Cultura Commestibile 74

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Io, erede di Andreotti 74 uesta settimana il menu è Q Nell’ottobre dello scorso anno, grazie ai vostri abbonamenti, Culturacom- mestibile.com ha potuto continuare a vivere, tanto che è stato possibile, dal numero di oggi, tornare in chiaro. Vi ringraziamo tutti di cuore. Abbiamo deciso di tornare all’accesso libero alla nostra rivista settimanale per allar- gare il pubblico, fare di Cultura Com- mestibile uno strumento di più ampia discussione sui temi della cultura per- ché ci pare che il tempo – non partico- larmente favorevole a chi si occupa di questi temi – lo richieda. Il nostro vuole essere un contributo ad allar- gare, arare e seminare il campo della cultura. Una voce libera, non di parte (se non della cultura, appunto), né utile a qualcuno, che vive dell’atten- zione e della partecipazione dei suoi lettori. Continuerete quindi a ricevere via mail la nostra rivista e vi chiediamo di promuoverla, di farla conoscere, di girarla alla vostra mailing list. Stiamo pensando ad un programma, dopo il successo del volume “Dalla parte di Marcel”, di nuove edizioni cartacee degli articoli pubblicati sulla nostra rivista on line e di contributi originali. Come stiamo programmando una serie di iniziative, collegate agli eventi di NEM (che edita e promuove la ri- vista), e di presentazione e discus- sione attorno a libri e temi che ci paiono interessanti, per poter conti- nuare la nostra attività. Il primo di questi si svolgerà martedì 5 maggio alle ore 17 alla Biblioteca delle Oblate nel quale discuteremo del libro di Nicola Capone “Liberta di ricerca e organizzazione della cultura”. Contiamo ancora sul vostro sostegno e sulla simpatia che ci avete manife- stato. Ci leggiamo ogni sabato e ci ve- diamo in giro. L’editore e la redazione RIUNIONE DI FAMIGLIA a pagina 4 Consigli su consigli AI LETTORI Cultura commestibile torna in “chiaro” DA NON SALTARE Neri Serneri a pagina 2 Resistenza italiana, fiorentina e europea Il poliziotto buono Massimo D’Alema commentando la sua presidenza del Roma Club Montecitorio

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Io, erede di Andreotti

74uesta settimanail menu èQ

Nell’ottobre dello scorso anno, grazieai vostri abbonamenti, Culturacom-mestibile.com ha potuto continuare avivere, tanto che è stato possibile, dalnumero di oggi, tornare in chiaro. Viringraziamo tutti di cuore. Abbiamodeciso di tornare all’accesso libero allanostra rivista settimanale per allar-gare il pubblico, fare di Cultura Com-mestibile uno strumento di più ampiadiscussione sui temi della cultura per-ché ci pare che il tempo – non partico-larmente favorevole a chi si occupa diquesti temi – lo richieda. Il nostrovuole essere un contributo ad allar-gare, arare e seminare il campo dellacultura. Una voce libera, non di parte(se non della cultura, appunto), néutile a qualcuno, che vive dell’atten-zione e della partecipazione dei suoilettori.Continuerete quindi a ricevere viamail la nostra rivista e vi chiediamodi promuoverla, di farla conoscere, digirarla alla vostra mailing list.Stiamo pensando ad un programma,dopo il successo del volume “Dallaparte di Marcel”, di nuove edizionicartacee degli articoli pubblicati sullanostra rivista on line e di contributioriginali. Come stiamo programmando unaserie di iniziative, collegate agli eventidi NEM (che edita e promuove la ri-vista), e di presentazione e discus-sione attorno a libri e temi che cipaiono interessanti, per poter conti-nuare la nostra attività. Il primo diquesti si svolgerà martedì 5 maggioalle ore 17 alla Biblioteca delleOblate nel quale discuteremo del librodi Nicola Capone “Liberta di ricercae organizzazione della cultura”.Contiamo ancora sul vostro sostegnoe sulla simpatia che ci avete manife-stato. Ci leggiamo ogni sabato e ci ve-diamo in giro.

L’editore e la redazione

RIUNIONEDI FAMIGLIA

a pagina 4

Consiglisu consigli

AI LETTORI

Cultura commestibiletorna in “chiaro”

“DA NON SALTARE

Neri Serneri a pagina 2

Resistenza italiana, fiorentina e europea

Il poliziottobuono

Massimo D’Alema commentando la sua presidenza del Roma Club Montecitorio

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di Simone Neri [email protected]

Pubblichiamo qui l’intervento te-nuto da Simone Neri Serneri,storico dell’Università di Siena eDirettore dell’Istituto Storico

della Resistenza in Toscana, in occasionedelle celebrazioni per la Festa della Libe-razione il 25 aprile scorso nel salone dei500 a Firenze.Signor Vice Sindaco, Rappresentantidelle Istituzioni, Rappresentanti delleAssociazioni, Donne e Uomini dellaResistenza, Signori e Signori sonograto e onorato dell’invito a rappre-sentare in questa occasione e in questasede l’Istituto Storico della Resistenzain Toscana. Un Istituto fondato dagliuomini che già avevano animato il Co-mitato Toscano di Liberazione Nazio-nale: Enzo Enriques Agnoletti, MarioFabiani, Giulio Montelatici, AchilleMazzi, Nello Niccoli, Carlo Cam-polmi, Duilio Del Poggetto, MarioLeone, Foscolo Lombardi, Attilio Ma-riotti. Un Istituto presieduto da MarioAugusto Martini, Nello Niccoli, CarloFrancovich, Giancarlo Zoli, Elio Gab-buggiani. Uomini che ricordo peronorarne la memoria e perché è graziea loro che ancora oggi l’Istituto esistee lavora, ma soprattutto per rimarcare– un esempio tra i vari che certo si po-trebbero menzionare – quanto in-tenso e fecondo è stato, e quantoancora potrebbe e dovrebbe essere,l’intreccio tra politica e cultura in que-sta città. E ricordo con loro Ivano Tognarini, ilnostro ultimo Presidente, scomparsoda poche settimane. Delle sue moltedoti, mi preme richiamare oggi la pro-fonda convinzione che la storia sia ilfondamento della nostra cultura ci-vile. Una convinzione che egli siformò, e per la quale spese tantissimedelle sue pur notevoli energie, nelcontinuo confronto con gli uomini ele comunità delle nostra regione, chea lui si rivolgevano proprio perchémossi da quella stessa convinzione.Che significato ha tutto questo settan-t’anni dopo la guerra e la Resistenza?Cosa significa celebrare quello che pernoi è il Settantesimo anniversariodella Liberazione? Con piacere con-statiamo il formarsi, di giorno ingiorno, di un ricco e variegato pro-gramma di iniziative, promosso dalleistituzioni e in grande parte, e signifi-cativamente, per opera di tante asso-ciazioni locali. E però ci è ben chiaroche – dopo settant’anni – tutte questeiniziative avranno realmente valore eincisività se mosse dalla consapevo-lezza che la memoria non va solomantenuta viva, ma va propriamentecoltivata: non si tratta di proteggerlacome fosse una pianta, ma di gettarnei semi ben considerando il terreno, lestagioni, e quant’altro, insomma con-siderando la società e il tempo in cuiviviamo, altrimenti il raccolto saràscarno.Non possiamo considerare la Resi-stenza solo come le nostre radici,come un patrimonio genetico, dal

quale scaturisce un albero, magaribello e robusto, ma che in fondo si ri-produce necessariamente uguale a sestesso, anche quando non resta isolatoe magaro si moltiplica fino a formareun bosco.Piuttosto guardiamo alla Resistenzacon la metafora della città, della polis.E’ stato il tempo in cui abbiamo com-battuto per stabilire le regole fonda-tive della città. Quelle regole, ovvero iprincipi, le norme e le pratiche cherendono democratica la nostra comu-nità politica e che abbiamo conqui-stato attraverso una guerra civile,scatenata dal fascismo, ma che taleresta se propriamente intesa comeguerra dei cittadini per l’ordine civile.Ecco, a partire da quelle regole, ab-biamo costruito la nostra città, nei de-

fiorentina,italiana,europea

Resistenza

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L’interventodi Simone Neri Serneri,direttore dell’Istituto

Storico della Resistenzain Toscana

alle celebrazioni del 25 aprilea Palazzo Vecchio

cenni che abbiamo alle spalle e pos-siamo continuare a ideare e realizzarenuovi quartieri della nostra città, inte-grando magari altri centri urbani, altriterritori. Occorre dunque allargare losguardo verso territori nuovi, spintidalle necessità odierne e certo facen-dolo con originalità. Ma sempre la-sciando saldo il patto delle regole.Questo è, ancora dopo settant’anni, ilnesso tra allora e oggi. Per questo iltempo di allora è ancora il nostrotempo, nonostante i profondi cambia-menti intercorsi. Per questo la lotta diallora, che appartiene nella sua con-cretezza a quel tempo irrevocabil-mente alle nostre spalle, mantieneperò un significato pienamente at-tuale, proprio perché ne scaturironovalori e regole che riconosciamo an-

cora pienamente attuali.Tali ci appaiono ancor più chiara-mente oggi, a settant’anni di distanza.Quando guardiamo ampliando il no-stro sguardo nel tempo e nelle spazioe riconosciamo che fu l’esito di unconflitto che ha spaccato la nostracittà e il nostro paese fin dai primianni Venti, quando il fascismo scatenòla guerra civile. Ci è oggi ben chiaroche da allora abbiamo preso a percor-rere la nostra lunga strada, che ci haportato a costruire gradualmente, edattraverso passaggi drammatici, unademocrazia in questo paese. Unastrada che non si è conclusa né inter-rotta il 25 aprile, ma che da quellaesperienza ha tratto i suoi caratterifondamentali: perché vent’anni di re-gime autoritario, bellicista e classista

hanno insegnato che non c’è libertàsenza giustizia, che non c’è sovranitàsenza autogoverno, che non c’è benes-sere del paese che possa basarsi sullaoppressione e lo sfruttamento di altripaesi. E, come è noto, la Resistenza fioren-tina è stata alla testa di quella battaglia,affermando per prima con l’insurre-zione, fortemente voluta e durissima-mente pagata, che solo l’assunzione diresponsabilità nella guerra aperta esenza riserve contro il nazifascismo le-gittima la conquista della libertà edella democrazia e che queste sono re-almente tali quando sono radicatenella iniziativa propria e dal basso,quando esprimono quell’autogo-verno, infatti rivendicato ed esercitato,non solo simbolicamente, dal Comi-

