BloGlobal Weekly N°11/2014

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www.bloglobal.net N°11, 30 MARZO-12 APRILE 2014 ISSN: 2284-1024

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Rassegna di BloGlobal-Osservatorio di Politica Internazionale (30 marzo-12 aprile 2014)

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N°11, 30 MARZO-12 APRILE 2014

ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 13 aprile 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra

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Weekly Report N°11/2014 (30 marzo-12 aprile 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net

Photo credits: AFP/Alexander Khudoteply, Amnesty Italia, AP/Majdi Mohammed, Reuters/Esam Omran Al-Fetori, François Lenoir, Flickr, Wikimedia Commons.

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FOCUS

GRECIA ↴

Quelle appena trascorse sono state due settimane importanti per la Grecia e per

l’Eurozona. Ad inizio aprile Atene era riuscita ad ottenere un nuovo pacchetto di

aiuti dall’Unione Europa, diviso in tre tranche, per un valore di 8,3 miliardi di euro.

Come ha dichiarato il Presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, «la prima

tranche sarà consegnata in aprile, quelle successive in giugno e luglio. Ciascuna sarà

condizionata all’adozione di specifiche misure». La prima tranche, quella più corposa,

sarà consegnata entro la fine del mese e ammonterà ad oltre 6 miliardi di euro. Oltre

ai prestiti europei, ci saranno in entrata gli aiuti del Fondo Monetario Internazio-

nale, pari a circa 3,5 miliardi di euro.

Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, ha contestualmente lodato i

progressi di Atene, evidenziando gli importanti risultati: il Paese dovrebbe tornare a

crescere nel 2014 dello 0,6% per arrivare, secondo il FMI, ad un +2,9% nel 2015.

Draghi ha poi esortato la politica greca a non arenarsi e a «non mettere a repentaglio

l’aggiustamento dei conti pubblici condotto finora con tanti sforzi». Il Ministro delle

Finanze greco, Yannis Stournaras, ha risposto che il suo Paese dal 2015 non avrà più

bisogno di aiuti e sarà in grado di finanziarsi con il ritorno sul mercato obbliga-

zionario.

Tale ritorno è avvenuto il 10 aprile scorso ed è stato un successo. Atene ha collocato

sul mercato tre miliardi di euro di bond con scadenza a cinque anni, ben 500

milioni in più di quanto preventivato, ad un tasso pari al 4,95%, anche questo infe-

riore rispetto quanto previsto alla vigilia (5-5,25%). Investitori americani, europei ed

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asiatici hanno manifestato grande interesse nell’acquistare i titoli di Stato greci, il che

ha dato nuova linfa vitale ad Atene. L’asta è stata guidata da due banche straniere,

la JP Morgan e la Deutsche Bank. Dei 3 miliardi di euro collocati, oltre il 90% sono

stati acquisiti da investitori esteri. Il vice Premier, Evangelos Venizelos, ha affermato

che «ci stiamo lasciando alle spalle il salvataggio e la maggior crisi del dopoguerra».

Anche il Direttore del FMI, Christine Lagarde, ha ben accolto l’emissione di bond di

Atene dichiarando che «la Grecia è sulla buona strada». Il vice Presidente della Com-

missione europea, Siim Kallas, ha riferito che «l’emissione è un segno importante che

l’economia greca sta riguadagnando la fiducia degli investitori e riflette l’effetto posi-

tivo delle riforme strutturali».

Il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, si è recata due giorni dopo ad Atene per

benedire il ritorno sul mercato obbligazionario della Grecia. La visita è stata preceduta

da una giornata turbolenta per la capitale greca: davanti all’edificio dove opera la

Banca centrale nazionale, poco distante dagli uffici della troika (UE, BCE, FMI), era

stata fatta detonare un’autobomba che, comunque, non ha provocato feriti. La

Merkel, dunque, rifiutandosi di incontrare il leader della sinistra, Alexis Tsipras (non-

ché candidato a Presidente della Commissione europea), ha rassicurato il Primo Mi-

nistro greco, Antonis Samaras, che «è tornata la fiducia, continueremo a sostenere

la Grecia e il suo popolo sulla sua buona strada». La leader tedesca ha poi così con-

tinuato: «avete mantenuto le promesse e onorato gli impegni, dopo le riforme ci

saranno più opportunità che difficoltà sulle quali si può costruire» un nuovo futuro

per il Paese «dopo un cammino difficile».

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ISRAELE ↴

Nonostante il parere favorevole di Israeliani e Palestinesi, quello altrettanto conci-

liante di Stati Uniti e dei Ministri degli Esteri di tutti i Paesi arabi, favorevoli ad esten-

dere i colloqui di pace oltre la data limite del 29 aprile, le trattative tra le parti

rischiano di rivelarsi l’ennesimo flop del più lungo conflitto della storia contem-

poranea. Dopo le tensioni dei mesi passati, il mancato rilascio dell’ultimo gruppo di

prigionieri palestinesi – circa una trentina il 29 marzo scorso come previsto dal pre-

accordo di luglio 2013 – e le reciproche accuse di sabotaggio, il processo di pace

israelo-palestinese è attualmente in stallo.

L’ultimo episodio che ha fatto saltare il già fragile equilibrio è stata la decisione di

Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di chiedere l’adesione della Palestina a 15 conven-

zioni e accordi internazionali, tra cui la Corte Internazionale di Giustizia, scelta

che permetterebbe al governo palestinese di ottenere diversi benefici a livello inter-

nazionale ma che contravviene agli impegni assunti il 30 luglio 2013 a Washington

dalla delegazione guidata da Saeb Erekat di sospendere qualsiasi tentativo di ottenere

ulteriori riconoscimenti alle Nazioni Unite per aumentare le pressioni su Israele.

