BloGlobal Weekly N°25/2014
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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 23 novembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°25/2014 (9–22 novembre 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net
Photo credits: Reuters; Reuters/Hani Amara; AP; Pool/Getty Images; EPA; Flickr.com/Quinn Dombrowski/cc-by-sa 3.0; Alexander Nemenov/AFP/Getty Images;
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FOCUS
ESTREMO ORIENTE↴
Tre importanti vertici di cooperazione economica si sono tenuti dal 10 al 16 no-
vembre in Asia. Si tratta del meeting annuale APEC (Asia-Pacific Economic Coopera-
tion), del summit ASEAN (Association for South East Asian Nation) e dell’incontro dei
membri del G20, svoltisi rispettivamente in Cina, Birmania e Australia.
Al Vertice APEC, tenutosi a 50 Km a nord di Pechino presso il lago Yanqi, hanno
partecipato ventuno economie che si affacciano sull’Oceano Pacifico. L’evento segna,
per la Cina, il primo grande avvenimento dall’entrata in carica di Xi Jinping a Presi-
dente della Repubblica Popolare Cinese, nel marzo 2013. Nell’incontro tra i leader
dell’Asia-Pacifico il Presidente Xi è riuscito nell’intento di confermare la posi-
zione predominante del proprio Paese nell’area. Xi ha ottenuto, di fatto, una
maggiore attenzione verso l’accordo Free Trade Association of Asia/Pacific (FTAAP),
da egli supportato, che intende favorire gli scambi commerciali tra i Paesi APEC. Il
maggiore impegno verso la stipula dell’accordo sarà dato dal lancio di uno studio
strategico comune del quale gli Stati dovranno presentare i propri risultati entro la
fine del 2016. La proposta cinese del FTAAP, tuttavia, altro non è che una contro
risposta al progetto degli Stati Uniti di concludere un accordo simile che esclude,
invece, Pechino dai Paesi coinvolti. Si tratta della Trans Pacific Partnership (TPP). Nel
merito di tale accordo Obama ha tenuto, nel corso delle due giornate di dialoghi, un
incontro con gli undici Paesi interessati al TPP presso l’Ambasciata americana a Pe-
chino e non nella tenuta del summit.
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Nella dichiarazione finale del meeting i leader APEC hanno sottolineato, oltre alle linee
per dare una spinta alla conclusione del FTAAP, l’intenzione di combattere la corru-
zione ufficiale, le varie forme di protezionismo, nonché di cercare una maggiore
integrazione economica, espandere lo sviluppo delle infrastrutture e creare una
comune area di prosperità nella zona dell’Asia-Pacifico.
A margine delle riunioni ufficiali, in aggiunta, si sono avuti importanti incontri bi-
laterali. Da sottolineare quello avvenuto tra il Presidente cinese Xi e il Primo Ministro
giapponese Shinzo Abe, il primo incontro ufficiale in due anni. Dal 2012, infatti, i due
Paesi sono in una situazione di attrito dovuta alla rivendicazione da parte di Pechino
delle isole Senkaku/Diaoyu, nel Mar Cinese Meridionale, poste sotto l’amministra-
zione giapponese. Nonostante la freddezza del Presidente cinese, l’incontro tra i due
è stato significativo in quanto segna la ripresa delle relazioni diplomatiche in
seguito all’intesa della settimana precedente raggiunta dal Consigliere di Stato ci-
nese, Yang Jiechi, e il National Security Advisor giapponese, Shotaro Yachi, in merito
alla gestione della crisi delle isole. Un ulteriore incontro bilaterale è avvenuto tra
Obama e Xi. In questa sede è stata sottolineata, in primis, dal Presidente USA, la
questione del rispetto dei diritti umani da parte di Pechino, dopodiché i due hanno
affrontato il tema dello spionaggio cibernetico ed hanno siglato, inoltre, un impor-
tante accordo per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica entro il
2030. Relativamente alla presenza della Russia al meeting, infine, Putin ha incontrato
il Presidente cinese per discutere soprattutto della questione energetica. L’argomento
è di rilevante importanza per la Cina data la crescente necessità di energia essenziale
a sostenere il suo sviluppo economico; il tema è parimenti importante per Mosca che,
dall’inizio delle ostilità in Ucraina, è in cerca di nuovi partner commerciali oltre all’Eu-
ropa.
Il secondo vertice economico è stato quello del gruppo dei Paesi del Sud-est Asia-
tico, l’ASEAN. L’Associazione, che comprende dieci Paesi dell’area, si è riunita il 12
novembre nella capitale birmana Naypyidaw per la sua 25esima edizione. Centrale
nelle discussioni – anche in questa sede dopo il vertice APEC – è stata la disputa
relativa al Mare Cinese Meridionale, a causa della rivendicazione su tali acque di
Vietnam e Filippine, entrambi membri ASEAN. Il motivo che sta alla base di tale con-
tesa è la posizione strategica per le vie di comunicazione unita alla presenza nell’area
di giacimenti di gas e petrolio. Quello che in concreto il gruppo sta cercando di stipu-
lare, quindi, è un codice di condotta da adottare in merito alla gestione della
zona marina, prima che la presidenza del forum passi, nel 2015, alla Malesia (Paese
favorevole alle posizioni cinesi). Oltre a ciò, in seno al forum ASEAN, si è discussa la
necessità di continuare il progresso verso la creazione di una comunità econo-
mica tra i dieci Paesi, da realizzare entro la fine del 2015.
Ha chiuso infine la settimana dei vertici internazionali il G-20 di Brisbane, in Au-
stralia, il 15 e 16 novembre. In seno a tale riunione dei Paesi che insieme rappresen-
tano l’85% dell’economia mondiale, si è discusso non solo di temi economici, ma
anche di cambiamenti climatici, Ebola e IS. In particolare i leader hanno dichiarato
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nel documento finale dell’incontro l’intenzione a cooperare per la soluzione al
problema sanitario del virus Ebola e di essere disposti a cercare una risposta
comune alle crisi umanitarie, compresa quella attuale in Medio Oriente, così come
di sostenere un’azione forte ed effettiva che possa contrastare le sfide climatiche.
In merito alle questioni economiche, i grandi del G-20 hanno annunciato un pac-
chetto di oltre 800 misure che consentirebbe una crescita economica pari al 2,1%
del PIL entro il 2018. Ciò equivarrebbe ad un aumento dell’output globale di 2mila
miliardi di dollari e, dunque, in concreto, un cospicuo aumento di posti di lavoro. Un
tema, questo della crescita, caro al Premier italiano, Matteo Renzi, il quale ha, infatti,
auspicato che «l’UE [presente al tavolo del G20 con Jean C. Junker e H. van Rompuy]
faccia tesoro di questa raccomandazione» per spostare l’attenzione dal rigore alla
crescita. A Brisbane è stata sottolineata, in aggiunta, l’importanza di aumentare la
presenza femminile nella forza lavoro globale accanto alla soluzione al problema
della disoccupazione giovanile. I grandi 20 hanno redatto un piano d’azione per rag-
giungere tali obiettivi, le misure riguardano soprattutto l’incremento degli investi-
menti, sia pubblici che privati, e il miglioramento del clima finanziario all’interno dei
vari Paesi. Tuttavia, nel corso del summit, non sono mancati momenti di tensione nei
confronti della Russia. Durante le due giornate, infatti, il Premier canadese Stephen
Harper, incontrando Putin, ha affermato: «Credo che dovrò stringerle la mano, ma
ho solo una cosa da dirle: esca dall’Ucraina».
