’àmbito territoriale ottimale (AATO), “nel rispetto dei princípi di

sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”, e non spetta, di conseguenza, provvedere direttamente all’esercizio di tali funzioni affidando la gestione ad un soggetto determinato. Da ciò deriva, in particolare, che, in base alla normativa statale, la legge regionale deve limitarsi ad individuare l’ente od il soggetto che eserciti le competenze già spettanti all’AATO» poiché «la normativa statale non consente che la legge regionale individui direttamente il soggetto affidatario della gestione del SII e che stabilisca i requisiti generali dei soggetti affidatari di tale gestione (così determinando, indirettamente, anche le forme di gestione)» (sentenza n. 62 del 2012). Nel caso in esame il legislatore regionale, esulando dall’ambito di competenza tracciato dal legislatore statale, ha direttamente disposto in ordine ad una modalità di gestione «autonoma» del servizio idrico escludendo, in relazione all’ipotesi contemplata, «che l’ente individuato dalla Regione come successore delle competenze dell’AATO deliberi, con un proprio atto, le forme di gestione del servizio idrico integrato e provveda all’aggiudicazione della gestione del servizio» (sentenza n. 228 del 2013). Per tale ragione la norma censurata si pone in contrasto con il principio, espresso dalla normativa interposta, di unitarietà e superamento della frammentazione verticale delle gestioni, e quindi viola l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost. 8. - Il quadro normativo che sorregge la pronuncia di fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, co. 1, della legge reg. Liguria n. 1 del 2014 non muta, infine, alla luce della disciplina introdotta, in data successiva rispetto a quella in cui il ricorso è stato presentato, dal d.l. 12.9.2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164. L’art. 7, comma 1, lettera b), numero 4), del decreto-legge in esame introduce, tra l’altro, modifiche all’art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006, rafforzando le modalità attuative della

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Gazzetta Amministrativa -241- Numero 1 - 2015

definizione degli ambiti territoriali ottimali ed aggiungendo, dopo il co. 2 del citato art. 147, il seguente comma «2-bis. Qualora l’ambito territoriale ottimale coincida con l’intero territorio regionale, ove si renda necessario al fine di conseguire una maggiore efficienza gestionale ed una migliore qualità del servizio all’utenza, è consentito l’affidamento del servizio idrico integrato in ambiti territoriali comunque non inferiori agli ambiti territoriali corrispondenti alle province o alle città metropolitane. Sono fatte salve le gestioni del servizio idrico in forma autonoma esistenti nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti istituite ai sensi del co. 5 dell’art. 148». La disciplina in esame - pur essendo successiva alla legge regionale censurata - fa salva l’ipotesi di adesione facoltativa alla gestione unica del SII prevista dall’art. 148, co. 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, sostituito dall’art. 2, co. 14, del d.lgs. n. 4 del 2008, anch’esso modificato dal citato d.l. n. 133 del 2014, come convertito. È utile rammentare che il co. 5 del richiamato art. 148 è una disposizione che «attiene alla tutela dell’ambiente, con prevalenza rispetto alla materia dei servizi pubblici locali, perché giustifica la possibilità di deroghe all’unicità della gestione del servizio sul piano soggettivo, in ragione dell’elemento tipicamente am-

bientale costituito dalla peculiarità idrica delle zone comprese nei territori delle comunità montane», per cui nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente rientra «anche stabilire le condizioni in presenza delle quali i Comuni minori appartenenti alle comunità montane possono non partecipare alla gestione unica del servizio idrico integrato, e cioè che la gestione del servizio sia operata direttamente da parte dell’amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico controllata dallo stesso Comune» (sentenza n. 246 del 2009). Tanto premesso, non può ritenersi che la previsione regionale censurata sia rispettosa della opzione derogatoria successivamente dettata dal legislatore statale in materia di gestione autonoma del SII, sia sotto il profilo dell’individuazione dei Comuni ai quali tale facoltà è concessa (venendo ampliata, nella disposizione regionale, la platea ai comuni «con popolazione inferiore o uguale a tremila residenti» a fronte dei Comuni «con popolazione fino a 1.000 abitanti» previsti dal 5 co. dell’art. 148 e dal novellato co. 2 bis dell’art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006) sia per quanto concerne il «previo consenso della Autorità d’ambito competente», previsto dalla legge statale e non già dalla norma regionale in scrutinio.

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Sulla gestione del demanio marittimo. Parere 27/02/2015-100167/196, al 22724/13, Avv. Marco Stigliano Messuti, Avv. Ines Sisto. RISPOSTA La Direzione Marittima di Bari ha chiesto al-la Avvocatura dello Stato un parere in ordine all’applicabilità dell’art. 34 ovvero dell’art. 36 del Codice della Navigazione per la disci-plina di alcune aree che, pur se ancora ap-partenenti al demanio marittimo, hanno so-stanzialmente perso ogni funzione demaniale e sono di fatto da lungo tempo in uso al Co-mune di Bari che vi ha installato dei par-cheggi pubblici a pagamento a volte gestiti direttamente e a volte dati in gestione a terzi. L’Autorità marittima, volendo regolarizzare quella che sostanzialmente è un’occupazione di fatto di aree appartenenti al demanio ma-rittimo, ha chiesto all’Avvocatura di chiarire se nella fattispecie si possa far ricorso all’istituto della consegna in uso gratuito di cui all’art. 34 del C.N. ovvero se sia invece necessario ricorrere al rilascio di una con-cessione ai sensi dell’art. 36 del medesimo Codice. L’art. 34 del C.N., nel testo modifica-to dall’art. 1 della l. n. 308/2004, prevede che, su richiesta dell’amministrazione statale, regionale o comunale, determinate parti del demanio marittimo possono essere destinate ad altri usi pubblici, cessati i quali riprendo-no la loro destinazione normale. L’art. 36 del Regolamento del C.N., che di-

sciplina concretamente tale possibilità, pre-vede che la destinazione temporanea delle aree demaniali in favore di altre amministra-zioni debba essere autorizzata dal Ministro e debba avvenire attraverso un processo verba-le di consegna redatto dal capo comparti-mento, precisando che tale consegna non comporta il versamento di alcun canone. Il terzo comma del medesimo articolo preve-de però che l’utilizzazione da parte di terzi di beni demaniali compresi nelle zone conse-gnate gratuitamente ad altre amministrazioni resta soggetto alla disciplina dell’art. 36 del C.N. ai sensi del quale l'occupazione e l'uso, anche esclusivo, di beni demaniali avviene attraverso il rilascio di una concessione a ti-tolo oneroso. È stata proprio tale ultima previsione a far paventare all’Amministrazione una possibile responsabilità contabile, in quanto la conces-sione demaniale marittima di cui all’art. 36 C.N. comporta il versamento di un canone da parte del terzo utilizzatore che andrebbe de-voluto allo Stato. Riferisce la Direzione ma-rittima che la Regione Puglia con circolare 2.3.2012 n. 3668 ha affermato che le entrate riveniente dai parcheggi a pagamento non sono di ostacolo alla possibilità di applicare l’art. 34 C.N in quanto i proventi scaturenti dalla gestione del parcheggio pubblico a pa-gamento avrebbero una destinazione vincola-ta alla manutenzione, riqualificazione e valo-rizzazione dell’area, ai sensi dell’art. 7 co. 7 del d. lgs n. 285/1992 (codice della strada) il

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quale prevede che i proventi rivenienti dalla gestione del parcheggio pubblico a pagamen-to, in quanto spettanti agli Enti proprietari della strada, sono destinati alla installazione, costruzione e gestione di parcheggi in super-ficie, sopraelevai e sotterranei e al loro mi-glioramento e le somme eventualmente ecce-denti ad interventi per migliorare la viabilità urbana. Analoga posizione è stata successivamente assunta dalla Direzione Regionale dell’Agenzia del Demanio (nota 21.12.2012 n. 28342) la quale ha affermato che l’introito ottenuto dal pagamento del prezzo da parte dei privati per la sosta compensa le spese di manutenzione e gestione e che le aree del demanio marittimo destinate alla realizzazio-ne dei parcheggi a pagamento si possono as-similare alle aree su cui sono presenti opere pubbliche di urbanizzazione per cui vige l’istituto della consegna ex art. 34 C.N. Viceversa, il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, Direzione Generale dei Porti, ha espresso l’avviso che la destinazione dell’area a parcheggi a pagamento, compor-tando comunque un provento, anche se non necessariamente un lucro (nozione questa connessa a un fine speculativo) è inconcilia-bile con la possibilità di applicare l’art 34 del C.N. il quale contempla la consegna gra- tuita delle aree demaniali solo nel caso della contemporanea presenza di tre requisiti: l’assolvimento di funzioni di pubblica utilità comprese nella sfera di competenza istituzio-nale dell’amministrazione regionale o locale, la temporaneità dell’uso e l’assenza di scopo lucrativo (nota 16.4.2012 n. 4893) Il quesito posto all’Avvocatura è quindi il se-guente: se le aree ancora appartenenti al de-manio marittimo ma di fatto utilizzate dall’Ente Locale che ne ha irreversibilmente mutato la destinazione, urbanizzandole e uti-lizzandole per la gestione di un servizio di parcheggi a pagamento svolto dall’Ente loca-le o da terzi, possano costituire oggetto di un provvedimento di consegna in uso gratuito ai sensi dell’art. 34 del C.N., ovvero se per que-sti casi si debba applicare l’art. 36 del C.N. con la conseguente necessità del rilascio di una concessione demaniale a titolo oneroso. Esaminato il quesito posto si ritiene che la questione vada affrontata e risolta in un pro-

spettiva diversa da quella suggerita dall’Amministrazione. Si premette che l’art. 34 del C.N. nel testo novellato richiede, per la sua applicazione, la contemporanea presenza di tre requisiti: 1) l’assolvimento di funzioni di pubblica utili-tà comprese nella sfera di competenza istitu-zionale dell’amministrazione regionale o lo-cale; 2) la temporaneità dell’utilizzazione; 3) l’assenza di scopo lucrativo. Nella fattispecie l’uso pubblico cui le superfi-ci demaniali sono state destinate dall’amministrazione comunale non sembra essere temporaneo bensì definitivo, mancan-do quindi il secondo dei richiamati requisiti. Anche il terzo requisito non può ritenersi sus-sistente in quanto l’utilizzo del bene demania-le, pur se destinato ad assolvere un fine di pubblica utilità, non può ritenersi privo di scopo lucrativo. Pertanto non sussistono i presupposti per ritenere applicabile l’art. 34 C.N. e l’art. 36 del Regolamento. Fatta questa premessa, si ritiene che la solu-zione più opportuna per sanare le situazioni in esame, nelle quali il mutamento della de-stinazione delle aree demaniali è ormai irre-versibile avendo esse perso qualsiasi funzione attinente agli usi del mare, sia quella di pro-cedere ad una loro sdemanializzazione con successiva cessione all’Ente locale. A quest’ultimo fine si rammenta che ai sensi dell’art. 5 del d. lgs. n. 85/2010 sono trasferi-ti ai Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni, a titolo non oneroso, i beni apparte-nenti al demanio marittimo e relative perti-nenze, con esclusione di quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali. Il procedimento per attuare tale trasferimento è stato successivamente disciplinato dall’art. 56 bis, del d.l. n. 69/2013 convertito in l. n. 98/2013. Medio tempore, in attesa che la procedura si completi, si ritiene che le preoc-cupazioni dell’Autorità Marittima in ordine ad un’eventuale responsabilità contabile pos-sano essere agevolmente superate facendo riferimento al disposto di cui all’art. 105, del d.lgs. n. 112/1998, nel testo modificato dall’art. 9 della L. n. 88/2001, ai sensi del quale sono state conferite alle Regioni (e da queste successivamente delegate ai Comuni ai sensi dell’art. 42 del d. lgs. n. 96/1999) le

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Gazzetta Amministrativa -244- Numero 1 - 2015

funzioni relative “al rilascio delle conces-sioni di beni del demanio marittimo per fina-lità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia, ad eccezione che nei porti finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato, nei porti di rilevanza internazio-nale e nazionale, nonché nelle aree di premi-nente interesse nazionale” (lett.g, art. 105). L’art. 3, del già citato d.lgs. n. 85/2010, sul trasferimento dei beni dallo Stato agli Enti Locali, espressamente fa salve le funzioni amministrative già conferite agli Enti Terri-toriali dalla normativa vigente e l’art. 4 co. 12 quater del d.l. n. 16/2012 convertito in l. n. 44/2012 espressamente prevede che: "Nel-le more dell'attuazione delle disposizioni dell'art. 5, coo. 1, lett. e), e 5-bis, del d.lgs. 28.5.2010, n. 85, le amministrazioni compe-tenti proseguono nella piena gestione del pa-trimonio immobiliare statale, ivi comprese le attività di dismissione e valorizzazione". È pertanto evidente che allo stato attuale o-gni funzione amministrativa sui beni del de-manio marittimo, fatte salve quelle espressa-mente conservate allo Stato, appartenga alle Regioni ed ai Comuni. Con riferimento alla Regione Puglia occorre far riferimento alla L. R. n. 17/2006 con cui è stato disciplinato l'esercizio delle funzioni amministrative connesse alla gestione del demanio marittimo e delle zone del mare ter-ritoriale conferite dallo Stato ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, intendendosi per “ge-stione del demanio marittimo e delle zone del mare territoriale tutte le attività e i compiti individuati dall'art. 105, co. 2, lett. l), del d.lgs. 31.3.1998, n. 112” (art. 1 co. 3). L’art. 6 di detta legge, ha trasferito ai comuni costieri “l'esercizio di tutte le funzioni am-ministrative relative alla materia del demanio marittimo, fatte salve quelle espressamente individuate all'art. 5” il quale ultimo ha ri-servato alla Regione “il rilascio della con-cessione di beni del demanio marittimo ri-chiesti nell’uso del Comune” (art. 5 lett. f). La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che dal combinato disposto degli articoli 104 lett. v) e pp) e 105 coo. 1 e 2 del d. lgs n. 112/1998 emerge un quadro normativo nel

quale il demanio marittimo è considerato es-senzialmente sotto il profilo funzionale piut-tosto che della appartenenza, essendo state trasferite alle Regioni e, tendenzialmente, in via di ulteriore decentramento, ai Comuni tutte le funzioni che non siano relative ad usi specifici di portata nazionale (quali appunto la sicurezza della navigazione marittima e l’approvvigionamento energetico). Venendo ad applicare le richiamate disposi-zioni al caso prospettato si osserva che nes-suna delle zone su cui sono stati realizzati i parcheggi a pagamento rientra fra quelle per le quali sono state riservate allo Stato funzio-ni autorizzatorie (art. 104 d. lgs. n. 112/1998). Pertanto si ritiene che l’Autorità marittima non possa più esercitare su di esse alcuna funzione amministrativa, al di fuori dei poteri di vigilanza e controllo sul corretto uso del bene comunque spettanti, essendo ogni potere ormai attribuito alla Regione o al Comune. Ne consegue che, ove i parcheggi a pagamen-to siano dati in gestione a terzi, sarà necessa-rio che il Comune rilasci una concessione demaniale. Ove invece il parcheggio sia gestito dal Co-mune, si è dell'avviso che non occorra alcun titolo concessorio in quanto l'ente locale, nell'esercizio delle funzioni sopra illustrato, si limita a riservare a sé l'uso del bene. È pur vero che l’art. 5 lett. f) della L.R. n. 17/2006 prevederebbe, anche per tal casi, il rilascio di una concessione, tuttavia è da ri-tenere che la legge regionali utilizza in senso atecnico tale terminologia, posto che, secon-do pacifica giurisprudenza, tra soggetti pub-blici non può intercorrere un rapporto di concessione in senso proprio. Da ultimo, si evidenzia che, tra le diverse modalità di gestione del bene da parte del Comune, quest'ultimo - ricorrendone le con-dizioni di legittimità più volte chiarite dalla giurisprudenza - potrà utilizzare l'affidamen-to a società c.d. in house. Sulla questione è stato sentito il Comitato Consultivo di quest'Avvocatura, che nella se-duta del 19.2.2015 si è espresso in conformi-tà.

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -245- Numero 1 - 2015

COMUNICAZIONE E INNOVAZIONE

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI MODULI EDILIZIA: MINISTRO, CON-FERENZA REGIONI E PROVINCE AUTONOME E ANCI SCRIVONO A SINDACI E PRESIDENTI La Conferenza Unificata ha sancito il 18 di-cembre l'Accordo tra Governo, Regioni, Co-muni, Città metropolitane e Province, con-cernente l'adozione di moduli unificati e sem-plificati per la comunicazione di inizio lavori (CIL) e per la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) per gli interventi di edili-zia libera. E' il primo passo nell'attuazione dell'Agenda per la semplificazione 2015-2017 condivisa tra Governo, Regioni ed autonomie locali, approvata nella Conferenza Unificata del 13 novembre e dal Consiglio dei Ministri del 1 dicembre. I moduli, adeguati alle ultime novità introdot-te dallo "Sblocca Italia", sono stati predispo-sti (anche con il coinvolgimento delle asso-ciazioni imprenditoriali e degli ordini profes-sionali) in modo da assicurare il massimo di semplicità degli adempimenti per cittadini e imprese. Come è noto, ai sensi dall'art. 24, co. 4, d.l. 24.6.2014, n. 90, convertito, con modificazio-ni, dalla l. 11.8.2014, n. 114, i moduli unifi-cati e standardizzati adottati previa intesa in Conferenza costituiscono livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Sulla base di quanto previsto dalla legge e dall'Accordo, quindi, le Regioni adeguano entro 60 giorni (e cioè entro il 16 febbraio) la modulistica alle specifiche normative regio-nali e di settore (utilizzando le informazioni individuate come variabili). Entro lo stesso

termine, i Comuni adeguano la modulistica in uso. L'accordo e i moduli sono disponibili sulla relativa pagina del sito del Dipartimento del-la Funzione pubblica. L'adeguamento della modulistica da parte delle Regioni e dei Comuni, destinato ad ave-re un largo impatto su cittadini e imprese, sa-rà monitorato e pubblicizzato sulle pagine web dei siti: www.funzionepubblica.gov.it - www.regioni.it e www.anci.it. Per questa ragione vi preghiamo di inviare la notizia dell'adozione dei nuovi moduli e il re-lativo link alla casella di posta elettronica: [email protected] Certi della vostra collaborazione nell'assicu-rare la più tempestiva adozione e diffusione dei moduli al fine di rispondere alle attese dell'opinione pubblica, dei cittadini e delle imprese, vi inviamo cordiali saluti. Marianna Madia, Ministro per la Semplificazione e Pubblica Amministrazione Sergio Chiampa-rino, Presidente della Conferenza delle Re-gioni e delle Province Autonome Piero Fas-sino, Presidente dell'ANCI.

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MONITORAGGIO DELLE GRADUA-TORIE CONCORSUALI. RIAPERTA LA RILEVAZIONE. Inizia una nuova fase del monitoraggio tele-matico delle graduatorie concorsuali vigenti per assunzioni a tempo indeterminato, già ef-fettuato dal Dipartimento della funzione pub-blica in applicazione dell'art. 4, co. 5, del d.l. 31.8.2013, n. 101, convertito con modifica-zioni dalla l. 30.10.2013, n. 125.

