Weekly Report N°11 2015
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N°11, 12-25 APRILE 2015
ISSN: 2284-1024
I
BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 26 aprile 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°11/2015 (12-25 aprile 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2015, www.bloglobal.net
Photo credits: AP Photo/Efrem Lukatsky; RIA Novosti/Iliya Pitalev; Anadolu Agency; Lapresse; Saleh al-Obeidi; Mas-simo Sestini; EPA; Reuters.
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FOCUS
CINA-PAKISTAN ↴
Dopo il rinvio dello scorso autunno a causa delle proteste anti-governative nelle prin-
cipali città del Pakistan e, più in generale, dell’assenza delle condizioni minime di
sicurezza, il Presidente cinese Xi Jinping si è recato il 20 e 21 aprile a Isla-
mabad per un’importante visita ufficiale. Il viaggio di lavoro, che si inseriva all’in-
terno di un’intensa agenda diplomatica cinese che ha portato Xi anche in Indonesia
(21-24 aprile) per partecipare alla Riunione dei leader Asia-Africa e alle celebrazioni
per il 60° anniversario della Conferenza di Bandung, si è rivelata un’utile occasione
per rinsaldare la special relationship (la collaborazione bilaterale risale al 1971 e
negli anni si è rafforzata in virtù della loro storica rivalità con l’India e delle loro
complicate relazioni con gli USA) e per rilanciare la strategia diplomatica e com-
merciale cinese della New Silk Road Belt, che vede nel Pakistan un formidabile
vettore geopolitico necessario alla compiutezza della penetrazione del Dragone in
Asia centro-meridionale e, infine, nell’Europa balcanica e mediterranea.
Negli incontri con il Presidente Mamnoon Hussain e il Primo Ministro Muhammad Sha-
rif, il leader cinese ha ribadito dunque la strategica della relazione bilaterale esistente
tra i due Paesi firmando 51 memorandum di cooperazione economica, com-
merciale, energetica (anche del nucleare civile), infrastrutturale, dell’anti-terrorismo
e della tecnologia spaziale e marittima per un valore complessivo di 46 miliardi di
dollari. Il principale tra questi riguarda la costruzione del China Pakistan Econo-
mic Corridor (CPEC), una rete di infrastrutture di vario livello (come strade, ferro-
vie, porti e oleodotti) lunga 3.200 chilometri, che congiungerà il porto pachistano di
Gwadar sull’Oceano Indiano – già ampiamente finanziato in passato da Pechino e
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divenuto il suo principale hub commerciale-portuale nell’area – con la città cinese di
Kashgar, nella provincia del Xinjiang.
Collegati a questo progetto ve ne sono di collaterali come la costruzione della
diga e della centrale idroelettrica di Karot, su fiume Jhelum, nella quale Pechino in-
vestirà 1,65 miliardi di dollari, o i quattro impianti di produzione di energia elettrica
finanziati dall’Industrial and Commercial Bank of China, con un investimento di 4,3
miliardi di dollari, che sorgeranno lungo il corridoio CPEC e serviranno a ridurre il
cronico deficit energetico pachistano (in particolare di elettricità), causato
dall’inefficienza delle proprie reti di distribuzione industriale e civile che causano in-
numerevoli black-out giornalieri.
CHINA PAKISTAN ECONOMIC CORRIDOR (CPEC) – FONTE: BBC
Al di là della rilevanza degli accordi firmati, permangono tuttavia alcuni dubbi relativi
principalmente alla sicurezza e nello specifico alla vulnerabilità del progetto CPEC
a causa di possibili attacchi terroristici. Il tracciato del CPEC dovrebbe attraver-
sare tre aree altamente instabili (come il Baluchistan e il Kashmir pachistano e lo
Xinjinag cinese) sempre più spesso teatri di scontri tra forze di sicurezza e gruppi
clanico-tribali locali, oltre che di attentati terroristici legati a gruppi nazionalisti e
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indipendentisti. Anche al fine di garantire la sicurezza nei lavori e nello sviluppo del
corridoio sino-pachistano, secondo il quotidiano Dawn, l’esercito di Islamabad
avrebbe creato un’unità speciale con il compito di proteggere i lavori e i cittadini
cinesi che lavorano nel Paese da possibili attentati terroristici.
Seppur non tra i primi punti in agenda, le questioni sicurezza sono state tra i più
importanti argomenti affrontati da Pechino e Islamabad che sono anche sul punto di
finalizzare un accordo tra i 4 e i 5 miliardi di dollari per la vendita di otto sottomarini
di fabbricazione cinese al Pakistan.
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IMMIGRAZIONE ↴
Il naufragio del 19 aprile – per cause ancora pienamente da chiarire – nel Canale
di Sicilia, a 70 miglia dalle coste libiche, di un peschereccio con a bordo almeno 750
profughi e di cui solo una cinquantina di persone sono state messe in salvo, ha riac-
ceso le polemiche sulla conduzione da parte dell'Unione Europa delle politi-
che di immigrazione e di controllo e sicurezza delle frontiere meridionali del
Continente. Una polemica tanto più alimentata dalla chiusura negli scorsi mesi della
missione italiana di Search and Rescue (SAR) Mare Nostrum, che aveva ottenuto
risultati ragguardevoli, a favore di quella di respiro europeo, Triton, che, ridotta nelle
risorse, nei mezzi e nel raggio di azione (da 175 a 30 miglia dalle coste italiane), si è
rivelata inadeguata per la gestione dei flussi migratori.
