BloGlobal Weekly N°23/2014

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www.bloglobal.net N°23, 19 OTTOBRE NOVEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanale di BloGlobal-Osservatorio di Politica Internazionale (19 ottobre-1° novembre 2014)

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N°23, 19 OTTOBRE – 1° NOVEMBRE 2014

ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 2 novembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

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Weekly Report N°23/2014 (19 ottobre – 1° novembre 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net

Photo credits: AP; Reuters; AFP; John Locher/AP; AFP/Ashraf Shazly; CNN; Gleb Garanich/Reuters; EPA;

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FOCUS

BURKINA FASO ↴

Dopo 27 anni di governo, Blaise Compaoré non è più il Presidente del Burkina

Faso: le sue dimissioni sono state comunicate il 30 ottobre scorso a seguito delle

violente proteste popolari ancora in corso. Secondo le ultime indiscrezioni di stampa,

Compaoré – dato precedentemente in fuga in Senegal – avrebbe trovato rifugio, gra-

zie all’aiuto francese, in Costa d’Avorio, a Yamoussoukro, centro economico situato a

circa 240 chilometri dalla capitale Abidjan. A causare la dipartita del Presidente sono

state le violenti proteste popolari contro l’ultimo tentativo di prolungare il

suo periodo di permanenza alla Presidenza attraverso un discutibile cambia-

mento dell’articolo 37 della Costituzione burkinabè, che limita a soli due i mandati

l’incarico presidenziale. In realtà Blaise Compaorè, salito al potere con un sanguinoso

colpo di Stato nel 1987, era già stato confermato alla presidenza per due periodi di

sette anni e poi per altri due di cinque, e si apprestava a trovare un nuovo escamotage

per ripresentarsi alle elezioni del 2015.

Le proteste popolari contro questo proposito sono andate avanti per diverse setti-

mane ma hanno toccato l’apice nella giornata del 30 ottobre, quando, alla vigilia della

firma del contestato emendamento, le manifestazioni di dissenso si sono sviluppate

anche nella capitale Ouagadougou: Parlamento e sede della televisione nazio-

nale sono stati presi d’assalto. Non sono serviti a nulla gli appelli alla calma e alla

cessazione delle ostilità emessi alla radio nazionale da Compaoré, né l’annuncio del

ritiro dell’emendamento costituzionale: le opposizioni e i gruppi civili hanno conti-

nuato le loro proteste, chiedendo le dimissioni immediate del Presidente.

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Due alti ufficiali dell’esercito hanno successivamente affermato, a poche ore di di-

stanza l’uno dall’altro, di ritenersi alla guida del governo di transizione che si preoc-

cuperà di riportare il Paese alla normalità: il primo è il Generale Nabéré Honoré

Traoré, Capo di Stato Maggiore dell’esercito, molto vicino a Compaorè, il secondo è il

colonnello Yacouba Isaac Zida, comandante aggiunto della Guardia Presidenziale. Il

giorno dopo, a seguito di una lunga e turbolenta lotta interna all’esercito, è il colon-

nello Zida ad affermarsi quale leader ad interim del Paese. La scelta di Zida pare

tuttavia non trovare il pieno appoggio popolare: infatti tra i manifestanti scesi in

piazza contro Compaoré, il nome più gradito risultava essere quello di Kouamé

Lougué, ex Capo di Stato Maggiore dell’esercito e già Ministro della Difesa, dimissio-

nato proprio da Compaorè nel 2005.

Ad ogni modo, la nomina di Zida non sarebbe in linea con quanto prevede

invece la Costituzione burkinabé che nel caso di dimissioni del Capo dello Stato

attribuisce al Presidente del Senato poteri transitori, con l’obiettivo di indire elezioni

in un periodo tra i 60 e 90 giorni: molti credono che l’intervento dell’esercito possa

prolungare questo periodo di transizione. Proprio a causa di questo timore, i partiti

di opposizione, i sindacati e i diversi gruppi della società civile hanno indetto una

grande marcia popolare per il 2 novembre per protestare contro la presa del potere

da parte dell’esercito. «Questa vittoria politica è il frutto delle proteste popolari, e il

compito di gestire la transizione spetta, per diritto, al popolo», ha affermato un rap-

presentante dei gruppi di opposizione.

Nel frattempo, il Colonnello Zida ha già deciso la riapertura delle frontiere aeree e il

mantenimento di un coprifuoco limitato alle sole ore notturne. In questo scenario di

crisi politica, l’Unione Africana prova ad intervenire intimando il ristabilimento

della tranquillità sociale e minacciando l’esercito circa il fatto che qualsiasi tipo di

repressione violenta della volontà popolare condizionerà l’appoggio politico interna-

zionale e il sostegno finanziario al Paese.

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EGITTO ↴

La spirale di violenza che contraddistingue il Sinai centro-settentrionale ha conosciuto

un nuovo e cruento episodio. Il 24 ottobre un duplice attentato tra al-Arish e

Sheikh Zuweid ha provocato la morte di 31 militari egiziani (di cui due uffi-

ciali), facendo registrare così il più grave attentato contro le autorità centrali cairote

dalla seconda rivoluzione egiziana iniziata con la deposizione dell’ex Presidente Mo-

hammed Mursi, il 3 luglio 2013. Gli attacchi, rivendicati poche ore dopo dalle

sigle jihadiste di Ajnad Misr e da Ansar Bayt al-Maqdis, sono stati rivolti contro

un checkpoint militare ad al-Kharouba, nei pressi di al al-Arish – e nel quale sono

morte 24 persone –, e contro la base di Karm al-Kawadess, vicino Sheikh Zuweid,

uccidendo sette soldati.

Nel condannare gli attentati, il Presidente Abdel Fattah al-Sisi ha accusato Hamas

e “forze straniere” (senza tuttavia specificare quali queste siano) di essere i man-

danti dei nuovi attacchi nel Sinai. Anche la Lega Araba ha condannato fermamente

gli episodi e in una nota di condoglianze alle famiglie dei militari morti, il Segretario

Generale, l’egiziano Nabil al-Arabi, ha ribadito che l’organizzazione sostiene «tutte le

misure prese dall'Egitto contro il terrorismo e chiede alla comunità internazionale di

sostenere a sua volta gli sforzi egiziani per eliminare questa piaga che colpisce di-

verse parti del mondo arabo». Cordoglio e condanna anche da parte dei Fratelli

Musulmani, i quali però hanno addebitato i gesti alla sistematica repressione per-

petrata contro qualsiasi forza islamista, moderata o radicale che essa sia, da parte

del Presidente al-Sisi. Secondo il gruppo dichiarato fuorilegge nel dicembre 2013, i

militari sono i responsabili politici della grave situazione di insicurezza che vive l’intero

Paese e soprattutto per l’escalation di attacchi nel Sinai settentrionale.

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Il Consiglio di Difesa egiziano, presieduto dallo stesso Presidente al-Sisi, ha pertanto

autorizzato una serie di misure straordinarie contro il terrorismo nel Sinai. Innanzi-

tutto ha lanciato una nuova operazione di counterterrorism, mirata al solo Sinai

settentrionale, imponendo per tre mesi lo stato d'emergenza e un coprifuoco notturno

nel territorio.

In secondo luogo sono partite le operazioni militari, uccidendo in due raid distinti

con elicotteri da combattimento otto militanti islamisti (27 e 28 ottobre). Tra questi

le forze di sicurezza ritengono di aver eliminato due degli autori materiali degli

attentati del 24 ottobre. Un’altra operazione aerea è stata lanciata il 1° novembre

quando gli elicotteri egiziani hanno effettuato attacchi contro i villaggi di al-Tuma al-

Mukataa e di al-Mahdiya, nel Sinai Centrale, ritenuti da tempo le roccaforti di Ansar

Bayt al-Maqdis e dei diversi gruppi jihadisti attivi nella Penisola.

