OPI Weekly Report N°7/2016
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www.bloglobal.net
N°7, 21 FEBBRAIO – 5 MARZO 2016
ISSN: 2284-1024
I
Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 6 marzo 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Georgiy Bogdanov Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Luttine Ilenia Buioni Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°7/2016 (21 febbraio – 5 marzo 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2016, www.bloglobal.net
Photo Credits: AFP; AP; Middle East News Agency; Reuters; Reuters/Khalil Ashawi; ANSA; May9.ru/Kremlin.
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FOCUS
IMMIGRAZIONE ↴
Continua a mantenersi molto alta la tensione nella penisola balcanica a causa del
continuo afflusso di migranti lungo le frontiere esterne dell’Unione Europea.
Una situazione critica ed emergenziale, che ha indotto l’Austria, uno dei Paesi desti-
natari del flusso e allo stesso tempo di passaggio nella tratta migratoria verso il nord
del Continente, a convocare a Vienna un Vertice sul tema del controllo del flusso
migratorio (24 febbraio), al quale hanno preso parte 10 Paesi (Slovenia, Croazia,
Bulgaria, Albania, Bosnia, Kosovo, Serbia, Macedonia e Montenegro).
La decisione di non invitare al summit in questione i rappresentanti di Unione Europea
e Grecia, che ha provocato dure reazioni critiche da Bruxelles e Atene, ha convinto,
il governo ellenico a ritirare il proprio Ambasciatore a Vienna e a far pronun-
ciare affermazioni molto dure al Ministro degli Interni con delega all’immigrazione,
Yannis Mouzalas: la Grecia «non diventerà il Libano europeo, né sarà un magazzino
di anime». Mouzalas ha poi aggiunto che Atene sta esercitando numerose pressioni
sulla Commissione europea affinché possa limitare, se non proprio bloccare, azioni
unilaterali e sensazionalistiche da parte degli Stati membri dell’UE.
I riferimenti erano alla proposta del Premier ungherese Viktor Orbán di voler indire
un referendum sulle quote dei migranti nel suo Paese e alla proposta del Gruppo
di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) di voler costruire una
barriera anti-migranti lungo il confine condiviso tra Macedonia e Grecia. Parallela-
mente Atene ha reiterato alla NATO la richiesta di rendere il più efficace possibile le
operazioni di pattugliamento nell’Egeo per tamponare il passaggio di immigrati
e rifugiati dalle coste turche, e da Bodrum in particolare, principale base di partenza
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dei migranti verso l’Europa. Sebbene il summit di Vienna non abbia partorito nessuna
misura significativa oltre a quelle già in essere (vale a dire il tetto agli ingressi – sono
580 gli ingressi autorizzati giornalieri), se non una sottoscrizione a collaborare per
l’allontanamento dei migranti che non rientrino sotto “protezione internazionale”,
l’Unione Europea, per voce del Commissario per le Migrazioni, Dimitris Avramopoulos,
ha richiamato tutte le parti ad un maggiore rispetto della condizione umana
dei soggetti in fuga dalle guerre e ad una più cauta consapevolezza rispetto al fatto
che non si può bloccare un fenomeno di tali proporzioni. Avramopoulos ha poi lanciato
un allarme all’intera Europa, spiegando che se non si trova a breve un accordo sui
migranti, almeno entro il prossimo 7 marzo, data del Vertice straordinario UE-Turchia
a Bruxelles, si rischia un collasso del sistema di accoglienza.
ROTTA BALCANICA DEI MIGRANTI – FONTE: THE INDEPENDENT
I blocchi posti lungo la direttrice balcanica non hanno comunque mancato di sortire
episodi di tensione, in particolare nei pressi di Idomeni, località al confine tra
Grecia e Macedonia, dove si sono registrati i principali scontri tra migranti e forze
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dell’ordine macedoni, impegnate nel tentativo di respingere gli ingressi, e in cui sono
rimaste ferite decine di persone. Nelle stesse ore a Calais, all’estremo nord della
Francia poco distante dal confine belga, le autorità francesi avevano dato l’ordine alle
forze di sicurezza di sgomberare la cosiddetta “Giungla”, una sorta di accampa-
mento di fortuna dove soggiornano all’incirca 3.500 migranti diretti verso il Regno
Unito. Le operazioni di smantellamento sono tuttavia degenerate in scontri tra gli
attivisti no-border, i migranti e gli agenti incaricati di presidiare le squadre di operai
in attività.
Nel tentativo di affrontare l’emergenza migratoria, la diplomazia europea si sta ado-
perando nella ricerca di misure temporanee utili ad aiutare soprattutto i Paesi coin-
volti in prima istanza nel fenomeno. Il 2 marzo, la Commissione europea ha pro-
posto un nuovo piano per permettere la mobilitazione rapida di finanzia-
menti comunitari in favore di alcuni Stati membri, come Grecia e Italia. La proposta
prevede maggiori spese per 700 milioni di euro nei prossimi tre anni per rispondere
alle esigenze di prima assistenza dei migranti. La proposta avrà bisogno del via libera
sia del Parlamento europeo sia del Consiglio europeo. Donald Tusk, Presidente del
Consiglio europeo, ha poi auspicato un ritorno allo spirito autentico di Schengen e ad
una maggiore cooperazione intra- ed extra-Unione Europea con i Paesi dei Balcani e
la Turchia, nello sforzo comune di applicare pienamente le norme vigenti e quelle utili
a debellare le derive criminali dell’emergenza umanitaria.
Rientrerebbe in quest’ottica anche la proposta dei Ministri dell’Interno di Italia e Ger-
mania, Angelino Alfano e Thomas De Maiziere, di riformare l’impianto legislativo
di Dublino III attraverso la creazione di un meccanismo di registrazione, che includa
controlli di sicurezza da allestire con l’aiuto di FRONTEX, e di un maggiore impegno
degli Stati membri nella messa a disposizione di risorse umane e finanziamenti all’Uf-
ficio Europeo di sostegno per l’Asilo. La proposta di Alfano e De Maiziere si inserisce
in una strategia di identificazione dei migranti che hanno bisogno di protezione
internazionale nei loro Paesi di origine o nei Paesi di transito prima di arrivare in
Europa – approccio attualmente usato anche nella cooperazione con la Turchia – con
l’obiettivo finale di definire un sistema istituzionalizzato di ricollocamento o quote
degli stessi migranti nei singoli Paesi dell’UE.
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LIBIA ↴
Sono rientrati all’alba del 6 marzo i due dipendenti italiani della ditta Bonatti, Filippo
Calcagno e Gino Pollicardo, sopravvissuti probabilmente ad uno scontro a fuoco av-
venuto nei giorni precedenti a Sabratha, ad ovest di Tripoli, nel quale hanno trovato
la morte i due colleghi, Salvatore Failla e Fausto Piano. Le ricostruzioni finora cono-
sciute dagli investigatori italiani sarebbero contrastanti e i dettagli non del tutto col-
limanti tra loro, lasciando quindi trasparire numerose incongruenze e punti oscuri.
