Weekly Report N°1/2016

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www.bloglobal.net N°1, 20 DICEMBRE 2015 9 GENNAIO 2016 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanale a cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) // 20 dicembre 2015 - 9 gennaio 2016

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N°1, 20 DICEMBRE 2015 – 9 GENNAIO 2016

ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 10 gennaio 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Maria Serra Alessandro Tinti

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Weekly Report N°1/2016 (20 dicembre 2015 – 9 gennaio 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Mi-lano 2015, www.bloglobal.net

Photo Credits: Arif Ali/AFP/Getty Images; Ahmad al-Rubaye/AFP/Getty Images; AFP; AP; Reuters.

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FOCUS

ARABIA SAUDITA-IRAN ↴

Dopo l’episodio dei razzi iraniani lanciati in acque internazionali da alcune navi della

marina di Teheran contro la portaerei USS Truman, lo scorso 30 dicembre, si accende

nuovamente la tensione nel Golfo Persico/Arabico a causa questa volta dell’esecu-

zione del religioso sciita e dissidente politico saudita Sheikh Nimr Bakr al-

Nimr.

L’evento, che ha rinfocolato nuovamente i dissidi mai sopiti tra gli antichi rivali

dell’area, Arabia Saudita e Iran, è avvenuto il 2 gennaio. Nella stessa giornata l’Ara-

bia Saudita aveva eseguito le condanne a morte di altri 46 prigionieri accu-

sati, secondo il Ministero degli Interni saudita, di «aver adottato l’ideologia radicale

takfiri (ossia di essere degli apostati, dei miscredenti assoluti, dei falsi musulmani),

essersi uniti a organizzazioni terroriste e aver orchestrato diverse azioni criminali»

contro il regime di Riyadh. In effetti, tra coloro che sono stati sottoposti ad condanna

capitale vi erano alcuni responsabili degli attacchi perpetrati da al-Qaeda nel Paese

tra il 2003 e il 2006 – tra cui Fares al-Zahrani, uno dei più stretti collaborati di Osama

Bin Laden nella struttura qaedista –, ma anche molti esponenti della comunità sciita

saudita del Qatif, provincia orientale del regno (al-Sharqiyya), arrestati in seguito alle

proteste del 2011-2012. Il più noto tra gli accusati era sicuramente al-Nimr, un reli-

gioso e attivista dei diritti umani che rivendicava da anni una migliore condizione di

vita per i sauditi sciiti del regno (tra il 10-15% della popolazione totale saudita) sot-

toposti ad ogni tipo di vessazione (tra cui non aver diritto alla cittadinanza) ed esclu-

sione politica, economica e sociale del Paese. Al-Nimr tuttavia rappresentava un

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voce critica anche nei confronti dell’Iran, poiché in più occasioni aveva denun-

ciato l’inappropriata difesa di Bashar al-Assad in Siria, alleato di Teheran nella re-

gione, e l’inadeguatezza dello stesso leader siriano, reo di aver ucciso e affamato la

propria popolazione innocente.

L’uccisione di al-Nimr ha immediatamente scatenato una serie di proteste in tutto

il Medio Oriente sciita: dalla stessa Arabia Saudita e dal vicino Bahrain (un Paese

composto dal 65% della popolazione di sciiti e governato dalla minoranza sunnita

della famiglia al-Khalifa) al Libano, estendendosi anche ad India, Pakistan, Iraq e

Iran. Proprio in quest’ultimo si sono registrate le violenze maggiori. Infatti, a seguito

della condanna ufficiale da parte delle autorità di Teheran dell’esecuzione di al-Nimr,

gruppi di manifestanti hanno attaccato poche ore dopo sia l’Ambasciata sau-

dita a Teheran sia il consolato a Mashaad, nel nord del Paese.

Da parte sua, gli al-Saud, per voce del loro Ministro degli Esteri, Adel al-Jubeir, hanno

risposto alla “sfida” lanciata dall’Iran interrompendo le relazioni diplomatiche,

commerciali e turistiche con la Repubblica teocratica e minacciando Teheran di non

tollerare nuove intromissioni nelle questioni di carattere interno saudita. Il Gran Mufti

saudita, lo sceicco Abdul-Aziz Alal-Sheikh, ha definito l’esecuzione una «grazia ai pri-

gionieri», in quanto «la morte eviterà loro di commettere altro male e di causare caos

nel Paese». Sulla stessa linea di rottura delle relazioni si sono mossi subito anche

alcuni Paesi più o meno politicamente vicini all’Arabia Saudita – tra cui Qatar, Bah-

rain, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Sudan, Gibuti, Comore e Somalia –, i quali

hanno sospeso o ridotto i rapporti diplomatici con Teheran. L’accusa rivolta all’Iran è

di voler destabilizzare la sicurezza e l’unità dell’Arabia Saudita e dell’intero Medio

Oriente. Più sfumate invece le posizioni di Turchia ed Egitto che, seppur condannando

l’Iran per una supposta ingerenza negli affari interni dell’Arabia Saudita, non hanno

tuttavia assunto decisioni ufficiali radicali in merito. Anche l’Oman ha criticato aspra-

mente l’assalto iraniano alle rappresentanze diplomatiche saudite, ma non ha tenuto

le stesse posizioni degli altri Paesi del Golfo.