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -246- Numero 1 - 2015

La nuova fase del monitoraggio si avvale di una nuova piattaforma raggiungibile all'indi-rizzo http://www.monitoraggiograduatorie.gov.it/, che consente alle amministrazioni di: - comunicare le proprie graduatorie, laddove non abbiano ancora provveduto; - aggiornare, ove necessario, il precedente inserimento di dati. Inoltre, il monitoraggio diventa permanente: ciascuna amministrazione sarà tenuta a co-municare le graduatorie di ogni eventuale nuova procedura concorsuale avviata nel ri-spetto della normativa vigente e che giunga a conclusione, aggiornando la situazione com-plessiva che la riguarda. Le amministrazioni che sono prive di gradua-torie vigenti sono tenute a darne espressa comunicazione . Entro il 31 gennaio di ogni anno è prevista la pubblicazione di un report rappresentativo

dei dati raccolti al 31 dicembre dell'anno precedente. Per l'anno 2015 il report sarà pubblicato en-tro il 31 maggio sulla base delle comunica-zioni inserite dalle amministrazioni alla data del 30 aprile 2015. Per qualsiasi richiesta inerente tale proce-dura di registrazione e per qualsiasi quesito di carattere tecnico, sarà possibile contattare il desk tecnico del Monitoraggio delle gra-duatorie concorsuali al numero telefonico 06.82.888.788 oppure scrivere a [email protected]. Eventuali quesiti di carattere normativo ine-renti il medesimo monitoraggio potranno es-sere indirizzati al seguente indirizzo di posta elettronica: [email protected] (Comunicato del 17.3.2015 Mini-stro per la Semplificazione e la Pubbicca Amministrazione).

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -247- Numero 1 - 2015

REDAZIONALI

PRE-COMMERCIAL PUBLIC PROCUREMENT. LA VALLE D’AOSTA PIONIERA NEL PRE-COMMERCIAL PUBLIC PROCUREMENT dei Dott.ri Fabrizio Clermont, Francesco Fionda, Giorgio Gallo, Paolo Lanzi

La Valle d’Aosta è stata tra le prime regioni in Italia ad aver utilizzato lo strumento del “Pre-Commercial Public Procurement” per creare un’azione di sistema tra imprese, enti locali e isti-tuti di ricerca e sviluppo per permettere, rispettivamente, un aiuto alla commercializzazione, l’ottenimento di nuovi servizi e un sostegno all’attività di ricerca. Si è trattato di un’esperienza pionieristica, che ha mostrato sia le potenzialità dello strumento, sia i suoi aspetti critici nella concreta applicazione. Aosta Valley is among the first Italian regions adopting the instrument of the Pre-commercial Public Procurement, in order to create a networking action between companies, public sector and R&D institutions, allowing a help to the commercialization of new products, the delivery of better public services, as well as a support to research and innovation. It has been a pioneering experi-ence, that has showed both the potential of this instrument and the critical elements in its concrete implementation. Sommario: 1. Premesse: a) La scelta di utilizzare lo strumento del PCP (Alcotra innova-tion/Living Lab). b) Sintesi dell’esperienza. 2. L’esperienza realizzata dalla Regione Valle d’Aosta: a) Le tematiche tecnologiche. b) L’esplicitazione dei bisogni. c) Problematiche emerse. d) La valutazione delle offerte. e) L’integrazione dei PCP con lo strumento dei Living Labs. f) La questione della proprietà intellettuale. 3. Gli esiti dell’esperienza valdostana: a) I risultati del 1° Pre-commercial public procurement. b) I risultati del 2° Pre-commercial public procurement. 4 Riflessioni finali: a) L’esperienza valdostana. b) Quali condizioni per realizzare un PCP? c) Uti-lità dello strumento PCP per gli enti pubblici e per le imprese. d) Come gestire un PCP, gli aspet-ti delicati da presidiare con attenzione. e) Il coinvolgimento delle imprese e la condivisione delle finalità dello strumento. f) La valutazione tecnica. g) Il ruolo di accompagnamento da parte dell’amministrazione pubblica. h) L’accompagnamento amministrativo. i) L’accompagnamento tecnico. l) La gestione del dopo appalto: la questione dei diritti di sfruttamento.

1. Premesse. a) La scelta di utilizzare lo strumento

del PCP (Alcotra innovation/Living Lab). L’esperienza valdostana nell’utilizzo dello

strumento del Pre-Commercial public Procu-rement (PCP) si è sviluppata nell’ambito del progetto strategico Alcotra Innovazione / Al-cotra Innovation, che è stato finanziato dal Programma di Cooperazione territoriale eu-ropea Alcotra 2007-2013.

Tale progetto si poneva come obiettivo il

miglioramento delle capacità di innovazione dei sistemi produttivi transfrontalieri, in par-ticolare tra Italia e Francia, favorendo la col-laborazione e la conoscenza reciproca tra im-prese, cluster, centri di ricerca, università ed istituzioni.

Per incentivare una concreta collaborazio-ne tra tali soggetti e favorire la capacità di in-novazione dei sistemi produttivi, le attività del progetto sono state orientate dalle Regioni partner del progetto (Valle d’Aosta, Piemon-

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -248- Numero 1 - 2015

te, Liguria, Provence-Alpes-Côte d’Azur e Rhône-Alpes) verso l’utilizzo di un approccio innovativo sviluppato per mezzo dei Living Labs, che sono “ecosistemi di innovazione aperta e guidata dagli utenti basata sullo svi-luppo continuo di partnership tra governi, imprese e ricercatori”.

Rispetto a tale approccio, un elemento che, all’amministrazione valdostana, è sembrato subito critico per lo sviluppo dell’idea proget-tuale è stato quello di assicurare il coinvol-gimento delle imprese nel progetto. Se, infat-ti, da un lato, lo sviluppo dei sistemi produtti-vi non poteva prescindere dalla presenza delle imprese, dall’altro era necessario creare le condizioni perché queste, pur inserendosi in un percorso di innovazione guidato dall’amministrazione pubblica, avessero un interesse concreto nel prendere parte alla spe-rimentazione di nuovi prodotti o servizi.

L’interesse non necessariamente avrebbe dovuto essere rappresentato da un ritorno e-conomico immediato, ma avrebbe potuto es-sere rappresentato dalla possibilità, per le im-prese, di sviluppare conoscenze in grado di fornire loro un vantaggio competitivo che a-vrebbero potuto valorizzare in una successiva attività di sviluppo, industrializzazione e commercializzazione di prodotti e servizi.

La Regione Valle d’Aosta ha, quindi, ipo-tizzato di abbinare ai Living Labs un appalto pre-commerciale.

Il Pre-Commercial public Procurement ha rappresentato, quindi, lo strumento ottimale per coinvolgere le imprese in un percorso di sviluppo condiviso con l’amministrazione pubblica di nuove soluzioni non ancora pre-senti sul mercato, attraverso un’attività di ri-cerca industriale, sviluppo sperimentale e prototipazione da parte delle imprese ed un’azione di accompagnamento da parte dell’amministrazione regionale.

Il percorso seguito sarà descritto nei punti successivi.

b) Sintesi dell’esperienza. Gli appalti pre-commerciali sono appalti

relativi alle attività di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti/servizi prima della loro com-mercializzazione.

In uno scenario economico dominato

dall’esigenza di rilancio della competitività, è evidente la valenza strategica di questo mo-derno istituto d’appalto, che può essere utiliz-zato come strumento di politica pubblica a sostegno della ricerca e dell’innovazione dal lato della domanda.

In quest’ottica, il Pre-Commercial public Procurement offre un’alternativa alle politi-che industriali basate sull’offerta e, quindi, su sovvenzioni e contributi pubblici alla ricerca e all’innovazione, che non sempre hanno un efficace impatto in termini di risultati dei progetti e di ricadute sul mercato, oltre ad es-sere particolarmente onerose per le finanze pubbliche: tale alternativa è rappresentata dal fatto che, a fronte di bisogni ed esigenze e-spressi dal territorio, si crea una domanda pubblica, che viene veicolata attraverso que-sta innovativa procedura di selezione ad evi-denza pubblica, in grado di sollecitare il mer-cato a rispondere a tali bisogni, stimolando le imprese ad innovare e a proporre nuove solu-zioni, prodotti o servizi, che siano idonei a soddisfare le sfide sociali.

Con il Pre-Commercial public Procure-ment, l’esborso finale per la pubblica ammi-nistrazione risulta inferiore, o comunque non superiore, a quello che avrebbe avuto finan-ziando direttamente lo sviluppo dei prodotti innovativi da parte delle imprese.

Inoltre, la finalizzazione delle attività di ri-cerca e sviluppo delle imprese al soddisfaci-mento dei bisogni espressi dalla pubblica amministrazione consente alle imprese di svi-luppare una soluzione, prodotto o servizio, che ha già un cliente potenziale e una prima referenza applicativa.

Alla luce di questi obiettivi strategici, si è delineato un percorso ideale, un business model, che ha visto come protagonista l’appalto pubblico pre-commerciale e che si è avvalso dell’integrazione di strumenti e me-todologie di innovazione aperta, quali i Living Labs: da una prima fase di dialogo con gli stakeholders, volta a far emergere sfide e bi-sogni collettivi ed a consultare il mercato per la ricerca di possibili soluzioni, si è passati alla fase di progettazione e di lancio del vero e proprio appalto pre-commerciale, con l’emissione di un bando di gara, che ha speci-ficato le richieste della stazione appaltante in

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -249- Numero 1 - 2015

termini di servizi di ricerca e sviluppo. A seguito dell’aggiudicazione della gara,

ha preso avvio, da parte delle imprese innova-tive aggiudicatarie, la prima fase dell’appalto, consistente nelle attività di ricerca e sviluppo, che si è conclusa con il rilascio di prototipi di pre-serie del prodotto o servizio sviluppato.

Al termine della prima fase le imprese hanno dovuto affrontare una nuova selezione e le migliori soluzioni da loro sviluppate sono state ammesse alla seconda fase secondo il principio dell’appalto pre-commerciale, che prevede una selezione per fasi successive.

A questo punto è iniziata la fase di speri-mentazione, testing e certificazione delle so-luzioni prototipali, in un ambiente Living Lab, e, pertanto, in condizioni reali, con pro-getti pilota locali e l’ausilio di potenziali con-sumatori ed utilizzatori finali, in un’ottica di innovazione aperta, sociale, partecipata.

Per garantire che le attività svolte dalle imprese appaltanti fossero effettivamente at-tività di ricerca industriale e sviluppo speri-mentale, il capitolato prevedeva che nell’offerta tecnica fosse individuato un par-tner scientifico (organismo di ricerca o ente pubblico di ricerca) che avrebbe dovuto sup-portare le attività di ricerca, sviluppo e speri-mentazione dell’impresa.

Inoltre, la Commissione di gara ha effet-tuato la verifica del contenuto di ricerca indu-striale e sviluppo sperimentale delle attività proposte nell’offerta tecnica dalle imprese.

A tal fine è stata particolarmente curata la scelta dei membri della Commissione, indivi-duando soggetti che possedessero elevata competenza tecnica nelle tematiche oggetto dell’appalto.

La stessa Commissione tecnica ha valuta-to, alla fine di ciascuna fase dell’appalto (fase di ricerca e sviluppo e fase di testaggio del prototipo) la corrispondenza tra le attività ef-fettuate e l’offerta tecnica presentata, la quali-ficazione di tali attività come attività di ricer-ca industriale e sviluppo sperimentale, non-ché l’idoneità del prototipo realizzato al sod-disfacimento del bisogno espresso dall’am-ministrazione.

2.L’esperienza realizzata dalla Regione

Valle d’Aosta.

a)Le tematiche tecnologiche. La Regione Valle d’Aosta, ed in particola-

re la struttura Ricerca, innovazione e qualità dell’Assessorato attività produttive energia e politiche del lavoro, nell’ambito del progetto Alcotra Innovazione, finanziato con fondi comunitari Interreg, ha deciso di bandire un appalto pubblico per acquisire, mediante lo strumento del Pre-Commercial public Procu-rement, servizi innovativi e prototipi di solu-zioni innovative, non ancora esistenti sul mercato, capaci di soddisfare i bisogni e-spressi dal territorio.

I settori tecnologici oggetto dell’appalto sono stati quelli relativi a Smart energies e Intelligent mobility, che, insieme con i settori tecnologici E-health e Creative industries, e-rano stati selezionati sulla base di un’attività di scouting tecnologico condotta nell’ambito del progetto Alcotra Innovazione.

Gli ambiti tematici delle Smart energies e dell’Intelligent mobility erano stati, infatti, i-dentificati in precedenza attraverso la mappa-tura del sistema economico delle regioni par-tner secondo un modello di Specializzazione intelligente, risultando rispondenti alla voca-zione territoriale prospettica e compatibili con forme di specializzazione settoriale.

L’utilizzo dell’appalto pre-commerciale permetteva, poi, di inserire, nella fase di spe-rimentazione, un’attività di coinvol-gimento di singoli o gruppi di utilizzatori finali secon-do la metodologia dei Living Labs, che costi-tuiva l’elemento distintivo del progetto Alco-tra Innovazione.

Si è trattato di un’esperienza pionieristica, tra le prime in Italia, che ha mostrato sia le potenzialità dello strumento, sia i suoi aspetti critici nella concreta applicazione1 2.

1 “The first properly-defined pre-commercial procure-ment experience in Italy was probably the one made in Valle d'Aosta” - Andrea Petrella - Fostering innovation through public procurement: rationale, implementation and best practices in Italy and Europe, Bank of Italy 2014 2 “E ha affiancato al lavoro di studio e di progettazione dei documenti amministrativi la messa in campo di alcuni progetti pilota, che sono alla data odierna in fase di lancio, in particolare nella Regione Puglia e in Val d’Aosta.” – AA.VV. - Gli appalti pre-commerciali per il finanziamento dell’innovazione nelle Regioni - Foresight tecnologico a livello

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -250- Numero 1 - 2015

Il modello teorico definito dalla Comuni-cazione CE intitolata “Appalti pre‐commer-ciali: promuovere l’innovazione per garanti-re servizi pubblici sostenibili e di elevata qualità in Europa” - COM(2007)799 del 14 dicembre 2007 ha dovuto, infatti, essere tra-dotto nella realtà sociale ed amministrativa italiana, generando alcune problematiche sul-le quali è opportuno riflettere.

b)L’esplicitazione dei bisogni. Secondo la COM(2007)799: “una parteci-

pazione precoce al processo di innovazione permette alle autorità pubbliche di evidenzia-re in una fase iniziale potenziali problemi di politica e normativi che occorre risolvere per garantire l’introduzione tempestiva delle nuove soluzioni nei servizi pubblici e in altri mercati”.

Per dare un’applicazione concreta alla pre-visione teorica della Comunicazione, prelimi-narmente all’indizione della gara d’appalto, sono state attivate:

a. un’indagine in merito ai bisogni e alle aspettative della collettività, degli enti pubblici territoriali e degli organismi di diritto pubblico presenti sul territo-rio (fondazioni, associazioni, agenzie, comuni…);

b. una chiamata di idee, finalizzata ad ef-fettuare una ricognizione presso il tes-suto produttivo (imprese, enti di ricer-ca, università … ) di possibili soluzio-ni innovative a problemi tecnologici o a problematiche socio-economiche presenti sul territorio.

Nello specifico, l’indagine dei bisogni e-mergenti dal settore pubblico è stata condotta attraverso:

a.1. l’invio di una scheda-questionario a mezzo posta elettroni-ca, in merito ai bisogni e alle aspetta-tive della collettività, degli enti pub-blici territoriali (Comuni e Comunità montane) e degli organismi di diritto pubblico (fondazioni, agenzie,…);

a.2. un workshop, finalizzato a completare ed approfondire il quadro

regionale – Quaderni dell’innovazione – Rubbettino 2012

dei bisogni e delle aspettative della collettività negli ambiti tecnologici Smart energies e Intelligent mobility, emerso dall’indagine sopra citata.

Parallelamente, la ricognizione delle pos-sibili soluzioni innovative è stata condotta mediante due azioni correlate:

b.1. la predisposizione di una sche-da-questionario, che è stata sia pub-blicata sul sito istituzionale della Re-gione Valle d’Aosta, sia inviata, tra-mite posta elettronica, ai rappresen-tanti del tessuto produttivo locale (im-prese, enti di ricerca, università… ), anche grazie al limitato numero di in-terlocutori presenti nel territorio val-dostano;

b.2. la realizzazione del workshop “Living Labs: imprese, P.A. ed utenti insieme per l’Innovazione”, con la fi-nalità di spiegare l’iniziativa, di rac-cogliere le possibili soluzioni innova-tive rispetto a problemi tecnologici o a problematiche socio-economiche pre-senti sul territorio, relative agli ambiti tecnologici Smart energies e Intelli-gent mobility, e di motivare istituzio-ni, imprese, centri di ricerca, universi-tà, incubatori, poli d’innovazione e as-sociazioni di consumatori locali a par-tecipare fattivamente al progetto Alco-tra Innovazione.

Il matching delle proposte di soluzioni in-novative non ancora disponibili sul mercato con i bisogni emersi dal territorio ha consenti-to di definire le problematiche tecnologiche specifiche nelle quali attivare l’appalto pre-commerciale per l’acquisizione di servizi di ricerca e sviluppo.

c)Problematiche emerse. In questa attività, il primo problema che si

è manifestato è stato quello di riuscire a mo-tivare i portatori di interesse, sia pubblici (in particolare gli enti pubblici territoriali), che privati, a fornire dei contributi.

Per quanto riguarda gli enti locali, è stata riscontrata una soddisfacente partecipazione all’indagine attivata sul campo, con alcuni Comuni, il Consorzio degli enti locali valdo-stani ed organismi di diritto pubblico, quali

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -251- Numero 1 - 2015

fondazioni ed agenzie di sviluppo territoriale, che hanno manifestato interesse nei confronti dell’iniziativa, fornendo il loro contributo per l’identificazione di bisogni, esigenze ed a-spettative della collettività e dichiarandosi di-sponibili a partecipare a progetti pilota di spe-rimentazione indirizzati verso tali bisogni.

Dal lato produttivo invece, hanno risposto alle richieste di manifestazioni di interesse soltanto 19 imprese, che rappresentano un numero significativo di interlocutori conside-rata la realtà locale, ma non sono molte in termini assoluti. Sulla base dell’esperienza fatta, emerge, quindi, la necessità di ottenere un forte coinvolgimento dei decisori politici nella motivazione dei portatori di interesse e la necessità di dedicare un tempo adeguato a questa fase: infatti, mediante un’opera di sen-sibilizzazione da parte dei policy makers lo-cali è possibile mettere a sistema le compo-nenti del sistema produttivo, promuovere il dialogo tra queste ed avviare un percorso ef-ficace di innovazione aperta.

Il secondo problema è stato quello di indi-viduare, tra i bisogni espressi dal territorio, quelli che fossero sufficientemente lontani dal mercato da richiedere un’attività di ricerca e sviluppo per ottenere una soluzione innovati-va (in termini di prodotto o servizio), senza però rischiare di non poter essere soddisfatti perché le imprese non avrebbero potuto tro-vare una soluzione adeguata ai bisogni e-spressi all’interno della durata temporale li-mitata dell’appalto.

Se, infatti, il bisogno manifestato avesse potuto essere soddisfatto soltanto mediante lo sviluppo di un prodotto o servizio radical-mente nuovo, i tempi definiti nell’appalto pre-commerciale e le risorse finanziarie stan-ziate non sarebbero stati certamente sufficien-ti.

Questo problema è stato causato, princi-palmente, dalla necessità di assicurare il completamento delle attività in tempi compa-tibili con la durata del progetto Alcotra Inno-vazione, limitando a soli 6 mesi la durata del-le attività di ricerca e sviluppo.

In un’ipotesi ottimale, invece, sarebbe op-portuno assicurare alle imprese tempi suffi-cienti allo sviluppo della soluzione innovati-va, così da garantire la realizzazione di un

appalto pre-commerciale ancora più lontano dal mercato.