Una decisione, questa, che ha spinto il Segretario di Stato USA John Kerry a can-

cellare la visita prevista per il 2 aprile a Ramallah, in aperta contestazione nei

confronti dell’establishment palestinese, e a far dichiarare a Jen Psaki, portavoce del

Dipartimento di Stato, che si tratta di «un importante passo indietro verso un accordo

di pace in Medio Oriente». La visita in Cisgiordania era una fondamentale tappa di

avvicinamento alla road map prestabilita e che serviva a completare un accordo sul

prolungamento dei negoziati di pace. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti si sono mo-

strati molto critici verso Israele e nei confronti delle sue ultime decisioni – man-

cata scarcerazione dei prigionieri palestinesi e l’annuncio della costruzione di 700

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nuove unità abitative a Gerusalemme Est –, accusandoli di aver di fatto bloccato il

processo di pace.

Abu Mazen, durante un incontro il 9 aprile al Cairo tra i Ministri degli Esteri della Lega

Araba nel quale ha fatto il punto sull’attuale stato dei negoziati con Israele, ha poi

sollecitato i Paesi arabi a dare seguito alle “promesse finanziarie” che prevedono lo

stanziamento mensile di 100 milioni di dollari per l’ANP, risorse necessarie a

garantire una ripresa nei Territori ma soprattutto a tamponare il taglio delle tasse

deciso dal governo israeliano. Infatti, alla decisione palestinese di dare una scossa ai

negoziati di pace attraverso un coinvolgimento della Comunità internazionale, il Pre-

mier Benjamin Netanyahu ha risposto bloccando il trasferimento delle tasse

ai palestinesi, cioè 80 milioni di euro in tributi mensili che l'amministrazione israe-

liana riscuote per suo conto e poi cede all’ANP per pagare le sue amministrazioni nei

Territori Occupati. Il taglio delle imposte rientra all’interno di un pacchetto di dure

misure decise dall’Esecutivo israeliano il 10 aprile scorso che prevede la sospensione

di tutte le forme di cooperazione politica, giudiziaria, economica e commer-

ciale – tranne quella diplomatica – in progetti vari in Cisgiordania e nella Striscia di

Gaza, come lo sviluppo di un impianto per il gas, un tetto ai depositi bancari palesti-

nesi nelle istituzioni finanziarie israeliane e altre misure forti sulle restrizioni alla cir-

colazione dei cittadini arabo-palestinesi dentro e fuori i Territori.

In particolare verso quest’ultima misura si sono levate nuovamente le proteste delle

ONG che hanno ricordato come il nuovo Rapporto sui Territori Occupati pubblicato lo

scorso febbraio e redatto da Richard Falk, accademico statunitense e Inviato Speciale

dell’ONU, definisce «le politiche di Israele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania

equivalenti all’apartheid». Il duro parallelo con la politica razziale praticata in

Sud Africa fino al 1993 viene spiegato da Falk «con il fatto che Israele esercita una

sistematica oppressione nei confronti del popolo palestinese». Sempre dalle pagine

del Rapporto A/HRC/25/67, Falk spiega meglio il paragone soffermandosi su alcune

pratiche come ad esempio il fatto di «applicare il diritto civile nei confronti degli abi-

tanti degli insediamenti e quello militare verso i Palestinesi». Oppure «l’effetto com-

binato di misure che proteggono i cittadini israeliani, facilitano le loro aziende agri-

cole, espandono gli insediamenti e rendono la vita impossibile ai Palestinesi».

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REPUBBLICA CENTRAFRICANA ↴

Dopo diversi rinvii è stata approvata EUFOR RCA, la missione militare dell’Unione

Europea nella turbolenta Repubblica Centrafricana. L’annuncio è stato dato dalla por-

tavoce Suzanne Kieffer martedì 1° aprile, durante l’ultima seduta del Consiglio d’Eu-

ropa prima del Vertice UE-Africa, che sarebbe iniziato l’indomani. Sembra che lo slan-

cio definitivo all’avvio dell’operazione sia stato fornito dall’Italia, che ha messo a di-

sposizione diversi veicoli e un discreto numero di uomini del genio militare, e da

Germania e Regno Unito che metteranno a disposizione i mezzi necessari per l’imple-

mentazione della logistica. Mancano ancora alcuni dettagli ma si sa che il contingente

EUFOR RCA dovrebbe essere composto di 800 uomini e non 1000 come preven-

tivato, probabilmente a causa dei forfait di Germania, Regno Unito e Romania, ed è

inizialmente preventivato il suo impiego per una durata di sei mesi.

Nove i Paesi coinvolti: Georgia, Francia, Spagna, Polonia, Finlandia, Svezia, Estonia,

Lettonia e, appunto, Italia. Il contingente sarà agli ordini del Generale francese Phi-

lippe Pontiès che avrà il comando operativo a Larissa, in Grecia, e il comando tattico

a Bangui, la capitale centrafricana. L’EUFOR RCA andrà ad affiancarsi alle altre due

missioni già schierate in Repubblica Centrafricana: la missione MISCA dell’Unione

Africana, composta da circa 6.000 uomini, e la missione francese dell’Operation San-

garis, schierata con circa 2.000 uomini.

L’intervento europeo è stato chiesto a gran voce dalla Francia, che già dal 5 dicembre

ha inviato i propri uomini, e che vorrebbe smarcarsi da un intervento che, unito a

quello in Mali dell’Operation Serval, sta avendo forti ripercussioni sulle casse statali.

L’offensiva diplomatica francese è poi continuata anche in seno all’ONU dove il Con-

siglio di Sicurezza ha dato il via libera al dispiegamento di 10.000 caschi blu e

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1.800 agenti di polizia in Repubblica Centrafricana. La missione, chiamata MINU-

SCA, prenderà avvio il prossimo settembre e resterà fino al maggio dell’anno succes-

sivo, andando a rimpiazzare, gradualmente, le truppe francesi e africane. EUFOR RCA

e MINUSCA avranno, naturalmente, tra i loro compiti, quello di porsi come cusci-

netto tra le due fazioni in lotta, i Séléka e gli anti-Balaka, per permettere alla

popolazione civile di vivere in sicurezza e ricevere gli aiuti umanitari che adesso arri-

vano con difficoltà. Il dispiegamento di soldati francesi e soldati africani non è riuscito

a garantire la necessaria cornice di sicurezza e stabilità al Paese che, da circa un

anno, attraversa crisi continue. L’intervento francese e l’elezione alla presidenza del

Paese di Catherine Samba-Panza, non sono riusciti a portare la necessaria calma e

tranquillità: negli ultimi mesi sono aumentati gli atti di repressione delle milizie

cristiane anti-Balaka ai danni dei Séléka che hanno costretto migliaia di musulmani

a scappare dai propri villaggi, 670.000 secondo l’Alto Commissariato ONU per i Rifu-

giati.