LE VITTIME – FONTE: FRONTEX-IOM/ELABORAZIONE: ANSA CENTIMETRI
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In seguito ad un Vertice Affari Esteri tenutosi a Lussemburgo il 20 aprile, in cui il
Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è tornato a chiedere un maggior impegno di
Bruxelles in un'emergenza che riguarda tutto il continente e non solo l’Italia, il Con-
siglio europeo straordinario del 23 aprile ha preso alcune decisioni che, pur
non essendo vincolanti, delineano la prossima strategia UE su alcuni punti
cardine: potenziamento delle operazioni di pattugliamento, lotta ai trafficanti, pre-
venzione dei flussi migratori illegali, rafforzamento della solidarietà interna.
Per quanto riguarda il primo aspetto, verranno triplicati (fino a 120 milioni di
euro) i finanziamenti per Triton e Poseidon (altra missione condotta da Frontex,
nel Mar Egeo) per il biennio 2015-2016. A questo si accompagna un generico “incre-
mento” dei mezzi a disposizione, mentre non vengono posti particolari vincoli all’im-
pegno dei singoli Paesi. Ciò vorrà dire che Triton non verrà trasformata in una
missione di SAR, ma manterrà il suo mandato originario, soprattutto se il coinvol-
gimento degli altri Stati UE si dovessero tradurre nella messa a disposizione, condi-
zionata, di mezzi al di fuori della stessa Triton. È il caso del Regno Unito, che ha
garantito la nave portaelicotteri Bulwark, tre elicotteri e due pattugliatori per opera-
zioni di soccorso e salvataggio in cooperazione con l'Italia a patto che non rientri
nell'ambito Triton e che le persone tratte in salvo non richiedano asilo al Regno Unito.
FONTE: FRONTEX (AGGIORNAMENTO AL GENNAIO 2015)
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Per quanto concerne il contrasto al traffico illegale di migranti, l’UE individua
come priorità: lo smantellamento delle reti dei trafficanti attraverso la cooperazione
tra Europol, Frontex, l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO) ed Eurojust,
nonché attraverso una maggiore attività di intelligence con i Paesi terzi; la distru-
zione delle imbarcazioni prima che possano essere utilizzate dai trafficanti; la possi-
bilità di avviare una missione nell’ambito della Politica Estera di Sicurezza e Difesa
(PSDC); il ricorso ad Europol per l’individuazione e la soppressione – nel rispetto della
Costituzione dei Paesi coinvolti – di contenuti diffusi su internet dai trafficanti allo
scopo di attrarre migranti e rifugiati. Allo scopo di arginare i flussi migratori, Bruxelles
ha ribadito l'impegno nel sostenere – evidentemente anche economicamente – i pro-
cessi di democratizzazione di Tunisia, Egitto, Mali, Sudan, Niger, nonché
nell’aumentare la cooperazione con i partner africani e con la Turchia (per ciò
che concerne la Siria e l'Iraq) nel quadro delle partnership regionali (processi di Rabat
e Khartoum) e di programmi di sviluppo (Africa settentrionale e Corno). La Commis-
sione e l’Alto Rappresentante sono dunque invitati a mobilitare tutti gli strumenti per
la riammissione nei Paesi di origine e di transito dei migranti clandestini e di istituire
un nuovo programma di rimpatrio in coordinamento con Frontex. Come ha già anti-
cipato il Presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, le questioni relative
all’asilo e dunque sulle regole di Dublino (e le quote di accoglienza) – su cui
più di tutto i Paesi UE mostrano le divergenze – torneranno ad essere og-
getto di dibattito con l'Agenda per l'Immigrazione, che sarà presentata il pros-
simo 13 maggio e discussa durante il Consiglio Europeo di giugno.
Per ciò che riguarda la Libia, esclusa per il momento l'avvio di una missione militare,
vi sarebbe allo studio di Bruxelles la possibilità di istituire una task force per il con-
trollo delle coste. Francia e Germania spingono per l'inserimento di un’eventuale
azione di distruzione mirata dei barconi all'interno di una cornice legale interna-
zionale offerta dalle Nazioni Unite. Un’opzione su cui tuttavia peserebbe la con-
trarietà espressa dal Ministro degli Esteri del governo di Tripoli, Muhammed al-Ghi-
rani.
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IRAQ/SIRIA ↴
L’intensificarsi della pressione islamista nella provincia sunnita dell’Anbar ha presto
frenato lo slancio acquisito dalle forze di sicurezza irachene dopo la riconquista di
Tikrit. Il governo di Baghdad ha deciso di consolidare la sovranità nel cuore
sunnita del Paese, deviando dal proposito originario di convergere su Mosul sia per
motivazioni logistico-militari (anzitutto il fragile controllo delle linee di rifornimento e
delle aree urbane in prossimità della capitale), sia di opportunità politica (data l’in-
gombrante centralità delle milizie sciite influenzate da parte iraniana e la marginaliz-
zazione delle comunità sunnite). Tuttavia, le manovre nell’Anbar hanno da subito
registrato la solida e organizzata risposta dello Stato Islamico (IS), in grado
di sferrare il 15 aprile un pesante contrattacco nel capoluogo Ramadi e nella sua
periferia nordorientale, costringendo l’esercito regolare e i guerriglieri tribali a una
precipitosa ritirata. L’urgente schieramento di divisioni addizionali e l’incremento dei
bombardamenti dei caccia statunitensi hanno permesso alle forze di sicurezza di re-
cuperare terreno nel centro cittadino e nel sobborgo settentrionale di Albu Faraj. Se
questi sviluppi hanno al momento allontanato lo spettro della caduta di Ramadi nelle
mani dei miliziani islamisti, che già dal dicembre 2013 hanno regolarmente tenuto
sotto scacco buona parte della città, secondo le stime rilasciate dalle Nazioni Unite le
ostilità hanno provocato lo sfollamento di oltre 90mila persone, in cerca di rifugio
nella vicina Falluja e a Baghdad.
