BloGlobal Weekly N°1/2015

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www.bloglobal.net N°1, 22 DICEMBRE 2014 10 GENNAIO 2015 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanale di BloGlobal-Osservatorio di Politica Internazionale (22 dicembre 2014 - 10 gennaio 2015)

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N°1, 22 DICEMBRE 2014 – 10 GENNAIO 2015

ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 11 gennaio 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

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Weekly Report N°1/2015 (22 dicembre 2014-10 gennaio 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net

Photo credits: AFP; AP; Reuters/Sana Handou; Richard Wareham Fotogrpahie/Alamy;

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FOCUS

FRANCIA↴

Il 7 gennaio un gruppo di almeno tre uomini dotati di fucili d’assalto Ak47 e Ak74

(non resta confermato un presunto lanciarazzi) ha condotto un attacco a Parigi alla

sede del giornale satirico Charlie Hebdo, uccidendo 12 persone – dieci tra gior-

nalisti e disegnatori e due poliziotti – e ferendone altre 20, di cui 4 in maniera grave.

Le operazioni immediatamente condotte dalle teste di cuoio francesi in tutta l'Île-de-

France – oltre che nella regione di Reims, a Strasburgo, a Pantin e a Gennevilliers

– hanno portato all'individuazione dei due presunti autori, Saïd e Chérif Koua-

chi, due fratelli franco-algerini sospettati di essere collegati ad al-Qaeda nella Peni-

sola Arabica (AQAP) e già inseriti nella no fly list degli Stati Uniti, grazie al ritrova-

mento di alcuni documenti di identità in una Citroen C3 abbandonata. I due uomini

sarebbero stati aiutati da una terza persona, il diciottenne Hamyd Mourad, costi-

tuitosi alla polizia di Charleville-Mezières, al confine con il Belgio.

Nel corso della stessa mattinata un'altra sparatoria nella zona meridionale di Parigi,

a Montrouge, nei pressi della Porte de Chatillon, ha provocato la morte di una poli-

ziotta e il ferimento di un altro agente. Il presunto attentatore sarebbe Amedy Cou-

libaly, un uomo di origini maliane, in passato arrestato dalla polizia anti-terrorismo

per aver aiutato ad evadere dal carcere Smaïn Aït Ali Belkacem, figura chiave degli

attentati alla metro di Parigi del 1995. Lo stesso Coulibaly il 9 gennaio si sarebbe reso

responsabile dell'irruzione in un supermercato kosher a Porte de Vincennes, alla

periferia orientale della capitale, prendendo in ostaggio almeno 6 persone (4 delle

quali successivamente rinvenute morte) e chiedendo la fine dell'assedio delle forze

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speciali della polizia alla tipografia di Dammartin-en-Goële (a nord est di Parigi) in

cui si erano asserragliati i fratelli Kouachi.

Un doppio blitz simultaneo da parte del Groupe d'Intervention de la Gendarmerie

Nationale (GIGN) al market ebraico e alla tipografia ha portato all'uccisione di tutti

e tre i sospetti terroristi. La polizia è peraltro sulle tracce di una quarta per-

sona, Hayat Boumedienne, compagna di Coulibaly, sui cui movimenti restano ancora

molti dubbi: secondo alcune fonti la donna non si troverebbe infatti in Francia, ma in

Siria, dov'era giunta nei primissimi giorni di gennaio attraverso la Turchia con un

presunto uomo apparentemente conosciuto alle forze di sicurezza francesi.

Mentre restano dunque numerosi buchi neri nell'individuazione delle responsabi-

lità delle forze francesi, nella ricostruzione delle dinamiche e nell'esatta identifica-

zione di persone e mezzi coinvolti nell'operazione terroristica, alcune fonti della polizia

hanno dichiarato che numerose cellule terroristiche dormienti in Francia sono

state attivate. Ricevendo peraltro l'Ambasciatore Patrick Maisonnave, il Premier

israeliano Benjamin Netanyahu ha dato ordine al proprio Ministero degli Esteri e al

Mossad di garantire tutta l'assistenza necessaria per contrastare l'ondata terroristica

in Francia.