La Guida Suprema iraniana Ali Khamenei ha invocato la vendetta divina contro l’Ara-

bia Saudita, Il Presidente del Parlamento Ali Larijani ha detto alla televisione di Stato

che l’esecuzione di al-Nimr «metterà l’Arabia Saudita in un vortice da cui non riusci-

ranno a uscire». Per l’Ayatollah Ahmad Khatami, l’esecuzione di al-Nimr resterà «una

profonda ferita sul corpo del mondo islamico», per cui l’Organizzazione per la Coope-

razione Islamica (OIC) – a guida saudita – dovrebbe rispondere alla situazione. Pur

allineandosi alle posizioni ufficiali, il Presidente Hassan Rouhani, ha comun-

que condannato l’attacco popolare, rigettando qualsiasi accusa – in particolare

saudita – di aver aizzato o fomentato la popolazione contro le rappresentanze diplo-

matiche estere di Riyadh. Teheran ha rimarcato inoltre le distanze con Riyadh, tac-

ciando di ipocrisia il regno degli al-Saud e, attraverso il portavoce del Ministro degli

Esteri Hossein Jaber Ansari, accusandolo di supportare esternamente «il terrorismo

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e i movimenti takfiri (tra cui lo stesso Stato Islamico)» e di occultare con false accuse

le condanne a morte dei propri dissidenti interni.

Oltre ad inasprire ulteriormente le relazioni bilaterali tra Riyadh e Teheran, rivali im-

pegnati su più fronti opposti (Siria, Yemen, Bahrain), l’affaire al-Nimr rischia stru-

mentalmente di aprire una nuova falla nella crisi settaria già esistente nella regione.

L’escalation diplomatica tra i due Paesi si inscrive in un contesto generale

più ampio e che trova una sua ragione d’essere nel sistema di alleanze e nuove

relazioni venutosi a creare nel post–accordo sul nucleare iraniano del luglio scorso e

nella conseguente reintegrazione dell’Iran nella comunità internazionale. Un messag-

gio, quest’ultimo, indirettamente rivolto a Stati Uniti e Unione Europea che nelle pros-

sime settimane torneranno al tavolo dei negoziati internazionali nel tentativo di una

risoluzione delle crisi mediorientali in Siria e Yemen. Allo stesso tempo, però, le ra-

gioni che hanno spinto i sauditi ad alzare il livello della tensione con l’Iran sono da

rintracciare anche in fattori di carattere interno, dettate dall’estrema difficoltà del

regno nel far fronte da un lato alla crisi economica di bilancio causata dal crollo del

prezzo del petrolio (sotto i 35 $ il prezzo del barile), e in conseguenza della quale,

per la prima volta nella sua storia, Riyadh è stata costretta a imporre misure di au-

sterità; dall’altro lato si aggiungono le crescenti voci di spaccature sociali, che chie-

derebbero maggiori cambiamenti in un Paese profondamente bloccato. Crepe che

riguarderebbero, infine, anche l’unità stessa della famiglia reale sempre più divisa in

almeno due fazioni capeggiate dal figlio del Re Salman, il principe ereditario e Ministro

della Difesa, Mohammed bin Salman al-Saud – grande architetto delle ultime opera-

zioni di politica estera e di sicurezza nazionale, come la coalizione islamica interna-

zionale contro il terrorismo – e il Ministro degli Interni e secondo in linea di succes-

sione al trono, Mohammed bin Nayef al-Saud.

COALIZIONE INTERNAZIONALE ANTI-IS VS COALIZIONE ISLAMICA A GUIDA SAUDITA –

FONTE: REUTERS, US DEPARTMENT OF STATE, SPA NEWS AGENCY

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IRAQ-SIRIA ↴

Il 28 dicembre l’esercito iracheno ha strappato Ramadi ai guerriglieri dello

Stato Islamico (IS). Nel maggio 2015 il capoluogo dell’Anbar sunnita era caduto in

mano ai seguaci del sedicente Califfato. Dopo mesi di confronto serrato nei quartieri

periferici, nell’ultima settimana di dicembre le forze di sicurezza irachene hanno

aperto una breccia nel complesso governativo al centro della città in cui si erano

asserragliate poche centinaia di miliziani dell’IS. Il Primo Ministro iracheno Haider al-

Abadi ha salutato il successo militare con toni trionfali, dichiarando l’intento di sfer-

rare un colpo decisivo ai vessilli neri dell’IS con la liberazione entro la fine del 2016

di Mosul, seconda città irachena dopo la capitale Baghdad e ultimo baluardo dell’or-

ganizzazione islamista nel Paese. Nel 2015 l’IS ha visto contrarsi significativa-

mente i propri domini nel teatro siro-iracheno, perdendo secondo stime statu-

nitensi il 40% e il 20% dei territori assoggettati in Iraq e Siria. Tuttavia, il gruppo

estremista continua ad attrarre foreign fighters e mantiene importanti capacità ope-

rative, come da ultimo dimostrato dalla rappresaglia che il 3 gennaio ha provocato la

morte di almeno quarantacinque militari iracheni nei pressi della diga di Haditha, a

nord di Ramadi. La stessa occupazione jihadista dell’importante capoluogo sunnita e

la battaglia condotta dalle forze di sicurezza irachene, coadiuvate dai bombardamenti

della coalizione internazionale a guida americana, hanno lasciato una grave scia di

distruzione. Come già avvenuto in altri epicentri del conflitto – Sinjar, Baiji, Tikrit –

gli scontri hanno lasciato una pesante eredità in termini di danni a infrastrutture e

servizi di base. Il governo iracheno riporta che l’80% di Ramadi sia andato distrutto

e che almeno 10 miliardi di dollari dovranno essere investiti nella ricostruzione della

città – uno sforzo finanziario insostenibile per le casse di Baghdad, che ha da poco

approvato un forte passivo di bilancio per il 2016. Tuttavia, la ricostruzione delle

