BloGlobal Weekly N°16/2014

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www.bloglobal.net N°16, 6-19 LUGLIO 2014 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanel di BloGlobal-Osservatorio di Politica Internazionale (6-19 luglio 2014)

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N°16, 6-19 LUGLIO 2014

ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 20 luglio 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra

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Weekly Report N°16/2014 (6-19 luglio 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net

Photo credits: Ilia Yefimovich; Olamikan Gbemiga/AP; Reuters; AFP; The Mirror; The Telegraph; Foxnews;

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FOCUS

AMERICA LATINA ↴

I BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) hanno tradotto in fatti ciò che ave-

vano auspicato nel febbraio scorso a margine del summit del G-20 di Sidney. Alla luce

delle crisi valutarie innescate dalle procedure di tapering della Federal Reserve sta-

tunitense, le cinque potenze economiche in ascesa hanno ufficialmente inau-

gurato in occasione del vertice di Fortaleza in Brasile (15-17 luglio) la New

Development Bank, ovvero una banca gestita dai Paesi emergenti alternativa al

Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, di cui l’Occidente (soprattutto

gli USA) è il primo azionista.

La NDB sarà operativa solo dal 2016, avrà sede a Shangai, in Cina, e avrà il compito

di sostenere economicamente progetti di sviluppo nel contesto delle relazioni Sud-

Sud. I BRICS hanno scelto di adottare il dollaro come valuta della banca. Essa

avrà un capitale iniziale intorno ai 50 miliardi di dollari che dovrebbe essere

suddiviso in parti uguali tra i cinque Stati fondatori. La NDB sarà affiancata da un

fondo di garanzia per scongiurare nuove crisi valutarie tra i BRICS. Tale fondo sarà

composto da 100 miliardi di dollari gestiti dalle banche centrali nazionali con la pos-

sibilità di essere trasferiti da un Paese all’altro; sarà poi competenza delle stesse

banche centrali firmare accordi di aiuti per lo sviluppo. A differenza della NDB, i Cin-

que contribuiranno al fondo su basi differenti: 41 miliardi saranno garantiti dalla Cina,

solo 5 dal Sud Africa e India, Brasile, Russia forniranno 18 miliardi a testa.

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A seguito del vertice dei BRICS, vi è stato un importante incontro tra il Presidente

cinese Xi Jinping e gli omologhi membri della Comunità degli Stati latinoa-

mericani e caraibici (CELAC). Per l’occasione, è stato varato il Forum della Coope-

razione tra Pechino e la CELAC, già ufficialmente approvato nel summit del gennaio

scorso dell’organizzazione americana tenutosi a Cuba. Il Presidente del Venezuela,

Nicolas Maduro, ha affermato che i vertici di questa settimana sono stati «storici e

segnano il nuovo tempo del secolo XXI». La Cina è d’altro canto molto attenta a

quanto accade nel subcontinente americano, dove ha recentemente incrementato la

propria presenza economica. Testimonianze ne sono i fondi devoluti al Nicaragua per

la costruzione di un canale che taglierà l’America Centrale e che si proporrà

come alternativo a quello di Panama.

Anche il Presidente russo, Vladimir Putin, ha colto la possibilità offerta dal vertice di

Fortaleza per rafforzare i rapporti tra Mosca e l’America Latina. La Russia ha

stretto un accordo con l’Argentina per l’estrazione di idrocarburi nella regione di Vaca

Muerta; ha risolto il 90% del vecchio debito che L’Avana aveva con l’Unione Sovietica

in cambio della riapertura di una base militare russa sull’isola; ha promesso nuovi

finanziamenti al Venezuela di Maduro; ha raggiunto accordi sull’energia con la Bolivia

di Evo Morales. Putin ha manifestato anche un aperto sostegno al processo di dialogo

tra le forze marxiste rivoluzionarie della Colombia, le FARC, e il rieletto Presidente

colombiano, Juan Manuel Santos.

Sono infatti ripresi in questa settimana a L’Avana i colloqui tra le due parti

per porre fine ad un conflitto ultradecennale. Santos pare fortemente intenzionato a

portare a termine il dialogo, sottoponendo poi l’eventuale accordo ad un referendum

nazionale. L’opinione pubblica colombiana ripone molta speranza nel buon esito del

processo: da maggio a luglio, la fiducia è aumentata di oltre venti punti percentuali,

dal 42% al 64%. Tuttavia, un grosso ostacolo è rappresentato dalla mancata cessa-

zione delle ostilità: le operazioni per sconfiggere le FARC proseguono, radicalizzando

la fazione meno disposta a siglare un compromesso.

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IRAQ ↴

Nonostante i numerosi appelli della comunità internazionale per una ricomposizione

della crisi irachena, la situazione nel Paese continua a degenerare. L’avanzata dello

Stato Islamico (IS) guidato dal Califfo Abu Bakr al-Baghdadi sembra non avere

ostacoli e le conquiste degli islamici diventano ogni giorno che passa il segnale dell’ef-

fettiva potenza islamista, dato che le truppe governative non riescono a riconquistare

i territori perduti.

Nei giorni scorsi l’esercito iracheno ha provato a riprendere l’importante snodo pe-

trolifero di Tikrit, in mano all’IS dal giugno scorso. In un primo tempo è sembrato

che le truppe governative fossero riuscite a riconquistare la città, ma nella serata di

martedì 15 luglio il profilo Twitter della Divisione del Saladino dello Stato Islamico ha

rivelato che l’attacco dell’esercito iracheno era fallito e che le stesse fossero state

respinte. La debacle di Tikrit mostra chiaramente come sia tutt’altro che scontato

riprendere il possesso dei territori conquistati dall’IS che nel frattempo ha aperto

molti più fronti di battaglia di quanti l’esercito iracheno sia effettivamente capace di

affrontate. I fatti di Tikrit rivelano, inoltre, come l’esercito iracheno abbia assoluta

necessità di cambiare strategia: da mesi i 300 consiglieri militari americani dislocati

in Iraq invocano, inascoltati, i leader iracheni di non puntare subito alla riconquista

delle città ma di puntare dapprima al controllo delle principali arterie stradali, per poi

avanzare.