Non sarebbe chiaro, infatti, se i quattro dipendenti della società di ingegneria di
Parma fossero ostaggi degli stessi rapitori; le modalità secondo cui si sono svolti i
fatti relativi alla sparatoria che ha portato alla morte di Failla e Piano; chi siano i loro
assassini; come è avvenuta la liberazione di Calcagno e Pollicardo; nonché, infine, i
tempi tecnici per il rientro delle salme in Italia. Secondo alcune ricostruzioni, i due
italiani sarebbero rimasti uccisi durante l’offensiva delle milizie del Consiglio Mi-
litare di Sabratha (CMS) contro un acquartieramento di sospetti miliziani legati alla
cellula locale dello Stato Islamico (IS). Altre ricostruzioni, invece, riferirebbero che i
due tecnici italiani sarebbero rimasti uccisi in seguito ad una imboscata subita dal
gruppo che li teneva in ostaggio, probabilmente uomini legati a milizie locali o alla
criminalità comune, mentre era in corso il loro trasferimento da Sabratha verso un’al-
tra località non meglio identificata. Allo stesso modo, non è chiaro se i due italiani
sopravvissuti siano stati liberati dietro pagamento di una richiesta di riscatto o siano
fuggiti – ma anche in questo caso non è ben chiara la modalità della fuga – dal
controllo dei loro aguzzini, prima di essere recuperati dal CMS e consegnati alle au-
torità italiane.
Il caso degli ostaggi di Sabratha ha confermato inevitabilmente non solo il grado di
instabilità e insicurezza che caratterizza il Paese a cinque anni dalla caduta del regime
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gheddafiano, ma anche l’estrema frammentazione ed eterogeneità delle milizie
libiche – secondo ultimi report sarebbero oltre 200 – e il graduale attecchimento del
network jihadista dell’IS e di altre cellule salafite di ritorno dal teatro siriano in Libia.
Tale contesto preoccupa in particolar modo i vicini (Tunisia, Algeria, Egitto, Sudan e
Ciad), impegnati a tamponare da tempo possibili infiltrazioni di miliziani all’interno
dei loro territori e ad evitare possibili saldature delle violenze su entrambi i fronti
(interno ed esterno) dei propri rispettivi confini al fine di evitare un rafforzamento del
fronte jihadista glocale attraverso un continuum territoriale e spaziale.
LE MILIZIE ATTIVE IN LIBIA – RIELABORAZIONE GRAFICA: ISPI
A destare maggiore preoccupazione è al momento l’area di Sabratha, già colpita da
numerosi raid americani e, presumibilmente, francesi, che pare essere divenuta la
principale enclave di IS nell’ovest del Paese. La strategicità e l’importanza di
Sabratha è data in particolar modo dal suo essere diventato un hub logistico per la
raccolta, il passaggio e l’addestramento dei combattenti provenienti, soprattutto,
dalla Tunisia ma anche da e verso il Nord Africa e il Sahel.
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Sul fronte politico-diplomatico, il governo italiano continua a subire il pressing
internazionale degli alleati (USA, Regno e Francia su tutti), che chiedono un’as-
sunzione di responsabilità piena e in prima linea nella guida di una coalizione militare
internazionale in Libia. Pur condividendo i timori e le preoccupazioni dei partner al-
leati, l’esecutivo italiano per voce del Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha spiegato,
in un’intervista a Il Sole 24 Ore, che «occorre evitare che la Libia sprofondi nel caos
[…]. Il governo è consapevole degli errori del passato e sta lavorando per creare le
condizioni di stabilizzazione [nel Paese]. È un'operazione politica prima che militare
ed è questa la grande sfida della comunità internazionale che vede l'Italia in prima
fila». Roma ha ribadito che qualsiasi intervento potrà avvenire solo ed esclusivamente
dietro ad una richiesta esplicita del neo insediato governo di unità nazionale
a Tripoli. Il governo italiano starebbe valutando inoltre l’ipotesi di un intervento
militare ridotto attraverso l’invio di non oltre 100 unità tra forze speciali e uomini
dei servizi segreti, che avrebbero principalmente compiti di intelligence e di forma-
zione delle milizie, anche islamiste, reputate affidabili nella lotta alle cellule dell’IS in
Libia. Non sarebbe tuttavia ancora chiaro in che modo l’Italia concederà l’uso delle
proprie basi militari o l’utilizzo del proprio spazio aereo per le azioni mirate condotte
dai droni USA, come quelli decollati dalla base di Sigonella (Catania) che hanno at-
taccato un centro di IS a Sabratha.
Nel frattempo, dopo l’ennesimo rinvio al prossimo 7 marzo del voto di fiducia del
Parlamento di Tobruk, l’unico riconosciuto internazionalmente, all’istituzione dell’ese-
cutivo proposto dalla Risoluzione 2259 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite,
non si è fatta attendere la risposta di Tripoli in merito ad un possibile intervento
militare internazionale in territorio libico. Il Ministro degli Esteri, Aly Abuzaakouk, ha
fatto sapere che il suo governo non accetterà mai un’azione militare straniera
nel Paese. Abuzaakouk ha poi aggiunto che la Libia è in grado «di combattere questi
gruppi e respingere qualsiasi intervento militare nel Paese».
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SIRIA-IRAQ ↴
La cessazione delle ostilità concordata da Russia e Stati Uniti ed entrata in vigore alla
mezzanotte del 27 febbraio ha ridotto significativamente l’estensione e l’inten-
sità dei combattimenti in Siria. L’aviazione russa e le forze governative hanno
continuato a colpire le milizie dello Stato Islamico (IS) e di Jabhat al-Nusra (JaN), ai
quali la tregua non è applicata. Il cessate il fuoco è un passo necessario per propiziare
la ripresa dei negoziati di pace, che l’Inviato Speciale ONU Staffan de Mistura ha
convocato per il 9 marzo. Tuttavia si continua a combattere in alcune zone del
Paese, in particolare attorno e all’interno l’area di Aleppo, dove l’IS ha consolidato
la propria presenza intaccando la continuità delle linee di rifornimento governative a
Khanaser, mentre l’artiglieria turca non ha interrotto i bombardamenti da oltre con-
fine contro le milizie curdo-siriane, a Tal Abyad e Monbahteh. A questo riguardo, il
Primo Ministro Ahmet Davutoğlu ha precisato che la Turchia non è condizionata al
cessate il fuoco e deciderà unilateralmente le misure necessarie a contrastare sia le
forze curde sia l’IS, poiché queste attentano direttamente alla sicurezza nazionale. Il
Presidente Recep Tayyip Erdoğan già aveva sollecitato gli alleati occidentali a equipa-
rare il Partito curdo d’Unione Democratica (PYD) e il suo braccio armato (YPG, Unità
di Protezione Popolare) a DAESH, in virtù della loro vicinanza al Partito dei Lavoratori
del Kurdistan (PKK), riconosciuto organizzazione terroristica dagli stessi Stati Uniti e
con cui Ankara ha ripreso un violento conflitto civile, laddove tuttavia le milizie curdo-
siriane rispondono indirettamente a Washington nell’ambito delle operazioni contro
l’IS. Per contro, Mosca insiste sulla necessità di coinvolgere i curdi siriani nei colloqui
di pace e rivolge contro Ankara l’accusa di inviare armi nel teatro siriano avvalendosi
dei convogli umanitari.