Sulla base dell’esperienza effettuata, si può ritenere, infatti, che, con un tempo di svi-luppo pari ad almeno 12 mesi, sia possibile collocarsi più “a monte” del mercato, privi-legiando attività nelle quali sia preponderante l’aspetto della ricerca industriale rispetto a quello dello sviluppo precompetitivo.

Il terzo problema è stato la definizione del bisogno, che doveva essere tale da consentire l’elaborazione di soluzioni innovative (in termini di nuovi prodotti o servizi) che fosse-ro tra loro confrontabili, per poter “procedere all’aggiudicazione di appalti in fasi, nell’arco di un certo periodo di tempo, assi-curando la concorrenza tra le imprese per creare una gamma di opzioni [COM(2007)799]” .

Considerato il fatto che si trattava della prima esperienza di appalto pre-commerciale e che riguardava un territorio con un’estensione limitata, sulla base dei risultati dell’indagine si è scelto di individuare 3 biso-gni afferenti all’ambito tecnologico Smart e-nergies e 3 bisogni afferenti all’ambito tecno-logico Intelligent mobility.

I bisogni individuati in tema di Smart e-nergies sono stati così definiti:

1. sistemi di accumulo energetico (quali batterie, volani, pompaggi, accu-muli termici, …) in grado di bi-lanciare, a livello locale, la pro-duzione di energia da fonti rinno-vabili con il consumo, in un’ottica di miglioramento dell’efficienza complessiva dei sistemi anche nei confronti della rete elettrica. Tali sistemi dovranno essere associati a una o più utenze dotate di im-pianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili (ad es. solare fotovoltaico) e potranno adattarsi sia alle esigenze di utenze collega-te alla rete elettrica (on-grid) sia alle esigenze di utenze non colle-gate alla rete elettrica (off-grid);

2. sistemi di monitoraggio, controllo e gestione, anche da remoto, dei consumi e delle produzioni ener-getiche di utenze caratterizzate da

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -252- Numero 1 - 2015

sistemi energetici complessi (si-stemi multienergia) con le seguen-ti finalità: − informare in tempo reale le u-

tenze sull’andamento dei con-sumi e delle produzioni (profili di consumo e di produzione);

− segnalare gli eventuali mal-funzionamenti del sistema e gli scostamenti dal funzionamento ottimale;

− indicare alle utenze le azioni da intraprendere al fine del miglioramento dell’efficienza del sistema e del bilanciamen-to ottimale, anche rispetto al costo dell’energia, tra produ-zione e consumo;

− fornire previsioni sulla produ-cibilità attesa degli impianti da fonti rinnovabili e sulle possibili misure da intrapren-dere per il bilanciamento dei consumi;

− fornire tutte le informazioni da remoto su apparecchiature di ampia diffusione quali smar-tphone e tablet, anche attra-verso la realizzazione di ap-plicazioni dedicate;

3. sistemi di gestione intelligente delle reti di servizi.

Un esempio applicativo che risulta di inte-resse è il monitoraggio continuo della rete idrica al fine di individuare in maniera tem-pestiva eventuali perdite delle tubazioni prin-cipali e limitare al minimo indispensabile il disagio alle utenze a causa della sospensione del servizio per la conseguente riparazione. Tale soluzione potrebbe permettere di conse-guire un sensibile risparmio di energia elet-trica quando la rete idrica comunale sia ali-mentata da acqua emunta da pozzi. Presso punti dedicati e distribuiti opportunamente lungo la rete, dovrebbe essere installata un’idonea sensoristica in grado di comunica-re i dati rilevati, mediante rete di trasmissio-ne GPRS o altra, ad un centro di raccolta da-ti, quale la sede dell’acquedotto comunale, per la loro analisi e verifica in tempo reale e per la successiva programmazione degli in-

terventi di manutenzione e riparazione. I bisogni individuati in tema di Intelligent

mobility sono stati così definiti: 1. monitoraggio della rete stradale me-

diante sensori che siano in grado di rilevare le condizioni ambientali del fondo stradale e/o eventuali eventi ac-cidentali che modifichino le condizio-ni di circolazione e/o fenomeni di congestione, per le seguenti finalità:

− consentire interventi sul traffi-co in caso di congestionamen-to,

− realizzare interventi di ripri-stino della sede stradale,

− realizzare un database dei flussi di traffico ai fini di pia-nificazione;

2. disponibilità di sistemi innovativi per il pagamento della sosta integrati con sistemi informativi sui trasporti pub-blici locali.

Un esempio applicativo che risulta di inte-resse è costituito da sistemi che consentano di attivare e pagare il parcheggio con smar-tphone: il sistema dovrebbe prevedere la ta-riffazione della sosta di autoveicoli in aree cosiddette blu e dovrebbe essere applicabile in realtà medio-piccole.

In risposta alle difficoltà di chi viaggia utilizzando trasporti intermodali e alle pro-blematiche di reperimento di informazioni corrette e aggiornate, l’applicativo dovrebbe essere interconnesso con i sistemi di monito-raggio ed informazione dei vettori pubblici. Il servizio informativo potrebbe fornire, sullo smartphone dell’utente, ora esatta di arrivo a destinazione, stazione o punto di interscam-bio, possibilità di pagamento del ticket di vi-aggio direttamente da smartphone, individua-zione di eventuali coincidenze con altri mezzi per altre tratte di viaggio, anche alternative (differenziando tipologie di vettore) e, in caso di ritardo dei vettori nelle tratte interessate, informazioni su modalità alternative di pro-seguimento del viaggio. Tale sistema potreb-be fornire un servizio di travel planning che consenta di pianificare l’impiego dei diversi mezzi di trasporto pubblico per il collega-mento tra varie località;

3. sistemi di gestione di veicoli in condi-

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -253- Numero 1 - 2015

visione. Un esempio applicativo che risulta di inte-

resse è costituito da sistemi che consentano il prelievo ed il pagamento tramite smartphone di biciclette elettriche in bike sharing, con possibilità di prenotazione on line della bici-cletta.

La scelta di riunire all’interno del medesi-mo appalto due tematiche tecnologiche diver-se, ciascuna rappresentata da tre bisogni, ha rappresentato un ragionevole compromesso, dovuto al fatto che si trattava di un’esperienza pionieristica e che occorreva garantire il completo utilizzo delle risorse del progetto, ottimizzando la gestione dei fondi dell’appalto. La scelta assunta ha, infatti, fa-vorito la partecipazione delle imprese, pur rendendo più complicata la comparazione delle offerte tecniche presentate dalle imprese nelle diverse fasi, essendo le stesse riferite a bisogni differenti. Nella conduzione di appalti pre-commerciali, sarebbe, invece, opportuno che l’appalto fosse finalizzato su di un unico bisogno, definendone il contenuto in modo meno specifico, per poter valutare un maggior numero di offerte tecniche caratterizzate dal fatto che siano maggiormente omogenee fra loro e, quindi, maggiormente confrontabili sulla base dei criteri di valutazione.

Definendo il contenuto del bisogno in ter-mini più generali, si avrebbe, infatti, l’effetto di aumentare il numero di candidati permet-tendo alla pubblica amministrazione di effet-tuare una selezione più efficace.

Mapping e Match-

ing Pre-Commercial Public Procurement

Dialogo con gli stakehol-

der

per far emergere le esigen-

ze

Consultazione aperta di

mercato

per la ricerca di soluzioni

R&S

Prototipazione

Produzione di serie di test

limitate

Verifica e certifica-

zione dei prototipi

con i progetti pilota

locali

"Fase 0" "Fase 1" "Fase 2"

(2 mesi) (6 mesi) (6 mesi)

d)La valutazione delle offerte. La COM(2007)799 prevede quanto segue: “ I principi di base sono i seguenti: − sfidare il mercato in modo aperto e

trasparente e invitare un certo nume-ro di imprese a elaborare, in concor-renza, le migliori soluzioni possibili per risolvere il problema;

− analizzare e confrontare i pro e i con-tro di soluzioni alternative. Questo processo di apprendimento reciproco tra acquirenti pubblici e imprese per-mette di avere solide conferme sulle esigenze funzionali e sui requisiti di prestazione sul lato della domanda, e sulle capacità e sulle limitazioni dei nuovi sviluppi tecnologici sul lato dell’offerta;

− organizzare gli appalti come una pro-cedura graduale, che preveda valuta-zioni dopo ogni fase di R&S, per sele-zionare gradualmente le soluzioni mi-gliori. Ciò consente agli acquirenti pubblici di orientare lo sviluppo nel corso del processo per soddisfare al massimo le esigenze del settore pub-blico.”

Nell’appalto pre-commerciale che è stato realizzato si è, quindi ,scelto di effettuare la valutazione delle offerte secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, attribuendo 70 punti all’offerta tecnica e 30 punti all’offerta economica.

In particolare, le offerte tecniche presenta-te dagli operatori economici nella prima fase sono state selezionate mediante l’applica-zione dei criteri di valutazione e l’attribu-zione dei punteggi di seguito indicati:

1

Caratteristiche di transnazionalità

dei proponenti, con riferimento

alle regioni del progetto Alcotra

Innovazione.

max

5

punti

2

Grado di rispondenza dell’offerta

in termini di soddisfacimento po-

tenziale del bisogno rilevato dalla

pubblica amministrazione.

max

20

punti

3 Qualità scientifica delle attività di

ricerca industriale e sviluppo spe-

max

15

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -254- Numero 1 - 2015

rimentale, incluse le competenze

tecnico-scientifiche del gruppo di

lavoro proposto.

punti

4

Grado di innovazione degli obiet-

tivi realizzativi rispetto allo stato

dell’arte del settore.

max

10

punti

5

Valore aggiunto fornito dalla me-

todologia di sperimentazione (Li-

ving Labs), compresa la eventuale

transnazionalità degli utilizzatori

finali, con riferimento alle regioni

del progetto Alcotra Innovazione.

max

15

punti

6

Livello di realizzabilità e coerenza

del progetto nel suo insieme,

comprensivo anche della seconda

fase.

max

5

punti

Non sono state ammesse a valutazione e-

conomica le offerte tecniche con punteggio inferiore a 50 punti.

Tra i criteri di valutazione, i criteri 2, 3, 4 e 6 erano riferiti alle caratteristiche peculiari dell’appalto pre-commerciale, mentre il crite-rio 1 era riferito alle caratteristiche di tran-snazionalità dell’iniziativa Alcotra Innova-zione e il criterio 5 era riferito alla specifica sperimentazione nella forma di Living Labs.

Le offerte economiche sono state valutate sulla base di due parametri, che pesavano cia-scuno per il 50 % della valutazione:

− prezzo complessivo offerto; − sconto sul costo di produzione.

Nella seconda fase le offerte tecniche sono state selezionate mediante l’applicazione dei criteri di valutazione e l’attribuzione dei pun-teggi di seguito indicati:

1

Grado di rispondenza del proto-

tipo in termini di soddisfacimen-

to potenziale del bisogno rileva-

to dalla pubblica amministra-

zione.

max

15

punti

2

Valore aggiunto fornito dalla

metodologia di sperimentazione

(Living labs), compresa la even-

tuale transnazionalità degli uti-

lizzatori finali, con riferimento

alle regioni del progetto Alcotra

max

20

punti

Innovazione.

3

Qualità, coerenza e sostenibilità

del progetto di sperimentazione

da parte degli utilizzatori.

max

15

punti

4

Qualità ed affidabilità del siste-

ma di monitoraggio della speri-

mentazione e di valutazione dei

feed back da parte degli utilizza-

tori.

max

10

punti

5 Modalità di sfruttamento dei di-

ritti di proprietà intellettuale.

max

10

punti

Anche in questo caso, il criterio di valuta-

zione 2 era riferito alla specificità dell’appalto, che richiedeva una sperimenta-zione nella forma di Living Lab.

Per le offerte economiche si sono utilizzati gli stessi criteri della prima fase.

Una particolarità che occorre evidenziare è che nella valutazione delle offerte economi-che si è scelto di valutare le offerte economi-che non soltanto con l’usuale criterio del prezzo più basso, ma premiando anche chi fa-ceva un maggiore sconto sul costo di produ-zione: questa scelta aveva l’intento di favori-re progetti più ambiziosi nei quali la compar-tecipazione alle spese da parte dell’impresa era maggiore, cioè, in altre parole, di favorire le imprese che accettavano di lavorare con un apporto di risorse pubbliche che non coprisse la totalità dei costi sostenuti.

e)L’integrazione dei PCP con lo stru-

mento dei Living Labs. Una assoluta peculiarità degli appalti pre-

commerciali sviluppati nell’ambito del pro-getto valdostano è rappresentata dal fatto che la fase di verifica e certificazione dei prototipi è stata condotta nella forma di Living Labs.

I Living Labs3 sono stati concepiti come

3 La Regione Valle d’Aosta, nel 2012, ha creato il primo Living Lab denominato Vallée Lab. Quest’ultimo dal 24.5.2012 è membro di ENoLL (European Network of Living Labs). Gli obiettivi di Vallée Lab sono: • Facilitare il match tra i bisogni, le attese e le

esigenze dei cittadini e degli utilizzatori, da una parte, e le idee di business, progetti e prototipi

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -255- Numero 1 - 2015

contesti aperti di innovazione e validazione di nuovi prodotti e servizi, dove gli utilizzatori finali possono interagire con le imprese inno-vative e sperimentare i prodotti e i servizi in questione, fornendo alle stesse imprese dei feedback per il miglioramento e, successiva-mente, il lancio sul mercato degli stessi.

Si tratta di un aspetto distintivo dell’appalto, dovuto alle caratteristiche del progetto Alcotra Innovazione, in cui si è inse-rita questa esperienza: tale aspetto peculiare non ha presentato problemi particolari, ma, anzi, ha contribuito al successo dell’iniziativa, consentendo alla pubblica amministrazione di orientarsi verso forme ef-ficaci di innovazione aperta, partecipata, in cui gli utenti e i consumatori hanno giocato un ruolo fondamentale e sono stati chiamati a fornire il loro personale apporto per lo svi-luppo e la definizione del nuovo prodotto o servizio.

Peraltro, questo business model aderisce bene al modello delineato da COM(2007)799: “ la valutazione delle prestazioni dei prototipi e dei prodotti sperimentali in un ambiente operativo reale permette agli acquirenti pub-blici di adeguare lo sviluppo dei prodotti alle priorità del cliente in una fase in cui è ancora possibile influire sui piani delle imprese e su-gli standard in preparazione.”

In termini operativi, gli utenti finali, iden-tificati in amministrazioni locali o in altri or-ganismi pubblici (istituzioni scolastiche e u-niversitarie, enti pubblici), hanno svolto azio-ni di validazione e verifica a titolo gratuito, ospitando i prodotti/servizi da testare in strut-ture di loro proprietà.

Si sono, quindi, creati dei flussi di dati re-lativi alle prestazioni, al consumo di risorse, alla soddisfazione degli utenti e altre osserva-zioni che, partendo dagli utenti finali, hanno

sviluppati dalle imprese e dagli enti di ricerca, dall’altra;

• Fornire un’azione catalizzatrice per la sperimentazione da parte degli utilizzatori di nuovi prodotti/servizi e per l’adozione rapida, secondo una metodologia d’innovazione aperta, di nuovi prodotti/servizi rispondenti ai bisogni della collettività;

• Rendere il Living lab un luogo fisico e immateriale di incontri transfrontalieri tra i differenti attori dell’innovazione aperta.

raggiunto le imprese e gli istituti di ricerca coinvolti nel progetto mediante una piatta-forma informatica online, liberamente acces-sibile, in grado di raccogliere ed elaborare i dati4.

Al termine della sperimentazione, le im-prese, elaborando i dati ricevuti dai feedback degli utenti finali e con il supporto degli or-ganismi di ricerca partner dei progetti, sono state in grado di ottimizzare il prodotto o il servizio, che ha potuto, quindi, essere reso di-sponibile per la commercializzazione.

Occorre, però, osservare che l’abbina-mento tra i due strumenti non è stato così semplice, in quanto alcuni prodotti che sono stati sviluppati nella prima fase di ricerca in-dustriale e sviluppo sperimentale non hanno potuto accedere alla seconda fase non perché fossero qualitativamente inferiori a quelli dei concorrenti, ma perché risultavano meno a-datti ad essere sperimentati nella forma di Li-ving Labs.

D’altronde, inserire in fase di accesso al bando un filtro in base all’idoneità o meno delle soluzioni innovative proposte dalle im-prese (in quel momento ancora totalmente virtuali) a tradursi, al termine della prima fase dell’appalto, in prototipi idonei ad essere va-lidati all’interno di un Living Lab sarebbe sta-ta una scelta per un verso restrittiva, per l’altro arbitraria, rischiando di escludere fin dall’inizio delle soluzioni che avrebbero potu-to tradursi in prodotti pienamente sperimen-tabili all’interno di un Living Lab.

f) La questione della proprietà intellet-

tuale. Secondo la COM(2007)799, i risultati del

Pre-Commercial public Procurement devono essere resi disponibili ad un largo pubblico, composto da enti pubblici potenzialmente in-teressati e anche da imprese, al fine di assicu-rare un’ampia utilizzazione della soluzione innovativa.

Nel caso in cui le attività interessate da appalti pre-commerciali generino tecnologie soggette a diritti di proprietà intellettuale, l’impresa che ha vinto l'appalto e l'ammini-strazione pubblica aggiudicatrice dovrebbero

4 http://all.alcotra-innovazione.eu/

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -256- Numero 1 - 2015

agire come comproprietari, in uno spirito di condivisione dei rischi e dei benefici.

Nell’intento di favorire un’ampia commer-cializzazione della soluzione innovativa indi-viduata, la Regione Valle d’Aosta ha indicato nell’appalto che era disposta a cedere a titolo oneroso i diritti di proprietà industriale legati ai risultati delle attività di ricerca e sviluppo e della sperimentazione: in tal modo l’operatore economico avrebbe potuto utilizzare i risultati per altri potenziali clienti e sarebbe stato nelle condizioni migliori per sfruttare commer-cialmente il prototipo.

Tale cessione avrebbe potuto essere com-pensata, a titolo esemplificativo ma non esau-stivo, da una riduzione del valore commercia-le dell’offerta economica dei servizi di ricerca e sviluppo o ancora da formule di licenze li-bere.

In particolare, il valore dei diritti di pro-prietà intellettuale sarebbe entrato a fare parte integrante del prezzo pagato all’impresa, che avrebbe dovuto applicare un ulteriore “scon-to” sul valore di mercato dell’appalto: questa riduzione del prezzo sarebbe stata la contro-partita per la rinuncia, da parte dell’amministrazione pubblica, ai propri dirit-ti di proprietà intellettuale sullo sfruttamento commerciale dei risultati innovativi generati.

L’amministrazione aggiudicatrice, tuttavia, avrebbe conservato il diritto di utilizzare il prodotto o servizio “senza licenza”.

Negli appalti pre-commerciali valdostani, quindi, il valore dei diritti di proprietà intel-lettuale è entrato a fare parte integrante del prezzo pagato all’impresa, che ha applicato un ulteriore “sconto” sul valore di mercato del servizio in fase di gara.

L’offerta tecnica riportava, infatti, uno specifico paragrafo:

“Sfruttamento dei diritti di proprietà intel-lettuale.

Indicare le modalità con cui si intendono regolamentare i rapporti giuridici con l’amministrazione appaltante in merito ai di-ritti di proprietà intellettuale.

Indicare le modalità con cui è stato deter-minato il valore dei diritti di proprietà intel-lettuale.”

