Weekly Report N°29/2015
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N°29, 1-7 NOVEMBRE 2015
ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 8 novembre 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Vittorio Giorgetti Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°29/2015 (1-7 novembre 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2015, www.bloglobal.net
Photo credits: Sara Barakat/Jeune Afrique; NATO; Ansa/AP; News.com; AFP; Maxim Grigoryev/AFP/Getty Images; Kua Chee-siong.
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FOCUS
SIRIA/IRAQ ↴
Procedono i colloqui tra Russia, Stati Uniti e Turchia per la composizione di un accordo
sulla crisi siriana. Il 4 novembre il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha ricevuto a
Mosca l’inviato speciale dell’ONU per la Siria, Staffan de Mistura: al centro
dell’incontro l’individuazione dei gruppi di opposizione che saranno invitati, assieme
ai rappresentati del governo di Damasco, alla prossima sessione negoziale che darà
seguito alla Conferenza di Vienna del 30 ottobre scorso. A questo riguardo, il quoti-
diano Asharq al-Awsat ha diffuso la notizia che la Russia si renderà promotrice il
prossimo 13 novembre a Ginevra di un piano di pace incentrato sulla proposta
di un’amnistia generale, l’indizione di nuove elezioni presidenziali e la formazione di
un governo di unità nazionale. In questa prospettiva, la garanzia offerta da Vladimir
Putin assicurerebbe l’uscita di scena di Bashar al-Assad, ma il Cremlino non si oppor-
rebbe alla candidatura presidenziale di un membro della famiglia regnante.
Intanto, nello scenario delle operazioni militari l’aviazione russa continua a colpire
nelle aree controllate dai gruppi ribelli nel nord-ovest del Paese le postazioni dello
Stato Islamico (IS) tra Raqqa e Dair az-Zor. Dall’avvio dei bombardamenti il 30 set-
tembre il contingente russo è raddoppiato, toccando quasi 4.000 unità, mentre è
degno di nota registrare un primo episodio di coordinamento tra gli aerei da
combattimento russi e statunitensi, che hanno scambiato comunicazioni in volo.
Nell’ambito della coalizione internazionale guidata da Washington, gli F-16 turchi
hanno condotto un’operazione contro i miliziani dell’IS al confine settentrionale della
Siria, in prossimità della provincia turca di Kilis. La Commissione Esteri della Ca-
mera dei Comuni britannica ha invece espresso un parere negativo rispetto
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all’estensione dei raid al teatro siriano proposta dall’esecutivo Cameron. Il
Ministro della Difesa Michael Fallon ha criticamente commentato che sia “moralmente
indifendibile” non bombardare il Califfato islamico anche in Siria, lasciando il peso
dell’offensiva alle potenze alleate e in particolare agli Stati Uniti, che stanno reggendo
in modo preponderante la campagna bellica e sono pronti a intensificare gli attacchi
e l’esposizione armata nello scenario siro-iracheno.
RAID AEREI RUSSI IN SIRIA - FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
Intanto, il SITE Intelligence Group ha riferito che al-Qaeda avrebbe inviato un suo
emissario – Saif al-Adel, tra i massimi dirigenti dell’organizzazione terroristica – allo
scopo di riavvicinare Jahbat al-Nusra e l’IS. Il 2 novembre il leader di al-Qaeda,
Ayman al-Zawahiri, ha esortato i “mujaheddin” impegnati in Siria a riporre le divisioni
intestine e a unirsi nella lotta comune contro le potenze occidentali, la Russia, il go-
verno alawita di Assad e le forze sciite.
In Iraq, mentre l’offensiva su Ramadi resta il principale fronte di combattimento, il
Grande Ayatollah Ali al-Sistani – la massima autorità religiosa sciita del Paese – è
nuovamente intervenuto a sostegno dell’esecutivo presieduto da al-Abadi e del pro-
cesso riformistico da questi avviato.