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ISRAELE ↴
Non conosce sosta il vortice di tensioni che sta caratterizzando negli ultimi mesi Ge-
rusalemme e che fa da più parti presagire una Terza Intifada. Ultimo episodio di que-
sta escalation è l’attentato del 18 novembre nella città santa, alla sinagoga
Kehilat Yaakov, nel quartiere ortodosso di Har Nof a Gerusalemme Ovest.
Secondo le ricostruzioni della polizia gerosolimitana, i due attentatori – morti in un
conflitto a fuoco con le forze di sicurezza israeliane – sarebbero palestinesi prove-
nienti dalla parte est di Gerusalemme che armati di pistole, asce e coltelli avrebbero
ucciso 5 persone (4 rabbini e un poliziotto) e ferito almeno una decina di loro. La
polizia di Gerusalemme ha spiegato che gli attacchi alla Sinagoga ricalcherebbero in
pieno il modus operandi delle ultime eclatanti azioni contro cittadini israeliani. In
sostanza si ritengono questi atti di terrorismo legati a singoli soggetti, definiti in gergo
“lupi solitari”, non legati apparentemente ad alcuna organizzazione eversiva. In que-
sto senso gli attentati con le auto e quello contro la sinagoga rappresentano episodi
legati più che altro alla difficile condizione in cui vivono i soggetti arabi e palestinesi
a Gerusalemme e, più in generale, nella West Bank.
Come ha scritto Ashel Pfeffer su Haaretz, questi elementi radicalizzati sarebbero stati
portati a compiere un’ennesima strage a causa del difficile clima di tensione che si
sta creando in tutta la Cisgiordania dovuto sia alle difficili condizioni di vita nel
territorio (alta disoccupazione e basso tenore di vita soprattutto tra i palestinesi), sia
per le scelte del governo di Tel Aviv di voler continuare ad ampliare le colonie
ebraiche e a costruire insediamenti a Gerusalemme Est. Il rischio maggiore, conti-
nua Pfeffer, è che lo scontro tra Israele e Palestina si trasferisca da un piano pura-
mente nazionalista ad uno squisitamente religioso alimentando così un’escalation di
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violenze senza fine, nel quale potrebbero inserirsi altre realtà ancor più radicali e
violente da ambo le parti.
L’attentato in un primo momento è sembrato essere stato rivendicato dal Fronte Po-
polare di Liberazione della Palestina, ma pochi minuti dopo è giunta sia la smentita
del gruppo di resistenza palestinese, sia la paternità dell’attacco attribuita ad
Hamas. L’organizzazione al potere a Gaza ha immediatamente definito l’atto come
«una vendetta eroica» e si è congratulato con i martiri palestinesi. Secondo Hamas
l’attentato rappresenta una rappresaglia contro le iniziative israeliane volte a
modificare lo status giuridico internazionale che “protegge” Gerusalemme e la Spia-
nata delle Moschee. Infatti, come ha scritto l’esponente dell’ala egiziana di Hamas,
Moussa Abu Marzouq, in un post in arabo su Facebook, «siamo alle porte di una vera
e propria Intifada innescata da Gerusalemme, al-Aqsa e dalle colonie».
Non si è fatta attendere la condanna del governo israeliano. Il Primo Ministro Neta-
nyahu ha dapprima addossato le responsabilità dell’atto ad Abu Mazen e al suo
entourage definendoli dei «fomentatori di odio», in secondo luogo ha ordinato l’ab-
battimento delle abitazioni dei due terroristi a Gerusalemme Ovest; infine, ha giurato
una pronta, dura e ferma risposta contro tutti i gruppi terroristici. Nel frattempo Abu
Mazen ha preso le distanze da Hamas e ha condannato l’attacco accusando l’or-
ganizzazione islamista per l’ennesima volta di non essere interessata alla pace.
Condanne unanimi sono giunte anche dalla comunità internazionale. Gli Stati Uniti,
attraverso il Segretario di Stato John Kerry e il Presidente Obama hanno definito gli
attacchi alla sinagoga «Puro terrore inumano» che «non merita alcuna giustifica-
zione». Anche il Premier David Cameron, l’Alto Rappresentate della Politica Estera e
di Sicurezza dell’UE, Federica Mogherini, e il neo Ministro degli Esteri italiano, Paolo
Gentiloni hanno manifestato «la più ferma condanna per l'ignobile attacco armato».
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SIRIA-IRAQ ↴
Sostenuto dalle milizie sciite, l’esercito regolare iracheno ha raggiunto la raffi-
neria di Baiji dopo essersi assicurato un passaggio nel vicino centro urbano, che lo
Stato Islamico aveva soggiogato nello scorso giugno dopo la caduta di Mosul. Benché
l’operazione detenga un importante impatto strategico, Baghdad continua a subire
tanto gli strali dei violenti attacchi jihadisti, quanto la persistente debolezza degli
apparati di sicurezza. Gli ufficiali statunitensi presenti nel Paese testimoniano che
soltanto un’esigua fazione della forza armata possa essere mobilitata nei teatri di
scontro: appena 125mila uomini su un totale che, tra corpi militari e di polizia, sfio-
rava il milione di unità prima della rotta convulsa provocata dall’offensiva dell’IS.
Sottoscrivendo le accuse di corruzione e d’incompetenza degli alti ranghi dell’esercito,
riprodotte anche dall’influente Ayatollah al-Sistani, il Primo Ministro Haider al-
Abadi ha rimosso trentasei vertici militari, tra cui l’intera catena di comando
operativa nella provincia contesa dell’Anbar. Il Premier iracheno ha accentrato il prov-
vedimento nella propria potestà decisionale, ignorando la previsione costituzionale
che attribuisce al Parlamento l’esercizio di una funzione di controllo sulle nomine dei
comandanti delle Forze Armate. L’atto d’imperio esprime la necessità di scansare le
trame negoziali che dividono le fazioni politiche irachene. L’autorità di al-Abadi è
contestata nello stesso blocco sciita, laddove il predecessore al-Maliki rifiuta un
ruolo marginale nel gioco politico interno e si rende interprete dell’insofferenza ad-
dotta dalle misure di riconciliazione avviate dal nuovo governo per compattare il
fronte sunnita in un rinnovato progetto di unità nazionale. Al fine di non acuire la
frattura settaria, al-Abadi ha in precedenza opposto il conferimento del Ministero degli
Interni a Hadi al-Ameri, leader della Badr Organization, invisa ai gruppi tribali sunniti.