Nel frattempo, per un contingente che arriva, un altro invece ha deciso di lasciare il

Paese: è cominciato, già da alcuni giorni, il rientro degli 850 soldati del Ciad,

inquadrati nella MISCA. Il rientro è dovuto alle accuse, lanciate da rappresentanti

dell’ONU, del coinvolgimento dei peacekeepers ciadiani nell’uccisione, ritenuta spro-

porzionata e non giustificata, di 30 civili all’interno di un mercato della città di De-

koua. Nonostante il governo del Ciad si sia dichiarato completamente estraneo alle

accuse, sostenendo che le proprie truppe sarebbero state attaccate, ha deciso ugual-

mente di ritirare il proprio contingente. Aldilà delle schermaglie diplomatiche, il Ciad

riveste un importante ruolo nell’area, ed è dall’inizio del conflitto accusato di soste-

nere i ribelli Séléka, data anche la comunanza di fede.

La situazione della Repubblica Centrafricana è stato il principale argomento di discus-

sione del IV Vertice UE-Africa, tenutosi a Bruxelles il 2-3 Aprile. Oltre alla conferma

del dispiegamento della missione EUFOR RCA, al centro del Summit, cui hanno par-

tecipato numerosi Capi di Stato e di Governo, vi sono stati la cooperazione in tema

di emergenze umanitarie, il commercio e gli investimenti. L’Unione Europea è il prin-

cipale partner commerciale dell’Africa e il suo maggior donatore di aiuti internazionali.

Nonostante ciò, la sua preponderanza sembra essere scalfita dall’intraprendenza ci-

nese, ed è forse per questo che si è deciso di dar vita a questo vertice a 14 anni di

distanza dal precedente. La ragione sta forse anche nella volontà dell’UE di cercare

nuovi mercati di sbocco nel tentativo di sollecitare la propria debole crescita: le ultime

previsioni del Fondo Monetario Internazionale parlano di un’Africa il cui sviluppo fu-

turo è stimato attorno al 7%.

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UCRAINA ↴

Mentre sul piano della diplomazia internazionale sembravano registrarsi primi segnali

positivi a seguito dell'incontro del 30 marzo – non risolutivo, ma proficuo – tra il

Segretario USA John Kerry e il Ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov, la situazione

interna in Ucraina è tornata nuovamente a precipitare a seguito dello scoppio di ma-

nifestazioni da parte delle popolazioni russofone nelle regioni orientali del

Paese che chiedevano non solo una maggiore autonomia ma anche un referendum

sullo status del bacino carbonifero del Donec (meglio conosciuto come Donbass),

cuore dell’industria siderurgica nazionale. In particolare a Kharkiv, a Luhansk e a

Donetsk, gruppi filo-russi hanno preso d'assalto gli uffici del Servizio di Sicurezza

Ucraino (SBU) e i palazzi governativi regionali e nella stessa Donetsk hanno procla-

mato la nascita della Repubblica Popolare, annunciandone per l'11 maggio il

referendum per l'indipendenza da Kiev. La risposta delle autorità ucraine non si è

fatta attendere: accusando l'ex Presidente Yanukovich e Vladimir Putin di orchestrare

"disordini separatisti", l'8 aprile il Ministro degli Interni Arsen Avakov ha avviato una

prima vasta campagna "anti-terrorismo" nelle regioni orientali che ha portato all'ar-

resto di almeno 70 separatisti e ha lanciato un ultimatum di 48 ore per sgomberare

i sit-in e porre fine all'occupazione di tutte le strutture pubbliche.

Il tentativo di negoziazione da parte del Primo Ministro Arseniy Yatsenyuk –

recatosi l'11 aprile a Donetsk per trattare direttamente con i leader regionali e

aprendo alla possibilità di trasferire ai governi locali maggiori poteri, oltre all'utilizzo

della lingua russa – si è rivelato sostanzialmente fallimentare: dopo un vertice di

emergenza nella serata del 12 aprile, le Forze Speciali di Kiev hanno iniziato una

nuova campagna anti-terrorismo a Slovansk e a Kramatorsk, nella provincia

orientale di Donetsk, dove nel corso di scontri con gruppi di auto-difesa non meglio

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identificati (come accaduto nel mese di marzo in Crimea) sarebbero morte almeno 3

persone e un'altra decina sarebbero i feriti.

L'utilizzo della forza da parte di Kiev, ha dichiarato Lavrov, mette a questo punto in

discussione i negoziati quadripartiti (USA, UE, Russia, Ucraina) previsti per il

17 aprile a Ginevra: un punto, quello della partecipazione delle nuove autorità

ucraine ai negoziati, su cui Washington ha particolarmente insistito. Kerry ha

espresso profonda preoccupazione per ciò che sta accadendo, chiedendo alla Russia

– le cui truppe restano sui confini, nella provincia di Krasnodar – dall'astenersi da un

intervento armato e ha annunciato per il 22 aprile la visita del vice Presidente

Joe Biden a Kiev per discutere della stabilizzazione del Paese e delle prospettive

economiche, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza energetica.

Gli stessi Stati Uniti hanno peraltro imposto nuove sanzioni per i responsabili

dell'annessione della Crimea: coinvolti questa volta Pyotr Zima (Capo dei Servizi di

Sicurezza della Crimea), Aleksei Chaliy (sindaco di Sebastopoli), Rustam Temirgaliev

(organizzatore del referendum del 16 marzo), Yuriy Zherebtsov (Presidente della

Rada di Simferopoli), Mikhail Malyshev (Presidente della Commissione elettorale re-

ferendaria), Valery Medvedev e Serghey Tsekov. Ad essere colpita anche la società di

gas Chernomorneftegaz, ex sussidiaria per la Crimea della Naftogaz attiva nel Mar di

Azov, che dal 18 marzo è diventata russa pur conservando nome e assets della società

di Stato ucraina.