Gli attacchi mossi dal Califfato non hanno interessato la sola Ramadi, ma hanno pure
colpito la raffineria di Baiji, a nord di Tikrit, riuscendo ad aprire una breccia in
quella che è la maggiore infrastruttura petrolifera in territorio iracheno e che per tale
ragione costituisce un obiettivo strategico di primo piano negli equilibri del conflitto.
Benché l’esercito regolare e le milizie volontarie del Fronte di Mobilitazione Popolare
abbiano ripreso il pieno controllo della raffineria, anche in questo frangente grazie
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alla fondamentale copertura area dell’alleato statunitense, l’episodio segnala come la
stessa area attorno a Tikrit sia ancora soggetta a frequenti irruzioni ed efficaci dimo-
strazioni di forza delle uniformi nere dell’IS.
SITUAZIONE SUL CAMPO IN IRAQ – FONTE: DI CARTOGRAPHY CENTER/MPG GOOGLE MAPS
Per la prima volta dall’assunzione dell’incarico, il Primo Ministro iracheno Haider
al-Abadi si è recato a Washington per rafforzare l’intesa con l’amministra-
zione Obama, nonché stabilire con i funzionari della Banca Mondiale e del Fondo
Monetario Internazionale modalità e criteri di misure assistenziali dirette a compen-
sare il forte passivo di bilancio (pari a 22 miliardi di dollari). La riduzione dei proventi
petroliferi determinata dall’escalation del conflitto e dall’inaspettato crollo del prezzo
del greggio ha infatti aggravato lo stato delle finanze irachene. In un incontro
tenuto nello Studio Ovale e aperto alla stampa, il Presidente statunitense Barack
Obama ha promesso lo stanziamento di 200 milioni di dollari per sostenere gli
oneri della ricostruzione e del soccorso alla popolazione civile. Gli aiuti umanitari
vanno ad aggiungersi ai quasi 2 miliardi spesi per finanziare lo sforzo bellico
nel teatro siro-iracheno. Durante l’incontro bilaterale Obama ha ammonito che tutti i
combattenti impegnati contro il Califfato debbano rispettare la sovranità irachena e
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rispondere direttamente al governo di Baghdad, in ciò alludendo al controverso coin-
volgimento di ufficiali iraniani nella direzione delle milizie sciite. A questo proposito,
il vertice dell’esecutivo iracheno ha ribadito l’intento di integrare tutte le unità belli-
geranti sotto la catena di comando delle Forze Armate e ha inoltre definito come
inaccettabile il ruolo operativo assunto dal Generale iraniano Qassem Sulei-
mani, uomo ombra di Teheran nella crisi irachena. Sebbene al-Abadi non abbia pre-
sentato richiesta formale in merito a nuovi armamenti, il Ministero della Difesa ira-
cheno ha comunicato che nel prossimo luglio, in concomitanza con la conclusione del
programma di addestramento di alcuni piloti iracheni tuttora in svolgimento su suolo
americano, gli Stati Uniti forniranno un numero non precisato di caccia F-16.
Testimonianze raccolte dal Guardian attestano che il leader dell’IS, Abu Bakr al-Ba-
ghdadi, non sia più alla guida dell’organizzazione islamista a causa delle gravi ferite
riportate a seguito di un raid aereo tra novembre e dicembre dello scorso anno. In-
tanto, il governo di Baghdad ha confermato la morte di Izzat Ibrahim al-Douri
avvenuta lo scorso 17 aprile nella provincia centro-settentrionale di Salah ad-Din. Al-
Douri, al tempo braccio destro di Saddam Hussein e figura di vertice del partito
Baath, era divenuto in seguito comandate del gruppo armato anti-governativo
dell’Ordine Naqshbandi, alleato del Califfato.
Nel frattempo si riaccendono gli scontri anche in Siria, dove i miliziani dell’IS
combattono su più fronti: a sud, dove le unità del Califfato hanno strappato
all’esercito regolare i villaggi di al-Asfar e al-Qasr nella provincia di Suwayda e sono
state ingaggiate dalle formazioni ribelli in violenti e ripetuti scontri nei quartieri nor-
dorientali di Damasco; a nord, dove il prolungato confronto con i Peshmerga curdi si
è concentrato attorno alle città di Sarrin, lungo la via che congiunge Kobane alla
roccaforte jihadista di Raqqa, e di Hasakah.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha richiamato tutte le parti coinvolte nel
conflitto civile ad accordare l’istituzione di un corridoio umanitario per portare assi-
stenza immediata ai rifugiati palestinesi nel campo di Yarmouk, che le infiltrazioni
dei combattenti dell’IS hanno reso impenetrabile a ogni rifornimento di generi ali-
mentari e beni di prima necessità. Intanto, l’Inviato Speciale delle Nazioni Unite per
la Siria, Staffan de Mistura, ha invitato a Ginevra le rappresentanze del governo di
Bashar al-Assad, delle forze di opposizione e degli attori regionali coinvolti (Iran com-
preso) a una prossima sessione di negoziati che si aprirà nel mese di maggio,
al fine di riprendere il filo interrotto di una risoluzione politica all’annosa guerra civile.