Il Consiglio di Difesa ha inoltre conferito nuovi e più ampi poteri speciali

all’esercito: la misura autorizza la protezione militare per tutte le infrastrutture ri-

tenute strategiche come gasdotti, linee ferroviarie, edifici pubblici, strade e ponti; un

attacco contro queste sarà equiparato ad un atto di terrorismo e i soggetti, anche

civili, rei degli attentati saranno sottoposti a giudizio delle corti militari.

Infine, è stata stabilita la chiusura

sine die del valico di Rafah e

l’istituzione di una buffer zone

di 500 metri di larghezza per 13

chilometri di lunghezza, lungo

tutto il confine che separa l’Egitto

dalla Striscia di Gaza. Questa mi-

sura risulta essere molto impor-

tante nell’ottica dell’esercito per-

ché mirata a snidare i terroristi dai

rifugi sicuri lungo il confine di Gaza

e il valico di Rafah, da dove par-

tono diverse centinaia di tunnel

sotterranei utilizzati per il trasporto da e verso la Striscia di beni di prima necessità

(al fine di aggirare l’embargo ancora vigente nel territorio gazawi), ma anche armi e

droga. Sebbene le forze di sicurezza egiziane abbiano distrutto circa l’80% dei 1.500

tunnel finora scoperti, le autorità del Cairo non sono ancora riuscite a interrompere

questo flusso clandestino.

La buffer zone è stata istituita lo scorso 30 ottobre dopo che l’esercito aveva lanciato

un ultimatum di 48 ore agli abitanti siti lungo il confine con l’ordine di abban-

donare immediatamente il luogo sottoposto a legislazione militare. Sono state per-

tanto distrutte 800 abitazioni e sono state fornite 313 lire egiziane come compensa-

zione alle oltre un migliaio di famiglie residenti (circa 10.000 persone).

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L’istituzione di una zona cuscinetto nel Sinai settentrionale è stata molto criticata

all’interno dell’Egitto, tanto da far paventare ad alcuni attivisti per i diritti umani che

la misura fosse contraria all’articolo 62 della nuova Costituzione, in quanto non ga-

rantiva «libertà di movimento, residenza ed emigrazione».

L’amministrazione Obama ha invece appoggiato politicamente tale iniziativa e

ha ricordato che presto Il Cairo riceverà i 10 elicotteri Apache previsti dagli accordi

di fornitura militare bilaterale. Sempre Washington, attraverso la portavoce del Di-

partimento di Stato, Jen Psaki, ha ribadito tutto il supporto degli Stati Uniti alle azioni

di lotta al terrorismo internazionale nel Paese e nella regione.

La Penisola del Sinai già pochi anni prima della caduta di Mubarak aveva sperimentato

una stagione terroristica che si credeva conclusa dopo i numerosi arresti contro so-

prattutto le comunità beduine locali. Con la deposizione del vecchio rais nel 2011, il

territorio non è più sotto il controllo delle autorità centrali del Cairo.

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TURCHIA-SIRIA-IRAQ ↴

Nella giornata del 30 ottobre, 50 guerriglieri dell’Esercito Siriano Libero sono entrati

a Kobane per cingerne le difese contro il lungo assedio portato avanti dalle forze dello

Stato Islamico (IS), che mantengono saldamente il controllo su circa metà della zona

urbana, oramai trasfigurata in uno spettrale teatro di battaglia. Si tratta di un primo

drappello che anticipa l’arrivo di 150 peshmerga iracheni, equipaggiati con arma-

mento pesante e in attesa nella vicina Suruc di unirsi alla lotta sul confine turco-

siriano.

Dietro le sollecitazioni degli alleati occidentali, il governo presieduto da Davutoğlu ha

rimosso i veti alzati contro un intervento a vantaggio della salvaguardia di Kobane,

raggiungendo un’intesa con le autorità di Erbil per il passaggio di uomini e

armi nell’enclave curda in territorio siriano. Lo scatto in avanti della leadership

turca è maturato a seguito dei molteplici lanci effettuati il 19 ottobre dai C-130 ame-

ricani per rifornire l’ala armata del Partito di Unione Democratica (PYD), ossia della

principale fazione curda siriana di opposizione al regime di al-Assad, che Ankara (e

fino a pochi giorni orsono anche Washington) designa come organizzazione terrori-

stica alla stregua del PKK. Erdoğan aveva precedentemente dichiarato che armare i

militanti del PYD sarebbe stato inaccettabile, inoltre condannando il pesante silenzio

occidentale nei riguardi della guerra civile che da tre anni sconvolge lo scenario si-

riano ed alla quale è fatta risalire l’odierna escalation. Di fronte al pragmatismo esi-

bito dall’amministrazione Obama, il governo turco è stato costretto a recuperare ter-

reno in una partita diplomatica altrimenti perdente, individuando in Masoud Barzani,

Presidente del Kurdistan iracheno e inviso al PYD, un interlocutore privilegiato.

Nonostante l’accordo di collaborazione negoziato a Dohuk, il fronte curdo è tutt’al-

tro che unitario, laddove i peshmerga siriani impegnati a Kobane hanno accolto con

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disapprovazione l’ingerenza delle forze di Barzani, nonché dell’Esercito Siriano Libero,

ed accusano Ankara di voler marginalizzare la posizione del PYD nella gestione della

crisi. Mentre è sul tavolo l’ipotesi di portare a oltre mille unità il contingente

dei ribelli siriani, nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre i raid statunitensi hanno

sostenuto la riconquista del villaggio di Tel-Shahir, situato sulla vicina collina che

guarda Kobane – postazione adibita a punto di raccolta del ponte aereo allestito dalla

coalizione internazionale.

Le stesse truppe fedeli a Damasco sono in lotta serrata con i militanti jihadi-

sti. I bombardamenti statunitensi, come ammesso dal vertice del Pentagono Chuck

Hagel, avvantaggiano l’esercito regolare nella repressione delle opposizioni. La presa

di Morek dopo nove mesi di interregno delle forze ribelli ne è il segno tangibile. Tut-

tavia, la sovranità di Damasco è contesa se non propriamente inesistente in gran

parte del Paese, dalle provincie settentrionali sino al confine iracheno, e la pressione

del Califfato diventa progressivamente insostenibile per il regime di al-Assad. L’Inter-

national Business Times ha documentato la decapitazione di 70 ufficiali siriani com-

piuta dai miliziani di Jahbat al-Nusra.

È tuttavia nella provincia di al-Anbar, nel cuore sunnita dell’Iraq da cui proruppe

la chiamata alle armi di al-Baghdadi, che si sta consumando il capitolo centrale del

conflitto sollevato dall’instaurazione del sedicente Stato Islamico. Le divisioni

dell’esercito iracheno operative nell’area sono state gravemente danneggiate dal

fuoco jihadista e dalle numerose diserzioni. Per converso, le colonne dell’IS ten-

gono sotto scacco la base aerea di Ain al-Asad (ultima installazione lasciata dai

Marines nel dicembre 2011), mobilitano rinforzi verso Falluja ed ambiscono a sferrare

attacchi decisivi contro il capoluogo Ramadi e la diga di Haditha, obiettivi strategici

la cui capitolazione pregiudicherebbe la stessa tenuta di Baghdad.

Abdulwahab al-Saadi, Generale di corpo d’armata e comandante delle forze governa-

tive schierate nella provincia, ha annunciato un’imminente operazione per la ri-

conquista di Baiji, sede della maggiore raffineria irachena, caduta nelle mani dell’IS

a seguito dell’assoggettamento di Mosul. Tuttavia, il Comando Centrale degli Stati

Uniti avverte che una solida controffensiva dell’esercito iracheno richiederà mesi di

preparazione, mentre il governo di Baghdad non appare materialmente e politica-

mente in grado di sostenere la flebile resistenza delle tribù sunnite. Dopo quattro

mesi di combattimenti, solo l’integrazione di 10mila miliziani sciiti ha permesso alle

forze di sicurezza irachene di riprendere Jurf al-Sakhar, cittadina sull’Eufrate a

circa 30 km da Karbala, quest’ultimo luogo sacro dello sciismo che ospita la tomba

dell’imam Hussain ibn Ali, nipote del profeta Muhammad. Malgrado ciò, la presenza

delle milizie sciite (dirette da Teheran) aggrava la reciproca diffidenza tra le istituzioni

centrali ed il tessuto tribale dei gruppi sunniti, benché l’ascrizione di questi alla causa

di un accordo di unità nazionale costituisca un tassello ineludibile della lotta contro

l’IS.

