Bolivia - La Rassegna · 2015-11-28 · 32 La Rassegna d’Ischia n. 1/2012 Alle sei e quaranta del...

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32 La Rassegna d’Ischia n. 1/2012 Alle sei e quaranta del mattino la stazione dei bus è già molto anima- ta. Le donne eleganti nei loro vestiti tipici con il cappellino a bombetta radunano le mercanzie e si orga- nizzano per il viaggio. I maschi tra- sportano scatole che caricano su bus privati, unico mezzo di traspor- to. Fuori l’autostazione, al posto di polizia, una lunga fila attende di entrare per avere un documento di riconoscimento. Le strade sono ancora vuote quan- do lasciamo l’albergo per la stazione dei bus. Le pareti bianche dei fab- Bolivia - Sensazioni ed emozioni Testo e foto di Carmine Negro “Sono l’antica Potosì Il tesoro del mondo e l’invidia dei re” In alto: In viaggio verso Potosì - Montagne brulle. Sopra: Strada della città.

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Page 1: Bolivia - La Rassegna · 2015-11-28 · 32 La Rassegna d’Ischia n. 1/2012 Alle sei e quaranta del mattino la stazione dei bus è già molto anima-ta. Le donne eleganti nei loro

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Alle sei e quaranta del mattino la stazione dei bus è già molto anima-ta. Le donne eleganti nei loro vestiti tipici con il cappellino a bombetta radunano le mercanzie e si orga-nizzano per il viaggio. I maschi tra-sportano scatole che caricano su bus privati, unico mezzo di traspor-to. Fuori l’autostazione, al posto di polizia, una lunga fila attende di entrare per avere un documento di riconoscimento.

Le strade sono ancora vuote quan-do lasciamo l’albergo per la stazione dei bus. Le pareti bianche dei fab-

Bolivia - Sensazioni ed emozioniTesto e foto di Carmine Negro

“Sono l’antica Potosì Il tesoro del mondo

e l’invidia dei re”

In alto: In viaggio verso Potosì - Montagne brulle. Sopra: Strada della città.

Page 2: Bolivia - La Rassegna · 2015-11-28 · 32 La Rassegna d’Ischia n. 1/2012 Alle sei e quaranta del mattino la stazione dei bus è già molto anima-ta. Le donne eleganti nei loro

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bricati, rischiarate dalle prime luci dell’alba e sfiorate dall’aria fresca e pungente del mattino, regalano alla città un fascino irreale. Sono da poco passate le sei e l’autostazione si va animando. Nel piazzale i bus con le varie destinazioni comincia-no a riempire i propri bagagliai di scatole, mercanzie varie, valigie. Subito dopo la partenza mi colpisce una lunga fila di persone che, avvol-te in grossi giacconi, attende davanti ad un portone l’ingresso. È Ivana, la nostra guida, a raccontarmi che mol-te di quelle persone abitano lontano e per avere il documento si sono sot-toposte ad un lungo viaggio; in fila da ore per essere tra i primi quando si aprono gli uffici della Polizia. La strada che ci conduce alla nuova destinazione è una lunga striscia di asfalto, un lusso per questo paese che spesso presenta le vie, quando sono importanti in terra battuta e quando non lo sono come semplici tracce. Ogni tanto l’autobus attraver-sa piccoli centri abitati, dove si fer-ma per far salire o scendere i passeg-geri. “Sì alla Nueva Costituciόn” … “Orlando Gobernador”… Le case portano ancora sull’intonaco i segni forti della campagna elettorale che qui è disegnata direttamente sulle pareti. In alcune soste incontriamo gruppi di bambini e ragazzi che, fie-ri, con i loro zainetti e le loro divise si recano a scuola. Il bus mentre pro-cede sulla strada per la nuova meta avanza in altezza arrancando e sbuf-fando lungo i tornanti. Con l’altitu-dine, si passa dai 2500 ai 4000 metri, la vegetazione ad alto fusto diventa sempre più rada fino a scomparire. Su alcuni versanti resistono gruppi di alberi di Eucalipti: paiono creare specifici microclimi lungo i crinali delle montagne. La maggior parte del percorso si snoda attraverso ma-estose vallate e sconfinati altopiani che la stagione secca rende brulli; è facile immaginare che nella stagio-ne delle piogge i campi coltivati a grano, orzo e mais, disegneranno su queste alture fantastiche scacchiere