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aree colpite costituisce il crocevia principale del governo iracheno per scon-

giurare la progressiva frammentazione dell’ordinamento federale, compro-

messo dalla radicalizzazione degli antagonismi settari che in prima istanza hanno

assecondato la nascita e il consolidamento del Califfato.

LO STATO DELL’ARTE NEL “SYRAQ” - FONTE: IHS (AGGIORNAMENTO AL 31/12/2015)

In questo senso, l’inasprimento della competizione tra Iran e Arabia Saudita a seguito

dell’esecuzione del religioso sciita Nimr al-Nimr ha destato le veementi proteste

delle fazioni sciite filo-iraniane, che premono l’esecutivo al-Abadi per un al-

lineamento ancor più marcato verso Teheran e alimentano i motivi destabiliz-

zanti della rivalità confessionale.

Intanto, non è andata ancora risolvendosi la crisi diplomatica aperta dall’invio non

autorizzato di un contingente turco nella base curda di Bashiqa, nell’Iraq settentrio-

nale. Malgrado i richiami sopraggiunti da Washington, Ankara non ha ritirato i mi-

litari in territorio iracheno. Uno scontro a fuoco nei pressi di Bashiqa il 7 gennaio,

in cui hanno perso la vita diciotto combattenti dell’IS, è stato anzi addotto dal Presi-

dente turco Recep Tayyip Erdoğan a giustificazione della necessaria presenza turca

nell’area. Le autorità di Baghdad, tuttavia, hanno messo in dubbio la ricostruzione,

asserendo che sarebbero stati i soldati turchi a lanciare un attacco preventivo contro

un drappello di combattenti jihadisti.

Diversamente, la Turchia esprime preoccupazione rispetto alla creazione di

un “corridoio curdo” lungo la frontiera settentrionale della Siria e al supposto

tentativo di alterare la distribuzione demografica dell’area a vantaggio dell’espan-

sione del Kurdistan siriano mediante l’espulsione delle comunità arabe e turcomanne,

maggioritarie nell’area compresa tra Azaz e Jarablus. Alla fine di dicembre le milizie

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curde e combattenti arabi uniti nelle Forze Democratiche Siriane, promosse e soste-

nute militarmente dagli Stati Uniti, hanno conquistato le postazioni dell’IS nei pressi

della diga di Tishrin, così interrompendo la continuità delle linee jihadiste tra la roc-

caforte di Raqqa e la cittadina di Manbej, punto di forza delle uniformi nere nella

provincia di Aleppo. Contro l’evoluzione indesiderata dello scenario bellico, la Turchia

aveva più volte ribadito che uno sconfinamento curdo oltre l’Eufrate non sarebbe

stato tollerato; un monito che è adesso rinnovato con decisione nei colloqui con gli

Stati Uniti, per contro favorevoli al ruolo militare delle milizie curde contro le frange

armate del Califfato.

Nel più ampio e complesso scacchiere della partita siriana, le Nazioni Unite hanno

annunciato per il prossimo 25 gennaio una nuova sessione di negoziati a

Ginevra, cui prenderanno parte rappresentanti delle opposizioni e del governo di

Damasco, come confermato dal Ministro degli Esteri siriano Walid al-Muallem. In-

tanto, le truppe leali al Presidente Bashar al-Assad avanzano a sud della capitale,

dove hanno ingaggiato battaglia a Sheikh Miskin con Jabhat al-Nusra e con le forma-

zioni ribelli confluite nell’Esercito Libero Siriano. Mentre i bombardamenti a tappeto

dell’aviazione russa aprono la strada alle forze di Assad nei vari fronti di guerra e

sono in misura crescente condannati dagli attivisti locali per l’elevato numero di vit-

time civili, gli scontri hanno ulteriormente esacerbato la crisi umanitaria e l’esodo

della popolazione verso la frontiera giordana. Fonti ONU stimano che almeno 12.000

persone sono ammassate a Rukban e Hadalat per trovare rifugio in Giordania, che

già ospita 633.000 degli oltre 4 milioni di profughi siriani. Malgrado i tentativi della

diplomazia di raggiungere tregue locali tra le parti belligeranti, la popolazione

civile intrappolata nelle linee del conflitto versa in condizioni drammatiche nelle zone

contese nel nord-est e nel sud-est del Paese. Secondo l’ONU almeno 400.000 persone

sopravvivono in estrema indigenza a Madaya, Zabadani, Darayya, Ghouta, Foah e

Kefraya – dove le forze governative e ribelli hanno strumentalmente impedito il rifor-

nimento di generi di prima necessità e medicinali al fine di rovesciare la parte avversa.