A conclusione di una riunione ad Amman con alcune figure di spicco delle tribù di

Anbar, il Primo Ministro Haider al-Abadi – recatosi a Teheran nei giorni precedenti per

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un lungo colloquio con Rouhani volto a rafforzare la cooperazione militare tra le parti

– ha dato il proprio benestare alla creazione di una forza volontaria di 30mila

unità entro la quale coordinare ed armare la resistenza sunnita. Eppure, il dispendio

di risorse belliche nel teatro siriano da parte della coalizione internazionale e la de-

bolezza strutturale del nuovo governo tendono al consolidamento delle conquiste ji-

hadiste nel Paese. A rappresentare atrocemente tanto la concretezza del furore ideo-

logico dei seguaci di al-Baghdadi, quanto la precarietà della provincia di Anbar è il

rinvenimento di due fosse comuni nei pressi di Ramadi e di Hīt, quest’ultima

sottratta al controllo dell’esercito iracheno il 14 ottobre: sarebbero oltre 220 gli uo-

mini, appartenenti alla tribù sunnita di Albu Nimr, giustiziati per ritorsione dalle divise

nere del Califfato. A ciò si aggiunge la notizia, raccolta da Human Rights Watch,

dell’esecuzione di almeno 600 prigionieri perpetrata all’interno del carcere di Baboush

nello scorso giugno, all’apice dell’offensiva che piegò Mosul.

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UCRAINA ↴

Come da aspettative, le elezioni legislative anticipate del 26 ottobre hanno

decretato la vittoria dei partiti filo-occidentali, segnando probabilmente un

nuovo passo nella crisi iniziata nel novembre dello scorso anno.

Il partito del Premier Arseniy Yatsenyuk, Narodniy Front (Fronte Popolare), ha otte-

nuto il 21,68% dei voti, superando di pochi decimi la formazione del Capo dello Stato,

Blocco Poroshenko, attestatasi al 21,64%, al di sotto dunque delle previsioni iniziali

basate sul largo consenso registrato in occasione delle elezioni presidenziali di maggio

e sui sondaggi che la davano al 30%. Al terzo posto Samopomich (Auto Aiuto), for-

mazione moderata esordiente guidata dal sindaco di Leopoli Andriy Sadovy, che ha

raggiunto il 10,5% dei consensi, mentre crolla Batkivshchyna (Patria) di Yulia Timo-

shenko, passata dal 25,5% del 2012 – prima del distacco di Yatsenyuk – al 5,68%,

appena sufficiente per entrare nel Parlamento. Si ferma al 7,6% il Partito Radicale

di Oleh Lyashko, che pur migliorando significativamente la propria performance

(1,8% nel 2012), non è riuscito a superare il 10% previsto dai sondaggi. Ottiene

l'8,3% il Blocco Opposizione guidato dall'ex Ministro dell'Energia Yuri Boyko e spon-

sorizzato dagli oligarchi Rinat Akhmetov e Dmytro Firtash: l'erede del Partito delle

Regioni dell'ex Presidente Yanukovich resta l'unico gruppo apertamente contrario al

processo di integrazione europea in seno al Parlamento, nonché prima forza politica

nelle regioni orientali di Dnipropetrovsk, Donetsk, Luhansk, Kharkiv e Zaporizhia. Re-

stano infine fuori dalla Rada i gruppi politici più estremisti, come Svoboda, passato dal

10,4% al 4,7%, il Partito Comunista, anch'esso sceso al 3,8% dal 13,1% del 2012, e

Pravy Sektor, fermo all'1,8%. L'affluenza alle urne è stata del 54,4%, in calo di

5 punti rispetto alle consultazioni del 2012; bloccate inoltre le operazioni di voto nelle

zone controllate dai separatisti (circa 30 seggi su 450 in Parlamento resteranno

vuoti), i quali hanno convocato per il 2 novembre elezioni autonome.

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L'annuncio del riconoscimento da parte della Russia del voto autoregolato nelle

Repubbliche Popolari autoproclamate di Donetsk e Lugansk – differentemente

da quanto aveva fatto in occasione dei referendum indipendentisti dello scorso mag-

gio – ha nuovamente riacceso le tensioni tra Mosca e Kiev, la quale ha aperto un'in-

chiesta su un possibile sovvertimento dell'ordine costituzionale in base «al comma 3

dell'articolo 109 del codice penale ucraino», come ha spiegato il portavoce del Con-

siglio di Sicurezza nazionale ucraino Volodimir Poliovi. Mentre Vladimir Putin ha riba-

dito la necessità di instaurare un serio dialogo tra le autorità centrali e quelle del

Donbass per una stabilizzazione della situazione, gli Stati Uniti, attraverso il porta-

voce del Consiglio di Sicurezza della Casa Bianca, Bernadette Meehan, hanno dichia-

rato il voto illegittimo e hanno accusato il Cremlino – posizione condivisa anche dal

Segretario della NATO, Jens Stoltenberg – di minare il processo di pace e di violare

palesemente gli accordi di Minsk dello scorso 5 settembre, che in ragione di

un conferimento di uno status speciale per queste regioni prevedevano un voto locale

per il prossimo 7 dicembre.

Più cauta in merito la posizione dell'Unione Europea, anche alla luce dell'accordo sul

gas raggiunto il 30 settembre che sembra scongiurare un blocco degli approvvi-

gionamenti per il prossimo inverno. Secondo il cosiddetto Winter Package, mediato

dal Commissario europeo uscente Gunther Oettinger e i cui termini sono fissati fino

a marzo del 2015, Kiev pagherà a Mosca i primi 4 miliardi di metri cubi di oro blu al

prezzo di 378 dollari ogni mille metri cubi fino alla fine del 2014 e di 365 dollari ogni

mille metri cubi nel primo trimestre 2015. A Gazprom verrà inoltre saldato un debito

di 3,1 miliardi di dollari attraverso un pagamento in due tranche, la prima da 1,45

miliardi da pagare subito e la seconda da 1,65 miliardi da saldare entro la fine

dell'anno. UE e Fondo Monetario Internazionale si faranno garanti di tale impegno.

Il 1° novembre è intanto entrato in vigore l'Accordo di Associazione con Bruxel-

les, anche se la zona di libero scambio commerciale funzionerà solo dall'inizio del

2016 e nel frangente resterà in vigore il regime di libero scambio all'interno della CSI

con la possibilità di un'apertura di Kiev a determinati prodotti europei.

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BREVI

AFGHANISTAN, 26 OTTOBRE ↴

Sono state simbolicamente ammainate le bandiere di

Stati Uniti e Regno Unito nella base militare di Camp

Bastion e in quella vicina di Leatherneck, situate nella

provincia afghana di Helmand. Ciò significa che è

terminata la combat mission in Afghanistan dei due

Paesi. Le Forze Armate locali hanno preso il controllo

di entrambe le basi. Il ritiro, da tempo iniziato, proseguirà celermente nel corso dei

prossimi mesi. Con la conclusione della missione International Security Assistance

Force (ISAF), in Afghanistan resteranno, complessivamente, circa dodicimila soldati

occidentali con compiti di sostegno ed addestramento alle Forze locali, di cui la gran

parte (poco meno di diecimila) sarà fornita da Washington. Un sondaggio della BBC

ha rilevato che meno della metà dei cittadini statunitensi ritiene sia stato utile

l’impegno ultradecennale dei propri militari in Afghanistan. Due terzi pensano che

l’attuale governo di Kabul non riuscirà a proteggere gli afghani da una nuova guerra

civile senza un’assistenza concreta di Washington. Nel Regno Unito solo un britannico

su quattro ha dichiarato che l’impegno delle Forze di Sua Maestà in ISAF ha migliorato

la situazione dell’Afghanistan. Solamente il 14% del campione, infine, ha sostenuto

che l’intervento militare ha reso la propria nazione più sicura. Nel frattempo, il nuovo

Capo di Stato afghano, Ashraf Ghani, si è recato il 31 ottobre a Pechino per una

conferenza regionale cui hanno partecipato una trentina di Paesi, tra cui Pakistan e

Iran. Ghani ha affermato che «la pace è l’assoluta priorità» invitando gli insorti,

«particolarmente i talebani» a «partecipare al processo di pace inter-afghano». Per

l’occasione, Cina e Afghanistan hanno firmato una serie di accordi del valore di circa

trecento milioni di dollari.