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FRONTI DI COMBATTIMENTO NEL NORD DELLA SIRIA – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
I distinguo delle parti in conflitto sulla qualificazione dei gruppi “terroristi”
dunque espongono la tregua a forti contraddizioni, ancor più in considerazione di una
situazione sul terreno che pregiudica l’effettiva possibilità di attacchi selettivi. Se il
Comitato delle opposizioni siriane patrocinato dall’Arabia Saudita condiziona il ri-
spetto dell’accordo mediato dalla comunità internazionale alla sospensione degli at-
tacchi governativi e russo-iraniani, alla liberazione dei prigionieri di guerra e alla rot-
tura degli assedi sulle (diciotto) località in controllo delle formazioni ribelli, il governo
siriano presieduto da Bashar al-Assad ha esplicitato chiaramente la continua-
zione degli attacchi contro le fazioni islamiste (IS e JaN) e “le altre organizza-
zioni terroristiche” a queste legate – un’aggiunta sotto cui possono ricadere, poten-
zialmente, tutti i gruppi di opposizione. A questo riguardo, il Ministro della Difesa
israeliano Moshe Yaalon ha evidenziato che, nonostante la tregua, l’esercito siriano
ha fatto uso di armi chimiche, anche contro civili. Intanto, Assad offre un’amnistia
illimitata ai ribelli che deporranno le armi e annuncia per aprile nuove elezioni parla-
mentari.
Malgrado le inevitabili falle dell’accordo, de Mistura ha espresso una valutazione po-
sitiva sulla tenuta della tregua in un confronto a Ginevra con il Gruppo internazionale
di supporto che dietro la co-presidenza russa e americana ne sta monitorando l’im-
plementazione. La Casa Bianca ha invece sposato una posizione di maggiore pru-
denza: in un’audizione alla Commissione Esteri del Senato, il Segretario di Stato John
Kerry ha accennato all’ipotesi di una frammentazione della Siria, qualora la
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sospensione degli scontri armati si riveli effimera e la transizione politica im-
praticabile. La possibilità di un “piano B” per la spartizione del Paese, che in realtà da
mesi è parte integrante delle opzioni discusse dalle potenze estere, è stata tuttavia
risolutamente respinta dal Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.
Con lentezza e difficoltà procede anche il secondo obiettivo di fornire assistenza uma-
nitaria alla popolazione civile intrappolata nelle località sotto assedio. Secondo le
stime dell’ONU, gli aiuti hanno raggiunto 110.000 persone, ma almeno 370.000 at-
tendono l’invio di generi alimentari e medicinali. Il coordinatore ONU, Yacoub al-Hillo,
ha fatto presente che le aree in cui operano l’IS e JaN non possono essere raggiunte
via terra, mentre il ponte aereo allestito per paracadutare gli aiuti a Dair az-Zor (dove
200.000 civili si trovano stretti nella morsa dei guerriglieri islamisti) è stato sinora
fallimentare. Sul risultato parziale e insufficiente delle operazioni di assi-
stenza umanitaria contribuisce inoltre la reticenza del governo siriano a concedere
libero ingresso ai convogli. La denuncia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è
rappresentativa: nel 2015 solo 30 delle 102 richieste inoltrate a Damasco per il tran-
sito di forniture mediche verso le aree di conflitto sono state approvate. Inoltre, le
autorità siriane hanno sistematicamente bloccato al confine antibiotici, strumenti chi-
rurgici, kit per ustioni e traumi – così privando migliaia di persone di trattamenti
sanitari salvavita. Dopo tre mesi d’interruzione degli approvvigionamenti idrici, l’ac-
qua corrente è tornata a scorrere nella città di Aleppo, dove la riduzione degli scontri
armati è stata corrisposta da dimostrazioni di piazza contro il regime alawita. Le ma-
nifestazioni hanno interessato anche i quartieri in mano alle opposizioni a Damasco,
Dara’a e Homs – in quella che è sembrata un ritorno alle insurrezioni che nel 2011
anticiparono l’esplosione della guerra civile.
In Iraq, le forze di sicurezza sono ancora impegnate nella lotta contro le sacche di
resistenza dell’IS nella provincia di Ramadi. Il 25 febbraio i guerriglieri del Ca-
liffato sono stati estromessi da Albu Daji, a nord di Amiriyat al-Fallujah. Tuttavia, tra
il 25 e il 29 febbraio, il gruppo jihadista ha ordito una serie di attentati suicidi su larga
scala in tutto il Paese – a Baghdad, Sadr City, Haditha, Muqdadiyah e Abu Ghraib.
L’ondata di attacchi s’inscrive in un contesto di crescenti tensioni settarie e di diffuse
proteste che hanno indotto il Primo Ministro Haider al-Abadi a tentare la strada
di una ricomposizione della squadra di governo. Il 26 febbraio migliaia di soste-
nitori del Movimento sadrista si sono raccolti nella capitale per manifestare contro la
corruzione endemica dell’amministrazione pubblica – questione quanto mai reale, ma
che esprime in prima istanza la competizione tra le fazioni politiche irachene. Il leader
del movimento, Muqtada al-Sadr, ha posto il termine di quarantacinque giorni per la
definizione di un nuovo esecutivo, minacciando di assaltare il complesso militarizzato
che raccoglie le sedi istituzionali e le ambasciate straniere (la cosiddetta “Green
Zone”) qualora la richiesta non venga accolta. In questo clima di accresciuta contrap-
posizione, il persistente crollo del prezzo del greggio compromette il pagamento dei
dipendenti pubblici, laddove più del 90% delle entrate statali deriva dalla produzione
petrolifera.