Messo in crescente difficoltà nella provincia di Idlib dalle formazioni ribelli capeggiate
da Jabhat al-Nusra, il regime di Damasco ha raggiunto un’intesa di collabora-
zione con i guerriglieri curdi contro le forze del Califfato, assicurando rinforzi
e sostegno in termini di uomini, copertura aerea, munizioni e armamenti. Di comune
accordo con le autorità locali, circa 700 combattenti tribali di estrazione sunnita si
uniranno ai ranghi dei Peshmerga operanti nella provincia di Hasakah.
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YEMEN ↴
Con l’annuncio della fine dell’Operazione Decisive Storm e l’avvio di Restoring
Hope, la coalizione arabo-sunnita a guida saudita ha dato inizio il 22-23 aprile alla
seconda fase in Yemen della missione di contenimento delle milizie filo-sciite Houthi,
attualmente capaci di controllare la capitale Sana’a e i principali avamposti strategici
e militari del Paese dallo scorso autunno. Questa nuova operazione è caratterizzata
da contenuti più politici e umanitari essendo stata mutuata sulla base della Ri-
soluzione 2216 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, presentata dalla
Giordania il 14 aprile scorso. Una Risoluzione che impone un embargo sulle armi
ai miliziani Houthi e che prevede, tra le altre cose, l’istituzione di una missione
internazionale basata sull’aiuto umanitario, la protezione dei civili, la lotta al
terrorismo, ma anche al proseguimento del blocco marittimo e alla possibilità di ri-
spondere alle eventuali aggressioni militari delle forze anti-governative. Sebbene
nelle premesse della missione dunque si cerchi a trovare un nuovo approccio risolu-
tivo alla questione yemenita, come anche auspicato in un colloquio telefonico dal
Presidente Barack Obama al Re saudita Salman, l’Operazione Resolute Hope si è
finora contraddistinta per una continuità con quella precedente, lasciando tut-
tavia inalterata la possibilità di un invio a breve di forze terrestri saudite, qualora la
situazione sul campo lo richiedesse. Si spiega infatti in questo senso la messa in
allerta di una forza di intervento rapido in Yemen di 100.000 uomini della
Guardia Nazionale saudita, attualmente dispiegati lungo i confini meridionali del
regno degli al-Saud.
Sul campo non accennano dunque a diminuire i raid dell’aviazione saudita e gli scontri
militari tra forze lealiste e milizie ribelli anti-governative lungo la direttrice Nord-Sud,
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Amran-Sana’a-Ta’izz-Marib-Lahij-Aden, nel tentativo di costringere alla ritirata stra-
tegica i gruppi Houthi e quelli loro alleati vicini all’ex Presidente Saleh. Da questa
situazione di caos, al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) è sembrata l’unica
forza capace di trarre vantaggi, rafforzando la sua posizione intorno la città di
Mukallah, nella parte orientale del Paese, ed espandendo il controllo all’aeroporto e
all’area portuale.
SITUAZIONE SUL CAMPO IN YEMEN – FONTE: AMERICAN ENTERPRISE INSTITUTE, STRATFOR, AL-JAZEERA
ELABORAZIONE: BLOOMBERG GRAPHICS
Tuttavia è sul piano diplomatico che si è assistito ad alcuni rilevanti cambi di
registro, che hanno coinvolto sia gli attori interni ed esterni al campo yemenita, sia
le stesse Nazioni Unite. Nel primo caso, l’Iran ha presentato al Segretario Gene-
rale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon un piano di pace per lo Yemen in 4
punti e basato su: l'imposizione di un coprifuoco; un immediato stop agli attacchi
militari; la consegna di aiuti umanitari e la ripresa di un dialogo politico per la forma-
zione di un governo di unità nazionale. Una proposta immediatamente rigettata
dal governo legittimo in esilio a Riyadh del Presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi
e dall’Arabia Saudita che hanno reiterato le accuse all’Iran di interferire negli affari
interni del Paese, nell’ambito di una strategia di espansione regionale. Una conferma
di ciò sarebbe rappresentata dall’invio di una piccola flotta iraniana composta
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da 7-9 navi cariche di armi destinate ai ribelli sciiti Houthi. La dura reazione
saudita e la promessa statunitense di intervenire in soccorso di Riyadh – pre-
vedendo il dispiegamento della portaerei USS Theodore Roosevelt e del suo incrocia-
tore di scorta USS Normandy con missili teleguidati per condurre operazioni di moni-
toraggio e di sicurezza marittima in appoggio ad altre 7 navi USA già operative
nell’area – nel caso in cui l’iniziativa iraniana non fosse rientrata, ha indotto le navi
iraniane a invertire la manovra e a ritornare verso le acque omanite, a sud di Salalah.