CANADA, 20-22 OTTOBRE ↴

Due attentati si sono succeduti, nel corso delle ultime

settimane, in Canada. Il primo è avvenuto lunedì 20

ottobre a St-Jean-Sur-Richelieu – in Quebec – per

mano di Martin Couture-Rouleau, 25 anni, il quale si è

diretto con la propria auto contro una pattuglia di

militari causando la morte di uno dei due. Couture-

Rouleau è stato a sua volta ucciso dalla polizia durante l’inseguimento seguito

all’attentato. Il secondo episodio violento si è verificato due giorni dopo, il 22 ottobre,

presso la sede del Parlamento canadese, Parliament Hill, mentre erano in corso, alla

presenza del Primo Ministro Stephan Harper, i regolari lavori dell’Assemblea.

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L’attentatore, Michael Zehaf-Bibeau, ha aperto il fuoco uccidendo un poliziotto di

origini italiane, Nathan Cirillo, e ferendone altri due di fronte all’edificio. Zehaf-Bibeau

è stato ucciso per mano di un poliziotto all’interno della sede del Parlamento, mentre

cercava di raggiungere le sale interne. I due attentatori erano entrambi canadesi di

recente convertiti all’Islam. Nei confronti di Couture-Rouleau, il governo canadese

aveva emesso nei mesi passati un provvedimento per il sequestro del passaporto in

quanto considerato “viaggiatore a rischio”, categoria nella quale vengono inserititi

tutti coloro che sono sospettati di avere intenzione di recarsi all’estero per

commettere crimini. Couture-Rouleau era, dunque, già noto alla sicurezza per le sue

idee estremiste. Zehaf-Bibeau non era inserito, invece, nella stessa lista dei 93

soggetti a rischio, ma aveva recentemente richiesto di avere il suo passaporto,

secondo alcuni conoscenti, con lo scopo di recarsi in Siria. Inoltre, il padre di Zehaf-

Bibeau nel 2011 abbracciò la causa dei ribelli libici combattendo contro il regime di

Gheddafi. Le indagini hanno dimostrato che i due uomini hanno agito separatamente

l’uno dall’altro e senza il supporto di alcun commando o cellula affiliata a gruppi

islamici. La notizia dei due attentati sorprende il Canada, un Paese con un numero

particolarmente basso di omicidi annuali e di criminalità, a differenza dei vicini Stati

Uniti. Inoltre, lo Stato canadese, a differenza degli USA, conduce una politica

piuttosto restrittiva in materia di armi da fuoco, motivo per cui questi accadimenti

risultano essere generalmente piuttosto rari.

CINA-HONG KONG, 20-23 OTTOBRE ↴

Si è tenuto a Pechino, dal 20 al 23 ottobre, il IV Plenum

del Comitato permanente del Partito comunista cinese,

la sessione annule plenaria diretta a decidere le

politiche da adottare nell’anno successivo. Il tema

centrale della discussione è stato la “regolamentazione

del Paese attraverso la legge” che potrebbe apparire

simile al concetto di Stato di diritto. Tuttavia, in base al comunicato di chiusura del

Plenum, le caratteristiche connotate allo Stato di diritto cinese sono ben diverse da

quelle intese con tale definizione. Resta, infatti, preponderante in Cina il potere

decisionale del Partito, con una nuova interpretazione socialista del concetto

originario. Tra le misure decise dal Comitato del Partito troviamo un incremento nella

rigidità della selezione dei giudici in base al merito e una maggiore indipendenza delle

corti giurisdizionali dai governi locali. Tale provvedimento, tuttavia, da alcuni analisti

è visto come una mera misura per il Partito per poter controllare maggiormente il

potere giudiziario. Un ulteriore obiettivo annunciato è stata la volontà di apportare

maggiore trasparenza nelle decisioni del governo e di continuare nella lotta alla

corruzione. A conferma di tale volontà sono stati espulsi nella stessa sessione cinque

grandi rappresentanti del Partito accusati di corruzione. Anche in questo caso non

mancano voci a sostegno della tesi secondo cui l’epurazione sia solo una conseguenza

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dei dissidi tra le varie fazioni interne al Partito, piuttosto che una reale lotta alla

corruzione. È stata poi sottolineata con particolare enfasi l’importanza di riportare in

primo piano la Costituzione cinese, così da realizzare in modo migliore lo Stato di

Diritto. Infine, è stato dichiarato che la ricerca della realizzazione di uno Stato di

Diritto non significa un calo dell’autorità del Partito: questo resta al di sopra della

legge e della Costituzione e lo Stato di Diritto rimane solamente un meccanismo per

assicurare l’autorità di Pechino e non, come ci si attendeva al momento dell’entrata

in carica del Presidente Xi Jinping, una limitazione al potere centrale. Ad Hong Kong,

nel frattempo, il 21 ottobre si è avuto un significativo, sebbene infruttuoso, incontro

tra i ragazzi del movimento di protesta pacifica Occupy Central e le autorità di Hong

Kong. Il dialogo si è tenuto nelle sale dell’Accademia di Medicina ed è stato trasmesso

nelle piazze della città. Si può definire significativo in quanto si tratta della prima

volta che il governo di Hong Kong apre le trattative con manifestanti trattandoli al

proprio pari, mentre è stato, per converso, infruttuoso a causa della conclusione

dell’incontro con un nulla di fatto, e cioè con nessuna risposta concreta da parte degli

ufficiali ai giovani studenti. In particolare ciò che i manifestanti chiedono al

Governatore Leung Chun-ying, a gran voce da settimane nelle strade di Hong Kong,

è di poter aver maggiore potere decisionale nella scelta del futuro leader della città-

Stato. Ciò che ora, pertanto, dopo il fallimento del dialogo viene preso in

considerazione dai manifestanti è la possibilità di muovere verso Pechino in occasione

dell’apertura, nella prossima settimana, del Forum APEC (Cooperazione Economica

Asiatico-Pacifica), così da portare all’attenzione delle autorità internazionali, che

saranno presenti, le richieste della gioventù di Hong Kong.

ISRAELE, 30-31 OTTOBRE ↴

Non conoscono sosta gli scontri che ormai con cadenza

giornaliera si registrano dallo scorso luglio a

Gerusalemme e in tutta la Cisgiordania. Dal

ritrovamento dei corpi dei tre ragazzini ebrei rapiti nei

pressi di Hebron, che aveva dato origine all’ennesima

guerra a Gaza, la tensione nei Territori Occupati è alta

e non sembra scorgersi all’orizzonte un episodio che possa favorire un clima di

distensione. Incidenti tra manifestanti palestinesi e polizia israeliana sono scoppiati

nel quartiere di Abu Tor, nella parte orientale di Gerusalemme, dopo l'uccisione da

parte degli agenti di Moatez Higazi, un palestinese ritenuto il presunto responsabile

di una sparatoria avvenuta il 29 ottobre scorso nel quale è rimasto gravemente ferito

il rabbino nazionalista Yehuda Glick. Quest’ultimo è un personaggio discusso nella

comunità ebraica poiché nella sua ultima battaglia politica si è impegnato in favore

della necessità di garantire maggiori accessi e opportunità di preghiera agli ebrei alla

