La Rassegna d’Ischia 4/1996...

42

Transcript of La Rassegna d’Ischia 4/1996...

La Rassegna d’Ischia 4/1996 3

4 La Rassegna d’Ischia 4/1996

La Rassegna d’Ischia 4/1996 5

6 La Rassegna d’Ischia 4/1996

La Rassegna d’Ischia 4/1996 7

8 La Rassegna d’Ischia 4/1996

La

costruzione

della

Chiesa

Parrocchiale

Santa MariaMaddalenadi Casamicciola

di

GiovanniCastagna

Castellammare li 31 Maggio 1896

Gentilissimo Signor Parroco,

Vengo a confessarvi che dal giorno di sabato 30 scorso mese, sono rimasto talmente commosso da quella prima funzione dell’entrata dei Santi nella nuova Chiesa Parrocchiale, che mi toccò talmente il cuore, e siccome me ne ricordo e mi viene in visione la figura del Cuore di Gesù mi viene un dirotto pianto da non poter reggere.

Che opera divina che è stata la costruzione di questa S. Chiesa! Che bel giorno è stato per me, che in tutto il tempo della mia vita non ave-vo mai provato una consolazione simile, dopo tanti dispiaceri sofferti. Che cosa ha saputo fare un uomo Santo come voi, sembrava una ba-gattella quello che stavamo facendo, ora se ne vede l’effetto e credo che non solo a me ha potuto fare un’impressione tale, ma all’ intero paese. Infine non posso descrivervi quando dal vapore nella mia partenza da Casamicciola il giorno di Domenica, a misura che mi allontana-vo e guardavo la Chiesa mi sembrava di allontanarmi da Dio, e non potetti più trattenermi il pianto e così passai tutt’intera giornata di Domenica, considero cosa ha dovuto essere per voi quella S. giornata.

L’altra consolazione più grande per me fu nel ricevere quel S. tele-gramma, che mi mandaste la S. Benedizione del Redentore e spero che mi dasse la forza di poter resistere alla tentazione per la salvezza dell’anima mia e mi aiutasse nei miei affari onde poter dare una com-piuta educazione ai miei figli, e una buona situazione secondo il loro stato, dandomi la forza di poter conservare quella piccola fortuna che col lavoro ho accumulato per loro. Voglio sperare che non vi dimen-ticherete più di me, specialmente nel sacrificio della S. Messa facendo una preghiera speciale per l’intera mia famiglia, che non mancherò portare un giorno a Casamicciola per farla osservare l’opera Santa.

Ricevete i miei più distinti ossequii e baciandovi con rispetto la mano mi dico Il Vostro Aff.mo Servo Buonocunto.

Fra tutte le testimonianze dell’inaugurazione della chiesa parrocchiale di Casamicciola, avvenuta il 30 maggio 1896, abbiamo preferito riportare le commosse parole del costruttore stesso, Catello Buonocunto di Castel-lammare di Stabia, in una lettera indirizzata, il giorno dopo, al Servo di Dio Giuseppe Morgera. Di questa ricostruzione, infatti, solo don Giuseppe Morgcra s’interessò fin dal momento in cui fu prescelto nella terna, pre-sentata al vescovo dal municipio di Casamicciola, per la nomina del par-roco e dalla sua investitura canonica nella chiesa di S. Antonio al Mortito, prima sede provvisoria della parrocchia. Per raggiungere, tuttavia, lo sco-po prefissosi dovette superare non poche difficoltà e incomprensioni. Il suo fu un cammino irto di ostacoli e d’intralci.

Il primo progetto per la nuova Chiesa Parrocchiale in Casamicciola, che siamo riusciti a rintracciare, è del 21 marzo 1884, redatto dall’architetto Luigi Parisi. È molto probabile che fosse stato preparato su sollecitazione della Curia Vescovile, dato che l’architetto Parisi aveva redatto progetti, sorvegliando anche i relativi lavori, per il restauro di chiese danneggiate dal terremoto del 1881 per incarico della Commissione Vescovile d’Ischia.

«Progetto per la nuova chiesa parrocchiale di Casamicciola. Rela-zione.

La grave sventura che ha testé colpito l’Isola d’Ischia col disastro del dì28 luglio (1883, ndr) ultimo cui purtroppo à devastato i Comuni dell’Isola, massime Casamicciola!, à dato occasione a molti Architetti studiare dei sistemi di costruzioni da non essere abbattute dal tre-muoto.

Progetto dell’arch.Luigi Parisi

La Rassegna d’Ischia 4/1996 9

Vari sono i modelli di piccole case o capanne che sonosi già fatte in Casamic-ciola; finora non ancora si è risoluto quale di essi è il più conveniente per soli-dità, comodo ed economia; in seguito anche a considerazioni ed investicazioni fatte per ripetuti movimenti tellurici ed in ricerche e confronti di altre opere eseguite in diversi paesi siti in suoli vulcanici ed in tutto ciò che finora si è in-ventato per prevenire i danni di terremoti cui con maggior risultato anno re-sistito alle ondulazioni terrestri; studiando altresì quanto si è finora eseguito in altre città, che, in varie epoche, sono state colpite dallo stesso flagello. Tutte però parmi convengano nel sistema in legno infrenato da squadri e tiranti di ferro, con base di muratura da non elevarsi dal suolo più di m. 2$0.

A tutto ciò son convinto che il miglior mezzo economico e statico per costru-ire la Chiesa parrocchiale in Casamicciola sia quello di formare la carcassa con robuste travi di castagno sopra base in muratura ammecciate e frena-te con staffe e squadri di ferro, rivestendola nell’esterno da esile muratura dello spessore di m. 0,25, infrenata alla detta carcassa da cinture orizzontali di ferro con placche e tirantini parimenti inferro, preservandone la durata e precluderle interamente dalle incostanze delle stagioni: e nello interno da cannizza di Milano intonacata e rivestita di stucco, onde evitare incendi, come rilevasi dal modello segnato nella tavola 4a dell’alligata cartella.

La chiesa sarà coverta da tetto di ferro ondulalo, sostenuto da incavallature di abete con polverino di asfalto, applicato con massetto di malta su tavolato e correnti di abete, come rilevasi dalle sezioni longitudinali e trasversali, se-gnate nella Tavola 2a e 3a.

Il soffitto piano della chiesa sarà di tela ingessata e decorata con dipintu-ra a guazzo. Il pavimento sarà di rigiole invetriate con sottostante masso di asfalto, onde renderlo asciutto.

Il campanile, staccato dalla chiesa, sarà tutto di legno anche nel rivesti-mento esterno, non potendosi assicurare qualunque crosta di muratura per le continue oscillazioni nel suonare le campane, se non all’altezza di m. 3,00.

Il carattere serio e modesto nello esterno, semplice ed elegante nello interno è tale quale si addice alla vera Casa di Dio, come rilevasi dai disegni della 1a, e 3a Tavola, non trascurando la solidità ed economia.

Il dettaglio di locali, sagrestia, stanza pel custode, abitazione del curato ed altro rilevasi dalla pianta segnata nella Tavola 2a

In pendenza dello stato preventivo dettagliato per la spesa occorrente alle diverse opere di arti per la erezione della ripetuta chiesa parrocchiale poten-dosi ritenere da ora la spesa nella somma di circa Lire quarantaseimila.

Casamicciola li 21 Marzo 1884 L’Architetto Luigi Parisi.

Non siamo riusciti a rintracciare i relativi disegni. Non si parla, tuttavia, del luogo ed è molto probabile che si pensasse di ricostruirla in Piazza Maio, sulle rovine dell’antica. Un’altra relazione fu inviata dal Signor Lazzaro Castagnino (Via Evangelista n.2 Ischia) a

«S. E. Monsignor D. Francesco di Nicola Vescovo d’Ischia e alla Commissione da lui presieduta per la costruzione in legno e muratura della Chiesa Parrocchia-le di Casamicciola di cui accludevi un bozzetto concetto delle dimensioni di metri trentacinque per venti.

La fondazione della Chiesa sarà fatta in buona muratura di pietra tufo con malta di calce e pozzolana della cava Perrone.

La parte fuori terra verrà tutta costruita in legno, tanto nei muri maestri che nei tramezzali e di scompartimento formati; cioè da sotto squadrati, tra-verse e croci di S. Andrea, formante una specie di gabbia di forma invariabile sotto qualsiasi azione di forze, possedendo tuttavia una elasticità che rimuove il pericolo della rottura; rivestita all’interno d’incannucciate formate da strisce di legno ed all’ esterno con tavole formate a piccamento di pietra debitamente inchiodate; nonché tutte le decorazioni esterne le quali perché resistano alle intemperie sono preparate con uno speciale mastice rendendo la Chiesa di una

Relazionedi L. Castagnino

10 La Rassegna d’Ischia 4/1996

apparenza che sembra pietra bugnata; e l’incannucciata alla sua volta viene rivestita con un intonaco anche speciale atto a non rompersi facilmente.

Tanto i solai che le impalcature di sostegno della Chiesa sono formati di travi squadrati di dimensioni piuttosto lievi ed abbastanza ravvicinati colle-gati fra loro, con un sistema di controventi anche in legno; dette travi sono poi coperte da un tavolato in cui poggia il masso di sostegno al pavimento.

La copertura che è al lastrico solare, formata di ferro galvanizzato, di asfalto oppure di tegole, ha il sotto astrico necessario alla buona ventilazione.

Tutte le pareti e coltone avranno fluidi d’aria che comunicando fra loro per tutto l’edificio lo conservano dal tarlo e dall’ umidità, tenuta in buone condi-zioni all’incirca di due secoli.

Con questo mio sistema ho ottenuto la privativa da S. E. il Ministro d’Indu-stria e Commercio ed è approvato da S. E. il Ministro dei LL. PP., dal Prefetto e dal Genio Civile di Napoli, ecc.

Facendone richiesta posso fare vedere tutti i documenti.Prezzo lire centodieci il metro quadrato coperto».

Di questi progetti non si parlò più. La chiesa, essendo di patronato comunale, doveva essere ricostruita dal Comu-

ne. Prova ne sia anche una lettera del Comitato di Soccorso per i danneggiati del terremoto al vescovo d’Ischia (17-8-1885,n° 1502) che, ad una specifica richiesta di sussidio, rispondeva non poter darvi seguito, perché «essendo quella Chiesa di esclusiva proprietà municipale venne perciò, con deliberazione del Comitato Centrale, esclusa dal riparto dei sussidi a favore dei danneggiati per essere stato già provveduto dal Governo ai bisogni dei singoli Comuni dell’Isola, con la legge del 2 di Marzo 1884 ».

Nella seduta consiliare del 9 novembre 1884 (N° 98), il presidente informa che il parroco, «mosso da religione e carità di patria », supplica affinché il Consiglio designi il posto ove costruire la chiesa parrocchiale, ed il Consiglio scelse la Piaz-zetta Funno «tra la casa Parisi e croce Paolillo», posto che confermò nella delibera 28 marzo 1886 (N° 15):

«[...] Il Consiglio, visto lo esposto; Ritenuto che i fattori del risorgimento di Casamicciola che sono due principalmente, cioè lo sgombero delle rovine dal-le vie e la ricostruzione degli edifici pubblici; Visto che con verbale consiliare del dì 16 ottobre 1885 F. 72 si deliberava lo sgombero suddetto di cui si attende con premura l’un dì più che l’altro l’approvazione; Visto che in secondo luogo converrebbe pensare alla ricostruzione degli edifizi pubblici e poiché di questi solamente la Chiesa Parrocchiale spetterebbe al Municipio; Considerato che tale costruzione è necessità farsi in sito centrale che risponde ai comodi di tutti gli abitanti sparsi in diversi Rioni costruiti e da costruirsi; Tenuta pre-sente anche la pubblica opinione in obbietto, la quale tende si effettui un sito equidistante dai Rioni e possibilmente nel centro del Comune; Visto che con deliberazione del 9 novembre 1884 N°98 si sceglieva il sito tra la Casa Parisi e la Croce di Paolillo; Visto da ultimo che il sito posto tra la strada Roma e Castanito limitrofo col precedente offre tutti i vantaggi di che innanzi è paro-la, presentando anche un grande spiazzo dinanzi da potersi addire a piazza ove potersi radunare il pubblico com’è consuetudine secolare del paese; Per appello nominale ad unanimità ha deliberato: revocando la sopra enunciata precedente deliberazione consiliare del dì 9 novembre 1884 N°98, sceglie e destina invece tutto il vigneto posto tra la Via Roma lati Sud ed Ovest, la Piaz-zetta Funno lato Est e la Via Castanito lato Nord».

La rettifica verte sul fatto che precedentemente si era scelto, sempre in Piazza Funno, la porzione di terreno appartenente al Comune, ove si erano, però, depo-sitate le macerie per lo sgombero delle vie e delle piazze. Non essendo, poi, suffi-ciente lo spazio, il Comune fu costretto ad occupare alcuni terreni confinanti, fra i quali appunto il vigneto dei «germani Patalano», che fu poi comprato dal parroco Morgera, a nome del Comune di Casamicciola, con istrumento del notaio Giovanni d’Ambra fu Giuseppe datato 27 giugno 1895, e più precisamente «una porzione del

La scelta del sito

La Rassegna d’Ischia 4/1996 11

loro fondo di metri quadrati seicento sito in Casamicciola luogo detto Funno, Sassolo o Castanito confinante al rimanente vigneto di essi Patalano, beni patrimoniali del Comune di Casamicciola e beni degli eredi di Francesco Monti [...]».