Sempre sul piano diplomatico la casa regnante degli al-Saud sarebbe riuscita nel suo
intento di far dimettere il 16 aprile scorso, l’Inviato Speciale ONU per lo Yemen, Ja-
mal Benomar. Il diplomatico marocchino era stato costretto alle dimissioni dopo
essere stato sfiduciato in sede di Consiglio di Sicurezza il 14 aprile. Benomar era stato
duramente criticato dai Sauditi per aver sempre ricercato il dialogo con Ansarullah, il
movimento politico che sponsorizza le iniziative, anche militari, degli Houthi.
Parallelamente alla crisi politico-militare, si aggrava anche quella umanitaria. Se-
condo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, fin dall’inizio della missione Deci-
sive Storm sono morte oltre un migliaio di persone, oltre 3.000 sono rimaste
ferite nei bombardamenti e all’incirca 150.000 sono gli sfollati interni. Sempre l’OMS
ha denunciato che 4,5 dei 25 milioni di abitanti del Paese sono a rischio di una grave
insicurezza alimentare e, infine, il 42% della popolazione ha bisogno di aiuti alimen-
tari.
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BREVI
CINA-IRAN-RUSSIA, 17 APRILE ↴
A margine della quarta Conferenza di Mosca sulla
sicurezza internazionale, il Ministro della Difesa
iraniano, Hossein Dehghan, ha proposto la
convocazione di un incontro trilaterale con le
controparti cinesi e russe per definire il rafforzamento
delle rispettive relazioni bilaterali e multilaterali
nell’ambito della Difesa. Dehghan ha esplicitamente ritratto la cooperazione con Cina,
Federazione Russa e India in termini oppositivi «all’espansione della NATO verso est,
al dispiegamento di scudi missilistici in Europa e alla concentrazione delle forze
statunitensi lungo i confini sudorientali cinesi». Lungi dal rappresentare una
provocazione, la dichiarazione rilasciata dal vertice delle Forze Armate iraniane è
l’ultimo tassello di una convergenza strategica che muove verso la composizione di
un fronte euroasiatico in grado di contendere e fronteggiare la supremazia
statunitense e occidentale negli equilibri globali. Già in novembre le delegazioni dei
tre Paesi si erano incontrate a Ginevra durante i negoziati sul programma nucleare
iraniano, ma è la rinnovata collaborazione militare tra Mosca e Teheran a dare
immediato contenuto politico alla prospettiva di un’intesa trilaterale destinata a
ridefinire la chiave di volta delle alleanze regionali in tema di sicurezza. Il Ministro
della Difesa cinese Chang Wanquan ha immediatamente aperto alla proposta
iraniana, evidenziando sia gli ottimi rapporti militari costruiti sull’asse Pechino-
Teheran, sia la necessità di discutere le comuni minacce alla sicurezza nazionale.
IRAN, 22 APRILE ↴
Dopo il raggiungimento a Losanna del tanto agognato
framework agreement, sono ripartiti a Vienna i
negoziati tra l’Iran e il P5+1 per limare i dettagli ed
ottenere, così, l’accordo finale entro giugno. Il 22 aprile
i diplomatici di Stati Uniti, Regno Unito, Francia,
Russia, Cina, Germania, cui si sommano i
rappresentanti dell’Unione Europea, al fianco di quelli di Teheran hanno iniziato un
nuovo round, durato tre giorni. Il vice Ministro degli Esteri dell’Iran, Abbas Araghchi,
ha portato avanti la causa che sta più a cuore per il suo Paese, ovvero il
cancellamento immediato di tutte le sanzioni economiche, affermando che è stato
«uno dei principali argomenti di questo giro di colloqui. Se le altre parti dimostreranno
la loro buona volontà politica, arriveremo di certo ad un accordo. Intendiamo chiedere
una spiegazione alla squadra statunitense e una maggiore chiarezza sui dettagli
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dell'eliminazione delle sanzioni». Washington ha però negato che vi sia alcuna
possibilità che le sanzioni possano venire cancellate dall’oggi al domani, subordinando
quindi la loro riduzione al rispetto dell’accordo da parte dell’Iran. D’altro canto, il
Presidente Barack Obama pare intenzionato a coinvolgere nel processo diplomatico il
Congresso a maggioranza repubblicana, quanto meno fino al punto di non rischiare
di mettere in pericolo il framework agreement. Nel frattempo, la Russia ha deciso di
togliere l’embargo all’Iran sulla vendita di sistemi missilisti S-300 sbloccando così un
accordo risalente al 2007 del valore di 800 milioni di dollari. Gli S-300, ha dichiarato
il Ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov all’omologo americano John Kerry,
molto contrario, «sono un'arma difensiva. Le ragioni dell'embargo sono ormai
sfumate dopo l'accordo di Losanna sull'uso delle centrali nucleari. Dunque non c'è
alcun motivo per negare all'Iran il diritto di proteggersi».