Spianata delle Moschee, storico luogo religioso comune a tutte le religioni monoteiste

e conteso dalle stesse. Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, Israele e Giordania

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siglarono un’intesa sullo status del luogo sacro nel quale si impediva agli ebrei di

recitarvi preghiere. Una situazione che il governo Netanyahu vuole modificare in

favore di un libero afflusso di fedeli ebrei. A seguito dell’attentato contro il rabbino

Glick, le autorità cittadine avevano deciso di chiudere per il venerdì di preghiera la

Spianata delle Moschee. L’ultima chiusura risale al 2000, dopo la visita del Premier

Ariel Sharon, che diede inizio alla rivolta palestinese contro Israele nota anche come

Seconda Intifada. Immediata e dura è stata la reazione palestinese, che per voce del

Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Abu Mazen, ha equiparato la

chiusura del luogo sacro ad «una dichiarazione di guerra contro il popolo

palestinese». Anche Fatah, partito di riferimento del Presidente dell’ANP e maggiore

forza politica in Cisgiordania, ha accusato le autorità israeliane di attuare azioni

discriminatorie contro i Palestinesi e per questo motivo ha proclamato una giornata

della collera e l’organizazzione di diverse manifestazioni non solo a Gerusalemme,

ma in tutta la West Bank. Per evitare nuovi e più pesanti scontri, le autorità israeliane

hanno parzialmente revocato il divieto di chiusura del luogo sacro ordinandone

l’accesso solo agli uomini con più di 50 anni e alle donne. Oltre a Gerusalemme, altri

incidenti si sono registrati a Ramallah e a Hebron, sempre in Cisgiordania. Solo pochi

giorni prima, il 28 ottobre, il sindaco di Gerusalemme, l’israeliano Nir Barkat, aveva

compiuto un sopralluogo sulla Spianata delle Moschee che alcuni siti web vicini ad

Hamas avevano etichettato come un atto sacrilego e provocatorio.

LIBIA, 31 OTTOBRE ↴

In una comunicazione del 31 ottobre il comandante

delle forze armate speciali di Bengasi, Wanis

Bukhamada, ha affermato che le truppe dell’esercito

libico hanno ripreso, dopo tre anni di assedio, il

controllo della città. L’esercito aveva precedentemente

confermato di avere espulso i militanti di Ansar al-

Sharia dalla zona dell’aeroporto Benina di Bengasi e dal campo “17 Febbraio”, punto

strategico e roccaforte dei miliziani nella zona del porto. La notizia della presa di

Bengasi arriva dopo giorni di continui combattimenti avvenuti nelle strade della città,

ulteriormente aumentati nell’ultimo mese. L’operazione dell’esercito è stata condotta

in concertazione con le truppe dell’ex-generale Khalifa Haftar. A Bengasi, di fatti, dal

maggio scorso, oltre alle forze speciali libiche, è sceso in campo Kahlifa Haftar con

Operazione Dignità lanciata contro i gruppi jihadisti presenti nell’area. Tuttavia, il

Parlamento regolarmente eletto, e attualmente stanziato a Tobruk, ha appoggiato

ufficialmente l’operazione di Haftar solamente nelle ultime settimane. Accanto alla

perdita di Bengasi inflitta ai jhiadisti negli ultimi giorni di ottobre, una visita rilevante

è avvenuta da parte del Primo Ministro libico al-Thani in Sudan. Dal 27 al 29 ottobre

al-Thani si è recato in visita a Khartoum dove ha incontrato il Presidente sudanese

Omar al-Bashir. In seguito ai dialoghi è stata riferita dal Ministro degli Esteri

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sudanese, Ali Karti, la volontà del governo di Khartoum di andare incontro alle

necessità libiche nella ricerca di una soluzione alla crisi dello Stato nordafricano. Karti

ha affermato, inoltre, di avere già un piano per cercare di unificare le diverse posizioni

libiche. Tale proposta sarà discussa nel corso di un prossimo meeting da tenersi nella

capitale sudanese alla presenza dei Ministri dei Paesi vicini alla Libia. Un’ulteriore

importante affermazione è stata fatta, in tale occasione, da Saud al-Birair (capo della

SBU, Sudanese Business Union) il quale ha confermato che il governo sudanese si

adopererà per creare campi militari di addestramento per l’esercito libico. Al termine

della visita, infine, al-Thani ha dichiarato la propria disponibilità ad avviare le

trattative con le varie milizie libiche per cercare una soluzione al caos imperversante

nel Paese. L’ufficiale libico ha altresì aggiunto che ciò potrà avvenire solamente ad

una condizione, e cioè che venga dimostrata la volontà da tutte le parti in campo ad

apportare delle rinunce ai propri obiettivi.

MALI, 28-31 OTTOBRE ↴

Nella notte tra il 28 e il 29 ottobre, violenti scontri sono

avvenuti nel nord del Mali tra le forze francesi,

impegnate da più di un anno nella caccia ai jihadisti

saheliani, e gruppi ribelli, alcuni dei quali legati ad al-

Qaeda nel Maghreb Islamico. Gli scontri, come

riportato dal Ministro della Difesa francese Jean-Yves

Le Drian, hanno provocato la morte di un soldato

transalpino, il decimo dall’inizio dell’impegno francese, prima con l’Operation Serval,

poi successivamente con l’Operation Barkhane. Quest’ultima sta concentrando i

propri sforzi nel nord montagnoso del Paese, l’Azawad, dove i gruppi jihadisti sono

riusciti a far arrivare numerosi convogli di rifornimenti, mostrando una rinnovata

vitalità. Nel frattempo, il coordinamento dei Movimenti per l’Azawad ha annunciato di

aver trovato un accordo per la creazione di un’unità di coordinamento militare per il

nord composta dieci ufficiali, al cui comando ci sarà il colonnello Mohamed Ag Najim.

Questa struttura, che raggrupperà le forze di MNLA (Mouvement National pour la

Libération de l’Azawad), HCUA (Haut Conseil pour l'Unité de l'Azawad) e MAA

(Mouvement Arabe de l'Azawad), avrà lo scopo di rispondere all’insicurezza dilagante

nel nord del Paese e di proteggere gli abitanti locali dalle azioni del governo. Questa

intesa si inserisce nell’ambito del rispetto del cessate il fuoco siglato il 23 maggio

scorso a Kidal, e chiede, pertanto, al governo di Bamako di fare altrettanto, al fine di

porre le basi di un accordo di pace per il Mali. A tal proposito, ad Algeri si è tenuta la

terza sessione dei colloqui di pace tra rappresentanti del governo di Bamako e i gruppi

armati che agiscono nell’Azawad, che hanno prodotto la stesura di un documento su

cui basare i futuri rapporti. Mentre Abdoulaye Diop, capo della diplomazia maliana, si

è espesso in favore di questo documento, chiedendo che non venga messa in

discussione l’integrità territoriale del Paese, Moussa Ag Ataher, portavoce dei gruppi

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ribelli, ha espresso tutta la sua preoccupazione e lo scetticismo nei confronti di un

atto che non contiene nessuna delle loro richieste, in primis la possibilità di costituire

un sistema federale.