tato Toscano di Liberazione Nazio-nale.Questa è stata la nostra storia e su que-sto abbiamo costruito la nostra idea dicittadinanza. Cosa significano adesso quella storia,quella idea di cittadinanza? Comepossono parlare al nostro tempo? Sa-premo calare questa idea di cittadi-nanza nel mondo di oggi, sapremodimostrare ai giovani di oggi, non soloa quelli che vengono dai Balcani, dalMarocco o dall’Egitto, ma ai nostrifigli e ai nostri nipoti che quel tempoparla ancora anche a loro? Che queivalori possono esser anzitutto i loro?Il Circolo Reims, un circolo di anzianiattivissimi, che opera a Firenze spro-nato dall’instancabile Giorgio Pacini,ha intitolato la festa che organizza peril 25 aprile “Festa della liberazione eu-ropea”. Ecco, noi siamo davanti a que-sta sfida: comprendere fino in fondoche la nostra Resistenza, la nostra Li-berazione erano già allora un pezzo in-tegrale della storia d’Europa.Chi in Europa aveva inventato il fasci-smo? E, certo, anche l’antifascismo?Chi negli anni Venti aveva riconqui-stato la Libia decimandone letteral-mente la popolazione, nel silenziodell’Europa? Chi poi aveva aggreditol’Etiopia, approfittando delle rivalitàtra gli altri stati europei? Chi contribuìa fare della guerra di Spagna unaguerra europea? Chi portò la guerranei Balcani aggredendo la Grecia, in-vase il Montenegro – e vi fece ‘terrabruciata’, distruggendo villaggi, fuci-lando o deportando la popolazione ci-vile – dopo aver occupato l’Albania e,poi, affiancando la Germania nazista,annetté metà della Slovenia e so-stenne lo stato ustascia croato, stermi-natore di serbi, ebrei, rom e croatistessi? E, infine, quale liberazione dalfascismo ci sarebbe mai stata se nonavessimo perso la guerra europea enon fossero arrivati gli eserciti alleati?Allora come oggi l’Europa è la nostrastoria. Dobbiamo assumere l’Europae la sua storia come nostra storia, neisuoi grandi risultati come nelle suetragedie: il fascismo, il colonialismo, ilsocialismo autoritario, il nazionalismonei suoi vari travestimenti.Noi italiani non abbiamo mai vera-mente fatto i conti fino in fondo conla nostra storia, né con la storia delcontinente. Questo invece è il com-pito cui tutti siamo chiamati, comeistituzioni, istituti di cultura, docentie studenti Se non sapremo fare nostraquella storia, le regole che ci siamodati rischiano di restare sterili, di rima-nere un’esperienza bellissima, maormai appartenuta ad un altro tempo. Se invece sapremo promuovere, in-sieme ai nostri concittadini europei,una riflessione profonda su quantoancora di quella storia ci portiamodietro, sulle eredità che ci ha lasciato,su quante tensioni all’interno e preclu-sioni verso l’esterno ancora essa ali-menta, allora potremo dimostrare chei valori, i principi, le regole che cisiamo dati il 25 aprile di settant’annifa sono ancor quelli dei nostri tempi.

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consiglio di nominarmial Vieusseux: lì si sta piùtranquilli”. Consiglio ac-colto. Ma come si svolge in concreto ilcompito del consigliere da Empoli?Un’attività che lo “impegna” molto:raccoglie analisi, spunti, riflessioni chegli arrivano da personaggi più o meno

conosciuti ma ottimi conoscitoridel potere, italiano e internazio-nali; lui li filtra, li elabora, liapprofondisce e li passa aRenzi... il quale, come sempre,farà quel che gli pare. Ma, d'al-tra parte, a nessuno come a da

Empoli si attaglia il detto diOscar Wilde: “Elargisco sempre buoniconsigli, non saprei che altro farmene”.Pare, però, che a Palazzo Chigi Giu-liano dovrà dividere la scrivania conEugenio Giani e, si sa, fra i due noncorre buon sangue: non perché Giu-liano è subentrato all'assessorato allacultura a Firenze a Eugenio, ma perchéè certo che Giani gli copierà le idee.

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Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone silianiredazione

sara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchiprogetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

www.culturacommestibile.comredazione@[email protected]

www.facebook.com/cultura.commestibile

“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

Come un fiume carsico, Giuliano daEmpoli scorre sulla vita politica ita-liana in superficie, poi improvvisa-mente annoiato si immerge facendoperdere le sue tracce, fino a quandonon lo vedi riemergere impetuosodove meno te lo aspetti. Così eccolotornare, dopo gli anni esaltanti del-l'assessorato alla cultura chelasciò per noia manifesta(pur mantenendo unasbadigliata presenza-as-senza fiorentina alVieusseux), nel cerchiomagico renziano. Sarà“consigliere politico” delPresidente del Consiglio.Giuliano è il più grande espertomondiale di consigli. Ha una lungaesperienza alle spalle: è stato consi-gliere di Antonio Maccanico al mi-nistero per le Riforme istituzionali,poi consigliere del Ministro dellaCultura Francesco Rutelli, che haconsigliato di nominarlo nel consi-glio di amministrazione della Bien-nale di Venezia. Consiglio analogoha dato a Renzi quando ha capitoche da assessore alla cultura c'era ilrischio di dover fare qualcosa: “ti

RIUNIONE DI FAMIGLIA

LE SORELLE MARX

In ogni poliziesco che si rispetti, almomento dell’interrogato-rio si affacciano sempre ilpoliziotto buono e quellocattivo. Un cliché spera-

vamo, che invece si è riproposto tragi-camente questa settimana nella realtà.Il poliziotto, anzi i poliziotti cattivisono quelli della platea del congressodel SAP che hanno dedicato un ap-plauso agli assassini di Federico Aldo-vrandi. Va precisato, per non incorrerenello zelo di tali signori, che l’omicidioè stato giudicato da tre gradi di giudi-zio della Repubblica Italiana “eccessocolposo nell’uso legittimo delle armi”.Quattro contro uno, eccesso colposo. Bene, se quindi il primo stereotipo cine-matografico è stato individuato chi èche fa il poliziotto buono? Figura dellaquale, dopo quegli applausi, stupida-mente odiosi, sentiamo davvero il biso-gno. Per fortuna il poliziotto buono inquesto caso, è il capo della Polizia,Alessandro Pansa. Il quale, prima diquel vergognoso applauso, era interve-nuto davanti a quella stessa platea aribadire quanto detto già in prece-denza in occasione degli scontri aRoma circa un poliziotto ripreso men-tre calpestava dei manifestanti. Pansanon ha difeso quell’agente, in un ri-flesso corporativo che ricorda quello diPeter Sellers ne il dottor Stranamore,ma teso a isolare figure come quella e adefinire nuove regole di ingaggio per lemanifestazioni e la tutela dell’ordinepubblico. Tutto questo lo ha fatto di

I CUGINI ENGELS

fronte a quella platea, di cui, immagi-niamo, conoscesse l’umore e i pensieri.Lo ha fatto, per di più, dopo che il suoministro di riferimento, Angelino Al-fano, lo aveva lasciato solo sulla que-stione degli scontri di Roma. Ecco, nelcinema, non ricordiamo la figura delministro dell’interno buono e quello cat-tivo. Nella realtà abbiamo visto soloquello cattivo, che poi, dopo aver inparte dato coraggio a quella platea perapplaudire gli assassini, la stigmatizzabuon ultimo. Però il ministro Alfano e ilgoverno tutto hanno modo per passaredalla parte dei buoni, proponendo unalegge sul reato di tortura e una che ob-blighi a mettere un numero identifica-tivo sui caschi degli agenti in servizio diordine pubblico.

Il poliziotto buono

Scopriamo, e non è la prima volta, che la copertina di Sassi Caia contiene un refuso cla-moroso. Infatti il vero titolo del libro del nobile decaduto Gino Ginori Giugni, riportato nelfrontespizio, è “Sassi Gaia”. Così, mentre uno si aspetta comprando il volume di trovarequalche utile informazione sul pregiatissimo vino Doc prodotto in una piccola zona di Ca-stagneto Carducci, scopre, invece, che si tratta di un astruso saggio sulla “felicità di siste-matizzare i sassi, siano essi di mare o di terra”. Il Giugni, perduto il titolo di barone e,soprattutto, dilapidato il patrimonio in gran parte costituito da terre coltivate a vigneto(guarda caso), passa la vita raccogliendo ciottoli di tutti i tipi ed è, ci avverte, contentissimo.Egli dispone, come fosse un filatelico, i materiali in raccoglitori di acciaio dividendoli in basealla loro provenienza: i tondi prodotti dalla levigazione dell'acqua di mare o dei fiumi, gliaguzzi risultato di frane di vario genere (i più rari quelli degli smottamenti sotterranei), imodificati dall'uomo, tipo vari pietrischi per l'edilizia o i sampietrini per le pavimentazionistradali. Una lettura interessante. Dopo averlo finito vi accorgerete che quando camminatee volgete lo sguardo a terra vedrete nei sassi cose che non avreste mai immaginato ed anchevoi, come l'autore, vi sentirete più felici.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

Consigli su consigli

VINTAGE

Signor Presidenteo è un’amnesiao la resistenza non sa cosa sia.O forse Ella pensada buon avvocatoche la resistenza al poteresia un reato.

Per vincere ci vogliono i Lenoni.

Morto un parà se ne fa un altro.

Senatore Montalepoeta liberale:la nuova maggioranzasarà su una sua i/stanza.

Meglio Sordi che Rai.

TV apertabugia coperta.

Libro di testodetesto contesto.

Se scema la tensionela guerra finirà:lasciamo fare a Nixonche ama il Vietnam.

Bombardano Hanoie il Vietnam del nord?Ma cosa importa a noivisto che siamo sordi.