Nell’atto viene precisato «Per ultimo il Reverendo Signor Parroco Morgera di-chiara aver fatto il presente acquisto nel solo ed esclusivo interesse del Municipio di Casamicciola, per conto del quale dal fondo sussidii ha esatto il prezzo di cui sopra pagato». (Il prezzo convenuto era di Lire 1.590.)

L’atto precisava ancora «Siccome il terreno acquistato è servito per costruirvi la Chiesa Parrocchiale, di cui è parola nel relativo progetto estimativo, così [...] il presente istromento va esente da tasse».

In una nota manoscritta il parroco Morgera ha lasciato la seguente distinta: Ricevei per la costruzione della Chiesa Parrocchiale in diverse volte quattro in tut-

to chèques di quattromila lire complessivamente. E le ho spese così:

Per la compra di un pezzo di suolo ai due fratelliGiuseppe e Michele Patalano del fu Ercole ......................................L. 1590,00Trascrizione .................................................................................................. 550Residuo della sorte ..................................................................................100,00Altra somma convenuta ...........................................................................90,00Interessi ...................................................................................................... 25,00Spese di stipula .......................................................................................... 28,70Tassa di registro pagata ai 21 Marzo 1896 ............................................. 76,80Voltura con documenti ................................................................................. 8J0All’Ingegnere Parisi ............................................................................. 1.300,00A Buonocunto ...................................................................................... 1.000,00 ...............................................................................................................4.224,30

L’acquisto del vigneto dei Patalano spostava di alcuni metri più a sud l’ubicazione della chiesa e fu considerato un’economia rispetto alle spese occorrenti per lo sgom-bero del terreno comunale dalle macerie accumulate e permetteva, inoltre, una larga piazza davanti alla chiesa (Cfr. Del. Cons. del 2-5-1895, N° 48).

L’11 maggio 1887 il consiglio comunale ritorna sull’argomento e il presidente

«espone al Consiglio che questa popolazione è oltremodo dolente perché anco-ra non si è pensato, dopo circa quattro anni dal disastro, a ricostruire la Chiesa Parrocchiale di jus patronato del Comune, quantunque fin dal 28 marzo 1886 con consiliare deliberazione superiormente vistata si fosse devenuto alla scelta del sito; Desiderando quindi nell’interesse del Paese e per comodo della popola-zione, che veramente ha diritto di avere la Chiesa madre ove esercitare gli atti di religione, invita il consiglio ad emettere un deliberalo che risponda alfine».

Il Consiglio, pertanto,

«[...] Considerando che il Municipio per ora difetta di mezzi necessari ed ade-guati alla costruzione dell’ edificio in parola; Considerato che Sua Ecce.za Revd.ma il Vescovo della Diocesi dall’obolo da lui raccolto per i danneggiati ha prele-vato un’importante somma per la costruzione di questa Chiesa Parrocchiale, e per spenderla attende che questo Municipio assegnasse il sito necessario; Con-siderando che anche Sua Eminenza il Cardinale Sanfelice, come da sua nota del 26 febbraio 1884 dichiarava di concorrere alla spesa di ricostruzione della Par-rocchia, mettendo a disposizione la somma di Lire 4.000,00; Considerando che il Comune come patrono dovrebbe costruire la Chiesa Parrocchiale; Considerando che per ora la condizione finanziaria non lo permette, e che d’altronde essendo assegnata per la Legge 2 marzo 1884 la somma di Lire 320.000,00 per l’ese-cuzione di parecchie opere di pubblico interesse, nelle quali può ben compren-dersi quella della Parrocchia; Ad unanimità per alzata e seduta confermando pienamente la precedente del 28 marzo 1885 n ° 15, relativamente alla scelta del sito, volendosi che nel sito già dinotato con la deliberazione risorgesse la nuova Chiesa, delibera prelevarsi Lire Ventimila dalla soma di Lire 320.000,00, accor-data dalla Legge a questo Comune per concorrere con tutte le altre somme alla costruzione della Chiesa Parrocchiale, salvo a far redigere il relativo progetto da un Architetto a nominarsi».

L’ubicazionedellachiesa

12 La Rassegna d’Ischia 4/1996

Della redazione del progetto fu incaricato, con nota del 2 marzo 1889 (n° 471) l’Ufficio speciale del Genio Civile in Ischia e fu affidata all’ingegnere Gambara. Nella stessa delibera (1889, n. 24) si nominò una Commissione per i fondi necessari alla costruzione, di cui si mette in risalto la necessità ed urgenza dato il desiderio generale della popolazione. Il progetto sembra già pronto nel 1890. Il Comune, infatti, con Delibera nB 52, stanzia £.100 per copiatura e bollatura.

Senonché, nel presentare il suo progetto, l’ingegnere Gambara lo accompagna con una nota in cui «accenna ai dubbi che si hanno per la stabilità, o meglio solidità del suolo prescelto in Piazza Fanno». Dichiara di essere venuto a conoscenza dell’esi-stenza «di gallerie sotterranee praticate da antichi scavi di argilla» e propone un altro posto sul lungomare, tra i rioni baraccati Sanseverino e Umberto I, nonostante l’insalubrità accertata e dichiarata dalla Commissione edilizia dell’ Isola.

Il Consiglio nella seduta dell’8 aprile 1890 (Delibera ne 32) confermò il sito pre-scelto, facendo proprie le ragioni esposte dal Consigliere Gaetano Cav. Gargiuto:

«[...] Ha espresso le sue alte meraviglie sul dubbio che nella nota del Gambara si è fatto balenare riguardo la solidità del sottosuolo del sito prescelto ed acqui-stato in piazza Funno, sia perché il Gambara istesso dice di aver conosciuto all’ ultima ora, per voce certamente di qualcuno, che quel sito presenta delle gal-lerie sotterranee praticate da antichi scavi di argilla, sia perché i Componenti questo Consiglio, è a supporsi, conoscono le tradizioni e le condizioni statiche del suolo di Casamicciola tutta quanta, più di quello che non ne conosca il Gam-bara, venuto da poco tempo nell’Isola e che avrebbe potuto in buonafede anche farsi eco di qualche voce maligna, interessata a sollevare tale dubbio per fare che la nuova parrocchia sorgesse in un sito diverso da quello prescelto.

Egli, il Gargiuto, si dice a tanto autorizzato dalla sollecitudine spiegata dal Gambara nello studio e nella ricerca di altro sito senza alcun incarico da parte di questo Consiglio e per la contraddizione nella quale è caduto con se stesso il Sig. Gambara, dappoiché nella relazione che accompagna il progetto egli dice di aver redatto un tale progetto, tenendo appunto presente la poca solidità che il sottosuolo del sito prescelto offre in qualche punto e, quindi, lo ha circondato di tutte le garentie richieste da un tale stato di cose. Tutto questo si vede poi smen-tito con la nota del 25 febbraio ultimo, con la quale rimette la relazione ed il pro-getto e con un Notabene che si vede aggiunto in piedi della relazione cennata.

Egli adunque invita caldamente il Consiglio a tener fermo i precedenti delibe-rati e a sostenere ancora che la costruzione della nuova Chiesa sia fatta nel sito prescelto per diverse gravi considerazioni:

Primo - Di fronte alla logica inesorabile dei fatti ogni scienza cade. Sul sito prescelto vi furono costruiti prima del disastro solidissimi edifizi privati e che non ostante la spinta degli archi e delle volte, non solo non ebbero a soffrire mai cosa alcuna per cedimento del sottosuolo, ma resistettero bene agli urti del terribile terremoto. Ora dopo questa prova ineluttabile di fatto gli pare per lo meno temerario sentir parlare di più o meno solidità di detto sito. Se dunque servi bene a fini privati, può meglio rispondere al pubblico uso di una Chiesa Parrocchiale. Tanto più che, per quanto (il Gargiuto) ha inteso dire, l’Ingegnere Gambara ha affermato che quel sito non adatto per la Chiesa Parrocchiale, lo sarebbe per un grandioso albergo od altra costruzione consimile. Ma dato per vero quello che il Gambara accenna di aver appreso così alla sfuggita e senz alcun fondamento non è neppure a preoccuparsene, perché il medesimo Gam-bara con la relazione ci favorisce dire che nel fare il progetto ha tenuto presente appunto tali dubbi e vi ha provveduto. Quando da uomo dell’arte avesse visto la impossibilità di servirsi di quel sito, allora perché ha fatto il progetto? Sembra in verità, per non dire altro, un giochetto da bambini. Avvalora sempre più un tale sospetto l’idea fissa del Gambara che, mentre è amico della centralità, pre-sceglie assolutamente i fondi De Luise e Morgera alla Marina fuori centro, il che vuol dire pure aggiungere alle due Chiese esistenti ed altra in prossima costru-zione del Pio Monte della Misericordia, una quarta che sarebbe la Parrocchia, distanti tra loro meno di cento metri ognuna; insomma, vorrebbe farsi in un sol sito una batteria di Chiese, rimanendo prive le altre contrade che pur son centri popolati e godenti i vantaggi della zona sicura.

Confermadel sito presceltoda parte delConsiglio comunale

La Rassegna d’Ischia 4/1996 13

Secondo - Deve il Consiglio por mente che la costruzione della Parrocchia in quel sito prescelto dal Consiglio è l’alba della risurrezione di Piazza Bagni che forma la vera ricchez-za del paese, e se Piazza Bagni non risorgerà in tutto il suo splendore non è a parlare più della risorta Casamicciola, sapendo tutti come la Piazzetta Funno è a meno di cento metri da Piazza Bagni. Piazza Bagni che avrebbe dovuto essere oggetto delle sollecitudini di tutti i Comitati, del Governo Centrale, deli Autorità Tutoria, del Comune, della pubblica Carità, essa è stata l’unica completamente e sempre dimenticata. Non uno Stabilimento balneare, non un luogo di ritrovo, ed oggi neppure una chiesa alle sue porte. È vero che ora tre Rioni accoglienti una parte della popolazione del Comune sono sparsi lungo la Marina fino a Perrone, ma ciò è una posizione fittizia ed imposta ai naturali dalla suprema necessità del momento. Ed infatti appena un privato ha potuto disporre di Mille Lire, ed ecco sorgere una catena di villini solidi ed eleganti, tutti fuori i limiti del Piano Regolatore e tutti a di-screta distanza dalla Piazzetta Funno che siede centro equidistante da tutti i punti abitati e non abitati. Ognuno dei quattro Rioni di Casamicciola gode chi di due, chi di tre chiese più o meno grandi, solo la contrada dei Bagni ed il centro del paese che sarebbe Piazzetta Funno, come si è dimostrato di sopra, circondata di abitazioni e destinata a divenire il punto più importante di Casamicciola, ne sono totalmente sprovvedute. Deve il Consiglio ponderare ancora che nella costruzione della Chiesa Parrocchiale deve tenersi presente non solo la Casamicciola di oggi, ma più specialmente quella del domani, ed ora non è più a discutere, che appena il potranno, i naturali tendono tutti a ritornare negli antichi siti attrattivi dalle tradizioni di famiglia e dalla bellezza che tutta Casamicciola alta offre in isvariati punti sulle sue amene collinette, incoraggiati pure dall’opera stessa del Governo, il quale, nonostante tutto quello che si è scritto e si è detto per attuare lungo la Marina, che forma la Casamicciola bassa, il nuovo Piano Regolatore, il Governo or cennato nella costruzione dell’ Osservatorio geodinamico ha prescelto il punto più alto e più esposto di Casamicciola, sulla collina Grande Sentinella, fuori limite del Piano Regolatore, con gli stessi dubbi di gallerie sotterranee, e serbando l’istesso metodo di costruzione prescritto per la zona sicura del paese. Ormai è tempo di finirla con questa discussione di suoli e sot-tosuoli, Casamicciola è tutta sicura e tutta insicura. La vera cosa che si doveva discutere, si è discussa, ed è il modo della costruzione, questo assodato, i suoli di Casamicciola offrono la stessa garentia sia alla Marina, sia alle colline, sia alle pendici stesse del Monte Epomeo, massime quando si è adottata nella costruzione la platea generale per base.

Da ultimo, la Chiesa Parrocchiale, Chiesa madre, Chiesa eminentemente Comunale, e qui cade rilevare, non potersi disconoscere che la Chiesa, massime nei Comuni rurali è centro di civiltà e di unione, essa deve quindi sorgere in un sito di facile accesso a tutti dal primo all’ultimo paesano in qualunque punto e sito del Comune si trova. Or non è a discu-tere affatto che Piazzetta Funno è il centro vero del paese adeguale distanza da tutti i punti del medesimo. Se il progetto redatto ha tenuto presente questi voluti dubbi dell’ultima ora e vi ha provveduto, ogni giustizia, ogni ragione, ogni interesse vero del Paese esige che la Chiesa Parrocchiale sorga nel sito prescelto e comprato dal Comune in Piazzetta Funno, ed anche per non risuscitare il secolare dualismo tra Casamicciola alta e bassa, appunto perché la Parrocchia si trovava nella Casamicciola alta in Piazza Majo, dualismo oggi completamente sepolto con la scelta della Piazzetta Funno per la costruzione di detta Par-rocchia, come quella che è equidistante da tutti i Rioni della Marina e della Collina, e da tutte le contrade abitate del paese, ed è adatta a tale costruzione non presentando nessun dubbio sulla solidità del sottosuolo, anche perché compresa nel raggio dei 60 metri di che nel R° Decreto 12 luglio 1888.