RUSSIA, 29 OTTOBRE ↴

In un comunicato emesso dal proprio portavoce, Jay

Janzen, la NATO ha denunciato un’“insolita” attività di

aerei militari russi nei cieli del Mar Nero, del Mar Baltico

e del Mar del Nord. I voli intercettati sarebbero in par-

ticolar modo 26. Le incursioni nello spazio aereo euro-

peo, avvenute nella notte tra il 28 e il 29 ottobre, sono

state condotte da quattro gruppi di mezzi che comprendono bombardieri strate-

gici Tu-95 Bear H, caccia MiG-31 e altri tipi di aerei da guerra tra cui due Su-34, un

Su-27 e due Su-24, allertando pertanto le aviazioni di Norvegia, Regno Unito, Porto-

gallo, Germania e Turchia. Il rischio maggiore è, insieme con un ulteriore innalza-

mento delle tensioni tra Mosca e Occidente relativamente alla crisi in Ucraina, che

non avendo piani di volo e non utilizzando transponder, queste operazioni possano

interferire con i voi civili. Già il 21 ottobre un Ilyushin Il-20, velivolo utilizzato nella

raccolta di dati di intelligence e decollato dalla base aerea di Kaliningrad, era stato

intercettato nello spazio aereo estone da caccia dell'aviazione danese e da F-16 por-

toghesi della NATO. A fine settembre, peraltro, due aerei da combattimento Sukhoi

Su-24 avevano violato lo spazio aereo svedese, seguiti a ruota da sei caccia russi

MiG-35 entrati nell'Air Defence Identification Zone dell'Alaska e intercettati da aerei

da guerra americani e canadesi. L'Alleanza Atlantica ha inoltre dichiarato di aver in-

tercettato nel 2014 oltre cento velivoli da guerra russi, circa tre volte di più rispetto

al 2013. Gli episodi si aggiungono alla denuncia (28 ottobre) da parte del Servizio

Informazioni per la Sicurezza (BIS) della Repubblica Ceca circa un significativo au-

mento delle spie russe nel Paese e al caso del presunto sottomarino della marina

moscovita – attribuito dal Cremlino invece all'Olanda – che a metà ottobre avrebbe

violato le acque territoriali svedesi. A preoccupare NATO e cancellerie occidentali è

anche il recente annuncio (16 ottobre) da parte del Presidente della Commissione

Difesa della Duma di Stato, l'Ammiraglio Vladimir Komoyedov, di un nuovo aumento

del budget per le spese militari per il 2015 fino a 3,3 trilioni di rubli (81 miliardi di

dollari), pari al 4,2% del PIL.

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STATI UNITI, 31 OTTOBRE ↴

Il 4 novembre i cittadini degli Stati Uniti si recheranno

alle urne per le consuete elezioni di midterm che per-

metteranno al Partito Democratico e a quello Repubbli-

cano di mantenere o di guadagnare il controllo delle

due camere del Congresso. Con la popolarità del Presi-

dente, Barack Obama, che è scesa ai minimi termini,

particolare importanza è rappresentata dalla situazione

economica del Paese. Con un tasso di disoccupazione che si è stabilmente attestato

al di sotto della fatidica soglia psicologica del 6% e con le stime di crescita del Pro-

dotto Interno Lordo ad un ritmo pari al 3,5% (superiore alle previsioni degli analisti),

la Federal Reserve (FED) ha annunciato di interrompere il cosiddetto quantitative

easing (QE), ovvero la propria politica di stimolo monetario all’economia del Paese,

che dalla crisi del 2007/2008 ha pompato nel sistema centinaia di miliardi dollari.

Non verranno, però, alzati i tassi di interesse, che resteranno al minimo storico nel

range tra lo 0% e lo 0,25%. Janet Yellen, governatore della FED, ha dichiarato che la

fine del QE è dovuta ad «un continuo miglioramento del mercato del lavoro e ad

un'inflazione che torna verso l'obiettivo di lungo termine del 2%». Eppure, le stati-

stiche recentemente diffuse dalle istituzioni nascondono l’altro lato della medaglia. In

termini di crescita su base annuale, la spesa delle famiglie e gli investimenti delle

aziende si sono attestati ben al di sotto delle rispettive previsioni. Anche la spesa

federale è aumentata del 4,6% nonostante il debito pubblico continui ad attestarsi al

di sopra del tetto del 100%. Al di là dei semplici dati, sia la Yellen sia Obama hanno

riconosciuto che l’attuale situazione economica ha incrementato la diseguaglianza

sociale e l'erosione della ricchezza dei ceti medi.

TUNISIA, 26 OTTOBRE ↴

Il partito laico Nidaa Tounes ha ottenuto la maggio-

ranza relativa nelle elezioni legislative indette per il

rinnovo dell’Assemblea del Popolo. Il successo della

formazione guidata da Beji Caid Essebsi, che ha con-

quistato 85 seggi contro i 69 ottenuti dal movimento

Ennahda, consolida l’affermazione della transizione

democratica a quasi quattro anni dall’esplosione della “Rivoluzione dei Gelsomini” e

dal successivo allontanamento di Ben Ali. Dalle colonne del Washington Post, Fareed

Zakaria ha commentato che il pacifico svolgimento di una seconda tornata parlamen-

tare (dopo le elezioni costituenti del 2011) certifica l’approdo maturo verso un si-

stema politico autenticamente democratico e multipartitico, secondo una linea di

marcata controtendenza rispetto ai risultati spesso infelici e turbolenti dei rivolgimenti

popolari che dalla miccia algerina del dicembre 2010 infiammarono il mondo arabo.

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Gli osservatori internazionali hanno confermato la sostanziale regolarità e traspa-

renza delle consultazioni. L’esito elettorale impone tuttavia al partito di maggioranza

relativa di formare una coalizione di governo, aperta al principale antagonista ovvero

ai partiti minori di taglio secolare rappresentati nell’aula parlamentare. La debolezza

economica e il richiamo dell’estremismo islamico potrebbero avvalorare la prima ipo-

tesi, ossia la sottoscrizione di un’alleanza di unità nazionale con Ennahda – partito

tradizionalista e conservatore che guarda ad una lettura moderata dell’Islam politico,

come comprovato dall’esperienza del governo tecnico e dalla promulgazione (gennaio

2014) di una Carta costituzionale decisamente progressista. Da questo punto di vista,

il coinvolgimento politico di Ennahda, guidata da Rachid Ghannouchi, appare neces-

sario per tutelare il percorso costituente intrapreso dalle istituzioni tunisine, evitando

– lo insegna il caso egiziano – sia deragliamenti autoritari, sia la polarizzazione con-

flittuale degli schieramenti politici. L’accordo sulla prossima nomina presidenziale rap-

presenterà in tal senso un importante banco di prova. Mentre il Maghreb ed il Levante

sembrano sprofondare in una sanguinosa spirale di instabilità, l’eccezione tunisina

sembra illuminare di una luce diversa la possibile ridefinizione degli assetti interni.

YEMEN, 29 OTTOBRE – 1° NOVEMBRE ↴

I combattenti di al-Qaeda nella Penisola Arabica

(AQAP) hanno attaccato edifici governativi della sicu-

rezza di al-Bayda, nella parte meridionale dello Yemen,

uccidendo almeno quattro soldati prima di essere re-

spinti dalle forze della sicurezza. L’attacco rappresenta

una ripresa delle attività di AQAP che vede una minac-

cia nella rivolta degli sciiti Houthi, oramai in pieno controllo di molte aree strategiche

del Paese. Nella giornata di venerdì 31 ottobre, gli Houthi, dopo aver rifiutato l’enne-

sima nomina di un nuovo Primo Ministro – l’ultima proposta è stata quella dell’ex

Ministro del Petrolio Ahmed Awad bin Mubarak – da parte del Presidente Abd Rabbu

Mansour al-Hadi, hanno tenuto una grande manifestazione a cui hanno partecipato

trentamila persone e che si è conclusa con l’emissione di un comunicato che intima

al Capo di Stato di formare, entro dieci giorni, un nuovo governo, composto esclusi-

vamente da “tecnici”, senza finalità e collegamenti politici, altrimenti saranno valutate

altre opzioni. Successivamente, sabato 1° novembre, è stato siglato un accordo in tal

senso da esponenti del partito politico del Presidente, il General People’s Congress, e

dei ribelli Houthi, alla presenza dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, Jamal Beno-

mar. L’annuncio giunge dopo il lancio di alcuni attacchi mortali dei ribelli Houthi, ai

danni di una delle sezioni provinciali del partito sunnita al-Islah, principale rivale po-

litico. Gli Houthi hanno circondato e poi attaccato il quartier generale del partito isla-

mista, situato nella provincia di Ibb, provocando la morte di quattro persone e il

sequestro di 25 sostenitori. I ribelli sciiti vedono in al-Islah, una possibile minaccia

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alle loro conquiste degli ultimi mesi, in particolare la capitale Sana’a, il porto di Ho-

deidah sul Mar Rosso e la città di Ibb. Nel frattempo, violenti scontri avvenuti a Radda,

nello Yemen centrale, tra gli Houthi e l’influente tribù Qifa, hanno provocato la morte

di 250 persone in soli tre giorni, costringendo i ribelli sciiti a ripiegare a sud.