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TURCHIA ↴
A soli 5 mesi dalle elezioni del 7 giugno, a seguito dalle quali non era scaturita né un
maggioranza di governo né era stata trovata un’intesa per un esecutivo di coalizione,
il 1° novembre la Turchia è tornata al voto. Le nuove elezioni si sono tenute in un
clima molto diverso da quello di giugno: in particolare l’interruzione del processo di
pace con il PKK e le minacce alla Turchia che arrivano da più fronti sembrano aver
condizionato non solo la campagna elettorale ma anche la scelta degli elettori. I dati
relativi all’affluenza alle urne, pari all’87% degli aventi diritto al voto, sottolineano
proprio l’importanza cruciale di queste elezioni per il futuro della Turchia stessa.
Le elezioni hanno registrato la netta vittoria del Partito Giustizia e Sviluppo
(AKP) di Recep Tayyp Erdoğan, che ha raggiunto il 49,46% dei voti, corrispondenti
a 315 seggi su 550, incrementando di quasi 10 punti percentuali il proprio risultato
rispetto a quello di giugno; un recupero che in termini assoluti significa quasi 5 milioni
in più di voti. La seconda forza del Paese si è riconfermata il Partito Popolare
Repubblicano (CHP), partito kemalista laico, che ha raggiunto il 25,4% dei voti,
pari a 134 seggi, ricalcando sostanzialmente il risultato di giugno. Per quanto riguarda
invece le altre due forze entrate in Parlamento, il Partito del Movimento Nazionalista
(MHP) e il Partito Democratico del Popolo (HDP), si sono registrati in entrambi i casi
risultati in calo rispetto a quelli ottenuti in giugno. Il primo, l’MHP, si è fermato al
12%, guadagnando così 41 seggi e perdendo circa 2 milioni di voti rispetto al risul-
tato delle precedenti elezioni. L’HDP, invece, il partito filo-curdo guidato da Se-
lahattin Demirtaş, si è fermato al 10,4%, perdendo dunque quasi il 3% dei
voti rispetto alle elezioni di giugno (in valore assoluto circa 1 milione di voti) supe-
rando quindi soltanto in extremis la soglia di sbarramento del 10% prevista dalla
legge turca per entrare in Parlamento. I voti persi dall’HDP e dall’MHP sono confluiti
nel bacino elettorale dell’AKP permettendo così al partito di Erdoğan di raggiungere
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la maggioranza assoluta e segnando, di conseguenza, la vittoria della strategia messa
in campo dal Presidente nei 5 mesi che hanno separato queste elezioni da quelle
estive. Sebbene siano stati paventati brogli elettorali, ciò che queste elezioni sem-
brano aver comunque sottolineato è la richiesta da parte del popolo turco di
sicurezza, stabilità e concreta capacità di formare un governo in tempi ra-
pidi; a tale richiesta è sembrato poter rispondere soltanto l’AKP. Gli stessi mercati
sembrano aver inteso la vittoria del partito di Erdoğan come importate fattore di
stabilità: non a caso subito dopo la vittoria dell’AKP la lira turca ha subito un forte
rialzo.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEL VOTO - FONTE: HÜRRIYET DAILY NEWS
DISTRIBUZIONE DEL VOTO IN PARLAMENTO - FONTE: WIKIMEDIA COMMONS TÜRKIYE
Erdoğan ha dunque annunciato di voler spingere l’acceleratore proprio sulla ri-
forma costituzionale che nell’impostazione data dal Presidente mirerebbe a tra-
sformare la Repubblica parlamentare turca in un sistema presidenzialista forte. A tal
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riguardo, Haydarali Yildiz, dirigente dell’AKP, ha parlato di un “modello presidenziali-
sta turco” che non prenderà spunto dai sistemi presidenziali di altri Paesi, ma che
sarà un sistema disegnato su misura per la Turchia.