La NATO dal canto suo, che nel corso del Summit dell'1 e 2 aprile a Bruxelles aveva

deciso di sospendere la cooperazione pratica, civile e militare con la Russia e

contemporaneamente di intensificare quella con l'Ucraina, ha chiesto nuovamente a

Mosca una de-escalation. Nel corso della settimana gli Stati Uniti hanno proceduto a

spostare dalla base navale spagnola di Rota verso il Mar Nero il cacciatorpediniere

USS Donald Cook (dotato di un sistema di difesa antimissile Aegis), che va ad ag-

giungersi alle due navi inviate durante i mesi di febbraio e marzo – la fregata lancia-

missili USS Taylor (giunta in realtà durante i giochi di Sochi per garantirne la sicu-

rezza) e la US Truxtun (per esercitazioni congiunte con Romania e Bulgaria) – e

alla nave da guerra elettronica francese Dupuy de Lome. Mosca ha dunque accu-

sato Washington di violare la Convenzione di Montreux (relativa alla regolamen-

tazione del passaggio e della navigazione attraverso lo Stretto dei Dardanelli, il Mar

di Marmara e il Bosforo - 1936).

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BREVI

IRAN, 7-9 APRILE ↴

Si è concluso a Vienna un nuovo round di negoziati sul

dossier nucleare iraniano tra Teheran, rappresentata

dal Ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif, e il

Gruppo 5+1 (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Cina,

Russia + Germania), guidato dall’Alto Rappresentante

dell’Unione Europea, Catherine Ashton. Le trattative

continuano a proseguire tra alti e bassi: secondo la

scaletta condivisa dalle due parti, è d’altronde ancora troppo presto per giungere ad

un accordo totale e definitivo, raggiungibile entro l’estate. La Ashton, a margine dei

colloqui, ha dichiarato che «sarà necessario lavorare per superare le differenze che

esistono ancora a questo stadio del processo. Ora passeremo allo stadio successivo

dei negoziati in cui punteremo a colmare le distanze in tutte le aree chiave, e a

lavorare su elementi concreti di un possibile accordo globale». Segnali incoraggianti

sono comunque giunti dal capo dell'Organizzazione dell'energia atomica iraniana, Ali

Akbar Salehi, che ha annunciato che «stiamo riattrezzando il reattore di Arak per

ridurre sensibilmente la produzione di plutonio». L’appuntamento per un nuovo round

dei negoziati è ora fissato per maggio. Intanto, Stati Uniti ed Iran si stanno

scontrando a livello diplomatico riguardo la nomina ad Ambasciatore iraniano presso

l’ONU di Hamid Aboutalebi. Teheran ha richiesto a Washington il visto per consentire

l’accesso ad Aboutalebi al Palazzo di Vetro di New York, su suolo statunitense. Dopo

che il Dipartimento di Stato aveva affermato di voler vagliare la richiesta, il Congresso

ha votato compatto per negare il visto a causa della partecipazione del diplomatico

all’assalto all’Ambasciata americana di Teheran durante la Rivoluzione iraniana del

1979. La Casa Bianca ha quindi accettato la richiesta del Congresso e ha comunicato

all’Iran che Aboutalebi, già Ambasciatore in Italia, è sgradito agli Stati Uniti. Teheran

ha dichiarato che ciò è inaccettabile e che agirà di conseguenza.

KENYA, 1° APRILE ↴

Una serie di esplosioni hanno colpito la città di Nairobi,

capitale del Kenya, provocando la morte di sei persone

e il ferimento di venticinque, secondo quanto annun-

ciato dal National Disaster Operation Center sul suo ac-

count Twitter. Le tre esplosioni quasi simultanee hanno

praticamente distrutto due piccoli ristoranti e una cli-

nica del quartiere di Eastleigh, situato in un’area abitata prevalentemente da cittadini

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somali; proprio per questo motivo il quartiere è chiamato piccola Mogadiscio. East-

leigh è lo stesso quartiere in cui si trova lo shopping mall Westgate scenario dell’at-

tacco perpetrato dai militanti di al-Shabaab nel mese di settembre dello scorso anno

che ha provocato la morte di 67 persone. In questo caso non ci sono state rivendica-

zioni da parte di al-Shabaab che però è il principale indiziato, poiché è stato protago-

nista di numerosi attentati nell’area, giustificandoli con l’opposizione all’intervento dei

militari kenyoti in Somalia. La reazione del governo kenyota è stata immediata ed

una massiccia operazione di polizia è stata lanciata: per circa tre ore, la polizia ha

scandagliato il quartiere, bussando porta a porta alla ricerca di qualsiasi indizio che

potesse essere utile alla ricerca dei colpevoli. Naturalmente nel mirino c’è sempre al-

Shabaab e alla fine l’operazione di polizia si è conclusa con 627 persone arrestate,

molte di etnia somala e legate, in qualche modo, all’organizzazione terroristica. Molte

delle persone arrestate sono rifugiati somali a cui il governo kenyota ha intimato di

lasciare le aree urbane e ritornare negli appositi campi situati alla periferia della ca-

pitale: lo scorso anno, una decisione simile del governo era stata annullata dalla Corte

Costituzionale che l’aveva giudicata una minaccia ai diritti fondamentali dei cittadini.

Nel frattempo numerose organizzazioni somale hanno denunciato atti di soprusi e

minacce compiuti dalla polizia kenyota.