Conseguentemente, l’offerta economica riportava il paragrafo:

Che il prezzo offerto è così dettagliato :

Voce di spesa Costo di

produ-

zione

Prez-

zo

offer-

to

Percen-

tuale di

sconto

1. Spese di personale

2. Strumentazione e attrezzature

3. Servizi di consulen-za

4. Materiali

Primo totale

5. Diritti di proprietà intellettuale (in detra-zione)5

Totale

Inoltre, dopo la fine degli appalti, con l'in-

tento di favorire un’ampia commercializza-zione delle soluzioni innovative individuate, la Regione ha ceduto alle imprese, a titolo oneroso, i risultati delle attività di ricerca, svi-luppo e sperimentazione.

Si sono, quindi, definiti dei contratti che hanno regolamentato tali cessioni, in cambio di un corrispettivo per i diritti di proprietà in-dustriale che è consistito, oltre allo sconto sul prezzo offerto di cui al paragrafo precedente, in servizi in natura (es. manutenzione del pro-totipo per un determinato periodo o cessione alla pubblica amministrazione di altri prototi-pi).

3.Gli esiti dell’esperienza valdostana. a) I risultati del 1° Pre-commercial pu-

blic procurement. Come precedentemente descritto, i bisogni

individuati dalla Regione Valle d’Aosta che gli operatori economici dovevano soddisfare rientravano nei domini tecnologici Smart energies ed Intelligent mobility.

Il bando è stato lanciato nel mese di marzo 2012 con scadenza nel mese di giugno 2012 e prevedeva due fasi:

• fase di ricerca e sviluppo di soluzioni innovative per soddisfare bisogni

5 Il valore dei diritti di proprietà intellettuale deve esser portato in detrazione rispetto al prezzo offerto per il servizio.

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Gazzetta Amministrativa -257- Numero 1 - 2015

pubblici; • fase di sperimentazione delle soluzio-

ni rilevate nella prima fase attraverso la metodologia Living Lab.

In risposta al bando sono state presentate 9 offerte da parte di imprese o raggruppamenti temporanei di imprese innovative localizzate in Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria e Lom-bardia.

Le imprese/raggruppamenti aggiudicatari sono stati 5.

Durante il mese di ottobre 2012 sono stati firmati i contratti con le imprese e raggrup-pamenti temporanei di imprese aggiudicatari della prima fase dell’appalto:

• ambito tecnologico Smart energies − Electro Power Systems S.p.A.

- progetto HY-STORAGE: Svi-luppo e prototipazione di si-stemi di accumulo energetico con vettore idrogeno. EPS ha sviluppato prototipi di sistemi di generazione di idrogeno a-limentati da fonte rinnovabile integrati con sistema di produ-zione di energia elettrica e termica per l'alimentazione dei consumi elettrici e termici: il sistema è in grado di stoccare l'energia elettrica in esubero o inutilizzata proveniente dalla fonte rinnovabile sotto forma di idrogeno e di fornire energia elettrica e termica quando ri-chieste dall'utenza.

Partner individuati per il Living Lab: Ostello Comune di Saint-Denis (Valle d’Aosta) e Centro di sperimentazione e assi-stenza agricola di Albenga (Liguria).

− Proxima Centauri S.r.l. - pro-getto APPLUS ENERGIE : Le premier Living Lab à l'école: apprendre plus, consommer moins. Soluzione innovativa per il monitoraggio, il control-lo e la gestione, anche da re-moto, dei consumi e delle pro-duzioni energetiche di utenze caratterizzate da sistemi ener-getici complessi, con attenzio-ne ai cambiamenti sia real-

time sia di trend e con la gene-razione degli alert necessari.

Partner individuati per il Living Lab: Politecnico di Torino - sede di Torino, Poli-tecnico di Torino - sede di Verrès, scuola su-periore di Verrès (Valle d’Aosta).

• ambito tecnologico Intelligent mobi-lity

− RTI Softeco Sismat S.r.l. - La-ser S.r.l. - Progetto MOBINVALLEE: Servizi in-novativi per la gestione della mobilità e dei flussi turistici con particolare riferimento alla gestione della sosta, integrata con sistemi informativi sui tra-sporti pubblici locali. Il siste-ma si avvale di soluzioni ICT per l'accesso on-line, da parte degli utenti in mobilità, delle informazioni relative al tra-sporto pubblico e per la ge-stione di servizi quali disponi-bilità parcheggi, pagamento della sosta e booking di servizi relativi a siti di interesse natu-ralistico e culturale.

Partner individuati per il Living Lab: Comune di Cogne (Valle d’Aosta), Comuni della Valle d’Aulps (Francia), Fondazione Grand Paradis (Valle d’Aosta).

− RTI Swarco Mizar S.p.A. - Si-stra S.r.l. - Progetto MOMO CAST: Soluzione per il moni-toraggio di anomalie di traffi-co in presenza di perturbazioni stradali come i cantieri. La tecnologia proposta permette di informare in tempo reale l'u-tilizzatore (operatore stradale) con i dati rilevati su conge-stioni, code e tempi di percor-renza.

Partner individuati per il Living Lab : Assessorato opere pubbliche, difesa del suolo e edilizia residenziale pubblica – ufficio via-bilità della Regione Valle d’Aosta – strada nel comune di Verrès.

− RTI Santer Reply S.p.A. - Zi-rak S.r.l. - Progetto BI.S.EL.CE.: Sistema di bike

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Gazzetta Amministrativa -258- Numero 1 - 2015

sharing per bici elettriche con accesso al servizio e pagamen-to tramite cellulare e alimenta-zione fotovoltaica.

Partner individuati per il Living Lab: Comune di Hône (Valle d’Aosta) e città di Mondovì (Piemonte).

Le 5 imprese/raggruppamenti temporanei di imprese innovative aggiudicatari della pri-ma fase hanno realizzato il progetto di ricer-ca, sviluppo e prototipazione, che si è conclu-so, come da previsioni, durante il mese di a-prile 2013.

Nello stesso periodo sono state presentate le offerte per la seconda fase dell’appalto, i-nerenti la sperimentazione in ambiente Living Lab, che sono state valutate il 13 maggio 2013.

Le 3 imprese/raggruppamenti temporanei di imprese aggiudicatari della seconda fase sono stati:

• ambito tecnologico Smart energies − Proxima Centauri S.r.l. - pro-

getto APPLUS ENERGIE; • ambito tecnologico Intelligent mobi-

lity − RTI Softeco Sismat S.r.l. - La-

ser S.r.l. - Progetto MOBINVALLEE;

− RTI Swarco Mizar S.p.A. - Si-stra S.r.l. - Progetto MOMO CAST.

Nel mese di giugno 2013 i 3 soggetti sopra menzionati hanno iniziato la seconda fase di sperimentazione in condizioni reali in am-biente Living Lab, che si è conclusa nel mese di ottobre 2013.

Tra i Living Labs sopra citati è opportuno osservare che ve ne è stato uno di tipo tran-sfrontaliero, che ha visto il coinvolgimento di utilizzatori dislocati:

• a Cogne (in Italia), • nei Comuni della Valle d’Aulps (co-

muni dello Chablais), in Francia, per la sperimentazione di servizi innovativi

per la gestione della sosta integrata con si-stemi informativi sui trasporti pubblici locali.

b)I risultati del 2° Pre-commercial pu-

blic procurement. I bisogni formulati dall’amministrazione

pubblica che gli operatori economici doveva-no soddisfare riguardavano l’ambito tecnolo-gico Smart energies, in particolare:

• sistemi di accumulo energetico (quali batterie, volani, pompaggi, accumuli termici, …) in grado di bilanciare, a livello locale, la produzione di energia da fonti rinnovabili con il consumo, in un’ottica di miglioramento dell’efficienza complessiva dei siste-mi anche nei confronti della rete elet-trica;

• sistemi di monitoraggio, controllo e gestione, anche da remoto, dei con-sumi e delle produzioni energetiche di utenze caratterizzate da sistemi ener-getici complessi (sistemi multiener-gia);

• sistemi di gestione intelligente delle reti di servizi.

Il bando è stato lanciato nel mese di no-vembre 2012 con scadenza il 4 gennaio 2013.

In risposta al bando sono state presentate 4 offerte da parte di imprese o raggruppamenti temporanei di imprese innovative localizzate in Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria e Lom-bardia.

Le imprese/raggruppamenti aggiudicatari sono stati 2.

Durante il mese di aprile 2013 sono stati firmati i contratti con le impre-se/raggruppamenti temporanei di imprese ag-giudicatari della prima fase:

− Proxima Centauri S.r.l.- Pro-getto APPLUS ENERGIE 2: sistema di monitoraggio, con-trollo e gestione, anche da re-moto, dei consumi e delle pro-duzioni energetiche presso gli utilizzatori che dispongono di sistemi di climatizzazione all’interno di edifici pubblici.

Partner individuati per il Living Lab: Politecnico di Torino - sede di Torino, Poli-tecnico di Torino - sede di Verrès, scuola su-periore di Verrès (Valle d’Aosta).

− RTI GFM-Net s.r.l. - Echo-D s.r.l. - Idata Group s.r.l. - Pro-getto S.INT.ENERGY: sistema di monitoraggio, controllo e gestione, anche da remoto, dei

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Gazzetta Amministrativa -259- Numero 1 - 2015

consumi e delle produzioni e-nergetiche provenienti da fonti rinnovabili.

Partner individuati per il Living Lab: Comune di Saint-Denis (Valle d’Aosta), Ville de La Chapelle-en-Vercors (Rhône Alpes), Politecnico di Torino (sede di Torino).

Proxima Centauri S.r.l. e il RTI avente come capofila GFM-Net s.r.l. hanno realizza-to il progetto di Ricerca e sviluppo e prototi-pazione, che si è concluso, come da previsio-ni, nel mese di luglio 2013.

L’impresa Proxima Centauri S.r.l. è stata l’unica aggiudicataria della seconda fase.

Complessivamente gli appalti precommer-ciali hanno coinvolto:

− 11 imprese, − 5 organismi di ricerca, − 120 studenti e 50 dipendenti di enti

pubblici territoriali (nella fase dei Li-ving Labs).

4. Riflessioni finali. a)L’esperienza valdostana. L’esperienza realizzata dalla Regione Val-

le d’Aosta ha permesso di inquadrare meglio e valutare approfonditamente le criticità e le opportunità derivanti dall’applicazione degli appalti pre-commerciali in un contesto reale.

Lo svolgimento degli appalti ha sicura-mente risentito dei limiti derivanti dall’aver operato con i tempi e i vincoli imposti dal progetto europeo Alcotra Innovazione, ma va riconosciuto come lo stesso progetto è stato lo stimolo che ha determinato la decisione di at-tivare gli appalti pre-commerciali e, mediante l’unione di appalti pre-commerciali e Living Labs, di sviluppare un’esperienza pionieristi-ca.

In questo momento, la Regione si trova quindi in possesso di un bagaglio di cono-scenze tali da poter gestire con maggiore effi-cacia e sicurezza i futuri appalti pre-commerciali che riterrà opportuno bandire.

Nelle pagine a seguire, si cercherà di sinte-tizzare le principali considerazioni condivise tra i diversi attori istituzionali e di supporto che hanno contribuito alla riuscita dell’esperienza.

b)Quali condizioni per realizzare un

PCP? L’elemento principale per poter realizzare

correttamente un appalto pre-commerciale, ottenendo il massimo vantaggio da parte dell’amministrazione pubblica e delle impre-se partecipanti, è l’individuazione di un fab-bisogno non ancora soddisfatto dal mercato.

La valutazione, in termini di specifiche tecniche e requisiti prestazionali desiderati, deve essere particolarmente approfondita e espressa senza ambiguità.

Solo così, infatti, è possibile, prima, esclu-dere la presenza sul mercato europeo e inter-nazionale di un prodotto o servizio che pos-sieda già le caratteristiche desiderate e, poi, trasferire alle imprese interessate, attraverso il bando di gara, le informazioni necessarie a valutare la loro reale capacità di rispondere in modo adeguato e competitivo alla sfida.

Purtroppo, questo elemento richiede tempi e risorse non trascurabili per essere svolto con la dovuta cura.

Se l’individuazione dei fabbisogni non soddisfatti dal mercato è, infatti, un elemento trasversale, almeno potenzialmente di perti-nenza di tutto il personale della pubblica am-ministrazione, la raccolta e sistematizzazione dei bisogni, la valutazione del reale vantaggio economico diretto e indiretto derivante dal soddisfacimento dei bisogni individuati, non-ché la verifica dell’offerta già presente sui mercati in termini di tecnologie disponibili necessitano di competenze adeguate e di un notevole impegno di risorse umane in termini di ore di lavoro.

In altri termini la verifica della fattibilità di un appalto pre-commerciale e la redazione del bando di gara richiedono un’attività am-ministrativa che risulta assai onerosa in ter-mini di risorse umane qualificate.

La seconda condizione necessaria per la corretta realizzazione di un appalto pre-commerciale è disporre di un periodo di tem-po adeguato.

Oltre la verifica della fattibilità dell’appalto, lo svolgimento vero e proprio della procedura richiede dei tempi che sono strettamente legati alle problematiche da ri-solvere attraverso le attività di ricerca, svi-luppo e validazione dei prototipi.

Comprimere i tempi dell’appalto in rela-

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Gazzetta Amministrativa -260- Numero 1 - 2015

zione alla necessità di disporre di una solu-zione entro una data stabilita può spingere le imprese partecipanti a ridurre il contenuto di innovazione a favore della certezza di ottene-re il risultato nei tempi stabiliti dalla pubblica amministrazione.

c)Utilità dello strumento PCP per gli en-ti pubblici e per le imprese.

La principale utilità diretta dell’adozione dell’appalto pre-commerciale da parte della pubblica amministrazione è sostanzialmente legata alla possibilità di fornire servizi pub-blici in modo ottimale, superando ostacoli e limiti derivanti dall’attuale stato dell’arte del-le tecnologie e di prodotti presenti sul merca-to, mentre nel contempo vengono minimizzati i rischi della ricerca e sviluppo di nuove solu-zioni, prodotti o servizi, e compensati i costi tra pubblica amministrazione e imprese.

Ed è proprio questo secondo aspetto che caratterizza gli appalti pre-commerciali in quanto, anche in passato, le pubbliche ammi-nistrazioni sono state libere di bandire appalti che prevedessero lo sviluppo di soluzioni in-novative di prodotto, ma, in quel caso, erano costrette ad assumersi interamente sia il costo della ricerca e sviluppo che il rischio dell’innovazione, senza riuscire a capitalizza-re gli eventuali brevetti commerciali derivanti dall’attività.

La procedura dell’appalto pre-commerciale prevede invece:

− la minimizzazione del rischio di in-successo, grazie alla partecipazione iniziale di più competitori tra i quali, mediante fasi di valutazione successi-ve, viene selezionato il prototipo che possiede le caratteristiche migliori sia in termini di prestazioni che di affida-bilità;

− il recupero di parte o di tutto l’investimento effettuato in ricerca e sviluppo dalla pubblica amministra-zione, attraverso meccanismi di trasfe-rimento all’impresa privata degli e-ventuali brevetti derivanti dallo svi-luppo del prodotto.

Dal lato delle imprese, invece, i vantaggi derivanti dall’utilizzo dell’appalto pre-commerciale da parte delle pubbliche ammi-

nistrazioni si traducono sostanzialmente in: − maggiori opportunità di poter sfruttare

le competenze e il potenziale di inno-vazione presenti nelle imprese me-diante bandi che favoriscono la com-petizione basata su questi aspetti, più che su prezzi e dimensione dell’impresa;

− la possibilità di immettere successi-vamente sul mercato i prodotti svilup-pati e validati dalla pubblica ammini-strazione appaltante, che agisce, quin-di, anche da referente per i successivi acquirenti.

d)Come gestire un PCP, gli aspetti deli-

cati da presidiare con attenzione. La conduzione degli appalti pre-

commerciali all’interno del progetto Alcotra Innovazione ha permesso di definire meglio gli aspetti procedurali che devono essere pre-sidiati con attenzione.

e)Il coinvolgimento delle imprese e la condivisione delle finalità dello strumento.

La prassi comune tra molte delle imprese che partecipano a bandi pubblici (e non) è una lettura superficiale dei capitolati di gara, che si concentra quasi esclusivamente sugli importi e sul costo presunto di realizzazione dell’intervento.

Per partecipare e concludere con il massi-mo vantaggio un appalto pre-commerciale è invece necessario che l’impresa privata agisca realmente come partner della pubblica ammi-nistrazione per elaborare la soluzione più i-donea ed investire direttamente nella ricerca e sviluppo, pensando all’appalto come un’occasione di sviluppo di un prodotto o servizio realmente innovativo per il mercato e non per il semplice soddisfacimento di una commessa pubblica.

Una condizione iniziale e fondamentale, oltre a quelle indicate nei paragrafi preceden-ti, è, quindi, l’ottenimento di un adeguato co-involgimento e di una sufficiente condivisio-ne da parte delle imprese partecipanti, non tanto mettendo a disposizione documenti e-splicativi, che tendono a non essere analizzati con la dovuta attenzione, ma:

− presentando il bando e la metodologia

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Gazzetta Amministrativa -261- Numero 1 - 2015

dell’appalto pre-commerciale durante opportuni incontri pubblici che preve-dano momenti di risposte a quesiti (e-ventualmente poi pubblicate sul sito della stazione appaltante), così da mi-gliorare la consapevolezza della carat-teristiche dello strumento da parte del-le imprese, sin dal momento della predisposizione delle offerte da parte degli interessati;

− attivando un filo diretto con le impre-se aggiudicatarie per verificare che sia mantenuto un adeguato livello di co-involgimento e condivisione, durante tutte le varie fasi dell’appalto pre-commerciale.

f)La valutazione tecnica. La verifica dell’effettiva sussistenza di at-

tività di ricerca industriale e sviluppo speri-mentale è un aspetto cruciale, anche dal punto di vista amministrativo, perché costituisce il discrimine che consente di adottare la proce-dura specifica dell’appalto pre-commerciale, che è escluso, ai sensi dell’art. 19, co. 1, lett. f), dall’ambito di applicazione del d.lgs. 12.4.2006, n. 163 “Codice dei contratti pub-blici relativi a lavori, servizi e forniture in at-tuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”, proprio perché la pubblica amministrazione intende procurarsi “servizi di ricerca e sviluppo diversi da quelli i cui ri-sultati appartengono esclusivamente alla sta-zione appaltante, perché li usi nell’esercizio della sua attività, a condizione che la presta-zione del servizio sia interamente retribuita da tale amministrazione”.

Pertanto, si può raccomandare di porre e-strema attenzione alla nomina dei membri della Commissione tecnica, scegliendo quali componenti della Commissione di valutazio-ne persone con specifica esperienza e compe-tenza in materia di valutazione di progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale nelle tematiche tecnologiche oggetto del ban-do.

Infine, si può raccomandare di fare in mo-do che il controllo della corrispondenza tra le attività effettuate dalle imprese e quelle pro-poste in fase di gara (e, quindi, della sussi-stenza di attività di ricerca industriale e svi-

luppo sperimentale) sia effettuata anche du-rante l’appalto stesso (soprattutto nel caso in cui l’appalto sia di durata superiore a 12 me-si) e non soltanto alla sua conclusione.

g)Il ruolo di accompagnamento da parte

dell’amministrazione pubblica. L’esperienza effettuata ha mostrato che,

oltre a garantire un adeguato livello di coin-volgimento e condivisione, è opportuno che ai soggetti aggiudicatari dell’appalto pre-commerciale sia fornito un accompagnamen-to di tipo tecnico e amministrativo in grado di evitare errori e fraintendimenti, anche mini-mi, delle richieste del bando e delle procedu-re, che potrebbero creare elementi di conflitto tra le imprese e la pubblica amministrazione, penalizzando così l’operato delle imprese.