PERCORSO DI RADICALIZZAZIONE DEI FRATELLI KOUACHI E DI COULIBALY - FONTE: AFP

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Tra l'altro, mentre in un video postumo all'attentato a Porte de Vincennes sarebbe

emersa la presunta affiliazione di Coulibaly allo Stato Islamico (IS), Sheik Harith al-

Nadhari, leader di AQAP, avrebbe confermato la rivendicazione degli episodi

di Parigi, accusando al-Bagdadi di creare una frattura tra i gruppi jihadisti con il

progetto della costruzione dell’IS.

La carica emotiva per quanto è accaduto lascia ora spazio anche ad un ampio dibattito

politico in tema di sicurezza nazionale ed internazionale: il Premier Manuel Valls ha

promesso l'adozione di nuove misure anti-terroristiche, mentre il Ministro degli

Interni Bernard Cazeneuve ha annunciato l'innalzamento del livello di allerta per la

regione di Parigi e il rafforzamento del cosiddetto "Piano Vigipirate" (il disposi-

tivo di sicurezza per l'Île-de-France, creato nel 1978, e già potenziato all'indomani

dell'intervento militare in Mali nel 2013) con la mobilitazione di altre centinaia di

militari di rinforzo. Come dichiarato dal Ministro italiano degli Interni, Angelino Alfano,

la Commissione europea potrebbe trovare opportuno varare la direttiva sulla regi-

strazione dei passeggeri che transitano in area Schengen e la conservazione

dei dati che li riguardano al fine di contrastare il fenomeno del jihadismo di ri-

torno. Già lo scorso 15 dicembre, d'altra parte, era stata individuata e smantellata a

Tolosa una filiera di smistamento verso la Siria di presunti jihadisti. Sarebbero legati

ad islamisti radicali altri singoli attentati avvenuti negli ultimi giorni di dicem-

bre contro un gruppo di pedoni a Digione, a Nantes e in un commissariato a Joue-

les-Tours.

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IRAQ/SIRIA↴

Acquisito il controllo della zona del Monte Sinjar alla metà di dicembre grazie ad

un’efficace operazione congiunta dell’esercito regolare e dei Peshmerga curdi, il go-

verno iracheno ha riaperto alcune stazioni di polizia nella provincia settentrionale di

Ninive. I militanti dello Stato Islamico (IS) che presidiavano l’area sono stati costretti

a ripiegare oltre il confine siriano nel governatorato di Hasaka, incontrando il fuoco

delle truppe di Damasco e dei guerriglieri curdi del YPG; fonti non confermate denun-

ciano che le forze leali a Bashar al-Assad abbiamo fatto uso di gas cloro nella circo-

stanza. La rinnovata pressione nel nord dell’Iraq ha perciò esercitato immediate

ripercussioni anche nel teatro siriano, dove i miliziani dell’IS hanno ingaggiato pesanti

scontri nei pressi del checkpoint di Albu Kamal con un gruppo sunnita alleato a seguito

del rifiuto di quest’ultimo di sconfinare in territorio iracheno per sostenere i jihadisti

sul Sinjar. Inoltre, i Peshmerga sono riusciti a riprendere il centro cittadino di

Kobane, uccidendo nell’avanzata il saudita Othman al-Nazih, influente leader spiri-

tuale del Califfato.

Tuttavia, la sovranità dell’IS si mantiene salda su gran parte dell’Iraq sunnita,

dove i miliziani tengono sotto scacco le arterie stradali che discendono lungo il Tigri

e l’Eufrate così bloccando sul nascere la riorganizzazione delle forze di sicurezza ira-

chene, e su larghi spazi della Siria. Tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio il

Califfato ha lanciato attacchi su Ramadi, Falluja, Baiji, mentre attentati dinamitardi

hanno insanguinato i quartieri di Samarra e Baghdad in una tragica e ininterrotta

sequela di terrore. Nonostante la minaccia incombente dei bombardamenti della coa-

lizione internazionale, sono riapparsi i lunghi convogli battenti le bandiere nere allo

scopo di rispondere con la tangibile esibizione delle risorse di morte alle defezioni di

alcuni gruppi tribali dapprima associatisi alla causa jihadista. Ai numerosi sequestri

ed espropri, si è accompagnata nuovamente la brutale prassi delle esecuzioni di

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piazza. Inoltre, mentre Riyadh annunciava la riapertura a Baghdad dell’Ambasciata

chiusa nel 1990, i miliziani islamisti colpivano le postazioni sul confine saudita

e lanciavano razzi “dimostrativi” contro la base di al-Assad, che ospita buona parte

del contingente americano; seppur inconsistenti, per la prima volta un’aggressione

dell’IS ha direttamente messo in pericolo il personale statunitense.