LUGLIO 1972

Il FrancoMiratore

Gli epigrammidi Franco Manescalchinelle pagine di Ca Balà

a cura di Paolo della Bella

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di John Stammer

Dalla nuova piazza intitolata adUgo di Toscana, inaugurata nelnovembre del 2011, la facciatadella torre libraria della nuova

biblioteca del dipartimento di ScienzeSociali dell’Università di Firenze si pre-senta come uno schermo che cambia“screen saver” al mutare delle ore. Ilgioco delle ombre, che la raffinata fini-tura della facciata consente, è uno deglielementi che caratterizzano la piazza,ornata da lecci e con un bel pavimentoin pietra. L’edificio si colloca nella estre-mità ovest del complesso di edifici checostituiscono la nuova sede del PoloUniversitario delle Scienze Sociali aNovoli e, nonstante la collocazione, nerappresenta il fulcro centrale. Pensatocome un unico edificio in realtà è costi-tuito da due parti distinte: la torre libra-ria e l’edificio della consultazione e deiservizi.I due corpi di fabbrica sono raccordatifra di loro da un terzo elemento, di sem-plice comunicazione, in vetro e acciaio.L’invenzione di Adolfo Natalini, che hafirmato anche il resto degli interventiper l’Università, è appunto nella defini-zione della forma e delle finiture deidue distinti edifici.La torre libraria si caratterizza come un“monolite”, di forma quasi cubica, so-speso su pilastri, senza apertureesterne, con una finitura di facciata inpietra di Santa Fiora finemente struttu-rata in pieni e vuoti, che costituisce lacifra formale dell’intero progetto. Lepiccole scanalature, perfettamente or-dinate ai diversi piani della struttura, ecompletate da un elemento orizzontale,quasi un davanzale che ne accentua laprofondità e favorisce il gioco delleombre, sono l’invenzione architetto-nica che caratterizza l’edificio. Una co-pertura rialzata, che segna il perimetrodell’edificio quasi come quello di unchiostro, completa l’immagine pub-blica della torre.L’altro edificio è invece, volutamente,quasi completamento omogeneo, nellasua forma esterna, al resto degli edificidell’Università, con le partizioni dei vo-lumi segnati, in orizzontale, dalle di-verse finiture di facciata (pietra al pianoterra e intonaco colorato in rosso aipiani superiori), ma si differenzia per lapresenza di un falso porticato, in fac-ciata principale con esile colonne in ac-ciaio, e per la grande vetrata che segnal’ingresso dell’edificio. Ma è nell’in-terno che l’edificio manifesta la suamaggiore innovazione, con il grandevuoto del chiostro circolare (la cui lan-terna è perfettamente visibile da unavista a volo d’uccello) dove si affac-ciano le sale di lettura, e che diventacosì un vero spazio vuoto collettivo,quasi percorribile, almeno con losguardo, e che restituisce la sensazione,per chi sta leggendo all’interno, di es-sere sempre in compagnia di qualcuno,anche se non c’è nessuno a sedere vi-cino a te. La possibilità di spaziare conlo sguardo, oltre la tua postazione, al dilà del vuoto del chiostro (alto per tre

PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ

Il grande vuoto internoluogo e spazi contemporanei per la di-dattica e per la vita sociale.Ha anche permesso di unificare in unaunica struttura il complesso delle bi-blioteche universitarie di Scienze So-ciali, contribuendo così a costituire lagrande biblioteca universitaria per lacittà.

piani oltre il piano terra) garantisce una“comunità”, di fatto, degli studiosi.L’edificio, come gli altri dell’Università,fu iniziato negli ultimi anni del secoloscorso dopo che vi era stato un lungodibattito sulla bontà del piano di rior-ganizzazione delle sedi universitarie incittà, e fu acquitato con l’innovativa for-

mula, non più utilizzata dopo di allora,di “acquisto di cosa futura”. Una sceltaimportante per l’Università di Firenze,e anche per la città, che ha consentitodi fare definitivamente decollare l’in-tervento di ristrutturazione urbanisticadell’ex area Fiat di Novoli, e ha fornitoagli studenti, ma anche ai docenti, un

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L’universo della comunicazioneha sempre affascinato ilmondo dell’Arte, tanto da at-tirare intellettuali e artisti de-

siderosi di trovare nuove vie e nuovemodalità d’espressione estetica e con-cettuale, nella consapevolezza che ilsegno linguistico contemporaneo nonè più in grado di soddisfare i bisogniemotivi dell’uomo, ormai del tuttoalienato dalla società di massa. Analisi,ricerca e attenzione particolare al lin-guaggio sono i cardini della sperimen-tazione artistica di Ketty La Rocca che,fin dagli anni Sessanta, si è concentratasulla realizzazione delle dinamiche co-municative, facendo dell’Arte nontanto una mera contemplazione dellasituazione presente, quanto un vero eproprio dialogo fra un Io estetico e unTu esterno all’opera, con il quale en-trare in uno stretto rapporto dialogico.Formatasi in seno ai dibattiti della Ne-oavanguardia e all’interno della speri-mentazione verbo-visuale delfiorentino Gruppo ’70 si è posta in sin-tonia con la cultura delusa e rammari-cata del tempo, operando all’insegnadella denuncia e della provocazione, alfine di smuovere tutte quelle coscienzaassopite da una società inglobante edalle false ideologie. Nelle opere di

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.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.6

Dall’alto Appendice per una supplica, 1971, Tela emulsionata, cm87,5x125. Appropriazione indebita, 1973, Scrittura su cartolina illu-strata, cm 14,7x10,3 e Senza titolo, 1968, Serigrafia su plastica, cm50x90. Tutte courtesy Collezione Carlo Palli, Prato

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

L’Ioesteticoe il Tuesterno

KettyLa Rocca

Ketty La Rocca la materia comunica-tiva diviene uno strumento ambiguo ealienante da distorcere e svuotare daisensi comuni, attraverso un’operazionedi trasfigurazione delle immagini e unasintesi intellettiva della parola, che dascarna ritrova la sua verità più pura eoriginale. In tal modo la scrittura si og-gettualizza nello spazio dell’Arte contutta la sua potenza invasiva e il pro-prio messaggio può arrivare diretta-mente allo spettatore, al quale nonresta che dialogare con le interpreta-zioni ironiche e taglienti dell’artista. In-torno agli Settanta l’attenzione diKetty La Rocca si sposta sul corpo e illinguaggio dei gesti, sperimentando atutto tondo i linguaggi della Video-tape, dell’installazione, della perfor-mance fino all’arte concettuale vera epropria. Con la ricerca sul corpo comestrumento comunicativo, l’Io dell’arti-sta e l’Ego estetico divengono una pre-senza fisica di straordinario valoreintellettuale: un vero e proprio puntodi vista che entra in relazione con ilmondo, in un continuo confronto cri-tico. Parola e immagini continuano adialogare insieme sviscerando recipro-camente le proprie congetture finoquasi ad astrarsi dalla concretezza falsae ideologica del contemporaneo.Quello di Ketty La Rocca è un giocodi rimandi, contaminazioni e rifles-sioni ancora oggi attuale, ma reso conun’originalità inedita.

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.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.7OCCHIO X OCCHIO

Nel 1986 la guerra civile in Af-ghanistan è al suo culmine, letruppe sovietiche sono pre-senti nel paese in maniera

massiccia ed operano in appoggio adun governo repubblicano instabile epericolosamente minacciato dal mo-vimento di stampo islamista dei mu-jaheddin, fortemente radicato nelterritorio ed appoggiato finanziaria-mente e materialmente da numerosistati esteri. Il conflitto ha già provo-cato nel paese ampie distruzioni egravi perdite, soprattutto fra la popo-lazione civile. L’associazione “Méde-cins sans frontières” organizza egestisce numerosi ospedali di fortuna,quasi tutti dislocati nelle zone piùlontane ed impervie del paese e coor-dinati da Juliette Fournot, più nota fragli afghani come Jamila. E’ la stessa Ju-liette-Jamila che invita il giovane fo-togiornalista Didier Lefèvre, laureatoin farmacia, a documentare il lavorosvolto negli ospedali da campo. Di-dier accetta con entusiasmo e parteper l’Afghanistan, dove impara laprima lezione che ogni fotogiornalistadovrebbe conoscere, indossando gliabiti locali, dissimulandosi in mezzoalla popolazione del luogo, e memo-rizzando alcune frasi in lingua farsi.Spostandosi con gli altri membri dellaspedizione di Médecins sans frontiè-res, su dei camion, a cavallo o a piedi,attraversa la frontiera fra il Pakistan el’Afghanistan e raggiunge il Nord delpaese, fra le province del Nuristan edel Badakhshan, attraversando vallatee piccoli villaggi, fermandosi spessoper assistere e curare i malati, i feriti ele vittime dei frequenti bombarda-menti. In mancanza di strutture ade-guate, vengono attrezzati alla menopeggio i locali disponibili, spesso siopera all’aperto o dietro una tendache funge da paravento. Didier docu-menta tutto, la vita dei villaggi, i per-sonaggi che incontra, i mujaheddinche fanno loro da scorta, i feriti, gli in-terventi dei suoi colleghi, gli incidentia cui fatalmente vanno incontro.Dopo avere trascorso più di due mesicon i diversi gruppi di medici ed in-fermieri, condividendo con loro espe-rienze, fatiche e privazioni, Didierdecide di rientrare, e si incammina dasolo per attraversare di nuovo la fron-tiera. La lunga marcia mette a duraprova il suo fisico, segnando in ma-niera indelebile la sua salute. Dopo tremesi dalla partenza, rientra a Parigicon oltre quattromila negativi inbianco e nero. Libération pubblicasolo sei di queste immagini su di unadoppia pagina. L’esperienza fattaspinge Didier verso nuove destina-zioni, Sri Lanka, Corno d’Africa, Ma-lawi, Colombia, Sierra Leone, Eritrea,Niger, Costa d’Avorio, Burundi,Congo, Cina, Albania, Ruanda, Uzbe-kistan, Tagikistan, Israele, Cambogia,riportando immagini di dolore e de-solazione che tuttavia non trovanopresso gli editori l’accoglienza che

di Danilo [email protected]

Didier Lefevre

IL fotografomeritano. Nonostante tutto, Didiertorna ancora per sette volte in Afgha-nistan, l’ultima nel 2006. Nel 2007muore improvvisamente per uncolpo al cuore.Da un incontro di Didier con il dise-gnatore di fumetti Emmanuel Gui-

bert nasce un progetto del tutto ori-ginale, la ricostruzione fedele delprimo viaggio in Afghanistan illu-strato con molte delle immagini foto-grafiche disponibili, integrate edintervallate con una serie di immaginidisegnate. L’opera viene pubblicata in

Francia fra il 2003 ed il 2006 in tre vo-lumi con il titolo “Le Photographe”,riuniti in un unico testo nel 2008 e ri-proposto in Italia nel 2010. “Le Pho-tographe”, perché Didier Lefèvre nonè stato “un” fotografo, è stato e rimaneper tutti “il” fotografo.