Finalmente è opportuno far rilevare che il nuovo sito prescelto dall’Ingegnere Gam-bara tra il Rione Sanseverino ed Umberto Primo è insalubre, appunto perché insalubre è questo Rione come lo dichiaravano la Commissione Edilizia dell’Isola, i Professori Celli e Margotta inviati in questo Comune nel 1887 dal Prefetto per una ispezione sanitaria, e confermato dal Consiglio con deliberato 5 febbraio 1888. Ciò era certamente a conoscenza dell’Ingegnere quando sceglieva il nuovo sito. Onde fa meraviglia che egli sul dubbio delle possibili gallerie teme di costruire la Chiesa in Piazza Funno, e sulla certezza poi dell’ in-salubrità del Rione Umberto e vicinanza non si fa scrupolo di proporre il sito De Luise e Morgera, non potendosi certamente con la spesa della costruzione della Chiesa bonificare il Rione suddetto».

Il consigliere Gargiuto, quindi, «sicuro della serenità e dell’imparzialità del Consiglio», pro-pone di approvare il progetto e di costruire la parrocchia sulla Piazzetta Funno. La proposta

14 La Rassegna d’Ischia 4/1996

viene approvata da diciassette consiglieri su venti. Il progetto «presenta la cifra di Lire 92.000».

Abbiamo riportato l’intero intervento del consigliere Gargiuto perché vi traspare chiaro il dissidio tra coloro i quali volevano la parrocchia alla Marina e quelli che la preferivano nella parte alta di Casamicciola. Dissidio che si protrasse per più di tre anni e sembrava insanabile, fin quando il parroco Morgera, il giorno dell’Immacolata del 1893, fece circola-re una lettera aperta, indirizzata ai Signori Consiglieri, in cui ricorre alle espressioni che il Profeta Aggeo, in nome di Dio, indirizza agli Israeliti, i quali, tornati a Gerusalemme dopo l’esilio babilonese, non riescono a costruire il tempio di Dio.

«Ai Sigg. Consiglieri del Municipio di Casamicciola Il vostro, sebbene indegnissimo, Parroco, il quale sta per dar conto a Dio di 4000

Anime, e della ventura generazione, spinto dalla carità di G. Cristo, e superiore a tutti i vostri meschini interessi di questa terra, v’indirizza questa domanda: Sigg. Consi-glieri, avete voi una Patria?

Se l’avete, ascoltate le parole del Profeta Aggeo, che i vostri Sacerdoti hanno letto nell’ultima settimana dell’anno ecclesiastico:

Queste cose dice il Signore degli eserciti: Questo popolo dice: Non è ancor venuto il tempo di rifabbricare la casa del Signore. Ma il Signore ha parlato ad Aggeo profeta ed ha detto. È egli adunque tempo per voi di abitare in case di belle soffitte, e questa casa è deserta? Ora dunque così dice il Signore degli eserciti: Applicatevi col vostro cuore a riflettere sopra i vostri andamenti. Voi avete seminato molto, e fatta tenue raccolta: avete mangiato, e non vi siete saziati, avete bevuto e non vi siete esilarati, vi siete coperti, e non vi siete riscaldati, e colui che ragunava i suoi salari, gli ha messi in una tasca rotta. Così dice il Signore degli eserciti: Applicatevi col vostro cuore a riflettere sopra i vostri andamenti.

Salite al monte, preparate i legnami e rifabbricate la casa; e in essa io mi compia-cerò, e sarò glorificato, dice il Signore.

Casamicciola il giorno dell’Immacolata nel 1893.Giuseppe Morgera Parroco»

Questa lettera aperta deve essere inserita in quel clima di antagonismo e di lotte, di “me-schini interessi privati “, cui il Servo di Dio ha fatto, non poche volte, riferimento nei suoi scritti, accennando agli «ostacoli svariati e sempre incalzanti, opposti via via dall’antico avversario all’opera di Dio ».

Il 6 dicembre, infatti, erano stati spediti gli avvisi a ciascun Consigliere in 1* Convo-cazione della sessione straordinaria per il 10 dicembre con all’ordine del giorno anche l’oggetto: Condizioni per l’appalto della Costruzione della Chiesa Parrocchiale. Il parroco Morgera, temendo che faziosità e brighe facessero andare deserta la seduta, inviò con co-raggio e determinazione quella lettera aperta.

La seduta non andò deserta (intervennero 16 consiglieri su 20) e, all’unanimità, furono approvate le due proposte presentate, a nome della Commissione, dall’Avv. Gaetano Gar-giuto.

A partire da questo momento l’opera della ricostruzione della parrocchia si avviò sul cammino della realizzazione.

Il 7 maggio 1894 fu firmato il capitolato di appalto con l’imprenditore Catelllo Buono-cunto di Castellammare di Stabia e, finalmente, 1*8 luglio 1894, Mons. Giuseppe Candido, vescovo d’Ischia, assistito dai Canonici, dai seminaristi e dal clero di Casamicciola, fra una folla festante, benediceva con rito pontificale e poneva la prima pietra della costruenda parrocchia.

Il parroco Morgera iniziò il suo discorso con queste espressioni:

«Il momento segnato nel divino Consiglio è giunto. Per quanto lungo sia sembrato all’innata fretta di noi povere creature il corso di undici anni, ecco che adesso il mo-mento della caduta e il momento della risurrezione, l’istante della giustizia e l’istante della misericordia sembrano fusi in un istante solo, il presente istante il quale allaccia in sé il finito e l’infinito e ci dà neli attuale funzione una splendida immagine di Nostro Signore Gesù Cristo».

E d’allora il parroco cominciò a seguire i lavori e i progressi della fabbrica.

L’interventodelparroco

7 maggio 1894Prima pietradella nuovaparrocchia

La Rassegna d’Ischia 4/1996 15

«Il tempio Parrocchiale si fabbrica alacremente per la prodigiosa devozione dell’ ap-paltatore Signor Catello Buonocunto di Castellammare di Stabia e per la intelligente attività dell’ architetto municipale Signor Luigi Parisi», scrive egli stesso in una corri-spondenza.

I lavori della costruzione, secondo il progetto, ascendevano a Lire 120.740, di cui Lire 103.620 a base d’asta e Lire 17.120 messe a disposizione dell’amministrazione, somma che rappresentava: per Lire 6.969 lavori imprevisti; per Lire 1.500 espropriazioni; per Lire 2.000 direzione e sorveglianza e per Lire 6.650 diversi lavori da potersi fare in economia. L’opera di costruzione della Parrocchia, fatta dal Municipio, usufruì anche dei seguenti sus-sidi:

- Lire 20.000 sulle 320.000 avute dal Governo con la Legge del 2 marzo 1884 e giàimpegnate per questo scopo con delibera consiliare del 21 giugno 1891;- Lire 10.000 sussidio dell’Ordinario Diocesano;- Lire 4.000 offerte dal Cardinale Guglielmo Sanfelice, Arcivescovo di Napoli;- Lire 2.000 sussidio della Provincia;- Lire 2.000 sulle 7.000 ricavate dalla vendita degli oggetti scavati dalle macerie deldisastro del 1883 e depositati presso il Comune;- Lire 25.000 circa somma dovuta dai debitori dell’abolita Cassa d’Ischia, istituita nel

1883 dal Comitato Centrale di soccorso, a base di titoli creditori, ceduti dal Comitato al Parroco.

La differenza venne pagata dal Comune, tramite un mutuo.

In un prospetto del 25 luglio 1896, firmato dal sindaco G. Dombré, si legge:Somma a cui ascende l’intero progetto ......................................................... 120.740,00Somma dei lavori a base d’asta d’appalto a Buonocunto ............................. 103.620,00Somma erogata finora per detti lavori ............................................................ 88.120,00Somma erogata per lavori non previsti ........................................................... 15.500,00Totale .............................................................................................................. 103.620,00Somma da erogare pel completamento .......................................................... 20.725,00

I lavori cominciarono subito, sotto la direzione dell’ingegnere Luigi Parisi, e la commi-sione di sorveglianza, eletta dal consiglio il 10 giugno 1894 (Del.n° 72) e composta dai con-siglierimMorgera Stanislao fu Vincenzo (voti 13), Monti Leonardo fu Giuseppe Domenico (voti 13), Mennella Aniello fu Nicola (voti 12), Morgera Giosafatte fu Filippo (voti 11) e Pisa-ni Crescenzo fu Luigi (voti 9).

II 2 agosto 1894, erano state eseguite «Lire 10.577 di lavori, nette del ribasso del 6,90% edelle ritenute del 10% per garentia del contratto e dell’ 1% per gli infortuni». Il 2 luglio 1895 i lavori eseguiti ammontavano a Lire 60.307,96 (nette di ribasso e di

ritenute) ed il Comune dovette attingere per il quinto e sesto pagamento dai sussidi, aven-do il Ministero dei Lavori Pubblici già pagate le 20.000 lire stanziate dalla somma di Lire 320.000 avuta dal Governo per la legge del 2 marzo 1884.

La serie di figure si riferisce al progetto presentato dall’ingegnere Gambara, il cui disegno fu accompagnato dalle seguenti note:

1. Il progetto è tracciato secondo tutte quelle condizioni che furono date e noverate nelle note accompagnatorie del bozzetto in piccolo presentato nello scorso inverno.

2. Secondo il desiderio espresso, in questo nuovo disegno sono state fatte delle tribu-ne. Le sacristie e tutto l’ambulacro semicircolare, che gira l’abside, hanno esteriormen-te la stessa altezza delle cappelle, interiormente sono suddivise in due piani. L’inferiore contiene le sacristie e l’ambulacro con armarii. Il piano superiore è una continuata tri-buna all’uno all’altro lato del presbitero girando dietro il coro. L’intercolunnio del coro ha 3 aperture chiuse da grate a traforo. Sopra le sacristie s’hanno due compartimentini servibili o per guardaroba o per abitazione di un custode o d’un sacrista.

3. Si accede al piano superiore per la scala del campanile.4. Il disegno indica piuttosto la distribuzione, la proporzione e misura delle parti,

anziché le forme loro precise.5. Il pavimento e il soffitto saranno disegnali a parte.6. Gli altari, le balaustre, le vetriate, le grate...e tutti gli ornamenti sono anche essipiuttosto indicati che disegnati. Essi pure saranno più determinatamente disegnati a

Il costodell’opera

Progetto Gambara

16 La Rassegna d’Ischia 4/1996

parte in scala maggiore.7. Le colonne della facciata e della na-

vata possono essere in pietra del paese, per economizzare le gravi spese di tra-sporto. Quelle del coro vorrebbero esse-re in marmo o almeno in istucco tirato a finto marmo.

8. Il pavimento lastricato a marmo riuscirebbe forse troppo freddo per co-deste regioni, sarebbe forse preferibile il cemento.

9. Le figure degli apostoli, che adorna-no gli interstizi degli archi della navata maggiore, potrebbero farsi a fresco. Le teste però in proporzione alquanto mi-nore che nel disegno, in modo che nel medesimo circolo si comprenda tutta in-tera la mezza persona coi simboli distin-tivi di ciascuno.

10. Le cornici dei quadri degli alta-ri minori vorrebbero essere grandiose e ricche, affinché correggano la nudità dell’intero nicchione, in cui potranno ben campeggiare.

11. La statua del S. Cuore all’altare maggiore in Italia si esigerebbe nel suo colore bianco naturale del marmo. In co-desti paesi però si preferirà una statua a colori, quali sogliono farsi nelle fabbri-che celebri di Monaco di Baviera.

12. Sulle estremità laterali della fac-ciata ho posto come coronamento due profumiere sostenute da griffoni, invece di gugliette o palle, che mi sembravano cosa troppo volgare. Se le finanze il per-mettessero, vi si potranno sostituire due statue o gruppi.

13. In generale, dove sembrasse troppo eccessiva la parsimonia negli ornamen-ti, essa si potrà sempre correggere con tutto quello che permetteranno i mezzi pecuniarii disponibili.

Non entreremo nei particolari. La serie di figure, infatti, lascia chiaramente vedere le trasformazioni che un tale progetto subì nel corso dei lavori ed alle quali faremo qualche riferimento, descrivendone lo svolgimento.

Per quanto riguarda la struttura, rimandiamo all’articolo «Gli edifici antisismici nel patrimonio edilizio ischitano alla fine del XIX secolo (elementi per la conser-vazione e la riqualificazione)» di Francesco Polverino, pubblicato su La Rassegna d’Ischia (a. XII, n°3, aprile 19%, pp.47-50).

Il 27 agosto 1894 (Del. 93), il consiglio comunale discute ed approva alcune modifi-che nella costruzione della parrocchia, presentate in una nota dell’ingegnere Parisi, direttore dei lavori. Le modifiche vertono sui punti seguenti:

a) «Trasportare l’alloggio del parroco dalla parte sinistra della crociera ove vedesi segnato in progetto alla parte destra per ragioni di edilizia e di igiene in pari tempo dividerlo in due piani anziché in uno a pianterreno come venne preveduto in progetto.

Ortografia posteriore

Svolgimentodei lavori

La Rassegna d’Ischia 4/1996 17

18 La Rassegna d’Ischia 4/1996

b) «Che inoltre nel prospetto e pianta di detta chiesa i pilastri che dividono le cappelle delle due navale laterali sono posti nella breve distanza di metri due fra loro in modo da rendere lo spazio delle cappelle strette ed insufficiente a contenere ciascuna un altare della distrutta chiesa, ciò che si eviterebbe scompartendo i pilastri istessi alcuno alla distanza fra loro di metri 2,80, e dividendo ciascuna navata in cinque cappelle anziché in sei, come risulta dal progetto».