Di fronte alla tracotanza e alla complessiva superiorità militare del Califfato, le au-

torità irachene premono Washington per armare 100 mila combattenti irre-

golari sunniti. Recatosi a Baghdad, il senatore John McCain si è intrattenuto a tal

riguardo con il Presidente del Parlamento Salim al-Juburi, raccogliendo le richieste

delle tribù che si oppongono sul campo al disegno califfale. Separatamente all’incon-

tro, l’esecutivo statunitense ha comunicato la donazione di sei carri armati Abrams e

250 veicoli corazzati MRAP (Mine-Resistant Ambush Protected) necessari a contra-

stare la capacità di fuoco dei guerriglieri jihadisti; nell’accordo è previsto anche il

trasferimento di equipaggiamento d’assalto, compresi oltre 10 mila fucili M16.

Anche dal contesto siriano si alzano le voci per un’adunata delle tribù sunnite contro

i fondamentalisti islamici: a seguito del rapimento dei suoi tre figli, lo sceicco Nawaf

al-Bashir si è detto pronto a mobilitare la confederazione tribale di Bagara nella pro-

vincia di Dair az-Zor per affrancarsi dal giogo dell’IS. Se le tensioni con il tessuto

tribale aprono lo spazio politico per il rovesciamento degli equilibri militari, l’esplo-

sione di un’autobomba a Homs il 29 dicembre e la distruzione di cinque posti

di blocco presidiati da Hezbollah e dalle truppe governative nei pressi del villaggio

di Falita (in quest’ultimo caso con il sostegno di alcune formazioni ribelli affiliate

all’Esercito Siriano di Liberazione), testimoniano la pervicace determinazione dei ji-

hadisti. Tanto più che la sovrapposizione all’annosa guerra civile indebolisce i possibili

oppositori e rafforza la strategia dell’IS.

Mentre Jabhat al-Nustra ha rigettato la proposta dell’Inviato Speciale delle Na-

zioni Unite Staffan De Mistura sul congelamento delle ostilità nel fronte di Aleppo,

nella stessa città siriana divenuta baluardo della rivoluzione anti-Assad cinque fa-

zioni militari hanno annunciato la consociazione in un fronte unitario sotto il

comando di Abdul-Aziz al-Salama. Analogamente, l’1° gennaio i gruppi ribelli asser-

ragliati a Jobar fondavano la formazione Jund al-A’asima; nelle stesse ore e a

pochi chilometri di distanza, Bashar al-Assad era invece ripreso dai media governativi

nell’atto di rinsaldare il morale delle truppe regolari impegnate da mesi nella ricon-

quista del distretto orientale di Damasco.

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NIGERIA↴

L’offensiva militare dei guerriglieri islamici di Boko Haram ha raggiunto, mercoledì 7

gennaio, uno dei punti più alti compiendo una strage nella città di Baga, situata

nello stato del Borno, nel nord-est della Nigeria. Il risultato del raid contro la città di

Baga e i suoi dintorni, sedici villaggi di piccola e media grandezza, potrebbe aver

prodotto un numero impressionante di morti, non ancora quantificato con preci-

sione. Secondo Musa Bukar, responsabile amministrativo dell’area, intervistato

dall’agenzia France Presse, i miliziani islamici hanno assaltato e bruciato la città di

Baga e i villaggi circostanti, lasciando a terra più di 200 morti e costringendo migliaia

di persone a riparare nella savana. Almeno ventimila persone, in fuga dal massacro,

si sono rifugiate nel campo di Maiduguri, la capitale dello stato del Borno, mentre

circa 500 persone sarebbero rimaste bloccate su un’isola del Lago Ciad, senza alcuna

fonte di sostentamento. Un rappresentante di Amnesty International ha comunicato

che la città di Baga è stata quasi completamente rasa al suolo, mentre molte delle

persone che si erano rifugiate nella savana sono state inseguite ed uccise: il bilancio

del raid potrebbe raggiungere la cifra finale di 2.000 morti.