cromatiche. Per un bel tratto incro-ciamo una strada ferrata. Lo stato di abbandono che accompagna la linea e l’erba che cresce tra i binari ci in-dica che probabilmente da molto è in disuso. Non mancano ogni tanto lungo la strada cumuli di copertoni di auto e camion. Dopo 164 km e circa 3 ore di viaggio il bus scarica noi e i nostri bagagli tra la polvere sottile e scura della periferia della nuova destinazione che si estende in un’arida nuda valle circondata da ri-lievi privi di vegetazione. A genera-re la città con le ricchezze delle sue viscere è stata infatti una montagna brulla, color tabacco, a forma trian-golare seminata di caverne oscure, il Cerro Rico; ora che quella ricchezza non c’è più è lì a dominarla con le sue sofferenze e le sue contraddizio-ni. Il suo nome è Potosì.

Potosì fu costruita nel 1545 dagli spagnoli dopo la scoperta dell’ar-gento da parte di un pastore nel “Cerro Rico” (montagna ricca). Situata a circa 4000 metri, questa città è considerata la più alta del mondo con un centro molto affasci-nante. Scrigno di tesori d’arte e ar-chitettura coloniale conserva alcune delle più belle chiese boliviane.

Il Cerro Rico col passare dei secoli ha assunto sempre di più un duplice ruolo: fonte di ricchezza, sostenta-mento, lavoro e insieme monte del-la sofferenza e della morte. Infatti ha dato lavoro e pane a milioni di persone ma ha anche mietuto circa 8.000.000 di vittime. Potosì città della morte ma anche città mor-ta, di una morte antica che risale al Settecento quando le miniere d’ar-gento, esaurite, non pagarono più le spese dell’estrazione.1 Città simbolo del colonialismo spagnolo, Potosì è nata con l’argento ed è morta con l’argento. Anche la sua vita è stata d’argento, la brama di questo metal-

1 Alberto Moravia, Diario di viaggio - Potosì, “Corriere della Sera” martedì 10 febbraio 1970.

lo si è spinta fino a scatenare guerre civili. Moravia nel suo articolo ri-porta il Testamento di Potosì scritto nel Settecento da un anonimo poeta. Attraverso un elenco di lasciti, ora descrittivi e ora burleschi, egli rac-conta la città in punto di morte men-tre lascia la propria anima a Dio che, come nota ironicamente, es la plata pura, è fatta di puro argento. Come in tutte le città coloniali a Potosì c’è l’ampia plaza, ci sono i grandi al-beri fronzuti, le panchine, la catte-drale barocca. Molte stradine sono strettissime e le case colorate hanno balconi verandati in legno tipici del periodo coloniale, le chiese hanno spesso campanili che disegnano con le loro forme gli angoli della città.

Si scende nelle miniere con tuta, stivali e casco fornito di lampada. Con i minatori si condividono le foglie di coca e l’alcol a 96 gradi. Nelle viscere della montagna che ha inghiottito e ancora inghiotte le sto-rie degli uomini, antiche credenze si fondono alla religione rendendo sopportabile l’insopportabile.

L’escursione alla miniera, prevista nel primo pomeriggio, è preceduta da una visita ad uno dei tanti nego-zi anonimi che incontriamo lungo la strada per rifornirci di quelli che sono considerati generi primari per il lavoro nella miniera: foglie di coca per alleviare la fatica, sigarette e di-namite; da non dimenticare l’alco-ol a 96 gradi da offrire alla Madre Terra, la Pachamama, per scusarsi dell’offesa che le si arreca scavando nelle sue viscere. Dopo esserci cari-cati di vari pacchetti siamo pronti. Prima dobbiamo fare scalo in un de-posito dove veniamo riforniti degli abiti adatti al percorso. Vestiti con impermeabile, stivali, elmetto e lam-pada, riprendiamo la gip che ci fer-ma poco lontano da uno dei cunicoli della miniera. Subito all’ingresso le tenebre compatte avvolgono ogni cosa. L’unico incerto chiarore che ci indica la via è la tremula e flebile