Per quanto concerne l’alloggio del parroco, evidentemente si fa riferimento ad un progetto po-steriore, in quanto la pianta di Gambara non prevede un tale alloggio. Il direttore dei lavori, poi, propone al consiglio, il 7 ottobre 1894,

«la costruzione di una cisterna della capienza di botti mille, la quale potrebbe rimanere a disposizione del pubblico nella stagione di està, nella quale quasi sempre si verifica una pe-nuria d acqua, e lo imporlo in Lire 2.500potrebbe ben prelevarsi dalle spese impreviste [...] », dato che «la superfìcie della copertura della chiesa in costruzione in metri quadrati ottocento raccoglie annualmente metri cubi di acqua piovana 640, dei quali dedottine 85 eguali a botti 150 di acqua per la cisterna per uso del parroco e della sagrestia, restano perciò metri 555 eguali a mille botti».

Il consiglio delibera «di attenersi strettamente al progetto della costruzione della parrocchia senza apportarvi novità di sorta».

Il 7 novembre 1894, l’ingegnere Parisi invia la seguente lettera al consiglio comunale:

«Casamicciola 7 Novembre 1894. L’ossatura della Sagrestia ed alloggio del parroco nella costruzione della nuova Chiesa

Parrocchiale, preveduta in progetto con la base, cassa di legname larice rosso, ed i ritti e telari di legname abete di Calabria. Dalle diverse opere per le nuove costruzioni dopo il ter-remoto e dopo accurati esami in ordine ai diversi legnami per dette ossature chiuse nelle rispettive murature, si è constatato la poca resistenza unita al facile e precoce marcimento, dopo brevissimo lasso di tempo, come rilevasi dalle ossature delle baracche che vengono ri-fatte. In considerazione di quanto sopra, propongo alla Signoria Vostra che per le anzidette ossature della sagrestia ed alloggio venisse adoperato il legname di castagno, in luogo di quello di abete di Calabria, essendo la differenza tra il costo del legname castagno e quello di abete non superiore a Lire 500. Si ottiene così un’ossatura resistente, forte, di lunga durata, rispondente ad opera quale si addica per la nuova Chiesa parrocchiale.

L’Ingegner Luigi Parisi».

Il consiglio convoca l’ingegnere, «discusso lungamente e con ogni riflessione e calcolo», appro-va la proposta (Del. 10-11-1894 n° 115).

Avendo, inoltre, alcuni consiglieri proposto «che il tetto di covertura della chiesa parroc-chiale fosse di zinco e non tegole», il consiglio, il 3 marzo 1895 (Del. n° 20), «conoscendosi che l’appaltatore della costruzione della chiesa già ha commissionato le tegole e sono presso ad arrivare in questo Comune; ritenuto che tanto perché la detta covertura è stata prevista a tegole nel progetto, quanto perché questa è più monumentale di quella di zinco, per appello nominale a voti uniformi ha deliberato ritenendo detta covertura a tegole e non a zinco, non portando per questa parte alcune innovazioni al progetto dell’ Ufficio del Genio Civile». Nella stessa tornata consiliare (Del. n° 27), invece, decide di «variare in parte le dimensioni del fer-ro e la forma degli archi della Chiesa Parrocchiale». Si legge, infatti, una relazione

dell’ingegnere Parisi in cui si dichiara«che nell’esecuzione dei lavori della suddetta costruzione nell’interesse della maggiore so-

lidità e stabilità dell’opera, ha creduto utile e necessario accrescere le coppie delle colonne montanti in ferro nelle pareti perimetrali delle navate laterali e delle crociere trasversali e della cona centrale, e sostituire le putrelle a doppio Ter l’attacco trasversale alla parte alta delle colonne principali per concatenare il sistema di base della covertura della chiesa, ciò che non era previsto in progetto, ha altresì aggiunto diverse crociere diagonali in certi scompar-timenti risultati tra ritti e telai troppo larghi nell’intento di frenare stabilmente le murature.

La Rassegna d’Ischia 4/1996 19

20 La Rassegna d’Ischia 4/1996

Inoltre, nel fine di portare sempre economie all’opera stima opportuno eliminare dalle colonne delle navate centrali gli archivolti artificiali previsti fra gli spazi di dette colonne riducendoli invece ad archipiani con volta a piatta-banda; ottenen-dosi così economia, sveltezza e maggior luce nelle navate minori. Che la spesa ne-cessaria per l’aumento del ferro ascende a non oltre Lire 9.000, le quali per altro non vanno a novello peso della finanza municipale, ma si prelevano dalle economie avute nello sgombro non effettuato del materiale di rifiuto preveduto in progetto e non eseguito per la ubicazione della chiesa, nonché quella degli archi piani sugli archi a volte artificiali».

Il consigliere Giosafatte Morgera sostenne che per «eccedere la spesa di Lire 9.000» vi era bisogno d’un progetto e che non fosse competenza del consiglio deliberare in propo-sito. Il consigliere Leonardo Monti, membro anche lui della commissione di sorveglianza dei lavori, dichiarò che nel corso d’un ispezione l’ingegnere del Genio Civile aveva affer-mato che «la variazione dell’armaggio inferro e la sostituzione degli archipiani a quelli a volte artificiali non la credeva solo utile, ma necessaria assolutamente alla solidità del tempio [...]», per cui il consiglio approvò la variazione. Ma il 2 maggio 1895 dovette ride-liberare e presentare un progetto di variazione (Del. n° 48).

Il 30 maggio 1895 (Del. n° 70) il consiglio discute una nota dell’ingegnere esecutore dei lavori in cui si espone che

«pel sollecito andamento dei lavori e perché si potessero portare a termine pel tempo stabilito, è dovere della direzione di far ammanire anticipatamente tutti i materiali di cui l’opera si compone. E poiché fra questi vi è quello del pavimento della chiesa preveduto di quadrelli di cemento, che per quanto egli ha inteso si vor-rebbe variare, così è necessario che si diponga in tempo l’occorrente».

Il consiglio, «Considerato che il pavimento di quadrelli di cemento in un sito fre-quentato, come la chiesa parrocchiale sarebbe un avviso assai sbagliato, perché dopo pochissimo tempo si dovrebbe provvedere al suo rimpiazzo, risultando lo stesso consumato dall’ uso e perciò conviene provvedervi; Ritenuto che un’opera secolare sarebbe quello del marmo, ma non vi si scorge convenienza per lo stato finanziario del Comune; Ritenuto che i quadrelli patinati napoletani recati fin qui e nelle chiese e nei pubblici stabilimenti hanno fatto prova e sempre superiori a quelli di cemento», per cui delibera che il pavimento si faccia di quadrelli patinati napoleta-ni, non mutando la spesa, prevista per quelli di cemento.

Nella stessa tornata (Del. n° 71) si decide di affidare all’appaltatore anche i lavori da potersi fare in economia dall’amministrazione.

I lavori da farsi e le condizioni di pagamento sono precisati nella delibera del 23 otto-bre 1895 (n° 135):

Palco per l’orchestra - Telai di ferro e lastre - Lavori di falegnameria - Covertura del campanile e croci - Apparecchi ai retré - Collocamento delle campane - Pittura - Gradi-nata all’ingresso della chiesa - Battistero - Lavori di stucco - Pavimento di quadroni del paese (Come si vede per il pavimento si è sostituito, nella stessa delibera, «la forma dei quadretti del pavimento da patinali com’erano previsti in quadroni ordinari del paese della miglior qualità ») - Nicchia principale - Numero tre altari - Formazione delle nuove campane - Assistenza -Completamento della tettoia - Trasporti di marmi - Ferri e traver-se - Scalette di marmo -Scalini - Grondaie. Ormai tutti i lavori di copertura e di muratura sono ultimati, e si procede alacramente per rifinire l’opera.

E il 30 maggio del 1896 ci fu la festa della solenne benedizione della nuova chiesa, dedicata al Cuore di Gesù e a Santa Maria Maddalena Penitente.

In una corrispondenza su La libertà Cattolica (n° 35 del 16 giugno 1896), il Servo di Dio scrive:

«[...]. Nel tremendo semestre dopo il terremoto non aveva più faccia di paese questa terra sventurata; che i suoi figli raminghi, mutilati, infermi, senza tetto, senza Chiesa, senza vie di comunicazione tra diversi punti davano la immagine della desolazione. Ed ecco che un pio Anonimo ci manda da lontani paesi la Statua del Redentore dal Cuore scoverto e, poco dopo, la Statua della Maddalena inginocchiata ai suoi Piedi in atto di accesa preghiera.

30 maggio 1896SolenneBenedizinedella nuovaChiesa

La Rassegna d’Ischia 4/1996 21

Quel gruppo fu l’augurio e il pegno che Casamicciola risorgerebbe. Ri-sorgerebbe come risorse Lazzaro alle preghiere di Maddalena. E l’ultimo del testé decorso maggio Casamicciola affermò solennemente la sua ri-surrezione pigliando possesso del nuovo, vasto, bellissimo tempio bene-detto nella chiusura del Mese mariano nella Domenica della SS. Trinità».

Sarà forse stato quest’articolo a creare, per quanto riguarda la data, una confusione tra il 30 e il 31 maggio 1896, come giorno dell’inaugurazione della nuova chiesa parrocchiale.

Il signor Buonocunto, come abbiamo visto all’inizio, parla del sabato 30 maggio, alludendo a «quella prima funzione della entrata dei Santi nella nuova Chiesa Parrocchiale» ed il 30 maggio è anche la data che si legge sulla lapide della facciata della chiesa.

E probabile che il parroco si riferisca ad una funzione più solenne svol-tasi la «Domenica della SS. Trinità», nell’ultimo giorno di maggio.

Giovanni Castagna

De’ Rimedi Naturali

che sono nell’Isola

di Pithecusa, oggi detta

Ischia

Libri due di

Giulio Iasolino

Filosofo e Medico in Napoli

Ristampadella seconda edizione(Napoli, 1689)

Inserto n. 6

Gli inserti 1,2,3,4,5sono stati pubblicatinei nn. 6 e 7/1995 e 1/2/3 -1996della Rassegna d’Ischia

Statue del Sacro Cuore e di S. Maria Maddalena spedite da Venezia rispettivamente il 6 maezo 1884 e il 31 luglio 1884 al parroco Morgera da un pio Anonimo (ex re Francesco II di Borbobe)

22 La Rassegna d’Ischia 4/1996

L’opera di Giulio Iasolino

“De’ Rimedi Naturali”

si può leggere

nel suo insieme,

sempre in formato .pdf,

riportato

alla fine

della pagina generale 1996:

iasolino.pdf

La Rassegna d’Ischia 4/1996 23

In lingua turca, ischia significa “a sinistra”. Poiché per i naviganti anche non turchi che im-bocchino il golfo di Napoli l’isola si trova a mano manca, la concordanza tra vocabolario turco e topografia campana potrebbe spiegare l’origine del nome. Invece non è cosi: in merito, gli stu-diosi continuano ad accapigliarsi dottamente. Il nome Ischia compare per la prima volta nel IX secolo; forse corruzione, sostengono alcuni, del-la parola insula in issla e poi iscla. Altri propen-dono per Ischra, isola nera; altri, infine, abbrac-ciano la tesi ottomana. Di certo si sa che i Greci la chiamarono Pithekoussai, isola delle scimmie (o dei vasi di creta, se si propende per l’etimo pithoi); gli Etruschi, Arime; i Romani, Aenaria e più tardi insula major. Ma c’è chi, incurante di filologia e topografia, la ribattezza ubbiden-do alle proprie sensazioni soggettive. Heinrich Ibsen, ad esempio, che vi soggiornò mentre era intento a scrivere Peer Cynt, la chiama l’isola di Adamo ed Eva con riferimento alle bibliche de-lizie del Paradiso terrestre prima della nota tra-sgressione.

Questo luogo di delizie, assieme alle isole con-sorelle di Precida e di Vivara e al bacino Geolo-gico dei Campi Flegrei di cui fa parte, nacque tu-multuosamente dal fuoco trenta milioni di anni fa in seguito agli sconvolgimenti della crosta ter-restre provocati dal magma profondo che cerca-va una via d’uscita. Ma a differenza di Precida e della minuscola Vivara, che da millenni cono-scono la pace dei sensi, Ischia rimane adagiata su una vera e propria fornace alla quale vanno addebitati spiacevoli fenomeni tellurici del non lontano passato quali bradisismi e scuotimenti,

ma alla quale è dovuta anche la ricchezza delle sorgenti termali che ne fanno una delle più rino-mate stazioni di cura d’Europa.

È poi a dir poco bizzarra l’ipotesi che il nome attuale derivi da Ischra che, come si è detto, si-gnifica isola nera. Qui, se si eccettui l’umore di chi inavvertitamente abbia infilato il piede in una fumarola, di nero c’è ben poco, essendo il verde il colore predominante; colore conferito dal denso manto vegetale che copre i quaranta-sei chilometri quadrati di superficie dell’isola, ma pure dal “corpo” stesso che la forma: il tufo trachitico detto appunto verde. La vegetazione: nel 1854, il giardiniere di corte Giovanni Gusso-ne elencò ben 962 specie di piante presenti sull’i-sola; tanto rigoglio lo si può osservare dall’alto dei rilievi montani: dai 787 metri dell’Epomeo soprattutto, dove l’inquietante consapevolezza di trovarsi in un territorio adagiato sul fuoco si stempera alla vista di un mare verde di rassicu-rante dolcezza; dalle vaste pinete di Ischia Porto e di Castiglione ai boschi di castagni dei pendii dei monti; dai rinomati vigneti collinari alla fol-ta macchia mediterranea che copre le zone non messe a coltura. Isola verde, dunque, e isola ter-male.