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Il ruolo delle formazioni paramilitari sciite resta tuttavia un punto controverso
per l’esecutivo iracheno: seppur indispensabili al contenimento della minaccia calif-
fale, numerosi episodi di vendetta indiscriminatamente compiuti contro cittadini sun-
niti non affiliati allo Stato Islamico riversano effetti disgreganti sul progetto politico
perseguito da Baghdad. Le pressioni della comunità internazionale hanno sollecitato
le autorità delle milizie a emanare sanzioni nei confronti dei responsabili di cri-
mini contro la popolazione civile (il 31 ottobre Asaib Ahl al-Haq ha annunciato
l’espulsione di quarantanove miliziani), ma la fragile e spuntata sovranità delle isti-
tuzioni centrali incoraggia il progressivo consolidamento del potere acquisito da que-
ste organizzazioni – spesso strumento e/o pedina di scambio della diplomazia ira-
niana.
Malgrado ciò, Nickolay Mladenov – rappresentante delle Nazioni Unite nel Paese e
responsabile della missione UNAMI (United Nations Assistance Mission for Iraq) – ha
riferito al Consiglio di Sicurezza che la politica inclusiva dettata dal governo iracheno
ha trovato prime manifestazioni di adesione da parte delle tribù sunnite, disponibili a
un coinvolgimento nei corpi volontari allestiti e armati da Baghdad.
Sul piano delle relazioni esterne, il 20 novembre al-Abadi ha ricevuto il suo omo-
logo Ahmet Davutoğlu, che ha riaffermato l’interesse turco rispetto all’integrità
irachena. Se già l’8 novembre il Ministro degli Esteri Ibrahim al-Jaafari aveva intrat-
tenuto dei colloqui con le autorità turche, marcando una discontinuità con la prece-
dente gestione al-Maliki, il valore strategico della visita di Davutoğlu è rafforzato
dall’ostentata composizione di un asse trilaterale Baghdad-Ankara-Erbil, in cui la Tur-
chia emerge quale mediatore delle relazioni tra il governo semi-autonomo del Kurdi-
stan e il governo centrale. Proprio sotto i buoni uffici della diplomazia turca, Baghdad
e Erbil hanno firmato un accordo di fondamentale rilevanza in base al quale le
istituzioni irachene onoreranno il pagamento degli stipendi agli impiegati dell’ammi-
nistrazione curda (a lungo interrotti a causa delle ripetute violazioni sulle esportazioni
petrolifere), mentre il Kurdistan avrà libertà di commercializzare attraverso il porto
turco di Ceyhan una quota giornaliera di 150mila barili di greggio. Le concessioni
deliberate da al-Abadi, votate all’allentamento della contrapposizione etnica, tendono
un ponte essenziale per la pacificazione del Paese.
Nonostante ciò, la solidità del Califfato non sembra incrinarsi né sotto i bombarda-
menti della coalizione internazionale, né sotto l’isolamento intessuto da Baghdad. Per
la prima volta dall’inizio delle ostilità, un attentato dinamitardo ha colpito un pa-
lazzo governativo nel cuore di Erbil, causando la morte di sei persone. Venerdì
21 novembre le milizie jihadiste hanno lanciato un pesante attacco nei quartieri orien-
tali di Ramadi, che per larga parte è controllata dalle uniformi nere, mentre la con-
troffensiva dell’esercito iracheno nell’Anbar appare sfilacciata e ancora priva del so-
stegno diffuso del tessuto tribale.
A dissipare le ombre sulla morte di al-Baghdadi, lo Stato Islamico ha rilasciato un
messaggio audio in cui la (presunta) voce del Califfo ha nuovamente incitato il jihad
globale, promettendo l’unificazione dei fermenti estremisti che infiammano la regione
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mediorientale. È invece accertata l’uccisione di Radwan Taleb al-Hamdouni,
autorevole consigliere militare che nell’organigramma califfale reggeva le funzioni
di wali (governatore) di Mosul. L’articolazione e la profondità del corpo decisionale,
che si compone di specifici organi consiliari e amministrativi, rendono tuttavia lo Stato
Islamico meno vulnerabile all’eliminazione delle sue teste, anche qualora si trattasse
di quella apicale di al-Baghdadi.
Data la temibile impreparazione delle forze di sicurezza irachene, il Pentagono ha
deciso di posticipare la consegna di otto caccia F-16, ad oggi bloccati nella base
di Tucscon dove l’Air Force sta conducendo l’addestramento dei piloti iracheni. L’an-
damento sul campo di battaglia ha inoltre esortato l’amministrazione Obama ad au-
torizzare il dispiegamento di cinquanta consiglieri militari nella base di al-Assad poi-
ché la distanza dei comandi operativi stabiliti a Baghdad e Erbil ha sinora condizionato
negativamente le attività di assistenza prestate all’esercito regolare nella provincia
dell’Anbar, ossia nello scenario chiave della lotta contro i miliziani jihadisti. A dieci
anni dalla sanguinosa battaglia di Falluja, le truppe statunitensi (benché senza com-
piti di combattimento) hanno dunque rimesso piede nel nucleo sunnita che un tempo
costituì il basamento del regime baathista di Saddam Hussein e che oggi rappresenta
la giuntura della minaccia islamista.
Mentre l’esecutivo ha formalmente presentato al Congresso la richiesta per un
finanziamento addizionale di 5.6 miliardi di dollari al fine di sostenere l’attuale
esposizione bellica, la CNN rende nota l’imminente revisione di una strategia ritenuta,
da fonti interne al Pentagono e alla Casa Bianca, come militarmente e politicamente
insostenibile in ragione della pervicacia dell’IS e del veto sostanziale sulla transizione
siriana, dove anzi Bashar al-Assad sembra beneficiare dell’intervento americano. La
priorità assegnata allo scenario iracheno contraddice il radicamento del Califfato a
cavallo della labile frontiera che separa i due Paesi e scredita l’avversione ufficial-
mente mantenuta da Washington contro il regime di Damasco. L’attenzione statuni-
tense sulle risorse jihadiste in terra siriana ha infatti alleggerito gli urti dei gruppi
estremisti contro le forze fedeli alla dirigenza alawita, che per contro è così riuscita a
rinchiudere le opposizioni nella sola Aleppo, ultimo baluardo della ribellione anti-
Assad.
Da questo versante, le monarchie arabe non esitano a biasimare l’ambivalenza di
Washington, richiamando la presidenza Obama a una presa di posizione definitiva
sulla rimozione di Assad. Mentre l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria
Staffan de Mistura ha proposto il traguardo di una tregua provvisoria tra le
forze ribelli e Damasco, Riyadh e Ankara sono portavoce di un accordo quadro
sulla situazione siriana che contempli la mediazione russa al fine di stemperare la
reticenza iraniana. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno trovato un’intesa con la
Turchia per l’addestramento e l’equipaggiamento di circa 2mila combattenti
dell’opposizione “moderata” ad Assad, da svolgersi nella base turca di Kirsehir.
Se le parti sono ancora distanti sulle clausole applicative, l’accordo è in tutta evidenza
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un compromesso che non concorrerebbe a risolvere l’impasse strategica della super-
potenza americana, mentre la controparte turca rilancia l’ipotesi di una no-fly zone
nella Siria settentrionale allo scopo di indebolire sia Damasco, che lo Stato Islamico.
Su questi punti saranno incentrati i colloqui tra il governo turco ed il Vice Presi-
dente Joe Biden, sopraggiunto in Turchia nella giornata del 21.