LIBIA, 7-10 APRILE ↴

Il governo centrale del Premier ad interim Abdullah al-

Thani e l’Ufficio Politico di Barqa (nome arabo della Ci-

renaica) hanno trovato un accordo per la riapertura di

due dei quattro terminal petroliferi occupati dalla fine

di luglio 2013 da un gruppo separatista guidato dall’ex

rivoluzionario Ibrahim Jadran, deus ex machina dell’intera operazione di mediazione

e influente attore dell’attuale scena politica libica. I porti petroliferi in questione sono

quelli di Hariga e Zweytina, mentre quelli di Sidra e Ras Lanouf potrebbero riaprire

nelle prossime settimane. Alla base dello sblocco delle controverse trattative ci sa-

rebbe un accordo negoziato in 6 punti firmato il 7 aprile ad Ajdabiya, nell'est della

Libia, tra i rappresentanti delle istituzioni libiche (Parlamento, governo e procura) e

lo stesso Jadran, che grazie alle sue guardie private riesce a controllare le intere

attività petrolifere della Cirenaica. L’intesa prevede al primo punto la formazione da

parte del Ministero della Giustizia di una commissione d'inchiesta di sei esperti atta a

far luce «sui furti e sugli abusi di petrolio da parte di alcuni funzionari governativi

prima dell'inizio della protesta del 2011» e proseguiti fino ad oggi. Il secondo punto

riguarda l'emissione da parte del governo di un decreto per il ripristino della sede

delle guardie dei terminal – quelle di Jadran – nella regione centrale della Libia. Il

terzo prevede il pagamento degli stipendi arretrati delle guardie poste a difesa dei

porti. Il quarto punto interessa la riapertura dei terminal di Zweytina e Hariga, siti

nei quali le guardie dei terminal dovranno impedire un nuovo blocco delle operazioni

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da parte di infiltrati e malviventi. Il quinto punto annuncia la riconsegna dei porti di

«Sidra e Ras Lanouf e di qualsiasi altro terminal petrolifero o giacimento alle autorità

libiche entro un periodo che va da due a quattro settimane». L’ultimo punto, infine,

prevede l'avvio di una mediazione presso la procura di Tripoli per revocare i mandati

di cattura e le indagini a carico dei leader separatisti e contro coloro che hanno pro-

vocato la chiusura dei porti petroliferi, tra cui anche tre ribelli cirenaici a bordo della

Morning Glory. Proprio il caso della nave cisterna nordcoreana e lo stallo nella produ-

zione petrolifera che ha messo in ginocchio l'economia nazionale – con perdite per

oltre 10 miliardi di euro per un rentier state come la Libia che nei nel periodo pre-

rivoluzionario produceva 1,6 milioni di barili giornalieri contro gli attuali 250.000 –

hanno contribuito ad aggravare l’instabilità politica provocando una crisi di governo,

rientrata dopo le dimissioni di Alì Zeidan – rifugiatosi in Germania per scampare agli

arresti – e la formazione di un esecutivo ad interim.

MALI, 7 APRILE ↴

Il governo del Mali ha rassegnato le proprie dimissioni

ed un nuovo Primo Ministro prenderà, a breve, il po-

tere. Sabato 5 aprile, Il Premier in carica, Oumar Tatam

Ly, ha presentato al Presidente Ibrahim Boubacar

Keita, che le ha accettate, le dimissioni del suo go-

verno, senza fornire ulteriori motivazioni. Il Presidente

ha poi incaricato Moussa Mara, suo principale avversa-

rio alle elezioni presidenziali dello scorso agosto, di for-

mare un nuovo Esecutivo. Keita, conosciuto da tutti attraverso le sue iniziali IBK, si

trova quindi a dover affrontare un nuovo ostacolo lungo la tortuosa strada della rico-

struzione e riunificazione del Paese, nonostante il rimpasto di governo venga consi-

derato un normale avvicendamento politico. Il Mali sta affrontando un difficile periodo

storico da quando nel gennaio 2012 ha dovuto fronteggiare una ribellione tuareg che,

unitasi in seguito alle milizie islamiste operanti nel nord del Paese, ha minato seria-

mente l’unità nazionale. La situazione di crisi generale ha costretto la Francia ad

inviare proprie truppe in territorio maliano, per riportare la pace e scacciare dal Paese

i gruppi ribelli legati ad al-Qaeda che si erano impossessati dell’Azawad. Nonostante

l’offensiva francese si sia risolta favorevolmente in poco tempo, alcuni gruppi jihadisti

operano ancora nel nord, dove spesso le truppe francesi scoprono nutriti depositi di

munizioni. Il successore di Oumar Tatam Ly, Moussa Mara, ha affermato che i suoi

primi provvedimenti saranno volti a rafforzare la governance e i servizi pubblici e a

migliorare le relazioni tra cittadini e Stato.

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STATI UNITI, 3-7 APRILE ↴

Il Segretario di Stato americano, John Kerry, si è recato

in visita in Algeria lo scorso 3 aprile per discutere con

il governo algerino più questioni: dalla sicurezza –

come i problemi del Sahel – alla cooperazione econo-

mico-commerciale e politica. Il portavoce del Ministero

degli Esteri algerino, Sherif Abdelaziz Benali, ha dichia-

rato che «non esiste ragione per limitare le relazioni

bilaterali tra Algeri e Washington ai soli problemi di sicurezza», riconoscendo che «gli

Stati Uniti svolgono un ruolo fondamentale per la risoluzione» delle questioni regionali

e sono interessati «agli investimenti nel settore degli idrocarburi». Kerry ha dunque

discusso degli approvvigionamenti energetici che l’Algeria fornisce all’Europa, soprat-

tutto alla luce della crisi ucraina, e ha affermato che «gli Stati Uniti contano di fornire

maggiore sostegno all'Algeria nella lotta contro il terrorismo». Pochi giorni dopo, il

Segretario alla Difesa americano, Chuck Hagel, ha effettuato un viaggio in Asia, re-

candosi a Tokyo e a Pechino. Nella prima tappa, Hagel ha rassicurato il Premier Shinzo

Abe che «non c'è alcun segnale di indebolimento dell'impegno completo e assoluto

degli Stati Uniti per la sicurezza del Giappone», promettendo che entro tre anni gli

USA dispiegheranno due nuove cacciatorpediniere lanciamissili per difendere Tokyo

dai lanci balistici della Corea del Nord. Hagel ha rassicurato Abe anche sul fatto che

la Crimea non costituirà un precedente per la gestione della questione delle Senkaku.

Giunto in Cina, Hagel ha incontrato il Ministro della Difesa, Chang Wanquan, che ha

chiarito che Pechino ha «una sovranità indiscutibile» sulle isole Diaoyu (le Senkaku):

«non ci sarà alcun compromesso» con Tokyo, minacciando che «le forze militari cinesi

possono raggrupparsi non appena chiamate, combattere qualsiasi battaglia e vin-

cere». Hagel ha quindi esortato alla prudenza, affermando che nel Mar della Cina

orientale Pechino sta agendo «senza collaborazione, senza consultazioni». Washing-

ton, ha avvertito il Capo del Pentagono, ha dei trattati di difesa con il Giappone che

intende rispettare.