I consigli americani sono stati fatti propri invece dalle truppe dell’IS: nella giornata

di sabato 20 luglio i militanti islamici hanno preso il possesso di uno strate-

gico ponte che collega la città di Muqdadiyah, dove vi è un importante quartier

generale dell’esercito, alle città di Hamrin e Khanaqin, in modo da tagliare i riforni-

menti delle truppe irachene. Nelle stesse ore, l'intera comunità cristiana di Mosul, la

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seconda città dell'Iraq, caduta nelle mani dei jihadisti, è stata costretta a fuggire,

dopo che i miliziani avevano intimato loro di convertirsi all'Islam o di pagare la jiziya,

una sorta di obolo da pagare dalla minoranza religiosa “infedele”. I ribelli hanno prima

attaccato le chiese cristiane e poi, dopo averle conquistate e chiuse, vi hanno issato

la loro bandiera.

Sul fronte politico interno la situazione non è meno critica, poiché i partiti politici

iracheni sembrano arrivati ad un punto di stallo per l’elezione del nuovo Presi-

dente. Secondo un accordo di power-sharing approvato nel 2003, sotto mediazione

americana, le tre più importanti cariche dello Stato devono essere divise equamente

tra i principali gruppi etnici iracheni: il Presidente deve essere un curdo, il Primo

Ministro sciita e lo Speaker della camere sunnita. Mentre l’elezione dello speaker

sunnita è avvenuta in poco tempo – è stato eletto il giurista sunnita Salim al-Jabouri

– più difficile appare la scelta del nuovo Presidente. Proprio questa carica è stata fino

al 19 luglio scorso vacante a causa della prolungata assenza di Jalal Talabani dal

dicembre 2012, ovvero da quando il Presidente in carica a causa di un forte attacco

cardiaco venne portato in Germania per curarsi. I curdi sono divisi sulla scelta: alcuni

preferirebbero l’ex Primo Ministro del Kurdistan iracheno Barham Salih, altri l’attuale

Governatore di Kirkuk Najmadin Karim. Secondo diversi analisti, i tentennamenti dei

curdi derivano principalmente dal fatto che con l’avanzata dello Stato Islamico, e il

conseguente disgregamento dello Stato iracheno, i curdi vedono per la prima volta la

possibilità di costituire un proprio Stato autonomo.

Infatti gli unici in grado di tener testa all’avanzata dello Stato Islamico sono stati i

peshmerga curdi, che hanno più volte manifestato esplicitamente la loro riprova-

zione per la debolezza dell’esercito iracheno e l’incapacità del governo centrale. La

soluzione migliore per puntellare nuovamente l’unità dello Stato iracheno potrebbe

essere quella di eleggere Massoud Barzani, Presidente della regione autonoma del

Kurdistan iracheno e principale figura politica curda, alla presidenza dell’Iraq: in

realtà, proprio Barzani, in queste difficili giornate politiche, ha affermato di essere

pronto ad indire un referendum per l’indipendenza del Kurdistan, in virtù an-

che dei recenti sostegni politici ricevuti da Israele e Turchia. Dal canto suo il Premier

Nouri al-Maliki ha avvertito i leader degli Stati arabi delle conseguenze a cascata che

un eventuale smembramento dell’Iraq potrebbe avere sui loro Paesi.

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ISRAELE ↴

Dopo 12 giorni di raid aerei e di bombardamenti della marina israeliana, l’Opera-

zione Protective Edge nella Striscia di Gaza assume una nuova fisionomia in virtù

dell’inizio dell’offensiva terrestre, la prima dal ritiro unilaterale di Tel Aviv dal territorio

nel 2005.

L’operazione è stata autorizzata nella serata del 17 luglio – intorno alle 22 italiane –

durante una riunione ormai ordinaria del Gabinetto per la sicurezza israeliana; questa

è stata poi formalmente annunciata in conferenza stampa dal Premier Benjamin Ne-

tanyahu e dal Ministro della Difesa Moshe Ya’alon. L’offensiva è partita in simul-

tanea dai confini a nord, al centro e a sud di Gaza, dove da settimane pattuglia-

vano le frontiere circa 65mila unità di Tsahal (l’esercito israeliano). L'azione, seguita

alla tregua umanitaria di 5 ore del 17 luglio scorso, è stata accompagnata da un’in-

tensificazione dei bombardamenti su alcune zone della Striscia, tra cui la stessa Gaza

City. Come annunciato dal portavoce dell’IDF Peter Lerner, l’obiettivo dell’operazione

è «la distruzione dei tunnel che consentono ai terroristi di infiltrarsi in Israele e por-

tare attacchi». Lo stesso Premier israeliano ha più volte giustificato la decisione con

«il rifiuto da parte di Hamas di accettare il piano egiziano per un cessate il fuoco

e con il proseguimento dei lanci di razzi contro Israele». Netanyahu e Ya’alon hanno

poi precisato che l’operazione di terra non avrà un termine temporale definito e che

essa sarà ulteriormente ampliata e continuerà fino a quando «Israele non si conside-

rerà sicura».

Oltre alle pressioni interne all’esecutivo da parte delle ali radicali come Liebermann e

Bennett, a convincere Netanyahu a lanciare l’offensiva terrestre sarebbe stata la sco-

perta di un tentativo di infiltrazione di un commando palestinese in Israele

attraverso uno dei tunnel controllati da Hamas che collegano la Striscia di Gaza

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con lo Stato Ebraico. Già il 13 ottobre 2013 ad Ein HaShelosha, nei pressi della fron-

tiera con Gaza all'altezza della città palestinese di Dir al-Balaj era stato scoperto un

tunnel costruito «per attività terroristiche contro civili israeliani e personale militare

dentro Israele». Un altro fattore a favore dell’intervento militare è stato anche il ri-

trovamento di venti razzi di Hamas nascosti in una scuola dell’Agenzia delle

Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) a Gaza che conferma indiret-

tamente le accuse israeliane a Hamas di usare i civili e le loro strutture come depositi

di armi sotterranei e obiettivi strategici da cui lanciare gli attacchi verso lo Stato

Ebraico. Una duplice situazione che ha convinto il governo israeliano a intervenire

anche per via terrestre e a lanciare un’offensiva mirata alla sola distruzione delle

infrastrutture e che, come ha ricordato Lerner, «non ha l’obiettivo di rovesciare il

governo di Hamas». Una condizione che ha permesso ad Israele di trovare una

sponda politica nell’Egitto di al-Sisi che, dalla deposizione di Mohammed Mursi del 3

luglio 2013, ha fatto della distruzione dei circa 800 tunnel che collegano Rafah con il

Sinai la sua priorità in termini di politica di sicurezza. Proprio Il Cairo accusa la diri-

genza islamista al governo nella Striscia di Gaza di fornire aiuti militari ai gruppi

radicali e jihadisti attivi nel Sinai.