L’offensiva di Boko Haram nell’area di Baga era cominciata sabato 3 gennaio, quando

un centinaio di miliziani, pesantemente armati, si erano impadroniti dell’importante

base militare della Forza Multinazionale (MNJTF), creata per la lotta contro i

guerriglieri islamici nella quale, al momento dell’assalto, vi erano esclusivamente sol-

dati nigeriani, in quanto i contingenti di Niger e Ciad erano stati richiamati dai rispet-

tivi governi a causa di dissidi con le scelte politiche del Presidente nigeriano Goodluck

Jonathan.

La conquista della città di Baga riveste un importante valore strategico, perché dimo-

stra che Boko Haram, che aveva già conquistato le città di Malam Fatori e Damasak,

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ha ormai il pieno controllo di un’importante area al confine con Niger, Camerun e Ciad

e potrebbe estendere a questi Stati la sua azione militare. Alla fine di dicembre 2014

alcuni combattenti di Boko Haram hanno attaccato simultaneamente una colonna di

veicoli militari e una base dell’esercito camerunense situata nei pressi del confine con

la Nigeria. Il confine tra Camerun e Nigeria, in quest’area, è costituito da un ponte

che separa la città camerunense di Amchidè da quella nigeriana di Banki, già da

diversi mesi nelle mani di Boko Haram. I soldati camerunensi hanno risposto agli

attacchi di Boko Haram, uccidendo 116 miliziani.

Il 5 gennaio, il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, ha pubblicato su You-

tube un video di 17 minuti nel quale, rivolgendosi al Presidente del Camerun, Paul

Biya, ha minacciato di mettere a ferro e fuoco il suo Paese. L’estensione della minaccia

di Boko Haram inquieta ormai anche le autorità del Niger. Secondo il sindaco di una

località situata al confine con la Nigeria, il drappo nero degli islamisti è già ben visibile

e l’influenza del gruppo sulla popolazione comincia a farsi sentire. Il Ministro degli

Esteri nigerino, Mohamed Bazoum, ha affermato che il suo Paese non aiuterà la Ni-

geria a riconquistare la città di Baga, in aperta contestazione con le inefficienti stra-

tegie del governo di Abuja.

In quest’ultimo periodo, il Presidente nigeriano Goodluck Jonathan sembra più orien-

tato a garantirsi il suo secondo mandato presidenziale in vista delle elezioni del

prossimo 14 febbraio, per poi rilanciare l’azione di contrasto al gruppo islamista. No-

nostante lo sdegno provocato dall’attacco di Baga, la strategia terroristica di Boko

Haram prosegue incontrastata: nella giornata di sabato 10 gennaio una forte esplo-

sione è avvenuta al mercato di Maiduguri, provocando la morte di 19 persone

ed un numero imprecisato di feriti. L’attentato sarebbe stato condotto da una bam-

bina kamikaze di 10 anni che, bloccata da un metal detector all’ingresso del mercato,

avrebbe fatto esplodere l’esplosivo che aveva posizionato sotto il vestito.

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BREVI

COREA DEL NORD/STATI UNITI, 23 DICEMBRE ↴

Attacchi informatici arrivati, secondo l’intelligence

americana, dalla Corea del Nord e a firma dei

“Guardiani della Pace” hanno bloccato la première negli

USA, organizzata per il giorno di Natale, del film satirico

The Interview, che – a detta del regime di Pyongyang

– ridicolizzava la figura del leader Kim Jong-Un. Il

portavoce del regime, in realtà, ha smentito il

coinvolgimento del proprio governo negli atti di cyberterrorismo benché nel giugno

scorso avesse etichettato The Interview come «un atto di guerra». L’assenza di

rivendicazione, però, non ha convinto gli Stati Uniti e in particolare l’FBI. Il

Presidente, Barack Obama, il 19 dicembre aveva anticipato che Washington avrebbe

risposto «nelle modalità e nei tempi che decideremo» non lesinando critiche alla

Sony, che aveva optato per sospendere l’uscita del film. Non casualmente, nell’ultima

settima di dicembre, la rete informatica nordcoreana è stata più volte colpita da