Si tratta, ovviamente, di attivare un ac-compagnamento che operi senza entrare in conflitto con le regole della competizione, ma che sia in grado di risolvere i quesiti posti dalle imprese e fornire, se necessario, le indi-cazioni minime per permettere di ottenere una corretta valorizzazione, da parte della com-mittenza, di quanto prodotto.

h)L’accompagnamento amministrativo. Per evitare comportamenti opportunistici

da parte delle imprese, in quanto la valutazio-ne dell’offerta economica era avvenuta anche sulla base dello sconto offerto sul costo di produzione del prodotto o servizio, nell’esperienza valdostana gli operatori eco-nomici hanno dovuto dimostrare che il costo di produzione effettivo del servizio compor-tava l’applicazione di una percentuale di sconto non inferiore a quella dichiarata in se-de di offerta e, quindi, hanno dovuto rendi-contare analiticamente le spese sostenute.

Un aspetto che ha richiesto un accompa-gnamento amministrativo da parte della pub-blica amministrazione è stato, perciò, la ren-dicontazione delle spese. Si tratta, infatti, di un’attività che è necessario pianificare e con-durre correttamente sin dall’inizio, per evitare che la pubblica amministrazione non sia in grado di riconoscere, e, di conseguenza, sal-dare, quote, anche significative, degli importi sostenuti dai soggetti aggiudicatari.

Una puntuale attività di informazione e ac-

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -262- Numero 1 - 2015

compagnamento amministrativo risulta anco-ra più utile quando, come nel caso valdosta-no, i beneficiari sono sia enti di ricerca pub-blici che imprese private e la rendicontazione deve soddisfare anche le procedure applicabi-li ai progetti oggetto di contributi comunitari.

i)L’accompagnamento tecnico. Dal punto di vista tecnico, un aspetto criti-

co che occorre presidiare è la capacità di giu-stificare in modo esauriente la rispondenza del prodotto intermedio o finale ai requisiti prestazionali contenuti nel bando.

E’ stato infatti notato come le imprese, impegnate nella realizzazione del prototipo funzionante, tendano a perdere di vista l’aderenza dello stesso ai suddetti requisiti, che sono comunque il parametro fondamenta-le per l’accesso alle fasi successive dell’appalto pre-commerciale, fino all’aggiu-dicazione finale.

A volte le imprese effettuano vere e pro-prie modifiche del prodotto che occorre pun-tualmente ed esaustivamente giustificare, an-che se sono state introdotte con l’intento di risolvere in modo ottimale problemi imprevi-sti, mentre altre volte trascurano l’importanza di una esauriente descrizione delle attività ef-fettuate nelle relazioni tecniche, strumento che consente l’espressione del giudizio della commissione di valutazione.

l)La gestione del dopo appalto: la que-

stione dei diritti di sfruttamento. Per regolamentare lo sfruttamento dei di-

ritti di sfruttamento del prototipo, come detto in precedenza, sono stati definiti appositi con-tratti tra le parti che hanno coinvolto la Re-gione Valle d’Aosta, l’impresa realizzatrice del prototipo e il soggetto presso il quale il prototipo è stato testato.

Come già detto in precedenza, infatti, la stazione appaltante non è mai coincisa con il soggetto presso il quale il prototipo è stato te-stato, tipicamente un ente pubblico territoria-le, una scuola o un altro settore della pubblica amministrazione, che sono stati gli effettivi beneficiari del prodotto o servizio sviluppato.

Sono quindi stati stipulati contratti tra tre soggetti diversi, Regione, impresa e benefi-

ciario, nei quali ciascuna parte ha svolto un ruolo diverso, che è possibile sintetizzare in questo modo:

− la Regione, a fronte di un corrispetti-vo, ha ceduto all’impresa i diritti di sfruttamento sul prototipo;

− la Regione ha concesso l’uso del pro-totipo e di eventuali invenzioni deri-vate in comodato gratuito ai beneficia-ri;

− i beneficiari si sono impegnati a forni-re alla Regione i dati di monitoraggio del funzionamento del prototipo per un certo numero di anni.

Il corrispettivo per l’acquisizione dei diritti di sfruttamento sul prototipo riconosciuto dall’impresa alla Regione è stato, oltre allo sconto sul prezzo già applicato in fase di of-ferta, la cessione della proprietà del prototipo originario, l’utilizzo gratuito di eventuali in-venzioni derivate per una durata di dieci anni e il servizio di manutenzione gratuita del pro-totipo, inclusi i servizi di assistenza, per una durata di due o tre anni.

La soluzione adottata ha, quindi, consenti-to alla pubblica amministrazione di disporre di un prototipo funzionante, in quanto testato in condizioni operative, ad un prezzo vantag-gioso, nonché dell’assistenza tecnica al proto-tipo per un numero di anni sufficiente.

La fornitura, da parte del beneficiario, dei dati di monitoraggio alla Regione consente, poi, di proseguire la sperimentazione in am-biente reale per un periodo congruo, dando anche evidenza esterna dell’attività svolta con il finanziamento pubblico (I dati di monito-raggio sono pubblicati sul sito http://all.alcotra-innovazione.eu/).

Una criticità che si è manifestata, che è stata generata dalla natura “pilota” dell’esperienza valdostana, è stata la com-plessa trattativa che è stato necessario intavo-lare con le imprese dopo la conclusione dell’appalto per determinare il corrispettivo del trasferimento dei diritti.

A tal riguardo, perciò, sarebbe opportuno inserire già all’interno della documentazione di gara un modello di “contratto tipo” da uti-lizzare per il trasferimento dei diritti.

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -263- Numero 1- 2015

GIURISPRUDENZA Consiglio di Stato Sez. III, 20.3.2015 n. 1519 Ordinanza contigibile ed urgente - emissioni - campi elettromagnetici. .1. Il primo giudice ha inteso negare al provve-dimento amministrativo, impugnato in primo grado, la natura di ordinanza contingibile ed urgente, affermando che il richiamo all’art. 54 del T.U.E.L. in esso contenuto è “del tutto su-perfluo” (p. 3 della sentenza impugnata), posto che il Sindaco avrebbe invece inteso esercitare, come prevede l’art. 14, co. 1, della l. 36/2001, una doverosa vigilanza sugli impianti per assi-curare il rispetto dei tetti di radiofrequenza. 8.2. Ma tale valutazione è erronea, poiché il provvedimento impugnato ha, al contrario, na-tura di ordinanza contingibile ed urgente non solo sul piano formale, per il richiamo espresso alla disposizione dell’art. 54, co. 4, del T.U.E.L., ma anche e soprattutto sul piano so-stanziale, per la ritenuta urgenza di adottare, come si legge in esso, “un provvedimento ido-neo alla eliminazione degli inconvenienti se-gnalati già da anni e non ulteriormente differi-bili nel preminente interesse della comunità, trattandosi di limiti imposti a tutela della salute pubblica”. 8.3. Così correttamente inquadrata l’ordinanza n. 239, nel suo significato letterale e sostanzia-le, è allora assorbente e radicale il vizio di le-gittimità oltre che di difetto di motivazione, de-nunciato dall’odierno appellante, in quanto il Comune ha inteso, con l’ordinanza impugnata in primo grado, esercitare il potere di cui all’art. 54, co. 4, del T.U.E.L., senza che ne ri-corressero i presupposti, giacché non è possibi-le ravvisare nel caso di specie l’urgenza quali-ficata prevista dalla disposizione, essendo la situazione evidenziata dal provvedimento – il preteso superamento dei c.d. valori di attenzio-ne – tutelabile con gli strumenti ordinari e non integrando essa quel carattere di straordinarie-tà capace di giustificare l’emanazione dell’ordinanza contingibile ed urgente. 8.4. È la stessa ordinanza a chiarire anzi, come si è già accennato, che essa è finalizzata ad e-

liminare “gli inconvenienti segnalati già da anni e non ulteriormente differibili nel premi-nente interesse della comunità”, risultando ben chiaro, dalla sua lettura, la permanenza di una situazione che, laddove i valori di attenzione fossero stati effettivamente superati, si sarebbe potuta e dovuta fronteggiare con gli ordinari strumenti. 8.5. Va al riguardo ricordato, anzitutto, che l’art. 9 della l. 22.2.2001, n. 36 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elet-trici, magnetici ed elettromagnetici) affida alle Regioni l’adozione dei piani di risanamento ambientale al fine di adeguare, in modo gradu-ale, gli impianti radioelettrici già esistenti alla data della entrata in vigore della legge ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità stabiliti secondo le norme della stessa legge e che, inoltre, la realizzazio-ne del piano è controllata dalle Regioni, che possono prevedere anche la delocalizzazione degli impianti di radiodiffusione in siti confor-mi alla pianificazione in materia e degli im-pianti di diversa tipologia in siti idonei. 8.6. Non è neppure dubbio che, conformemente a tale previsione legislativa, l’art. 10 della leg-ge della Regione Abruzzo 13.12.2004, n. 45 (Norme per la tutela della salute e la salva-guardia dell’ambiente dall’inquinamento elet-tromagnetico) ha previsto in capo alla Regione l’adozione dei piani di risanamento e dei prov-vedimenti eventuali di delocalizzazione degli impianti. 8.7. A tale quadro normativo, che riguarda nel-lo specifico il piano di risanamento ambientale (che non risulta sia stato adottato nel caso di specie), deve poi aggiungersi la fondamentale e successiva regolamentazione introdotta dal d. lgs. 177/2005 che, nel riordinare sistematica-mente l’intera materia, prevede ora nell’art. 28, co. 7, che, in attesa dell’attuazione dei piani di assegnazione delle frequenze per la radiodif-fusione sonora e televisiva in tecnica digitale e sonora in tecnica analogica, gli impianti di ra-diodiffusione sonora e televisiva, che superano

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -264- Numero 1 - 2015

o concorrono a superare in modo ricorrente i limiti di cui al co. 1, sono trasferiti, con onere a carico del titolare dell’impianto, su iniziativa delle Regioni e delle Province autonome, nei siti individuati dal piano nazionale di assegna-zione delle frequenze televisive in tecnica ana-logica e dai predetti piani e, fino alla loro ado-zione, nei siti indicati dalle regioni e dalle pro-vince autonome, purché ritenuti idonei, sotto l’aspetto radioelettrico dal Ministero dello Svi-luppo Economico, “che dispone il trasferimento e, decorsi inutilmente centoventi giorni, d’intesa con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, disattiva gli impianti fino al trasferimento”. 9. Ritiene perciò il Collegio, in ciò divergendo dall’orientamento assunto da questo Consiglio nella sentenza della sez. VI, 4.3.2013, n. 1260, che alla luce di tale quadro normativo difettino o, comunque, non siano sta-ti adeguatamente motivati i presupposti per l’emanazione di una ordinanza contingibile ed urgente. 9.1. Non va trascurato, infatti, che il potere di ordinanza contingibile e urgente pre-suppone necessariamente situazioni non tipiz-zate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sus-sistenza deve essere suffragata da una istrutto-ria adeguata e da una congrua motivazione, ed in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vi-gente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale (Cons. St., sez. V, 25.5.2012, n. 3077). 9.2. La costante giurisprudenza di questo Con-siglio afferma che la contingibilità deve essere intesa come “impossibilità di fronteggiare l’emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell’accidentalità, imprescindibilità ed eccezio-nalità della situazione verificatasi” e l’urgenza come “l’assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile” (CdS, IV, 21.11.1994, n. 926). 9.3. Ora l’ordinamento, in questa materia specifica, già prevede strumenti tipici per fronteggiare il pericolo derivante dal superamento dei valori di attenzione - e tra questi, la delocalizzazione degli impianti e, in via di urgenza, la disattivazione degli impianti stessi da parte del competente Ministero - sic-ché l’adozione dell’ordinanza contingibile ed

urgente, a fronte di una situazione fronteggia-bile con gli ordinari strumenti previsti dalla di-sciplina in materia, non si giustifica e non ap-pare debitamente motivata nel caso di specie. 9.4. Non si vuol negare certo che, in situazioni eccezionali, il Sindaco - nell’esercizio del pote-re/dovere di controllo e di vigilanza sanitaria e ambientale riconosciutogli dall’art. 14, co. 1, della l. 36/2001 - possa esercitare i poteri di cui all’art. 54, co. 4, del T.U.E.L. anche in que-sta materia, come ha del resto chiarito anche la citata sentenza di questo Consiglio, sez. VI, 4.3.2013, n. 1260, essendo tale disposizione una norma di chiusura intesa ad ovviare a pe-ricoli eccezionali e, cioè, a situazioni contingi-bili ed urgenti, nei termini sopra specificati, ex-tra ordinem, ma appunto di pericoli eccezionali deve trattarsi, che non consentono il ricorso ad ordinari e tipici poteri amministrativi, e non di situazioni gravi, per quanto consolidatesi nel tempo, rimediabili con l’esercizio di poteri tipi-ci. 9.5. L’art. 54, co. 4, del T.U.E.L., in altri termini, non consente al Comune di sostituirsi all’esercizio o al mancato esercizio di poteri spettanti ad altre autorità amministrative, che non risulta nel caso di specie - al di là di un generico e non chiaro riferimento ad “inconve-nienti segnalati già da anni” - siano state tem-pestivamente interessate o sollecitate dal Co-mune, posto che è la stessa ordinanza sindacale ad avvertire, nella sua parte dispositiva, che “in caso di accertamento di situazioni di persi-stenza dei superamenti dei limiti fissati dalla legge per le emissioni di campi elettromagneti-ci” sarebbero stati “adottati dalle autorità competenti provvedimenti per la cessazione delle attività delle emittenti responsabili delle violazioni, in San Silvestro colle di Pescara”. 10. Ne segue che, per tale assorbente profilo, l’ordinanza comunale è viziata da violazione di legge e deve essere annullata. 11. La sentenza impugnata, che ha erronea-mente inteso negare al provvedimento impu-gnato la natura di ordinanza contingibile ed urgente, deve essere dunque riformata, con conseguente annullamento, in parte qua e con riferimento alla posizione soggettiva dell’odierna appellante, dell’ordinanza n. 239, emessa il 21.3.2008 dal Comune di Pescara.

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Sanità e Sicurezza Sociale

Gazzetta Amministrativa -265- Numero 1 - 2015

SANITÀ E SICUREZZA SOCIALE

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI ANTICORRUZIONE: PUBBLICATA LA DELIBERA N. 149/14 SULL’INTER-PRETAZIONE ED APPLICAZIONE DEL D.LGS. N. 39/2013 NEL SETTORE SANITARIO Premessa. Ai sensi della l. 6.11.2012, n. 190, e del d.lgs. 14.3.2013, n. 33, l’Autorità Nazionale Anti-corruzione (di seguito A.N.AC.) controlla l’esatto adempimento degli obblighi di pub-blicazione previsti dalla normativa vigente. Ai sensi dell’art. 14, co. 4, lett. g), del d.lgs. 27.10.2009, n. 150, agli Organismi Indipen-denti di Valutazione (OIV) spetta il compito di promuovere e attestare l’assolvimento de-gli obblighi relativi alla trasparenza e all’integrità da parte delle amministrazioni e degli enti. Allo scopo di verificare l’effettiva pubblica-zione dei dati previsti dalla normativa vigente per l’anno 2014, il Consiglio dell’Autorità ha deciso di richiedere agli Organismi Indipen-denti di Valutazione (OIV) o strutture con funzioni analoghe delle pubbliche ammini-strazioni di attestare al 31.12.2014 l’assolvimento di specifiche categorie di ob-blighi di pubblicazione. Il presente documento fornisce indicazioni per la predisposizione delle attestazioni da parte degli OIV, o strutture con funzioni ana-loghe, e illustra le attività di vigilanza e con-trollo che l’Autorità intende effettuare a par-tire dall’analisi degli esiti delle predette atte-stazioni. 1. Soggetti tenuti all’attestazione. Sono tenuti all’attestazione sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione per l’anno 2014 gli OIV, o le altre strutture con funzioni

analoghe, compresi i nuclei di valutazione, delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, del d.lgs. 30.3.2001, n. 165 e succes-sive modificazioni, ivi comprese le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigi-lanza e regolazione (art. 11, co. 1, d.lgs. n 33/2013). Ai fini della predisposizione dell’attestazione gli OIV, o le altre strutture con funzioni ana-loghe, si avvalgono della collaborazione del Responsabile della trasparenza il quale, ai sensi dell’art. 43, co. 1, del d.lgs. n. 33/2013, svolge stabilmente un’attività di controllo sull’adempimento degli obblighi di pubblica-zione segnalando gli esiti di tale controllo a-gli OIV. Le modalità di attestazione sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione per gli enti di diritto pubblico economici non territoriali nazionali, regionali o locali e per gli enti di diritto privato in controllo pubblico, ivi com-prese le società a partecipazione pubblica, così come individuati nell’art. 11, cc. 2 e 3 del d.lgs. n. 33/2013, saranno oggetto di di-stinta deliberazione, tenuto conto delle novità introdotte dal d.l. 24.6.2014, n. 90 convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l. 11.8.2014, n. 144. L’Autorità si riserva comunque di effettuare sugli enti e le società citate verifiche d’ufficio o su segnalazione sull’esatto adempimento degli obblighi di pubblicazione. 2. Obblighi di pubblicazione oggetto di atte-stazione e modalità di rilevazione. Ferma restando l’immediata precettività di tutti gli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa vigente, l’attestazione richiesta a-gli OIV al 31.12.2014 è limitata ad un nume-ro circoscritto di obblighi di pubblicazione.