Intanto continuano le prove di dialogo e di negoziati differenti al Cairo e a

Doha, sollecitati da Abu Mazen e con mediatori rispettivamente Egitto e Qatar, i quali

però continuano ad accusarsi reciprocamente di boicottare i tentativi di pace e di

armare o di fomentare lo scontro. Il Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ha

imputato alla dirigenza di Hamas di non aver rispettato il cessate il fuoco mentre il

Presidente al-Sisi ha auspicato che le parti mostrino “flessibilità” nella speranza di

giungere ad una tregua. La Turchia e il Qatar, principali sponsor politici ed economici

di Hamas, accusano invece Egitto e Israele di voler boicottare la tregua. Ad ogni modo

questi tentativi sembrano rimanere casi poco credibili di una soluzione negoziata della

crisi.

Sullo sfondo rimangono Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite, i quali non sem-

brano essere in grado di incidere sull’evoluzione degli eventi. Il Segretario di Stato

USA John Kerry ha chiesto al governo israeliano di condurre attacchi mirati contro

Hamas cercando di salvaguardare i civili; Bruxelles è rimasta ad una semplice

condanna ufficiale delle violenze e alla negoziazione di una tregua; infine, il Segreta-

rio Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha chiesto a Israele di fermare gli scon-

tri e di tornare al tavolo dei negoziati.

Dall'8 luglio Israele ha condotto 2.570 attacchi contro obiettivi militari e

strategici di Hamas a Gaza. Secondo l’IDF le milizie islamiste hanno lanciato

1.705 razzi verso lo Stato Ebraico su una disponibilità totale di 10.000. Dall’inizio

dell’operazione militare sono stati uccisi all’incirca 400 palestinesi e più di 2.600 sono

i feriti, mentre sul fronte israeliano si registrano tredici vittime e una cinquantina di

feriti. Si tratta del conflitto più sanguinoso in Terra Santa dall’Operazione Piombo Fuso

del 2009. Infine, secondo le cifre diffuse dalle Nazioni Unite, dall'inizio degli attacchi

a Gaza sono state distrutte 1.370 case e più di 62.000 persone sarebbero gli sfollati

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interni. Sempre le Nazioni Unite hanno lanciato un appello alla comunità internazio-

nale per continuare a fornire loro cibo, cure mediche e aiuti d’emergenza.

FONTE: ISRAELI DEFENSE FORCES

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UCRAINA ↴

L'abbattimento lo scorso 18 luglio dell'aereo civile Boeing 777 MH17 della Malay-

sia Airlines, diretto da Amsterdam a Kuala Lumpur e caduto vicino a Grabovo, nell'o-

blast di Donetsk, nell'Ucraina orientale, getta nuova benzina sul fuoco della crisi

ucraina: secondo fonti dell'intelligence americana, confermate peraltro dal giornalista

britannico ed esperto di armamenti Eliot Higgins, l'aereo sarebbe stato infatti colpito

da un missile terra-aria Buk/SA-11 di fabbricazione russa lanciato dai separatisti filo-

russi presumibilmente dalle aree circostanti a Snizhne. Restano tuttavia ancora da

chiarire non solo le dinamiche dell'incidente – resta dibattuto il ritrovamento

delle scatole nere del velivolo, nonché il luogo e le modalità di decifrazione delle

registrazioni di bordo –, ma anche i perché della distruzione del velivolo e l'esatta

entità delle armi in possesso dei ribelli. Secondo indiscrezioni fornite dal New York

Times, al di là delle forniture messe a disposizione direttamente dal Cremlino, i se-

paratisti potrebbero infatti aver sottratto tali strumenti a Mosca e averli utilizzati in

occasione dei recenti abbattimenti di un aereo di trasporto militare e di un elicottero

(a cominciare dall'aereo AN-26 impegnato in ricognizione counterterrorism), sempre

nelle aree orientali del Paese, grazie anche al know-how appreso durante l'esperienza

all'interno del settore missilistico nelle armate sovietiche/russe prima e dell'Ucraina

poi. Mentre gli osservatori dell'OSCE sono parzialmente riusciti ad accedere nell'area

del disastro, il Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-moon, nel condannare l'atto in

cui hanno perso la vita tutti e 298 i passeggeri e i membri dell'equipaggio, ha chiesto

che venga al più presto attivata un'indagine da parte delle Nazioni Unite. Anche Vla-

dimir Putin e il Cancelliere tedesco Angela Merkel si sono detti d'accordo sull'aper-

tura di un'inchiesta internazionale ed indipendente sotto l'egida dell'Organiz-

zazione Internazionale dell'Aviazione Civile (ICAO).

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Le tensioni tra il Presidente russo – a cui è stata imputata una responsabilità politica

per quanto accaduto al volo MH17 – e i Paesi occidentali erano tra l'altro tornate a

riaccendersi in seguito alla decisione di inasprire le sanzioni già poste in essere nel

corso della primavera. Il Consiglio Europeo del 16 luglio ha stabilito che entro la fine

del mese i 28 Paesi UE dovranno stilare una lista di aziende/personalità russe

ritenute responsabili della destabilizzazione ucraina e a cui comminare

nuove misure restrittive. Mentre i Ventotto dovranno sostenere egualmente le

conseguenze di questa nuova ondata di sanzioni, sono stati congelati i programmi di

aiuto della Banca Europea degli Investimenti (BEI) e della Banca Europea di Ricostru-

zione e Sviluppo (BERS) attivati in Russia. Come dichiarato dalla Merkel, a sostegno

della cui azione vi sono soprattutto i Premier olandese Rutte, quello britannico Ca-

meron e quello polacco Tusk, il contributo della Russia alla de-escalation della crisi

ucraina è ancora insufficiente e non sono stati compiuti significativi passi in avanti

nell'attuazione della richieste europee.