TURCHIA, 30 MARZO – 11 APRILE ↴

Le elezioni locali dello scorso 30 marzo hanno decretato una sostanziale vittoria per

il partito AKP del Premier Recep Tayyp Erdoğan ai danni del Partito Repubblicano CHP

di Kemal Kılıçdaroğlu, raccogliendo su base nazionale il 44,19% dei consensi e man-

tenendo le municipalità di Ankara e Istanbul (CONFRONTA MAPPA). Se questo risultato

sembra momentaneamente placare i dissidi interni al partito di governo, ciò non è

tuttavia servito né a stemperare il clima di tensioni che aveva accompagnato la vigilia

del voto né, soprattutto, a metter fine al braccio di ferro tra potere esecutivo e potere

giudiziario. Se per un verso, infatti, proprio il leader di CHP lo scorso 8 aprile è stato

aggredito in Parlamento da un uomo presumibilmente appartenente ad AKP, il 9 aprile

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il Tribunale di Ankara ha imposto all'Autorità governativa per le Telecomunicazioni TIB

la riapertura del canale YouTube, il cui blocco durava da 2 settimane. Una decisione

che fa seguito a quella di alcuni giorni prima della Corte Costituzionale, che aveva

ordinato lo sblocco di Twitter. La stessa Corte ha giudicato peraltro incostituzionale

una parte della riforma del sistema giudiziario che era stata varata dall'Esecutivo

nello scorso mese di dicembre, e approvata a febbraio, che avrebbe permesso a que-

st'ultimo un maggior controllo dello stato delle istituzioni giuridiche. L'organismo ha

giudicato in particolare contrarie alla Costituzione le norme che conferivano al Mini-

stro della Giustizia poteri di nomina dei membri dell'Hsyk (il CSM turco) e dei magi-

strati, nonché la possibilità di intervenire nelle procedure disciplinari.

UNGHERIA, 6 APRILE ↴

Con il 44,54% dei voti, il Magyar Polgári Szövetség (FIDESZ) del Premier Viktor Or-

bàn si è confermato il primo partito all'interno dell’Országház (il Parlamento unghe-

rese) – conquistando 133 dei 199 seggi a disposizione – anche se in deciso calo

rispetto alle elezioni del 2010 quando ottenne il 52,73%. Battuto il Magyar Szocialista

Párt (MSZP) di Attila Mesterhàzy, passato tuttavia dal 19,3% delle scorse consulta-

zioni al 26% (in generale alla colazione di centro-sinistra “Unity” vanno 38 seggi).

Parte del consenso perso da FIDESZ è stato inoltre riversato sul partito nazionalista

radicale Magyarországért Mozgalom (Jobbik) di Gábor Vona, che conferma e migliora

il proprio trend, passando dal 16,67% del 2010, quando si presentò per la prima volta

da solo dopo la breve esperienza con l'altro partito di destra MIEP, al 20,54% e otte-

nendo così 23 seggi. Si fermano poco al di sopra della soglia di sbarramento del 5%

i green-liberal Lehet Más a Politika (LMP) di András Schiffer (CONFRONTA GRAFICO).

Nonostante la stagione di proteste antigovernative tra il 2012 e il 2013, e nonostante

le critiche (e le procedure di infrazione) mosse anche a livello europeo per le modifi-

che costituzionali relative principalmente al potere giudiziario e alla libertà di espres-

sione, Orbàn continuerà a governare per altri 4 anni forte anche di un andamento

positivo dell'economia, peraltro senza ricorrere, come sembrava ormai certo, all'in-

FONTE: HÜRRIYET DAILY NEWS/DATI: CIHAN NEWS AGENCY

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tervento del Fondo Monetario Internazionale. La prossima sfida è prevista in occa-

sione delle elezioni europee del 25 maggio, dove Jobbik punterà a sorpassare i 4

seggi a Bruxelles di MSZP.

VENEZUELA, 10 APRILE ↴

Non si scorge la fine nei disordini in Venezuela ad ol-

tre due mesi dall’inizio del scontri tra il regime chavi-

sta e le variegate opposizioni nazionali, che hanno

provocato 39 morti e centinaia di feriti. Se da un lato

il Presidente Nicolás Maduro denuncia «il fascismo, il

terrorismo […] e le ingerenze statunitensi e colombiane che minacciano la stabilità

del Paese», dall’altro il successore di Hugo Chávez prova ad instaurare prove informali

di dialogo con l’opposizione antichavista, mediate dall’Unión de Naciones Surameri-

canas (UNASUR) e da Aldo Giordano, Nunzio apostolico della Santa Sede. Infatti, lo

scorso 10 aprile si è tenuto il primo incontro a Caracas, in diretta televisiva dal pa-

lazzo presidenziale di Miraflores, tra il governo venezuelano e i rappresentanti della

Mesa de Unidàd Democratica (MUD). Come ha ricordato il vice Presidente venezue-

lano Jorge Arreaza, «l’UNASUR sorveglierà il corretto svolgimento del processo con i

Ministri degli Esteri di Brasile, Colombia ed Ecuador, ed il Nunzio Apostolico rappre-

sentante del Vaticano». Sebbene la strada sia ancora in salita, il religioso italiano

Aldo Giordano, leggendo un messaggio di Monsignor Pietro Parolin – ex Nunzio a

Caracas e ora Segretario di Stato –, ha precisato che «il processo di pace è una grave

responsabilità davanti a tutto il popolo del Venezuela, un’occasione preziosa da non

perdere». Governo e opposizione hanno espresso grande apprezzamento per le pa-

role e il ruolo della Santa Sede ma hanno anche spiegato che è necessaria una stra-

tegia politica comune per uscire dalla crisi. In particolare il rappresentante del MUD,

Ramón Guillermo Aveledo, ha individuato nei temi dei «prigionieri politici, degli stu-

denti e delle loro mobilitazioni pacifiche e degli attacchi ai diritti civili e sociali dei

venezuelani», i punti cardine entro cui dipanare e sviluppare il dialogo nazionale.