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Sanità e Sicurezza Sociale

Gazzetta Amministrativa -266- Numero 1 - 2015

L’intento, similmente a quanto già indicato nelle delibere n. 71/2013 e n. 77/2013, è quel-lo di concentrare l’attività di monitoraggio degli OIV su un numero di obblighi ritenuti particolarmente rilevanti sotto il profilo eco-nomico e sociale con ciò innalzando i livelli di sostenibilità ed efficacia delle verifiche condotte. 2.1 La Griglia di rilevazione al 31.12.2014. Per lo svolgimento delle verifiche sull’assolvimento degli obblighi relativi alla trasparenza da parte delle amministrazioni e degli enti, gli OIV, o gli altri soggetti tenuti all’attestazione, utilizzano la “Griglia di rile-vazione al 31.12.2014”, contenuta nell’Allegato 1 alla presente delibera. La Griglia di rilevazione è composta di 3 fo-gli. Il foglio n. 1 “Pubblicazione e qualità dati” consente di verificare, all’interno della sezio-ne “Amministrazione trasparente” dei siti delle amministrazioni, la pubblicazione dei dati oggetto della presente attestazione, non-chè la loro qualità in termini di completezza, aggiornamento e formato secondo le indica-zioni fornite negli allegati 1 e 2 alla delibera CiVIT n. 50/2013. Tutti gli OIV, o le altre strutture con funzioni analoghe, sono tenuti a compilare il foglio n. 1. Il foglio n. 2 “Uffici periferici, Articolazioni e Corpi” consente di verificare se la pubblica-zione dei dati presenti nel sito dell’amministrazione centrale ovvero nei siti degli uffici periferici, delle articolazioni or-ganizzative autonome e dei corpi, laddove e-sistenti, si riferisca a tutte le predette struttu-re1, anche con riguardo alla completezza dei dati. Esso è compilato solamente dagli OIV, o dal-le altre strutture con funzioni analoghe, delle amministrazioni che hanno uffici periferici, articolazioni organizzative dotate di autono-mia, ovvero che si avvalgono di Corpi (quali, ad esempio, le Forze armate e di polizia, il Corpo Forestale, i Vigili del Fuoco). 1 Sulle modalità di pubblicazione dei dati nel sito dell’amministrazione centrale o nei siti degli uffici periferici si veda l’Allegato 2 della delibera CiVIT n. 50/2013

La rilevazione deve riguardare tutti i Corpi che fanno riferimento ai Ministeri. Per quel che riguarda gli uffici periferici e le altre articolazioni organizzative autonome, invece, considerata la loro numerosità, gli OIV, o le altre strutture con funzioni analo-ghe, concentrano le verifiche su un loro cam-pione rappresentativo composto da almeno il 20% degli uffici periferici e delle articolazio-ni organizzative autonome esistenti, selezio-nato autonomamente in base alle caratteristi-che dell’amministrazione. Nell’Allegato 3, l’OIV elenca le strutture selezionate e descri-ve i relativi criteri di selezione. Gli OIV, o le altre strutture con funzioni ana-loghe, ivi compresi i nuclei di valutazione, nello svolgimento delle loro verifiche, attri-buiscono un valore, per ciascun obbligo og-getto di attestazione, in tutti i campi della griglia di rilevazione, secondo la metodolo-gia descritta nell’Allegato 4 e avendo cura di inserire il valore “n/a” (non applicabile) nei casi non applicabili. Non sono ammessi campi vuoti, ossia privi di uno dei suddetti valori. Ne consegue che e-ventuali campi non compilati saranno ritenuti equiparati al valore “0”. Nel caso in cui l’ente sia privo di OIV, o struttura con funzione analoghe, il Responsa-bile della trasparenza e/o della prevenzione della corruzione è tenuto alla compilazione della griglia di rilevazione, specificando che nell’ente è assente l’OIV o struttura analoga. Il foglio n. 3, al fine di agevolare la compila-zione dei fogli nn. 1 e 2 della griglia di rile-vazione, indica per ciascuno degli obblighi il relativo ambito soggettivo di applicazione. 3. Pubblicazione delle Attestazioni e delle Griglie di rilevazione. Le attestazioni degli OIV, o di altra struttura con funzioni analoghe, riferite all’anno 2014, da predisporre utilizzando il modello conte-nuto nell’Allegato 2 e complete della griglia di rilevazione e della scheda di sintesi, do-vranno essere pubblicate nella sezione “Am-ministrazione trasparente”, sotto-sezione di primo livello “Disposizioni generali”, sotto-sezione di secondo livello “Attestazioni OIV o di struttura analoga”entro il 31.1.2015. La

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Gazzetta Amministrativa -267- Numero 1 - 2015

pubblicazione compete al responsabile della trasparenza. Allo scopo si forniscono i seguenti modelli da utilizzare:

• Griglia di rilevazione al 31.12.2014 (allegato 1);

• Documento di attestazione (allegato 2);

• la Scheda di sintesi sulla rilevazione degli OIV o delle altre strutture con funzioni analoghe, (allegato 3);

• Criteri di compilazione della griglia di rilevazione (allegato 4).

La Griglia di rilevazione al 31.12.2014, il Documento di attestazione e la Scheda di sin-tesi non dovranno essere trasmessi all’A.N.AC. ma solamente pubblicati nella sezione “Amministrazione trasparente” come sopra indicato. Per effettuare le proprie veri-fiche l’Autorità si riserva di definire le moda-lità di acquisizione dei predetti documenti. Al fine di rendere pubblico il processo di at-testazione, nonché di consentire all’Autorità di effettuare ulteriori approfondimenti e ana-lisi, nella Scheda di sintesi (allegato 3) viene data evidenza agli elementi a supporto del processo di attestazione. Gli OIV, o le altre strutture con funzioni analoghe, specificano le procedure e gli strumenti di verifica adot-tati nonché le fonti di informazione impiega-te. 4. Attività di vigilanza e controllo svolta dall’A.N.AC.. 4.1 Modalità di svolgimento dell’attività di vigilanza. L’Autorità vigila sull’esatto adempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente effettuando verifiche, d’ufficio o su segnalazione, sui siti istitu-zionali delle amministrazioni, tenute all’applicazione della disposizioni previste dal d.lgs. n. 33/2013.

4.2 Vigilanza d’ufficio. L’Autorità verifica nei siti istituzionali di un campione di soggetti tenuti all’applicazione della presente delibera l’avvenuta pubblica-zione entro la data del 31.1.2015 della Gri-glia di rilevazione, del Documento di attesta-zione e della Scheda di sintesi sulla rilevazio-ne degli OIV, o delle altre strutture con fun-zioni analoghe, e ne esamina i contenuti ri-spetto ai dati pubblicati dagli stessi soggetti ai sensi del d.lgs. n. 33/2013 e dell’Allegato 1 della delibera CiVIT n. 50/2013. L’Autorità renderà noto in un rapporto che sarà pubblicato al termine dell’attività svolta i criteri di individuazione del campione sele-zionato di amministrazioni. L’Autorità si riserva di segnalare agli organi di indirizzo politico-amministrativo delle amministrazioni interessate i casi di mancata o ritardata attestazione degli obblighi di tra-sparenza da parte degli OIV o delle altre strutture con funzioni analoghe e altresì le ipotesi in cui la verifica condotta dall’A.N.AC. rilevi una discordanza tra quan-to contenuto nelle attestazioni e quanto pub-blicato nella sezione “Amministrazione tra-sparente”. 4.3 Controllo documentale. All’attività di vigilanza, d’ufficio o su segna-lazione, potrà seguire un controllo documen-tale da parte della Guardia di Finanza diretto a riscontrare l’esattezza e l’accuratezza dei dati attestati dagli OIV, o dalle altre strutture con funzioni analoghe. Il controllo della Guardia di Finanza si baserà sull’estrazione di un campione casuale semplice che garanti-sca imparzialità e le stesse probabilità, per ogni soggetto, di entrare a far parte del cam-pione. Roma, lì 03 dicembre 2014 Raffaele Cantone (Comunicato A.N.AC. del 30.12.2014).

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Gazzetta Amministrativa -268- Numero 1 - 2015

GIURISPRUDENZA Corte Costituzionale 10.2.2015, n. 19 Giudizio di legittimità costituzionale - norma impugnata: Art. 32 della legge 12/11/2011, n. 183. 1.– Con cinque ricorsi (rispettivamente iscritti ai nn. 7, 8, 12, 13 e 15 del registro ricorsi dell’anno 2012) la Provincia autonoma di Bol-zano, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, la Provincia autonoma di Trento, la Regione Trentino-Alto Adi-ge/Südtirol e la Regione siciliana hanno pro-mosso questioni di legittimità costituzionale re-lative all’art. 32 della l. 12.11.2011, n. 183 (Di-sposizioni per la formazione del bilancio annu-ale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2012). Mentre è riservata ad altre pronunce la trattazione delle questioni promosse nei con-fronti di ulteriori disposizioni impugnate, i ri-chiamati ricorsi, in ragione dell’evidente con-nessione, vanno riuniti limitatamente al citato art. 32, censurato da tutte le ricorrenti in rife-rimento a parametri parzialmente coincidenti. La Provincia autonoma di Bolzano ha impu-gnato l’intero art. 32 della l. n. 183 del 2011 in riferimento agli artt. 8, n. 1, 9, numero 10, 16, 75, 79, 81, 83, 103, 104 e 107 del d.P.R. 31.8.1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) ed ai prin-cipi di ragionevolezza e di leale collaborazione ed in relazione alle norme di cui al d.P.R. 15.7.1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige per l’istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto); all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indiriz-zo e coordinamento); agli artt. 9, 10, 10-bis, 16, 17 e 18 del d.lgs. 16.3.1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Tren-

tino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale) ed all’art. 2, co. 106, della l. 23.12.2009, n. 191 (Disposizioni per la forma-zione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2010). La Regione au-tonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha impu-gnato i coo.i 10 e 17 del medesimo art. 32 in riferimento al principio di leale collaborazione, agli artt. 2, co. 1, lett. a), 3, co. 1, lett. f), 12, 48-bis e 50 della legge costituzionale 26.2.1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), agli artt. 3, 5, 117, terzo e sesto com-ma, 118, 119 e 120 Cost. ed all’art. 10 della legge costituzionale 18.10.2001, n. 3 (Modifi-che al titolo V della parte seconda della Costi-tuzione), ed in relazione alla normativa di at-tuazione di cui alla l. 26.11.1981, n. 690 (Revi-sione dell’ordinamento finanziario della regio-ne Valle d’Aosta), ed al d. lgs. 28.12.1989, n. 434 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Valle d’Aosta in materia di co-ordinamento dei programmi degli interventi statali e regionali). Ha impugnato, altresì, i co-o. 19, 22, 23, 24 e 25 dello stesso articolo, ri-chiamando per relationem i motivi di censura svolti in diverso ricorso. La Provincia autonoma di Trento ha impugnato l’art. 32, coo. 1, 10, 12, 13, 16, 17, 19, 22, 24, 25 e 26, della legge n. 183 del 2011 in riferi-mento all’art. 3 Cost.; agli artt. 74, 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello statuto del Trentino-Alto Adige (d.P.R. n. 670 del 1972) ed in relazione all’art. 17 del d.lgs. n. 268 del 1992 ed all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. La Regione autonoma Trentino-Alto Adi-ge/Südtirol ha impugnato l’art. 32, commi 1, 10, 12, 16, 17, 19, 22, 24, 25 e 26, della legge n. 183 del 2011 in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost. in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; agli artt. 79, 103, 104 e 107 del d.P.R. n. 670 del 1972; al d.lgs. n. 268 del 1992 ed agli artt. 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992.

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Sanità e Sicurezza Sociale

Gazzetta Amministrativa -269- Numero 1 - 2015

La Regione siciliana ha impugnato l’art. 32, commi 10, 11, 16 e 22, della legge n. 183 del 2011, in riferimento agli artt. 36 e 43 del regio d.lgs. 15.5.1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), ed al principio di leale collaborazione. 2.– La Provincia autonoma di Bolzano, con at-to depositato il 21.1.2015, la Regione autono-ma Trentino-Alto Adige, con atto depositato il 28 gennaio 2015, e la Provincia autonoma di Trento, con atto depositato il 27.1.2015, hanno rinunciato ai rispettivi ricorsi. I ricorsi della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e della Regione sicilia-na sono parzialmente coincidenti quanto alle norme impugnate. Queste ultime - tutte conte-nute nell’art. 32 della legge n. 183 del 2011 – sono: i coo. 10 e 22, censurati da entrambe le Regioni; i coo. 11 e 16 impugnati dalla Regione siciliana; i coo. 17, 19, 23, 24 e 25, impugnati dalla Regione autonoma Valle d’Aosta. Il co. 10 dell’art. 32 riguarda «[i]l concorso alla manovra finanziaria delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, di cui all’art. 20, co. 5, del d.l. 6.7.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla l. 15.7.2011, n. 111, come modificato dall’art. 1, co. 8, del d.l. 13.8.2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. 14.9.2011, n. 148, aggiuntivo rispetto a quella disposta dall’art. 14, co. 1, lett. b), del d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 30.7.2010, n. 122», indicante, per cia-scuno degli anni 2012, 2013 e successivi, se-condo una tabella articolata, l’entità dei singoli contributi posti a carico di ciascuna delle auto-nomie speciali. La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha impugnato detto comma in riferi-mento agli artt. 3 (principio di ragionevolezza), 5 e 120 (principio di leale collaborazione) Cost., al principio di autonomia finanziaria spettante statutariamente alla Regione ai sensi degli artt. 2, co. 1, lett. a), 3, primo comma, let-tera f), 12, 48-bis e 50 dello statuto e della rela-tiva normativa di attuazione (legge n. 690 del 1981). La ricorrente lamenta il contrasto della norma statale con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. – poiché il legislatore ordinario avrebbe ripartito tra le diverse Regioni a statu-

to speciale il «contributo agli obiettivi di finan-za pubblica in termini di competenza e di cassa aggiuntivo rispetto al 2011» a prescindere da ogni enunciazione dei criteri sulla cui base è stata effettuata la concreta ripartizione – non-ché in contrasto con il riparto precedentemente stabilito dall’art. 14 del d.l. 31.5.2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), con-vertito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l. 30.7.2010, n. 122. Tale disposizione prevedeva che l’accordo dovesse essere recepi-to con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, tenendo conto dell’adozione di misure idonee ad assicurare il rispetto del patto di sta-bilità interno e della minore incidenza percen-tuale della spesa per il personale rispetto alla spesa corrente complessiva, nonché di misure di contenimento della spesa sanitaria e di azio-ni di contrasto al fenomeno dei falsi invalidi. Con riguardo al comma 10, la Regione sicilia-na lamenta il mancato previo raggiungimento dell’intesa, in sede di Conferenza Stato-Regioni, circa i criteri e la conseguente quanti-ficazione del concorso delle autonomie speciali alla manovra finanziaria. Il principio della leale collaborazione dovrebbe prevedere, comunque, il coinvolgimento della Conferenza stessa «per favorire l’accordo e la collaborazione tra l’uno e le altre [autonomie speciali]». In ogni caso, il mancato raggiungimento dell’intesa comporterebbe per il Governo «l’obbligo di motivare adeguatamente le ragio-ni di interesse nazionale che lo hanno determi-nato a decidere unilateralmente». Il co. 11 dell’art. 32, integrativo del precedente comma sotto il profilo del procedimento e dei contenuti dell’accordo in tema di obiettivi pro-grammatici, è impugnato dalla sola Regione siciliana in riferimento al principio di leale col-laborazione, del quale la previa intesa tra Stato ed autonomie speciali sarebbe esplicazione. La ricorrente sostiene che non vi sarebbe in con-creto possibilità di accordo in quanto il conte-nuto sarebbe predeterminato secondo gli im-porti della tabella di cui al co. 10, non concor-dati fra Stato e Regione e non compresi nell’ambito di applicazione della clausola di salvaguardia di cui al successivo co. 14 del medesimo art. 32.

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Sanità e Sicurezza Sociale

Gazzetta Amministrativa -270- Numero 1 - 2015

L’art. 32, co. 16, della l. n. 183 del 2011, in te-ma di misure a carico delle Regioni a statuto speciale finalizzate a produrre un risparmio per il bilancio dello Stato, è impugnato dalla sola Regione siciliana in riferimento agli artt. 36 e 43 dello statuto, nonché al principio di leale collaborazione. Il successivo co. 17, contenente disposizioni i-nerenti ad accordi tra lo Stato e gli enti territo-riali per il raggiungimento degli obiettivi di fi-nanza pubblica, è impugnato dalla Regione au-tonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste per viola-zione dell’autonomia finanziaria attribuitale dagli artt. 2, primo comma, lettera a), 3, primo comma, lett. f), 12, 48-bis e 50 dello statuto speciale e dalla relativa normativa di attuazio-ne (l. n. 690 del 1981 e d.lgs. n. 434 del 1989), del principio di leale collaborazione nonché degli artt. 117 coo. 3 e 6, 118 e 119 Cost. e 10 della legge cost. n. 3 del 2001. L’art. 32, co. 22, della l. n. 183 del 2011, ine-rente all’applicazione del sistema sanzionatorio per le violazioni del patto di stabilità, è impu-gnato dalla Regione siciliana per violazione degli artt. 36 e 43 dello statuto, nonché del principio di leale collaborazione. I coo. 19, 22, 23, 24 e 25 del medesimo art. 32, tutti inerenti all’applicazione alle Regioni a statuto speciale del sistema sanzionatorio pre-visto per le violazioni del patto di stabilità, so-no impugnati dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste «alla luce di tutti i mo-tivi già fatti valere [con separato ricorso] in riferimento al d.lgs. n. 149 del 2011, da inten-dersi in questa sede integralmente richiamati». Si è costituito nei diversi giudizi, poi riuniti, il Presidente del Consiglio dei ministri, affer-mando che le disposizioni di cui all’art. 32 co-stituirebbero effettivamente principi generali in materia di finanza pubblica e, pertanto, non comporterebbero alcuna indebita invasione dell’autonomia finanziaria delle Regioni e delle Province autonome. Quanto al parametro della leale collaborazio-ne, l’indicazione in tabella della misura con cui ciascuna autonomia concorre al raggiungimen-to degli obiettivi di finanza pubblica non colli-derebbe con il principio dell’accordo, il quale avrebbe una portata più ampia della semplice negoziazione del contributo di ciascuna Regio-ne agli obiettivi di finanza pubblica: l’accordo

con lo Stato riguarderebbe infatti il livello complessivo delle spese correnti ed in conto capitale ed - in definitiva - i saldi complessivi della gestione finanziaria di pertinenza di cia-scuna Regione. In sostanza, si tratterebbe di una procedura concordata ai fini della deter-minazione degli obiettivi programmatici, nell’ambito della quale i valori riportati nella tabella di cui al co. 10 costituirebbero soltanto uno degli elementi dell’accordo. A differenza di altri importi maggiormente negoziabili, le somme indicate per i singoli enti territoriali po-trebbero essere concordate solo all’interno del principio di invarianza complessiva della ma-novra di bilancio riguardante la totalità delle Regioni a statuto speciale e delle Province au-tonome. Ciò non significherebbe imporre una perfetta coincidenza tra i due valori, ma, piut-tosto, evitare scostamenti rispetto al limite complessivo fissato in tabella – come peraltro, in casi non dissimili, avrebbe affermato la giu-risprudenza costituzionale (si cita la sentenza n. 169 del 2007) – secondo un modello che, nel rispetto del principio di leale collaborazione, non rinuncerebbe a definire la razionale scan-sione del procedimento di stipulazione dell’accordo. Il metodo dell’accordo dovrebbe essere conce-pito come uno strumento di bilanciamento tra l’autonomia finanziaria degli enti territoriali e l’esigenza di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica – alcuni dei quali, peraltro, derivanti da impegni assunti in sede sovrana-zionale – del cui adempimento anche le Regioni speciali devono farsi carico alla luce dei prin-cipi di solidarietà politica, economica e sociale di cui all’art. 2 Cost., di unitarietà della Re-pubblica di cui all’art. 5 Cost., nonché di re-sponsabilità internazionale dello Stato. Questa Corte (si cita la sentenza n. 239 del 2013) avrebbe chiarito che il principio di leale collaborazione si tradurrebbe per entrambe le parti - e dunque anche per le stesse Regioni – nell’onere «di sostenere un dialogo, e quindi di tenere un comportamento collaborativo, che consenta di pervenire in termini ragionevoli al-la definizione del procedimento». In questo modo, il suddetto principio troverebbe applica-zione anche in senso, per così dire, “ascenden-te” richiedendo che gli enti territoriali coope-rino attivamente con lo Stato centrale per il