È del 1558 il primo trattato organico sulle pro-prietà medicamentose delle sorgenti ischitane: Dei rimedi naturali che sono nell’isola di Pithe-cusa, hoggi detta Ischia, del medico calabrese Giulio Iasolino, una messa a punto di tutto ciò che da Strabone in poi si era scritto e detto sui benefici effetti di quei fanghi e di quelle acque ribollenti scaturiti dalle viscere della terra. Ai quali accorrevano le donne sterili e gli “uomi-ni consumati”, chi abbisognava di “confortare lo stomaco” e chi di frantumare ed espellere i calcoli, trarre giovamento per le ossa dolenti,

Ringraziamo la Direzione del periodico che ci ha permesso la pubblicazione di una sintesi dei due servizi

Ischia

paradiso verde

Rassegna Stampa

Su Bell’Italia(Editoriale Giorgio Mondadori - nn. 120/aprile e 121 /maggio 1996

due servizi sull’isola d’Ischia con una ampiadocumentazione fotografica e testo

di Samy Fayad

24 La Rassegna d’Ischia 4/1996

“sanare la rogna” ed eccitare l’appetito. E la lista continuava, rischiando di degenerare in un panegirico tipo elisir-panacea del dottor Dulcamara. La scien-za, oggi, ha stabilito le affezioni per le quali i fanghi e le acque dell’isola sono indicati: reuma-tismi, artriti e artrosi, postumi di lesioni ossee, malanni mu-scolari, malattie del ricambio e dell’apparato respiratorio, affe-zioni di orecchio, naso e gola e patologie ginecologiche. Con ac-que in gran parte radioattive e la cui temperatura varia dai 15 agli 86 gradi, ottanta tra impianti e stabilimenti termali disseminati nei comuni di Ischia, Casamic-ciola, Lacco Ameno, Forio, Ser-rara Fontana e Barano, offrono sollievo ai malanni.

Termalismo e turismo bal-neare sono dunque alla base dell’odierna economia ischita-na, un tempo costituita dalla pesca e dall’agricoltura con pre-valenza della produzione vini-cola. Grazie a questa riconver-sione, dal secondo dopoguerra

i modesti insediamenti urbani hanno conosciuto un vertigi-noso sviluppo edilizio, naturale conseguenza della legge della domanda e dell’offerta. Si spie-ga così che nei sei comuni in cui è amministrativamente divisa l’isola si contino oggi circa tre-cento alberghi, molti dotati di impianti termali propri, e oltre dodicimila alloggi privati. Una congestione abitativa che serve appena a soddisfare gli annuali tre milioni e passa di presenze. Anche a Ischia, fatto singolare data l’esiguità del territorio, vi sono un Nord e un Sud intesi in senso geografico, antropolo-gico e sociale. Se si traccia sul-la carta una linea ideale che da occidente a oriente colleghi Fo-rio a Ponte, sopra questa riga, il Nord, si trova la zona dell’isola più densamente popolata e con gli insediamenti costieri mag-giormente frequentati dai flussi turistici. Al di sotto della linea, gli insediamenti sono collinari (Barano, Serrara Fontana), il li-torale più frastagliato e in certa

misura impervio e alla vegeta-zione delle piane e dei pendii del Nord, boschi e pinete, oppone la diffusa macchia mediterranea.

A Nord, il comune di Ischia, articolato nelle frazioni Porto e Ponte, è quello dotato del più importante punto di attracco per motonavi, aliscafi, traghetti, natanti da turismo e pescherec-ci. Inconsueto punto di attracco circolare costituito dalle fauci di un ex vulcano a pelo d’acqua. Un tempo lago, cessò di esser-lo nel 1854 quando, per volere di Ferdinando II di Borbone, venne aperto al mare col dupli-ce scopo di porre fine ai miasmi che offendevano l’olfatto della famiglia reale allorché villeggia-va in un’altura sovrastante e di dotare l’isola di un porto natu-rale per l’imbarco dei prodotti agricoli.

Ischia Porto è, come si suol dire, il cuore pulsante dell’isola, il più animato e, nei mesi esti-vi, frenetico insediamento, dove turismo e termalismo raggiun-gono la maggiore densità. Basti-

Ischia Ponte - Costruzioni tipiche dell’architettura ischitana

La Rassegna d’Ischia 4/1996 25

no le cifre: 81 alberghi, 22 tra aziende e impianti termali, 16 ritrovi, 50 ristoranti oltre quelli degli esercizi alberghieri, quattro campeggi, su una superficie di otto chilometri quadrati. Meno convulsa la frazione Ponte, quartiere storico, nobilitato dalla presenza del castello aragonese, il connotato non naturale più vistoso dell’isola, che nel passato fu per un lungo periodo il nu-cleo amministrativo e religioso di Ischia nonché punto di riferimento culturale di prim’ordine grazie al cenacolo artistico di Vittoria Colonna, castellana illuminata e grande poetessa del Ri-nascimento.

Quarantanni fa, Casamicciola diventò ufficial-mente Casamicciola Terme. Ed a ragione, che il suo territorio di poco meno di sei chilometri quadrati di superficie è in assoluto il più ricco di fanghi e di acque termali. A Casamicciola, nel XVII secolo, nacque il concetto di “cura” legato a quello di “soggiorno”, cioè alla necessità di ap-prontare strutture ricettive per chi vi accorreva cercandovi la salute. Non meno dotata di Ischia Porto, la cittadina dispone di 24 aziende e im-pianti per l’utilizzo della ricchezza che sgorga dal sottosuolo.

Se Casamicciola detiene il primato delle acque sorgive e, purtroppo, anche dei terremoti che nel secolo scorso la devastarono (“Fare una Ca-samicciola” sta alla pari con “Fare un quarantot-to”), Lacco Ameno vanta il diritto di primogeni-tura. Sul suo territorio, infatti, sorgeva Pitecusa, l’insediamento che i Greci fondarono e abitaro-no e da dove partirono per fondare Cuma sulla terraferma.

Dopo tanto parlare di acqua, ecco un posto dove il vino la fa da padrone: è Forio, sul cui territorio allignano i più famosi vitigni dell’isola e dove è attiva la più antica azienda vinicola di Ischia, la D’Ambra. Effetto del buon vino o altro che sia, Forio è considerato l’angolo più “tran-quillo” dell’isola e, come tale, meta prediletta di pittori, artisti, intellettuali e di chiunque cerchi la quiete e la schiettezza degli antichi borghi. Ibsen soggiornò a Casamicciola, ma non è az-zardato supporre che proprio a Forio egli abbia pensato ad Adamo ed Eva e alle delizie del Para-diso terrestre.

In poco meno di sette chilometri quadrati è racchiuso il territorio di Serrara Fontana che, assieme al confinante comune di Barano, occu-pa il versante in prevalenza collinare e montano di Ischia. È il versante meno aggredito dalle folle estive, ma non perciò il meno noto e suggestivo dell’isola; quello, però, che, in alternativa al pen-

dolarismo ondeggiante tra spiaggia e discoteca, si offre a chi ami convivere con la natura, prati-care gente spontanea e genuina e immergersi in un habitat che sembra emerso dai tempi in cui nascevano le fiabe: un microcosmo contadino tenace custode di usanze ataviche, poco o niente intaccato dalla dicotomia tra uomo e ambiente.

Alle ondulazioni collinari e ai rilievi montani del versante meridionale di Ischia corrisponde un litorale aspro, roccioso e frastagliato, acces-sibile solo dal mare se si eccettui la spiaggia dei Maronti, splendido arenile che con i suoi circa due chilometri di estensione è il più lungo dell’i-sola e che, come gemma incastonata in un dia-dema, esibisce il minuscolo villaggio e l’isolotto di Sant’Angelo.

Isolotto presepiale: come tale appare grazie all’addensamento delle sue casette ingentilite da una irreale fantasia cromatica, alla piazzetta af-facciata sul mare e alle viuzze a ragnatela che sot-traggono lo spazio strettamente necessario per il passaggio di chi vi si inoltri. A forma di cono alto poco più di cento metri, raggiungerne la sommi-tà porta alla vista di una delle più straordinarie scene che sia dato di ammirare nell’isola: come in un gigantesco pannello, si stagliano in rilievo il monte Epomeo, villaggi, contrade, dirupi, ca-lanchi e la verde roccia tufacea. Incombono sul-la spiaggia dei Maronti e sembra che stiano per rotolare a mare. La visione ipnotica dura appena pochi istanti: soccorre la fresca brezza marina a ricordare che si tratta solo di un’illusione ottica.

Samy Fayad

Spiaggia dei Maronti Sullo sfondo il promontorio di S. Angelo

26 La Rassegna d’Ischia 4/1996

di Alina Adamczyk Aiello

Dal 6 al 14 aprile e. a., presso il Palazzo dell’Orologio a Ischia Ponte, è stata organizzata una piccola ma preziosa mostra sui PESCATORI dell’isola, grazie alla testata Il Golfo, alle Associazioni Ischia Tradizio-ni, Foto di Gruppo, La Ghironda, alla Galleria di Stampe Antiche ed al Comune d’Ischia.

La mostra è stata organizzata con un duplice intento: come promo-zione culturale nei riguardi del turista forestiero o straniero e come omaggio alla tradizione e alla civiltà del lavoro dei pescatori d’Ischia.

Nessun aspetto del tema “I pescatori” è stato trascurato. Grosso modo si possono distinguere quattro sezioni:

1. Documenti che nel passato definivano i diritti e i privilegi dei pe-scatori d’Ischia: i privilegi aragonesi del XV secolo, i provvedimenti dei sovrani del Regno delle Due Sicilie, le vicende delle tonnare etc.

2. Il materiale iconografico composto di cartoline d’epoca rappre-sentanti vari momenti della pesca, spiagge, imbarcazioni, tipi di uomi-ni del mare nei vestiti dalla foggia caratteristica, cartoline come espres-sione pubblica della testimonianza di lavoro sul mare, ma composto anche e soprattutto da fotografie private dei pescatori recuperate nelle famiglie e negli archivi privati dei cittadini.

3. Attrezzi da pesca - per lo più quelli ormai in disuso, sostituiti con attrezzature più moderne. Questa sezione della mostra ha offerto la vista di reti e nasse, arpioni, ami, lampade, àncore, remi. Il mondo del-la pesca si è così schiuso per un attimo in una moltitudine di termini antichi e nostrani, tanto familiari ai veri pescatori, tanto cari ai loro figli e nipoti, tanto esotici a chi si accinge a guardare quel mondo più da vicino, con la positiva curiosità e rispettoso intento di capire meglio. La tofa, il lanzaturo, il maruffo, la coffa opalangaro, la pulparella, l’uacchio. E poi le reti: la sciabica, tonnara, spadara, tartanella, cian-ciolo, saccoleva, lampara. Ognuno di questi termini gronda di fatica e di consapevolezza, su ognuna di queste parole si può instaurare una lunga dissertazione - come è fatta, a che serve, chi la usa, chi la inventò o introdusse nella pesca isolana.

A questa sezione della mostra appartengono anche i modelli di bar-che da pesca eseguiti con maestria da Luciano Di Meglio che nel mo-dellismo isolano più di una volta si è messo in luce per la perfezione del suo lavoro.

Mostra

Ischia Ponte(Palazzo dell’Orologio)

IPescatori

Lacco Ameno - Pescatori (sullo sfondo il Fungo)

La Rassegna d’Ischia 4/1996 27

4. Opere pittoriche di artisti iso-lani che nella pesca e nei pesca-tori trovarono l’ispirazione peri loro quadri, e di artisti stranieri che nel loro passaggio per Ischia si soffermarono anch’essi su quel tema biblico e odierno allo stesso tempo.

Non sono mancati accenni ro-mantici disseminati lungo il per-corso della mostra che in modo discreto e lieve completavano il discorso: la citazione di un brano dell’universalmente conosciuto romanzo “Il vecchio e il mare” di Hemingay, il testo di una canzone dedicata al mare da Roberto Mu-ralo, qualche poesia. La mostra ha avuto un grandissimo succes-so sia fra gli ospiti, assai nume-rosi, sia fra gli abitanti di Ischia, anche se per motivi diversi.

Se vogliamo pensare a miglio-rare la qualità dei servizi turisti-

ci offerti ai visitatori dell’isola, mostre come I Pescatori sono un contributo intelligente e in-dovinato. Il turista attuale cerca di arricchire le esperienze vacan-ziere anche con un minimo di condimento culturale e, se lo tro-va già pronto e preparato, tanto meglio. Valorizzare le tradizioni dell’onesto lavoro, sottolineare l’individualità della Cultura iso-lana, mettere in evidenza l’irri-petibilità di questo luogo ricco di tradizioni, di storia, di umanità, contrapporre la solennità del rap-porto uomo - natura alla fretta e alla superficialità dei rapporti in-terpersonali prevalenti nei com-portamenti umani di ogni giorno, ecco la chiave del successo per il “prodotto” culturale offerto coma una attrattiva in più.