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ALTRE DAL MONDO

ARGENTINA, 10 APRILE ↴

Buenos Aires e le principali città del Paese sono state percorse da uno sciopero gene-

rale, proclamato da tre delle cinque sigle sindacali, contro la politica economica del

governo di Cristina Fernández de Kirchner: si tratta della più importante mobilitazione

dall‘inizio del mandato della Presidenta nel 2007.

CANADA, 9 APRILE ↴

Si sono svolte in Québec le elezioni per la nomina dei 125 membri dell’Assemblée

Nationale, le quali hanno visto l’affermazione, per la prima volta dal 1976, del Parti

Libéral du Québec, guidato da Philippe Couillard, a cui sono andati 70 seggi. Netta

sconfitta dei separatisti del Premier uscente Pauline Marois, la quale si è anche di-

messa da leader del Parti Québécois che ha conseguito soltanto 30 scranni.

EGITTO, 5 APRILE ↴

Le avance nei confronti di una ragazza hanno scatenato violenze e disordini ad As-

suan, capoluogo della provincia omonima dell'Alto Egitto, sfociati poi in veri e propri

scontri inter-tribali costati la vita a 23 persone – tra cui una bambina e diverse donne

sgozzate – e che hanno provocato una cinquantina di feriti. Protagonisti delle violenze

sono stati i clan locali Bani Hilal, egiziani di origine araba, e i Dabudiya, nubiani di

stirpe africana.

FINLANDIA, 7 APRILE ↴

Il Primo Ministro Jyrki Katainen ha annunciato da giugno le proprie dimissioni dalla

guida del governo nazionale per concentrarsi ad una candidatura come possibile

Commissario europeo al posto dell’uscente e suo connazionale Olli Rehn, Commissa-

rio europeo per gli Affari Economici e Monetari. Secondo i quotidiani nazionali i più

probabili successori alla carica di Katainen sono il Ministro dell’Economia Jan Va-

paavuori, il collega agli Affari Europei Alexander Stubb o il Ministro degli Affari Co-

munali Hanna Virkkunen.

FRANCIA, 2 APRILE ↴

Il secondo turno delle municipali francesi si conferma una disfatta per i socialisti del

Presidente François Hollande. Nonostante la vittoria a Parigi, dove la socialista Anne

Hidalgo diventa la prima donna alla guida della capitale battendo la sfidante dell'UMP,

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Natalie Kosciusko-Morizet, i conservatori di Jean-Francois Copé vincono in gran parte

dei ballottaggi. L’insuccesso socialista ha costretto il Presidente ad un rimpasto di

governo con Manuel Valls, uscente dal Dicastero degli Interni, come nuovo Primo

Ministro. Confermati Laurent Fabius, Jean-Yves Le Drian e Christiane Taubira agli

Esteri, Difesa e Giustizia, mentre le principali novità sono Segolene Royal all’Ambiente

e lo smembramento del precedente Ministero dell’Economia e delle Finanze guidato

da Bernard Cazeneuve, sciolto in Economia e Finanze e retti rispettivamente da Ar-

naud Montebourg e Michel Sapin.

GIAPPONE-AUSTRALIA, 7 APRILE ↴

Dopo trattative durate sette anni, il Premier australiano Tony Abbott e il suo omologo

giapponese Shinzo Abe hanno firmato a Tokyo un importante accordo di libero scam-

bio del valore di decine di miliardi di dollari per i prossimi 20 anni. L'accordo di libero

scambio riguarda latticini, carne di manzo, vino e un'ampia gamma di servizi, ren-

dendo più economici per i consumatori australiani prodotti nipponici come automobili,

fotocamere o televisori.

INDIA, 7 APRILE ↴

Dureranno 72 giorni le elezioni parlamentari in India per il rinnovo della camera bassa

del Parlamento (Lokh Saba), che si concluderanno il prossimo 12 maggio. La fine del

conteggio dei voti è prevista per il 16 maggio. Favorito il candidato del Bharatiya

Janata Party (BJP) e Governatore in carica del Gujarat, Norendra Modi. In netto calo

le quotazioni del Partito del Congresso di Rahul Gandhi.

PAKISTAN, 9 APRILE ↴

È di 23 morti e 50 feriti il bilancio dell’attentato in un mercato a Rawalpindi, città a

pochi chilometri dalla capitale Islamabad e quartier generale delle forze di sicurezza

pachistane. Secondo le autorità, la responsabilità dell’attentato sarebbe da attribuirsi

ad un gruppo indipendentista del Beluchistan.

SLOVACCHIA, 30 MARZO ↴

L'imprenditore Andrej Kiska è il nuovo Presidente della Slovacchia, ottenendo il

59,4% dei consensi e battendo al ballottaggio il Primo Ministro socialdemocratico Ro-

bert Fico, attestatosi al 40,6%. Kiska prenderà dunque il posto dell'uscente Ivan Ga-

sparovic, l'unico Capo di Stato eletto per due mandati consecutivi dall'indipendenza

del 1993.

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SPECIALE AFGHANTISTAN

LA PERFECT STORM, IL 2014 DELL’AFGHANISTAN

DAVIDE BORSANI ↴

Il 2014 è l’anno della ‘tempesta perfetta’ per Kabul. Due sono gli eventi nei prossimi

otto mesi che determineranno il futuro dell’Afghanistan. Il primo è l’imminente ele-

zione presidenziale, che proclamerà un nuovo Capo di Stato a distanza di oltre un

decennio dalla nomina ad opera della comunità internazionale di Hamid Karzai, un

incarico confermatogli (non in modo del tutto trasparente) dagli afghani nel 2004 e

nel 2009. Il secondo è la conclusione della missione internazionale di peace enforce-

ment denominata International Security Assistance Force (ISAF), che dal 2002 ha

provato a garantire, pur con innumerevoli difficoltà, la stabilità di un territorio dila-

niato da decenni di conflitti, non da ultimo la guerra civile degli anni Novanta. L’era

di Karzai è ufficialmente terminata. Dopo aver guidato il Paese per due mandati, la