Il 28 dicembre una tregua provvisoria a Zabadani (accerchiata dalle truppe governa-

tive) e Foah e Kefraya (sotto assedio delle opposizioni) aveva portato all’evacuazione

in Turchia e Libano di oltre 460 persone grazie all’intervento della Croce Rossa, della

Mezzaluna Rossa e delle agenzie ONU. Il tardivo allarme della comunità internazio-

nale ha sollecitato l’apertura di Damasco all’ingresso di convogli umanitari nel villag-

gio ribelle di Madaya, ma la situazione resta critica.

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BREVI

AFGHANISTAN, 1-5 GENNAIO ↴

Un soldato americano appartenente alle forze speciali

è stato ucciso alla fine di alcuni combattimenti avvenuti

il 5 gennaio nel distretto di Marjah, nella provincia di

Helmand. Lo scontro è avvenuto mentre un elicottero

medico stava prestando soccorso ai soldati USA

impegnati con le controparti afghane nel sud del Paese.

Il giorno prima, al termine di un assedio durato 24 ore, le forze speciali afghane erano

riuscite ad avere la meglio su un gruppo di assalitori che aveva attaccato il consolato

indiano di Mazar-i-Sharif, nel nord: tutti e tre i terrroristi sono stati uccisi mentre si

erano rifugiati in una locazione adiacente alla struttura diplomatica. L’attacco è

avvenuto contemporaneamente all’assalto di alcuni uomini armati ad una base

dell’aviazione indiana a Pathankot e testimonia il possibile allargamento della criticità

afghana a India e Pakistan. I Talebani hanno, inoltre, rivendicato la paternità

dell’attacco suicida al compound dei contractors stranieri, avvenuto il 4 gennaio a

Kabul nei pressi dell’aeroporto, che ha causato la morte di un civile ed il ferimento di

oltre 34 persone. È il terzo attacco in pochi giorni avvenuto nella capitale afghana

dall’inizio dell’anno: il primo giorno dell’anno tre persone sono morte e 15 sono

rimaste ferite a seguito dell’esplosione di un’autobomba avvenuta nei pressi di un

ristorante frequentato da diplomatici e personale straniero, mentre il 4 gennaio un

attentatore suicida si è fatto esplodere nei pressi di una stazione di polizia, senza

però causare vittime. L’incremento degli attacchi talebani è il segno di una nuova

strategia, partita la scorsa primavera, che mira a sfruttare l’indecisione delle truppe

straniere sul futuro del loro impegno militare. I rinnovati scontri si inquadrano

nell’ambito del tentativo dei talebani di riconquistare il controllo dei distretti chiave

della provincia di Helmand, da tempo roccaforte del movimento insurrezionale,

nonché principale snodo strategico per il commercio dell’oppio.

KOSOVO, 9 GENNAIO ↴

È sfociata in scontri diretti tra polizia e manifestanti, i

quali hanno lanciato alcune bombe molotov contro il

palazzo governativo, l'ultima manifestazione

organizzata dai partiti di opposizione (Vetevendosje,

AAK e Nisma) contro l’esecutivo di Isa Mustafa e in

particolare contro l'ultimo accordo di normalizzazione

dei rapporti con la Serbia (agosto 2015) che, tra i vari

punti e in osservanza dell'accordo del 2013 mediato dall'Unione Europea, ha previsto

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la creazione della cosiddetta Associazione delle Municipalità serbe del nord del

Kosovo. Secondo il fronte dell'opposizione, che registra tuttavia delle notevoli

differenze al proprio interno, tale accordo, insieme a quello relativo alla demarcazione

dei confini con la Macedonia, sarebbe anticostituzionale. Quanto espresso dalla Corte

Costituzionale (24 dicembre) a cui si è rivolta la Presidentessa Atifete Jahjaga, non

ha risolto la questione e ha spinto l'opposizione ad intensificare le proteste, a

richiedere le dimissioni di Mustafa e del suo governo e a reclamare nuove elezioni. Il

tribunale, infatti, che aveva sospeso l'attuazione dell’accordo fino alla metà di

gennaio, ha sostanzialmente approvato la creazione dell’Associzione sulla base

dell’accordo del 2013 già ratificato dal Parlamento e promulgato dal Presidente della

Repubblica; tuttavia la Corte ha anche sottolineato come alcuni principi non siano

completamente in linea con la Costituzione, asserendo il diritto dei kosovari serbi ad

organizzarsi in associazioni senza che queste possano però godere di poteri esecutivi

distaccati dal governo centrale, obbligando pertanto le autorità competenti ad

adottare una serie di azioni legislative per rispettare gli standard costituzionali. La

crisi del governo di Mustafa, sul quale non di meno gravano le accuse di non aver

attuato le riforme economiche che aveva promesso, rischia di aprire una nuova

stagione di instabilità e violenza interna al Kosovo, compromettendo gli sforzi finora

intrapresi per la normalizzazione dei rapporti con la Serbia e per progredire sul

cammino dell’integrazione europea che, proprio grazie alle intese con Belgrado,

aveva avuto una svolta significativa lo scorso 27 ottobre con la firma dell’Accordo di

Associazione e Stabilizzazione (ASA).