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BREVI
ARABIA SAUDITA-LIBANO, 2 MARZO ↴
Non accenna a rientrare la crisi diplomatica aperta
alcune settimane fa dall’Arabia Saudita nei confronti
del Libano. Le tensioni erano divenute ufficialmente
manifeste il 20 febbraio scorso quando Riyadh aveva
deciso di cancellare parte degli aiuti militari forniti a
Beirut, a causa della mancata condanna da parte di
quest’ultima degli attacchi degli sciiti iraniani alle rappresentanze diplomatiche
saudite a Teheran e Mashhad, avvenuti all’indomani dell’esecuzione del religioso
sciita e oppositore saudita Nimr Baqer al-Nimr, il 2 gennaio scorso. Gli aiuti militari
cancellati dai sauditi riguardano un contratto a tripla firma franco-saudita-libanese,
stipulato dopo una lunga trattativa nell’ottobre 2014, riguardante un doppio
pacchetto da un miliardo di dollari (mld US$) diretto alle forze di sicurezza interne –
quello appunto cancellato da Riyadh – e da 3 mld US$, legato a un contratto di
fornitura militare venduto dalla Francia all’Arabia Saudita per essere poi donato
all’esercito libanese, che sarebbe per il momento ancora in vigore. I sauditi avevano
appunto provato a far leva sui libanesi reiterando la minaccia di cancellazione di
questi aiuti fin dal gennaio 2016, dopo che il Ministro degli Esteri di Beirut, Gibran
Bassil – leader cristiano e alleato di governo di Hezbollah – aveva rifiutato in due
occasioni ufficiali di firmare sia la risoluzione di condanna della Lega Araba (10
gennaio), sia quella dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (22 gennaio)
degli attacchi iraniani alle rappresentanze diplomatiche saudite. Infatti, alla base della
frattura tra Arabia Saudita e Libano vi sono, soprattutto, le tensioni riguardanti il
ruolo politico e militare di Hezbollah in Libano e in Siria, la sua alleanza con l’Iran,
nonché la diversa sensibilità delle varie forze politiche e settarie libanesi ai richiami
panislamici di Riyadh. Questa situazione ha di fatto accelerato la crisi tanto da
costringere Riyadh, con l’aiuto delle monarchie alleate del Golfo, ad indire una vera
e propria offensiva diplomatica contro il Paese dei Cedri e «tutti coloro che sembrano
aver dimenticato le proprie radici arabe». L’azione partita inzialmente con la
cancellazione, appunto, degli aiuti militari è poi proseguita con il rimpatrio dei cittadini
sauditi dal Libano – ufficialmente per motivi di sicurezza –, seguita a stretto giro da
una medesima azione anche da parte di Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain e Qatar,
e poi culminata il 2 marzo scorso con la Risoluzione del Consiglio di Cooperazione del
Golfo, che ha votato per l’inclusione di Hezbollah nella black list del terrorismo
internazionale. Sebbene Beirut abbia chiesto a Riyadh un incontro chiarificatore, il
Regno saudita pare non voler arretrare dalla propria posizione in modo da costringere
Beirut a prendere una netta e definitiva posizione nel campo delle alleanze regionali.
Questo fattore aveva altresì spinto il governo libanese a mostrare, seppur con toni
moderati, le proprie rimostranze nei confronti dell’Arabia Saudita per aver incluso
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Beirut senza alcuna previa consultazione nella cosiddetta Coalizione islamica anti-
terrorismo, lo scorso 15 dicembre. Quest’ultima, infatti, è ritenuta da molti esperti
come una piattaforma militare e politica islamico-sunnita, guidata da Riyadh, in
funzione puramente anti-sciita e anti-iraniana, più che anti-Stato Islamico. Una
situazione che esponerrebbe Beirut ad una scelta di campo (Riyadh o Teheran) con il
rischio di aggravare ulteriormente il già precario quadro politico e religioso domestico.
ARMENIA, 19-24 FEBBRAIO ↴
Il 24 febbraio il Presidente armeno Serž Sargsyan ha
invitato l’Armenian Revolutionary Federation (ARF) ad
entrare nel Governo, assegnando ad esponenti del
noto partito anti-turco i tre Ministeri dell’Economia,
dell’Istruzione, dell’Amministrazione territoriale e dello
Sviluppo. L’ARF è una forza politica di ispirazione
socialista da sempre ostile alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche con la
Turchia, che già aveva osteggiato il percorso di pace inaugurato dai Protocolli di
Zurigo del 2009, mai ratificati dai due Paesi. Il decreto sulla coalizione di governo
segue di cinque giorni la sottoscrizione di un contratto di finanziamento con la Russia
finalizzato alla fornitura di attrezzature militari alla Repubblica ex sovietica (missili
contraerei portatili, missili anticarro e sistemi lanciarazzi multipli), nel quadro di un
accordo di circa 200 milioni di dolla-ri. Già negli ultimi sei mesi Mosca aveva dotato
Yerevan di avanzati aeromobili a pilotaggio remoto Na-vodchik-2, droni Takhion,
elicotteri bimotore d’assalto Mi-24 e missili balistici Iskander-M. L’intesa, siglata dai
rispettivi Ministri della Difesa, risponde all’intento di creare un sistema di difesa
contraereo congiunto e di potenziare il personale militare (finora 5.000 unità) delle
due basi russe in Armenia e si aggiunge al Piano di Cooperazione dei Ministeri della
Difesa per il 2016, già discusso a dicembre, in occasione della creazione di un sistema
regionale comune di difesa aerea nel Caucaso. In questo contesto, si ipotizza che la
politica militare di Putin nel Caucaso – motivata dal deterioramento delle relazioni
bilaterali con Ankara, all’ombra della questione siriana e dei rischi per la Russia
connessi al salafismo armato di matrice islamica nella stessa regione caucasica –
possa influenzare le direttrici di politica estera della Turchia, quale mem-bro del Patto
Atlantico, come anche gli equilibri di Georgia e Azerbaijan. Per ciò che riguarda
l’Armenia, il passato sovietico connesso all’attuale fragilità economica sembra indurre
Yerevan all’alleanza obbligata con Mosca, sebbene le relazioni con quest’ultima
restino complesse a causa delle proteste popolari in Armenia per il rincaro dei prezzi
dell’elettricità. La distribuzione dell’energia elettrica in Armenia è infatti totalmente
controllata dalla russa Inter RUO UES, che sembra aver esercitato pressioni affinché
fossero innalzate le tariffe principalmente per recuperare la bassa redditività
dell’azienda e il crescente debito. È lecito supporre, dunque, che la decisione del
Cremlino di rafforzare la cooperazione militare sia dettata anche dall’intenzione di
evitare una nuova stagione di manifestazioni anti-governative, motivate dalla ri-
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chiesta di alleggerimento della dipendenza dalla Russia, con conseguenze sul piano
della stabilità interna armena. Tale situazione pone dunque Yerevan nella difficile
condizione di equilibrare la propria politica estera nei confronti della Turchia con le
relazioni con la Russia: sebbene la presenza di truppe russe al di qua del confine
turco possa comportare un inasprimento dei rapporti con Ankara, anche il rifiuto
dell’assistenza tecnico-militare russa potrebbe generare una situazione non dissimile,
con possibili ricadute sulla situazione di conflitto congelato nel Nagorno Karabakh.