Costituzione (…) SEGUE >>>

AFGHANISTAN TRA ELEZIONI E RITIRO ISAF: INTERVISTA A STEFANO RUZZA

DENISE SERANGELO ↴

Si sono chiuse da poche ore i seggi in Afghanistan, per quelle che sono state le prime

elezioni presidenziali dopo il decennio di Hamid Karzai. Tra accuse di brogli e attacchi

talebani, circa 7 milioni su 12 aventi diritto si sono recati alle urne. Non è solo un

voto, ma il volto di un Paese che ambisce al cambiamento e che spera di guardare al

futuro in modo diverso e più consapevole. Il 2014 è un anno decisivo non solo per

Kabul, ma anche per il contingente di forze internazionali che da un decennio è stabile

nel Paese per permettere al Governo di rinsaldare il rapporto autorità centrale-popo-

lazione e mantenere al contempo una cornice di sicurezza in cui operano le stesse

autorità centrali e le organizzazioni internazionali. Circa il futuro del Paese e dell’In-

ternational Security Assistance Force (ISAF), ne abbiamo discusso con il Professor

Stefano Ruzza, docente di “Conflitto, sicurezza e state-building” presso l’Università

degli Studi di Torino, nonchè Head of Research di T.wai – Torino World Affairs Insti-

tute (…) SEGUE >>>

AN EYE ON AFGHANISTAN – VISUALIZZA L’INFOGRAFICA

A CURA DI ANDREA MACARIO

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ANALISI E COMMENTI

LA CONTROVERSA QUESTIONE DEGLI EPA: L’EUROPA TORNA IN AFRICA

GIUSEPPE CONSIGLIO ↴

Che l’Africa rivestisse un’importanza strategica fondamentale per l’Unione Europea

non è certo una novità. Sebbene nel Continente si registri una presenza rilevante

degli Stati Uniti ed una penetrazione sempre più marcata da parte di Cina, nonché di

Russia, Kuwait, Brasile, India, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita

(anche se in maniera assai più contenuta), sono ancora i Paesi europei a giocare un

ruolo cruciale, tanto come “battitori liberi” quanto come membri dell’UE. La coopera-

zione in ambito economico tra Africa ed Europa, declinata in modo molto differente

nel corso dei decenni, ha prodotto una serie di strumenti – legali e commerciali – con

i quali l’Unione Europea ha esteso la propria influenza sul Continente rafforzando

delle posizioni già consolidate e tentando di recuperare quelle perdute a favore dei

suoi competitors globali (…) SEGUE >>>

LA CONNECTION SINO-RUSSA ALLA PROVA DELLA CRISI UCRAINA

ANDREA FERRANTE ↴

In attesa di capire se l’esito del referendum imposto dalla Duma nella regione di

Crimea abbia davvero messo la parola fine alla contesa in Ucraina, appare già chiaro

quali sottili e fondamentali implicazioni comporti un’efficace gestione del caos politico

ucraino sulla dinamiche della “partnership strategica” sorta tra Mosca e Pechino all’in-

domani della più grande tragedia del ventesimo Secolo (Putin, sulla disgregazione

dell’Unione Sovietica). In attesa di capire se l’esito del referendum imposto

dalla Duma nella regione di Crimea abbia davvero messo la parola fine alla contesa

in Ucraina, appare già chiaro quali sottili e fondamentali implicazioni comporti un’ef-

ficace gestione del caos politico ucraino sulla dinamiche della “partnership strategica”

sorta tra Mosca e Pechino all’indomani della più grande tragedia del ventesimo Se-

colo (Putin, sulla disgregazione dell’Unione Sovietica) (…) SEGUE >>>

IL BRACCIO DI FERRO TRA AUSTRALIA E INDONESIA SULL’IMMIGRAZIONE

VINCENZA LOFINO ↴

Si fanno sempre più aspre le relazioni diplomatiche tra Australia e Indonesia in merito

alla questione dell’immigrazione clandestina a seguito di alcuni incidenti sul finire

dello scorso anno. Si tratta di un tema molto sensibile e non solo dal punto di vista

umanitario: tragedie di migranti provenienti dalla vicina Indonesia, si ripetono al

largo delle coste australiane e ricordano i recenti scenari che hanno coinvolto i mi-

granti africani diretti a Lampedusa in cerca di fortuna in Italia e in Europa. Sull’annoso

problema non si giocano solo le sorti degli immigrati ma anche i destini delle relazioni

e degli interessi comuni di Canberra e Jakarta. Non è la prima volta che tra Indonesia

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e Australia si verificano screzi sul tema dell’immigrazione A scatenare l’ultimo scontro

tra i due Paesi è stato il salvataggio di un’imbarcazione carica di 60 rifugiati in pros-

simità della costa meridionale di Java (…) SEGUE >>>

GUERRA IN SIRIA: LE ARMI IN CAMPO

DAMIANO BECHERUCCI ↴

Analisi disponibile anche come Research Paper: SCARICA

Mentre l’attenzione dei media internazionali è concentrata sui fatti di Crimea, in Siria

continua ad imperversare la guerra civile. Anche la seconda sessione di negoziati di

Ginevra II, conclusasi il 16 febbraio scorso, si è dimostrata un sostanziale fallimento

e il mediatore ONU Lakhdar Brahimi ha giudicato una ripresa dei negoziati come

un’eventualità fuori discussione al momento. L’ultima iniziativa internazionale regi-

strata è stata, invece, l’approvazione, il 22 febbraio, della Risoluzione 2139 del Con-

siglio di Sicurezza ONU, che ha visto per la prima volta Russia e Cina non opporsi con

il veto ad una decisione vincolate contro il regime siriano. La Risoluzione, però, no-

nostante minacciasse entro 30 giorni “ulteriori azioni” in caso della violazione delle

sue richieste (si chiede la fine degli attacchi verso i civili e il permesso di accesso

degli aiuti umanitari), è solo una risposta annacquata alle violazioni dei diritti umani

e alle violenze che la popolazione siriana sta vivendo da ormai 3 anni (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

www.bloglobal.net