ITALIA-STATI UNITI, 16-17 APRILE ↴
Visita negli Stati Uniti del Presidente del Consiglio,
Matteo Renzi, che tra il 16 e il 17 aprile ha prima
parlato agli studenti della Georgetown University e poi
ha incontrato alla Casa Bianca il Presidente Barack
Obama. Parlando alla Georgetown University, Renzi ha
affermato che «per troppo tempo l'Italia è stata come
la bella addormentata nel bosco ma noi siamo qui per svegliarla, per dare un indirizzo
al futuro. Costruiremo un Paese in cui si va avanti non grazie agli amici degli amici
ma dove il merito conta». Con Obama il Presidente del Consiglio ha toccato vari temi:
dalla crisi ucraina a quella in Libia, dall'accordo di libero scambio (il TTIP) alla
sicurezza energetica, passando per i cambiamenti climatici. Nella conferenza a
margine, i due si sono soffermati in particolare sulla Libia, dove gli Stati Uniti hanno
promesso, nelle parole di Obama, «che continueranno a sostenere gli sforzi e il ruolo
guida dell'Italia nel Mediterraneo. Lavoreremo in modo estensivo con l'Italia per
fronteggiare le minacce dello Stato Islamico, ma non abbiamo parlato di droni»,
confutando quanto supposto alla vigilia dai media. Roma e Washington tuttavia, ha
concluso il Presidente, collaboreranno sulla base di una cooperazione rafforzata. In
segno di ringraziamento, Renzi ha dichiarato che l’Italia manterrà le proprie truppe
più a lungo, fino a fine anno, in Afghanistan per restare al fianco degli Stati Uniti.
«Esco dall'incontro» con Obama, ha chiosato Renzi, «con la convinzione della piena
condivisione con gli USA che nelle prossime settimane mostrerà i frutti più efficaci».
Non è stato, però, un segnale di rafforzamento nei rapporti bilaterali l’annuncio fatto
pochi giorni dopo da Obama per cui gli Stati Uniti, in un raid aereo condotto con i
droni in Pakistan, hanno ucciso, seppur involontariamente, un cooperante italiano
tenuto in ostaggio dai talebani, Giovanni Lo Porto. La notizia ha infatti alimentato
un’onda di anti-americanismo in Italia, guastando il clima di amicizia che si era creato
grazie al summit di Washington.
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UCRAINA, 14 APRILE ↴
Al termine di un Vertice a Berlino, i Ministri degli Esteri
di Germania, Francia, Russia e Ucraina – benché le
distanze tra questi ultimi siano ancora notevoli – hanno
concordato sulla necessità di procedere con il ritiro non
solo delle armi pesanti, ma anche dei carri armati,
categoria inizialmente non contemplata dall’accordo di
Minsk, dalla linea di controllo nell’est ucraino. Nonostante gli scontri siano
sensibilmente diminuiti dopo l’intesa sul cessate il fuoco, il governo di Kiev ha
accusato i separatisti filo-russi di aver perpetrato nuovi attacchi, nel corso dei quali
è stato ucciso un soldato ucraino, con armi di calibro maggiore a 100 mm, le quali
sarebbero dovute essere già allontanate dalla linea del fronte. I separatisti hanno dal
canto loro imputato a Kiev l’utilizzo di carri armati nella distruzione delle loro
postazioni nel Donbass. Gli Stati Uniti, che nel frattempo per mezzo della portavoce
del Dipartimento di Stato Marie Harf, hanno denunciato un nuovo ammassamento di
truppe russe ai confini ucraini nonchè lo svolgimento di alcune esercitazioni militari
dei separatisti con il supporto di Mosca (che sarebbe peraltro impegnata nella
costruzione di un sistema di difesa aerea all’interno dei confini ucraini), hanno
ufficialmente avviato (20 aprile) la missione di addestramento di 900 uomini della
Guardia Nazionale ucraina (Operation Fearless Guardian-2015, della durata di sei
mesi) nella base di Yavoriv, nella regione di Leopoli, nell’Ucraina occidentale. Ai circa
300 soldati della 173esima Brigata Aerotrasportata dovrebbero prossimamente
aggiungersi istruttori britannici (dai 35 ai 75, oltre a quelli già presenti a Mykolaiv,
dove è di stanza la 79esima Brigata Aerotrasportata), canadesi (200 uomini che
saranno impiegati anche a Kamyanets-Podilsky con diverse funzioni di
prevenzione/sminamento e di formazione) e polacchi. Sul piano interno il leader
dell’auto-proclamata Repubblica Popolare di Donetsk, Alexander Zakharchenko, ha
proposto un nuovo referendum sullo status della regione dopo un’apparente apertura
in merito da parte di Vladimir Putin, il quale, nel corso di una trasmissione televisiva,
ha dichiarato che i residenti del Donbass dovrebbero avere l’ultima parola sul modo
di gestire il rapporto con le autorità centrali.
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ALTRE DAL MONDO
AFGHANISTAN, 18 APRILE ↴
Un nuovo attentato ha scosso l’Afghanistan, a Jalalabad, dove un kamikaze si è fatto
esplodere davanti alla principale banca della città, provocando la morte di 33 persone
e oltre 100 feriti. I talebani non hanno rivendicato l’attacco. Lo ha fatto invece lo
Stato Islamico e più precisamente il ramo locale, Lo Stato Islamico del Khorasan,
sconfessando la fazione dialogante degli insorgenti e cercando di rientrare nelle di-
namiche di un Paese da cui l’Occidente intende ritirarsi militarmente entro l’anno.
EGITTO, 21 APRILE ↴
L’ex Presidente egiziano Mohammed Mursi è stato condannato dalla Corte d'Assise
del Cairo a scontare una pena di 20 anni di carcere. Mursi, il primo Presidente dell'E-
gitto eletto democraticamente dopo la dimissioni di Hosni Mubarak nel febbraio 2011,
è stato riconosciuto colpevole di essere implicato nelle torture e nelle uccisioni dei
manifestanti che protestavano davanti il palazzo presidenziale di Heliopolis, il 5 di-
cembre del 2012. L’esponente della Fratellanza Mussulmana è stato, però, scagionato
dall'accusa di istigazione all'omicidio di altri due manifestanti e di un giornalista du-
rante la medesima manifestazione.