BRASILE, 4 MARZO ↴
Dopo la mancata comparizione a testimoniare delle
passate settimane, la polizia federale brasiliana ha
effettuato su ordine della procura di Curitiba una
perquisizione nella villa dell’ex Presidente Luiz Inacio
Lula da Silva a San Bernardo do Campo, nella periferia
di San Paolo, e ha proceduto a porre Lula e i suoi
familiari in uno stato di fermo temporaneo. Immediatamente dopo, le forze
dell’ordine hanno condotto l’ex Capo di Stato a testimoniare coattivamente nel
processo in cui è indagato con l’accusa di corruzione. La testimonianza, avvenuta
presso l’aeroporto di Congonhas e allargata anche alla moglie e ai figli, si inserisce
nell’ambito della maxi inchiesta di corruzione e tangenti denominata “Operação Lava
Jato”, che ha coinvolto non i solo i vertici della società petrolifera statale Petrobras,
ma anche alcuni membri del partito di maggioranza del Partido do Trabalhadores
(PT), nonché diversi politici dello stesso governo di Dilma Rousseff. La decisione di
procedere con la deposizione coatta della famiglia Lula si era resa necessaria dopo le
rivelazioni fatte agli inquirenti dal Senatore Delcidio Amaral, alto esponente del PT,
importante collaboratore dello stesso ex Presidente e già in arresto da alcune
settimane, che ha accusato Lula di aver intascato tangenti per un valore complessivo
di 7,4 milioni di dollari. Altri dieci fermi e 32 perquisizioni sono avvenute in altri tre
Stati del Paese (Bahia, Rio de Janeiro e San Paolo). Oltre all’ex leader socialista, sono
finiti sotto la lente degli inquirenti tutti i suoi più stretti collaboratori, tra cui la moglie
e i figli, il Direttore dell’Istituto Lula, Paulo Okamotto, la direttrice Clara Ant, e il
segretario del prefetto paulista Fernando Haddad e membro del PT, José de Filippi
junior. Sebbene contro Lula non sia stato spiccato alcun mandato di arresto, il giudice
titolare dell’inchiesta, Sergio Moro, starebbe valutando l’ipotesi di un nuovo
interrogatorio. Intanto mentre a San Paolo sono scoppiati tafferugli e manifestazioni
pro- e anti-Lula, a Brasilia Dilma Rousseff ha convocato una riunione d’emergenza
dell’esecutivo. Secondo molti analisti di affari brasiliani, la decisione sarebbe stata
dettata dal timore che le nuove rivelazioni nell’inchiesta Lava Jato possano toccare
direttamente l’attuale Presidente, la quale già nei mesi scorsi era stata accusata di
falso in bilancio e aveva rischiato di subire una procedura di impeachment da parte
del Parlamento.
13
IRAN, 26 FEBBRAIO ↴
Le elezioni generali iraniane, le prime dopo il
raggiungimento dell’intesa sul nucleare e la rimozione
delle sanzioni della comunità internazionale, hanno
visto una netta affermazione dei candidati riformisti,
più o meno afferenti alla stessa sfera politica del
Presidente Hassan Rouhani. Oltre le attese anche il
dato relativo all’affluenza, che si è dimostrata molto alta rispetto alle precedenti
consultazioni: la partecipazione alle urne ha riguardato circa 34 milioni di cittadini
iraniani, ovvero il 60% dei 55 milioni aventi diritto di voto. I risultati finali ufficiali
forniti dal Ministero degli Interni mostrano che i riformisti hanno ottenuto 95 seggi,
mentre i conservatori moderati ne hanno ottenuti 14. Gli ultra-conservatori hanno,
invece, ottenuto soltanto 103 seggi, in flessione rispetto ai 195 che detenevano in
precedenza, mentre le minoranze religiose hanno raccolto 5 seggi e gli indipendenti
14. I rimanenti 69 seggi andranno al
ballotaggio tra 138 contendenti nel secondo
turno, che si terrà probabilmente a fine aprile.
Benché nessuno degli schieramenti opposti
abbia ottenuto la maggioranza, il Parlamento
che ne deriverà sarà chiaramente più
favorevole a Rouhani di quanto lo fosse in
precedenza: riformisti e conservatori moderati
non molto distanti politicamente e potrebbero
decidere di costituire, insieme, la maggioranza
dei 290 seggi del Majles iraniano. I moderati
hanno ottenuto anche il 59% dei seggi
dell’Assemblea degli Esperti, ovvero l’organo
composto da 88 membri che si occuperà di
trovare il successore dell’Ayatollah Ali
Khamenei, laddove questi dovesse morire o
dimettersi. Un’ultima nota estremamente positiva è rappresentata dalle donne: sono
15 le donne che entrano in Parlamento, un record da quando esiste la Repubblica
Islamica, ed altre 5 sono in lizza nel secondo turno. I risultati delle elezioni sono stati
accolti molto favorevolmente dalla comunità internazionale che li vede come un
ulteriore passo verso la distensione. Si segnala tuttavia che i giorni antecedenti le
votazioni erano stati segnati dalle numerose candidature rifiutate dal Consiglio dei
Guardiani: a fronte delle 12.000 candidature, poco più di 6.000 sono risultate idonee
a fronteggiarsi per ottenere un seggio nel Majles, con molti riformisti esclusi dal voto.
Infine, sono stati rieletti anche molti leader più vicini ad una linea massimalista e più
radicale, come l’Ayatollah Ahmad Jannati, attualmente a capo del Consiglio dei
Guardiani, l’assemblea non elettiva che ha il compito di verificare le candidature.
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STATI UNITI, 1° MARZO ↴
Negli Stati Uniti quella appena trascorsa è stata la
settimana dell’importante Super Tuesday, ossia
l’evento clou nelle primarie USA, in quanto fornisce
un’indicazione piuttosto chiara su chi sarà il candidato
dei due partiti in vista delle presidenziali di novembre.
La grande tornata elettorale – si votava in 13 Stati tra
primarie e caucus – ha decretato la vittoria dei due
frontrunner da lungo tempo identificati dai sondaggi: per i Repubblicani, l’outsider
Donald Trump; per i Democratici, l’ex Segretario di Stato, Hillary Clinton. Trump ha
ottenuto la vittoria in sette Stati su undici, ottenendo così 247 delegati che voteranno
per lui alla convention del prossimo luglio (il totale è 329). Al secondo posto si è
classificato il Senatore del Texas, Ted Cruz, che ha vinto in tre Stati, tra cui proprio
il Texas, ossia quello che assegnava il maggior numero di delegati in questa tornata.
A Cruz sono stati così assegnati 214 delegati, poco meno di Trump, ma il distacco
complessivo è pari a circa cento: sono difatti 231 in totale quelli del texano. Al terzo
posto, il Senatore della Florida Marco Rubio, che ha ottenuto un risultato al di sotto
delle attese, arrivando primo nel solo Minnesota. Rubio ha così guadagnato solo 94
delegati e il suo gap dal duo di testa è piuttosto elevato: 110 contro i 231 di Cruz e i
329 di Trump. Tiene duro invece il moderato John Kasich, prima scelta dell’Economist,
che però non ha vinto in nessuno Stato e si è classificato molto dietro ai tre di testa.