rappresaglie informatiche e messa fuori uso. Pyongyang ha indicato negli Stati Uniti

la causa del blocco, paragonando Obama a «una scimmia». Il portavoce del regime

ha dichiarato che «se gli Stati Uniti continueranno nelle loro pratiche arbitrarie e da

gangster all’americana malgrado gli avvertimenti della Corea del Nord, andranno

incontro a ineludibili colpi mortali». L’amministrazione Obama, però, non si è fatta

intimorire e con l’inizio del nuovo anno ha annunciato una serie di nuove sanzioni al

regime di Kim Jong-Un. Washington ha così deciso di impedire l’accesso al proprio

sistema finanziario a persone ed organismi nordcoreani, mentre ai propri cittadini di

entrare in affari con Pyongyang. La Casa Bianca ha quindi annunciato che «la nostra

risposta all'attacco da parte della Corea del Nord contro Sony è proporzionale e [le

sanzioni sono] il primo aspetto della nostra risposta».

ISRAELE/PALESTINA, 7 GENNAIO ↴

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon,

ha annunciato che la Palestina accederà alla Corte Penale

Internazionale (CPI) ed a altre quattoridici convenzioni

internazionali, dal prossimo 1° aprile. Abu Mazen il 1°

gennaio 2015 aveva firmato a Roma il Protocollo per

aderire ufficialemente alla CPI in risposta alla bocciatura

da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (31 dicembre 2014) della Risoluzione

palestinese che chiedeva la fine dell’occupazione israeliana in Cisgiordania entro il

gennaio 2017. L’azione diplomatica palestinese – osteggiata anche al suo interno

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dall’ala vicina all’ex capo dei servizi di sicurezza palestinesi Mohammed Dahlan per

motivi strumentali di opportunità politica – sembra essere mirata a perseguire le

accuse di crimini di guerra contro Israele dinanzi alle organizzazioni giurisdizionali

internazionali. L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) vorrebbe citare in giudizio le

operazioni militari israeliane “Brother’s Keeper” e “Protective Edge”, ovvero le azioni

di Tzahal nei confronti dei sequestratori dei tre ragazzi ebrei rapiti in giugno a Hebron

e la successiva campagna di luglio-agosto 2014 a Gaza. Un’azione politica, questa,

che troverebbe quasi certamente il favore della Corte nel momento in cui quest’ultima

si dovresse pronunciare, come già avvenuto in passato con il rapporto Goldstone in

occasione di Piombo Fuso (2008-09), contro Israele. Tuttavia, tale mossa palestinese

potrebbe rappresentare un pericoloso boomerang in quanto nel caso in cui Israele

decidesse di presentare un medesimo procedimento giurisdizionale per atti di

terrorismo nei confronti di Hamas nella Striscia di Gaza, Tel Aviv potrebbe trovare

quasi sicuramente un pronunciamento a lei favorevole da parte della CPI. Israele ha

denunciato l’azione palestinese minacciando gravi ritorsioni contro Ramallah: tra

queste, la prima e più efficace misura di rappresaglia è stata il blocco di circa 100

milioni di euro in imposte e tasse riscosse in Israele da dover redistribuire in favore

dell’ANP, come stabilito dagli accordi di Oslo del 1993. Anche gli Stati Uniti, contrari

all’adesione palestinese alla CPI in quanto suscettibile di minare l’integrità del

processo di pace con Israele, hanno minacciato di tagliare 400 milioni di dollari di

aiuti all’ANP, qualora quest’ultima dovesse perseguire internazionalemente Israele, e

di muovere, congiuntamente con Tel Aviv, nuove sanzioni politiche e finanziarie. La

recente polemica tra Israele e ANP si inserisce in un contesto di tensioni politiche

sorte all’indomani della nascita del governo di unità nazionale tra Fatah e Hamas

dell’aprile scorso e continuate anche dopo l’ultima guerra di Gaza.