Più duro, ancora una volta, l'atteggiamento degli Stati Uniti, che sempre il 16

luglio hanno applicato nuove sanzioni mirate a banche e società di energia e

difesa russe. L'Executive Order 13662 del Dipartimento del Tesoro USA proibisce in-

fatti a persone americane di concedere finanziamenti a due delle maggiori società

finanziarie russe, Vnesheconombank (VEB) e Gazprombank, e a quelle energetiche,

Novatek e Rosneft, limitando l'accesso ai mercati di capitali statunitensi. Il documento

individua inoltre le otto case produttrici di armi ritenute direttamente coinvolte

nel conflitto ucraino: oltre alla Kalashnikov, produttrice dell'AK-47 e di numerosi di-

spositivi per lo più impiegati in Afghanistan e in Africa, e alla Almaz-Antey, le cui

forniture sono per lo più dirette alla Siria, sono state sanzionate anche Bazalt, Kret

radio-electronic technologies, Sozvezdie, NPO Mashinostroyenia, KBP Instrument De-

sign Bureau and Uralvagonzavod. Rosoboronexport, la più importante casa produt-

trice di armamenti, non è stata sottoposta a misure restrittive, ma già le sanzioni alle

compagnie menzionate potrebbero avere ricadute importanti sul flusso di armi diretto

in Ucraina e, in una prospettiva allargata, anche negli altri contesti di crisi e nell'in-

terscambio tra aziende russe ed europee nel comparto Difesa. Sottoposti a restrizioni,

infine, altri rappresentanti dell'establishment russo (tra cui Sergey Beseda,

alto ufficiale dei servizi segreti FBS), nonché i rappresentanti delle auto-proclamate

Repubblica Popolare di Donetsk, Aleksandr Borodai, e Repubblica Popolare di Lu-

gansk, accusati di minaccia alla sicurezza e all'integrità territoriale dell'Ucraina.

Sul campo, infine, terminato il 1° luglio il cessate il fuoco proposto da Poroshenko, il

quale si è detto disponibile ad attuare una nuova tregua, l'offensiva di Kiev si è

diretta proprio nei territori circostanti a Lugansk: annunciata la riconquista an-

che delle città di Artemivsk e Druzhkivska, i combattimenti si stanno concentrando

intorno all'aeroporto della città in questione. Secondo l'Alto Commissariato delle Na-

zioni Unite, intanto, almeno 150 mila persone avrebbero abbandonato l'est dell'U-

craina e almeno 110 mila di queste avrebbero sconfinato in Russia.

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BREVI

AFGHANISTAN, 12 LUGLIO ↴

Lo spoglio delle schede elettorali che avrebbe dovuto

decretare il vincitore delle presidenziali nei prossimi

giorni ha sollevato parecchie critiche. Era stato

inizialmente previsto che ad inizio agosto si sarebbe

insediato il nuovo Presidente, ma nuove circostanze

hanno portato al rinvio dell’ufficializzazione. Uno dei

due candidati al ballottaggio, Abdullah Abdullah, aveva

accusato di brogli lo sfidante, Ashraf Ghani,

aggiungendo di non riconoscere l’esito del conteggio quasi certamente a favore di

quest’ultimo. Abdullah aveva persino dichiarato che era pronto a formare un governo

parallelo se Ghani fosse stato eletto Presidente. È dovuto intervenire per sbloccare lo

stallo il Segretario di Stato americano, John Kerry. La prima ipotesi sul tavolo era

quella di ricontare una parte degli otto milioni di schede depositate nelle urne.

Abdullah l’ha respinta, richiedendo il riconteggio totale. Nel weekend scorso, quindi,

Kerry è riuscito ad ottenere il consenso delle due parti per un nuovo spoglio completo.

Il Segretario di Stato ha aggiunto che tale processo richiederà molte settimane con

la conseguenza che la proclamazione del vincitore sarà posticipata a data da

destinarsi. Il Presidente uscente, Hamid Karzai, e Catherine Ashton, Alto

Rappresentante dell’Unione Europea, hanno espresso sollievo per un accordo che ha

allontanato lo spettro di una crisi istituzionale. Da segnalare, comunque, che le

violenze in Afghanistan non sono ancora cessate. Il 16 luglio scorso un nuovo

attentato suicida ha colpito un mercato nella provincia di Paktika, al confine con il

Nord Waziristan pachistano, provocando ottantanove morti. Puntuale è arrivata la

condanna dell’ONU, a firma del Segretario Generale Ban Ki-moon, che ha definito

l’attacco un «atto criminale ignobile».

IRAN, 19 LUGLIO ↴

È scaduto il 20 luglio il termine ultimo per raggiungere

un accordo tra l’Iran e il Gruppo 5+1 (i cinque Paesi

membri del Consiglio di Sicurezza + la Germania) sul

dossier nucleare di Teheran. A Vienna erano da più

giorni riunite le due delegazioni ma l’accordo non è mai

davvero sembrato a portata di mano. In assenza di un

accordo, le parti hanno deciso di prolungare i negoziati sul nucleare fino al 24

novembre. Già negli ultimi mesi l’ottimismo iniziale era venuto progressivamente

meno a causa di mancati passi in avanti nelle trattative. Il Segretario di Stato

americano, John Kerry, ha ammesso nel corso dell’ultima settimana che «abbiamo

divergenze significative, un accordo in tempi brevi è improbabile». Il Ministro degli

Esteri britannico uscente, William Hague, ha sottoscritto tali parole. Il vice-Ministro

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degli Esteri della Cina, Li Baodong, ha chiesto di «dare prova di flessibilità» sia agli

iraniani che agli occidentali. Gli ha risposto il Ministro degli Esteri di Teheran,

Mohamed Javad Zarif, affermando che «la fiducia deve essere reciproca». L'Iran è

disposto a fermare per alcuni anni la produzione di uranio, a concedere l'accesso ad

osservatori internazionali alle proprie centrali, a convertire lo stesso uranio per non

essere utilizzato a fini militari, ma non è disposto a rinunciare alle centrifughe che

già possiede. Viceversa gli occidentali richiedono che il numero delle centrifughe cali

sensibilmente da oltre centomila (la Guida Suprema ha indicato l’obiettivo delle

190mila) a una decina di migliaia all’incirca. Considerata l’impasse, le due delegazioni

si sono accordate per il momento sul rinvio della data ultima per la firma dell’accordo.