Infine, una massiccia ondata di bombardamenti concertata con i peshmerga siriani
ha permesso nella giornata del 18 novembre la conquista di sei edifici nel centro di
Kobane, adibiti dai jihadisti a quartier generale ed arsenale. Per entrambi i conten-
denti, la battaglia per la città assume un valore emblematico sul piano della propa-
ganda, ma i recenti sviluppi sembrano aver spostato l’ago della bilancia verso la re-
sistenza curda.
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UCRAINA ↴
Dopo l'allarme lanciato lo scorso 7 novembre dal portavoce del Consiglio Nazionale
di Sicurezza e di Difesa ucraino, Andriy Lysenko, la NATO ha confermato l'ingresso
non autorizzato di mezzi e blindati russi – tank, artiglieria, truppe da combatti-
mento e sistemi di difesa aerea secondo il Segretario Jens Stoltenberg e il Coman-
dante supremo delle forze Alleate in Europa, il Gen. Philip Breedlove – nell'est dell'U-
craina. Il Ministro della Difesa di Kiev, Stepan Poltorak, ha dichiarato la presenza di
almeno 7.500 soldati russi che impedirebbero la stabilizzazione del Paese, denun-
ciando allo stesso tempo il riacuirsi delle violenze nella regione di Lugansk con l'uc-
cisione di quattro soldati e di un civile ucraino, oltre al ferimento di altri dieci nel
corso di scontri con i separatisti filo-russi. Anche il portavoce della missione di moni-
toraggio OCSE, Michael Bociurkiw, ha dichiarato di aver osservato dall'8 novembre il
passaggio di almeno 126 veicoli non identificati (senza segni distintivi sulle uni-
formi), impegnati a trasportare dispositivi pesanti (pistole e lanciarazzi multipli), in
evidente violazione degli accordi di Minsk del 5 settembre.
Se il portavoce del Ministero della Difesa russo, il Generale Maggiore Igor Konashen-
kov, ha dichiarato che non vi è alcuna evidenza di ciò, il Ministro Sergej Shoigu si è
dal canto suo limitato a confermare che l'attuale situazione militare e politica nel sud-
ovest russo richiede la necessità di un rafforzamento lungo questo asse con la possi-
bile formazione di una forza multi-servizio completa e autosufficiente nel Di-
stretto Federale di Crimea. Poltorak si è pertanto detto pronto ad un nuovo dispie-
gamento di truppe nell'est – specialmente a protezione di Mariupol e del suo porto –
in risposta ad una nuova possibile offensiva da parte dei separatisti con il supporto
russo. I timori di un'invasione di Mosca sono stati peraltro esternati dall’Ambasciatore
ucraino alle Nazioni Unite, Iuri Sergheiev. Oltre al fronte ucraino, d'altra parte, il rin-
novato attivismo militare russo (le esercitazioni militari congiunte con la Serbia il 14
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novembre, l'accordo su operazioni bilaterali nel Mediterraneo con la Cina e l'intesa
militare con il Pakistan del 20 e 21 novembre, nonché l'intenzione di inviare bombar-
dieri a lungo raggio nel Golfo del Messico vicino alle acque territoriali degli Stati Uniti)
preoccupa non poco la comunità internazionale.
Mentre la Germania – dopo il teso faccia a faccia tra Angela Merkel e Vladimir Putin
al G-20 di Brisbane – tenta una mediazione inviando il proprio Ministro degli
Esteri, Frank-Walter Steinmeier, a Kiev e a Mosca per discutere con Poroshenko
e lo stesso Putin dell'implementazione degli accordi di Minsk, l'Unione Europea
sembra per ora aver rinunciato ad inasprire le sanzioni nei confronti della
Russia, puntando piuttosto ad un riallacciamento dei rapporti: nonostante nei giorni
precedenti si fossero diffuse voci circa l'approvazione di nuove misure a carico di
Mosca, nell'ultimo Consiglio Affari Esteri (17 novembre), il primo del nuovo corso
Juncker, è stato infatti stabilito che il Servizio Europeo di Azione Esterna e la Com-
missione europea presenteranno entro la fine di novembre una lista di nominativi –
limitata ai separatisti – da colpire con il congelamento dei beni e con l'impossibilità
di viaggiare nell'UE. A conferma di quello che sembra essere un parziale arretramento
rispetto alla posizione precedente quando dichiarava la Russia non più un partner
strategico, l'Alto Rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza Comune, Federica
Mogherini, ha spiegato che insieme con il sostegno delle riforme in Ucraina è neces-
saria una rivisitazione dei rapporti e dunque il rilancio del dialogo con la Rus-
sia. Una posizione condivisa anche dal neo Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gen-
tiloni, che ha dichiarato il proprio supporto ad un'escalation qualitativa – e non quan-
titativa – delle misure poste nei confronti di Mosca.
Sul fronte interno all'Ucraina, il 21 novembre è stato siglato un accordo per un
governo di coalizione dopo le elezioni dello scorso 26 ottobre: ne fanno parte il
Blocco del Presidente Poroshenko, Fronte Popolare del Premier Arseniy Yatsenyuk,
Samopomich (Autodifesa) di Oleg Liashko e Patria di Yulia Timoshenko. Il patto pre-
vede la cancellazione del Paese come Stato non allineato – seguendo dunque la pro-
posta avanzata da Yatsenyuk nei primi giorni di settembre –, un percorso di adesione
alla NATO, la ripresa del controllo della Crimea, la riforma della legge elettorale, la
decentralizzazione delle strutture di potere, l'annullamento dell'immunità dei legisla-
tori, il divieto dell'utilizzo di simboli sovietici e nazisti, la regolamentazione dei settori
energetico e agricolo per il prosieguo del cammino sulla strada dell'integrazione eu-
ropea. Il nuovo esecutivo sarà dunque annunciato entro dieci giorni e la prima ses-
sione del nuovo Parlamento è programmata per il prossimo 27 novembre.
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BREVI
AFGHANISTAN, 2 NOVEMBRE ↴
Il Presidente dell’Afghanistan, Ashraf Ghani, si è recato
in visita nel vicino Pakistan il 14 e il 15 novembre per
la prima volta dalla sua elezione in settembre per
incontrare il Primo Ministro Nawaz Sharif. Con Ghani si
è recato ad Islamabad anche il Generale dell’Esercito
afghano, Sher Muhamad. Afghanistan e Pakistan
hanno ribadito la comune lotta a contrastare la minaccia destabilizzante del
terrorismo, indicando come necessità un rafforzamento della cooperazione ed una
espansione delle relazioni bilaterali. «Pace e stabilità in Afghanistan sono interessi
vitali per il Pakistan», ha affermato la portavoce del Ministro degli Esteri pakistano
Tasnim Aslam, «Islamabad ha sostenuto con forza il processo di pace e di
riconciliazione a guida afghana». Funzionari statunitensi hanno descritto la visita di
Ghani come «un’opportunità importante» per la stabilità regionale. Dan Feldman, lo
special envoy americano per l’Af-Pak, ha affermato che «sembra esserci un forte
desiderio da ambo le parte che questa relazioni si fondi su una base più solida che
contribuisca ad una maggiore stabilità dell’area»; la visita di Ghani «è uno dei migliori
indicatori che in futuro potrà esserci stabilità». Intanto, uno scoop del New York Times
ha rivelato che Obama, dopo un vivace dibattito all’interno dell’amministrazione, ha
firmato un ordine segreto nelle scorse settimane per prorogare di dodici mesi la
missione di combattimento dei soldati americani in Afghanistan. Secondo quanto
comunicato all’opinione pubblica, dal 2015 le truppe avrebbero dovuto avere solo
compiti di addestramento delle Forze Armate afghane. Le nuove direttive, al
contrario, autorizzano i militari statunitensi, supportati se necessario dall’aviazione,
a compiere operazioni di war fighting contro i talebani e altri gruppi di insorgenti.