La questione della riforma costituzionale è altra cosa rispetto alla vittoria ottenuta
dall’AKP: sebbene quest’ultimo abbia infatti ottenuto ben 40 seggi più del necessario
per dirigere il Paese con un governo monocolore, non è invece riuscito a raggiun-
gere la maggioranza necessaria per poter procedere ad una modifica della
Costituzione. Il sistema turco prevede infatti due diverse ipotesi per poter procedere
a tale modifica: la riforma costituzionale può essere votata a maggioranza dei 2/3
del Parlamento o essa può essere votata da almeno 330 parlamentari per poi essere
sottoposta a referendum popolare. Lontano l’obiettivo dei 2/3, sembra invece più
realistico quello del referendum popolare per raggiungere il quale a Erdoğan occor-
rerebbero soltanto 15 voti. In questo senso l’AKP potrebbe essere spinto ad un’al-
leanza politica con gli ultranazionalisti dell’MHP. Il Presidente dell’HDP, Demirtaş, ha
ribadito la contrarietà del suo Partito a qualsiasi riforma in senso presidenzialista della
Costituzione e dell’assetto politico turco. Demirtaş riconosce la necessità per la Tur-
chia di modificare la propria Costituzione ma ripudia l’idea di farlo in senso presiden-
zialista così come, invece, voluto da Erdoğan. Secondo il leader dell’HDP, infatti, la
riforma costituzionale dovrebbe incentrarsi in particolare sulla questione dei diritti
umani e delle libertà fondamentali; un discorso, quello dei diritti umani, che non
sembra del tutto infondato soprattutto considerando, ad esempio, i provvedimenti
presi durante la campagna elettorale contro due giornali e due canali televisivi anta-
gonisti di Erdoğan.
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BREVI
CINA-GIAPPONE-COREA DEL SUD, 2 NOVEMBRE ↴
Dopo una sospensione di tre anni del dialogo
informale, si è tenuto a Seul il Vertice trilaterale Cina-
Giappone-Corea del Sud. Il summit è stato di grande
importanza e ha trattato questioni di rilevanza
regionale come il mantenimento della pace e della
stabilità nell’area e lo sviluppo economico e sociale
asiatico. A rappresentare la Cina c’era il Premier Li
Keqiang, il quale ha dato principalmente il suo
contributo in ambito economico, garantendo alla Corea del Sud la possibilità di
esportare più facilmente alcuni dei suoi piatti tradizionali in Cina, in virtù dell’accordo
bilaterale di libero scambio firmato agli inizi del 2015. Tra i progetti cinesi, inoltre,
c’è l’intenzione di collegare le proprie strategie di sviluppo “One Belt-One Road”,
“Innovazione e imprenditorialità di massa”, “Made in China 2025” con le rispettive
coreane “Eurasia Initiative”, “Economia creativa” e “Manufacturing Innovation 3.0”.
Su richiesta del Primo Ministro giapponese, Shinzo Abe, Cina e Giappone si sono
incontrati per discutere della delicata situazione delle isole Senkaku/Diaoyu, che sin
dal 2012 rappresentano una materia controversa a causa delle rispettive
rivendicazioni territoriali. Dal canto suo, Shinzo Abe ha espresso preoccupazione in
merito allo sviluppo cinese di giacimenti di gas naturale nel Mar Cinese Orientale.
CINA-TAIWAN, 7 NOVEMBRE ↴
I Presidenti di Cina e Taiwan, Xi Jinping e Ma Ying-jeou,
si sono incontrati a Singapore. L’incontro, il primo tra i
leader dei due Paesi dal 1949 – quando a seguito della
guerra civile Mao Tse-tung proclamò a Pechino la
Repubblica Popolare Cinese e Chiang Kai-shek installò
sull’isola il governo nazionalista –, ricuce
simbolicamente le relazioni bilaterali, sebbene il
Vertice fosse stato largamente annunciato dall’approfondimento del dialogo reciproco
negli ultimi anni. Il riavvicinamento diplomatico tra Pechino e Taipei si è infatti
intensificato dal 2008 con l’elezione dello stesso leader del Kuomintang (KMT) Ma
Ying-jeou – il quale, accettando implicitamente il cosiddetto “Consenso del 1992”,
che riconosceva l’esistenza di una sola Cina, ha favorito il dialogo tra le parti – e si è
sviluppato in particolare intorno al settore economico, commerciale e culturale.