Finisce qui la corsa di un altro candidato repubblicano, Ben Carson, dopo il
fallimentare esito (ultimo) del Super Tuesday. Nel campo democratico, la Clinton ha
raggiunto la prima posizione in sette Stati su undici, come Trump. L’unico suo
avversario, il senatore del Vermont Bernie Sanders, ha vinto tra le mura di casa, in
Oklahoma, Minnesota e Colorado. La Clinton si conferma così come la favorita per la
leadership del partito: ad oggi, ha ottenuto, infatti, più del doppio dei delegati rispetto
a Sanders e si avvia trionfalmente verso la nomination. Prossimo appunto decisivo,
soprattutto per il Grand Old Party, dovrebbero essere le primarie in Florida e Ohio del
15 marzo.
RISULTATI FINALE DEL SUPER TUESDAY – FONTE: BBC
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ALTRE DAL MONDO
ARABIA SAUDITA, 28 FEBBRAIO ↴
Gli eserciti, la marina e l’aviazione di 20 Paesi alleati e facenti parte della Coalizione
Islamica anti-terrorismo a guida saudita si sono riuniti nel nord del Paese per con-
durre le più importanti esercitazioni militari mai tenute nella regione. Hanno preso
parte alle esercitazioni le forze armate di Ciad, Egitto, Giordania, Malaysia, Marocco,
Pakistan, Senegal, Tunisia, più i cinque membri del Consiglio di Cooperazione del
Golfo. Come recita il comunicato finale di “Thunder of the North” – questo il nome
dell’operazione –, le esercitazioni sono state ideate con l’intenzione da parte dei prin-
cipali attori (trans)regionali «di dare prova di unità politica e militare alle sfide del
mondo attuale e di preservare la pace e la stabilità in Medio Oriente». Fine ultimo del
dispositivo in questione è quello di fornire le basi per l’istituzione di uno strumento
militare efficace ed efficiente – la Coalizione Islamica anti-terrorismo, appunto –,
pronto ad intervenire in tempi rapidi nei principali teatri di crisi regionali (Siria e
Yemen in primis).
BOLIVIA, 21 FEBBRAIO ↴
È stata bocciata la proposta di riforma costituzionale avanzata dal Presidente Evo
Morales che gli avrebbe permesso di candidarsi per un quarto mandato consecutivo
alla guida del Paese andino. Con un affluenza di circa l’85% degli aventi diritto, il
risultato del referendum è stato in linea con le previsioni delle ultime ore, con uno
scarto minimo in favore del “NO” (51,3%). Il primo Presidente indigeno della storia
boliviana, in carica dal 2006, è stato recentemente criticato per l’insuccesso nella
lotta alla corruzione e le tendenze autoritarie che il suo governo ha iniziato ad assu-
mere. Nonostante la sconfitta, secondo numerosi osservatori Morales è destinato a
rimanere la principale figura politica del Paese anche dopo la scadenza del suo man-
dato. La scelta di un successore fedele alla piattaforma populista di sinistra del Pre-
sidente, sarà infatti fondamentale per il futuro dello stesso Morales e del suo Movi-
mento per il Socialismo.
CIAD, 29 FEBBRAIO ↴
L’aggressione sessuale nei confronti di una studentessa da parte di presunti figli di
dignitari di Stato (tra cui alcuni Ministri e Generali) ha scosso profondamente la po-
polazione ciadiana, tanto da provocare violente manifestazioni di protesta in tutto il
Paese. Il Presidente Idriss Déby Itno ha immediatamente condannato l’atto e la po-
lizia locale ha arrestato cinque sospetti. La misura tuttavia non ha placato la rabbia
popolare. Nel tentativo di disperdere i manifestanti nella capitale N’Djamena, dove si
sono concentrate le maggiori proteste, la polizia anti-sommossa è intervenuta in
modo violento uccidendo un giovane.
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CINA, 1° MARZO ↴
Secondo recenti immagini satellitari, la Cina avrebbe posizionato nuove batterie mis-
silistiche nelle Isole Spratly. Aumenta così la tensione tra Pechino e gli altri Stati –
tra cui Taiwan, Vietnam, Brunei, Filippine e Malaysia – che rivendicano la tutela dei
propri interessi nel Mar Cinese Meridionale. Anche gli USA, dal canto loro, hanno
manifestato una seria preoccupazione per la continua espansione militare cinese, il
cui comportamento ostile potrebbe mettere a repentaglio le relazioni con Washing-
ton. Ciononostante, il portavoce del Ministero degli Affari Esteri Cinese, Hong Lei, ha
tenuto a sottolineare che il dispiegamento di materiale di difesa, all’interno del pro-
prio territorio è legittimo ed appropriato, non avendo nulla a che fare con il processo
di militarizzazione ribadito costantemente dal Pentagono. Per ora la rivendicazione di
Pechino di questi territori ammonta a circa 2.000 acri ricavati da operazioni di dre-
naggio, trasformando cordoni litorali in vere e proprie isole munite di porti, aeroporti
e fari.
COREA DEL NORD, 2-3 MARZO ↴
Dopo sette settimane di negoziati con la Cina, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite ha adottato con la Risoluzione 2270 un nuovo pacchetto di misure che inaspri-
sce le sanzioni già in vigore dal 2006 contro la Corea del Nord in risposta ai test
nucleari e balistici condotti nelle ultime settimane. In particolare, il nuovo regime
sanzionatorio, accanto al divieto di esportazioni di alcuni particolari materiali e a san-
zioni di carattere finanziario, prevede ispezioni obbligatorie dei carichi in entrata e in
uscita dal territorio nordcoreano; estende alle armi leggere o di piccolo calibro il di-
vieto di vendita o di trasferimento delle stesse a favore di Pyongyang; richiede
l’espulsione dei diplomatici nordcoreani coinvolti in “attività illecite”. La Risoluzione
aggiunge poi 16 individui e 12 organizzazioni alla black list del Consiglio di Sicurezza
relativa al congelamento dei beni e al divieto di espatrio. All’inasprimento del regime
sanzionatorio votato all’unanimità dai 15 membri del Consiglio di Sicurezza, Pyon-
gyang ha risposto con il lancio di una raffica di missili a corto raggio in mare al largo
della costa orientale della Penisola coreana e ha nuovamente minacciato l’uso di armi
nucleari in un possibile intervento militare da scatenare in qualsiasi momento.
EGITTO, 28 FEBBRAIO - 3 MARZO ↴
Dopo la firma di un memorandum di cooperazione energetica bilaterale, Egitto e Cipro
hanno rinforzato le proprie relazioni firmando un’intesa in materia di sicurezza. Al
Cairo infatti si sono incontrati il Ministro della Difesa egiziano Sedki Sobhi e quello
cipriota Christophoros Fokaides per discutere delle più importanti questioni che inte-
ressano i due Paesi, tra cui lotta contro il terrorismo e crisi migratoria. Negli stessi
giorni, il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi si è recato in visita ufficiale in Giap-
pone e in Corea del Sud per stipulare alcuni accordi economici utili a risollevare le
esanimi casse egiziane. Nell’incontro a Tokyo, il Premier giapponese Shinzo Abe e al-
Sisi hanno stipulato un’intesa per la realizzazione di alcuni progetti infrastrutturali, in
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particolare nel settore dell’energia elettrica, per l’equivalente di quasi 18 miliardi di
dollari.