SOMALIA, 25 DICEMBRE – 7 GENNAIO ↴

Il 25 dicembre è stato compiuto un attacco per mano

di un commando di otto uomini nei pressi

dell’aereoporto di Mogadiscio, al campo base Halane,

sede dell’operazione di peacekeeping dell’Unione

Africana (UA), nonchè quartier generale delle

operazioni delle Nazioni Unite e delle Ambasciate

britannica e italiana. Nell’attentato, diretto contro le truppe dell’operazione AMISOM

dell’UA durante l’orario del pranzo, mentre le guardie avevano probabilmente

allentato il controllo della zona, sono rimasti uccisi tre soldati, un civile e cinque

militanti, due dei quali si sono fatti esplodere. In seguito, il gruppo al-Shaabab ne ha

reclamato la responsabilità affermando che si è trattato di una ritorsione per

l’assassinio di settembre del leader Ahmed Godane. Nel comunicato i militanti hanno

inoltre sostenuto che «i mujahideen possono e vogliono, con il permesso di Allah,

colpirvi dovunque in Somalia» e che «ciò che vi aspetta è ben più terribile e crudele

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di ogni altro attacco precedente. Aspettatevi di sentire ancora di noi». Quattro giorni

dopo l’accaduto di Halane, lunedì 29 dicembre, un attacco di un drone statunitense

ha colpito ed ucciso il leader del movimento terroristico, Tahliil Abdishakur.

L’operazione è avvenuta nelle vicinanze della città di Saakov, nella regione del Medio

Giuba, a 320 km da Mogadiscio, e ha colpito il veicolo su cui il target stava viaggiando

insieme ad un altro militante. Abdishakur, capo dell’ala di intelligence e di sicurezza

del gruppo, ritenuto la mente di numerosi attentati suicidi nella capitale somala, era

il successore di Godane, il quale subì la stessa sorte il 1° settembre scorso. Nei primi

giorni di gennaio, tuttavia, altri due eventi hanno scosso il Paese del Corno d’Africa.

Si tratta, per il primo, dell’esplosione di un’autobomba avvenuta il 4 gennaio nella

capitale in cui sono rimasti uccisi quattro civili. Il secondo è stata l’esecuzione capitale

di quattro uomini nel Paese di Bardhere, roccaforte dei militanti, dove le vittime sono

state processate da un tribunale islamico con l’accusa di spionaggio per conto di Stati

Uniti ed Etiopia e condannate a morte. Nonostante la perdita di terreno negli ultimi

mesi per mano delle operazioni della missione AMISOM supportata dagli Stati Uniti,

gli al-Shaabab restano dunque un pericolo presente nel Paese somalo.

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ALTRE DAL MONDO

AFGHANISTAN, 28 DICEMBRE ↴

Si è ufficialmente conclusa domenica 28 dicembre a Kabul, la missione ISAF (Inter-

national Security Assistance Force) in Afghanistan della NATO. Iniziata nel 2001, ISAF

ha portato alla caduta del governo dei talebani, all’uccisione di Bin Laden, al raffor-

zamento delle forze di polizia e sicurezza locali e delle istituzioni politiche. Nei 13 anni

della missione le truppe dispiegate sono arrivate, nel 2010, ad un picco di 140 mila

unità provenienti da 50 Paesi. Le perdite sono state di 3.485 militari, di cui 54 italiani.

Dal 1° gennaio prende il via una nuova missione in Afghanistan che si occuperà prin-

cipalmente del piano economico e civile, denominata Resolute Support, e che vedrà

in campo 13 mila militari, di cui 11 mila statunitensi e gli altri provenienti da 13 Paesi.

Il contributo italiano sarà di 750 soldati.

BAHRAIN, 9 GENNAIO ↴

La fiamma della Primavera Araba è ancora viva in Bahrain, dove gli scontri settari

hanno conosciuto un nuovo picco di tensione a seguito dell’arresto (28 dicembre)

dello Sceicco Ali Salman, leader del partito di opposizione sciita al-Wefaq che da ul-

timo aveva promosso il boicottaggio delle elezioni di novembre contro la famiglia

reale sunnita degli al-Khalifa. Washington e Bruxelles guardano con apprensione ai

nuovi scontri nelle strade di Manama, mentre l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite

per i Diritti Umani ha richiesto la liberazione di Ali Salman.