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luce delle lampade fissate sul casco. Le gallerie hanno soffitti bassi e passaggi fangosi, l’aria già povera di os-sigeno per l’altitudine diventa ancora più rarefatta e la polvere di silice non aiuta la respirazione. Le gallerie scavate nella roccia non sempre hanno travi di soste-gno e l’acqua che scende si raccoglie nelle anfrattuo-sità segnando il passo di chi faticosamente procede. Lì nelle viscere della montagna antiche tradizioni e nuove credenze si riuniscono in riti scaramantici che rendono meno buia una vita nel buio. La presenza di immagini inquietanti come quella del diavolo, Tio, lo Zio, che troviamo in uno dei cunicoli, non è concepita dai minatori per terrorizzare, ma sem-mai per abituarsi a convivere con esse perché sono par-te della vita sotterranea, il materializzarsi di paure in-consce. Respingerle potrebbe scatenarne il potenziale di sovrumana pericolosità. Facciamo le nostre offerte all’idolo che protegge le cavità sotterranee: foglie di coca, sigarette e alcool puro. Sono gli stessi gesti che compiono i minatori, azioni semplici che riassumono meglio di ogni parola la necessità di evasione dalla loro dura vita di lavoro e anche di speranza come quella di bagnare con alcol il fallo perché possa rendere feconda la propria famiglia. Per una vita che spesso non va oltre i 35/40 anni per silicosi avere molti figli è l’unica assi-curazione sul futuro. E poi c’è la speranza d’imbattersi in una vena di minerale ricca quanto basta per poter ri-solvere per sempre le difficoltà del vivere ora che l’ar-gento è ormai rarissimo e si continua, con turni mas-sacranti, ad estrarre solo piombo, rame, zinco, stagno

ed altri minerali. La stanchezza mi rendeva la galleria ancora più buia, angusta, umida e nebbiosa di polvere. La luce in fondo al cunicolo è un forte sollievo, la vi-

Sopra: Casa Real de la Moneda (cortile interno) Sotto: Pinacoteca

Cerro Rico (montagna ricca)

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sta del sole come un ritorno alla vita. Abbiamo ancora parte dei doni, così il nostro autista decide di bussare ad una casetta, dove è riunito un gruppo di minatori. Ci invitano ad entrare e ci immergiamo in una nuvola di fumo e di alcol. Non sono vecchi, eppure sono segnati dall’età, scolpita da un lavoro che a dodici anni li porta a spaccare pietre sul monte e a sedici ad entrare nel tun-nel per uscirne a trent’anni già vecchio, con la capacità polmonare ridotta della metà dalle polveri, dagli agenti chimici e dall’asbestosi. In molti i lineamenti bruni ti-pici degli indios quechua di questa zona sono deforma-ti dal perenne bolo di foglie di coca che anestetizza la gola e ottunde i sensi. Ci offrono una bevanda alcolica calda che, per dovere di ospitalità, condividiamo vo-lentieri. Ci chiedono da dove veniamo e poi dopo avere dialogato sulla giornata ci si saluta affettuosamente.

Nel 1611 Potosì con 160.000 abitanti era dopo Napoli la città più popolosa del mondo. La “Casa de la Moneda” raccoglie la storia della città che per la ricchezza era anche del mondo. Il convento di Santa Teresa quella della vita monacale delle nobili fanciulle e delle dame di compagnia.

Molto interessante è la visita alla “Casa Real de la Moneda”, l’antica zecca reale ora trasformata in uno dei musei della Bolivia. Il palazzo, dalle imponenti dimensioni, venne costruito tra il 1573 ed il 1773 per coniare le monete direttamente sul luogo di origine del metallo. Nel museo è custodita una pinacoteca che ri-corda gli anni d’oro della dominazione spagnola quan-do la ricchezza richiamava gli artisti maggiori dell’e-poca con interpretazioni originali. Tra i quadri che tap-pezzano le varie stanze fatte di ninfe, Madonne, gen-tiluomini e dame piene di galloni e sufficienza ,spicca una tela che rappresenta i reali spagnoli ai piedi di una Madonna che ha il corpo del Cerro Rico. In un sotto-scala, invece, è conservata la prima locomotiva che ha percorso il territorio boliviano. L’interesse più grande, tuttavia, è per i grossi capannoni dove sono conservati gli apparecchi manuali, ancora funzionanti, utilizzati per coniare le monete.