La nuova deadline è dunque il 24 novembre. Nel frattempo, l’accordo di Ginevra del

novembre 2013, rispettato da Teheran, resterà in vigore. Secondo quanto affermato

dal Presidente USA Barack Obama, «l'Iran ha mantenuto le promesse sul proprio

programma nucleare negli ultimi sei mesi» e dunque le trattative proseguiranno.

LIBIA, 13 LUGLIO ↴

Non sembra conoscere sosta il caos che imperversa in

Libia alle prese dal giugno scorso con un’insurrezione

armata di milizie anti-islamiste guidate dall’ex

Generale Khalifa Haftar. Se la Cirenaica rimane il

maggiore tra i teatri di conflitto nel Paese, nelle ultime

settimane tuttavia anche la capitale Tripoli e il suo

aeroporto hanno conosciuto un’impressionante escalation di violenze. A fronteggiarsi

i gruppi “laici” di Zintan e i “filo-islamisti” di Misurata. Quest’ultimi hanno dato il via

il 13 lulio ad una serie di attacchi contro la milizia rivale che controlla l'aeroporto

internazionale da quando, nel 2011, fu rovesciato Mu’ammar Gheddafi. Al momento

tutti i voli dell’aeroporto sono stati sospesi. L’attacco, che ha provocato 6 morti e 25

feriti, è stato rivendicato dalla Cellula Operativa dei Rivoluzionari Libici, una coalizione

di milizie islamiste considerate il braccio armato degli islamisti all'interno del

Parlamento libico. Le violenze di questi giorni si inseriscono in un clima generale di

crescente tensione alimentato da un lato dall’instabilità politica-istituzionale

(incertezza sulle ultime elezioni politiche e contenstazioni del Premier Maiteg/al-

Thani) e dall’altro dalla crisi nel settore dell’industria energetica, da tempo ferma a

causa del blocco imposto dal governo ai principali terminal petroliferi ora in mano ad

alcune milizie separatiste della Cirenaica. Una situazione, questa, che ha indotto le

Nazioni Unite ad annunciare il ritiro forzato di diverse decine di funzionari della

propria missione nel Paese.

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NIGERIA, 16-19 LUGLIO ↴

Mentre le alte sfere dell’esercito nigeriano continuano

a sostenere la necessità della guerra contro Boko

Haram, gli attentati degli islamisti si susseguono in

tutto il Paese, aumentando i timori della popolazione

civile. Il 16 luglio diversi membri di Boko Haram hanno

attaccato la città di Dille, nello Stato del Borno,

uccidendo 45 persone, tra cui anche il capo villaggio e

hanno bruciato case e chiese cristiane. Nel frattempo

altre 20 persone venivano uccise a seguito di un attacco a Sabon Gari. Venerdì 18

luglio uomini armati di Boko Haram hanno attaccato la città di Damboa, nel Borno,

gettando esplosivo nelle aree residenziali e sparando indiscriminatamente sulla

popolazione, anche su coloro che si stavano arrendendo: il bilancio definitivo

dell’attacco non è ancora stato fornito. La città di Damboa era stata già attaccata lo

scorso 6 luglio, quando i militanti di Boko Haram avevano cacciato dalla città le forze

di sicurezza, che a quanto pare, da allora, avevano abbandonato la popolazione

locale. L’ultimo attacco perpetrato da Boko Haram è avvenuto proprio nella notte tra

il 19 e il 20 luglio, ai danni di una città situata a circa 80 km a nord est di Maiduguri,

capitale dell’omonimo Stato, lasciando sul terreno circa 100 morti. In questo stillicidio

continuo giunge la notizia dell’arresto di Mohammed Zakari, alto comandante di Boko

Haram, accusato di aver ucciso centinaia di persone dal 2009, tra cui numerose donne

e bambini. Nonostante ciò, nella popolazione nigeriana si fa largo la sensazione di

incapacità/impotenza da parte del governo centrale nel far fronte alla minaccia Boko

Haram e favorendo di contro una proliferazione di gruppi di autodifesa da parte delle

comunità.

REGNO UNITO, 14 LUGLIO ↴

Con l'annuncio delle dimissioni dall'incarico di Ministro

degli Esteri da parte di William Hague, che andrà ora

a ricoprire il ruolo di leader della House of Commons

rimpiazzando Andrew Lansley, il Premier britannico

David Cameron ha operato un importante rimpasto

dell'Esecutivo. Al Foreign Office andrà l'attuale

Ministro della Difesa, Philip Hammond – che in più occasioni ha

sottolineato l'opportunità di un'uscita dall'Unione Europea qualora non vengano

negoziate condizioni più favorevoli per il Regno Unito – sostituito a sua volta dal vice

Ministro alle Imprese, Michael Fallon. Michael Gove, Segretario all'Educazione e ora

Chief Whip per il coordinamento Tory per le elezioni, sarà sostituito da Nicky Morgan,

sottosegretario per le questioni femminili. Promossa anche Liz Truss, ex

sottosegretario all'Educazione, che andrà a guidare il Ministero dell'Ambiente,

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dell'Alimentazione e degli Affari Rurali al posto di Owen Paterson. Dimissionati anche

il Procuratore Generale Dominic Grieve e il Ministro per lo Sviluppo Internazionale

Alan Duncan, rispettivamente sostituiti da Jeremy Wright e Nick Boles. Il reshuffle ha

inoltre coinvolto i titolari all'Energia, della Polizia e gli affari della sicurezza interna,

oltre a quelli per la gestione dei rapporti con Galles, Nord Irlanda e Commonwealth.

Jonathan Hill, capogruppo dei Tories alla House of Lords, è stato infine designato da

Cameron quale Commissario europeo per il Regno Unito nella compagine di Jean-

Claude Juncker. Quello che è stato letto dai giornali nazionali come un “drammatico

bagno di sangue” in cui la vecchia guardia conservatrice è stata silurata per lasciar

spazio ad una nuova linea governativa, ha risposto evidentemente alla duplice

esigenza di rafforzare la posizione del governo Cameron all'interno delle Istituzioni

europee e, in particolare, quella del Partito Conservatore – accusato di un

atteggiamento troppo morbido nei confronti di Bruxelles – dopo l'affermazione di

UKIP e in previsione delle elezioni legislative nazionali del 2015, senza dimenticare le

possibili conseguenze dell'imminente referendum indipendentista della Scozia fissato

per il prossimo 18 settembre.