EGITTO, 8 GENNAIO ↴

Le autorità cairote hanno annunciato la seconda fase di implementazione delle misure

anti-terrorismo riguardanti l’ampliamento – già annunciato nel novembre scorso –

della buffer zone di confine lungo la Striscia di Gaza, che raggiungerà 1 chilometro di

larghezza per 13 di lunghezza. Saranno evacuate altre 1.200 famiglie che si vanno

aggiungere ad un altro migliaio già sfollato nel novembre 2014 e parzialmente rilo-

cato ad al-Arish, capitale del governatorato del Nord Sinai. Al momento desta più di

un dubbio il destino della città divisa con la Striscia di Gaza di Rafah che in base a

questa nuova misura rischia di scomparire e non è chiaro se verrà costruita altrove o

cesserà definitivamente di esistere. Intanto nei pressi di Sheikh Zuweid sono stati

scoperti i corpi di due uomini decapitati. Si teme possa essere stata un’azione di

Ansar Bayt al-Maqdis (o Wilayat Sinai, dopo la sua affiliazione il 10 novembre scorso

allo Stato Islamico), il maggiore gruppo jihadista nella regione sinaitica, che in un

video del 27 dicembre – diffuso in inglese dal sito specializzato SITE – ha rivendicato

l’uccisione per decapitazione di 12 persone, tutte accusate di spionaggio in favore di

Israele, dallo scorso 28 agosto, quando furono uccisi i primi quattro egiziani. Secondo

gli investigatori queste “nuove” uccisioni potrebbero rientrare nel conteggio effet-

tuato dal gruppo jihadista.

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GRECIA, 28 DICEMBRE ↴

Il Parlamento greco non è riuscito ad eleggere al terzo scrutinio il nuovo Capo dello

Stato, decretando come previsto per Costituzione le elezioni anticipate. La data in cui

i cittadini greci andranno alle urne sarà il 25 gennaio. I mercati internazionali hanno

reagito manifestando un certo timore per l’esito che potrà sortire. È infatti favorito il

partito di sinistra Syriza, che vuole rinegoziare il debito nazionale e venir meno alle

politiche di austerity imposte ad Atene dalla troika.

LIBIA, 10 GENNAIO ↴

L’Inviato Speciale delle Nazioni Unite in Libia, Bernardino Leon, ha annunciato in un

comunicato di sabato 10 gennaio che nuovi dialoghi di pace tra le fazioni in lotta del

Paese nordafricano si terranno nel corso della prossima settimana negli uffici ONU di

Ginevra. Le trattative si sarebbero dovute tenere il 5 gennaio, ma sono state tuttavia

rinviate. L’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e per la Politica di Sicurezza Co-

mune, Federica Mogherini, ha dichiarato in merito all’incontro che «quest'ultima riu-

nione [...] offre un'opportunità cruciale per riunire attori chiave e trovare una solu-

zione pacifica fondata sul dialogo». Scontri si continuano nondimeno a verificare nel

Paese: nella giornata di venerdì 9 nella città di Bengasi sono morte sei persone e

venti sono rimaste ferite nella battaglia tra i gruppi rivali.

LITUANIA, 1° GENNAIO ↴

Dopo l’approvazione nello scorso luglio da parte del Consiglio europeo, con l’inizio del

2015 la Lituania è divenuta ufficialmente il diciannovesimo membro dell’Eurozona,

portando a 337 milioni il numero di persone che condividono l’Euro come moneta

nazionale. Vitas Vasiliauskas, a capo della Banca Centrale lituana, ha affermato che

«l'entrata nell'Euro è uno strumento per approfondire la nostra integrazione europea:

più vicini siamo all'Occidente, più lontani siamo dall'Est».

TUNISIA, 5 GENNAIO ↴

Habib Essid è stato nominato Primo Ministro della Tunisia. Già Ministro degli Interni

nell’interludio del governo ad interim che nel 2011 avviò il percorso di democratizza-

zione e poi consigliere dell’ex Segretario Generale di Ennahda, Hamadi Jebali, la de-

signazione di Essid è stata esplicitamente votata alla formazione di un governo inclu-

sivo, benché la vicinanza ai partiti islamisti e la lunga carriera amministrativa nel

regime di Ben Ali preoccupino gli elementi secolari del nuovo corso politico tunisino.

Il 22 dicembre il secondo turno delle consultazioni presidenziali aveva sancito la no-

mina a Capo di Stato di Béji Caïd Essebsi, espressione del partito laico di maggioranza

Nidaa Tounes.