Per la gente dell’Isola d’Ischia il discorso è quasi totalmente emotivo. Anche gli organizzatori

e collaboratori hanno agito con amore, nonché con una esempla-re competenza ed accuratezza: Massimo Ielasi, Luciano Di Me-glio, Salvatore Basile, Gaetano Di Meglio, Rino Lauro e qualcun altro ancora, tutti hanno affron-tato lo sforzo di assemblare nel modo migliore la rilevante quan-tità di cose che valeva la pena di far vedere. Le oltre trecento foto-grafie sono state una vera gioia e commozione per tanti dei nostri concittadini. Un valore storico e documentario si sovrapponeva all’emozione di riconoscere fra i personaggi ritratti i volti familia-ri. I vecchi di oggi si sono ricono-sciuti bambini sulle barche a vela di ieri, tanti anziani si sono rivisti baldi, magri e belli sulle spiagge coperte di reti da pesca. Chi ha ri-cordato il parente ormai da tempo scomparso, chi ha riconosciuto lo zio pescatore da anni in pensione,

28 La Rassegna d’Ischia 4/1996

chi il nonno, chi ha rimpianto la bellezza di uno scorcio di spiaggia oggi dominio di altri passatempi.

Subito si è avuta l’eco della viva partecipazione alla mostra: molti visitatori sono tornati per una se-conda volta in compagnia, molti hanno portato i loro piccoli tesori conservati nei cassetti, le foto-grafie testimoni della loro attivi-tà peschereccia, delle tradizioni familiari, della vita vera di ieri, offrendo agli organizzatori del-la mostra un ulteriore materiale “per una seconda mostra” o “per una mostra stabile”.

Ascolti chi ha le orecchie per sentire.

A tutti i visitatori delle mostra è stato offerto in omaggio il libretto Il sogno di un Pescatore, scritti e speranze di Domenico Di Meglio N’Driana, amorevolmente com-pilato dai nipoti Di Meglio.

Abbiamo a Ischia il Museo del lavoro contadino, avremo il Mu-seo Archeologico; e il Museo del Mare?

Alina Adamczyk Aiello

Un antico mestiere delle popolazioni isolane

La pescagione

Questo mestiere è attestato sull’Isola fin dalla preistoria, grazie essen-zialmente a particolari reperti archeologici (ami di rame, àncore di pietra a forma trapezoidale con tre buchi, chiummarelli di pietra e di terracotta dell’Età del Bronzo).

Non mancano leggi che nel periodo greco esoneravano i pescatori dal pagamento delle tasse, mentre non sfugge durante il periodo altomedieva-le il vassallaggio sulla pesca, che si estendeva persino sulle acque: spesso spiagge e coste marine risultano «appadronate».

Alcuni documenti forniscono notizie per farci comprendere quanto ampi possano essere i diritti sulle acque territoriali dell’Isola: diritti pas-sati nelle mani dei comes, degli abbati, degli ecclesiastici, e di altri a titolo di imposta diretta o di prestazione reale o personale, come si esprime il Capasso; vi sono, per esempio delle acque che costituiscono un «ius no-strum publicum» del duca «aeque qui pertinet ex iure nostri publici1».

Nel documento dell’8 maggio 1036, tra le tante, figura anche una do-nazione di «pescagione», che il conte Marino fa al monastero di monte Cementara «omnem piscationem vobis exinde offerimus et firmamus», ne stabilisce anche i confini «ha parte septentrionis plagias maris no-stri», che ci conducono nelle acque antistanti la costa di Monte di Vico «at vicum2».

Come pure Sergio, duca di Napoli, assegna al monastero dei santi Se-verino e Sossio la facoltà di pescare nel lago Patria, nella metà «nostra ex partibus militie»; e al monastero dei santi Sergio e Bacco di pescare dovunque nel mare «de totis pertinentiis ipsius nostre civitatis3».

«Publicanea» e «dationes de parte publica» sono definite le prestazioni dovute per la pesca da un monastero sulle reti e i navigli adoperati dai

1 B. Capasso: Mon. Neapol. Ducatus, historiam pertinentia, Napoli 1866, HI dipl. duc. 11, 34-8; 27 aprile 1053; III dipl. duc. 3, 8-10; 18 luglio 949.2 B. Capasso, op. cit.: rogito del conte Marino a favore di Pietro abbate del mo-nastero di monte Cementara (Lacco Ameno).3 B. Capasso, op. cit. III 13,34-38.

La Rassegna d’Ischia 4/1996 29

tare, in piena regola, un peso op-primente sul modo con cui si esige l’esazione delle prestazioni giorna-liere e stagionali sulle reti, sul navi-glio, sugli spazi di mare. Si deduce solo che ciurme di poveri pescatori affondano reti in un mare rigurgi-tante di ogni specie di pesci «maris piscibus» (cefali, triglie, scorfani, cernie, rombi, aguglie, alici, scom-bri, palamite, fracaglie5, crostacei, molluschi, ricci di mare ecc.) che vengono a deliziare le tavole dei co-mes, dei monasteri, come al tempo degli imperatori romani6.

Umili pescatori che, non avendo altro rifugio di sopravvivenza, si sentono strettamente obbligati al servizio di questo o quel padrone sia conte, sia abbate, sia chi (molto più tardi) è riuscito a guadagnarsi un poco di spazio sulla spiaggia o a mare, cui si associano altri per una «parte» del pescato, mentre al «padrone» ne spettano tre: per l’imbarcazione, per le reti, per la propria prestazione.

Vi sono villaggi di pescatori di dimensioni ridottissime, tipo quel-lo «sancti hangeli alloquio», iso-latissimo, dove la gente di mare mena una vita grama da non poter disporre né di attrezzi né di barca propria e vivono della facile pesca con le nasse. Nel formare l’equi-paggio, prima dell’alba, si raccolgo-no bussando di porta in porta per mettere insieme almeno una ciur-5 U fravaglie: pesce piccolissimo della famiglia del rotondo, che tende a scom-parire dalle acque dell’Isola; fino agli anni quaranta abbondava; oggi è molto ricercato.6 Prosper Montagné, nel Grand Li-vre, della cucina del 1800 dice che Heliogabalus, famoso imperatore ro-mano di Antiochia, mai avrebbe man-giato pesce vicino al mare, ma quando ne era lontano ordinava abbondante pesce e pretendeva di esserne servi-to a tavola nonostante la distanza dei luoghi marini. Il Montagne racconta ancora che Domiziano, imperatore romano, fratello di Tito e figlio di Ve-spasiano marito di Domizia Longina, l’ultimo dei dodici Cesari, avrebbe radunato in assemblea il senato, nel mezzo della notte, per chiedere come si sarebbe potuto cucinare un magnifi-co pesce rombo che era stato mandato dall’Isola d’Ischia, un’isola vulcanica dell’Italia.

«colligantes» e dai «companiones», ai quali il medesimo monastero con-sente l’esercizio della pesca, con una forma di associazione o di subconces-sione4. E in questo documento troviamo un elenco anche più vario, dove non manca una citazione di prestazioni di natura militare: «responsaticas et salutes, angarias et terraticas quamque scaballicationes et cum anga-riis et servitiis».

Dalle scarse fonti appare impossibile stabilire quando e come si sia for-mato questo apparato burocratico altomedievale, il quale viene a eserci-4 G. Cassandro, Storia di Napoli, p. 355, note 90 e 93.

30 La Rassegna d’Ischia 4/1996

ma di sei marinai per la pesca con la «sciavica», di due o di quattro per tirare la «tartanella». Da secoli e secoli si trasmettono fedelmente il mestiere, i luoghi più pescosi con esatto orientamento su determi-nati punti della costa, la profondi-tà del mare, il periodo stagionale dell’accoppiamento, le «traiate», l’ora e il momento propizio per ca-lare le reti.

Per effettuare determinate pe-sche si scrutano le correnti sotto-marine a mezzo della «calomma» o «calummélla»: un filo sotteso nel fondo da un piccolo peso, il quale si inclina a destra o a sinistra secondo il verso della corrente.

I momenti più salienti per «mol-lar» la rete sono: a) al primo chia-ror dell’alba, detto il vuolo dell’a-ralo; b) sull’imbrunire, tra il fosfo-reggiare del mare e l’apparire della prima stella, perché è allora che il pesce si mette in movimento.

La tartanella è una rete a strasci-co con sacco, con due «vanne» (= lati), prolungate con cordami di fi-bre di piante acquatiche detti «re-sti», per la pesca a una imbarcazio-ne, che ha preso nome dalla stessa rete «tartana».

La sciabica (dall’arabo sabaka = rete) è costituita da un lungo sac-co a maglie strette e due lati detti «mappe» lunghi circa 120 metri, con svariati cambiamenti di maglie che vanno ingrandendosi fino alla «stazza» a cui s’attaccano i «resti»; generalmente la sciabica si tira sul-la spiaggia.

La lampara, che dà anche il nome alla barca, fin dall’inizio è legata all’uso di pescare con una fonte luminosa. In assenza di documen-ti si può senz’altro convenire che essa abbia origini lontanissime, al-lorquando la luce era ricavata me-diante accensioni di fuochi (rami resinosi come il pino, rinvigoriti con canne, grasso di maiale, stop-pa incatramata) sistemati prima su sporgenze di coste e su scogli, poi su galleggianti di sughero «pàina»; i pesci, attratti e incantati davanti a questa primordiale «lampa», veni-vano infilzati con il 4anzatu.ro», la fiocina.

Più tardi il pescatore riesce a si-stemare il fuoco sulla poppa e a bi-lanciarlo su di una griglia di ferro a circa un metro fuori dalla murata dell’imbarcazione; per questo tipo di pesca allestisce una nuova rete, quasi a tutto sacco con due bracci o lati, a maglie strette, infittita di «cuortece», galleggianti di sughe-ro7 (7); a un dato segnale, la rete viene stesa rapidamente a mare da un’altra barca, che cinge la massa dei pesci scioccati dalla lampara, ferma su di una barca più piccola.

Questo sistema di pesca, nato appunto con l’uso della «lampa», diviene comune specialmente nel golfo di Napoli prima ancora dell’impiego del piombo, quando

7 Le cuortece - dal latino cortex, corticis - corteccia - si ricavano dalla quercia da sughero: le piccole forme sono rotonde con buco al centro per il passaggio della fune; le più grandi hanno forma quadrata, smussate agli spigoli; una molto grande a forma ret-tangolare è fissata sulla bocca del pez-zate ed è chiamata paina.

per verticalizzare la rete sul fondo del mare i «chiummarelli» sono ancora di terracotta.

In verità, il mare non ha mai ar-ricchito quest’umile gente che si contenta di una pagnotta in con-nubbio con i sapori del mare.

Il pescato viene in gran parte bilanciato a «ruòtoli8» per i con-sumatori, sulla stessa spiaggia, il resto smaltito in giro dal più giova-ne e più abile della ciurma che ven-de gridando: «vulìte pésce, vulìte pésce». In genere il pesce di piccolo taglio, «a mazzàmma», è riserva-to alla ciurma, che lo porta a casa, dove, a zuppa o arrostito, accom-pagnato con pane e cipolle crude, viene consumato assieme ai fami-liari. Immagini di estrema povertà giunte fino agli anni trenta!

Qualche novità poteva apparire sulla tavola soltanto nelle giornate di piena, quando la spartizione del

8 Il ruòtolo dall’arabo ratl equivale-va a 33 once, unità del cantaro antico (Kg. 900 circa).

La Rassegna d’Ischia 4/1996 31

pesce risultava abbondante. Allora i figli dei pescatori con la «chia-nella» sotto il braccio, sciamavano per la campagna a barattare il pe-sce fresco con i contadini amici per manciate di legumi, di frutta fresca o secca a seconda delle stagioni, di una fiaschetta di vino e di verdura. Era quello un giorno diverso dagli altri nel lungo e incerto domani.

Per quanto riguarda la cura degli attrezzi di mare, nulla di diverso sembra potersi dire di quanto avve-niva pochi anni fa. Compiti essen-ziali impegnano i componenti della ciurma: spandere sulle «pérteche» il «pezzàle» (= il sacco) e i lati della rete per farli asciugare; pulire, rat-toppare, guarnire i tramagli: un la-voro che si svolge sulla spiaggia pu-lita; ugualmente, quasi ogni mese, eseguono la «tenta»: le reti asciutte e rattoppate, accollate sulle spal-le dei marinari, che camminano a piccoli passi, vengono trasportate dalla spiaggia a un luogo comune, dove già ribolle un’enorme caldaia, poggiata su di un grande tripode, piena di acqua mescolata di «zappi-no» (tannino, conciante e coloran-te ricavato dalla scorza di quercia e da foglie secche) e panneggiandole, pian piano da un lato le calano den-tro il calderone, dall’altro le tirano fumanti, tinteggiate marrone.

Al termine della settimana, all’imbrunire, come a un appunta-mento, i componenti della ciurma varcano l’uno dopo l’altro l’ingres-so del deposito o grotta9, che costi-tuisce l’unico punto di incontro, e, in mezzo all’ammasso degli attrezzi marini puzzanti per i residui di pe-sce essiccato, si adattano attorno a un tavolo. In questo umile scena-rio, appena illuminato da qualche lucerna, il capobarca tira a memo-ria «i conti» sul pescato della setti-mana, poi ammucchia tanti gruzzo-

9 D. Buchner Niola, L’Isola d’Ischia: studio geografico, Napoli 1965, p. 15: “Scavata nel tufo di Monte Vico, alla base della costa SE di esso, è una grotta artificiale di epoca romana sul cui fon-do, a m. 3,50 sotto il livello del mare, e sulle cui pareti si notano ancora oggi i segni del piccone e tracce di intonaco”. P. Monti, op. cit., p. 199, fig. 92: “ruderi del ninfeo romano, alle falde di Monte di Vico”.

letti di lire sopra il tavolo, tutti delle medesima portata, per quanti sono i componenti dell’equipaggio.

All’interno di queste riunioni, cariche di sincerità, tutto va liscio: se capita, si sottrae anche la parte per il compagno ammalato, e, pun-tualmente, si beve alla «cannata», come a un rito, per innaffiare col vino le fave arrostite e rosicchiate durante la soluzione dei conti.