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.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.8

di Franco [email protected]

RI-FLESSIONI

Sono ormai parecchi anni che av-verto la sensazione che qualcosa– chiamiamola entità per sempli-ficare – accompagni costante-

mente la vita di tutti noi. Una entitàmolto strana, impalpabile, blanda, ma tal-mente tracotante da condizionare le sortinon solo di ciascun cittadino, ma dell’in-tero pianeta. Non mi riferisco ad alieni oa presenze spirituali, bensì all’esercito dilobbisti che assedia le istituzioni europeea Bruxelles. Una entità che dopo la gravecrisi economica del 2008 ha fatto fatica arimanere ancora nascosta.Sicuramente non vi avrò detto nulla dinuovo. Siamo tutti abbastanza consape-voli della presenza di un mondo finan-ziario che esercita una forte attività dilobby sulle istituzioni europee, ma i datiemersi dal rapporto pubblicato da Cor-porate Europe Observatory – CEO, il cuititolo è “La potenza di fuoco della lobbyfinanziaria”, sono impressionanti. In to-tale l’industria finanziaria spende più di120 milioni di euro l’anno per sostenerele attività della lobby a Bruxelles, conoltre 1700 addetti. Un vero e proprio ri-schio per la democrazia, non solo perl’influenza e il potere messi in campo, maanche per la difficoltà di regolamentarein modo più rigido questo settore.Scorrendo il rapporto, infatti, si può ca-pire quanto e come viene esercitata l’in-fluenza della lobby finanziaria. In sedeeuropea, la spesa in attività di lobby delsettore finanziario supera quella di ognialtro gruppo di interesse per un fattore di30 a 1. Per capire cosa questo significhi,basta riportare l’esempio citato all’in-terno del Rapporto: in una discussioneal Parlamento europeo su una Direttivasugli hedge fund e private equity, 900emendamenti su 1.700 totali sono statiredatti non da parlamentari, bensì da lob-bisti del mondo finanziario. Forse per questo motivo AlgirdasŠemeta, Commissario europeo per la fi-scalità e l’unione doganale, l’audit e lalotta antifrode, ha affermato che “lalobby finanziaria è probabilmente la piùpotente lobby nel mondo”.La Commissione Europea ha un ruolocruciale nel dettare norme per regola-mentare il settore finanziario, così comeper discutere ogni possibile proposta le-gislativa. Purtroppo però la stessa Com-missione Europea è fortemente incontatto con la lobby in diversi modi, inparticolare attraverso le consultazioni egli “official advisory groups”, meglio co-nosciuti come “gruppi di esperti”. Taligruppi non sono altro che organi consul-tivi ufficialmente costituiti da Commis-sione, BCE o agenzie di surpevisionefinanziaria con il compito specifico didare pareri e consigli su determinatiaspetti e normative. Più del 70% di tuttigli advisors ha legami diretti con l’indu-stria finanziaria, a fronte di uno 0,8%delle Ong e dello 0,5% delle tradeunions. Non è difficile immaginare cosacomporti tutto questo: le legislazioni inmateria finanziaria vengono diluite alpunto tale da renderle inefficaci, garan-tendo di fatto al mondo finanziario di

di Laura [email protected]

continuare ad agire indisturbato eostruendo ogni forma di regolamenta-zione seria e rigorosa. Il Rapporto evidenzia altri due aspettiimportanti che rischiano di mettere se-riamente in pericolo la democrazia. Ilprimo consiste nella totale assenza di tra-sparenza per quanto riguarda le attivitàdella lobby, nonostante la Commissioneabbia voluto dare la possibilità ai cittadinidi vedere chi fossero e quali attività pro-muovessero istituendo un “Registro perla trasparenza”. Peccato però che l’iscri-zione al registro sia assolutamente volon-taria e che ciascun gruppo sia liberodall’obbligo di registrarsi, come di fattoaccade. In secondo luogo poi i registricontengono moti errori, anche per sceltadelle stesse lobby che preferiscono appa-rire di dimensione più piccole rispettoalla realtà. Un’ultima considerazione im-portante riguarda l’attività di partecipa-zione della lobby finanziaria. Secondo ilrapporto, dopo la crisi la lobby finanzia-

ria ha partecipato ad almeno 1.900 in-contri e consultazioni con la Commis-sione e le altre istituzioni europee, unosproposito se messo in relazione al cen-tinaio di incontri che coinvolgevano retie organizzazioni della società civile. Dal rapporto del CEO emerge prepoten-temente quanto ancora il mondo finan-ziario continui ad agire nell’ombra eindisturbato. Austerità quindi? Sì, manon per tutti. Le istituzioni europee cosìprontamente attente ad imporre vincolie controlli sugli Stati sovrani, pare che ab-biano molta meno energia e vitalitàquando si tratta di correggere un settorecosì altamente privo di regole chiare e se-vere. Eppure dopo la crisi del 2008 qual-cosa si sarebbe potuto e dovuto fare.Mentre gli Stati sono sottoposti ad uncontrollo strettissimo, sul gigantesco si-stema bancario sembra non sia ancoraarrivato il momento di agire. Aspettiamoquindi. Forse la prossima bolla specula-tiva o crisi economica sarà la volta buona.

La potenza di fuocodella lobby finanziaria

Fra i primi poeti che ho letto eamato Umberto Saba occupa unospazio primario. Mi attrassero, finoda ragazzo, le sue poesie per gli uc-celli, di cui era anche allevatore, e,particolarmente, le “Dieci poesie perun canarino”.Terso nella memoria, come un dia-dema, l’incipit che introduce i versiper un tentato e non felice connubiodel canarino prediletto. “Meravi-gliosa canarina azzurra / ti sceglievoa compagna. La più bella, / la piùrara al mercato. Una gran dama.”Questo amore per la bellezza fragilee fuggevole, che diviene allegoriadella coscienza di uno strazio piùgrande, affonda le radici nella vitastessa del poeta, ferita dall’abban-dono del padrefino dalla sua nascita.Egli assume così una condizionecreaturale, rifiuta il cognome delpadre (Poli) e si denomina Saba,forse perché è il nome ebraico delpane o perché ricorda quello dellaamata nutrice, Sabboz, che lo avviòall’amore per gli uccelli…Creaturedi Dio e del sole, oggi per voi ricordola mia balia adorata, lei che primami regalava un lucherino e, ignaradel mio destino, m'insegnò ad amarvi.

Ma tutta la sua vita è segnata da que-

ANIMALI IN POESIA

sta empatia. Sappiamo che nel can-tare le lodi della moglie egli la asso-miglia a una pollastra arruffata nelfare e altera nell’incedere; a una gio-venca gravida e festosa che strappal’erba come fosse un dono; a unalunga cagna che ha tanta dolcezzanegli occhi, ma che difende il suomondo “con i denti”; a una conigliache teme per quanto raccoglie per lasua vita; a una rondine per le suemovenze, a una formica e una pec-chia, entrambe provvide. E questesimilitudini per dire che essa è cometutte le creature che avvicinano aDio, a nessun altra donna. E tutto ciò nel segno della Grazia.,

Umberto Saba e la grazia del vololontano dalla crudeltà degli uominiai quali, tuttavia, dedica questo ser-mone,

VI Quasi una MoralitàPiù non mi temono i passeri, vannovengono alla finestra indifferential mio tranquillo muovermi nellastanza.Trovano il miglio e la scagliola: donospanto da un prodigio affine, accre-sciutodalla mia mano. Ed io li guardo muto(per tema non si pentano) e mi pare(vero o illusione non importa) leggerenei neri occhietti, se coi miei s'incon-trano,quasi una gratitudine.

Fanciullo,od altro sìì tu che mi ascolti, in penaviva o in letizia (e più se in pena) ap-prendida chi ha molto sofferto, molto errato,che ancora esiste la Grazia, e che ilmondo- TUTTO IL MONDO - ha bisognod'amicizia.Che ancora esista la Grazia è undato di fatto. Accade anche a me di“dialogare” con i passeri, perciò de-dico a Saba, nel segno della conti-nuità, questo mio epigramma dalvivo:“I passeri che vengono dai ramiSulle ringhiere per un po’ di risoAllegramente intrecciano ricamiIn un loro segreto paradiso”

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commerciali dell’epoca.Come e se si può immaginare una integra-zione a livello di area metropolitana dellevostre politiche sulla cultura? Il teatro giàha costruito una relazione forte con “Fi-renze dei teatri” e si è caratterizzato per unaforte propensione al teatro contemporaneo,con un cartellone corposo e una tenuta im-portante. Diremmo, “nome omen” visto chenasce dall’Accademia dei Perseveranti.Il teatro Niccolini rappresenta una sceltaimportante per noi: nasce come teatrosperimentale, a partire dall’esperienzadell’Arca Azzurra ma anche altre compa-gnie. Dentro questo segno abbiamo do-vuto fare attenzione ad interpretare itempi e le esigenze delle persone, perchési sarebbe potuto rischiare la lenta deca-denza ripetendo stancamente la stessaprogrammazione. Abbiamo volutomantenere l’identità del Niccolini, cometeatro aperto alle dinamiche teatralinell’area metropolitana e del sistema cul-turale toscano. Partecipiamo a tutti i pro-getti di area come il “Pass teatri” e“Firenze dei Teatri” con molta convin-zione, ma si apre anche ad esperienzenuove che nascono sul territorio, tenen-dolo aperto il più possibile per farlo di-ventare il luogo-simbolo di S.Casciano.Abbiamo affrontata questa sfida in untempo anche di crisi dei teatri: ricordoche dal 2011 hanno chiuso 53 teatri inToscana, un’ecatombe!. Il Niccolini nonha chiuso perché ci abbiamo investito.Ma abbiamo diversificato l’offerta, por-tandoci dentro molta musica (con la col-laborazione della Regione Toscana è

diventato un centro di riferimento per lamusica jazz), opere di qualità e artisti im-portanti. Molti matinèe per le scuole,aiutando i ragazzi a venire a teatro e so-stenendo le produzioni e gli spettacolidel Niccolini. Così abbiamo fatto cono-scere a molte persone come è fatto il tea-tro, anche dal punto di vistaarchitettonico. Un lavoro continuo cheha portato negli ultimi due anni alla cre-scita del numero degli abbonamenti, tor-nando ai livelli del 2008. Il teatro è statoaperto nel 2013 per 150 giornate. Ab-biamo rischiato, certamente; ci sonostate resistenze, qualcuno pensava che ilteatro fosse qualcosa di intangibile, maquesto è l’esatto contrario del fare cul-tura. La direzione che abbiamo voluto

imprimere è quelladi rispettare il Nicco-lini, ma allargare laplatea, il suo pub-blico, perché quellodiventasse un luogodi cultura in sensopiù ampio, pieno.Resta sempre illuogo di lavoro dicompagnie teatrali,stabili e non, ma au-menta il suo rap-porto con le scuole(e non solo con ilteatro per i ragazzi);usato anche comeluogo di convegni, dilaboratori e di inizia-tive, come quella direcente con l’associa-zione Libera sui temi