SIRIA, 16 LUGLIO ↴

Mentre Bashar al-Assad a seguito delle elezioni dello

scorso giugno ha prestato giuramento come Presi-

dente, avviando così il suo terzo mandato che in base

alla nuova Costituzione avrà una durata settennale, l'e-

sercito di Damasco è impegnato in un'offensiva nella

Siria centrale, in particolare intorno alla città di Mo-

rek per riconquistare i territori ancora in mano ai ribelli, e settentrionale, riprendendo

principalmente grazie al supporto fornito da Hezbollah il controllo di alcuni avamposti

intorno ad Aleppo, da dove si dispiega l'azione dell'IS (già ISIS). Sul fronte delle

opposizioni il 9 luglio Hadi al-Bahra, già capo negoziatore durante i lavori della Con-

ferenza di pace di Ginevra II e uomo politicamente sostenuto dall'Arabia Saudita, è

stato nominato nuovo capo della Coalizione Nazionale Siriana, rimpiazzando Ahmad

al-Jarba in scadenza di mandato. Dal punto di vista della diplomazia internazionale le

Nazioni Unite hanno intanto affidato al diplomatico italo-svedese Staffan De Mi-

stura, ex vice Ministro degli Esteri e già inviato in India per il caso Marò, il delicato

incarico di rappresentante speciale dell'ONU per la crisi siriana (mentre resta ancora

da vedere se assumerà anche quello per conto della Lega Araba) dopo le dimissioni

di Lakdhar Brahimi. Il 14 luglio il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha peraltro autoriz-

zato, pur senza l'approvazione del governo siriano, l'accesso di convogli umanitari nel

Paese attraverso quattro valichi: due in Turchia, uno in Iraq e uno in Giordania. Sa-

rebbero oltre 10 milioni i bisognosi di assistenza umanitaria.

Page 16: BloGlobal Weekly N°16/2014

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TUNISIA, 17 LUGLIO ↴

Quattordici soldati tunisini sono stati uccisi in un atten-

tato a Henchir Tella, nel governatorato di Kasserine,

nei monti dello Djebel ech-Chaambi, vicino al confine

con l'Algeria. L’attacco sarebbe stato condotto da un

commando armato islamista contro un checkpoint

dell'esercito. Secondo la ricostruzione fornita all'agen-

zia d'informazione TAP dal portavoce del Ministero della Difesa, Rachid Hawela, i ter-

roristi hanno portato la loro azione grazie a lanciarazzi, RPG e armi d'assalto. Una

ricostruzione confermata anche dal Generale Souheil Chemingui, responsabile delle

forze di terra tunisine. L’attentato rappresenta il più grave lutto per terrorismo nella

storia del Paese. La pericolosità dell’area era salita alla ribalta delle cronache inter-

nazionali già dall'aprile dell'anno scorso quando il governo l’aveva dichiarata una zona

ad alto rischio di infiltrazioni jihadiste. In risposta a questo atto e alla paura che nelle

montagne possano trovare rifugio gruppi islamisti più o meno vicini al terrorismo

qaedista – come le brigate di Okba ibn Nafaa, gruppo affiliato ad al-Qaeda nel Magh-

reb Islamico (AQIM), e la cellula di Kamel Ben Arbia, alias Abu Fida –, dal 28 luglio

2013 il governo di Tunisi ha approvato una serie di operazioni antiterrorismo per

cercare di contrastare il crescente peso dei fenomeni jihadisti nel Paese. Le autorità

locali, in collaborazione con quelle algerine, hanno inviato nei monti Chaambi reparti

speciali dell’esercito e dell’aviazione con l’intento di stanare e di distruggere le cellule

lì presenti ed evitare una proliferazione di questi attori nell’intera regione. Solo pochi

giorni prima (13-14 luglio) si erano riuniti a Tunisi tutti i leader del Nord Africa (ad

eccezione del Marocco) e del Sahel per discutere di sicurezza regionale e di terrori-

smo.

YEMEN, 17 LUGLIO ↴

La città di Amran è caduta nelle mani dei ribelli Houthi

lo scorso 12 luglio, dopo una battaglia di tre giorni,

che secondo la Mezzaluna Rossa avrebbe costretto

alla fuga 10.000 famiglie. I ribelli sciiti Houthi, cono-

sciuti anche come Ansar Allah, hanno attaccato il

quartier generale della 310ma Brigata Corazzata,

hanno preso fucili e pistole ed ucciso un numero imprecisato di soldati e ufficiali, tra

cui anche il comandante, secondo quanto reso noto dal Consiglio Supremo di Sicu-

rezza. Comunque i ribelli hanno lasciato che le truppe governative riprendessero le

loro posizioni ad Amran, a seguito di un accordo con il Ministro della Difesa. Alla base

dell’attuale ribellione vi sarebbe il progetto di suddivisione in senso federalista dello

Yemen, approvato in febbraio dal governo centrale e che potrebbe acuire le disugua-

Page 17: BloGlobal Weekly N°16/2014

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glianze interne al Paese. Secondo esponenti governativi, invece, i ribelli Houthi vor-

rebbero approfittare di questa suddivisione per prendere il controllo di uno dei sei

Stati in cui verrebbe suddiviso lo Yemen. Conquistando la città di Amran, che è stata

teatro di scontri sin dal mese di febbraio, i ribelli hanno compiuto un passo importante

in direzione della capitale Sana’a, portando una minaccia diretta al governo del Pre-

sidente Abd Rabbo Mansour Hadi. In seguito alla disfatta, il Presidente yemenita ha

licenziato il capo militare della regione di Amran così come quello della regione di

Hadramawt, dove vi è stata una ripresa degli attacchi di gruppi legati ad AQAP. In

aggiunta agli attacchi Houthi, nella parte occidentale del Paese, diverse tribù locali

hanno sabotato numerose pipeline con lo scopo di fare pressioni sul governo per

ottenere lavoro, terra e la liberazione di qualche parente dalle prigioni. Lo Yemen sta

attraversando una difficile transizione da circa tre anni, da quando nel 2011 l’allora

Presidente Ali Abdullah Saleh fu costretto ad abbandonare il Paese e a rifugiarsi in

Arabia Saudita a causa delle proteste popolari. Nel frattempo, il Ministro degli Esteri

Abu Bakr al-Qirbi ha accusato esplicitamente l’Iran di inviare armi agli Houthi, inter-

ferendo così negli affari interni dello Stato yemenita.