Immancabilmente, dividendo e distribuendo a ciascuno la sua parte, è sempre presente il santo patrono del luogo, cui va riservata la «quadra» dell’intera parte e con-servata in un «carusiello» murato.

Con commozione possiamo rive-dere e leggere gli «ex voto», dove spiccano scene di barche capovolte, naufraghi sospinti dalle onde, con la figura del santo che compare in alto del quadro, in un angolo di cie-lo sereno, al di sopra della tempe-sta10.

Valide attestazioni sono: la pro-cessione delle «Rogationes» che si teneva alla fine di aprile nella festi-vità di S. Marco, durante la quale si recitavano la Litanie Minori a favo-re della campagna; la benedizione della tonnara, officiata dal padre predicatore durante la novena di S. Restituta, che dall’alto del ponte del «caporàis» benediceva in lungo e in largo il vasto impianto delle reti11.

I più anziani narrano tristi e lut-tuosi momenti: il rombo del mare all’urto dello «scirocco chiare» o della «tramontana tròle»; il suo-

10 P. Monti: Gli ex voto di Santa Restituta, Napoli 1984.11 I tonnaruoli, oltre alla minuta paga mensile, godevano i seguenti privile-gi: uno scombro su mille; le interio-ra (uova e merciulella = il ventre) del tonno e del pescespada; l’annuale cat-tura del pesceluna, ritenuto allora di poco pregio; ogni Volamarina costava dieci soldi; con i cordami, formati con fibre di piante acquatiche detti rièste, si confezionavano scope e scupilli. Sol-tanto dopo il 1935 e non prima, il pa-drone sig. De Luca di Napoli mise in uso l’offerta del tonno per la festa di S. Restituta, da prelevarlo tra i più grandi durante la prima mattanza di maggio. Era l’unica occasione in cui il tonno si vendeva in paese.

no di campane per impetrare aiu-to divino, allontanare lo sterminio dei vigneti o l’affondamento di pescherecci: quegli inusuali rintoc-chi, accompagnati dalla preghiera, davano coraggio ai contadini di-spersi, ai marinai sballottolati sulle fragili imbarcazioni; il sacerdote sulla porta della chiesa benediceva con la reliquia il «tempo» perché, deviando la «trubbèja» (venti ma-rini con lampi e tuoni), preservas-se dalla distruzione il raccolto; sul piano storico esiste anche la prova di qualche improvvisa processione con la statua della santa patrona12, portata in fretta sulla spiaggia, qua-si a chetare le onde tempestose ai naufraghi alla deriva. Allo sfortu-nato scomparso i funerali vengono fatti dalla pietà commossa dei su-perstiti.

Chi potrebbe documentare me-glio la penuria al susseguirsi delle «scussure» di maggio che inter-rompono la pesca notturna degli sgombri e delle palamiti, o delle «burriane» che intralciano l’accu-mulo progressivo delle provviste (un proverbio agostano dice: «chi auste nnè vèstute - viérne n’cuolle c’è venute») o con le Pleiadi di otto-bre, quando «le grosse ponentate» costringono i pescatori a tirare a secco le proprie imbarcazioni: «pé muòrte tròuete a puòrte»?

Questi segni premunitoli hanno continuamente travagliato la vita di questo piccolo mondo dal volto solcato di salsedine, che tace, rin-chiuso nella morsa della propria monotonia senza spiragli di riscos-sa e di calore umano.

Pietro Monti

(da Ischia altomedievale - Ricer-che storico-archeologiche - Ischia 1991).

12 P. Polito: Lacco Ameno - Il Paese, la Protettrice, il Folklore, Napoli 1963, p. 246.

32 La Rassegna d’Ischia 4/1996

Fatti e personaggi della storia di ieri e di oggi

Un personaggio della Repubblica Partenopea

Eleonora Pimentel de Fonseca

di Vincenzo Cuomo

Sin dagli inizi la Repubbli-ca ebbe tra i più strenui ed ap-passionati difensori anche una donna di grande talento e cul-tura che di certo, se fosse nata a Parigi, sarebbe stata senz’altro l’animatrice di qualche celebre salotto culturale: Eleonora Pi-mentel de Fonseca, discenden-te di un’antica e nobile famiglia lusitana. A Napoli dovette però scontrarsi con una realtà pro-fondamente diversa, anche se ciò mai fece da freno al suo en-tusiasmo. Riuscì infatti sempre a tenersi in contatto con la mi-noranza culturale ed intellettua-le della capitale.

Eleonora nacque il 13 gen-naio 1752 a Roma, ove la fami-glia, proveniente dal Portogallo, si era trasferita. Adolescente, a causa di cattivi rapporti venuti-si a creare tra il paese d’origine e la Santa Sede, fu costretta ad emigrare a Napoli con genitori e parenti tutti. Già da piccola mostrò una naturale inclinazio-ne per lo studio, che in breve la condusse ad accostarsi alla let-teratura, con un particolare ri-ferimento alla poesia. Composti alcuni versi, che lasciavano tra-sparire non poco ingegno, il suo nome iniziò così ad essere noto negli ambienti dotti della città sino a raggiungere fama e noto-rietà. Alcuni sonetti furono poi elogiati anche dal grande mae-stro di quei tempi: il Metastasio,

Nella foto: Eleonora Pimentel Fonseca in una incisione tratta dal Pantheon dei Marttiti (Torino, 1852).

a cui la giovane aveva inviato co-pia. A questo periodo risalgono pure alcuni scritti tesi ad esal-tare le glorie dei Borboni. Versi composti in occasione di episo-di rilevanti nella vita dei Reali. Successivamente, nelle mani dei nemici, diverranno motivo di calunnia nell’intento di smi-nuire la reale portata del suo impegno e del suo sentimento a favore della rivoluzione. Costo-ro, accuratamente però omisero di tener conto che questo poeta-re non era affatto cortigianeria e non racchiudeva gretto conser-vatorismo, in quanto costituiva

solo un comporre di maniera, caro alla sensibilità dei tempi. La comprova si ebbe allorquan-do donna Eleonora, dando pro-va di possedere anche un note-vole spirito civile ed amore per la libertà, seppe operare una scelta coraggiosa e matura.

All’età di venticinque anni sposò un nobile napoletano uf-ficiale dell’esercito. In seguito a questo matrimonio divenne madre di un bambino, che le morì tuttavia ancor prima di giungere al secondo anno di vita. La drammatica scomparsa le suggerì allora la composizio-

La Rassegna d’Ischia 4/1996 33

ne di cinque sonetti, dai quali traspare tutto il dolore per la perdita della creatura. Questi versi, così pregnanti e significa-tivi e con una ispirazione tanto sentita e struggente, non a torto vengono considerati la sua mi-gliore produzione poetica. Una crescita intellettuale, dovuta ad uno studio mai trascurato, la condusse in seguito a coltiva-re pure problemi scientifici, di diritto ed economici. Il risulta-to fu la stesura di alcuni saggi, da cui chiaramente traspare un orientamento moderno ed illu-ministico a difesa dei diritti dei cittadini e dello stato.

Con l’arrivo a Napoli di quelle idee rivoluzionarie provenienti da Parigi, divenne una fervente sostenitrice del nuovo credo.

Nel 1795 rimase vedova, non per questo però tralasciò gli im-pegni politici, tanto è vero che nel ‘98 venne sinanche arresta-ta. La libertà potè riacquistarla solo nel gennaio dell’anno suc-cessivo, allorquando i Lazzari in rivolta e padroni della città rimisero in libertà tutti i carce-rati, colpevoli di reati sia politici che comuni.

Con la nascita della Repubbli-ca Partenopea non ebbe tuttavia posti di comando, preferendo svolgere una sottile e radicale opera di propaganda attraverso i fogli di un giornale: il Monito-re Napoletano, che scrisse quasi completamente da sola e che co-stituì un punto di riferimento e ritrovo per tutti i rivoluzionari. Nasceva in tal modo il mito di una giornalista destinato a va-licare i secoli e restare un pun-to fermo nella storia del libero pensiero del nostro Meridione.

Il primo numero del Moni-tore apparve il 2 febbraio del 1799. Il periodico, che si pubbli-cava mediamente due volte alla settimana, oltre a non tralascia-re occasione per magnificare le

34 La Rassegna d’Ischia 4/1996

conquiste di libertà ed ugua-glianza ottenute, conteneva inoltre chiari e precisi resoconti sull’attività politica e di gover-no. Ovviamente, era possibile trovarvi anche speranze, pro-getti ed aspirazioni. Ancora va detto che gli argomenti sempre erano trattati con estrema chia-rezza, nonché con onestà e sem-plicità. Grande rilievo veniva poi dato a fatti, gesti o episodi da cui trasparivano generosità, abnegazione e nobiltà di senti-mento. Pertanto, molto verrà lodato l’ordine di espulsione del Faypoult, dato al commissario dal generale Championnet, in seguito all’estrema avidità mo-strata da quest’ultimo nell’ope-rare le requisizioni ordinate dal Direttorio. Dai fogli del gior-nale, nel corso dei pochi mesi durante i quali sarà edito, l’in-trepida ed instancabile redat-trice, condusse altresì diverse campagne tese a sensibilizzare la pubblica opinione a favore della Repubblica ed a spingere gli incerti sulla strada della con-versione. Molto poi si prodigò pure per accostare la religione a questo nuovo modo di intende-re la vita e la politica, lanciando accorati appelli al clero affinché concedesse aiuto, disponibilità e comprensione. In queste pagi-ne è poi possibile trovarvi anche severe condanne per quella vio-

Sopra: La morte di Eleonora Pimentel, terracotta di Tito Angelini. Napoli, Museo di San Martino.

Sotto: La Pimentel condotta al patibolo, di Giuseppe Boschetto. Napoli, Amministrazione Provinciale.

La Rassegna d’Ischia 4/1996 35

lenza a cui i Lazzari quotidiana-mente si abbandonavano e così pure vi è biasimo per le spietate e severe repressioni a cui tanto spesso i soldati del Direttorio si lasciavano andare, soprattutto nelle campagne a danno di bri-ganti o semplici simpatizzanti del passato regime. Molti degli appelli della de Fonseca erano però destinati a cadere nel vuo-to, in quanto non va dimentica-to che quelli che più avrebbero avuto bisogno di leggere i suoi scritti erano completamente analfabeti e quindi non in grado di recepire ed acquisire il mes-saggio loro rivolto. In conclu-sione, il Monitore Napoletano serve in special modo per poter avere un’immagine completa di quel periodo, con i suoi entu-

Napoli - Palazzo Reale

siasmi, valori ed idee. In esso è possibile leggere veramente tutto, tra cui la semplicità della visione politica dei nuovi gover-nanti, nonché la loro poca ade-renza alla drammatica realtà sociale in cui erano immersi.

Il Monitore non smise la sua attività neanche allorquando fu chiaro che la repubblica aveva i giorni contati. Probabilmente la de Fonseca sperava ancora di poter modificare una realtà che diveniva sempre più dram-matica. Fedele a questo prin-cipio continuò così a stampare anche quando le Bande della Santa Fede erano oramai a soli pochi chilometri dalla capitale. L’ultimo numero porta infatti la data dell’otto giugno. L’intera raccolta ne contiene comples-

sivamente trentacinque. Con la capitolazione e la Restaura-zione, i Sanfedisti, ai quali per l’occasione si affiancarono pure i Lazzari, si scatenarono nella caccia al “giacobino”. Furono così compiuti eccidi degni della più orribile barbarie. I membri del governo e coloro che erano riusciti a scampare al massa-cro, dopo una farsa di processo, furono poi tutti condotti al pa-tibolo, ove seppero morire con fierezza, fermezza e dignità. Ele-onora Pimentel de Fonseca fu ovviamente tra costoro. Le ven-ne anche imposta l’umiliazione dell’impiccagione, in quanto il Tribunale, non volendo ricono-scerle la nobiltà della nascita, le negò il diritto di morire di scure.

Vincenzo Cuomo

36 La Rassegna d’Ischia 4/1996

La Rassegna d’Ischia 4/1996 37

38 La Rassegna d’Ischia 4/1996

Torquato Tassonapoletano forestiero a Ferrara (1565 -1579)

di Ferruccio Ferrucci

Barbara d’Austria, figlia dell’Imperatore Ferdinando I, incontra a Trento anche la futu-ra cognata Principessa Lucrezia ed assieme al Cardinale Luigi raggiungono il territorio ferra-rese ancora impaludato e con il bucintoro ducale percorrono il fiume Primaro, che non è altro che il ramo più meridionale ed in quel tempo uno dei maggiori rami del fiume Po, che volgeva a sinistra per gettarsi in Adriatico. Presso la sua larga curva il Pri-maro formava una vastissima ansa, chiusa a ponente dall’isola Belvedere. Su questa si ergeva l’antico castello dei Marchesi di Toscana e della Contessa Matil-de di Canossa, ultima castellana (+ 1115) (2)

C’era quindi molta festa e pa-recchia gente ricca, la quale si faceva ancor più bella davanti alla massa di popolani entusia-sti e festanti prima di tornare a lamentarsi delle proprie mise-rie. Le giornate di feste e tornei si sarebbero protratte per qual-che settimana, anche se fune-state dalla morte di Papa Paolo IV.