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Sanità e Sicurezza Sociale

Gazzetta Amministrativa -271- Numero 1 - 2015

raggiungimento degli obiettivi di finanza pub-blica. 3. - Le rinunce ai ricorsi della Provincia auto-noma di Bolzano, della Provincia autonoma di Trento e della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol conseguono ad impegni specifi-camente assunti in sede di accordi stipulati con il Ministro dell’economia e delle finanze in ma-teria di finanza pubblica, ai sensi dell’art. 1, coo. 454 e 456, della l. 24.12.2012, n. 228 (Di-sposizioni per la formazione del bilancio annu-ale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2013). Dette rinunce, non avendo riportato la formale accettazione del Presidente del Consi-glio dei ministri, comportano la cessazione del-la materia del contendere in relazione alle parti dei ricorsi oggetto del presente giudizio. 4.- I predetti accordi, unitamente a quelli inter-venuti con altre Regioni a statuto speciale, sono relativi agli esercizi finanziari successivi al 2012, annualità di riferimento dei ricorsi che qui vengono in discussione. Ciò nonostante, l’impegno a.ssunto dagli enti in questione ri-guarda anche i ricorsi aventi ad oggetto le di-sposizioni contenute nell’art. 32 della l. n. 183 del 2011. Per quanto si dirà in prosieguo in te-ma di regole di invarianza del contributo com-plessivo a carico delle Regioni a statuto specia-le ed alla luce del principio di continuità degli esercizi di bilancio, il contenuto degli accordi stipulati dalle autonomie speciali concorre, comunque, a definire il quadro finanziario di riferimento delle questioni qui in esame propo-ste dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalla Regione sicilia-na, che non hanno rinunziato ai rispettivi ricor-si. Peraltro, anche il Presidente della Regione si-ciliana ha sottoscritto in data 9.6.2014 un’ipotesi di accordo riguardante gli esercizi successivi al 2012. In detta ipotesi, parzialmen-te trasfusa nell’art. 42, coo. da 5 a 8, del d.l. 12.9.2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle at-tività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l. 11.11.2014, n. 164, la Regione siciliana si impegna «a ritirare, entro il 30.6.2014, tutti i ricorsi contro lo Stato pen-

denti dinanzi alle diverse giurisdizioni relativi alle impugnative di leggi o di atti conseguen-ziali in materia di finanza pubblica, promossi prima del presente accordo, o, comunque, a ri-nunciare per gli anni 2014-17 agli effetti posi-tivi sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto che do-vessero derivare da eventuali pronunce di ac-coglimento». Tuttavia, l’accordo in questione non ha riporta-to l’approvazione della Giunta regionale e con successiva memoria del 19.1.2015 la Regione siciliana ha confermato l’intenzione di prose-guire il giudizio, asserendo che gran parte delle disposizioni impugnate - anche alla luce della concreta articolazione della normativa statale di recepimento - non avrebbero subito modifi-cazioni, mentre quelle effettivamente apportate non avrebbero carattere satisfattivo. Pertanto, deve procedersi all’esame nel merito sia del ricorso della Regione siciliana sia di quello della Regione autonoma Valle d’Aosta/ Vallée d’Aoste. 5.– Lo scrutinio del co. 10, impugnato da en-trambe le ricorrenti, e del co. 11, impugnato dalla sola Regione siciliana, va eseguito con-giuntamente, poiché il primo stabilisce l’entità del contributo alla manovra finanziaria di cia-scuna Regione a statuto speciale ed il secondo delinea il procedimento per la stipulazione dell’accordo. In sostanza le due norme sono complementari nella determinazione delle con-testate modalità di concorso delle autonomie speciali alla manovra finanziaria. 6.- Nel merito, le censure proposte da entrambe le Regioni nei confronti del co. 10 e dalla sola Regione siciliana nei confronti del co. 11 non sono fondate. Esse si basano essenzialmente sulle seguenti argomentazioni: a) il contributo sarebbe de-terminato in via unilaterale e non preventiva-mente concordato con le Regioni e le Province autonome; b) l’accordo sarebbe svuotato di ogni significato perché le somme iscritte nella apposita tabella sarebbero insuscettibili di ne-goziazione tra le parti; c) le ripartizioni non sa-rebbero rispettose di previ criteri fissati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano per il riparto del sacrificio tra le autonomie speciali.

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Gazzetta Amministrativa -272- Numero 1 - 2015

In sostanza, i punti da dirimere nella presente controversia riguardano la legittimità della de-terminazione unilaterale da parte dello Stato del contributo di ciascuna autonomia speciale, l’oggetto dell’accordo in relazione alla pretesa predeterminazione unilaterale, l’assenza o il mancato rispetto di criteri obiettivi ed impar-ziali per il riparto del concorso tra gli enti ter-ritoriali compresi nella tabella di cui al comma 10. 6.1.- Quanto al profilo sub a), occorre conside-rare che il complessivo concorso delle Regioni a statuto speciale, così come quello delle Re-gioni a statuto ordinario, rientra nella manovra finanziaria che lo Stato italiano, in quanto membro dell’Unione europea, è tenuto ad adot-tare per dimostrare il rispetto dei vincoli di bi-lancio previsti o concordati in ambito dell’Unione europea (art. 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; artt. 2 e 3 del Protocollo n. 12 sulla procedura per i disa-vanzi eccessivi). Si tenga, inoltre, conto che con l’introduzione del semestre europeo per il co-ordinamento delle politiche economiche da parte del Regolamento (UE) n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16.11.2011 che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizio-ni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche – cui è conseguita la modifica della l. 31.12.2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) da parte dell’art. 1 della l.. 7.4.2011, n. 39 (Modifiche alla l. 31.12.2009, n. 196, conse-guenti alle nuove regole adottate dall’Unione europea in materia di coordinamento delle po-litiche economiche degli Stati membri) – è stata anticipata la presentazione e la valutazione dei programmi di stabilità da parte degli Stati membri. Si tratta, quindi, di misure legislative statali direttamente riconducibili agli artt. 11 e 117, co. 1 Cost. Considerate, inoltre, le moda-lità temporali anticipate di quantificazione di detta manovra, non è ipotizzabile che lo Stato possa presentare quella inerente al concorso regionale dopo aver completato il complesso iter di negoziazione con ciascuno degli enti a statuto speciale interessati. Conseguentemente, la determinazione unilate-rale preventiva appare funzionale alla manovra

e, in quanto tale, conforme a Costituzione nei termini appresso specificati relativamente al carattere delle trattative finalizzate all’accordo. 6.2.- Quanto alla questione sub b), non è esatto sostenere che il contributo, così come determi-nato dalla legge di stabilità, non sia negoziabi-le in assoluto: in proposito l’impugnato comma 11 prevede una riduzione degli obiettivi pro-grammatici dell’esercizio di riferimento pari alla somma degli importi analitici indicati nella tabella di cui al precedente co. 10. Dal momen-to che la manovra di finanza pubblica prende a riferimento il totale dei contributi delle auto-nomie speciali, questi ultimi potrebbero essere singolarmente rimodulati a condizione dell’invarianza del saldo complessivo. Tale principio è stato da ultimo espressamente enunciato nell’art. 46, co. 4, del d.l. 24.4.2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, convertito con modificazioni dall’art. 1, co. 1, della l. 23.6.2014, n. 89), il quale dispone: «Gli importi delle tabelle [ine-renti al concorso delle autonomie speciali] pos-sono essere modificati, ad invarianza di con-corso complessivo alla finanza pubblica, me-diante accordo tra le regioni e le province au-tonome interessate […] in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regio-ni e le province autonome di Trento e Bolzano. Tale riparto è recepito con successivo decreto del Ministero dell’economia e delle finanze. Il predetto accordo può tener conto dei tempi me-di di pagamento dei debiti e del ricorso agli acquisti centralizzati di ciascun ente interessa-to». Occorre tuttavia riconoscere che, ove il margi-ne di negoziabilità fosse limitato ad una rimo-dulazione interna tra le varie componenti pre-senti nella citata tabella relative alle diverse autonomie speciali, con obbligo di integrale compensazione tra variazioni attive e passive, la censura avrebbe fondamento, poiché ogni margine di accordo comportante un migliora-mento individuale dovrebbe essere compensato da un acquiescente reciproco aggravio di altro ente, difficilmente realizzabile. Così limitatamente interpretato, il meccanismo normativo – ancorché astrattamente compatibi-le con il concetto di accordo – sarebbe sostan-zialmente svuotato dalla prevedibile indisponi-

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Gazzetta Amministrativa -273- Numero 1 - 2015

bilità di tutti gli enti interessati ad accollarsi l’onere dei miglioramenti destinati ad altri e, conseguentemente, sarebbe lesivo del principio di leale collaborazione e dell’autonomia finan-ziaria regionale. In realtà, una lettura costituzionalmente orien-tata della norma, peraltro confermata dalla prassi ed in particolare dalla morfologia degli ultimi accordi stipulati in questa materia tra Governo ed autonomie speciali (Accordo tra il Governo e la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 15.10.2014; Accordo tra il Ministro dell’economia e delle finanze e la Regione sici-liana del 9.6.2014; Accordo tra il Ministro dell’economia e delle finanze e la Regione au-tonoma Sardegna del 21.7.2014; Accordo tra il Ministro dell’economia e delle finanze e la Re-gione autonoma Friuli-Venezia Giulia del 28.10.2014) dimostra che lo strumento dell’accordo serve a determinare nel loro com-plesso punti controversi o indefiniti delle rela-zioni finanziarie tra Stato e Regioni, sia ai fini del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto dei vincoli europei, sia al fine di evitare che il necessario concorso delle Regioni comprima oltre i limiti consentiti l’autonomia finanziaria ad esse spettante. Ciò anche modulando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti, in relazione al-la diversità delle situazioni esistenti nelle varie realtà territoriali. Per questo motivo, il contenuto degli accordi, oltre che la riduzione dei programmi in rappor-to al concorso della Regione interessata ad o-biettivi di finanza pubblica, può e deve riguar-dare anche altri profili di natura contabile qua-li, a titolo esemplificativo, le fonti di entrata fi-scale, la cui compartecipazione sia quantitati-vamente controversa, l’accollo di rischi di an-damenti difformi tra dati previsionali ed effetti-vo gettito dei tributi, le garanzie di finanzia-mento integrale di spese essenziali, la ricogni-zione globale o parziale dei rapporti finanziari tra i due livelli di governo e di adeguatezza del-le risorse rispetto alle funzioni svolte o di nuo-va attribuzione, la verifica di congruità di dati e basi informative finanziarie e tributarie, even-tualmente conciliandole quando risultino pale-semente difformi, ed altri elementi finalizzati al percorso di necessaria convergenza verso gli

obiettivi derivanti dall’appartenenza all’Unio-ne europea. In definitiva, l’oggetto dell’accordo è costituito dalle diverse componenti delle relazioni finan-ziarie che, nel loro complesso, comprendono e trascendono la misura del concorso regionale. Infatti, gli obiettivi conseguenti al patto di sta-bilità esterno sono i saldi complessivi, non le allocazioni di bilancio. Per questo motivo, fer-me restando le misure finanziarie di conteni-mento della spesa concordate in sede europea, le risorse disponibili nel complesso della finan-za pubblica allargata ben possono essere rial-locate, a seguito di accordi, anche ad esercizio inoltrato. Dunque, l’accordo stipulato dalle autonomie speciali consente la negoziazione di altre com-ponenti finanziarie attive e passive, ulteriori ri-spetto al concorso fissato nell’ambito della ma-novra di stabilità ed è soprattutto in questo spazio convenzionale che deve essere raggiunto l’accordo previsto dall’impugnato comma 11. Il principio dell’accordo non implica un vinco-lo di risultato, bensì di metodo (sentenza n. 379 del 1992). Ciò significa che le parti devono porre in essere un confronto realmente orienta-to al superiore interesse pubblico di conciliare, nei limiti del possibile, l’autonomia finanziaria della Regione con l’indefettibile vincolo comu-nitario di concorso alla manovra di stabilità. Il dovere di discussione ricadente su entrambe le parti comporta che si realizzi, in tempi ra-gionevolmente brevi, un serio tentativo di supe-rare le divergenze «attraverso le necessarie fasi dialogiche, quanto meno articolate nello sche-ma proposta-risposta, replica-controreplica» (sentenza n. 379 del 1992). Anche lo Stato, dunque, deve fare in modo che l’attività di concertazione si svolga secondo comportamenti coerenti e non contraddittori, tanto in riferimento ai limiti di accoglimento delle proposte formulate dalle autonomie spe-ciali, quanto in relazione alle possibili alterna-tive da offrire a queste ultime. Ciò senza dar luogo ad atteggiamenti dilatori, pretestuosi, ambigui, incongrui o insufficientemente motiva-ti, di modo che il confronto possa avvenire su basi di correttezza e di apertura all’altrui posi-zione. Proprio in tema di relazioni finanziarie con le Regioni a statuto speciale, questa Corte ha avu-

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Sanità e Sicurezza Sociale

Gazzetta Amministrativa -274- Numero 1 - 2015

to modo di censurare un comportamento dello Stato, osservando che «Indubbiamente l’inerzia statale troppo a lungo ha fatto permanere uno stato di incertezza che determina conseguenze negative sulle finanze regionali, alle quali oc-corre tempestivamente porre rimedio, trasfe-rendo, senza ulteriore indugio, le risorse de-terminate a norma dello statuto» (sentenza n. 95 del 2013). Così interpretata, pertanto, la norma risulta immune dai dedotti vizi di costituzionalità. 6.3.– Quanto alla censura sub c), secondo la quale le ripartizioni previste dalla tabella di cui al comma 10 dell’art. 32 della legge n. 183 del 2011 non sarebbero rispettose di criteri prefis-sati per il riparto del sacrificio tra le autonomie speciali, è utile osservare che la disciplina delle relazioni finanziarie tra queste e lo Stato, quale risultante dai principi costituzionali e dalla normativa in tema di concorso al patto di stabi-lità e, più in generale, da quella inerente agli obiettivi di finanza pubblica, presenta due ca-ratteri indefettibili: a) l’individuazione di crite-ri obiettivi e trasparenti per la definizione del riparto; b) la ricerca di soluzioni condivise tra Stato ed autonomie speciali, finalizzate a bilan-ciare i principi costituzionali della stabilità e-conomica e dell’autonomia nel doveroso con-corso degli enti territoriali. La sede naturale per realizzare tale bilanciamento è stata indivi-duata dal legislatore nella Conferenza perma-nente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. La disposizione impugnata, sebbene non men-zioni espressamente il coinvolgimento della Conferenza, deve essere interpretata in modo costituzionalmente orientato attraverso il com-binato disposto con l’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, peraltro invocato dalla stessa ricorrente. Quest’ultimo prevedeva in subiecta materia sia alcuni criteri di massima, sia il coinvolgimento della Conferenza stessa. Per la verità il citato art. 14 si riferisce espressamente alle Regioni a statuto ordinario, ma dai commi 1 e 2 del me-desimo articolo si ricava inequivocabilmente che anche il riparto del concorso indiviso delle autonomie speciali deve essere effettuato se-condo criteri e modalità concordati in sede di Conferenza. Tale interpretazione, peraltro con-divisa dalle stesse ricorrenti, oltre ad essere

conforme a Costituzione, risulta anche l’unica logicamente percorribile. Proprio la dedotta nota del Ministero dell’economia e delle finanze n. 81651 del 29.9.2010 - antecedente all’art. 32, co. 10, del-la legge n. 183 del 2011 - testimonia la confor-me interpretazione del collegamento teleologi-co tra le due disposizioni: essa rivolge, infatti, un invito alle autonomie speciali a partecipare all’istruttoria finalizzata ad una proficua inte-sa, in grado di vincolare in modo imparziale le parti interessate. La nota così prevede: «l’art. 14, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 ha previsto il concorso delle Regio-ni e delle province autonome di Trento e Bolza-no al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica […]. Pertanto, al fine di definire un testo condiviso con le autonomie regionali si propone un incontro tecnico […]. Al solo scopo di agevolare i lavori è stata predisposta l’unita bozza di articolato [per …] l’individuazione di puntuali criteri per il riparto del concorso complessivamente previsto a carico delle re-gioni a statuto speciale e province autonome, fermo restando lo strumento dell’accordo di ciascuna autonomia speciale con il Ministro dell’economia e delle finanze. Nel ribadire che l’unita bozza di lavoro costituisce un mero e-sercizio tecnico aperto, pertanto, a tutte le mo-difiche o integrazioni che verranno proposte, si resta in attesa di un cortese ed urgente cenno di riscontro». La tesi del Ministero conferma che l’intesa è lo strumento per il riparto, mentre l’accordo è lo strumento bilaterale avente ad oggetto il complesso delle relazioni finanziarie precedentemente specificate. Dunque, l’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010 fa si-stema e completa il citato comma 10 sotto il profilo del procedimento necessario per rag-giungere criteri ed obiettivi condivisi. Perché si realizzi in concreto tale integrazione tra le cita-te disposizioni – nel senso di una previa defini-zione dei criteri di riparto – occorre, tuttavia, l’intesa fra tutte le parti interessate, esito non raggiunto (e ancora oggi in itinere) al momento della manovra annuale successiva all’invito del Ministero dell’economia e delle finanze prece-dentemente richiamato. Se non si realizza l’intesa, una determinazione normativa unilate-rale provvisoria dello Stato risulta adempimen-

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Gazzetta Amministrativa -275- Numero 1 - 2015

to indefettibile per assicurare alla manovra di stabilità la sua naturale scadenza. In quest’ottica, come di seguito specificato, an-che le norme di coordinamento finanziario suc-cessive si sono orientate nello stesso senso, pur differenziandosi nei criteri di volta in volta e-nucleati come base di partenza per realizzare una proficua intesa nell’ambito della suddetta Conferenza permanente. Peraltro, non essendo stata raggiunta in tale sede, fino ad oggi, alcuna intesa specifica per definire preventivamente il riparto del concorso delle autonomie speciali, lo Stato ha dovuto fa-re ricorrrso a riferimenti provvisori per assicu-rare il rispetto dei vincoli europei, nelle more del raggiungimento di ipotesi condivise. In que-sta prospettiva provvisoria deve essere letta l’evoluzione normativa successiva al d.l. n. 78 del 2010 ed in particolare la formulazione della norma recentemente adottata dal legislatore statale, l’art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014, il quale ha cercato di coniugare il prin-cipio dell’intesa con termini specifici per il suo raggiungimento. Esso dispone: «Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, in conseguenza dell’adeguamento dei propri ordi-namenti ai principi di coordinamento della fi-nanza pubblica […] ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione, assicurano un contributo alla finanza pubblica […] in am-biti di spesa e per importi proposti in sede di autocoordinamento dalle regioni e province au-tonome medesime, tenendo anche conto del ri-spetto dei tempi di pagamento stabiliti dalla di-rettiva 2011/7/UE, nonché dell’incidenza degli acquisti centralizzati, da recepire con intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rap-porti tra lo Stato, le regioni e le province auto-nome di Trento e di Bolzano, entro il 31 maggio 2014, con riferimento all’anno 2014 ed entro il 31 ottobre 2014, con riferimento agli anni 2015 e seguenti. In assenza di tale Intesa entro i pre-detti termini, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottarsi, previa de-liberazione del Consiglio dei ministri, entro 20 giorni dalla scadenza dei predetti termini, i ri-chiamati importi sono assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singole regioni e Pro-vince autonome di Trento e Bolzano, tenendo anche conto del Pil e della popolazione resi-dente, e sono eventualmente rideterminati i li-

velli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalità di acquisizione delle risorse da par-te dello Stato». Si tratta a ben vedere di una norma che confe-risce scadenze ed ipotesi alternative alla intesa, nel solco del tracciato concettuale precedente-mente ricostruito sulla base della necessaria conciliazione dei principi scaturenti dai vincoli finanziari europei e di quelli di tutela delle au-tonomie. Alla luce delle esposte argomentazioni, dunque, si deve concludere che il combinato disposto dell’art. 32, comma 10, della legge n. 183 del 2011 e dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010 – suc-cessivamente evoluto nella contestuale e più ar-ticolata normativa contenuta nell’art. 46 del d.l. n. 66 del 2014 – presuppone l’individuazione concertata di criteri per il ri-parto del concorso individuale delle autonomie speciali al raggiungimento degli obiettivi di fi-nanza pubblica. Nelle more del raggiungimento dell’intesa, detta normativa è finalizzata ad as-sicurare l’attuazione dei vincoli sottesi alla manovra di bilancio annuale e pluriennale. Vale anche per le problematiche connesse al raggiungimento dell’intesa quanto osservato precedentemente a proposito degli accordi cir-ca il vincolo di metodo, che deve caratterizzare le trattative finalizzate al perfezionamento della stessa. In questo caso, il dovere di discussione ricade su tutte le parti interessate, dallo Stato alle au-tonomie speciali, attraverso le necessarie fasi dialogiche, le quali, per quanto riguarda l’intesa, devono assumere una dimensione col-legiale improntata alla leale collaborazione. In tale prospettiva va letto anche il potere di pro-posta dello Stato, che deve essere inteso quale base di discussione, idonea a circoscrivere il thema decidendum e ad assumere il ruolo di ri-ferimento per le proposte emendative dei sog-getti partecipanti alla Conferenza permanente. L’adozione unilaterale dei criteri di riparto «non può pertanto essere prevista come “mera conseguenza automatica del mancato raggiun-gimento dell’intesa”, con sacrificio della sfera di competenza costituzionalmente attribuita al-la Regione e violazione, per l’effetto, del prin-cipio di leale collaborazione (sentenza n. 179 del 2012)» (sentenza n. 39 del 2013).