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ALTRE DAL MONDO

ALGERIA, 28 OTTOBRE ↴

Sono iniziate il 13 ottobre le proteste dei poliziotti algerini contro il governo e in

particolare contro il Capo della polizia nazionale, il Generale Abdelghani Hamel. Le

prime manifestazioni si sono avute nella città di Ghardaia dove hanno manifestato in

circa 1.500 poliziotti contro le pessime condizioni lavorative a cui sono sottoposti.

Sono seguite i giorni successivi nella capitale Algeri, e altrove nel Paese, altre mani-

festazioni dei colleghi in sostegno dei poliziotti di Ghardaia. Nella cittadina dell’Algeria

meridionale, situata 500km a sud di Algeri, infatti, convivono due comunità differenti

in costante lotta tra di loro, una berbera e l’altra araba. Le due comunità hanno visto

dal dicembre scorso circa 100 morti negli scontri che si susseguono a causa della

scarsità di posti di lavoro e di abitazioni. In seguito alle manifestazioni il governo ha

accettato di cedere a molte delle richieste dei poliziotti, incluso un salario più alto,

orari di lavoro più brevi, accesso a nuove abitazioni, ma ha parimenti ignorato la

richiesta di dimettere Hamel.

BAHRAIN, 28 OTTOBRE ↴

Un tribunale di Manama ha dichiarato la sospensione per tre mesi del principale par-

tito di opposizione sciita, al-Wefaq, riconosciuto colpevole di aver violato le legge

sulle associazioni – status detenuto dalla stessa formazione – circa i propri criteri

interni. Mentre la direzione del gruppo ha definito la misura «irrazionale e irrespon-

sabile», l'episodio rischia di ingenerare nuove tensioni alla vigilia delle elezioni legi-

slative (22 novembre) e dopo che lo stesso movimento nell'ultimo triennio si è reso

protagonista di numerose manifestazioni di protesta contro il governo sunnita degli

al-Khalifa. La decisione della Corte bahrainita si inscrive peraltro in continuità con la

recente espulsione del diplomatico statunitense Tom Malinowski (7 luglio) dal Paese a

causa dei suoi incontri con i rappresentanti di al-Wefaq.

BENIN, 29 OTTOBRE ↴

Più di 5000 persone hanno partecipato alla “Marcia per la sopravvivenza della demo-

crazia”, organizzata da sindacati e partiti d’opposizione, lungo le strade di Cotonou,

principale centro economico del Paese, per sollecitare l’istituzione di elezioni munici-

pali, comunali e locali che il governo del Presidente Boni Yayi rimanda da tempo. Le

elezioni si sarebbero dovute svolgere nel 2013, ma ci sarebbero, secondo funzionari

del governo, dei problemi legati alla lista elettorale informatizzata che sarebbe in

corso di aggiornamento. Resta il sospetto che il governo, per non perdere il consenso,

stia ostacolando l’organizzazione di libere elezioni; decisione che, visto quanto sta

accadendo in Burkina Faso, è estremamente pericolosa.

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BRASILE, 26 OTTOBRE ↴

Dilma Rousseff è stata confermata per un secondo mandato come Presidente del

Brasile. Al ballottaggio ha sconfitto Aécio Neves con uno scarto di circa tre milioni di

voti, ottenendo il 51,64% contro il 48,36% dello sfidante. Le elezioni hanno dimo-

strato un Paese spaccato a metà sulle politiche da intraprendere per il futuro. La

Rousseff ha quindi disteso la mano verso l’opposizione dichiarando che «sono dispo-

sta al dialogo. Questo sarò il mio primo impegno di questo mandato: dialogare».

CIPRO, 20 OTTOBRE ↴

Una nave fregata Classe Barbaros della marina militare turca è entrata in acque ter-

ritoriali sottoposte al controllo del governo di Cipro causandone l’immediata reazione.

L’imbarcazione ha iniziato a raccogliere dati sismici per l’estrazione di gas e di petrolio

dall’area a sud dell’isola cipriota. In questa zona risultano essere presenti, dalle stime

circa 5 trilioni di metri cubici di gas estraibili. Si tratta, tuttavia, di una zona econo-

mica esclusiva del governo di Nicosia, il quale ha già dato autorizzazione alle multi-

nazionali, l’italiana ENI e la sucoreana Kogas, per avviare le ricerche con fini di attività

estrattive. Il Presidente cipriota Anastasiades si è appellato al Segretario Generale

delle Nazioni Unite Ban Ki-moon per chiedere sostegno di fronte alla violazione da

parte di Ankara del diritto sovrano di Cipro sulla zona marina in questione ed ha

affermato che finché la situazione resterà immutata si opporrà all’apertura di nuovi

capitoli nel processo di ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Sia Ban Ki-moon,

sia l’Unione Europea hanno espresso preoccupazione per la tensione creatasi e hanno

chiesto alla Turchia di cessare le attività in rispetto delle norme di diritto internazio-

nale.

CONGO, REPUBBLICA DEMOCRATICA, 30 OTTOBRE ↴

Scontri violenti sono avvenuti a Kampi ya Chuyi, località situata a circa 75 km dalla

città di Beni, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, e hanno causato la

morte di diciotto persone e il ferimento di sette. Gli attacchi sarebbero stati messi in

atto dal gruppo ribelle ugandese dell’Allied Democratic Forces (ADF). Dall’inizio di

ottobre, secondo alcune organizzazioni umanitarie, questi attacchi hanno provocato

la morte di oltre cento persone e il ferimento grave di almeno ventisette civili, nella

provincia di Beni. Il gruppo ribelle dell’ADF, confinato nell’est del Congo, porta avanti

da anni una strategia armata nei confronti della popolazione congolese.

INDONESIA, 20 OTTOBRE ↴

Alla presenza del Segretario di Stato USA John Kerry e del Primo Ministro australiano

Tony Abbott, il 20 ottobre si è insediata la presidenza di Joko Widodo, già Governa-

tore di Jakarta, che avvicenda Yudhoyono alla guida del Paese. L’elezione di Widodo

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segna una discontinuità nella tradizionale e controversa collusione tra la classe diri-

gente e le gerarchie militari. Ad una settimana di distanza è stata approvata la com-

pagine ministeriale che assisterà il neo Presidente nella pianificazione di un declamato

profondo rinnovamento economico dell’Indonesia.

ITALIA, 31 OTTOBRE ↴

È Paolo Gentiloni il nuovo Ministro degli Esteri italiano. Dopo un confronto tra il Pre-

sidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e il Presidente del Consiglio dei Ministri,

Matteo Renzi, è stato individuato come nome più consono a guidare la Farnesina

l’ormai ex membro dalla Commissione Esteri della Camera dei Deputati. Gentiloni ha

ottenuto la nomina a scapito di altri candidati come Marina Sereni, Elisabetta Belloni,

Lia Quartapelle e Lapo Pistelli.

SUD SUDAN, 29-30 OTTOBRE ↴

Mentre fonti del governo di Salva Kiir annunciano di aver fermato l’avanzata dei ribelli

nei pressi della città di Bentiu, nel nord del Paese, i ribelli del SPLM-In Opposition,

guidati dall’ex vice President Riek Machar, affermano di aver respinto l’avanzata delle

truppe governative e di aver conquistato l’importante hub petrolifero. Negli scontri

tra forze lealiste e ribelli è stato attaccato il centro della città. Questo episodio ha di

fatto posto fine all’accordo di cessate il fuoco mediato dall’Intergovernmental Autho-

rity on Development (IGAD) per cercare una soluzione politica al conflitto civile che

da dieci mesi turba il Paese.