AZERBAIJAN, 12 NOVEMBRE ↴
Un elicottero militare armeno, un Mil MI-24, è stato
abbattuto dalle forze armate azere nella regione di
Agdam, al confine tra l'Azerbaijan e il Nagorno
Karabakh, regione contesa e auto-proclamatasi
indipendente nel 1992. Secondo quanto dichiarato dal
Ministro della Difesa azero, Zakir Hasanov, due
elicotteri armeni avrebbero tentato di attaccare postazioni azere situate lungo il
confine, provocando dunque la risposta delle forze di Baku che hanno aperto il fuoco
colpendo uno dei due velivoli e uccidendone i membri a bordo. Secondo David
Babaian, portavoce del governo del Nagorno Karabakh, gli elicotteri erano invece
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impegnati in una missione di addestramento e ha negato qualsiasi coinvolgimento in
operazioni da combattimento. Il portavoce del Ministero della Difesa armeno, Artsrun
Hovannisyan, ha definito l'episodio «una provocazione senza precedenti» di cui è
pienamente responsabile il governo di Baku e che rischia di scatenare una nuova
escalation di tensioni. Mentre il Segretario Generale dell'Organizzazione del Trattato
di Sicurezza Collettiva (CSTO), Nikolai Bordyuzha, ha affermato che l'abbattimento
dell'elicottero è una minaccia per la stabilità e la pace della regione, l'OCSE ha deciso
di inviare propri osservatori per monitorare l'andamento delle attività lungo la linea
di contatto tra i due Paesi. L'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza
UE, Federica Mogherini, ha inoltre richiesto l'avvio di un'inchiesta volta ad accertare
le responsabilità. Quella del Mil Mi-24 si inscrive tuttavia in una serie di tensioni che
continuano dalla scorsa estate, quando una serie di scontri a fuoco sono scoppiati
lungo la linea del cessate il fuoco e che hanno provocato la morte di almeno 20
persone. Nonostante la tregua siglata con gli Accordi di Bishkek (1994), episodi di
violenza e indicenti più o meno gravi tra Armenia e Azerbaijan si sono verificati con
una certa regolarità e potrebbero trovare nuova eco nella delicata posizione dei Paesi
ex URSS alla luce dello scenario di crisi aperto con la guerra in Ucraina.
CINA, 5 NOVEMBRE ↴
Il Presidente cinese, Xi Jinping, e il Primo Ministro
australiano, Tony Abbott, hanno raggiunto un accordo
per l’istituzione di un’area di libero scambio tra i due
Paesi. I servizi e i prodotti dell’Australia, come riso,
latte, lana, cotone, potranno così varcare i confini
cinesi senza il pagamento di dazi e tariffe doganali per
i prossimi quattro anni. Secondo il Ministero del
Commercio di Canberra, l’intesa coprirà il 99,9% delle esportazioni australiane e, ad
opinione di Abbott, «creerà posti di lavoro e migliorerà il nostro livello di vita».
Viceversa Pechino vedrà ridotte le barriere che impediscono agli investimenti cinesi
di diffondersi in Australia. Verrà infatti innalzato da 248 milioni a un miliardo di dollari
australiani il limite oltre il quale sarà richiesta un’autorizzazione ad hoc da parte del
governo di Canberra per aprire le porte agli investimenti cinesi. Il memorandum è
stato firmato dopo un negoziato durato dieci anni. Pechino non è attiva solo nell’area
del Pacifico. Il Primo Ministro, Li Keqiang, e il Ministro della Difesa russo, Serghei
Shoigu, hanno annunciato il rafforzamento della cooperazione militare bilaterale. Per
l’occasione, i due Paesi terranno esercitazioni navali congiunte nel Mediterraneo dalla
primavera 2015. Shoigu ha affermato che «la nostra cooperazione nella sfera militare
ha un grande potenziale e la parte russa è pronta a svilupparlo i tutti i settori possibili.
La formazione di un sistema di sicurezza regionale è l'obiettivo principale dei nostri
sforzi». Il vice Ministro della Difesa russo, Anatoly Antonov, ha aggiunto che «Russia
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e Cina devono lavorare insieme per opporsi alle nuove sfide alla sicurezza dello Stato»
poste dall’influenza globale degli Stati Uniti.
EGITTO, 12 NOVEMBRE ↴
Dopo il tam tam mediatico delle scorse settimane
Ansar Bayt al-Maqdis (ABM) e Stato Islamico (IS)
hanno ufficialmente dichiarato la propria alleanza
strategica nel Sinai, al fine di fare del territorio non solo
un nuovo wilayat (provincia) islamista, ma anche un
avamposto per gli attentati contro i regimi egiziano e
israeliano. La notizia ha creato tuttavia alcune frizioni
all’interno dello stesso gruppo islamista: infatti l’ala dell’organizzazione operativa
nella Valle del Nilo non avrebbe gradito lo shift di ABM Sinai in favore del gruppo di
al-Baghdadi giurando invece fedeltà e affinità ideologica ad al-Qaeda core. Una
frizione, questa, che se non dovesse rientrare potrebbe portare ad un frazionamento
della maggiore organizzazione terroristica nel Sinai. Intanto, nelle stesse ore della
bayah tra ABM e IS, si registrava a 40 chilometri al largo di Damietta un altro
attentato. Ad essere attaccata è stata una nave vedetta della marina militare
egiziana. Durante gli scontri a fuoco sono morte 17 persone e diverse decine
sarebbero stati i feriti. I 32 assalitori, giunti a bordo della vedetta con tre imbarcazioni
di piccole dimensioni, sarebbero stati tutti arrestati grazie anche al coinvolgimento
dell’aviazione egiziana. Sono state smentite dai militari egiziani le notizie circa la
scomparsa in mare di 8 marinai. Fino ad ora non sono giunte rivendicazioni ma le
autorità cairote hanno immediatamente identificato l’attacco come terroristico. Al di
là della paternità dell’atto, si tratta comunque di un salto di qualità notevole in quanto
questo attentato è il primo in mare contro un soggetto operativo come la Marina
egiziana. Il Ministro degli Interni Ibrahim non ha fornito ulteriori dettagli ma ha
accusato le agenzie di intelligence occidentali di aver supportato le operazioni dei
terroristi. Nel frattempo continuano gli attacchi al Cairo e nel Sinai, dove il 18
novembre nei pressi di Rafah sono stati uccisi dieci civili a causa del lancio di alcuni
razzi. Nonostante l’aumento dei soldati sul territorio e l’applicazione di nuove e più
stringenti misure di anti-terrorismo (è stata raddoppiata a 1 km l’ampiezza della
buffer zone lungo il confine con Gaza dopo la scoperta di nuovi tunnel alla frontiera
con la Striscia), le autorità centrali non sembrerebbero essere in grado di contenere
l’ondata di violenze jihadiste.