GIORDANIA, 1-2 MARZO ↴
Si sono verificati a Irbid, città nel nord della Giordania al confine con la Siria, violenti
scontri tra le forze di sicurezza e bande di militanti islamisti. Il centro di intelligence
nazionale (GID) ha riferito che nell’imponente blitz condotto da polizia e forze speciali
sono morti un militare giordano e sette sospetti miliziani jihadisti che sarebbero stati
pronti a colpire obiettivi militari e civili nel Paese. In precedenza erano state arrestate
almeno 13 persone legate ad una non meglio identificata cellula jihadista presente
nel Regno hashemita. La Giordania è parte della coalizione internazionale a guida
statunitense e ha condotto alcuni raid aerei contro lo Stato Islamico (IS) in Siria,
dopo che alcuni miliziani dell’IS avevano ucciso il pilota dell’aviazione giordana Muath
al-Kasasbeh.
KOSOVO, 26 FEBBRAIO ↴
Al termine di una giornata segnata dalle proteste dei deputati d’opposizione e di cen-
tinaia di cittadini che hanno chiesto le dimissioni dell’Esecutivo e le elezioni anticipate
– in continuità con le manifestazioni anti-governative degli ultimi mesi –, il Parla-
mento di Priština ha eletto il nuovo Presidente della Repubblica. Hashim Thaçi, leader
del Partito Democratico del Kosovo (PDK), ex Primo Ministro e attuale Ministro degli
Esteri, con un passato nell’Esercito di Liberazione, eletto alla massima carica dello
Stato al terzo round di votazione conquistando la maggioranza semplice dei voti (71
a favore su 120), si insedierà ufficialmente il 7 aprile al posto di Atifete Jahjaga.
L’elezione di una figura controversa come Thaçi non sembra tuttavia capace di porre
fine nel beve periodo alla crisi politica e istituzionale kosovara sorta a seguito dagli
accordi di agosto con Serbia (sulla creazione dell’Associazione delle Municipalità del
nord del Kosovo) e Montenegro (sulla demarcazione dei confini). La nomina di Thaçi
sembra piuttosto capace di rinvigorire il fronte delle opposizioni, indebolendo ulte-
riormente il processo di democratizzazione del Kosovo e, indirettamente, quello di
normalizzazione delle relazioni con Belgrado.
ITALIA, 24-26 FEBBRAIO ↴
Tensioni tra Italia e Stati Uniti dopo le rivelazioni di Wikileaks secondo cui nel 2011
l’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sarebbe stato intercettato telefo-
nicamente dalla National Security Agency americana nel pieno della crisi del debito
europeo. Ulteriori attriti sono nati all’indomani delle parole dell’Ambasciatore statu-
nitense a Roma, John Phillips, che, secondo fonti della Farnesina, avrebbe esercitato
pressioni indebite per mezzo della stampa in vista di un possibile intervento italiano
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in Libia. Buone notizie, invece, sul fronte europeo con la riappacificazione tra il Pre-
mier Matteo Renzi e il Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, sul tema
della flessibilità e della crescita economica.
SPAGNA, 2-4 MARZO ↴
Il Congresso, la Camera Bassa del Parlamento spagnolo, ha bocciato con due voti
consecutivi la candidatura di Pedro Sanchez alla carica di Primo Ministro e la possibile
istituzione di un governo di minoranza insieme ai centristi di Ciudadanos. A decretare
la doppia bocciatura nei confronti del Premier in pectore è stato il definitivo “NO” dei
radicali di Podemos alla proposta di un governo di coalizione delle opposizioni. Ora la
parola torna al Re, Filippo VI, che dovrà decidere se riaffidare il compito di formare
un esecutivo a un altro candidato o se sciogliere le Camere e indire nuove elezioni
anticipate. Se entro il 2 maggio non si uscirà dallo stallo politico, le prossime consul-
tazioni saranno annunciate con molta probabilità per il 26 giugno.
SLOVACCHIA, 5 MARZO ↴
Lo SMER, il partito socialista slovacco guidato dal Primo Ministro in carica Robert Fico,
ha vinto le elezioni politiche, ottenendo la maggioranza relativa dei consensi con il
28,7%, molto al di sotto delle previsioni. Distaccato il partito liberale SAS con l’11,5%
dei voti. Altrettanto rilevanti sono stati i risultati di altri due schieramenti: il Partito
Popolare Nostra Slovacchia, guidato dal leader di estrema destra Marián Kotleba, ha
ottenuto l’8,2% dei voti, mentre il partito anti-immigrazione “Noi siamo una famiglia”
dell’uomo d’affari Boris Kollár ha superato a sorpresa la soglia di sbarramento del
5%, necessaria per l’accesso in Parlamento. Nonostante la netta affermazione sugli
altri partiti, lo SMER dovrà cercare una difficile coalizione di governo per garantire a
Fico un terzo mandato.
TUNISIA, 3 MARZO ↴
Scontri armati si sono verificati tra forze di sicurezza tunisine (esercito e guardia
nazionale) e miliziani islamisti sospettati di appartenere allo Stato Islamico (IS) nei
pressi della città di Ben Guerdane, vicino al confine con Libia. Durante gli scontri sono
rimasti uccisi 5 jihadisti e un civile. Al fine di evitare uno spill-over delle violenze
libiche in Tunisia, alcuni rilevanti attori della comunità internazionale hanno deciso di
rafforzare la cooperazione di sicurezza con il governo locale. Tra i Paesi più attivi vi
è il Regno Unito, che, attraverso il Ministro della Difesa, Michael Fallon, ha annunciato
l’invio di alcune truppe di élite in Tunisia per contrastare le infiltrazioni dell’IS. Anche
la Germania ha offerto il proprio aiuto, mettendo a disposizione personale qualificato
in funzione di mentoring e training per addestrare i soldati dell’esercito libico nel
territorio tunisino. Berlino ha già inviato equipaggiamenti avanzati a Tunisi, come
fuoristrada, binocoli, divise da combattimento e sistemi anti-esplosivo.
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TURCHIA-NIGERIA, 2 MARZO ↴
Il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si è recato in visita ufficiale in Nigeria, dove
ha incontrato i principali esponenti politici del Paese, nonché il Capo di Stato nigeriano
Muhammadu Buhari. Oltre ad aver firmato numerosi accordi commerciali, Erdoğan
ha riaffermato la volontà della Turchia di fornire aiuto concreto al governo di Abuja
nella lotta al terrorismo, in particolare contro i miliziani islamisti di Boko Haram. La
visita del Presidente turco in Nigeria è inserita un tour africano di quattro giorni in cui
Erdoğan ha visitato anche Costa d’Avorio, Ghana e Guinea, con il preciso intento di
riaffermare la presenza commerciale turca nell’Africa occidentale.