FINLANDIA, 19 APRILE ↴
Le elezioni parlamentari hanno assegnato la vittoria al Partito di Centro, guidato
dall'ex imprenditore Juha Sipilä. Il Partito di Centro, finora all'opposizione, ha otte-
nuto poco più del 21% dei voti, conquistando 49 dei 200 seggi disponibili, mentre il
Partito della Coalizione Nazionale, guidato dal Primo Ministro uscente Alexander
Stubb, ha ricevuto il 18% dei voti, ottenendo 37 seggi. Nonostante la vittoria netta,
Juha Sipilä sarà costretto a formare un governo di coalizione con la precedente mag-
gioranza guidata da Stubb.
FRANCIA-ITALIA, 19-24 APRILE ↴
Uno studente algerino di informatica di 23 anni è stato arrestato a Parigi dalla Gen-
darmeria, mentre si apprestava a commettere un attentato terroristico contro una o
più Chiese cristiane. Il Ministro degli Interni Bernard Cazeneuve ha annunciato, in
conferenza stampa, l'arresto del giovane sottolineando che i servizi segreti da tempo
controllavano i suoi movimenti. Intanto, in Italia, gli uomini della Digos di Sassari,
hanno effettuato l’arresto di 24 persone appartenenti ad una cellula terroristica legata
ad al-Qaeda. Il gruppo, con base in Sardegna, ma presente in altre 7 regioni, sarebbe
considerato il responsabile di una serie di attacchi terroristici in Pakistan – tra cui
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quello al mercato di Peshawar del 2009 che provocò oltre 100 morti –, e avrebbe
agevolato il fenomeno dell’immigrazione clandestina in Italia.
LIBIA, 13 APRILE ↴
Continuano tra il Marocco, l’Algeria e l’Egitto i colloqui tra i governi di Tripoli e Tobruk,
l’unico internazionalmente riconosciuto, condotti dall'inviato speciale dell’ONU, Ber-
nardino Leon. Questi ha definito molto vicina una riconciliazione politica tra le due
parti in lotta. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha aggiornato
i media affermando che «Leon, e la sua squadra continuano a lavorare in maniera
instancabile con le parti libiche coinvolte, per aiutarle ad arrivare insieme ad uno
spirito di compromesso».
MALI, 18 APRILE ↴
Un convoglio della MINUSMA, la missione dell’ONU in Mali, è stato attaccato da due
uomini in moto, a circa 15 km dalla città di Gao. L’assalto, che ha causato la morte
di due autisti e il ferimento di un’altra persona, è stato, probabilmente, organizzato
dai gruppi ribelli che agiscono nel Nord del Mali. L’attacco è avvenuto due giorni da
un altro attentato nella città di Ansongo, nel quale sono morti due civili e nove pea-
cekeeper nigeriani sono stati feriti. Questa rinnovata violenza giunge proprio mentre
ad Algeri sono ripresi i colloqui di pace tra il governo di Bamako e i gruppi ribelli anti-
governativi dell’Azawad.
RUSSIA, 19 APRILE ↴
Le forze di sicurezza russe hanno comunicato di aver ucciso il leader dell’Emirato
Islamico del Caucaso, Ali Abu Muhammad al-Daghestani, durante un raid avvenuto
nei pressi della città di Buynaksk. Al-Daghestani era succeduto, agli inizi del 2014,
allo storico leader caucasico Dokku Umarov, anch’egli ucciso dalle forze di sicurezza
russe. Il designato alla successione di al-Daghestani sembrerebbe essere Aslambek
Vadalov, veterano combattente ceceno.
SOMALIA, 20-21 APRILE ↴
Un’autobomba è esplosa nei pressi di un ristorante situato nei dintorni del palazzo
presidenziale di Mogadiscio, causando la morte di 10 persone, tra le quali anche un
bambino. L’attentato è stato rivendicato dagli al-Shabaab, il gruppo estremista isla-
mico legato ad al-Qaeda. Un secondo attentato, sempre ad opera degli al-Shabaab,
si è registrato il giorno successivo nei pressi di Garowe, nel Puntland, contro un mi-
nivan dell’UNICEF, uccidendo i quattro membri dell’organizzazione umanitaria.
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SUDAN, 13-17 APRILE ↴
A partire dal 13 aprile e per i quattro giorni successivi, si sono svolte le elezioni
presidenziali e parlamentari in Sudan. Le consultazioni sono avvenute con il monito-
raggio di osservatori stranieri inviati da Lega Araba, IGAD, Nigeria e Russia, mentre
non ha partecipato l’Unione Europea che aveva più volte sottolineato la scarsa de-
mocraticità del processo elettorale sudanese. Secondo la Commissione Nazionale per
le Elezioni (NEC) l’affluenza alle urne è stata molto bassa, circa 30%, soprattutto
perché i principali partiti dell’opposizione hanno preferito boicottare le consultazioni.
I risultati alla chiusura dei seggi non sono ancora stati resi noti anche se si prevede
la netta vittoria del partito al potere, il National Congress Party e la riconferma del
Presidente uscente, Omar al-Bashir.