della legalità.Un teatro che si inserisce in un insieme diluoghi e di spazi culturali che collaboranoe si integrano?Il teatro è collocato in un tratto della viapiù importante del centro – via Roma,che intersecava la vecchia via romana –in cui si trovano il museo, la biblioteca, ilocali dell’Accademia Musicale (che ri-struttureremo, quindi, anche con recu-pero architettonico per permettereanche l’accesso al 2° piano). E’ una sortadi via della cultura. Poi a pochi metri, inuna delle due piazze del paese, c’è il ci-nema-teatro che sta diventando sede dicinema d’essai, molto frequentato. In150 metri si concentrano i maggiori luo-ghi di cultura, cosa che permette siner-gie, di evitare sovrapposizioni.L’Amministrazione ha fatto questascommessa: in tempo di crisi, se la-sciamo andare la cultura perdiamo unpezzo dell’identità di S.Casciano e unpezzo di futuro. Quindi abbiamo sceltodi rilanciare. Non è stato facile perchéabbiamo incontrato anche resistenze;qualcuno diceva che spendevamotroppo per il teatro. Ma, anche l’opposi-zione ormai, ammette che il Niccolinioggi ha fatto un grande salto culturale:averlo fatto sentire come una cosa pro-pria, un bene comune, per tante personerispetto al passato ha pagato. Questovale anche per il museo. Abbiamo fattoaccordi di integrazione fra il museo etorre dell’acquedotto con un bigliettounico; abbiamo fatto rete con tutti glialtri musei del Chianti-Valdarno, con

buoni risultati. Ma se c’è un settore in cuimi ripropongo di lavorare per portarepiù pubblico è quello. La biblioteca haraggiunto livelli di accessi da boom: lebiblioteche universitarie contraggono iloro tempi di apertura e questo sposta ladomanda verso le biblioteche del terri-torio, che ormai sono ben fornite e acco-glienti, nonché più vicine alla propriaabitazione. Dobbiamo però integraremaggiormente tempi di apertura, orga-nizzazione del personale di queste di-verse istituzioni culturali per ottimizzarel’offerta ai cittadini. Tanto che stiamo uti-lizzando anche il secondo piano delmuseo per luogo di studio per i ragazzi,che così inizieranno anche a frequentareil museo. In tal modo lo stesso personaledel museo svolgerà anche funzioni di-verse oltre a quelle di guardiania. Anchenella gestione di questi spazi dobbiamoprivilegiare l’inventiva: non possiamostare lì ad aspettare il pubblico, dob-biamo invece attrarre le persone, por-tarle a conoscere questi luoghi. Bisognaper questo fare accordi con le associa-zioni, con i tour operator. E questo saràanche il compito della nuova giovanis-sima direttrice del sistema musealeChianti-Valdarno. Il pubblico non arrivaper induzione, perché sei una località dipassaggio fra Siena e Firenze, giacché inquel caso la gente verrebbe qui solo perammirare il panorama o a frequentareuna cantina fra una visita agli Uffizi e unaal S.Maria della Scala. Dobbiamo co-struire un’offerta integrata e completa,che punta sulla qualità dell’accoglienza esulla tranquillità di una esperienza cul-turale-turistica. E qui torna il concetto diarea metropolitana. Ad esempio se fac-ciamo una rete museale del Chianti-Val-darno, va benissimo, ma dobbiamoanche stare dentro un sistema musealedi area metropolitana, che ritengo do-vrebbe essere uno degli obiettivi dellacostituenda Città Metropolitana. Se ciculliamo nella semplice valorizzazionedel nostro nome – Chianti – rischiamodi essere fagocitati e perdiamo l’occa-sione di valorizzare verso un più vastopubblico la realtà socio-culturale-pro-duttiva della nostra zona. Non basta ilpaesaggio, altrimenti rischiamo di diven-tare un museo all’aperto, che poi alla finenon è vita. La sfida è di essere dentro lacittà, come pezzi di produzione cultu-rale, di storia della città. Sempre che lacittà non si chiuda su se stessa. Allora laCittà Metropolitana può essere un’occa-sione importante. Non possiamo cor-rere il rischio di essere una semplicedormitorio per i turisti (magari con sem-pre maggiori strutture di accoglienza),ma poi questi vanno a visitare Firenze enon conoscono niente del paese dove al-loggiano, salvo la foto veloce del pano-rama. Dobbiamo intercettare questoturismo e farli conoscere e apprezzare lanostra realtà. Per questo stiamo facendola card con gli agriturismi di S.Casciano(oltre a quella culturale del Chianti-Val-darno) per dare ai turismi una possibilitàin più sia per fare acquisti nei negozi delterritorio, sia per vedere a pochi metri daloro un pezzo del polo culturale, con unacard che calmiera il costo del biglietto. E’un tentativo, ma dobbiamo farlo.

Con questa intervista a Massimi-liano Pescini continuiamo laserie di colloqui con alcuni can-didati sindaco dei Comuni del-

l’area metropolitana fiorentina sui temidelle politiche per la cultura. Massimi-liano Pescini è candidato del centrosini-stra al Comune di S.Casciano.Nell’intervista esclusiva a “CulturaCommestibile” parla della sua cultura dicittà e delle politiche per la cultura cheha in mente per S.Casciano.Lei è un “veterano”, candidato per il se-condo mandato amministrativo di sindacodel Comune di S.Casciano: come descrive-rebbe la vocazione culturale di S.Cascianoe quale imprinting vorrebbe dare al suo se-condo mandato?Ci siamo accorti in questo mandato chela cultura può fare da traino e volano perl’intero territorio. Non solo perché tea-tro, biblioteca, museo, le molte associa-zioni culturali che sono presenti aS.Casciano in alcuni casi offrono ancheposti di lavoro; ma è un traino anche perle caratteristiche di S.Casciano presentanell’ambito del Chianti fiorentino. Pensoad esempio a quanto avvenuto per l’an-niversario di Machiavelli che ha avuto unriverbero interessante anche per il turi-smo che è in aumento (l’anno passatooltre 137mila presenze): una parte diqueste presenze sono senz’altro legatealla rinnovata valorizzazione di alcuniluoghi storici di S.Casciano, non soloCasa Machiavelli, ma anche il teatro. Ab-biamo avuto, non solo tanti turisti, maanche personalità e studiosi dalle Uni-versità di diverse parti d’Italia e delmondo: alle conferenze su Machiavellihanno partecipato più di 1.500 persone.Quando offri cultura alta ma accessibile,il risultato arriva e riempi il teatro nonsolo di sancascianesi ma anche personeda fuori regione (Veneto, Lombardia)che soggiornano qui in un periodo nondi alta stagione per il turismo, con rica-dute importanti anche sulle attività eco-nomiche del territorio. La sfida èorganizzare a cadenze regolari eventi diquesto tipo che fanno pensare, cultura eallo stesso tempo fanno conoscere S.Ca-sciano come territorio, come capacità ri-cettiva. Le persone che vengono perqueste occasioni, hanno la possibilitàanche di conoscere il museo, vedere ilChianti dalla torre dell’acquedotto odalla terrazza panoramica.Poi c’è il lavoro quotidiano, che è quellodi utilizzare tutti gli spazi che abbiamoper promuovere culture: mostre di artecontemporanea nel museo, anche in col-laborazione con la Fondazione Ghelli.Peraltro il grave lutto della scomparsadell’artista, ci impone di continuare conancora più forza, di proseguire il lavorosull’arte contemporanea. Questo aiutaanche a far conoscere le grandi opered’arte che abbiamo dentro il museo: daLorenzetti a Coppo di Marcovaldo, unasezione archeologica che si dimostrasempre più importante anche grazie agliscavi recenti che fa di S.Casciano unluogo importante di epoca etrusca, tantoper gli insediamenti quanto per i traffici

CCUO

.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.9POLIS&CULTURA

di Simone [email protected]

MassimilianoPesciniS.Casciano,qualcosadi più rispettoal Chianti

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CCUO

.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.10

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di Sandro Biniwww.deaphoto.it

di Alessandro [email protected]

MUSICAMAESTRO

La storia del rock è piena di artisti egruppi che hanno scelto di abbando-nare la ricerca musicale per imboccareuna strada meno faticosa e più redditi-zia, o comunque orientata in sensocommerciale. Pochi, al contrario,hanno fatto la scelta inversa. Uno deicasi più significativi è quello di DavidSylvian. Durante gli anni trascorsi con iJapan molti lo avevano considerato unemulo del primo David Bowie: bello,truccato, elegante, saldamente legato alglam rock. Lo stesso cognome era unopseudonimo tratto da una canzone delDuca Bianco. Ma si sono dovuti ricre-dere velocemente: il percorso solisticoimboccato dopo lo scioglimento delgruppo ne ha fatto uno degli artisti piùsignificativi del nostro tempo. Il primo album da solista, "BrilliantTrees" (1983), ha segnato l'inizio di unpercorso ormai trentannale, ma finoranon esistevano libri che lo documen-tassero. Nel 1999 Martin Power avevapubblicato "David Sylvian: The LastRomantic" (Ommnibus Press, 1999),concentrandosi però sugli anni deiJapan. Il libro è stato aggiornato piùvolte, ma la parte dedicata alla carrierasolista di Sylvian è sempre rimasta og-getto di un capitolo finale.

Diverso è lo scopo di ChristopherYoung, autore di "On the Periphery.David Sylvian: A Biography. The SoloYears"(Malin Publishing, 2013, HY-PERLINK "http://www.sylvianbio-graphy.com/"www.sylvianbiography.com). Il titolo e la prefazione sottoli-neano che il libro è interamente dedi-cato alla carriera solistica del musicistainglese. Anziché scrivere la classica biografia,Young ha preferito scavare negli statid'animo dai quali sono nate le singole

canzoni e nell'inquietudine che tra-spare da molte.L'autore è particolarmente accuratonella ricerca dei riferimenti artistici,letterari e religiosi: da Kundera a Pi-casso, dal buddismo alla cabala. Tal-volta questo lo obbliga a fare lunghedigressioni; se invece queste fosserostate delle note (peraltro assenti) la let-tura ne sarebbe stata alleggerita. Nel corso degli anni il cammino di Syl-vian si intreccia con quello di musicistiappartenenti ad ambienti e a genera-

zioni diverse: da Ryiuchi Sakamoto aRobert Fripp, da Derek Bailey a Hol-ger Czukay. Si tratta di musicisti moltoeterogenei, ma in ciascuno di loro il musicista inglese trova un vocabola-rio musicale che gli appartiene. Nellasua musica raffinata e complessa si in-trecciano timbri atmosferici, varia-zioni inattese, tastiere liquide, effettielettronici mai gratuiti. Preciso e ben documentato, il librotratteggia nel modo migliore l’origina-lità di questo grande artista aperto almondo: inglese legato alla cultura nip-ponica, collaboratore di artisti europei,statunitensi e giapponesi, non soltantomusicista ma anche fotografo. Youngnon dimentica le poche collaborazionidi Sylvian con musicisti italiani. Nel1995 con Nicola Alesini e PierluigiAndreoni e l'anno dopo con AndreaChimenti, un tempo cantante deiModa, nome che curiosamente vienetradotto in inglese ("Fashion", pag.189). L'unico appunto sostanziale chesi può fare al libro è l'assenza di una di-scografia, ma si tratta di un dettaglioche non compromette minimamentela validità dell'opera. Speriamo co-munque che una seconda edizionecolmi questa lacuna.