UNIONE EUROPEA, 1° NOVEMBRE ↴

Dopo la recente approvazione del Parlamento europeo, si è insediata la nuova Com-

missione presieduta dal lussemburghese Jean-Claude Juncker. «Le sfide dell'Europa

non possono aspettare», ha detto Juncker, «da oggi io e la mia squadra ci impegne-

remo per dare all'Europa il nuovo inizio che abbiamo promesso». La prima questione

che la nuova Commissione dovrà risolvere è la controversia sull’aumento dei contri-

buti a Bruxelles da parte di Londra e Roma.

URUGUAY, 26 OTTOBRE ↴

Le attese elezioni presidenziali nel Paese che dovranno scegliere il successore di Pepe

Mujica, non candidabile ad un secondo mandato secondo quanto previsto dalla Co-

stituzione nazionale, non ha prodotto un nuovo Capo di Stato ma ha decretato alcuni

importanti risultati. Il Frente Amplio, la coalizione di sinistra al governo, ha ottenuto

il 47,06% dei voti nelle elezioni presidenziali e legislative di ieri, mantenendo così la

sua maggioranza in Parlamento. Allo stesso tempo, il suo candidato, Tabaré Vazquez,

sebbene non sia riuscito a vincere al primo turno risulta in netto vantaggio per il

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prossimo ballottaggio del 30 novembre rispetto al più diretto avversario, il conserva-

tore del Partido Nacional Luis Lacalle Pou, che ha ottenuto solo il 30,63% dei voti.

Infatti anche con i voti dell’altro sfidante conservatore, Pedro Bordaberry, il centro-

destra insieme raggiungerebbe il 42-43% consensi rimanendo dunque lontano dal

47% di Vazquez.

VENEZUELA, 24 OTTOBRE ↴

Dopo i due rimpasti di governo dei mesi scorsi, il Presidente Maduro ha operato un

nuovo cambio in due Ministeri chiave del suo esecutivo, ossia Interni e Difesa. Al

posto del Generale Miguel Rodríguez Torres è stata nominata l’Ammiraglio Carmen

Meléndez, che ha lasciato il Dicastero della Difesa per far posto al Capo di Stato

maggiore dell’Esercito, Vladimir Padrino López. Alla base dell’esautoramento di Ro-

dríguez Torres vi è l’accusa di essere il mandante politico delle repressioni degli stu-

denti durante le manifestazioni di rivolta anti-regime iniziate lo scorso febbraio.

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ANALISI E COMMENTI

“THE UNITED STATES OF GAS”? IL MIRAGGIO DELL’INDIPENDENZA ENERGETICA

ALESSANDRO TINTI ↴

Allo sfruttamento intensivo dello shale gas analisti e politici americani hanno acco-

stato a colpo sicuro il termine “rivoluzione”. Gli incrementi produttivi innescati

dall’estrazione di gas da argille e scisti bituminosi sono predicati quali il vettore che

nel prossimo futuro ripoterà gli Stati Uniti alla posizione di preminenza occupata agli

inizi del Novecento, ossia a quella di prima potenza energetica. Per un gigante eco-

nomico che a lungo è stato centro di gravità delle transazioni di energia e che ha

improntato la vocazione internazionale al dogma della liberalizzazione delle linee di

approvvigionamento, le implicazioni geostrategiche di quest’annunciato cambio di

paradigma del mercato energetico sono certamente imponenti. Tuttavia, una serie di

questioni sottaciute dalle proiezioni sulla curva di produzione impone una lettura pru-

dente della condizione d’indipendenza energetica eventualmente perseguibile dagli

Stati Uniti – tanto sul piano della diversificazione globale dei siti estrattivi, quanto su

quello dei costi non manifesti (…) SEGUE >>>

LE RELAZIONI TRA ITALIA E IRAN IN UNA PROSPETTIVA STORICA

REDAZIONE ↴

ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA

La vittoria alle elezioni presidenziali del 2013 di Hassan Rouhani – politico di lungo

corso vicino ai cosiddetti “riformatori-moderati” nonché ex-capo negoziatore per il

programma nucleare iraniano – ha permesso di ristabilire i canali diplomatici tra Wa-

shington e Teheran. La telefonata tra il Presidente statunitense Barack Obama e

l’omologo iraniano ha rappresentato una svolta non solo simbolica, dato che anche il

prezzo del petrolio nei giorni successivi ha subito un’immediata decrescita. La conse-

guenza delle trattative scaturite è stata, in Europa, l’allentamento delle sanzioni nei

confronti di Teheran da parte dell’Unione, attraverso la modifica, approvata il 20 gen-

naio 2014, al regolamento (UE) n. 267/2012, concernente le misure restrittive nei

confronti dell’Iran. Con questo regolamento l’Unione Europea ha deciso di implemen-

tare il cosiddetto Joint Plan of Action, ossia l’accordo sottoscritto dall’Iran e le con-

troparti a Ginevra nel novembre del 2013 (…) SEGUE >>>

IL BRASILE DOPO IL VOTO: VECCHIE E NUOVE SFIDE PER DILMA ROUSSEFF

FRANCESCO TRUPIA ↴

Il Brasile ha scelto. La campagna elettorale che ha condotto Dilma Rousseff verso la

sua tutt’altro che agevole vittoria ha dimostrato che le potenzialità endogene al gi-

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gante sudamericano possono manifestare scenari non più scontati come quelli dell’ul-

timo ventennio. Appena giunta la notizia della vittoria della Rousseff – la Presidente

è stata rieletta con il 51,64% contro il 48,36% del conservatore Aécio Neves –, i

maggiori mezzi di comunicazione del Paese hanno criticato il sistema in cui si è svolta

la stessa campagna elettorale appena conclusa. Le accuse maggiori sono ricadute

sull’horario eleitoral gratuito [1] e sugli strateghi del marketing politico di cui la Rous-

seff si è circondata. Nonostante le critiche, Dilma Rousseff è fuoriuscita vincitrice da

una battaglia elettorale che ha visto svanire già al primo turno il pericolo Marina Silva,

clamorosamente sconfitta contro tutti i pronostici della vigilia, e poi Aécio Neves che

in alcuni momenti precedenti al ballottaggio aveva superato, sebbene di pochi punti

percentuali, la stessa Presidente oggi riconfermata (…) SEGUE >>>

LA MINACCIA – INTERNA E REGIONALE – DEL TERRORISMO IN EGITTO

GIUSEPPE DENTICE ↴

QUESTO ARTICOLO È APPARSO ORIGINARIAMENTE SU ASPENIA ONLINE,

RIVISTA DELL’ASPEN INSTITUTE ITALIA IL 16.10.2014

Anche dopo l’elezione di Abdel Fattah al-Sisi a Presidente della Repubblica nel maggio

2014, la transizione egiziana non può definirsi totalmente conclusa poiché a seguito

delle destituzioni di Hosni Mubarak nel febbraio 2011 e di Mohamed Morsi nel luglio

2013 permane nel paese una rilevante serie di problemi. La sicurezza e il pericolo del

terrorismo rappresentano sicuramente alcune delle maggiori criticità del periodo

post-Primavere arabe. I cambiamenti al vertice del 2011 e del 2013 hanno acuito in

Egitto una recrudescenza terroristica che si pensava parzialmente risolta dopo gli

innumerevoli arresti di militanti e sospetti jihadisti a seguito degli attentati di Luxor

del 1997 e quelli nel Sinai meridionale (Sharm al-Shaik, Dahab, Taba, Ras al-Shaitan

e Nuweiba) del triennio 2004-06. Attualmente la minaccia è localizzata su più fronti:

coinvolge la penisola del Sinai nella sua interezza, il mainland egiziano (Il Cairo, il

distretto della capitale e il delta del Nilo) e le province occidentali vicino al confine

libico. Secondo le autorità egiziane, Ansar Bayt al-Maqdis (ABM) è al momento la

principale minaccia alla sicurezza nazionale, nonché il gruppo responsabile della mag-

gior parte degli attacchi lanciati negli ultimi mesi in tutto il paese (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

www.bloglobal.net