TURCHIA-VATICANO, 12 APRILE ↴
Schermaglie diplomatiche tra Santa Sede e Turchia dopo che Papa Francesco ha de-
finito “genocidio” il massacro degli armeni ordinato dal governo turco nel 1915. An-
kara ha convocato il nunzio apostolico in Turchia e si è definita «dispiaciuta e delusa».
Attriti anche tra la Francia e la stessa Santa Sede, che non è intenzionata ad accre-
ditare come Ambasciatore in Vaticano Laurent Stéfanini, un diplomatico omosessuale
francese.
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ANALISI E COMMENTI
YEMEN, GENESI POLITICA ED EVOLUZIONE SETTARIA DI UN CONFLITTO REGIONALE
ELEONORA ARDEMAGNI ↴
L’intervento aereo della coalizione militare araba in Yemen sta trasformando il con-
flitto periferico yemenita – forse il più trascurato e sottovalutato dell’intero quadrante
mediorientale – in un conflitto centrale, per partecipazione regionale e attenzione
politico-mediatica. Sarebbe però fuorviante guardare alla crisi dello Yemen come al
prodotto di dinamiche primariamente esogene. Infatti, questo conflitto è innanzitutto
uno scontro politico fra centro e periferie, una battaglia per il potere e le risorse che
si sta però connotando di colori settari inediti, a causa dell’interferenza saudita e
iraniana. La sovranità dello Yemen è da tempo sfidata dalle pulsioni autonomiste
provenienti sia dal nord (gli houthi, gruppo minoritario dello sciismo zaidita originario
dell’area di Sa’ada, sostenuto materialmente dall’Iran) che dal sud (il variegato Mo-
vimento meridionale, privo di leadership politica) (…) SEGUE >>>
ORDEM O PROGRESSO? IL BRASILE DEL FUTURO
FRANCESCO TRUPIA ↴
ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA
Immaginare il Brasile, la realtà geograficamente dominante dell’America Latina,
come un Paese qualsiasi è un errore che molto spesso viene commesso da molti
commentatori politici. Appare impossibile analizzare o cercare di decifrare gli avveni-
menti brasiliani slegandoli da quei contesti politici, economici, sociali o finanziari, che
rendono il gigante latino-americano uno dei simboli più importanti per biodiversità e
tradizione indigena dell’intero continente. Lo sviluppo ha fatto parte di un collega-
mento endogeno riflesso sia nel commercio internazionale sia nella crescita regionale
e nei programmi sociali di lotta alla povertà. Questo si è notato nell’export della soia,
uno dei mercati più redditizi e spesso fattore di identificazione nazionale, così come
nella descrizione finanziaria dell’inflaflução, termine coniato dal banchiere Edmar Ba-
cha in riferimento all’altalenante derby calcistico (…) SEGUE >>>
UE: SICUREZZA, TERRORISMO E LE SFIDE DEL SISTEMA SCHENGEN
CLAUDIO GIOVANNICO ↴
In seguito agli attentati di Parigi dello scorso 7 gennaio, temi controversi quali la
libertà di espressione, il rapporto con l’Islam, la validità dei modelli di integrazione
culturale e il mantenimento della sicurezza sono nuovamente tornati al centro del
dibattito pubblico europeo, ponendo interrogativi su quali politiche adottare al fine di
rispondere alla minaccia terroristica. Il dibattito in proposito si sta attualmente con-
centrando sulle modifiche a “Schengen” e ai relativi meccanismi di raccolta dati – il
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Sistema Informativo (SIS) e l’adozione di un Passenger Name Record (PNR). En-
trambi gli aspetti non possono tuttavia non tener conto del quadro di cooperazione
in materia di affari interni e giustizia in essere. L’accordo di Schengen, del quale il
prossimo 14 luglio ricorrerà il trentennale, permise l’abolizione di controlli sistematici
alla frontiera, i quali rallentavano la mobilità, tra Paesi confinanti e interdipendenti.
L’abbattimento delle frontiere interne altro non rappresentava che la materiale at-
tuazione del principio di libera circolazione e stabilimento dei cittadini dell’UE, in os-
sequio al processo di integrazione europea, il quale trovò definitivo compimento, nel
1999, con l’inserimento dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione, per mezzo
del Trattato di Amsterdam (…) SEGUE >>>
CINA E USA NEL RECENTE DIBATTITO SULLA SICUREZZA: IL FATTORE CYBER-SPACE
MATTEO ANTONIO NAPOLITANO ↴
In un articolo pubblicato recentemente, riguardante il futuro delle relazioni tra Stati
Uniti e Cina, Joseph Nye, illustre politologo statunitense nonché decano della John F.
Kennedy School of Government di Harvard ed esperto di questioni relative l’Asia
orientale, ha scritto che per dare una risposta politica appropriata alla tanto impo-
nente quanto costante ascesa del Dragone, bisogna prestare grande attenzione al
giusto bilanciamento tra realismo e integrazione. La chiave di lettura appena fornita,
riassuntiva e allo stesso tempo molto efficace, può essere utilizzata anche per l’analisi
del dibattito in merito alla cyber security divenuto, nel corso del tempo e con l’impe-
rante progresso tecnologico, punto nodale, tra i tanti, dell’incontro-scontro tra le due
grandi potenze mondiali. Se, da un lato, un discorso di containment risulta alquanto
improbabile già dagli anni Novanta (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net