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Fermo restando che il contributo collaborativo dello Stato in sede istruttoria e nella sede col-legiale della Conferenza non può ridursi alla mera attesa della scadenza del termine (senten-za n. 39 del 2013), la determinazione unilatera-le dei criteri deve essere concepita come rime-dio ultimo per assicurare il rispetto dei vincoli europei connessi alla manovra di bilancio e de-ve sempre avere una valenza provvisoria in re-lazione all’auspicato raggiungimento dell’intesa in tempi utili alle future manovre. A maggior ragione, considerato il reiterato fal-limento delle trattative fino ad oggi espletate, la determinazione normativa unilaterale dello Sta-to deve essere strettamente contenuta secondo canoni di ragionevolezza e di imparzialità nei confronti dei soggetti chiamati a concorrere al-la dimensione complessiva della manovra. Ca-noni che nel caso dei commi 10 e 11 dell’art. 32, letti nel quadro sistematico precedentemen-te ricostruito, non risultano violati. 6.4.– Con riguardo al complesso delle censure riferite ai commi 10 ed 11 può dunque conclu-dersi che la determinazione unilaterale da par-te dello Stato, in assenza di criteri condivisi con le autonomie speciali, è legittima in quanto as-solve provvisoriamente all’onere di assicurare il raggiungimento, nei termini temporali previ-sti, degli obiettivi finanziari delle manovre di bilancio in attesa del perfezionarsi dell’intesa, mentre l’accordo bilaterale con ciascuna auto-nomia costituisce momento di ricognizione e di eventuale ridefinizione delle relazioni finanzia-rie tra lo Stato e l’ente territoriale. Alla luce delle esposte ragioni la normativa oggetto di scrutinio risulta immune da vizi di costituzionalità e le censure proposte nei con-fronti dei commi 10 e 11 non risultano fondate. 7.– La questione proposta dalla Regione sici-liana nei confronti dell’art. 32, comma 16, del-la legge n. 183 del 2011 non è fondata. La norma impugnata dispone che «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al riequilibrio della finanza pubblica, oltre che nei modi stabi-liti dai commi 11, 12 e 13, anche con misure finalizzate a produrre un risparmio per il bi-lancio dello Stato, mediante l’assunzione dell’esercizio di funzioni statali, attraverso l’emanazione, con le modalità stabilite dai ri-spettivi statuti, di specifiche norme di attuazio-

ne statutaria; tali norme di attuazione precisa-no le modalità e l’entità dei risparmi per il bi-lancio dello Stato da ottenere in modo perma-nente o comunque per annualità definite». Dal-la formulazione della stessa emerge chiaramen-te che la sua applicazione è condizionata al ri-spetto degli statuti delle autonomie speciali, sia in termini procedurali che sostanziali, ed è proprio per questo motivo che non può essere considerata lesiva dell’autonomia regionale come sostenuto dalla ricorrente. Come già affermato da questa Corte, il princi-pio dell’autonomia regionale deve essere con-temperato con gli obiettivi e i vincoli di rispar-mio concordati in sede europea (sentenza n. 118 del 2012). Detti obiettivi non si esaurisco-no negli ambiti discrezionali dell’accordo, ma possono – nell’indefettibile rispetto delle norme statutarie – prevedere, come nel caso in esame, forme di riorganizzazione delle funzioni ammi-nistrative e del loro riparto tra Stato e Regioni, capaci di produrre effetti favorevoli in termini di efficienza ed economicità. 8.– Con riguardo alla questione proposta dalla Regione autonoma Valle d’Aosta nei confronti dell’art. 32, comma 17, della legge n. 183 del 2011 deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere. La disposizione, nella formulazione originaria, fissava la propria decorrenza a partire dall’esercizio 2013. È stata poi modificata dapprima dall’art. 1, comma 433, lettere a), b) e c), della legge n. 228 del 2012 – il quale ha sostituito l’inciso «a decorrere dall’anno 2013» con quello «a decorrere dall’anno 2014» – e successivamente dall’art. 1, comma 505, lettere a), b), c) e d) della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilan-cio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014), che ne ha posticipato ulterior-mente l’entrata in vigore all’esercizio 2015. In-fine, l’art. 1, comma 493, della legge 23 dicem-bre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazio-ne del bilancio annuale e pluriennale dello Sta-to – legge di stabilità 2015), ne ha disposto l’abrogazione a decorrere dal 1° gennaio 2015. In ragione delle modifiche intervenute il comma 17 non ha, dunque, avuto concreta applicazione nei tre anni di vigenza e la successiva abroga-zione è completamente satisfattiva delle pretese della ricorrente.

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Gazzetta Amministrativa -277- Numero 1 - 2015

9.– Anche per la questione proposta dalla Re-gione siciliana nei confronti dell’art. 32, com-ma 22, della legge n. 183 del 2011 deve essere dichiarata la cessazione della materia del con-tendere. La norma impugnata stabilisce che «Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149». L’art. 7 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccani-smi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nel te-sto risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 1 della legge n. 228 del 2012, «nella parte in cui si applica alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome» (sentenza n. 219 del 2013). Pertanto, il precetto legislati-vo così modificato non è più riferibile alla Re-gione siciliana, in quanto ente territoriale a statuto speciale. 10.– Le questioni proposte dalla Regione auto-noma Valle d’Aosta /Vallée d’Aoste nei con-

fronti dell’art. 32, commi 19, 22, 23, 24 e 25, della legge n. 183 del 2011 sono inammissibili. Le relative censure sono espresse nel ricorso in relazione a «tutti i motivi già fatti valere con riferimento all’art. 7 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149 […] da intendersi in questa sede integralmente trascritti». In tale maniera esse sono dedotte in modo puramente assertivo ed, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte, non può valere a colmare l’anzidetta lacuna il semplice rinvio ad un pre-cedente atto. Proprio con riguardo ad altra questione ine-rente allo stesso ricorso questa Corte ha affer-mato che «la Regione autonoma Valle d’Aosta si è limitata a rinviare ai “motivi […] già fatti valere con riferimento al d.lgs. n. 149 del 2011”, il cui art. 7 essa aveva impugnato con il ricorso n. 157 del 2011. Una tale motivazione dell’odierno ricorso, esclusivamente per rela-tionem, ne comporta, per ciò stesso, l’inammissibilità (sentenze n. 68 del 2011, n. 40 del 2007, per tutte)» (sentenza n. 175 del 2014).

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Gazzetta Amministrativa -278- Numero 1 - 2015

Dichiarazione sull’Etica, sulle pratiche scorrette e Regolamento sulle modalità di valutazio-ne dei contributi scientifici pubblicati in Gazzetta Amministrativa della Repubblica Italiana

Sezione di ricerca scientifica

della “Gazzetta amministrativa della Repubblica Italiana”

Al fine di garantire un elevato standard della qualità scientifica dei documenti pubblicati, la Rivi-sta ha sempre effettuato un’attività di valutazione scientifica preventiva, da parte del Direttore, dei membri della Direzione, del Comitato scientifico e dei Direttori dei focus, dei contributi pub-blicati. Di tale attività di valutazione (che spesso permette arricchimenti e correzioni del contribu-to, specie se proveniente da giovani studiosi e ricercatori) viene regolarmente conservata traccia dalla redazione della Rivista. Attualmente, al fine di soddisfare in modo ottimale i parametri per la valutazione scientifica dei contributi da pubblicare, la Rivista svolge una sistematica attività di referaggio. A tal proposito è stato creato un comitato di referees composto da 80 esperti, compresi i membri del Comitato scientifico, ossia un numero superiore a tre volte il numero delle uscite annuali. I componenti sono scelti tra professori universitari italiani e stranieri in settori disciplinari e scienti-fici di interesse della rivista, magistrati, dirigenti pubblici, avvocati. L’attività di valutazione scientifica dei contributi si differenzia a seconda del tipo di documento da pubblicare: Presentazione del contributo: Il contributo deve essere inviato in appositi templates forniti dalla redazione all'indirizzo e-mail [email protected] unitamente a: 1) i dati personali dell'Autore, la qualifica professionale e i recapiti; 2) un abstract di massimo 250 parole sia in italiano che in inglese, 6 parole chiave e la sua quali-ficazione attraverso le categoria del sistema U-Gov Miur (saggio, commento, nota... etc...) ; 3) una formale richiesta (v. allegato a) di pubblicazione comprensiva delle seguenti dichiarazioni da parte dell'Autore:

a) che il lavoro sia esclusivo frutto dell'Autore e sia stato redatto nel rispetto delle norme del diritto d'autore e della riservatezza delle informazioni anche con riferimento alle fonti utilizza-te;

b) che l'Autore non ha già pubblicato ovvero non ha chiesto la pubblicazione dello scritto ad altra rivista telematica sia scientifica che di informazione;

c) che le posizioni espresse impegnano l'Autore e non la rivista; d) che l'Autore esonera la rivista da ogni responsabilità con riguardo alla scelta di pubbli-

care, in parti separate, non pubblicare lo scritto oltre che di rimuovere il contributo dalla rivista in caso di violazione di norme di legge. Esame preliminare: La redazione, su proposta del Direttore o del Vice Direttore , svolge un esame preliminare dello scritto e, in particolare, ne valuta:

a) l'attinenza del tema trattato con quelli oggetto della rivista; b) la qualificazione, anche sulla base dell' espressa richiesta dell'Autore, tra le diverse ti-

pologie di contributi di cui alla classificazione U-Gov Miur; c) la presenza dei requisiti minimi di accettabilità anche con riguardo alle informazioni

rese dall'Autore all'atto della richiesta di pubblicazione di cui ai punti da a) a d); d) l’eventuale modifica dell’ area tematica;

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Gazzetta Amministrativa -279- Numero 1 - 2015

e) qualora lo scritto venga classificato come contributo di “attualità” finalizzato all’aggiornamento professionale, il successivo invio per la valutazione finale da parte di due com-ponenti del Comitato di redazione.

Referaggio: L’Autore di "saggi e contributi scientifici", in caso di esito positivo dell'esame preliminare, rice-verà la comunicazione che lo scritto sarà sottoposto a referaggio. L'attività di valutazione scientifica dei contributi è differenziata a seconda del tipo di contributo da pubblicare:

a) Referaggio di saggi e contributi scientifici: Nel caso di collocazione dello scritto nella categoria "saggi e contributi scientifici", il lavoro sarà sottoposto alla valutazione di due revisori fra i componenti del Comitato di referee, italiani o stranieri, esperti della materia o del tema oggetto dello scritto medesimo, di cui almeno un profes-sore ordinario, che saranno in rapporto esclusivamente con la Direzione della rivista. È adottato, in via preferenziale, il sistema di valutazione c.d. doublé blind peer review: il contri-buto è inviato dal Direttore della Rivista ai due revisori in forma anonima e all'autore non sono rivelati i nomi dei revisori, i quali sono vincolati (alla pari del Direttore della Rivista) a tenere segreto il loro operato. La segretezza dell'identità dei revisori, anche in caso di giudizio positivo, è a garanzia di una maggiore indipendenza di giudizio. In via residuale e a discrezione del Direttore , può essere utilizzato anche il sistema di valutazione del peer review c.d. open, in cui si garantisce la forma anonima della valutazione, ma i soggetti chiamati ad effettuare la valutazione potranno conoscere l'identità dell'autore del contributo sotto-posto a valutazione.

b) Referaggio di contributi di “attualità” finalizzati all’aggiornamento professionale: Per i contributi classificati sotto la categoria "attualità", la valutazione del lavoro sarà effettuata da due componenti del comitato di redazione della rivista. In ogni caso, a garanzia di una maggiore indipendenza del giudizio, la valutazione del contributo avverrà sempre in forma rigorosamente anonima e l'autore non potrà conoscere l'identità dei soggetti chiamati a valutare il contributo. Per garantire la celere pubblicazione di un documento di estrema attualità, la valutazione del contribu-to potrà essere effettuata anche dal Direttore.

c) Referaggio di note a sentenza e recensioni: In ragione del loro carattere più o meno snello, note a sentenza e recensioni possono essere as-soggettate, a scelta del Direttore, alla procedura di cui sub a ovvero sub b.

d) Referaggio di saggi e contributi di autori di riconosciuta autorevolezza scientifica: In via eccezionale, su proposta del Direttore accolta dal comitato di Direzione, i contributi di au-tori di riconosciuta autorevolezza scientifica possono essere pubblicati senza referaggio preventi-vo, ferma rimanendo la responsabilità del Direttore. Valutazione del contributo: La valutazione del contributo avviene sulla base dei seguenti criteri:

a) la rigorosità dell'impostazione metodologica; b) l'adeguatezza della bibliografia fatta salva la possibilità di scritti volutamente privi di

riferimenti bibliografici; c) la chiarezza espositiva; d) l’apporto di novità fornito allo stato di avanzamento degli studi sull'argomento; nelle

note a sentenza, il contributo di novità è quello apportato alla motivazione della sentenza stessa, in senso critico o migliorativo. Esito del referaggio L'esito del referaggio può comportare:

a) l'accettazione del contributo per la pubblicazione integrale o in parti distinte senza mo-difiche;

b) l'accettazione subordinata a modifiche migliorative, che sono sommariamente indicate dal revisore; in questo caso il contributo è restituito all'autore per le modifiche da apportare; l'a-

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Gazzetta Amministrativa -280- Numero 1 - 2015

deguatezza delle modifiche apportate è successivamente valutata dal Direttore della Rivista sen-za necessità di ulteriore referaggio;

c) la non accettazione dello scritto per la pubblicazione. In caso di valutazione divergente dei due valutatori, la decisione finale è presa dal direttore della Rivista, sentito il Comitato di Direzione. Doveri dei revisori. II revisore selezionato che non si senta qualificato alla revisione del manoscritto assegnato, o che sappia di non essere in grado di eseguire la revisione nei tempi richiesti, deve notificare la sua de-cisione al comitato di redazione, rinunciando a partecipare al processo di revisione. I manoscritti ricevuti per la revisione devono essere trattati come documenti riservati. Essi non devono essere mostrati o discussi con chiunque non sia previamente autorizzato (tal comitato di redazione. La revisione deve essere condotta obiettivamente. Non è ammesso criticare o offendere personalmen-te un autore. I referee devono esprimere le proprie opinioni in modo chiaro e con il supporto di argomentazioni chiare e documentate. I revisori hanno il compito di identificare la presenza di materiale bibliografico rilevante per il la-voro da valutare ina non citato dagli autori. Ogni dichiarazione, osservazione o argomentazione riportata deve preferibilmente essere accompagnata da una corrispondente citazione. Il revisore deve richiamare l'attenzione del comitato di redazione qualora ravvisi una somiglianzà sostanziale o una sovrapposizione tra il manoscritto in esame e qualunque altro documento pubblicato di cui ha conoscenza personale. Le informazioni o idee ottenute tramite la revisione dei manoscritti de-vono essere mantenute riservate e non utilizzate per vantaggio personale. I revisori non devono accettare manoscritti, nei quali abbiano conflitti di interesse derivanti da rapporti di concorrenza, di collaborazione, o altro tipo di collegamento con gli autori, aziende o enti che abbiano relazione con l'oggetto del manoscritto. Doveri degli autori. Gli autori devono garantire che le loro opere siano del tutto originali e, qualora siano utilizzati il lavoro e/o le parole di altri autori, che queste siano opportunamente parafrasate o citate lett.lmente, ed il corretto riferimento al lavoro di altri autori deve essere sempre indicato. Gli au-tori hanno l'obbligo di citare tutte le pubblicazioni che hanno avuto influenza nel determinare la natura del lavoro proposto. Gli autori di articoli basati su ricerca originale devono presentare un resoconto accurato del lavoro svolto, nonché ima discussione obiettiva del suo significato. I dati relativi devono essere rappresentati con precisione nel manoscritto. I manoscritti devono contene-re sufficienti dettagli e riferimenti per eventualmente permettere ad altri la replicazione dell'inda-gine. Dichiarazioni fraudolente o volontariamente inesatte costituiscono un comportamento non etico e sono inaccettabili. I manoscritti proposti non devono essere stati pubblicati come materiale protetto da copyright in altre riviste. I manoscritti in fase di revisione dalla rivista non devono essere sottoposti ad altre ri-viste ai fini di pubblicazione. La paternità lett.ria del manoscritto è limitata a coloro che hanno dato un contributo significativo per l'ideazione, la progettazione, l'esecuzione o l'interpretazione dello studio. Tutti coloro che hanno dato un contributo significativo devono essere elencati come co-autori. Qualora vi siano altri soggetti che hanno partecipato ad aspetti sostanziali del progetto di ricerca, devono essere ri-conosciuti ed elencati come contributori nei ringraziamenti. L'autore di riferimento deve garantire che tutti i relativi co-autori siano inclusi nel manoscritto, che abbiano visto e approvato la versione definitiva dello stesso e che siano d'accordo sulla pre-sentazione perla pubblicazione. Conflitto di interessi

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Gazzetta Amministrativa -281- Numero 1 - 2015

Un conflitto di interessi può sussistere quando un autore (o la sua istituzione), un referee o un membro della redazione hanno rapporti personali o economici che possono influenzare in modo inappropriato il loro comportamento. Questo conflitto può esistere anche se il soggetto ritiene che tali rapporti non lo influenzino. Sta alla direzione della rivista gestire nel miglior modo possibile eventuali conflitti di interessi (ad esempio tramite il sistema dei referees anonimi in doppio cie-co), e agli autori può venire richiesta una dichiarazione in merito.

HANNO PARTECIPATO

Pres. Franco Bianchi, Avv. Francesca Cosentino, Dott. Fabrizio Clermont, Avv. Francesco De Clementi, Prof.ssa Clara Di Maggio, Avv. Maurizio Dell’Unto, Dott.ssa Laura Ferrero, Dott. Francesco Fionda, Dott. Giorgio Gallo, Dott. Paolo Lanzi, Dott.ssa Francesca Romana Marcacci Balestrazzi, Dott.ssa Tiziana Molinaro, Avv. Daniela Muntoni, Avv. Salvatore Napolitano, Dott. Giovanni Polcini Tartaglia, Dott. Sabato Vinci.

Chiuso in redazione il 26.3.2015 Finito di stampare nel marzo 2015

presso la Tipografia Spedim – Montecompatri (Rm)

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