Nonostante i due Presidenti abbiano asserito che «nessuna forza può separare» i due
Paesi, il prosieguo del dialogo non sembra privo di difficoltà. La maggior parte
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dell’opinione pubblica taiwanese, scesa in piazza nelle ultime ore, resta difatti
fortemente contraria alla politica governativa e un’eventuale vittoria della principale
formazione di opposizione, il Partito Progressista Democratico (DPP), alle elezioni
presidenziali in programma il 16 gennaio del 2016 potrebbe compromettere la
normalizzazione dei rapporti.
EGITTO, 1° NOVEMBRE ↴
Non accennano a placarsi le tensioni e le fughe di
notizie intorno al presunto abbattimento nel Sinai
centrale dell’Airbus 321 della compagnia russa
Metrojet da parte della branca locale egiziana dello
Stato Islamico (IS), il Wilayat Sinai (WS). Al momento
non si registrano certezze al di là della morte dei 224
passeggeri (la quasi totalità russi, eccezion fatta per poche decine di ucraini) e
dell’apertura di un’inchiesta congiunta da parte delle autorità russe ed egiziane.
Senza tralasciare nessuna ipotesi, dall’incidente meccanico all’esplosione di una
bomba a bordo, passando per il lancio di un missile, le indagini degli investigatori
sembrerebbero vertere sull’azione di terrorismo, forti anche della convizione emersa
dalle prime analisi su corpi e relitti del velivolo che la causa dell’atto sarebbe da
accreditare all’esistenza di «un fattore esterno». Al di là di ipotesi finora avanzate, le
uniche rivendicazioni certe sono quelle di WS e di IS, i quali in differenti video-
messaggi hanno rivendicato la paternità del presunto attentato, motivando l’azione
come un effetto dell’intervento russo nel teatro siriano. Nonostante le rivendicazioni,
gli esperti non ritengono questi messaggi del tutto attendibili, ritenendoli invece più
inclini ad atti di propaganda interna ed esterna, volta a legittimare l’azione e a
cavalcare l’onda emotiva dell’evento. Tuttavia alcuni leader internazionali
sembrerebbero appoggiare l’ipotesi terroristica: sia Barack Obama, sia David
Cameron (impegnato dal 4-6 novembre in un importante bilaterale con il Presidente
Abdel Fattah al-Sisi, volto a rafforzare la cooperazione economica tra i due Paesi)
hanno optato pubblicamente per tale ipotesi, generando una nervosa reazione da
parte di Mosca e del Cairo, le quali hanno chiesto a Washington e a Londra una
maggiore collaborazione nelle indagini. In attesa di evoluzioni dell’inchiesta, nel nord
della Penisola del Sinai, ad al-Arish per la precisione, il WS ha attaccato e rivendicato
un attacco contro un posto di blocco militare nel quale hanno perso la vita 6 persone
e altre 10 sono rimaste ferite. L’ennesimo attentato contro le autorità civili e militari
egiziane nel Sinai rappresenta un nuovo duro colpo nei confronti delle stesse che
sono impegnate fin dall’insorgere delle Primavere Arabe del 2011 in azioni di counter-
terrorism e di messa in sicurezza della regione.