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KOSOVO, 10 NOVEMBRE ↴
Il nuovo Alto Rappresentante per la Politica Estera e di
Sicurezza dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ha
nominato Jean Paul Jacque a capo di una commissione
indipendente incaricata di fare luce sulle accuse di
corruzione che pendono su EULEX (European Union
Rule of Law Mission in Kosovo), la missione dell’UE
lanciata nel 2008 in Kosovo con il compito di ristabilire la sfera giurisdizionale nel
Paese. Le accuse di corruzione erano già sorte in passato ma furono sempre archiviate
dalla stessa EULEX come prestestuose e volte a creare destabilizzazione in Kosovo.
Solo intorno alla metà del 2013 l’EULEX e le autorità giudiziarie kosovare decisero di
lanciare un’inchiesta congiunta dopo le accuse mosse questa volta dal procuratore
inglese dello stesso organismo europeo, Maria Bamieh, e da un’inchiesta del
quotidiano kosovaro Koha Ditore. Gli eventi si riferirebbero a tre casi acclarati
avvenuti tra il 2011 e il 2013 nei quali alcuni dirigenti di EULEX avrebbero accettato
tangenti da personalità più o meno legate al mondo criminale locale in modo da
favorire l’archiviazione di alcune indagini di alto livello proprio contro queste figure
politiche e criminali vicine in passato ai guerriglieri albanesi dell’UÇK. Jacque, noto
giurista fracese e già a capo del Segretariato Generale del Consiglio dell’Unione
Europea, avrà quattro mesi di tempo per portare a termine la sua missione e fornire
una relazione dettagliata direttamente all’Alto Rappresentante dell’UE.
LIBIA, 8-20 NOVEMBRE ↴
Non si arresta l’escalation di violenze e caos che imper-
versa in Libia dalla caduta del regime di Gheddafi nel
2011. Esplosioni di diverso tipo sono avvenute nel
corso delle ultime due settimane nel Paese. L’8 novem-
bre si è verificato un attentato all’aeroporto di Labraq,
nei pressi della cittadina di al-Bayda, lo scalo usato dal
Premier al-Thani. Un’autobomba è esplosa, inoltre, in
una strada affollata di Tobruk, la cittadina dove si riunisce il Parlamento dichiarato
incostituzionale a inizio novembre dalla Corte Suprema di Tripoli. Il bilancio dei due
attentati è stato di 13 vittime e oltre 15 feriti. Il neo Ministro degli Esteri italiano,
Paolo Gentiloni ha espresso «seria preoccupazione per la violenta esplosione avve-
nuta [..] a Tobruk e che ha provocato vittime e feriti e costituisce l'ultimo episodio di
una lunga serie di atti di violenza che nuocciono alla stabilità e alla causa della ricon-
ciliazione nazionale». Altri due attacchi sono stati registrati a Tripoli: uno nei pressi
dell’Ambasciata egiziana e l’altro, dopo pochi minuti, di fronte all’Ambasciata degli
Emirati Arabi Uniti. I due Paesi, infatti, sono accusati dai militanti islamisti che con-
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trollano la capitale, riuniti nella piattaforma “Operazione Alba Libica”, di essere i re-
sponsabili degli attacchi aerei avvenuti ai loro danni nell’agosto scorso. A Bengasi,
tuttavia, dopo altre esplosioni e scontri che hanno causato 14 vittime e numerosi
feriti, è stato raggiunto il primo accordo per una tregua – mediata dalle Nazioni Unite
– di dodici ore, nella giornata di mercoledì 19 novembre, così da poter evacuare i
civili e recuperare i corpi delle vittime. Nella stessa giornata del 19 novembre, in seno
alle Nazioni Unite, il gruppo armato Ansar al-Sharia è stato inserito nella blacklist dei
movimenti terroristici. Di conseguenza sarà posto un embargo sulle armi dirette ai
militanti, avverrà il congelamento dei beni appartenenti al movimento e sarà imposto
il divieto di effettuare viaggi internazionali per coloro che sono a questi affiliati. Il
provvedimento risulta valido sia per il gruppo Ansar al-Sharia di Bengasi che per il
corrispettivo movimento di Derna. In quest’ultima città, inoltre, è stato segnalato
l’arrivo di un convoglio di auto battenti la bandiera nera del califfo dell’IS al-Baghdadi.
Solo poche settimane fa l’Islamic Youth Shura Council, un gruppo di Derna vicino
all’IS, aveva dichiarato l’istituzione del wilayat di al-Barqa (la provincia della Cire-
naica). Infine, si è concluso positivamente il rapimento degli ostaggi italiani catturati
nei mesi scorsi in Libia da parte delle milizie locali. Marco Vallisa e Gianluca Salviato,
entrambi dipendenti di ditte italiane di costruzioni operanti nel Paese nordafricano,
sono stati rilasciati rispettivamente l’11 e il 14 novembre scorsi.
STATI UNITI, 6 NOVEMBRE ↴
È stata bocciata al Senato la riforma della National Se-
curity Agency (NSA), l’agenzia di intelligence degli Stati
Uniti che in passato era stata coinvolta nello scandalo
Datagate per le intercettazioni telefoniche nei confronti
di cittadini americani e di Capi di Stato e di governo
alleati. Il Freedom Act, che intendeva concludere lo
spionaggio indiscriminato, è stato bloccato in quanto non ha ricevuto i sessanta con-
sensi necessari, fermandosi invece a cinquantotto. La riforma, auspicata dall’ammi-
nistrazione Obama, è stata affossata dal “fuoco amico” di alcuni senatori democratici,
come quello della Florida, Bill Nelson. Decisiva è stata la preoccupazione di minare
eccessivamente le capacità di intelligence nel momento in cui nuovi timori di attentati
si sono diffusi tra la popolazione a causa delle minacce dell’IS. Il problema, probabil-
mente, verrà risollevato nel 2015, quando scadranno i poteri speciali alla NSA garan-
titile all’indomani degli attentati dell’11 settembre col Patriot Act. Nel frattempo,
Obama ha presentato agli americani il decreto sull’immigrazione che regolarizzerà
circa cinque milioni di clandestini concedendo loro un permesso di soggiorno ed im-
pedendo che questi vengano rimpatriati con la forza. «Non è un’amnistia di massa.
Si tratta di responsabilità e di misure di buon senso», ha affermato il Presidente,
«siamo sempre stati e saremo sempre un Paese di immigrati. Anche noi siamo stati
stranieri una volta, e ciò che ci rende americani è la nostra adesione a un’ideale
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comune, quello che tutti siamo creati uguali». I Repubblicani, che da gennaio avranno
il completo controllo del Congresso, si sono levati sugli scudi, accusando Obama di
abusare dei poteri presidenziali e di scavalcare le istituzioni democratiche compor-
tandosi come «un re o un imperatore».