La ricerca infinita di David Sylvian

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E che insommaNon tutto può essere pensatoE non si può raggiungereIl potenziale sognatoFacendo fintaInalando ariaChe siamo una relativitàGenerici e sommariUn sorgere e tramontareUn vedere il ramo dell’alberoE non vedere la forestaUn dopo il sabatoPoi viene la festaFacendo fintaDi non vederequesta situazioneconcedendo a tuttil’approssimazioneEd arrivando alla finealla conclusionechePer intuizione od evidenzaIo sono quiE di me non potrei fare senza.

CCUO

.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.11DONNE SPORTIVE

Nerone e i suoi giochiaperti alle fanciulle

La cultura etrusca dello sport in-fluenzò sicuramente le competizionidiffuse nell’antica Roma, soprattuttoper la esaltazione degli aspetti spet-

tacolari e di gran richiamo di pubblico conl’offerta ad hoc di gare particolarmentecruente e di grande effetto scenico ( legrandiose gare dei carri trainati dai cavalli, gladiatori, combattimenti navali :”panemet circenses” ). Inoltre i romani imparti-vano ai giovani un’educazione fisica stret-tamente finalizzata alla loro preparazionemilitare e non sportiva ed eventualmenteanche i cittadini più appassionati stavanopiù volentieri fra il pubblico che parteci-pava alle esibizioni di sportivi professioni-sti piuttosto che nell’arena a rischiare lapropria vita. Nel pubblico potevano esserepresenti anche le donne, purché maritatema anche i celibi non potevano (par con-dicio?) assistere agli spettacoli.Alcuni imperatori filoellenici (Nerone,Domiziano) organizzarono giochi checomprendevano giochi aperti alle fan-ciulle e alle vestali. Questi giochi furonochiamati iuvenalia e ludi capitolini.Alle Terme le donne avevano piscine ri-servate ma la tassa per loro era più cara enon avevano locali adibiti ad esercizi gin-nici, di cui invece disponevano i maschi. I Giochi Olimpici furono ufficialmentesoppressi dall’imperatore Teodosio I nel392 d.c. e la 291esima edizione fu anchel’ultima. Le ragioni della sospensione tro-vavano giustificazione nella circostanza disanguinosi disordini avvenuti e repressicon violenza dalle autorità) all’Ippodromodi Tessalonica. Anche la richiesta da partedella nuova religione cristiana alle istitu-zioni di eliminare tradizioni legate a cultipagani del passato ebbe il suo peso nelladecisione. La tensione esclusiva verso la spiritualità,la decadenza fisica degli edifici adibiti aigiochi ginnici, la condanna della violenza

di Lorenzo [email protected]

SCAVEZZACOLLO

Passo dopo passoCon scatti della menteFacendo fintaDi retrocedere all’infinitoPoi di avanzare all’infinitoCome fosse nienteFacendo fintaDi provare piacereFacendo fintaDi non capireIl principio primoIl fine ultimoe che bisogna infilare il postulatopoco altro è richiestoun generatofacendo fintadi non vedereil teorema anteriorela numerazione binaria1 coppia + zero unitàUguale dueQuesta è la realtàDiciamo l’amore

Passo dopo passodi Massimo [email protected]

e la condanna della nudità degli atleti (fi-gurarsi delle atlete) decretarono la fine del-l’Era Olimpica.In tutto il Medio Evo le competizionisportive vengono interrotte salvo le com-petizioni organizzate dalle singole comu-nità locali come giostre, duelli, quintane,gare di tiro al bersaglio e simili. Tutte le at-tività agonistiche erano caratterizzate dauna finalità di addestramento militare o disemplice svago. La Chiesa incoraggiava lapesca in quanto non violenta e occasionedi preghiera.Nel Rinascimento riprese vigore il giocolegato all’utilizzo di un corpo sferico comela palla, anche perché fra i più antichi e uni-versali.Da questa rinnovata passione nascono varitipi di sport ( jeu de paume , calcio, rugby,tennis ecc.) ma non si trovano riferimentia partecipazioni o pratiche femminili,anche se non possono essere escluse vistoche, per esempio, a Parigi alla fine del 1500esistevano ben 250 campi dedicati.Ci sono quadri del 1800 che raffiguranoragazze che giocano, all’aperto, al jeu duvolant.

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confronto tra i provvedimenti presiparagonandoli con le sanzioni date neinostri stadi per il tifoso razzista (di-scrimazione territoriale compresa).Esclusione a vita , multa di 2.5 milionidi dollari (il massimo possibile) e “in-vito” a vendere la squadra per il miliar-dario statunitense. Che potràconsolarsi con il grande affare fattovisto che al momento dell’acquistonegli anni’80 valeva circa 12 milioni eadesso circa 50 volte di più. Sterling non era nuovo ad afferma-zioni razziste, ma stavolta con la suasquadra che ha più attenzione media-tica (è una delle pretendenti al titolo)le sue parole hanno avuto più eco sca-

tenando reazione di un mondo che ècomposto all’80% di afroamericani,per quanto riguarda i giocatori edell’86% di Wasp per quanto riguardail pubblico che va vedere le partite. Fin da subito su Sterling sono piovuteproteste da giocatori, ex atleti, politici,persino il presidente Obama ma nonè stato questo a far scattare la manopesante del commissioner della legaAdam Silver (l’Nba è un’associazionedi franchigie che eleggono un capo,Silver, che poi stabilisce le regole, siaeconomiche che di gioco). Più cheun’ipocrita antirazzismo di facciata(“siamo tutti Dani Alves e mangiamole banane”) è stato una scelta di mer-cato, dove l’azienda Nba, ha agito perproteggere se stessa e la sua immagine.L’Nba produce spettacolo e non sipuò permettere che un’accusa di raz-zismo faccia perdere sponsor e pub-blico.Antirazzisti quindi per questioni di vildenaro? Sì, in una nazione dove l’ideadel libero mercato è il faro del sognoamericano non c’è da stupirsi, maforse anche l’unica possibilità per pro-gredire. Oppure vogliamo proseguirecon le campagne a suon di hastag, dimoniti e inutili distinguo se il buh erarazzista oppure una semplice rappre-sentazione della cattiva prestazionedel giocatore?

CCUO

.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.12VIS POLEMICA

di Emiliano [email protected]

Due fatti, a distanza di poche oresulle due sponde dell’Atlan-tico. Un unico tema, il razzi-smo, due “cure” diverse. In

breve: in Europa, Spagna per la preci-sione, viene lanciata una banana versoil giocatore del Barcellona Dani Alvesche reagisce mangiandola; in Usa, unsito rilancia l’intercettazione di Do-nald Sterling, proprietario della squa-dra di basket dei Los AngelesClippers, che litiga con la fidanzata“pregandola” di non farsi vedere piùvirtualmente insieme alle persone dicolore e per questo bandito dal grancapo della Nba a vita, oltre ad unamulta di un paio di milioni.Premessa doverosa: entrambe le noti-zie sono macchiate da un peccato ori-ginale in quanto sembra che lareazione del calciatore non sia statacosì spontanea, ma imbeccata per mo-tivi pubblicitari, mentre di là fa discu-tere come una conversazione privatasia arrivata ad un giornale e resa pub-blica in un momento in cui il dibattitosul Governo “spione” è particolar-mente attuale.Nel caso Sterling la cosa più interes-sante, al netto dei tanti commenti ededitoriali vergati in questi giorni, è il

Bambolotto Kewpie in “composi-zione”, materiale costituito da unimpasto di carta macerata, colla,gesso e segatura, anni ‘20-’30 del se-colo scorso. In genere questi bambo-lotti sono piccolini, questo invece èpiuttosto alto, il che lo rende appeti-bile e raro, era probabilmente desti-nato alla vetrina di qualche negozio.Si intende con Kewpie un marchiodi bambole e statuette ispirate e rea-lizzate a immagine e somiglianzadell’omonimo fumetto concepitonel 1909 in America da RoseO’Neill, in assoluto la prima e la piùpagata donna vignettista. Rose, bra-vissima fin dalla più tenera età, fudal padre mandata a New York dasola a cercar fortuna con le sue crea-ture, divenne presto ricchissima gra-zie ad esse. Il nome e l’aspetto siispirano a Cupido, Rose li descri-veva “come una piccola fata rotondache doveva insegnare alle personead essere allegre e gentili” e raccon-tava di avere avuto l’ispirazione insogno. Nel 1912 un fabbricante di

BambolaKewpie

BIZZARRIA DEGLI OGGETTI

a cura di Cristina [email protected]

sia in “composizione” che in cellu-loide. Rose, realizzata donna lavora-trice e antesignana femminista, liusò per sostenere il movimentodelle Suffragette di cui fu parte. IKewpies sono stati molto sfruttati inimmagini pubblicitarie dei più variprodotti e a tutt’oggi lo sono. Dal1923 rappresentano la KewpieHamburger, catena di ristoranti fast-

food; esiste addirittura una canzonedal titolo “Kewpie Doll” registratada Perry Como e Frankie Vaughanche, nel 1958, divenne un successosia negli Stati Uniti che in Europa.Rose oltre che brava era una donnamolto bella, sfruttata dalla sua fami-glia e dal primo marito, morì in mi-seria, anche perché dopo la guerrafumetti e disegni caddero in disuso ei Kewpies passarono di moda.