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NATO, 4 NOVEMBRE ↴
Ha avuto luogo a Bucarest, capitale della Romania, un
mini Vertice della NATO, presieduto dal vice Presidente
dell’organizzazione del Patto Atlantico Alexander
Vershbow, a cui hanno partecipato i Capi di Stato di
nove Paesi dell’Europa centro-orientale: Klaus Iohannis
(Romania), Andrzej Duda (Polonia), János Áder (Ungheria), Andrej Kiska
(Slovacchia), Rosen Plevneliev (Bulgaria), Toomas Hendrik Ilves (Finlandia),
Raimond Vejonis (Lettonia), Dalia Grybauskaité (Lituania), Jan Hamáček (Repubblica
Ceca, Presidente della Camera). Il Vertice, fortemente voluto dai Iohannis e Duda, è
servito soprattutto per delineare una strategia comune dei Paesi del fronte orientale,
in vista del vertice NATO del 2016, che si svolgerà a Varsavia. I nove Stati dell’ex
orbita sovietica, preoccupati dalla ritrovata aggressività della Russia di Vladimir Putin,
hanno chiesto una maggior cooperazione sia in ambito NATO che in ambito Unione
Europea e hanno reclamato la necessità di una presenza militare «robusta, credibile
e sostenibile» nell’area dal Mar Nero al Mar Baltico. La Germania, attenta anche ai
risvolti commerciali, ha sempre frenato su questa proposta, sostenendo che una
scelta del genere non rispetterebbe gli accordi con la Russia, ed in questa valutazione
ha ricevuto l’appoggio di molte forze politiche trasversali dei vari Paesi, tra cui quello
del Presidente ceco Zeman. Intanto la NATO ha trovato un escamotage per far sentire
la sua voce ad est: è stata approvata la realizzazione di otto piccole basi nella regione,
tutte dotate di depositi di armi e munizioni, che nel 2016 potrebbero vedere lo
stanziamento di una forza multinazionale di 5.000 militari, con l’appoggio di aerei e
navi, sotto il comando spagnolo. Tale forza costituirebbe, in caso di necessità, la
punta di lancia di una forza di reazione ancora più rapida che potrebbe raggiungere
le 40mila unità.
TUNISIA, 1-4 NOVEMBRE ↴
Da settimane continuano i contrasti interni al partito di
maggioranza tunisino, di matrice laico-conservatrice,
Nidàa Tounes, che vedono contrapposte, da una parte,
la fazione che sostiene il Segretario Generale Mohsen
Marzouk e, dell’altra, i sostenitori di Hafedh Caid
Essebsi, figlio dell’attuale Presidente della Repubblica e fondatore del partito, Beij
Caid Essebsi. Le tensioni sono sfociate il 1° novembre scorso in una rissa tra le
opposte fazioni durante la riunione di partito tenutasi ad Hammamet. I deputati delle
opposte fazioni hanno declinato l’invito del Presidente della Repubblica, Beij Caid
Essebsi, per un colloquio chiarificatore nella sede della presidenza sulla crisi interna
alla formazione politica. Il 4 novembre, trenta dissidenti fedeli a Mohsen Marzouk
hanno lanciato un ultimatum, minacciando di formare un nuovo gruppo parlamentare
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(che modificherà l’assetto dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo, il
Parlamento unicamerale tunisino e l’esecutivo guidato dal Premier Habib Essid) nel
caso in cui le loro richieste non venissero accolte entro martedì 10 novembre.
Tuttavia, Marzouk ha già annunciato la propria intenzione di non lasciare il partito e
di dare vita ad un altro movimento. Per il momento, i deputati dissidenti hanno deciso
di sospendersi temporaneamente dal partito, che avrebbe dovuto tenere un
Congresso costituente il 19 e il 20 dicembre, ma a causa di queste divisioni
l’appuntamento è stato prima rimandato e poi annullato. Il Primo Ministro tunisino
Habib Essid ha dichiarato che la situazione del partito Nidàa Tounes è tesa. Tale crisi
interna infatti potrebbe portare alle elezioni anticipate, durante le quali si
assisterebbe ad una più ampia partecipazione di Ennahda, il movimento islamista
guidato da Rachid Ghannouchi.
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ALTRE DAL MONDO
AZERBAIJAN, 1° NOVEMBRE ↴
Nuovo Azerbaijan (YA), il partito del Presidente Ilham Aliyev, ha vinto le elezioni
parlamentari guadagnando 70 seggi sui 125 disponibili. Il resto dei seggi è stato
spartito tra tredici micro-partiti (molti di recente formazione), dichiaratisi aperta-
mente vicini a YA e allo stesso Aliyev. Tale risultato è stato possibile anche a causa
del boicottaggio del voto da parte di tutte le principali forze d’opposizione – riunitesi
nel gruppo “Consiglio Nazionale delle Forze Democratiche” – in segno di protesta
contro il clima intimidatorio e le più volte denunciate misure anti-democratiche pro-
mosse dal Presidente durante le settimane antecedenti il voto. Anche l’OSCE, tradi-
zionale osservatore dei processi elettorali in Azerbaijan, ha rinunciato alla missione
di monitoraggio a causa delle restrizioni impostele: il numero degli osservatori am-
messi ad entrare nel Paese non sarebbe riuscito a svolgere adeguatamente il proprio
compito.