POLONIA, 6 GENNAIO ↴

Il Presidente della Repubblica Andrzej Duda ha firmato

la controversa legge sui media voluta dal partito di

destra al governo Diritto e Giustizia (PiS) del leader

Jarosław Kaczyński, a cui egli stesso appartiene. La

nuova legge, varata dal Parlamento l’ultimo giorno

dell’anno, impone un maggior controllo dell’esecutivo

sui mezzi di comunicazione pubblici, prevedendo l’immediata sospensione dei membri

delle direzioni e dei consigli di amministrazione, e la nomina di nuovi responsabili a

cura del Ministro del Tesoro, compito in precedenza svolto da organismi indipendenti.

La nuova legge è stata già motivo di scontro con l’Unione Europea, che ha previsto

sull’argomento una riunione straordinaria il 13 gennaio. La legge sui media

rappresenta l’ultimo passo del nuovo cammino politico intrapreso Polonia dopo le

elezioni del 25 ottobre scorso che hanno consegnato il Paese al PiS, partito

nazionalista ed euroscettico. Il governo del Premier Beata Szydło ha già messo in

campo diverse decisioni discutibili: oltre ad aver garantito maggiori poteri alle forze

di polizia e di intelligence e ad essersi opposto al piano di ridistribuzione dei migranti

dell’Unione Europea, ha proposto la nomina da parte del governo di cinque nuovi

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giudici sui quindici della Corte Costituzionale. La proposta di legge – bocciata dalla

Corte Suprema per incostituzionalità – prevedeva che i 15 membri della Corte

Costituzionale dovessere prendere decisioni vincolanti con la maggioranza di due terzi

dei suoi componenti, e non più quella semplice, ponendo un limite, quindi, alle sue

possibilità di azione. Resta in corso, inoltre, anche una battaglia politica su chi debba

effettivamente sedere tra i banchi della Corte: il precedente Parlamento, retto

principalmente dal partito Piattaforma Civica, aveva eletto cinque giudici, ma il

Presidente Duda si è opposto alla loro nomina, proponendo l’insediamento di altri

cinque più graditi al suo partito di appartenenza. Questa serie di decisioni ha

aumentato le dimensioni della protesta popolare contro il governo di Szydło, accusato

di limitare le libertà e di violare le regole della democrazia parlamentare. Le

manifestazioni, tenutesi poco prima di Natale, si sono svolte a Varsavia, dove si

sarebbero radunate almeno 40.000 persone, e in altri 23 città della Polonia,

organizzate dal Comitato per la Difesa della Democrazie che ha riunito le forze

politiche di opposizione e diverse organizzazioni della società civile.

SPAGNA, 20 DICEMBRE ↴

I risultati delle elezioni generali spagnole hanno

confermato l’attesa complessità dello scenario politico

iberico, anticipato da numerosi sondaggi, e sancendo,

di fatto, la fine del bipartitismo. La vittoria è andata al

Partito Popular (PP) di Mariano Rajoy, che ha ottenuto

quasi il 29% dei voti, davanti al Partido Socialista Obrero Español (PSOE), che ha

invece ricevuto il 22% dei consensi. La sorpresa, non tanto inaspettata, è arrivata

dai due partiti emergenti della politica spagnola, ovvero Podemos e Ciudadanos che

hanno ottenuto rispettivamente il 20% ed il 14% dei voti espressi. I popolari hanno

dunque ottenuto 123 seggi, 65 in meno rispeto a quattro anni fa e molto al di sotto

della soglia dei 176 necessari per governare da soli. Al PSOE sono andati 90 deputati,

a Podemos 69 e a Ciudadanos 40, mentre è ormai quasi cancellata dal Parlamento la

sinistra storica rappresentata da Unità Popolare che ha ottenuto soltanto 2 seggi. Le

elezioni hanno confermato lo storico ridimensionamento delle due principali forze

politiche spagnole, popolari e socialisti, che dal 1982 hanno governato la Spagna

post-franchista. Podemos, in particolare, ha ottenuto un’importante affermazione nei

Paesi Baschi e in Catalogna, dove ha addirittura preceduto gli storici partiti

indipendentisti, come il Partido Nacionalista Vasco ed Esquerra Republicana de

Catalunya: il motivo è da ricercare nella proposta fatta dal leader di Podemos, Pablo

Iglesias, personalmente contrario alla secessione delle due regioni, di istitutire un

referendum vincolante sulla loro indipendenza.

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RISULTATO ELETTORALE AL CONGRESSO E AL SENATO - FONTE: EL PAIS

Tale risultato politico apre uno scenario di ingovernabilità. Il Premier Rajoy, in quanto

leader del partito che ha ottenuto più voti, sta attualmente concentrando gli sforzi

sulla formazione di un governo di coalizione che garantisca una sostanziale stabilità:

il PSOE di Pedro Sanchez ha tuttavia già manifestato la propria contrarietà ad un

governo di larghe intese con Rajoy Premier, mentre è difficile ipotizzare un governo

di sinistra con Podemos e gli indipendentisti catalani. La decisione spetterà dunque

al Re Felipe VI, che avrà tempo fino al 13 gennaio, data in cui si riunirà nuovamente

il Parlamento: in mancanza di un accordo, il Re proporrà come Primo Ministro Rajoy,

il quale dovrà prima cercare di ottenere la maggioranza assoluta, poi quella semplice.