Dalla collezione di Rossano

giocattoli tedesco, Waltershausen,pensò di realizzare dei Kewpies inbiscuit, Rose, dubbiosa, si recò inGermania e si adoperò per costruirestampi corrispondenti al suo dise-gno. I primi, di dimensioni da 1 a 12cm, avevano sul petto un adesivo aforma di cuore su cui era scrittoKewpie, alcuni, rarissimi, portanostampigliata sotto i piedi la suafirma. Anni dopo furono costruiti

Sport,libero

mercatoe

razzismo

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CCUO

.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.13

condividano la convinzione di tenerein mano il tassello, seppur piccolo,che mancava.C’è un poeta che crede alla poesiacome coraggioso atto di bellezza con-

tro la bruttezza dilagante, gesto neces-sario che, dalla propria nicchia(auto)inflitta si sta sempre più er-gendo a faro illuminante tanta deso-lazione, che per questo la sostiene, la

promuove, la legge e, enucleandotutto ciò nel proprio percorso, lascrive.C’è un poeta che ha scelto il silenzio:il silenzio fecondo di chi è intento adascoltare per capire gli altri, ciò chehanno da esprimere e ciò che non riu-sciranno, non il silenzio complice dichi, pur non prendendo parte allosgretolamento, spera sempre che cadalì vicino qualche briciola. Il silenziocompagno della lettura che mantienela mente recettiva, aula dove far risuo-nare la musica delle parole, non il si-lenzio arido di chi ha già urlato fintroppo, sputando su tutto e demo-lendo anche ciò che poteva benissimorestare in piedi e poi rimane lì, a con-templare macerie e convincersi chenon c’era nient’altro da fare.C’è un poeta che è prima di tutto unapersona, con le sue complicazioni e lesue frustrazioni, con i suoi valori e lesue soddisfazioni, una persona cheogni giorno sgomita perché quellaparte di sé non si perda tra la demoti-vazione e la povertà, che s’impegnaper diffondere il piacere dello sco-prirsi sul bianco e nero delle pagine,che scrive perché quei colli non sianosolo commercio e vetrina, che de-clama perché egli stesso si possa ve-dere riflesso come per quello cherealmente è, perché si possa sentirdire che c’è un poeta …C’è un poeta di nome Iacopo Ninni.

Deviato è Il passo e poco oltre il can-cellosei tu leggera sulla testa del corteoche guidi ogni lacrima ad attecchire aimuri

LO STATO DELLA POESIA

di Matteo [email protected]

C’è un poeta che ha scelto diattendere, in uno stato at-tento e ricettivo e con oc-chio sempre sveglio, ciò

che di buono si riesce a cogliere nelperpetuo fluire che è diventato questopresente. C’è un poeta che ha scelto altra neb-bia, un territorio che, isola quasi au-tosufficiente, protetta da montagneed alimentata dalle braccia dei suoiabitanti, si è fatta periferia della cittàdalla grande ombra ma dal cortopasso; una nebbia immerso nellaquale quasi si sente ancora tra le pa-terne mura ma che è pronto a denun-ciare con la penna strenuamente inpugno non appena essa s’insinua nellementi, semplificando i pensieri, affa-ticando i ragionamenti.C’è un poeta che ha scelto di leggereanziché scrivere, fare l’elenco dellecose dette già prima di lui per cercaredi non ripeterle ma anche per segnareil punto dal quale far ripartire la pro-pria ricerca e donare agli altri la parolache non è stata ancora pronunciata.C’è un poeta che ha scelto di rispon-dere con lo studio e l’impegno all’ap-prossimazione dilagante, di evaderegli scontati canoni con cui ci siamorassegnati a misurare la poesia e cari-carsi del pesante fardello dell’andarea svegliare le coscienze una ad una, ti-rando su versi tra persone di tutte leetà, in biblioteche, scuole, piazze, lo-cali pubblici.C’è un poeta che crede al libro comeprogetto, come punto di arrivo di unpercorso, perché chi scrive e chi legge

C’è un poetadi nomeIacopo Ninni

Iacopo Ninni – foto di Massimo Tecchia

di Michele [email protected]

Grazie alla migliorata fiducia nei loroconfronti, le cozze sono adesso tra ledieci specie di fresco più acquistate inItalia (dati ISMEA). Negli ultimi annihanno conquistato molto terrenospecialmente nel nord Italia, dove illoro consumo era molto limitato al-meno in rapporto alle regioni delSud. Tanto che le saporite cozze sonooggi gradite e consumate sempre dipiù in tutto il territorio nazionale. Dalpunto di vista nutrizionale, 100grammi di parte edibile contengono 2grammi di grassi, 3,4 g di carboidrati,7 g di proteine, sali minerali (88 mg.di calcio, 236 mg. di fosforo e 5,8 mg.di ferro) e vitamina Bl (0,12 mg.) eB2 (0,16 mg.). Sintetizzando pos-siamo affermare che le cozze costitui-scono una notevole fonte diantiossidanti, di vitamine e di pro-teine nobili a basso contenuto digrassi e lipidi. Riconosciute, sonoinoltre le loro proprietà digestive estimolanti soprattutto per la quantitàdi sali alcalini che contengono.Cozze ripiene al sugoIngredienti per 4 persone: 1 kg di cozzenere pulite, 500 g di polpa di pomo-

doro fresco, 400 g di mollica di paneraffermo di semola (tipo pane bassodi  Altamura), 50 g di parmigiano, 50g di pecorino, 1 tazza di latte, 1 li-mone, 2 uova, olio extravergine dioliva, 2 spicchi di aglio, 1/2 bicchieredi vino bianco, PrezzemoloSale, PeperoncinoPreparazione: Pulite per bene le cozzeesternamente e apritele con un coltel-

lino, avendo cura di non togliere lametà del guscio. Altrimenti poteteaprirle mettendole in una padella conun filo d’olio, uno spicchio  di aglio, ilprezzemolo e il vino bianco avendocura di coprire la padella e di lasciarlesul fuoco per non molto tempo.In una ciotola sbriciolate il pane eammollatelo nel latte per circa 15-20minuti, subito dopo strizzatelo ed è

pronto per essere usato. Preparate orail ripieno sbattendo le due uova, ag-giungete il parmigiano e il pecorino,amalgamate per bene la mollica ba-gnata e in fine unite un pizzico disale, il prezzemolo tritato e della buc-cia di limone grattugiata. Il ripienodeve essere abbastanza corposo enon molle. Prendete un cucchiaino diripieno e farcite le cozze, che poivanno accuratamente chiuse con delfilo bianco per cucina per evitare cheil ripieno venga fuori durante la cot-tura. Per chiuderle sarà sufficiente av-volgere più volte il filo attorno allacozza e bloccarlo in un lato del mitile.In una casseruola bassa e capiente,imbiondite uno spicchio d’aglio conun filo d’olio extravergine e un pez-zettino di peperoncino, versate il po-modoro e lasciatelo sobbollire perqualche minuto, poi disponete, inun'unica fila le cozze e lasciate cuo-cere per circa quindici minuti a fuocobasso.Una volta ristretto il sugo, potete ser-vire le cozze avendo cura di rimuo-vere il filo bianco.

E’ tornata la fiducia per le cozzeMENÙ

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.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.14VISIONARIA

di Simonetta [email protected]

Èappena uscito, edito da Selle-rio, un libro dalla lettura gra-devolissima intitolato ChezMaxim’s Ricordi di un fatto-

rino. Sono le memorie scritte nel1939 da Josè Roman che dedican-dosi per quaranta anni come fatto-rino ai capricci del mondo chefrequentava Chez Maxim’s fatto diricchi industriali con le loro amanti,spesso divoratrici dei loro patri-moni, di potenti monarchi e aristo-cratici impoveriti dall’ozio, diintriganti diplomatici e famosi arti-sti, ne era diventato il depositariodei loro segreti e spesso il complicedei loro vizi. Erano i tempi dellaBelle Epoque, gli anni dell’ottimi-smo e delle follie, guerre ed epide-mie sembravano ormai lontane, legrandi invenzioni, l’elettricità, iltreno, la macchina, rendevano lavita più facile, il cinema, il cabaret,

il can can più divertente. L’art Nou-veau che poteva rendere ogni og-getto espressione artistica si stavadiffondendo velocemente in un’Europa finalmente pacificata. Un’il-lusione durata circa vent’anni, il suodrammatico risveglio fu la primaGuerra Mondiale. Chez Maxim’s ri-mane l’icona della Belle Epoque euno dei simboli più evocativi dellaParigi dei primi del novecento. Dal1980 è di proprietà di Pierre Car-din che nel 2003, all’età di ottantaanni, ne festeggiò i suoi splendoricon uno spettacolo per pochi invi-tati di poesia, musica e balletti nelpiccolo teatro dello stesso locale.Lo stilista ha anche creato, annessoal ristorante, un museo, unico nelsuo genere, Visitare le sue dodicistanze arredate con magnifici mo-bili, vetri, quadri, stoffe dei più fa-mosi artisti art nouveau è cometrovarsi nell’appartamento di una diquelle cortigiane che nei miticianni della Belle Epoque frequen-tava Chez Maxim’s.

Piccole cronache della Belle Epoque

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.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.15ABISSI

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Spesso, chiudendo gliocchi, vedo una donna sco-nosciuta accerchiata daimostri che lei stessa ha ge-nerato, ma non capisco secadrà ancora più in bassodivorata dalle orride crea-ture o risalirà per venire afare la mia conoscenza.