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ALTRE DAL MONDO
BURKINA FASO, 19 NOVEMBRE ↴
Il colonnello Isaac Zida è il nuovo Primo Ministro ad interim del Burkina Faso. Zida
guiderà l’esecutivo nel periodo di transizione che porterà il Paese a nuove elezioni nel
novembre 2015, così come prefigurato dall’accordo che il 14 novembre ha tracciato
l’agenda del nuovo corso politico. A seguito della destituzione del Presidente Blaise
Compaoré, i negoziati aperti dalle gerarchie militari ai rappresentanti dei partiti poli-
tici, della società civile e dei gruppi confessionali avevano già espresso nella giornata
del 17 novembre l’ex Ministro degli Esteri Michel Kafando quale Capo di Stato.
COLOMBIA, 17 NOVEMBRE ↴
Il rapimento del generale dell’esercito Rubén Darío Alzate, di un consigliere militare
e di 3 soldati a Las Mercedes, uno villaggio a 15 chilometri da Quibdo, capitale del
Choco, nell’ovest del Paese, ha portato ad un’interruzione ufficiale delle trattative di
pace tra governo colombiano e forze delle FARC. L’atto definito come «inaccettabile»
dal Presidente Juan Manuel Santos potrebbe tuttavia non portare ad una completa
chiusura del dialogo qualora i militari fossero liberati a breve, derubricando l’accaduto
come una sorta di incidente di percorso. Intanto è in corso un’operazione dell’esercito
nelle zone dell’avvenuto rapimento per salvare i 5 uomini e far riprendere al più pre-
sto possibile il dialogo politico tra gli attori in campo a Cuba.
GIAPPONE, 18 NOVEMBRE ↴
Il Primo Ministro del Giappone, Shinzo Abe, ha sciolto la Camera Bassa del Parla-
mento e ha convocato nuove elezioni che si terranno il prossimo 14 dicembre. La
decisione segue l’annuncio di una nuova recessione del Paese, la terza nel corso degli
ultimi quattro anni. Alle urne Abe, che appare favorito, intende chiedere la legittima-
zione popolare per continuare a perseguire la cosiddetta Abenomics, che al momento
non ha dato i frutti sperati.
KENYA, 22 NOVEMBRE ↴
È di 28 morti il bilancio di un attentato ai danni di un autobus di turisti diretto a
Nairobi avvenuto nella contea di Mandera, nella località di Arabia, al confine con la
Somalia. L'attacco, per opera di un commando di una decina di uomini, è stato riven-
dicato dal gruppo terroristico di al-Shabaab come ritorsione per i blitz condotti dalla
polizia kenyana in alcune moschee di Mombasa sospettate di nascondere armi.
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IRAN, 22 NOVEMBRE ↴
È iniziato martedì 18 novembre l’ultimo round di trattative in merito all’accordo sul
programma nucleare iraniano. L’Iran sta affrontando il dialogo con i cosiddetti P5+1
(Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Cina, Russia e Germania), con la mediazione
dell’ex-Alto Rappresentante dell’UE Catherine Ashton, per discutere di un nuovo ac-
cordo che vada a sostituire il precedente, in scadenza al 24 novembre. Non si è an-
cora raggiunto, tuttavia, un punto comune per decidere il numero e il tipo i reattori
di cui l’Iran potrà dotarsi, a causa delle posizioni divergenti delle parti. Per tale motivo
– nel caso in cui anche le trattative di domenica 23 non riusciranno a dare i frutti
desiderati e dovranno essere rimandate a marzo 2015 – si spera almeno in una ulte-
riore proroga dell’accordo esistente, così da evitare una situazione di completa libertà
per l’Iran. Si teme, infatti, che quest’ultimo, svincolato dall’accordo, possa decidere
di procedere ad un arricchimento dell’uranio superiore a quello consentito per scopi
civili.
NIGERIA, 21 OTTOBRE ↴
Un attentato nel villaggio di Azaya Kura, attribuito al gruppo Boko Haram, ha provo-
cato la morte di quarantacinque persone. L’attacco dei miliziani si verifica a dieci
giorni dal sanguinoso atto terroristico che ha colpito una processione religiosa a Po-
stiskum durante la cerimonia dell’ashura, la ricorrenza della morte dell’imam Hussein
commemorata dallo sciismo. Benché l’esercito nigeriano sia riuscito a riprendere il
controllo di alcuni avamposti presidiati dai Boko Haram nelle zone settentrionali del
Paese, nei tre stati di Borno, Yobe e Adamawa gli episodi di violenza non tendono a
esaurirsi. Il voto del Parlamento sulla proposta presidenziale di estensione dello stato
di emergenza imposto diciotto mesi orsono nelle regioni maggiormente interessate
dalle insurrezioni terroristiche è stato sospeso in virtù dei disordini scoppiati nello
stesso consesso parlamentare. Lo stato di emergenza, da molti ritenuto fallimentare
e controproducente, è dunque decaduto.
PAKISTAN-RUSSIA, 20 NOVEMBRE ↴
A margine della visita ad Islamabad di Sergej Shoigu, la prima dopo 45 anni di un
Ministro della Difesa russo nel Paese, Pakistan e Russia hanno firmato un accordo di
cooperazione militare. Dopo il sollevamento dell'embargo sulle forniture di armi al
Pakistan (2 giugno), i due Stati hanno dichiarato la loro disponibilità a promuovere
le relazioni bilaterali nel campo della Difesa – soprattutto per ciò che riguarda la
condivisione di intelligence, le operazioni congiunte di counterterrorism, il controllo
degli armamenti e la cooperazione nell'istruzione militare – con lo scopo di assicurare
la stabilità e alla sicurezza della regione.
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POLONIA, 17 NOVEMBRE ↴
La Russia ha espulso alcuni diplomatici polacchi, tre delegati militari e un impiegato
della sezione politica, con l’accusa di «incompatibilità con il loro status», formula con
la quale si intendono attività di spionaggio. La decisione sarebbe peraltro una risposta
ad alcune misure attuate dal governo di Varsavia nel corso del mese di ottobre: un
ufficiale del Ministero della Difesa russo e un avvocato russo-polacco erano stati in-
fatti arrestati con l’accusa di spionaggio, mentre il Ministero degli Esteri polacco si
era rifiutato di accreditare un corrispondente russo sospettato di lavorare per
un’agenzia di sicurezza senza nome. La Germania ha dichiarato che la Russia avrebbe
inoltro espulso un diplomatico tedesco come rappresaglia ad un’identica azione fatta
dal governo di Berlino nei confronti di un funzionario russo in servizio presso il Con-
solato generale di Bonn.
ROMANIA, 16 NOVEMBRE ↴
Con il 54,6% dei voti, il conservatore Klaus Iohannis, leader del Partito Liberal Na-
zionale (PNL), ha battuto al secondo turno delle elezioni presidenziali il Premier so-
cialista uscente Victor Ponta, attestatosi al 45,33% dei consensi. Nonostante i risultati
ufficiali non siano stati ancora diramati, Ponta ha riconosciuto la sconfitta. La parte-
cipazione elettorale è stata di circa il 60%, 20 punti in più rispetto al primo turno del
6 novembre.
SUD SUDAN, 11 NOVEMBRE ↴
Nonostante gli accordi per la cessazione delle ostilità sottoscritti il 25 agosto, la ten-
sione nell’Alto Nilo resta elevata: occasionali scontri a fuoco tra le truppe governative
e le forze ribelli dell’ex vice Presidente Riek Machar, strumentalmente appoggiate dal
governo sudanese, continuano a ostacolare il processo di pace tra Khartoum e Juba.