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ALTRE DAL MONDO

BAHRAIN, 7 LUGLIO ↴

Manama ha dichiarato “persona non gradita” il diplomatico statunitense Tom Malino-

wski, assistente Segretario di Stato per la democrazia, i diritti umani e il lavoro. Ma-

linowski era giunto in Bahrain il 6 luglio per una visita ufficiale di tre giorni nell’isola

con lo scopo di ravvivare il già minato Dialogo Nazionale. L’espulsione di Malinowski

è stata giustificata dal Ministero degli Esteri locale come una reazione agli incontri

tenuti dal diplomatico USA con i rappresentanti di al-Wefaq, un gruppo dell'opposi-

zione sciita che da anni contesta il regime sunnita al potere degli al-Khalifa, e con

l’attivista bahrainita per i diritti umani Nabeel Rajab.

CINA-STATI UNITI, 9 LUGLIO ↴

Si è tenuto a Pechino il sesto turno del dialogo strategico-economico Cina-Stati Uniti

e il quinto turno di consultazioni di alto livello sugli scambi culturali e di personale fra

i due Paesi. Negli incontri aperti dal Presidente cinese Xi Jinping hanno partecipato i

Segretari di Stato e del Tesoro USA John Kerry e Jacob Lew, mentre la delegazione

locale era guidata dal vice Primo Ministro Wang Yang e dal Consigliere di Stato Yang

Jiechi. Al centro dei colloqui i principali temi di tensione fra Washington e Pechino:

spionaggio informatico, tensioni nel Mar Cinese Meridionale e svalutazione competi-

tiva dello Yuan Renmimbi. Pur non avendo raggiunto grandi risultati ed essendo en-

trambe le parti rimaste ferme sulle rispettive posizioni soprattutto sui temi di maggior

frizione precedentemente citati, le due delegazioni hanno tenuto a precisare che gli

incontri hanno comunque portato al raggiungimento di 8 intese su rafforzamento

della cooperazione bilaterale, risposta alle sfide regionali e globali, cooperazione lo-

cale, energetica, sui cambiamenti climatici, tutela ambientale, tecnologica, agricola

e sanitaria, e, infine, dialogo bilaterale sull'energia, l'ambiente e la tecnologia.

FRANCIA, 17-19 LUGLIO ↴

Il Presidente François Hollande è stato dal 17 al 19 luglio in tour ufficiale in Africa

Occidentale, visitando in serie Costa D’Avorio, Niger e Ciad. Accompagnato da una

delegazione di 50 uomini, tra cui il Ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian, e dal

Ministro degli Esteri, Laurent Fabius, l’inquilino dell’Eliseo negli incontri con i leader

locali ha rivendicato l’importante ruolo politico e il forte impegno transalpino in Africa.

Oltre a discutere di commercio estero e di economia, Hollande ha discusso anche di

sicurezza regionale ed internazionale. Questa è stata infatti l’occasione per lanciare

l’operazione Barkhane, una nuova missione militare di counterterrorism che amplierà

i compiti di Serval, ancora in corso in Mali, con l’intento di contrastare lo jihadismo

militante nella fascia sahelo-sahariana. Barkhane prevede la presenza di 3.000 sol-

dati francesi dispiegati tra Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad, e avrà il suo

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quartier generale a N’Djamena, nella capitale ciadiana dove sono già presenti all’in-

circa un migliaio di militari transalpini.

GERMANIA, 10 LUGLIO ↴

«Il rappresentante dei servizi segreti USA presso l’Ambasciata degli Stati Uniti d’Ame-

rica è stato invitato a lasciare la Germania» dopo l’ennesimo scandalo che ha coin-

volto la CIA e la NSA. Secondo il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert, l’espul-

sione del responsabile diplomatico dell’intelligence statunitense a Berlino si è resa

necessaria dopo alcuni nuovi casi di spionaggio ai danni della Cancelliera e di alcuni

alti rappresentanti dello stesso governo tedesco.

INDONESIA, 9 LUGLIO ↴

In attesa dei risultati ufficiali, che verranno resi pubblici il prossimo 22 luglio, nel più

grande Paese islamico al mondo si sono tenute le terze elezioni presidenziali libere

della storia recente che hanno visto l’affermazione per appena sei punti di distacco

di Joko “Jokowi” Widodo del Partito Democratico Indonesiano di Lotta. Sconfitto l’ex

militare Prabowo Subianto del partito conservatore Gerindra che ha contestato la

vittoria di Widodo.

SLOVENIA, 13 LUGLIO ↴

Il Partito Indipendente Sloveno (SMC), di centro-sinistra, del giurista Miro Cerar si è

aggiudicato al primo turno le elezioni politiche anticipate con il 34,6% dei consensi

(36 seggi su 90 totali). Seguono il Partito Democratico Sloveno (SDS), di centro-

destra, dell'ex Premier ora in carcere con l’accusa di corruzione, Janez Jansa, con il

20,69% (21 seggi) e il Partito dei Pensionati (DESUS), sempre di centro-sinistra, col

10,21% (10 seggi). Come da aspettative, l'affluenza è stata molto bassa: solo il

50,9% degli aventi diritto si è recato alle urne, record negativo storico per il Paese.

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ANALISI E COMMENTI

I VETTORI STRATEGICI DELLA RUSSIA

ALL’OMBRA DELLA RINNOVATA RIVALITÀ CON L’OCCIDENTE

OLEKSIY BONDARENKO ↴

La politica del reset delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, inaugurata con l’ascesa

alla Casa Bianca di Barack Obama, ha trovato numerose difficoltà nella costituzione

di solide basi istituzionali tra le due potenze e non è stata in grado di aumentare il

livello di fiducia reciproca tra Mosca e Washington. Il progressivo sgretolamento della

buffer zone tra l’Europa Occidentale e la Russia, una costante a partire dalla seconda

metà degli anni Novanta, ha avuto l’effetto di irrigidire la postura del Cremlino, riac-

cendendo i timori di accerchiamento, tipici del periodo sovietico. Se il processo di

allargamento dell’Unione Europea verso Est e la politica del Partenariato Orientale

hanno reso necessaria una complessa (e macchinosa) risposta politico-economica,

l’espansione della NATO in prossimità dei confini della Federazione Russa e il pro-

gramma missilistico dell’Alleanza Atlantica hanno avuto l’effetto di alterare l’equilibrio

strategico regionale, con serie ripercussioni sulle capacità deterrenti nelle mani del

Cremlino e sul traballante engagement post Sovietico (…) SEGUE >>>

LIBRO BIANCO 2014. NUOVE STRATEGIE O ESIGENZE ECONOMICHE?