Il giovane Tasso fu accolto nel Castello di San Michele, il bellis-simo castello tutto rosso matto-ne, seduto come in una poltrona

Al di là di ogni nobile tito-lo meritato dal divino poeta di Sorrento, Torquato Tasso può essere ricordato, nell’eco delle celebrazioni del quarto cente-nario della morte (1595/1995), come il giovane napoletano giunto a Ferrara nel 1565, giusto in tempo per conoscere i fasti e le delizie d’una Corte non meno corrotta delle altre in una Italia appena uscita dagli splendori ri-nascimentali e pur sempre gra-vata dalla soggezione allo stra-niero e sempre più divisa negli staterelli da tutti conosciuti.

Non ancora adolescente, Tor-quato Tasso viene avviato alla poesia dallo stesso suo padre, Bernardo, poeta discreto ed amabile, bergamasco d’origine, provenendo dalla nobile fami-glia de’ Tasso di Bergamo. Di poesia Torquato sarà permeato per tutta la vita, quasi trasfor-mato egli stesso in un verso che per sua consapevole virtù ed in-domabile volontà non avrà mai altro superiore.

Il padre è segretario del Prin-cipe di Salerno Ferrante Sanse-verino e con questi è impegnato in pace e in guerra ed anche in esilio, quando, dopo la solleva-zione di Napoli del 1547, il prin-cipe è costretto ad abbandonare la sua città e viene seguito dal fedele segretario. È il tempo in cui Torquato, quattro anni non ancora compiuti, lasciata per sempre la Badia della Trinità di Cava dei Tirreni, da lui frequen-tata con eccezionale profitto, segue madre e sorella a Napo-li ed attende, assieme a quelle, che si ripristini ogni condizione della serena e florida vita fami-liare d’un tempo. Dato che le

auspicate condizioni tardano ad avverarsi, Torquato, una volta terminati gli studi classici, viene fatto viaggiare fino a Bergamo, dove conosce i nobili parenti, e a Bologna e Padova, dove segue i corsi superiori nello studio delle leggi e delle scienze, facendosi apprezzare anche in pubblici colloqui.

Il padre, che è già passato alla Corte dei Gonzaga di Mantova, lo sprona a cercare un impiego dignitoso presso una delle tan-te Corti principesche esistenti in Italia, e l’occasione la crea lo stesso Torquato, dedicando nel 1561 al Cardinale Luigi d’E-ste di Ferrara, fratello del Duca Alfonso II d’Este, il suo primo poema, il “Rinaldo” che oltre a metterlo in fama di poeta, viene a schiudergli le porte della Corte Estense.

Il Principe Luigi d’Este è l’ulti-mo dei figli di Ercole II e di Re-nata di Francia, nato nel 1538 e vestito a forza da prete a quin-dici anni. Ciò nondimeno egli si sentì protervamente libero di partecipare ai facili piaceri, alle musiche e alle danze e special-mente agli amori e alle dissolu-tezze abituali della Corte.

Luigi d’Este conta perciò ven-tisette anni quando arriva Tor-quato Tasso, che ne ha ventuno; e c’è festa in Castello e dapper-tutto da Trento a Ferrara per l’arrivo della Principesssa Bar-bara d’Austria, promessa sposa del Duca Alfonso II, per il quale le va incontro a Trento proprio lui, Luigi d’Este, elclto suo mal-grado Cardinale quattro anni prima (1).

1520), figlio di Ercole I ed Eleonora d’Aragona. Ebbe una figlia naturale, Elisabetta, andata sposa al principe Giberto Pio. Ci fu poi, e per un certo tempo contemporaneamente, Ippolito II (1509-1572), figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia. Ebbe anche lui una figlia naturale, Renata, andata sposa al Principe Lodovico Pico della Miran-dola. Per Luigi d’Este non ci furono fi-gli, forse perché sterile come il fratello Duca Alfonso II.

2) Castello e fabbricati attigui e par-co, tutto fu abbattuto ai primi del ‘600 dai cardinali Legati che assunsero il go-verno di Ferrara e dell’intera provincia, rimasta sempre dominio della Chiesa ed infine governata direttamente da questa dopo la cacciata degli Estensi (gennaio 1598).

1) Luigi d’Este è il terzo Cardinale di Casa d’Este, dopo Ippolito I (1479-

La Rassegna d’Ischia 4/1996 39

sul dosso più alto, a settentrione dell’abitato di Ferrara, là dove un tempo scorreva il ramo prin-cipale del Po, rimasto succes-sivamente come fossa piena di sozzure e via via interrata.

In Castello Torquato Tasso fece subito colpo per i suoi modi gentili e quel linguaggio corret-to che lo distingueva facilmente tra gli altri, quasi tutti esempi ti-pici della cortigianeria del tem-po. A sua disposizione furono messe alcune dame graziose, le quali servivano principalmente ai sollazzi del Cardinale Luigi senza peraltro appagarlo suffi-cientemente, dal momento che egli preferiva uscire di notte, no-nostante le rampogne frequenti del fratello Duca; e si portava dietro il suo “segretario”.

Codesto è il nuovo mondo di Torquato Tasso, il mite fanciul-lo della Badia di Cava dei Tirre-ni e figlio devoto della Chiesa: abitudini, comunque, già co-nosciute a Padova e a Venezia, dove ricorda lui d’aver faticato per non seguire i patrizi del luo-go in poco inclite avventure.

In Castello Torquato Tasso fece presto ad entrare nelle gra-zie delle sorelle del Duca Alfon-so, Madama Lucrezia e Mada-ma Leonora, donne molto belle e molto colte: erano ambedue piene di grazia e di vivacità e la loro età, trenta per Leonora e trentuno per Lucrezia, non mu-tava affatto la loro avvenenza.

La Principessa Leonora aveva già letto il Rinaldo ed altre leg-giadre composizioni del giovane Tasso e ne parlò subito con lui, compiacendosene con incredi-bile amabilità.

Torquato ne rimase lette-ralmente incantato: davanti a quella bellezza in carne ed ossa, riecheggiarono in tutto se stesso i numerosi versi amorosi com-posti da giovinetto in Bologna, Padova ed altrove.Tutto l’am-

biente d’altra parte non pote-va dirsi diverso da quel mondo passionale fino allora soltanto immaginato dal giovane poeta ed ora repentinamente concre-tizzato nella idealità piena delle due principesse, una più bella dell’altra, ed anche negli incon-tri con le dame e damigelle ad-dette ai loro servigi (3).

Non c’era donna da cui il gio-vane Tasso non riuscisse ad ave-re “novella forza e splendore” e ben poche furono insensibili ai suoi sospiri. In loro onore egli non faceva che comporre deli-ziosi madrigali, che era solito declamare nelle Accademie ar-cadiche già nascenti in quegli anni.

Generalmente erano le dame di Leonora d’Este a fargli mon-tare la testa, come la bellissi-ma Laura Correggiara “la bella pargoletta - ch’ancor non sente Amore...” ma lo eccitavano par-ticolarmente le sorelle Bendi-dio, delle quali Lucrezia gli fu “assegnata” non appena messo piede in Castello. Ad essa egli consacrò una serie di rime amo-rose e per la di lei sorella Anna, famosa per un vezzoso neo, compose ben otto madrigali.

Altre donne, onorale dei suoi versi più che dei suoi amplessi, furono una certa Ginevra e la famosa Molzio, che vari anni dopo la fuga del Tasso da Ferra-ra fu obbligata, per le sue abitu-dini troppo licenziose a ritirarsi

a Modena, dove riuscì senza fa-tica ad accogliere attorno a se il fiore dei letterati e degli artisti.

In Francia, alla Corte di Carlo IX, dove seguì il Cardinale Lu-igi d’Este, che ne era legittimo cugino, Torquato Tasso non fu insensibile al fascino femminile e la prediletta questa volta fu la “dama nobilissima dagli occhi azzurri” Livia Pica oriunda fer-rarese. Mentre egli componeva e declamava copiose rime e pro-fondeva con esse l’erompente passione dei suoi sensi, il Cardi-nale Luigi si consolava a modo suo con quelle stesse donne, che non e detto non accettassero an-che gli amori di altri cavalieri.

Attraverso la filosofia e la po-esia, la musica, le danze e qua-le che sia strumento gentile di esaltante spiritualità, venne a generarsi nel giovane e già fa-moso poeta di Sorrento la più sconsolante sensazione della vanità delle sue fatiche per non dire anche delle sue speranze. Per quanto amato ed elogiato ovunque si trovasse ospite ricer-cato e riverito d’ogni Corte allo-ra esistente, Torquato Tasso ri-mase il “napoletano forestiero” grande poeta, anzi il più grande di quelli viventi e, come egli di-ceva e sentiva intimamente con riferimento ai sommi del pas-salo, certamente degno di stare vicino ad Omero e a Virgilio.

Fu così che il problema uma-no, quello relativo ai suoi na-turali sentimenti per un amore terreno solido e vero, non fat-to di soli sensi e pur lungi dal-le esaltazioni dell’allegoria e dell’ingannevole felicità, non gli fu mai presentato né da amici né da estimatori, presi com’erano tutti dal canto sublime dell’im-maginifico, dell’inesistente. Ed egli che non aveva trovato acque più splendide del vetro per rispecchiarvisi come nuovo Narciso si lasciò ritrarre in ogni

3) La bellezza delle sorelle del Duca Alfonso Il d’Este era ben nota al tempo del Tasso, e questi potè sperimentarla di persona almeno per Leonora e Lu-crezia, presenti a Ferrara, mentre la più anziana, Anna, trentaduenne, risiedeva in Francia, avendo sposato nel 1548 il Duca di Guisa Francesco di Lorena. E certo che i trentuno anni di Lucrezia non spaventarono il Principe di Urbi-no, Francesco Maria della Rovere, di quindici anni più giovane: la vide tan-to bella e dotata di così gran senno che se ne invaghì perdutamente e la volle come sua sposa.

40 La Rassegna d’Ischia 4/1996

tempo ed in ogni luogo, sicu-ramente compiaciuto come fu l’anno prima della morte, anzi qualche mese prima e precisa-mente nel dicembre 1564, quan-do dal Monastero di Sant’Ono-frio sul Gianicolo, dove l’aveva sistemato, sfibralo e seriamente ammalato dopo tanto peregri-nare e tanto pensare, il Cardi-nale Cinzio Aldobrandini, volle scendere al suo mare e salire al Monastero di Montecassino per l’ultimo saluto agli amici Bene-dettini di quella Badia.

Nel refettorio gli fu allora mo-strata la grandissima tela dei fratelli da Ponte di Bassano con il suo ritratto nella massa dei personaggi storici riprodotti al naturale (4).

Ed il Tasso, ancor più soffe-rente per quante pozioni d’erbe medicamentose andava insen-satamente ingerendo, e soprat-tutto depresso e pieno di timori, riuscì a raccogliere, come il Tor-quato del grande e pregevole dipinto, la luce del Signore per tornare tranquillo a Sant’Ono-frio e ricevere il viatico dei mori-bondi con la papale benedizione del Pontefice, da lui tanto desi-derala e ritenuta di gran lunga

superiore alla corona di alloro che gli era stala promessa per quello stesso anno in Campidoglio. L’infelice poeta era finalmente felice e riuscì a fare intendere quanto aveva nell’animo: “... era, quella be-nedizione, era il carro, sopra il quale egli sperava di girare coronato non di alloro come poeta in Campidoglio, ma di gloria come beato nel Cielo”.

Ferruccio Ferrucci

Bibliografia

- L. Tosti: Storia della Badia di Montecassino, 1889, voi. IV.- G. B. Manso: Vita del Tasso, Venezia 1621, voi. I.- G. B. Pigna: Historia dei Principi d’Este, Atti Deput. di Studi Patri, Volume IX.- A. Solerti: Torquato Tasso, 1895, vv. II-IH.- A. Solerti: La Corte Estense, 1891.- A. Frizzi: Storia di Ferrara, voi. IV.- P. Serassi: Vita di TorquatoTasso, Firenze 1831, a cura di C. Guasti.

Torquato Tasso nasce a Sorrento l’11 marzo 1544 da Bernardo Tasso della nobile famiglia dei Tasso di Berga-mo (Borgo Pignolo) e dalla nobile Porzia de’ Rossi, nata a Napoli da genitori toscani, figlia di Giacomo de’ Rossi di Pistoia e di Lucrezia de’ Garabacorti già Signori di Pisa e poi Marchesi di Celenza. Da Bernardo Tasso e da Porzia de’ Rossi nacque prima una bimba, Cornelia, e poi un pri-mo Torquato, nato morto e quindi il Torquato divenuto poeta. La nobile Porzia morì nel 1556 e Bernardo nel 1575 (sepolto in Mantova, Chiesa di S. Egidio). Torquato Tasso spirò il 25 aprile 1995. Da ricordare la favola boscherec-cia, pubblicata anche in francese, arabo e turco ed in tutta Europa.

4) Era l’immenso quadro, metri nove di larghezza per poco più di sei metri di altezza, iniziato da Francesco da Ponte e finito dal fratello Leandro, ambedue figli del più famoso Jacopo da Ponte e tutti e tre più noti con cognome Bassa-no.

Il dipinto copriva tutto il muro in fondo al refettorio e rappresentava la moltiplicazione dei pani operata da Gesù e la propagazione della regola di San Benedetto sotto il simbolo del pane. A destra, tra i discepoli di Gesù, Leandro da Ponte aveva dipinto l’effigie di Torquato Tasso così come la ricorda-va da un ritratto eseguito dal vero dal padre al tempo degli studi delle leggi in Padova del giovane intellettuale. La grande composizione, ricordala ancor oggi da alcuni Benedettini di quel sacro monastero, andò distrutta, come tutta la Badia, sotto i bombardamenti del febbraio