BOSNIA ERZEGOVINA-SERBIA, 4 NOVEMBRE ↴
Si è svolta a Sarajevo la seduta congiunta tra i governi di Bosnia e Serbia, la prima
dalla conclusione del conflitto nel 1995. Uniti nell’intento di rafforzare le relazioni
bilaterali, di contribuire alla stabilizzazione dei Balcani (anche in relazione alla que-
stione immigrazione) e di puntare all’ingresso nell’Unione Europea, i Primi Ministri
Aleksandar Vučić e Denis Zvizdić hanno siglato alcuni accordi di cooperazione, relativi
in particolare alle ricerche dei dispersi durante in conflitto, allo sviluppo delle teleco-
municazioni, alla tutela ambientale, alla Difesa e all’ammodernamento dei collega-
menti infrastrutturali.
COLOMBIA, 4 NOVEMBRE ↴
Il governo colombiano e le FARC hanno ripreso i colloqui di pace per raggiungere la
tregua bilaterale e porre fine ad oltre cinquant’anni di conflitti. Negli incontri che il
Presidente Juan Manuel Santos ed il leader delle FARC Timoleon “Timochenko” Jime-
nez hanno avuto nei mesi precedenti è stato definito il 23 marzo come termine ultimo
per arrivare ad un accordo definitivo di pace. Durante questa nuova tornata di incon-
tri, che proseguirà fino al 13 novembre, si discuterà anche di come dovrà avvenire
tecnicamente la smobilitazione delle FARC e del reinserimento nella vita civile degli
ex-guerriglieri.
INDIA-PAKISTAN, 2 NOVEMBRE ↴
Alcune truppe pachistane hanno aperto il fuoco contro una trentina di avamposti in-
diani e villaggi al confine internazionale con il Jammu e il distretto di Samba e Kathua
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nel Kashmir, ferendo quattro civili. La Border Security Force ha risposto agli attacchi
innescando un conflitto a fuoco durato tutta la notte. Nonostante la creazione di una
hot line in caso di emergenze, la situazione sembra gradualmente peggiorata, tanto
che molti civili emigrano in altre zone del Paese.
REPUBBLICA CENTRAFRICANA, 1° NOVEMBRE ↴
Continuano gli scontri tra gruppi cristiani e musulmani a Bangui, nella Repubblica
Centrafricana. Uomini musulmani armati hanno attaccato i quartieri nella capitale di
Fatima e Kin, a maggioranza cristiana. Almeno dodici persone hanno perso la vita e
molte hanno lasciato le loro abitazioni. Le violenze sarebbero state innescate dall’as-
sassinio di due membri di una delegazione di miliziani dell’ex coalizione ribelle Séléka,
avvenuto il 29 ottobre. L’attuale Presidente centrafricano, Catherine Samba Panza,
ha affermato che nella capitale sono state uccise almeno 90 persone dalla fine di
settembre. Nonostante l’intensificarsi delle violenze, Papa Francesco non sembra in-
tenzionato ad annullare la visita apostolica nel Paese africano prevista per fine no-
vembre.
ROMANIA, 4 NOVEMBRE ↴
A seguito dell’incendio divampato all’interno del “Club Colectiv” di Bucarest, che ha
provocato la morte di 32 persone e il ferimento di altre 180, il Primo Ministro social-
democratico Victor Ponta, in carica dal 2012, ha rassegnato le proprie dimissioni.