FABRIZIO COTICCHIA ↴

L’elaborazione di un nuovo Libro Bianco rappresenta un momento importante per la

ridefinizione della politica di Difesa italiana. Atteso da molti anni, sarà l’occasione per

un capire cosa si devono aspettare le Forze Armate nel futuro, anche alla luce di oltre

un decennio di impegno costante, dall’Afghanistan all’Iraq, dal Libano alla Libia. Il

nuovo documento si limiterà semplicemente alla ristrutturazione dello strumento mi-

litare o promuoverà un nuovo modello di Difesa dopo anni di spending review e ri-

forme parziali? Dall’analisi preliminare del dibatto corrente sembra che il governo,

fortunatamente, propenda per la seconda ipotesi. È però ancora presto per avere una

risposta definitiva. Al tempo stesso possiamo già sottolineare alcuni aspetti-chiave

relativi al processo di trasformazione messo in moto dalla decisione di adottare un

nuovo documento strategico nazionale (…) SEGUE >>>

TURCHIA E NUCLEARE: TRA VECCHI ALLEATI E NUOVE MINACCE

DANIEL ANGELUCCI ↴

È attualmente in corso l’ultimo round di colloqui sul dossier nucleare dell’Iran tra

questi e il gruppo 5+1 (i cinque Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, più

la Germania). In attesa di verificare se verrà raggiunto un accordo definitivo in ma-

teria che completi quello provvisorio siglato nel novembre 2013, risulta interessante

valutare e fare chiarezza sulle attitudini che un altro importante attore proiettato

Page 21: BloGlobal Weekly N°16/2014

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sullo scenario mediorientale, la Turchia, nutre verso il potenziale sviluppo di armi

atomiche proprie alla luce del programma nucleare iraniano e del concetto di deter-

renza estesa predisposto in sede di alleanza NATO. In ragione della sua posizione

geopolitica, è evidente che la Turchia si trova in un contesto spinoso. Essa confina

con l’Iran, che è in piena espansione delle proprie capacità nucleari suscettibili di uso

militare e ciò potrebbe spingere, come temuto da molti analisti internazionali, i policy

maker turchi ad investire in tecnologie per lo sviluppo di energia nucleare in larga

scala. Inoltre il Medio Oriente stesso è un bacino fertile per la proliferazione di Armi

di Distruzione di Massa (ADM) ed i loro vettori; questa circostanza è particolarmente

rischiosa se si considera che queste armi si innestano in un ambiente interessato da

vecchie e nuove rivalità tra gli Stati della regione (…) SEGUE >>>

L’ELEZIONE DI JUNKER E IL FUTURO DELL’UNIONE EUROPEA

DAVIDE VITTORI ↴

Dopo il risultato delle elezioni europee degli scorsi 22-25 maggio si è aperta una

discussione tra le varie cancellerie in merito alla nomina del nuovo Presidente della

Commissione Europea. La designazione del Consiglio ha visto la maggioranza con-

vergere sul nome di Jean-Claude Juncker, candidato popolare alla presidenza e ac-

creditato con una maggioranza relativa dei seggi nel Parlamento Europeo. Una no-

mina che, però, ha incontrato la contrarietà ferma da parte del Premier inglese David

Cameron. Partendo dal risultato elettorale e dalla valutazione politica che dovrebbe

discendere dal voto, il caso in questione è esemplificativo delle maggiori sfide che la

nuova leadership europea si troverà ad affrontare a livello dei rapporti con il Consiglio

Europeo. Jean-Claude Juncker è stato designato dal Consiglio Europeo per la carica

di Presidente della Commissione Europea grazie ad un voto a maggioranza qualifi-

cata; l’intesa tra i 28 Paesi dell’Unione non si è raggiunta, in quanto il premier bri-

tannico David Cameron e il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán hanno fino all’ul-

timo osteggiato tale nomina, chiedendo esplicitamente (pratica non consueta nel

Consiglio) un voto che li avrebbe visti in minoranza e senza i numeri per formare una

blocking minority. (…) SEGUE >>>

LA DIMENSIONE STRATEGICA DEI NUOVI EQUILIBRI IN ESTREMO ORIENTE

PAOLO BALMAS ↴

Le oltre quaranta intese siglate dal Presidente russo Vladimir Putin e dal suo collega

cinese Xi Jinping lo scorso 21 maggio 2014 sono state interpretate come una diretta

conseguenza della crisi ucraina e come il principio di un nuovo irrigidimento fra due

blocchi paragonabile alla Guerra Fredda che ha caratterizzato la seconda metà del XX

Secolo. Ma le variazioni strategiche e l’intensificarsi dei rapporti bilaterali in ambito

di difesa e sicurezza osservabili nello scenario estremo-orientale mettono in luce una

situazione ben più complessa. Dai media di tutto il mondo sono stati rispolverati

spettri del passato rivisitati sotto una nuova luce, ad esempio una futura ma vicina

corsa allo spazio che vedrebbe la Federazione Russa e la Cina alleate contro gli Stati

Uniti e l’Unione Europea o il recentissimo riavvicinamento di Mosca a Fidel Castro con

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un generoso taglio del 90% del debito. La situazione attuale, però, non sembra as-

solutamente paragonabile a quella precedente il 1990. Non esistono due sistemi eco-

nomici fondati su ideologie in opposizione. Infatti, l’avvicinamento tra Pechino e Mo-

sca non sottende alcuna ideologia. Piuttosto si tratta di una scelta pragmatica che si

ripercuote simultaneamente nei più diversi settori, getta le basi per lo sviluppo di

un’ampia regione dell’Asia nord-orientale, regola i rapporti tra i due Paesi e il funzio-

namento del mercato che si apre a cavallo del confine che li divide (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

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