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Frankensteindall’incubodi Mary Shelleyal film di KennethBrannagh

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.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.16KINO&VIDEO

di Caterina [email protected]

Cna complessità del tuttonuova viene impressa al ro-manzo gotico dall’operascritta nel 1816 da una gio-

vane donna di soli venti anni sugge-stionata da un incubo fatto duranteun’estate senza sole.La piovosa estate svizzera è la stessanella quale venne alla luce Il Vampiro,l’apparentemente innocente raccontodello sfortunato giovane medicoJohn William Polidori che dette i na-tali alla tradizione letteraria del prin-cipe delle tenebre, come medesimesono la dimora, villa Diodati, e lacompagnia.Mary Shelley, moglie di Percy Bysshe,la cui intenzione era “scrivere una sto-ria che parlasse delle misteriose pauredel nostro animo e che risvegliasse deibrividi di orrore” con Frankensteinriuscì nell’impresa di consegnare al-l’immortalità non uno ma ben duepersonaggi, lo scienziato e la sua crea-tura, che il pubblico ha da sempreidentificato con lo stesso nome.Victor Frankenstein figlio amato eamorevole di un gentiluomo svizzeroè fin dai suoi primi anni divoratodall’amore per la conoscenza che lospinge approdato all’università di In-glostadt a dedicarsi alla folle idea diricreare un essere vivente dotato diabilità e intelligenza. Portando a com-pimento il suo macabro intento Fran-kenstein dà vita ad una mostruosacreatura della cui “nascita” sente findal primo istante tutta la terribile re-sponsabilità. Frankenstein è un romanzo che parla

di genitori e figli e di innocenza ecolpa; Victor, figlio cui l’amore dellasua famiglia non è venuto mai meno,diviene nella sua cieca ambizione“padre” di un “figlio” che non puòamare, ma che odia e per il quale de-testa anche sé stesso. Curiosamenteambientato nei luoghi che lo hannoispirato, il racconto con i suoi tonicupi fatti di malinconia ed esaltazioneriesce a confondere il lettore gene-rando l’incapacità di provare un sen-timento definito verso i dueprotagonisti; se infatti la sola pietànon basta a giustificare le catastrofi-che conseguenze del delirio di onni-potenza di Victor, è davvero tropposemplice odiare il mostro per i suoicrimini senza provare compassioneper la sua condizione di reietto.La complessa figura di un essere dallenon ben definite, ma certamente mo-struose, sembianze umane ha cono-sciuto un’incredibile fortunacinematografica che conta circa più di30 pellicole ad esso ispirate; la più fe-dele allo spirito del romanzo che ha ilpotere di far conoscere il carattere ela storia del creatore, troppo spessolasciata in ombra a beneficio della piùintrigante creatura, è senz’altro quelladiretta da Kenneth Branagh nel 1994che fin dal suo titolo Mary Shelley’sFrankenstein dichiara la sua inequi-vocabile ispirazione letteraria. Affi-dando il ruolo del mostro a RobertDe Niro, Branagh disegna su se stessoun affascinante e tormentato Victorrealizzando un film che, se pur giudi-cato fin dal suo esordio come troppobarocco e articolato, ha il potere dirievocare efficacemente le sugge-stioni del romanzo.

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nel VII secolo.Nella sola area Garibaldi sono state rin-venute circa 40 tombe che, sommate aquelle recuperate in diverse epoche inaltre zone della città – in particolare nel-l’area archeologica e presso la Basilicadi Sant’Alessandro – portano a più di100 le tombe individuate. Si trattavaquindi di un insediamento consistente

anche se larghe aree della città anticadovevano essere abbandonate, parzial-mente occupate dalle rovine degli anti-chi edifici riutilizzati oppure ruralizzate.Al di là della quantità dei reperti pre-senti nell’esposizione, è la loro qualitàad essere particolarmente significativasoprattutto perché documenta le stra-tificazioni presenti nella società fieso-

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.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.17

di Fabrizio [email protected]

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

Era un caldissimo pomeriggio di fineluglio 1944 quando un uomo bussòalla porta del n.c. 59 di Via Spontini;in quella casa abitava Ricciotti Bondi,esponente del Partito Socialista clan-destino, che accolse con grandissimoaffetto il visitatore, offrendogli ospita-lità.L’uomo era partito in auto da Genovaqualche giorno prima, con un falso la-sciapassare; doveva raggiungere ur-gentemente Roma, e il viaggio erastato accuratamente pianificato: arri-vato a La Spezia, Edgardo Sogno gliavrebbe procurato un’imbarcazioneper raggiungere clandestinamente laCorsica, da dove un aereo americanolo avrebbe portato a Roma.Saltato per controverse ragioni l’ap-puntamento con Sogno, l’uomo avevaproseguito in macchina che però, alleporte di Prato, lo aveva piantato inasso; era stato allora costretto a prose-guire a piedi, in piena notte, fino aisobborghi di Firenze, dove il suo con-

tatto era il professor Gaetano Pierac-cini, futuro primo sindaco di Firenzeliberata, che viveva in clandestinità aln.c. 8 di Via Cavour. Con l’aiuto di dueragazzini riuscì ad arrivare a casa diPieraccini, dove però tutti i condo-mini negarono che si trovasse lì e soloil suo nome li convinse a condurlo alnascondiglio del professore.Pieraccini lo indirizzò da Bondi, chelo ospitò per alcuni giorni fino aquando l’uomo fu costretto a spostarsidi nuovo, per raggiungere Via Ghibel-lina 109, abitazione di Gino Bartoletti,un altro socialista della Resistenza fio-rentina. Nonostante la scorta di trepartigiani, attraversare Firenze fra lepattuglie tedesche dell’esercito in riti-rata fu un’avventura pericolosa: a uncerto punto fu costretto a rifugiarsi inun negozio e a muovere a compas-sione le commesse e i clienti, che lovolevano cacciare, sostenendo che erain cerca di un medico per la moglie(che allora non aveva) in fin di vita.A casa Bartoletti, la notte fra il 3 e il 4agosto, fu svegliato da tremendeesplosioni e partecipò alla dispera-

zione dei fiorentini che avevano sen-tito saltare in aria i loro ponti, fra iquali il Ponte a Santa Trinita, il “pontepiù bello del mondo”. Ma alle sei delmattino dell’11 agosto, quando laMartinella di Palazzo Vecchio e il cam-panone del Bargello chiamarono i fio-rentini alle armi, fu fra i primi ascendere in strada e, come recita fral’altro la motivazione della sua meda-glia d’oro al valor militare, “alla testadei partigiani locali, partecipava all'in-surrezione vittoriosa”.Cessati i combattimenti più cruenti,l’uomo corse in Via San Gallo 12, dovesi trovava la tipografia clandestina delPartito Socialista, e dettò l’editoriale delprimo numero dell’edizione fiorentinadell’”Avanti!”. Poi, come tutti gli altri mi-litanti, prese un pacco di copie freschedi stampa e andò a distribuirle in PiazzaSan Marco: dopo moltissimi anni, ricor-dava ancora “un uomo anziano cheprese il giornale, lo baciò e si mise apiangere”Nel 1978 quell’uomo, Sandro Pertini,sarebbe diventato Presidente della Re-pubblica Italiana.

Via Gaspare Spontini

Un ospiteillustre

LO STATO DELLA POESIA

di Marco De Marco

Si è inaugurata il 15 aprile scorso,nelle sale del Museo Civico Ar-cheologico, la mostra “Fiesole ei Longobardi” organizzata dai

Musei di Fiesole con la Soprintendenzaper i Beni Archeologici della Toscana.Sono ora riuniti, per la prima volta, tuttii corredi funerari di età longobarda (VI-VII secolo d.C.) rinvenuti a Fiesole dal1879 a oggi e per la maggior parte pro-venienti dallo scavo condotto nell’AreaGaribaldi. L’esposizione ha lo scopo diillustrare quanto sia stata significativa eimportante per la città, finora tradizio-nalmente collegata al mondo etrusco,la presenza di questo popolo che, en-trato in Italia pochi giorni dopo la Pa-squa del 568, conquistòprogressivamente buona parte della pe-nisola.Non è facile ricostruire i diversi aspettidella presenza longobarda a Fiesole,particolarmente per quanto riguarda learee di abitato, sia per la deperibilità deimateriali che costituivano le abitazionisia perché gran parte della città anticaracchiusa entro il recinto delle mura,valutabile in lunghezza intorno ai 2,5km., non è conosciuta dal punto di vistaarcheologico.Le necropoli indagate e le tombe finorascoperte ci dicono comunque che l’in-sediamento longobardo fu particolar-mente importante dal punto di vistastrategico: verso sud a controllo delpassaggio sull’Arno, verso nord in dire-zione dei passi appenninici e dell’asseviario controllato dai Bizantini cheuniva Roma a Ravenna. Pur in un con-testo storico, geografico e culturale deltutto diverso rispetto alle epoche pre-cedenti, la rilevanza strategica della col-lina di Fiesole emerge con chiarezza giànel V secolo per rafforzarsi poi nel VI e

200 anni di vitalongobardaa Fiesole

lana del periodo. E’ ben evidenziata lapresenza di un nucleo armato domi-nante propriamente longobardo loca-lizzabile nelle aree terrazzateprospicienti il Foro (attuale piazzaMino) e che seppelliva i propri mortinel terreno adiacente l’antico decu-mano in prossimità, forse, di una chiesaipoteticamente riconoscibile nelle fasipiù antiche di Santa Maria Intemerata,poi Primerana, opposta a quella di SanPietro in Gerusalemme sulla collina difronte. Le armi che connotano questogruppo hanno caratteristiche che ri-mandano propriamente al mondo lon-gobardo, in particolare negli elementiageminati che ornavano le cinture delledue spathae della tomba XX nella qualeè presente anche un umbone di scudodecorato con borchie laminate in oro etriquetra al centro, anch’essa dorata.Oltre al gruppo dominante però si in-tuisce anche, sempre dall’esame dei cor-redi funerari, la presenza di una societàdiversificata che comprendeva arti-giani, contadini, pastori.L’aver ricostruito nelle sale del Museoquattro tombe tra le tante rinvenute (ladonna, la bambina, il guerriero, l’arti-giano) ha lo scopo di raccontare questoperiodo non solo con gli oggetti trovatima anche con l’esame dei resti ossei re-cuperati nelle tombe, resti che hannodato risultati sorprendenti nella rico-struzione degli stili di vita e delle di-verse patologie.Grazie alla disponibilità della Soprin-tendenza, in particolare del Soprinten-dente Andrea Pessina e della Direttricedel Museo Archeologico Nazionale diFirenze Giuseppina Carlotta Cianfe-roni, i reperti resteranno poi, a fine mo-stra, nel Museo fiesolano che diventeràcosì tra i più importanti per la docu-mentazione del popolo longobardo inItalia.

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.com sabato 3 maggio 2014no74 PAG.18L’ULTIMA IMMAGINE

Siamo sempre sulle strade quasi perenne-mente assolate di San Jose. Nella prima im-magine si vede un “improbabile” venditoredi fiori seduto all’incrocio di questa super-strada a 3 o 4 corsie in attesa che venga ilrosso e che qualche anima buona decida diacquistare in extremis un mazzolino di fioriper la sua ragazza. Questa è un immagine

che rende perfettamente l’idea degli spazidilatati della California. I prezzi della ben-zina erano circa un quarto di quelli a cui era-vamo abituati noi poveri italiani enonostante la stazza delle auto che ho utiliz-zato durante i miei soggiorni il conto al di-stributore mi è sempre parso ridicolmentebasso. Al prezzo di una diecina di litri “ita-

liani” si poteva tranquillamente fare unmezzo pieno ad uno di questi transatlanticimade in USA. Nonostante il basso prezzodei carburanti l’import di vetture giappo-nesi di stazza europea stava già prendendocampo come dimostra questo cartello chepropone l’acquisto di una Datsun di piccolacilindrata.

San Jose

, California, 197

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Dall’archivio di M

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