Nel caso in cui non la ottenesse restano due mesi di tempo per mettere in piedi delle

trattative che possano evitare nuove elezioni ed il perdurare dell’instabilità. Intanto,

la Catalogna non andrà al voto anticipato: il Presidente della regione autonoma Artur

Mas si è dimesso favorendo la nascita di un governo di coalizione con indipendentisti,

autonomisti e sinistra radicale e guidato dal sindaco di Girona, Carles Puigdemont.

Tale mossa politica ha sbloccato un’impasse che rischiava di portare nuovamente alle

urne gli elettori catalani.

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ALTRE DAL MONDO

ALGERIA, 5 GENNAIO ↴

L’attuale Direttore del Gabinetto presidenziale ed ex Primo Ministro algerino, Ahmed

Ouyahia, ha presentato la bozza di progetto di revisione della Costituzione nazionale.

Il testo prevede diverse riforme, tra le quali l’introduzione della lingua berbera (il

Tamazight) come lingua nazionale e ufficiale, l’introduzione del limite di due mandati

presidenziali, l’istituzione di un organo nazionale indipendente per il monitoraggio

delle elezioni e l’introduzione di una previa consulta del Parlamento algerino da parte

del Presidente in carica per la nomina del Primo Ministro. Le riforme sono state du-

ramente criticate dai partiti dell’opposizione, soprattutto da parte dei Fratelli Musul-

mani algerini. La nuova Costituzione dovrà essere adottata con voto parlamentare

nelle prossime settimane.

CINA, 29 DICEMBRE ↴

Pechino ha adottato la sua prima legge anti-terrorismo, dopo che il Comitato perma-

nente del Congresso Nazionale del Popolo aveva approvato la nuova legislazione il 27

dicembre scorso. La legge, che entrerà in vigore nel mese di gennaio, offre al governo

una struttura legale entro cui articolare una risposta contro al terrorismo, resasi sem-

pre più necessaria dopo l’incremento degli attacchi interni ed esterni al Paese contro

cittadini cinesi. Inoltre, la legge permette alle forze armate cinesi di prendere parte

alle missioni di lotta al terrorismo, purché vi sia l’approvazione da parte del Paese

straniero in questione.

COREA DEL NORD, 5 GENNAIO ↴

La TV di Stato nordcoreana ha annunciato il successo del primo test di bomba nu-

cleare ad idrogeno autorizzato dallo stesso leader Kim Jong-un. Una conferma dell’av-

venuta sperimentazione proviene direttamente dalla Corea del Sud e dallo US Geo-

logical Survey, i quali hanno rilevato un terremoto di 5.1 della scala Richter, con

epicentro Punggye-ri. Seul e Tokyo hanno chiesto immediatamente una risposta forte

da parte degli Stati Uniti, principale alleato nell’area, e della comunità internazionale.

Dal canto suo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha dichiarato l’immediata

adozione di nuove misure contro la Corea del Nord. Questo è il quarto test nucleare

dal 2006 ma, se confermato, sarebbe il primo test con bomba ad idrogeno.

DAGHESTAN, 29 DICEMBRE ↴

Un gruppo di turisti russi e daghestani è stato attaccato mentre visitava la fortezza

di Naryn-Kala situata a Derbent, antica città fortificata nella Repubblica autonoma

caucasica del Daghestan. Secondo le testimonianze raccolte, circa 20 persone erano

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riunite sulla piattaforma di osservazione della fortezza quando diversi colpi d’arma

da fuoco sono stati esplosi dalla vicina pineta, provocando un morto e undici feriti, di

cui cinque in modo grave. La vittima era una guardia di frontiera dell’FSB, i servizi di

sicurezza russi. Il Daghestan è nel mirino di gruppi estremisti islamisti ostili a Mosca

sin dalle due guerre secessioniste in Cecenia e dallo scorso giugno anche in quello

della filiale locale dell’IS. L’attacco del 29 dicembre è stato infatti rivendicato dal

gruppo operante nella sedicente provincia caucasica del Califfato.

EGITTO-SUDAN, 6 GENNAIO ↴

Continuano a deteriorarsi le relazioni tra Egitto e Sudan, a causa di tensioni multiple

riguardanti soprattutto le questioni confinarie e l’immigrazione clandestina. Una si-

tuazione tale che ha portato il Sudan a dispiegare le proprie truppe lungo la frontiera

condivisa, in risposta a quelle egiziane posizionate già dallo scorso novembre. Un

portavoce del Ministro degli Affari Esteri dei Sudan, Ali Alsadig, ha tuttavia dichiarato

che Khartoum non ha intenzioni bellicose nei confronti del vicino egiziano. L’escala-

tion di queste tensioni ha visto raggiungere uno dei suoi massimi picchi nel dicembre

scorso dopo l’uccisione di 20 migranti sudanesi da parte dell’esercito egiziano nel

Sinai mentre tentavano di attraversare il confine con Israele. Le autorità di Khartoum

accusano inoltre il Cairo di perpetrare atti discriminatori nei confronti dei cittadini

sudanesi. Le testimonianze raccolte sono contrastanti poiché sia le autorità egiziane

sia alcuni cittadini sudanesi residenti nella città del Cairo negano tali violenze. En-

trambi i governi si sono impegnati ad effettuare indagini più approfondite sui predetti

accadimenti.