Battere moneta Spiccano nel buio le enormi macchine, tutte di le-gno, senza un solo chiodo di ferro, con le quali si bat-teva moneta illuminate da lampade che ne sottolineano i particolari. La guida ci racconta che molte parti di queste macchine sono state trasportate sin qui dalla Svizzera. Nell’interrato grosse ruote venivano all’epo-ca tirate da cavalli che in questo modo facevano girare i complessi meccanismi dentati di legno durissimo del-le foreste boliviane. I cavalli resistevano poco per il la-voro e soprattutto per l’altitudine che poco si concilia-va con le loro abitudini di vita. Nelle sale adiacenti le

teche conservano gli stampi delle monete. E poi ancora sale dedicate alla mineralogia, ai ritrovamenti fossili a testimonianza del passato, insomma uno scrigno della storia del paese.

La Chiesa e il Convento di S. Teresa Per conoscere la vita di Potosì durante il periodo co-loniale è importante visitare la chiesa e il convento di Santa Teresa, dove le figlie di buona famiglia venivano e restavano in clausura portando ingenti doti. Le sale, i chiostri, i vari ambienti di questa imponente struttura, molto ben conservati, raccontano in modo preciso la vita dell’epoca. Le ragazze destinate alla clausura, in-

Potosì - Palazzo de la Moneda

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al demone che abitava nella grotta del diavolo, proba-bilmente con un riferimento alla miniera di Potosì. Non so cosa voglia dire precisamente ma la musica delle bande e le danze di questi bambini sono coinvolgen-ti ed entusiasmanti. Riconciliano con la vita rendendo più difficile la partenza per la nuova destinazione.

Carmine Negro

La festa Mini Ch’utillos

Potosì - Campanileviate al convento in conformità con i desideri dei loro padri, non avevano contatto visivo con il mondo ester-no, neanche con i membri della famiglia. Era consue-tudine a quell’epoca che la prima figlia si sposasse, e che la seconda assicurasse la famiglia al cielo dando in garanzia la sua vita alla chiesa. L’opportunità di po-ter sacrificare una giovane ragazza era considerata un privilegio e la famiglia era tenuta a pagare una dote considerevole. Per questo motivo, il convento fu inon-dato di ricchezza. Il pezzo più spettacolare era un mas-siccio altare placcato in oro. La vita dentro l’ordine si svolgeva tenendo le ragazze completamente segregate, in base alla razza e al denaro. Le ragazze di origine europea, più ricche, indossavano cappucci neri e pas-savano le giornate pregando ed esercitandosi nell’arte del cucito. Le suore indigene più povere erano poco più che schiave; la loro vita era dedicata alle comodità delle sorelle più ricche. La costruzione dell’imponente convento di Santa Teresa iniziò nel 1685 e colei che si prodigò per la co-struzione del convento ora giace in una bara al mona-stero. Il suo corpo, ancora intatto, viene considerato un miracolo dalla popolazione locale, dal momento che non fu utilizzata nessuna protezione per la sua conser-vazione. Santa Teresa ospita gallerie con mobili anti-chi, molte sculture e dipinti di artisti locali. In una città dove la vita e la morte sono così intima-mente intrecciata ogni tipo di festa è una intensa ed immensa esplosione di luce, suoni, colori e corporeità. La festa dei niños delle varie scuole che per sere fanno le prove per le strade della città e poi si ritrovano tutti insieme in una grande sfilata che si snoda per le vie della città coinvolge tutti. Ai lati delle strade seduta c’è una gran folla che attende mangiando. El Ch’utillo es “le genio que daña y huye” mi racconta la guida Il Ch’utillo è il “genio che fa male e fugge” e si riferisce