Quello del “Club Colectiv” – discoteca munita di licenza ma priva di adeguate norme
di sicurezza – rappresenta l’ennesimo episodio di malcostume della pubblica ammi-
nistrazione che, sommato all’alto livello di corruzione della classe politica (9.111 casi
solo nel 2014, secondo la Direzione Nazionale Antimafia), ha portato decine di mi-
gliaia di cittadini romeni a scendere in piazza nella capitale e a protestare per più
notti consecutive. Lo stesso Ponta risulta attualmente indagato con le accuse di eva-
sione, riciclaggio e falso in scrittura privata, riguardo a fatti risalenti al 2007-2008,
quando non ricopriva alcuna carica pubblica. Il Presidente Klaus Iohannis, esponente
del Partito Nazionale Liberale e diretto avversario di Ponta durante le ultime elezioni
presidenziali, ha avviato le consultazioni per costituire un governo tecnico di unità
nazionale.
SUDAN-ARABIA SAUDITA, 3 NOVEMBRE ↴
Il Presidente sudanese Omar al-Bashir si è recato in Arabia Saudita per una visita di
Stato, durante la quale ha incontrato il Re Salman bin Abdulaziz al-Saud. Al termine
dei colloqui sono stati siglati alcuni accordi relativi a quattro aree specifiche: agricol-
tura, elettricità, acque potabili e dighe. Di particolare importanza l’accordo relativo
alla costruzione di tre dighe sudanesi, per le quali il Re saudita ha deciso di investire
1,7 miliardi di dollari.
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UCRAINA, 7 NOVEMBRE ↴
Nonostante le forze armate ucraine e i separatisti dell’autoproclamata Repubblica
Popolare di Donetsk abbiano annunciato il ritiro completo degli armamenti leggeri
dalla linea di contatto, secondo l’Anti-Terrorist Operation (ATO) si sono registrati al-
meno 13 episodi di scontro in prossimità delle postazioni dell’esercito di Kiev. Il Pre-
sidente Petro Poroshenko ha nel frattempo firmato il disegno di legge approvato dalla
Rada lo scorso 6 ottobre che consente ai soldati stranieri di prestare servizio come
“private soldiers” o “non-commissioned officers” delle Forze Armate ucraine.
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ANALISI E COMMENTI
CORRUZIONE E CRISI ECONOMICA:
LA NUOVA SINTESI DEL SOGNO BRASILIANO
FRANCESCO TRUPIA ↴
In America Latina le prolungate crisi economiche hanno storicamente anticipato il
fallimento di governi, esperimenti politici e interi regimi nazionali. Come dimostrato
anche da Transparency International, che classifica i Paesi della regione latino-ame-
ricana tra i più corrotti tra i 175 monitorati su scala globale, l’endemico fattore della
corruzione del sistema brasiliano continua a influire sull’intero settore pubblico e pri-
vato del Paese. In tal caso, appare evidente che lo scandalo legato al falso in bilancio
attualmente sottoposto al vaglio della Corte dei Conti di Brasilia rappresenti una con-
ferma di ciò che l’istituto tedesco denuncia da anni. Le maggiori accuse della Corte
dei Corti brasiliana contro l’attuale governo centrale e la stessa Presidente Dilma
Rousseff, sono quelle di aver alterato i conti del bilancio statale 2014 attraverso una
lunga serie di atti illegali (…) SEGUE >>>
L’EVOLUZIONE DELLA MINACCIA TERRORISTICA NEL SINAI
GIUSEPPE DENTICE ↴
Il prossimo 10 novembre il gruppo terroristico noto come Wilayat Sinai (WS, Provincia
islamica del Sinai), la branca locale dello Stato Islamico, compirà un anno di attività.
Dodici mesi nei quali il gruppo islamista ha definito nuovi livelli di intervento armato
nell’intero Paese e, allo stesso tempo, ha messo a nudo le debolezze delle strutture
di contro-terrorismo dell’intelligence egiziana. Un anniversario, dunque, importante
e non scevro di nuovi interrogativi circa le reali capacità operative di destabilizzazione
del gruppo e le sfide future in termini politici e di sicurezza per l’Egitto e il suo vici-
nato. Il Wilayat Sinai è nato e si è sviluppato sulle fondamenta di una precedente
organizzazione terroristica nota come Ansar Bayt al-Maqdis (ABM, altresì nota come
Paladini di Gerusalemme) (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
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