LIBANO-ISRAELE, 4 GENNAIO ↴

Una pattuglia di soldati israeliani è stata vittima di un’esplosione rivendicata poche

ore dopo da Hezbollah, in particolare dalla cellula già guidata da Samir Kuntar, il

comandante della milizia sciita ucciso in un raid israeliano il 19 dicembre scorso a

Jaramana, un sobborgo di Damasco. L’esplosione è avvenuta nella zona delle fattorie

Sheba, alle pendici del monte Hermon; la zona è da decenni contesa tra Libano e

Siria ma è occupata dal 1967 da Israele che la considera una parte delle alture del

Golan. In risposta all’attacco subito, Israele avrebbe lanciato dei razzi verso il piccolo

centro di al-Wazzani, nel Libano meridionale. Si teme, dunque, una nuova escalation

al confine tra i due Paesi, rischio reso tanto più temibile se si considera il già difficile

e precario contesto regionale.

LIBIA, 23 DICEMBRE – 7 GENNAIO ↴

Mentre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità la Ri-

soluzione S/RES/2259, che dovrebbe istituire un governo di unità nazionale entro 30

giorni sulla base dell’accordo politico raggiunto a Skhirat (Marocco) il 17 dicembre

scorso, non si fermano in Libia gli attacchi e le violenze sempre più marcatamente a

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firma dello Stato Islamico (IS). Il 4 gennaio i miliziani del Wilayat Barqa (Provincia

islamica della Cirenaica) hanno attaccato alcuni giacimenti petroliferi nei pressi di

Sidra. Solo pochi giorni dopo, il 7 gennaio, un attacco kamikaze contro un centro di

addestramento della polizia di Zliten ha provocato la morte di oltre 70 persone, cau-

sando il più grave attentato nel Paese dall’inizio della guerra civile nel 2011. In questo

caso l’attentato è stato rivendicato dal Wilayat Tarabulus, la filiale tripolitana dell’IS.

RUSSIA, 1° GENNAIO ↴

Con l’inizio del nuovo anno, la Russia ha adottato una nuova dottrina strategica. Il

Presidente, Vladimir Putin, ha firmato una guida dove si afferma che «la priorità na-

zionale della Russia è confermare il suo status di potenza globale di primo piano»

identificando, nel contempo, come primo nemico militare da fronteggiare la NATO. A

livello politico, invece, la principale minaccia è rappresentata dalle cosiddette ‘rivolu-

zioni colorate’ filo-occidentali – con l’annessa «pratica di deporre regimi politici legit-

timi» – potenzialmente pericolose per la sfera d’influenza del Cremlino nell’Est Europa

e oltre. Nessuna specifica attenzione per lo Stato Islamico, inserito piuttosto nel qua-

dro del più ampio contesto del terrorismo internazionale e definito da Putin stesso un

«fenomeno secondario».

STATI UNITI, 5 GENNAIO ↴

Il Presidente Barack Obama ha annunciato il varo di un nuovo piano atto a prevenire

le numerose morti da arma da fuoco che, di recente, soprattutto a seguito della strage

di San Bernardino, hanno generato un notevole clamore mediatico. Il piano prevede

un incremento dei controlli da parte dei venditori di armi, online e non, nei confronti

degli acquirenti e del loro background. Inoltre, l’FBI dovrà aumentare di circa il 50%

il proprio personale (oltre 200 nuovi agenti) addetto a verificare che non vi siano

violazioni specifiche in tal senso. La Casa Bianca ha chiesto infine al Congresso di

stanziare 500 milioni di dollari per prevenire le stragi attraverso cure mentali per

soggetti potenzialmente pericolosi. Coinvolti anche i Dipartimenti di Difesa, Giustizia

e dell’Interno, che condurranno ricerche su come debellare il fenomeno.

SVEZIA-DANIMARCA, 4 GENNAIO ↴

Il governo svedese ha reintrodotto i controlli alla frontiera danese, lungo il ponte di

Øresund, a causa della crescita del flusso di migranti e al fine di contenere le richieste

di richiedenti asilo e di innalzare il livello di sicurezza. Misure temporanee sono state

introdotte anche dalla Danimarca al confine con la Germania. Quelle di Svezia e Da-

nimarca si aggiungono alle misure di controllo già poste nei mesi scorsi dalla stessa

Germania, Francia, Austria e Norvegia. A margine di un Vertice ristretto a Bruxelles

tra il Commissario all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos e i rappresentanti di Stoc-

colma, Copenaghen e Berlino, si è discusso della necessità di rendere tali controlli

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temporanei, mentre continua il duro confronto europeo sul funzionamento dell’ac-

cordo di ricollocamento dei rifugiati e, più in generale, sulla tenuta del sistema Schen-

gen.

TERRORISMO, 22 DICEMBRE ↴

La polizia speciale della Federazione di Bosnia Erzegovina (FUP) ha condotto una

vasta operazione anti-terrorismo nei principali distretti della capitale bosniaca e che

ha portato all’arresto di 11 persone con l’accusa di finanziamento, di reclutamento e

di incitamento ad attività terroristiche. Secondo quanto dichiarato dal portavoce della

polizia Boris Grubesic, il gruppo era sospettato di pianificare un attentato a Sarajevo

la notte di capodanno ed è presumibilmente collegato con lo Stato Islamico (IS). Nel

corso delle festività natalizie si è registrata massima allerta per possibili attentati

anche a Parigi, a Vienna, a Monaco di Baviera e a Bruxelles, dove è stato inoltre

trovato (8 gennaio) il presunto covo dell’ultimo attentatore di Parigi del 13 novembre

e ancora in fuga, Salah Abdeslam.