Le incursioni dal confine sudanese peraltro attentano alle infrastrutture energetiche
del governatorato, che per quattro quinti contribuisce all’intera produzione petrolifera
del Paese. Le misure punitive ricorsivamente annunciate dall’IGAD (Intergovernmen-
tal Authority on Development) non sembrano dunque aver prodotto gli esiti auspicati.
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ANALISI E COMMENTI
LA CATALOGNA DIFRONTE AL NON-VOTO: LA “SCONFITTA” DI ARTUR MAS
DAVIDE VITTORI ↴
In Catalogna si è svolta la consultazione non vincolante sull’indipendenza catalana:
il “processo partecipativo” – così è stata chiamata questa giornata – nell’impossibilità
legale di avere qualcosa di simile ad un referendum (anche non vincolante) – ha visto
una partecipazione di due milioni di persone (il 32%) su una platea di sei milioni. Un
successo, per il fronte indipendentista, ottenuto con oltre l’80% dei Sì; una debacle
secondo i giornali conservatori. Nonostante si fosse paventato un prelievo delle urne
dei seggi perché “illegali”, tale ipotesi ad urne aperte è stata scongiurata dai giudici,
che hanno ritenuto questa possibile sanzione “sproporzionata”: le votazioni, quindi,
si sono svolte senza incidenti di rilievo, anche se le indagini continueranno a carico
degli organizzatori della consulta. All’appuntamento del 9 novembre la Spagna e Ca-
talogna sono arrivate dopo una storia travagliata tra il centralismo, il federalismo e
l’indipendentismo a contendersi un proprio margine di manovra (…) SEGUE >>>
VERSO UNA NUOVA ASIA-PACIFICO
PAOLO BALMAS ↴
ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA
L’Asia-Pacifico, più che una regione geografica, è un concetto strategico. Prima di
tutto non ha dei confini precisi. A ben vedere, infatti, questi differiscono in base al
punto di vista dal quale, di volta in volta, si decide di osservare gli avvenimenti. Ciò
accade anche per necessità, a causa della vasta estensione. Inoltre, quando si parla
di Asia-Pacifico, si prende principalmente in considerazione la dimensione costiera,
peninsulare e insulare dei Paesi che la costituiscono, in particolare di quelli asiatici.
Esistono, però, casi come quello della Repubblica Popolare Cinese o dell’India, che
incarnano una potenza sia marittima che continentale: realtà che sono impossibili da
scindere. Non potremmo immaginare, infatti, il ruolo politico, economico e militare
della Cina dimenticando i vasti territori e gli interessi interni, soprattutto in un mo-
mento in cui sembrano acquisire un’importanza strategica di primo piano. Spesso ci
si dimentica dei lontani Paesi del Sud, Australia e Nuova Zelanda, che sono parte
integrante dell’Asia-Pacifico. Infine, si è molto indecisi se inserire o meno quelli più
periferici, come Pakistan e Mongolia (…) SEGUE >>>
IS E PROFILI DI DIRITTO INTERNAZIONALE
GIANLUIGI MASTRANDREA BONAVIRI – FRANCESCO MINICI ↴
I recenti avvenimenti in Iraq e Siria hanno richiamato l’attenzione della comunità
internazionale sull’Islamic State (IS) in Iraq e in Siria, il cui progressivo e inedito
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rafforzamento ha destato un’ondata di forte preoccupazione tra tutti i principali attori
dello scenario internazionale. L’azione sempre più risoluta del gruppo, infatti, costi-
tuisce una minaccia non solo per la stabilità dello scacchiere mediorientale ma anche
per la pace e per la sicurezza internazionale. Considerata da una prospettiva giuri-
dica, la questione risulta complessa e articolata, coinvolgendo diversi profili di diritto
internazionale. Da un lato, è necessario condurre un’attenta analisi sullo status giu-
ridico dell’IS valutando se ricorrano i presupposti per poterlo qualificare come go-
verno insurrezionale e stabilendo se la sua matrice terroristica possa o meno incidere
su tale qualificazione. Dall’altro lato, non può trascurarsi il dibattito attinente alla
legittimità dell’intervento recentemente condotto dall’amministrazione statunitense
in Iraq e Siria al fine di contrastare l’avanzata dell’IS (…) SEGUE >>>
ALLEANZA A RISCHIO? ANALISI DELLE RELAZIONI TRA PAKISTAN E CINA
DANIELE GRASSI ↴
La visita a Pechino nei primi giorni di novembre da parte del Primo Ministro pakistano,
Nawaz Sharif, giunge in una fase estremamente delicata per il Pakistan e per l’intera
regione, e rappresenta un importante banco di prova per l’alleanza tra i due Paesi Il
governo di Islamabad fu tra i primi a stabilire relazioni con la Repubblica Popolare
Cinese, nel 1950. Uniti dal comune obiettivo di contrastare le ambizioni regionali
dell’India, Pakistan e Cina hanno negli anni rafforzato la loro alleanza a livello politico
e militare, divenuta oramai elemento imprescindibile per l’analisi delle dinamiche re-
gionali. Anche dal punto di vista economico i due Paesi hanno ottenuto buoni risultati:
dal 2009 la Cina rappresenta il principale partner commerciale del Pakistan, con un
volume di scambi che nel 2013 ha raggiunto il valore di 15 miliardi di dollari. È proprio
in questo settore che si concentrano le maggiori aspettative di entrambi i Paesi. Tut-
tavia, a dispetto della comune volontà di sfruttare al massimo il grande potenziale
economico esistente, permangono significativi ostacoli (…) SEGUE >>>
I DRONI NELLE OPERAZIONI DI INTELLIGENCE E ANTI-TERRORISMO IN YEMEN E PAKISTAN
VIOLETTA ORBAN ↴
ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA
La regione mediorientale, crocevia di importanti interessi strategici, economici e geo-
politici, ricopre un ruolo rilevante ed estremamente delicato nel panorama delle re-
lazioni internazionali. Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno conferito nuova ur-
genza alle problematiche relative alle interrelazioni tra regimi politici interni, terrori-
smo internazionale e sicurezza globale e hanno focalizzato l’attenzione in particolar
modo su alcuni Paesi in chiave di anti-terrorismo, di sradicamento di formazioni in-
tegraliste e di stabilizzazione dell’area. Nel 2004 l’amministrazione repubblicana di
Bush, che aveva precedentemente presentato gli interventi in Afghanistan nel 2001
e in Iraq nel 2003 come azioni miranti a rovesciare governi e gruppi ritenuti fian-
cheggiatori di cellule terroriste in grado di destabilizzare l’ordine globale, ha esposto
ufficialmente le linee guida della politica mediorientale statunitense. Per la prima
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volta si è fatto esplicito riferimento al concetto di Grande Medio Oriente, prospettando
un radicale cambiamento della politica occidentale in un arco esteso dal mondo arabo
ad Iran, Turchia, Israele, Pakistan e Afghanistan, con lo scopo di esercitare pressioni
a favore dell’apertura di spazi di democratizzazione e garantire un livello più elevato
di sicurezza internazionale (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
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