UCRAINA, 28 FEBBRAIO – 3 MARZO ↴
Continuano gli scontri in Ucraina orientale lungo la linea di demarcazione tra i territori
controllati da Kiev e quelli dalle autoproclamate repubbliche indipendenti. Negli ultimi
giorni si è registrata la morte di 3 militari, mentre alti 15 sono rimasti feriti. Secondo
numerose fonti, l’intensificazione dell’attività militare è avvenuta principalmente in
direzione della città portuale di Mariupol, con duri scontri armati nei pressi del villag-
gio di Shirokino, zona di contatto tra le forze ucraine e i ribelli. L’aumento della ten-
sione lungo le zone grigie dove le parti si trovano a poche centinaia di metri di di-
stanza, sembra essere correlata con l’ennesimo incontro dei Ministri degli Esteri di
Francia, Germania, Ucraina e Russia in quello che è stato definito il “formato Nor-
mandia”. Il recente summit a Parigi non ha portato risultati significativi per il futuro
del Donbass, mentre il dialogo si è arenato sulle possibili elezioni a Donetsk e Lu-
gansk. Nonostante una certa pressione da parte occidentale, la posizione di Kiev ri-
mane rigidamente legata ai protocolli di Minsk che, prima di possibili elezioni locali,
prevedono la totale cessazione degli scontri armati, lo scambio di tutti i prigionieri e,
soprattutto, il controllo di Kiev sulla parte ucraina del confine con la Russia. L’au-
mento delle tensioni in Donbass gioca anche un ruolo importante nella politica in-
terna. La strumentalizzazione del conflitto occupa un ruolo cruciale nella strategia di
diverse forze politiche impegnate nella lotta per il potere scoppiata in seguito alla
recente crisi di governo.
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ANALISI E COMMENTI
TRANS ADRIATIC PIPELINE: LA VIA EUROPEA AL GAS DELL’ASIA CENTRALE
FEDERICA DE PAOLA ↴
La Trans Adriatic Pipeline (TAP) è uno dei progetti di innovazione infrastrutturale più
rilevanti che siano stati proposti nel panorama europeo degli ultimi anni. L’importanza
strategica risiede nella sicurezza delle forniture, nella loro disponibilità e nella diver-
sificazione delle rotte e delle fonti. Del resto, questi temi sono particolarmente sentiti
dall’Unione Europea, che, a fronte di una produzione interna nettamente insufficiente,
importa oltre metà del proprio fabbisogno energetico ed è dunque largamente dipen-
dente dal mercato estero, con l’unica eccezione della Danimarca. Stando alle stime
della stessa Commissione, oltre la metà dell’energia consumata entro i confini europei
è di provenienza extra-UE e questa quota ha registrato una generale tendenza al
rialzo nel corso degli ultimi dieci anni. Una maggiore diversificazione nelle forniture
appare tanto più rilevante nel contesto geopolitico attuale, in cui due delle tradizionali
rotte di approvvigionamento europeo, quella nordafricana e quella russa, sembrano
esposte ad una lunga serie di incognite (…) SEGUE >>>
LA CYBERSPACE ADMINISTRATION OF CHINA, PROFILI ISTITUZIONALI
E CAMBIAMENTO DELLA SICUREZZA INFORMATICA IN CHIAVE CINESE
MATTEO ANTONIO NAPOLITANO ↴
Grazie all’impulso dato dalla National Online Propaganda Work Conference [1], i cui
lavori si sono svolti il 5 e il 6 gennaio, il nuovo anno è stato inaugurato a Pechino
sotto il segno dell’internet policy e, volgendo lo sguardo alle aspettative, promette di
essere «[...] a “year of innovation”». Sebbene non esclusivamente, le concrete pro-
spettive di innovazione in questo specifico settore sono riposte nell’operato e nei
valori di base della Cyberspace Administration of China (CAC), un’istituzione che,
all’interno delle complesse dinamiche relative ai legami tra il Partito Comunista Cinese
e l’organizzazione statale, rappresenta adeguatamente l’idea di lealtà promossa da
Xi Jinping. Si pone dunque la necessità di comprendere meglio la struttura e la cara-
tura della CAC divenuta, nella variegata articolazione istituzionale cinese, punto di
riferimento e di convergenza delle posizioni ufficiali sulla governance dei contenuti
online (…) SEGUE >>>
IRAN E OMAN: CONVERGENZA LOGISTICA E GEOPOLITICA
STEFANO LUPO ↴
Per poter comprendere maggiormente l’unicità specifica che contraddistingue sia
l’Iran sia l’Oman nel contesto mediorientale e del Golfo Persico, è utile approfondire
i correnti legami politico-economici che uniscono Mascate e Teheran. È fuor di dubbio
che un consolidamento del rapporto tra l’Iran, una delle principali potenze regionali
e baluardo sciita, circondata interamente da attori sunniti più o meno ostili, e l’Oman,
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che aspira a divenire un punto focale d’intermediazione, sia politica sia logistica-com-
merciale, possa influire notevolmente nell’evoluzione del contesto non solo regionale
ma anche internazionale (soprattutto nell’Oceano Indiano, nell’Asia Centrale e lungo
la costa orientale dell’Africa). L’interrelazione tra Oman e Iran è complessa ed elabo-
rata, soprattutto per quanto riguarda il panorama energetico, petrolio e gas, in cui
assume toni quasi contradditori [negativi in campo petrolifero, ottimi sul piano del
gas naturale]. Infine, sul legame politico e di sicurezza, è un dato di fatto che la
posizione defilata dell’Oman nel contesto del Gulf Cooperation Council (GCC), abbia
favorito una buona convergenza di interessi, che divengono realmente complemen-
tari se si considera la partnership logistica in corso d’opera (…) SEGUE >>>
CRISI ECONOMICHE E TRASFORMAZIONI POLITICHE: L’AMERICA LATINA IN DECLINO?
FRANCESCO TRUPIA ↴
Rispetto alle previsioni degli anni passati che indicavano una continua ed esponen-
ziale crescita dell’intera America Latina, quelle diffuse alla vigilia del 2016 hanno evi-
denziato un forte cambio di tendenza. Una regione, quella del sub-Continente latino-
americano che, nonostante le grandi opportunità e possibilità, rimane tutt’oggi inca-
pace di fuoriuscire dalle soglie terzomondiste in modo regionalmente omogeneo e,
soprattutto, economicamente sostenibile attraverso programmi nazionali di preven-
zione sociale e di welfare applicabili in totale sintonia con le proprie caratteristiche
interne. L’esponenziale crescita brasiliana, ad esempio, appare oggi essere stata con-
seguenza di un fenomeno schizofrenico, legato alla crisi dei subprime del 2007 piut-
tosto che ad un solido progetto di crescita. Anche i suoi piani di lotta alla povertà,
capaci di far fuoriuscire oltre 30 milioni di brasiliani dalla fasce più indigenti, hanno
trasformato il Paese in uno “Stato assistenzialista” e appaiono incapaci di salvaguar-
dare le nuovi “classe medie” da un ritorno alle soglie terzomondiste (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
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