UNIONE EUROPEA-UCRAINA, 21 DICEMBRE ↴

Il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato la decisione presa dal COREPER II il 18

dicembre circa la modifica della decisione n. 512 del 2014, in ambito PESC, esten-

dendo di altri 6 mesi, dunque fino a luglio del 2016, le sanzioni contro Mosca. La

decisione, presa con l’intento di supportare il rispetto degli accordi di Minsk-2, ripro-

pone, da parte europea, il desiderio di creare un link specifico tra il ritiro delle sanzioni

e la risoluzione del conflitto nella parte sud-orientale dell’Ucraina, nella regione del

Donbass. Il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha parlato di “miopia” europea,

accusando Bruxelles di continuare a giocare la carta delle sanzioni contro Mosca,

anziché instaurare un clima di cooperazione fondamentale per rispondere ad esempio

all’attuale emergenza terrorismo.

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ANALISI E COMMENTI

LIBERALE ED “EUROPEA”, LA NUOVA ARGENTINA DI MAURICIO MACRI

FRANCESCO TRUPIA ↴

«Il cambiamento di un epoca». Così Mauricio Macri, neo Presidente argentino, ha

definito la sua elezione e il conseguente successo della coalizione Cambiemos, uscita

vittoriosa dalla sfida elettorale dello scorso 22 novembre contro lo sfidante peronista,

l’oficialista Daniel Scioli. Nonostante la vittoria elettorale abbia consegnato a Macri

«una Nueva Repúbblica en Argentina», il risultato del ballottaggio (51,40%, con soli

700.000 voti di differenza su Scioli) evidenzia come il superamento del Kirchnerismo

sia avvenuto non per una forte convinzione degli argentini sui progetti politici dello

stesso Macri, quanto per una forte voglia di cambiamento. Fondamentale è stato

quindi l’apporto dell’altro sfidante, il peronista dissidente Sergio Massa, che dopo

essere stato sconfitto al primo turno è riuscito, grazie al 21,39% dei consensi, a

indirizzare in modo decisivo Macri verso la vittoria finale ai danni del Frente Para la

Vittoria (…) SEGUE >>>

MONTENEGRO, NUOVO CAPITOLO DELLA SFIDA NATO-RUSSIA

FABIO RONDINI ↴

L’invito formulato il 2 dicembre scorso dai Ministri degli Affari Esteri dell’Alleanza

Atlantica alla Repubblica del Montenegro di intraprendere i negoziati per una futura

adesione al Trattato Nord Atlantico rappresenta l’ennesima occasione per riflettere

sul vero ruolo della NATO nei Balcani, sui rapporti tra essa e la Russia, e sui vantaggi

(o svantaggi) derivanti dalla potenziale partecipazione di questo Paese all’Alleanza.

Il teatro balcanico ha rappresentato uno dei banchi di prova più importanti per la

NATO, sia per la sua capacità di sapersi riadattare ai mutamenti dello scenario sca-

turito dalla fine della Guerra Fredda, sia per la possibilità di proporsi come in grado

di provvedere a un processo di pacificazione in quest’area. Gli interventi militari com-

piuti nel corso degli anni Novanta e il successo delle operazioni militari dell’Alleanza

non hanno, tuttavia, comportato l’esaurimento delle tensioni, soprattutto etniche,

che li avevano causati (…) SEGUE >>>

LE SFIDE ECONOMICHE E SOCIALI DEL KURDISTAN IRACHENO

LORENZO MARINONE ↴

Dopo più di un decennio di relativa stabilità e di forte crescita economica rispetto al

resto del territorio iracheno, negli ultimi mesi il Governo Regionale Kurdo (KRG) sta

attraversando un periodo di profonda crisi. Alla necessità di far fronte al massiccio

afflusso di profughi siriani in fuga dalla guerra civile e, successivamente, di sfollati

interni provenienti dalle principali città irachene, dalla metà del 2014 si è sovrapposta

la minaccia militare diretta dello Stato Islamico (IS). Tale situazione emergenziale ha

indotto i vertici del KRG, protagonisti storici della lotta dei curdi iracheni per l’auto-

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nomia e riconducibili alle tribù Barzani e Talabani, ad aumentare il tentacolare con-

trollo esercitato sulle istituzioni e sulla società curde, abbinandolo a un ulteriore ten-

tativo di smarcamento dalle autorità centrali irachene, messe a durissima prova dalla

lotta contro l’IS, tramite l’occupazione e il controllo di Kirkuk e dei suoi importanti

giacimenti petroliferi. L’altalenante rapporto con Baghdad e l’irrisolto contenzioso per

il trasferimento di fondi statali, necessari per tenere in piedi l’opulenta macchina bu-

rocratico-amministrativa del KRG, hanno però sortito l’effetto di esasperare vasti set-

tori della popolazione, che chiedono con crescente insistenza un ricambio politico-

istituzionale (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

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