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UCRAINA, 23 DICEMBRE ↴

Con 303 voti favorevoli e 8 contrari, il Parlamento ucraino ha votato la legge che

cancella lo status di Paese non allineato, mentre il Presidente Petro Poroshenko ha

promesso di indire un referendum per l'adesione alla NATO. Mentre sono saltati i

colloqui di pace previsti a Minsk per gli scorsi 26-27 dicembre, lo stesso Poroshenko

ha indetto un summit con Russia, Francia e Germania ad Astana per il prossimo 15

gennaio. L’8 gennaio la Commissione europea ha annunciato lo stanziamento di un

nuovo prestito per Kiev di 1,8 miliardi di euro, proposta che dovrà essere ora vagliata

dai Ventotto oltre che dal Parlamento Europeo. Come spiegato dal Presidente della

Commissione europea Jean-Claude Juncker, in visita a Riga per l'inaugurazione del

semestre di presidenza lettone, i prestiti per il periodo 2015-16 sono condizionati

all’attuazione di riforme strutturali e questi potrebbero aggiungersi al nuovo pac-

chetto di aiuti attualmente in negoziazione con il Fondo Monetario Internazionale.

YEMEN, 7 GENNAIO ↴

Un’autobomba è esplosa nei pressi dell’accademia di polizia nella capitale Sana’a uc-

cidendo 37 persone e ferendone almeno 86. L’attacco, sebbene non rivendicato, è

plausibile sia stata opera dei jihadisti di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), già

autori nei mesi passati di numerosi attentati nel sud del Paese e impegnati in una

cruenta guerra interna contro i gruppi ribelli sciiti-zayditi Houthi.

Page 16: BloGlobal Weekly N°1/2015

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ANALISI E COMMENTI

COUNTRY PROFILES: BAHRAIN

STEFANO LUPO ↴

La famiglia sunnita degli al-Khalifa controlla il piccolo Stato insulare del Bahrain dalla

fine del 1700 e rappresenta la memoria storica del Paese che per primo iniziò lo

sfruttamento economico dei proventi derivanti dall’oro nero. Una dinastia che con-

trolla una popolazione per due terzi composta da sciiti e per circa il 35% del totale

da lavoratori stranieri. Da questi dati ben si comprende come in fieri il vero problema

per il Bahrain non sia tanto la produzione petrolifera in declino quanto il disordine

socio-politico latente sul territorio nazionale, miracolosamente sopita fino agli inizi

del XXI secolo, in particolare al 2011. Riforme e procedure di democratizzazione im-

poste dall’alto da parte del governo del Re Hamad al-Khalifa non hanno sortito gli

effetti sperati; il Bahrain continua ad essere una delle pedine fondamentali degli equi-

libri regionali, nonostante gli imbarazzi che provocano non solo la diatriba tra la mi-

noranza sunnita e la maggioranza sciita, ma anche per gli affari poco chiari della

famiglia reale stessa. (…) SEGUE >>>

2015, LE STRATEGIE ECONOMICHE DELL’UE

FEDERICA CASTELLANA ↴

Il 2014 è stato per l’Unione Europea soprattutto un anno di transizione istituzionale.

Prima la lunga campagna elettorale, poi le elezioni di maggio che hanno portato alla

formazione e all’insediamento del nuovo Parlamento. Quindi l’avvio del complesso

iter per il rinnovo dei vertici europei: la nuova Commissione Juncker, il nuovo Alto

Rappresentante per gli Affari Esteri e per la Politica di Sicurezza Comune Federica

Mogherini e il nuovo Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che però sono

entrati in carica solo tra novembre e dicembre. Ma il 2014 è stato anche, e ancora,

un anno di sostanziale stagnazione economica, con la recessione che continua a farsi

sentire e non accenna a mollare la presa. La crescita non è andata oltre l’1,3%

nell’Unione e i livelli di disoccupazione restano elevati. La tanto attesa ripresa econo-

mica prevista per il 2015 sarà comunque debole. I tassi di crescita stimati si limitano

all’1,5% per l’intera Unione e all’1,1% per la zona Euro e la disoccupazione dovrebbe

scendere rispettivamente al 10% e all’11,3% (…) SEGUE >>>

A cura di

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